MILANO (ITALPRESS) – Descrizione del libro di Roberto Fiorentini –“I dimenticati”- Nel Maggio 1940. Ai circa 25 mila italiani residenti in Libia, tra Tripoli, Bengasi e la Cirenaica, è notificata una circolare delle autorità locali. Invita le famiglie, con figli dai 5 ai 10 anni, a inviarli in Italia dove sarebbero stati accolti, per tutto il periodo estivo, nelle colonie marine costruite del Regime Fascista. Il 3 giugno 3000 bambini, partono così dal porto di Tripoli, a bordo della nave ‘Augustus’ Il giorno successivo per il porto di Napoli. Trasferiti nelle colonie del regime chi sul mar Adriatico, chi sulla riviera ligure di Ponente, chi in zone montane. Non torneranno mai più nelle loro famiglie.
Racconta tutta questa incredibile odissea il nuovo libro del giornalista Roberto Fiorentini dal titolo ‘I dimenticatì (Ronca Editore). Lo fa con la voce di una delle sopravvissute: Silvia Napoletano, ora 92enne e che vive nel piacentino. Una storia oscura e drammatica del regime fascista quasi mai raccontata e rimasta solo nella memoria personale dei pochi sopravvissuti.
La narrazione parte proprio dalle terre libiche e da quel terribile viaggio in nave dove 3000 bambini erano stati ammassati ‘come pecorè (così racconta Silvia) per raggiungere il porto di Napoli, sempre controllati dalle ‘educatricì e dalle ‘camice nerè. La voce della protagonista narra la sua odissea. Prima nelle colonie estive della Romagna; poi in quelle in collina sull’appennino tosco romagnolo. Vita da caserma per quei bimbi e quelle bimbe.
“Alla caduta del regime la vita diventa un vero inferno”, racconta Silvia. Cibo finito. Vestiti spariti. Scarpe inesistenti. Notti da brividi e da paura in mezzo alle sparatorie tra i partigiani, uomini allo sbando del fascismo e truppe tedesche in ritirata. A pranzo e a cena solo l’erba che, di giorno, quelle bambine raccoglievano nei campi a combattimenti sospesi.
Fiorentini traccia anche una vera mappa di questi luoghi soprattutto nell’Italia del Nord che dovevano essere di villeggiatura ma che, con il passare del tempo, si sono trasformati in grandi carceri da cui non potere più uscire. Ricostruisce l’indottrinamento a cui erano sottoposti. Lettere, canzoni, disegni : tutto era utile per far celebrare ai bimbi le ‘progressive sortì del regime.
Un viaggio nell’orrore troppo velocemente dimenticato dalla memoria collettiva del Paese. “Ho voluto dar voce a questi bambini – dice Fiorentini – perchè i bimbi, ieri come oggi, sono le principali vittime di ogni conflitto bellico. I più indifesi. I più deboli. E per questo i più ‘Dimenticatì”.
– Foto: Fiorentini –
(ITALPRESS).
Descrizione del libro di Ilse Aichinger- La speranza più grande-Sullo sfondo di una città in guerra Ellen, una ragazzina per metà ebrea, fa amicizia con un gruppo di coetanei «con i nonni sbagliati». Tra giochi, paure, sogni, desiderio di fuga e addii, Ellen e i suoi compagni fanno esperienza della crudele realtà della persecuzione razziale e della minaccia costante della deportazione e della morte, affrontando un mondo assurdo e incomprensibile. La speranza iniziale di una fuga possibile, al di là dell’oceano, sembra destinata a svanire entro gli angusti e invalicabili confini della città assediata, ma si trasforma in una speranza più grande – forse meno terrena della prima, ma non per questo meno tangibile – che dischiude la possibilità di raggiungere la terra promessa, «dove tutto diventa azzurro». Un viaggio in dieci stazioni nelle pieghe profonde dell’esistenza e di una Vienna ferita, raccontato dalla voce corale dei perseguitati, sul crinale di una quotidianità che sconfina nella dimensione del sogno. Il romanzo di Ilse Aichinger è un coraggioso atto di resistenza al nulla esistenziale, un gesto di interrogazione del mondo e della lingua volto a restituire alla realtà devastata dalla guerra un senso nuovo, e a indicare, come fa la stella di David con Ellen, una strada da seguire.
Ilse Aichinger
L’autore-Ilse Aichinger
Ilse Aichinger è nata a Vienna il 1° novembre 1921 da un’insegnante austriaca e da un medico di origine ebraica. Trascorre gli anni della Seconda guerra mondiale a Vienna insieme alla madre, mentre la sorella gemella, la pittrice Helga Michie (1921-2018), riesce a emigrare in Inghilterra. Nel 1942 gran parte della famiglia materna viene deportata e uccisa nel campo di sterminio di Malyj Trostenec. Uscito nel 1948, La speranza più grande è il primo e unico romanzo di Ilse Aichinger. Autrice di numerosi racconti, radiodrammi, poesie, aforismi e diari, Aichinger partecipa agli incontri del Gruppo 47, vincendo il premio nel 1952 con il racconto Spiegelgeschichte (Storia allo specchio). Nel 1953 sposa il poeta e drammaturgo tedesco Günter Eich. Insignita di molti e prestigiosi premi, nel 1995 riceve il Großer Österreichischer Staatspreis, premio di Stato austriaco per la letteratura. Muore a Vienna l’11 novembre 2016
Ilse Aichinger-La speranza più grande
Traduzione di Ervino Pocar A cura di Matteo Iacovella
Breve biografia di Roberto Juarroz nasce nella Provincia de Buenos Aires, il 5 ottobre del 1925 e muore il 31 di Marzo del 1995. Laureato in Lettere e Filosofia all’ Università di Buenos Aires, ricevette dalla stessa istituzione una borsa di studio che gli offrì l’opportunità di perfezionare i suoi studi alla Sorbona. Da questa prestigiosa università ottenne successivamente l’incarico di professore titolare. Dal 1958 al 1965 fu direttore della rivista Poesía;. Fu critico del giornale La Gaceta (Tucumán, 1958-63), critico cinematografico della rivista Esto e traduttore di vari libri. Ricevette, tra tante distinzioni, il Gran Premio d’Onore della Fondazione Argentina per la Poesia (1984) e il Premio Esteban Echeverría.
Poesia Verticale
Un giorno troverò una parola
che penetri il tuo corpo e ti fecondi,
che si posi sul tuo seno
come una mano aperta e chiusa al tempo stesso.
Penso che in questo momento
Penso che in questo momento
forse nessuno pensa a me nell’universo,
che solo io mi penso,
e se morissi ora,
nessuno, neppure io, mi penserebbe.
E qui inizia l’abisso,
come quando mi addormento.
Sono il mio sostegno e me lo tolgo.
Contribuisco a rivestire tutto di assenza.
Sarà per questo
che pensare ad un uomo
assomiglia a salvarlo.
L’estremo di un segno
Si deve cadere e non si può scegliere dove
Ma c’è una forma del vento nei capelli,
una pausa del colpo,
un certo angolo del braccio
che possiamo piegare mentre cadiamo
È soltanto l’estremo di un segno,
la punta impreveduta di un pensiero
Ma basta ad evitare il fondo avaro di alcune mani
e la miseria azzurra di un Dio deserto
Si tratta di piegare un po’ di più una virgola
in un testo che non possiamo correggere.
Dimenticare
Talvolta dimentico l’amore,
come dimentico la mia mano
Solo loro possono prendere il mondo
e mettermelo davanti
perché possa toccarlo,
ma non mi ricordano il suo compito.
Cercare una cosa
Cercare una cosa
è sempre incontrarne un’altra.
Così, per trovare qualcosa,
bisogna cercare quello che non è.
Cercare l’uccello per incontrare la rosa,
cercare l’amore per trovare l’esilio,
cercare il nulla per scoprire un uomo,
tornare indietro per andare avanti.
La chiave del cammino,
più che nelle sue biforcazioni,
il suo incerto inizio
o il suo dubbio finale,
è nel caustico umore
del suo doppio senso.
Si arriva sempre,
ma da un’altra parte.
Tutto passa.
Però al contrario.
Roberto Juarroz
Breve biografia di Roberto Juarroz nasce nella Provincia de Buenos Aires, il 5 ottobre del 1925 e muore il 31 di Marzo del 1995. Laureato in Lettere e Filosofia all’ Università di Buenos Aires, ricevette dalla stessa istituzione una borsa di studio che gli offrì l’opportunità di perfezionare i suoi studi alla Sorbona. Da questa prestigiosa università ottenne successivamente l’incarico di professore titolare. Dal 1958 al 1965 fu direttore della rivista Poesía;. Fu critico del giornale La Gaceta (Tucumán, 1958-63), critico cinematografico della rivista Esto e traduttore di vari libri. Ricevette, tra tante distinzioni, il Gran Premio d’Onore della Fondazione Argentina per la Poesia (1984) e il Premio Esteban Echeverría.
Queste “ombre bianche”, cioè “storie brevi, divertimenti e dialoghi; infine occasioni, satire scritte negli ultimi quindici anni” che Flaiano radunò nel 1972 nella certezza che la realtà avesse ormai superato la satira, raccontano di «un “io” che detesta l’inesattezza ed è stato sopraffatto dalla menzogna». Vi ritroviamo dunque il Flaiano più risentito, impassibile e feroce, capace come pochi di mostrarci le allucinazioni di cui siamo vittime: e mentre legge e sorride è come se uno spiffero gelido investisse d’improvviso il lettore, perché nei mostri messi in scena riconosce, non solo la realtà che lo circonda, ma a tratti, e con raccapriccio, un po’ di se stesso.
Ennio Flaiano
Flaiano scrisse all’editor che l’apparente disordine delle parti del libro era voluto, calcolato. Ma così non sembra al lettore.
C’è un fil rouge che è il disincanto, la delusione, l’oppressione della condanna a un’esistenza che, per Flaiano, era diventata una gabbia; quel dolore interno che gli spezzò il cuore insomma.
Ma gli elementi che compongono questo pout-pourri, anche se scritti in un arco di tempo lungo – vent’anni più o meno – hanno in comune il lato lunare del pescarese, la sua famosa malinconia “canina”.
Non mancano guizzo e invenzione linguistica, battute e freddure. Ma prevale lo straniamento: il futuro è impossibile perchè lo sarebbe anche il presente, se non fosse umanizzato dalla parodia. Ed ecco cadere nella pretestuosità la fantasia: si tratti della vita su Marte, della corrispondenza impossibile, della cancellazione degli affetti verso quello che un giorno si immaginava sarebbe stato il mondo futuribile. “Nel duemila (cantava Bruno Martino) noi non mangeremo più le bistecche”, e Flaiano lo scrive e forse lo pensa.
I continui riferimenti erotici appartengono invece al Flaiano cinematografico, mente lucida del Fellini visionario, e gratta gratta anche qui sotto trovi la delusione personale di una vita familiare distrutta.
In sintesi, sembra di leggere il lungo percorso del brillante scrittore che si estingue giorno dopo giorno, non senza lo sberleffo che lo ha reso grande.
Ennio Flaiano
Flaiano scriveva col privilegiato disincanto di chi ormai si sente alieno a ogni passione, affrancato da ogni compromesso in una realtà che è riuscita a superare la satira, vittima di una quotidianità dove consumismo, conformismo e utilitarismo ormai non risparmiano nessuno.
Le sue ombre bianche disegnano sul muro i mostri di una commedia tutta italiana, da cui anche il mondo intellettuale ormai non è più esente, prigioniero di ghetti dorati da Basso Impero, lascivo di interminabili feste da Dolce Vita, dove il profumo delle “rose di Eliogabalo” segna il declino di quella grande bellezza, preda di marziani extraterrestri.
Perché è proprio in quel boom, le cui contraddizioni già denunciava Bianciardi nella sua “Vita agra”, che si intravedono i sinistri squarci di un Mondo Nuovo di barbari costruttori, di iene senza scrupoli a caccia di carogne, dove tutto fa notizia, tendenza, basta premere sull’acceleratore per non essere superati.
Non c’è curaro negli elzeviri di Flaiano, giacché anche il veleno è finito, non c’è speranza, si passa in rassegna ogni vizio endemico per enumerazioni, per mistificazioni, per aforismi. Per sconfinata desolazione, in odor di involontaria chiaroveggenza.
Bertolt Brecht IL PEGGIOR ANALFABETA È L’ANALFABETA POLITICO
Bertolt Brecht:”La nostra civiltà è intrisa di un profondo analfabetismo, eppure tutti sanno leggere e scrivere. Bertolt Brecht, grande poeta e drammaturgo della prima metà del ’900, traccia il profilo del nuovo analfabeta, per l’appunto l’analfabeta politico, il peggiore della categoria”.
L’ANALFABETA POLITICO (BRECHT) “Il peggiore analfabeta è l’analfabeta politico. Egli non sente, non parla, nè s’importa degli avvenimenti politici. Egli non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell’affitto, delle scarpe e delle medicine dipendono dalle decisioni politiche. L’analfabeta politico è così somaro che si vanta e si gonfia il petto dicendo che odia la politica. Non sa l’imbecille che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta, il bambino abbandonato, l’assaltante, il peggiore di tutti i banditi, che è il politico imbroglione, il mafioso corrotto, il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.” (Bertolt Brecht)
Bertolt Brecht
-Bertolt Brecht IL PEGGIOR ANALFABETA È L’ANALFABETA POLITICO – La nostra civiltà è intrisa di un profondo analfabetismo, eppure tutti sanno leggere e scrivere. Bertolt Brecht, grande poeta e drammaturgo della prima metà del ’900, traccia il profilo del nuovo analfabeta, per l’appunto l’analfabeta politico, il peggiore della categoria. Oltre la porta di casa tutto ciò che c’è è affare che non riguarda se stessi. Eppure questa ignoranza produce effetti drammaticamente deleteri perché fa regredire l’uomo da cittadino a suddito il quale non fa altro che apprendere apaticamente e subire le decisioni dall’alto. Brecht ci riporta anche degli atteggiamenti esteriori del nostro analfabeta. “Si vanta e si gonfia il petto dicendo che odia la politica”. La frase è tipica e, ahimè, troppo diffusa nella nostra società. La politica è affare di tutti e non si manifesta solo in senso stretto prendendo parte a questo o quel partito politico. Essere politicizzati significa comprendere di far parte di una società complessa, di una realtà che non può e non deve rimanerci indifferente. “Zoon politikon” diceva Aristotele, l’uomo è un “animale politico” e questa caratteristica è insita nella natura dell’essere umano. Rimanere indifferenti dinanzi alla società in cui si vive, riempendosi la bocca di espressioni come: “la politica è sporca”, “lo stato è corrotto”, “è già tutto deciso”, ci preclude di essere parte attiva, di avere un ruolo. Chi non pone rimedio alla propria ignoranza politica non sa scindere il bene dal male di una comunità. Brecht in maniera probabilmente anche molto forte fa una carrellata di esempi lampanti delle conseguenze del considerare la politica altro da sè, fuori dalla propria sfera di interessi. “Il bambino abbandonato, la prostituta, l’assaltante, il mafioso corrotto” sono solo alcuni esiti. Certamente la politica oggi non ci invita ad un suntuoso banchetto, ma nello stesso tempo non possiamo non partecipare alla mensa perchè i piatti non sono di nostro gradimento.
Bertolt Brecht
Bertolt Brecht -Scrittore e uomo di teatro tedesco (Augusta 1898 – Berlino 1956). Nato da genitori di agiata borghesia, frequentò gli ambienti dell’avanguardia artistica monacense e berlinese abbandonando, senza concluderli, gli studi di medicina e volgendosi all’attività letteraria. Sullo scorcio degli anni Venti venne maturando il decisivo incontro, sia teorico sia politico, con il marxismo. Andato in esilio nel 1933, fu successivamente in Svizzera, Danimarca, Svezia, Finlandia e Stati Uniti, da dove nel 1948 rientrò in Europa, stabilendosi a Berlino Est. Qui, insieme alla moglie Helene Weigel, fondò nel 1949 il Berliner Ensemble, cui dedicò quasi per intero gli ultimi anni. Formatosi nel clima dell’espressionismo patetico e umanitario nonché dei giochi paradossali e provocanti del dadaismo, seppe trovarvi uno spazio poetico autonomo sin dai primi esperimenti originali (i drammi Baal, 1918; Trommeln in der Nacht, 1918-20; Leben Eduards des Zweiten von England, 1924; alcune liriche riunite più tardi nella Hauspostille, 1927), in cui circola una considerazione del mondo e delle cose che è disincantata e nello stesso tempo piena di umana curiosità, una ironia corrosiva che si diverte a demolire i valori più tradizionali della borghesia guglielmina, una ricerca delle ragioni materiali che sollecitano azioni e comportamenti degli individui. Sbocco naturale di tale posizione critica è una prospettiva sociologica, che se da un lato mette a fuoco il tema della massificazione nella società moderna (Im Dickicht der Städte, 1921-24; Mann ist Mann, 1924-26), dall’altro illustra la tesi proudhoniana della proprietà come furto e il processo capitalistico di feticizzazione del denaro (Die Dreigroschenoper, 1928, e Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny, 1927-29, nate dal felice incontro con l’estro musicale di Kurt Weill). Della prima egli darà una replica in prosa con il Dreigroschenroman, 1934). Prende anche corpo, in questo periodo, la teoria del teatro epico che Brecht contrappone allo psicologismo tradizionale: con spezzature di vario genere del crescendo drammatico, ne imbriglia gli effetti emotivi e crea un solido margine alla presenza attiva e cosciente delle facoltà razionali dello spettatore. Lo studio del marxismo, e la congiunta espansione dei suoi interessi ideologici, sono documentati dai cosiddetti “drammi didattici” (Das Badener Lehrstück vom Einverständnis, 1929; Der Jasager e Der Neinsager, 1929-30; Die Massnahme, 1930; Die Ausnahme und die Regel, 1930; Die Horatier und die Kuriatier, 1933-34, con la significativa appendice del Verhör des Lukullus, 1939). Ma attraverso l’asciuttezza della Heilige Johanna der Schlachthöfe (1929-31) e della Mutter (1930-32), e mentre le vicende politiche europee dall’avvento del nazismo allo scoppio della guerra gli ispirano opere di appassionata denuncia (Die Rundköpfe und die Spitzköpfe, 1932-34; Die Gewehre der Frau Carrar, 1937; Furcht und Elend des Dritten Reiches, 1935-38; Der aufhaltsame Aufstieg des Arturo Ui, 1941; Die Gesichte der Simone Machard 1941-43; Schweyk im zweiten Weltkrieg, 1942-43), egli matura quella sintesi di ragioni ideologiche e pienezza espressiva che si riflette non solo nelle conclusive formulazioni teoriche del Kleines Organon fu̇r das Theater (1948), ma anche nella drammatica limpidezza della tarda lirica, nella precisa dialettica dei Flüchtlingsgespräche (1940), e soprattutto nella produzione teatrale degli anni 1937-44 (Leben des Galilei, 1a stesura 1937-39; Mutter Courage und ihre Kinder, 1939; Der gute Mensch von Sezuan, 1938-41; Herr Puntila und sein Knecht Matti, 1940; Der kaukasische Kreidekreis, 1943-44): testi non slegati mai dalle vive occasioni storiche e dalle suggestioni del presente, ma pur capaci di proiettarle (meglio di quanto accada nell’incolore Die Tage der Commune, 1948-49) in una più lunga durata poetica e umana.
Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
-Interno Poesia Editore-A cura e traduzione di Andrea Sirotti-
Travolgente, disorientante, genuinamente «civile», la poesia di Tishani Doshi arriva per la prima volta in Italia con un libro in cui intimo, pubblico e sacro si intrecciano e danno vita ad una voce unica e originale. Una lingua composita e meticcia, assertiva, non di rado bizzarra, colta e popolare al tempo stesso, ricca di espressioni e parole che raramente trovano cittadinanza in poesia. Una formidabile eloquenza e vitalità in cui i versi liberi, cadenzati, pensati per essere letti ad alta voce, sono disposti con estro e consapevolezza sulla pagina.
Tishani Doshi- POESIE- Un dio alla porta-
Tishani Doshi libro Un dio alla porta–Interno Poesia Editore-traduzione di Andrea Sirotti
Cella
Se anche potessi percorrere i corridoi del tuo corpo, non sapresti in quali stanze entrare, quali siano piene di pietra. Dentro di te c’è tantissima acqua – una catena montuosa a nord per tener lontani gli invasori, un deserto nelle colonie batteriche del sud. Qui ci sono edifici cittadini, ingialliti, senza finestre, occupati nella fabbricazione di vaccini e borse. Qui una doppia elica infilata lungo tutta la tua spina come una sequela di stendardi tibetani. Tra questi avamposti sfrecciano i messaggeri, trasportando tubi di pelle animale, piccioni sulla schiena. C’è chi cavalca arieti, c’è chi viaggia con ombre consorti sui carri attraverso i cieli senza fermarsi una volta a guardare le stelle. Una volta arrivati è quasi sempre lo stesso. Devono togliersi i sandali e aspettare all’ingresso della grotta – la sua piega di pelle, una tenda per intrappolare il vento. Vogliono dirti che i grandi fuochi bruciano ancora, le api non rinunceranno alle loro unioni, il raccolto è sia luna che autunno. Tu non sei sola.
Mandala
Chiunque creda che una foglia sia solo una foglia non coglie il punto. C’è una fotografia in soffitta, un gingko che ingiallisce sempre più, mentre il corpo del gingko rimane sempreverde. Si apre la strada attraverso fumerie d’oppio e bordelli. Ti vorrei dire di non preoccuparti. La realtà sa come sistemare se stessa, ma il panico è contagioso. Lo spavento arriva quando fai i jumping jack o organizzi le posate, in un momento di basso dramma cosmologico. Interrotto dalla scoperta di un nodulo. O dal TG delle 9. Di colpo, ogni maniglia di porta è una sentenza di morte. Quanto si devono essere sentiti soli i primi astronomi, congelati in terrazza, cercando di afferrare la luce di lune lontane. Qualche volta è difficile capire se state rallentando o accelerando. Il trampolino del tempo ci confonde. Cuciamo i nostri giorni e le notti, gli uni alle altre, ed è come ricamare una galassia, ma pure le galassie arretrano l’una dall’altra. Una volta, una donna mi ha suonato il corpo come se fosse un’arpa. Ho dormito su una tavola di legno e lei strimpellava le corde sotto finché non son diventata uno squalo balena, che batte gli oceani. Ne sono riaffiorata come da un tunnel gravitazionale, integra, più o meno. Per giorni ho sentito le pinne al posto delle guance. Parliamo di corpi come se non potessimo comprendere l’universo che hanno dentro, anche se stiamo tutti a bocca aperta davanti al ceppo di un albero e abbiamo capito che il tempo si sposta verso l’esterno in un cerchio. E mentre tutto appare infinito, c’è sempre un anello di una cosa permeabile che ci trattiene dentro. A volte usciamo di casa senza maschera ed è un sollievo fare una pausa da ciò che siamo. Stella nana, campana di preghiera, cervo solitario che si nutre nella ginestra – qualcosa ci terrà uno specchio davanti alla faccia, quando ci serve solo che qualcuno ci porti al piano di sopra.
Macroeconomia
Un uomo siede su un altro se ce la fa. Il cuore di un uomo batte più forte. Un uomo va in miniera perché un altro uomo risplenda. Un uomo muore così la famiglia che vive in cima alla collina può mangiare panini sul prato. Il salvadanaio di un uomo ottiene un bailout. Un uomo rovescia il carretto della verdura di un estraneo. Un uomo resta a casa e gioca a tombola finché tutto questo non si placa. Un uomo si avvia come un pellegrino allo Shambala47, con un bimbo sulle spalle. Un uomo chiede chi andrà fuori a comprare il latte e le uova? La casa di un uomo è oltre l’orizzonte. Un uomo decide di andarci a piedi anche se ci vorranno giorni e notti sull’asfalto con poco cibo e acqua. Un uomo viene fermato per vagabondaggio e costretto a fare piegamenti per penitenza. Un uomo riferisce che i pesci saltano fuori dal mare e succhiano avidamente l’aria. Un uomo mangia la tessera del pane. Uno osserva come gli storni hanno preso il volo come un mal di denti, una bassa fame continua, librandosi attraverso i campi. Un uomo carica la pistola. Un uomo ha in carico l’altalena. Uno vuole ridistribuire le prugne. Uno sa che non esistono pranzi gratuiti. Uno alla fine vede il crepaccio. Uno dà la sua coperta all’uomo seduto nel crepaccio. Uno dice che dovrebbe esserci una tassa per aver fatto una cosa del genere e la riprende. La fossa si allarga.
Forse quello che ti manca sono le cose semplici, che non è l’infanzia, ma quell’uccello rapace che afferra l’aria con gli artigli. Se tu sapessi che non costerebbe nulla tenere le ali aperte come un albatro, che potresti andare per diecimila miglia senza un solo battito d’ali, che deve essere così, questo glissando tra impennata e caduta, potresti impacchettare le tue indignazioni e andare verso la cabina telefonica nel cielo. Un dio alla porta seduto su un bufalo gigante ti offre un sorso di vino per far passare l’amarezza. La tua ultima telefonata è verso il futuro, Stiamo bene, dici. Staremo tutti bene.
Un dio alla porta (Interno Poesia Editore, 2022), cura e traduzione di Andrea Sirotti
DESCRIZIONE
Travolgente, disorientante, genuinamente «civile», la poesia di Tishani Doshi arriva per la prima volta in Italia con un libro in cui intimo, pubblico e sacro si intrecciano e danno vita ad una voce unica e originale. Una lingua composita e meticcia, assertiva, non di rado bizzarra, colta e popolare al tempo stesso, ricca di espressioni e parole che raramente trovano cittadinanza in poesia. Una formidabile eloquenza e vitalità in cui i versi liberi, cadenzati, pensati per essere letti ad alta voce, sono disposti con estro e consapevolezza sulla pagina. Quella di Doshi è una militanza a 360° gradi. Nessuna questione di scottante attualità è esclusa, in India come altrove nel mondo. Le poesie sgorgano dalla cronaca e dalla storia, dalle ultime notizie come dai vecchi rancori e contrapposizioni, lo spunto può essere un articolo di giornale, un video su YouTube, una foto, un dipinto, un libro. Poesie sempre pronte a denunciare le disuguaglianze, il mancato rispetto dei diritti civili. Tra i temi ricorrenti: la condizione della donna, le diseguaglianze economiche e sociali, le trasformazioni esistenziali in tempo di Covid, le relazioni sentimentali, la malattia, le difficoltà quotidiane del singolo individuo; il tutto mediato dalla contrapposizione di due visioni del mondo, tra laica indifferenza e fanatismo religioso, tra spiritualità e materialismo.
Autore: Tishani Doshi
Curatela e traduzione: Andrea Sirotti
Collana: Interno Books
ISBN: 978-88-85583-71-9 Data di pubblicazione: 1 giugno 2022
Pagine: 236
Formato: 15×21 cm
Cell
Even if you could walk through the corridors
of your body, you would not know which rooms
to enter, which were full of stone. Inside you
there is so much water —a mountain range
in the north to stave off invaders, a desert
in the bacterial colonies of the south. Here
are city buildings, yellowed, without windows,
busy with the making of vaccines and handbags.
Here a double helix strung up the length
of your spine like a flurry of Tibetan prayer flags.
Between these outposts the messengers dart,
carrying tubes of animal hide, pigeons on their backs.
Some ride rams, some travel with consort shadows
in chariots across the skies without once stopping
to look at stars. When they arrive it is almost always
the same. They must remove their sandals and wait
by the mouth of the cave —its fold of skin,
a curtain to trap the wind. They want to tell
you the great fires are still burning, the bees
won’t give up their unions, the harvest is both
moon and autumn. You are not alone.
Mandala
Anyone who believes a leaf is just a leaf is missing
the point. In the attic, there’s a picture of gingko
growing steadily yellow, while the body
of gingko remains evergreen. He works his way
through opium dens and bordellos. I’d like to tell you
not to worry. Reality has a way of sorting itself out,
but panic is infectious. The scare arrives when you’re doing
jumping jacks or organising the cutlery, some moment of low
cosmological drama. Interrupted by the discovery of a lump.
Or the 9 o’clock news. Suddenly, every door handle is a death
sentence. How lonely it must have been for the first astronomers,
freezing on their terraces, trying to catch the light of faraway moons.
Sometimes it’s hard to know whether you’re slowing down
or speeding up. Time’s wobbly trampoline confuses us.
We stitch our days and nights, one to the other,
and it’s like embroidering a galaxy, but even galaxies
recede from one another. Once, a woman played my body
as though it were a harp. I slept on a wooden plank
and she strummed the strings below until I became
a whale shark, pounding through the oceans. I emerged
as if out of a wormhole, more or less intact. For days I felt fins
where my cheeks should have been. We talk of bodies
as though we could not understand the universe within them,
even though we’ve all gaped at the stump of a tree
and understood that time moves outwards in a circle.
And while everything seems endless, there’s always a ring
of something permeable holding us in. Sometimes we leave
the house without our masks and it’s a relief to take a break
from who we are. Dwarf star, prayer bell, lone stag
feeding in the gorse—something will hold a mirror
to our faces, when all we need is to be led upstairs.
Macroeconomics
One man sits on another if he can.
One man’s heart beats stronger. One man goes
into the mines for another man to sparkle.
One man dies so the family living at the top of the hill
can eat sandwiches on the lawn. One man’s piggy bank
gets a bailout. One man tips over a stranger’s vegetable cart.
One man stays home and plays tombola till all this blows over.
One man hits the road like a pilgrim to Shambala, child
on shoulders. One man asks who’s going to go out and buy
the milk and eggs? One man’s home is across the horizon.
One man decides to walk there even though it will take days
and nights on tarmac with little food and water.
One man is stopped for loitering and made to do squats
for penance. One man reports fish are leaping
out of the sea and sucking greedily from the air.
One man eats his ration card. One man notices how starlings
have taken to the skies like a toothache,
a low continuous hunger, searing across the fields.
One man loads his gun. One man’s in charge of the seesaw.
One man wants to redistribute the plums. One man knows
there’s no such thing as a free lunch. One man finally sees
the crevasse. One man gives his blanket to the man
sitting in the crevasse. One man says there should be a tax
for doing such a thing and takes it back. The ditch widens.
Maybe what you miss is what’s simple,
which isn’t childhood, but that bird
of prey holding the air with its claws.
If you knew it would cost nothing
to keep your wings open like an albatross,
that you could go ten thousand miles without
a single flap, that it has to be this way,
this glissando between soaring and falling,
you could pack up your indignations
and move towards the phone booth
in the sky. A god at the door sitting
on a giant buffalo offers you a sip
of wine to make the bitterness go away.
Your final phone call is to the future,
We’re fine, you say. We’re all going to be just fine.
Autore: Tishani Doshi
Curatela e traduzione: Andrea Sirotti
Collana: Interno Books
ISBN: 978-88-85583-71-9 Data di pubblicazione: 1 giugno 2022
Pagine: 236
Formato: 15×21 cm
CHIETI – Il 2025 vedrà il lancio del prestigioso progetto “Casanova 300”, ideato per celebrare il tricentenario della nascita di Giacomo Casanova, una delle figure più affascinanti e poliedriche del XVIII secolo.
Il Direttore Scientifico del progetto culturale é il Prof. Pierfranco Bruni, curatrice delle pubblicazioni Franca De Santis, presidente di “Terra dei Padri”. Invece, il logo ufficiale è stato ideato da Anna Montella.
Il progetto “Casanova 300” mira a esplorare e valorizzare l’eredità culturale di Giacomo Casanova attraverso una serie di iniziative che spaziano dalla ricerca accademica alla divulgazione culturale, passando per eventi artistici e mostre. Saranno organizzati convegni, tavole rotonde, esposizioni e pubblicazioni dedicate alla vita e alle opere di Casanova, con l’obiettivo di offrire una visione innovativa e approfondita del celebre avventuriero, scrittore e diplomatico.
Un punto di forza del progetto sarà l’assegnazione del prestigioso Premio Terra dei Padri, edizione 2025, che si inserisce all’interno delle celebrazioni di “Casanova 300”. Il premio sarà conferito a personalità, istituzioni e studenti che si sono distinte nel campo della cultura, della letteratura e delle arti, in linea con lo spirito e l’eredità di Casanova.
Il progetto “Casanova 300” si distingue per il coinvolgimento di esperti di altissimo livello. Sotto la direzione scientifica del Prof. Pierfranco Bruni, rinomato studioso di letteratura e storia, la curatela di Franca De Santis, e il design innovativo di Anna Montella, l’iniziativa promette di offrire un’esperienza culturale e intellettuale di un certo spessore.
Il progetto è supportato dalla Casa Editrice Solfanelli e dal Gruppo Tabula Fati, che garantiranno la pubblicazione e la diffusione delle opere legate al progetto
Per ulteriori informazioni e aggiornamenti sul progetto “Casanova 300” e sul Premio Terra dei Padri edizione 2025, si prega di contattare l’indirizzo e-mail casanova300@blu.it.
‘LEE MILLER’: in arrivo il film sulla grande fotografa americana-
Articolo di Elisabetta Colla. Rivista NOI DONNE-
Nelle sale da inizio 2025, distribuita da Vertice 360, la pellicola sulla straordinaria figura di Lee Miller è interpretata e prodotta da Kate Winslet
– Quella della fotografa, fotoreporter e modella statunitense Elizabeth, detta ‘Lee’, Miller è stata certamente una vita fuori dell’ordinario.
Lee era la figlia prediletta del padre Theodore, che si dilettava con la fotografia e che insegnò ai propri figli numerose tecniche fotografiche quando erano ancora molto piccoli: in particolare Lee, oltre ad essere sua allieva, fin dall’infanzia era stata anche la sua modella preferita e veniva spesso ritratta nelle sue fotografie stereoscopiche.
Un’infanzia anticonvenzionale e in parte drammatica (subì una violenza sessuale a soli sette anni, forse da un parente o da un marinaio), poi gli studi all’ École nationale supérieure des beaux-arts e, nel 1926, a 19 anni, la frequenza all’Art Students League di New York per studiare scenografia.
Poi la carriera da modella a seguito dell’incontro casuale con Condé Nast, editore di Vanity Fair e di Vogue, tra new York e Parigi, città dove diventò una fotografa affermata di arte e moda e di arte. La sua relazione con Man Ray e successivamente il matrimonio con Roland Penrose le diedero accesso ai circoli artistici e letterari più interessanti del ventesimo secolo.
Proprio per raccontare la storia di questa donna e artista unica, sfuggente a ogni definizione, uscirà a gennaio, distribuito da Vertice 360, diretto dalla direttrice della fotografia e regista statunitense Ellen Kuras (collaboratrice abituale di Spike Lee e Michel Gondry) il film “Lee Miller”, ispirato all’opera ‘Le molte vite di Lee Miller’ di Antony Penrose, figlio di Miller e del surrealista Roland Penrose.
Accanto a Kate Winslet, nei panni della protagonista (che aveva già lavorato in “Se mi lasci ti cancello” con la Kuras, quest’ultima in veste di direttrice della fotografia) e in veste anche di produttrice, sono presenti nel cast Alexander Skarsgård, Marion Cotillard, Andrea Riseborough, Josh O’Connor, Noémie Merlant, Andy Samberg.
Alla fine degli anni ’30, Elizabeth “Lee” Miller lascia la sua cerchia di amici e la sua vita artistica in Francia e va a Londra dopo essersi innamorata del mercante d’arte Roland Penrose. I due iniziano una relazione appassionata, proprio mentre in Europa scoppia la guerra.
Già fotografa riconosciuta, Lee ottiene un lavoro per British Vogue, ma rimane scioccata dalle restrizioni imposte alle fotografe donne.
Mentre il regime di Hitler conquista l’Europa, Lee è sempre più frustrata dal fatto che il suo lavoro sia limitato da regole patriarcali. Determinata a essere dove c’è l’azione, è in prima linea nella Seconda Guerra Mondiale.
Costretta a documentare la verità, volge il suo obiettivo verso la sofferenza e inizia lentamente a rivelare la spaventosa perdita di vite umane dovuta ai diabolici crimini di Hitler contro le vittime innocenti del suo regime. Lee Miller svolse questo pericoloso lavoro per il bene delle lettrici della rivista Vogue, alle quali la realtà della guerra era in gran parte tenuta nascosta, e nel processo produsse una serie indelebile di immagini che ancora oggi continuano a plasmare il nostro modo di vedere e documentando eventi quali il bombardamento strategico della battaglia d’Inghilterra, la Battaglia di Normandia, la liberazione di Parigi, i campi di concentramento di Buchenwald e di Dachau.
Celeberrimo, fra gli altri scatti, il suo autoritratto nella vasca da bagno di Hitler. Donna indipendente, determinata e libera, amica di Picasso e Man Ray, fu l’unica fotografa donna a documentare la liberazione dei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald denunciandone con forza e lucidità la tragedia e gli orrori.
Nel corso di una carriera di oltre tre decenni entrò in contatto con personalità di ogni tipo, molte delle quali divennero soggetti dei suoi ritratti fotografici, come gli studi su Pablo Picasso, Max Ernst, Fred Astaire, Colette, Maurice Chevalier e Marlene Dietrich.
Nel panorama editoriale italiano ed europeo ‘NOIDONNE’ rappresenta un raro esempio di continuità editoriale che dal 1944 racconta – con espressioni professionali di alto livello e con attenzione al contesto culturale e politico nazionale ed internazionale – le attività, le conquiste, i pensieri e i movimenti delle donne. Lo sguardo di genere sulla realtà, attraverso le sue molteplici sfaccettature, è la scelta di campo che ha sempre scandito un percorso giornalistico scritto da donne.
LE ORIGINI E LE EDIZIONI CLANDESTINE.
Le prime edizioni di ‘Noi Donne’ risalgono al 1937 a Parigi – sotto la direzione di Marina Sereni – e sono espressione dell’associazione (facente capo all’Unione popolare) che raccoglieva le donne antifasciste emigrate in Francia. Nel 1944, nel pieno della Resistenza e della lotta contro il nazifascismo, le pubblicazioni riprendono in Italia con edizioni regionali prodotte e diffuse clandestinamente, in condizioni difficili e di altissimo rischio personale. Nella Sezione Archivio storico queste edizioni sono oggi consultabili.
1944: INIZIA IL CAMMINO.
A partire dal luglio 1944 ‘Noi Donne’ esce dalla clandestinità ed è stampato a Napoli sotto la direzione di Laura Bracco, con l’infaticabile apporto di Nadia Spano e la collaborazione di Rosetta Longo. Già al terzo numero redazione e amministrazione sono trasferite a Roma e a Laura Bracco si affianca Vittoria Giunti, insegnante che usciva dalla lotta antifascista clandestina. “Gli intendimenti con cui il giornale usciva – scrive Marisa Rodano in un reprint del 1977 – erano chiari: essere un giornale per tutte le donne, costituire un legame per tutte le energie femminili vogliose di battersi per sconfiggere il fascismo e partecipare direttamente alla costruzione di un’Italia diversa, far conoscere la lotta delle donne nell’Italia occupata, sollecitare nell’Italia liberata lo sviluppo di un movimento di donne”. La formula scelta è quella di un foglio politico che però non rinuncia a parlare di temi che “tradizionalmente le donne sono abituate a trovare nei periodici ad esse diretti: narrativa, moda, cucina…”. L’attenzione è dedicata alle lotte alle contadine per abolire la consuetudine feudale delle regalie dovute ai padroni, alle azioni di rivendicazione per il cibo, all’impegno fattivo delle donne per riaprire le scuole in una Roma distrutta dai bombardamenti, ma insieme alla ripresa della vita democratica e associativa delle donne. Inizialmente mensile, negli anni successivi la periodicità diventerà quindicinale e poi settimanale sotto la lunga direzione di Giuliana Dal Pozzo e di Miriam Mafai. Tornerà ad essere mensile nel 1981, mantenendo tale cadenza fino al dicembre 2016 quando, sospese le edizioni in versione cartacea, si potenziano le varie declinazioni diffuse attraverso la rete virtuale: dal sito al settimanale on line fino ai social. Fino agli ani Novanta ‘Noi Donne’ è stata la rivista dell’Udi (Unione Donne in Italia), un rapporto dinamico che dal 1944 nel tempo si è modificato arrivando alla completa autonomia.
TUTTE LE DIRETTORE.
Elenchiamo, in progressione cronologica, le giornaliste che hanno diretto ‘NOIDONNE’ dal 1944: Rina Piccolato, Nadia Spano, Luara Bracco, Vittoria Giunti, Dina Rinaldi, Maria Antonietta Macciocchi, Milla Pastorino, Benedetta Galasi-Beria, Miriam Mafai, Giuliana Dal Pozzo, Vania Chiurlotto, Anna Maria Guadagni, Mariella Gramaglia, Franca Fossati, Bia Sarasini, Tiziana Bartolini.
‘NOIDONNE’ NEL TERZO MILLENNIO.
Il giornale arriva alle soglie del 2000 nel pieno di una pesante crisi finanziaria che è superata – dopo una profonda riorganizzazione – grazie ad un riassestamento interno e ad un riposizionamento nel mercato editoriale. Tale fase è stata espressione della generosità e professionalità che tante amiche hanno messo a disposizione di una rinnovata rete di contatti e contaminazioni avviata sotto la direzione di Tiziana Bartolini.<
NOIDONNE ONLINE
– www.noidonne.org. Il sito e il settimanale on line (diretto da Tiziana Bartolini) sono la conferma dell’impegno al servizio di un progetto editoriale di genere che ha mostrato di saper essere dinamico, aperto alle innovazioni anche tecnologiche e sensibile alle potenzialità della rete e dei social media (Facebook https://www.facebook.com/Noidonne-38907601699/ – twitter @noidonnemag).
ARCHIVIO STORICO DIGITALIZZATO.
L’Archivio storico di ‘NOIDONNE’ è un patrimonio nazionale culturale e giornalistico. La possibilità di consultarlo è preziosa occasione – soprattutto per le giovani generazioni – di conoscere la storia contemporanea e alcuni particolari aspetti quali le lotte delle donne, che sono parte importante dell’evoluzione della nostra democrazia. Rendere fruibile on line tale Archivio è un grande obiettivo per il quale siamo impegnate, anche allo scopo di tutelare le edizioni cartacee originali che cominciano a deteriorarsi.
Sono già consultabili on line le annate più recenti (2006 / 2016). Nel 2017 è stata avviata la digitalizzazione dell’Archivio storico, a cominciare dalle edizioni clandestine del 1944/45.
Con nuovi progetti e campagne mirate continueremo a raccogliere fondi per completare la digitalizzazione dell’Archivio.
Roma- Museo dell’Ara Pacis-Franco Fontana – Retrospective-
Roma Capitale -Museo dell’ dell’Ara Pacis-Franco Fontana – Retrospective – Prima grande mostra retrospettiva dedicata a Franco Fontana, un progetto espositivo che ripercorre per la prima volta l’intera carriera artistica del fotografo modenese, con opere selezionate dal suo vasto archivio.
Un viaggio straordinario attraverso l’occhio unico di uno dei più grandi fotografi italiani del XX secolo, che ha rivoluzionato il linguaggio della fotografia a colori, nella mostra Franco Fontana. Retrospective, curata da Jean-Luc Monterosso e ospitata al Museo dell’Ara Pacis.
Curatore di fama mondiale, storico fondatore e direttore della Maison Européenne de la Photographie di Parigi, Monterosso guida la visitatrice e il visitatore alla scoperta dell’universo creativo del fotografo modenese, svelandone aspetti inediti, ripercorrendone l’evoluzione artistica e la sua capacità di trasformare la realtà in pura poesia visiva. Attraverso una selezione di oltre 200 fotografie e muovendosi in spazi immersivi, tra particolari installazioni e video, si scoprono infinite possibilità ottiche: in un’alternanza di inquadrature ardite, profondità di campo ridotta e inquadrature dall’alto si possono ammirare immagini astratte e minimaliste caratterizzate da una giustapposizione di colori brillanti e da forti contrasti, elementi che hanno reso Fontana un precursore in un mondo fotografico bianco e nero.
E seppure temi come gli skyline, i paesaggi e l’architettura urbana, continuino a ricorrere rendendo vano qualsiasi tentativo di cronologia, Franco Fontana rinnova costantemente il suo lavoro. Dalla diapositiva alla polaroid al digitale, seguirà gli sviluppi tecnici della fotografia continuando sempre a sperimentare.
Il percorso espositivo si apre con una veduta grandangolare di Praga, usata come copertina della rivista Time Life e del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine e con un ritratto di Franco Fontana realizzato da Giovanni Gastel.
Dopo una serie di scatti di paesaggi naturali ed urbani caratterizzati da una forte geometria e dall’essenzialità degli elementi, introdotti da immagini che esaltano il colore bianco come Urbano 1960, il si giunge progressivamente alle opere rappresentative della fotografia a colori negli anni 1960-1970.
A segnare la carriera del fotografo e la sua produzione artistica è la pubblicazione nel 1978 del volume Skyline. Claude Nori relativamente al libro afferma “con il suo radicalismo e il suo approccio puramente fotografico, ha contribuito ad aprire la strada alla nuova fotografia italiana”.
In Skyline contrasti cromatici e colori vividi definiscono un nuovo approccio al paesaggio come il visitatore ha modo di scoprire nel corso della visita. Nella stessa sezione uno spazio è dedicato ad accogliere alcuni vintage ritraenti soggetti vari come paesaggi urbani, frammenti, asfalti, automobili, e un nudo, NUDO 1969.
La mostra prosegue con una serie di scatti di paesaggi naturali catturati nelle varie sfumature delle quattro stagioni: mare, neve e pianure verdeggianti che culminano nella celebre immagine Puglia 1978 precisamente divisa in due blocchi di colori vividi, azzurro intenso del cielo e giallo brillante del grano. Fontana, relativamente ai paesaggi afferma: “Quando fotografo un paesaggio è il paesaggio che entra dentro di me, si fa l’autoritratto, così anch’io diventi un ‘paesaggio’, per esprimermi al meglio.”
Il percorso di visita continua con fotografie che rappresentano il sapiente studio sull’ombra del maestro. La sezione si apre con un vintage dalla serie Contact (pubblicazione di Ralph Gibson):
nel 1979 Ralph Gibson invita i più influenti fotografi dell’epoca a contribuire al libro Contact Theory con un intero rullino in bianco e nero. Fontana accetta la sfida e sceglie come soggetto il Palazzo della Civiltà Italiana dell’EUR creando opere memorabili caratterizzate da un’atmosfera
metafisica. Queste opere introducono una serie di rari scatti realizzati in Francia e in Asia che catturano persone in contesti urbani come Parigi 1994 e Tokio 1983.
Nella stessa area ci si immerge letteralmente in piscina, scoprendo l’arte della fotografia negli spazi acquatici. Per Franco la piscina è soprattutto un’occasione per esaltare la bellezza delle forme femminili, in un vibrante elogio delle curve. Questa sensualità discreta troverà nelle Polaroid la sua massima espressione.
In mostra anche un’incursione nella vita privata del maestro. In esposizione, infatti, una riproduzione dello studio di Fontana, caratterizzato da un insieme confuso di materiali, in netto contrasto con il minimalismo e l’essenzialità delle sue fotografie ed arricchito da una videointervista del fotografo. Fontana segue con interesse gli sviluppi tecnici della fotografia, sperimenta e acquisisce gli strumenti forniti dalla tecnologia per creare innovativi collage. Partendo dai paesaggi urbani e dalle strade, aggiunge personaggi e ombre, talvolta modificandone i colori e accentuandone i contrasti come in Houston 1986 dalla serie People. Il pubblico, a questo punto del percorso espositivo, ha la possibilità di scoprire le opere che enfatizzano lo stile iperrealista profondamente personale del maestro, in contrasto con le tendenze della Street Photography, per poi ammirare una serie di scatti dalla serie Luce Americana e Frammenti.
Un’area del percorso è interamente dedicata all’esposizione di rare polaroid e polaroid transfer utilizzate quali “appunti visivi” durante i vari reportage. In questo caso, l’erotismo raggiunge la massima espressione; le immagini risultano morbide e meno nitide come in Nudo 1977. Esposto anche un interessante video dedicato al tema del “colore”, posizionato tra due scatti della serie Frammenti, Havana 2017. A seguire sono presentati alcuni scatti di paesaggi urbani, che comprendono le opere realizzate a Los Angeles dal 1979. “Il paesaggio urbano completa i miei paesaggi naturali. I muri dipinti delle case somigliano a dei campi arati o a dei campi di grano giallo”, afferma Fontana.
Al centro della sezione successiva si alternano diverse opere dedicate all’autostrada, all’asfalto, alle automobili. Durante i suoi viaggi ama fotografare in movimento e, utilizzando un lungo tempo di esposizione, sintetizza e cattura in un unico scatto le linee delle strade come in Autostrada 1975. Dagli anni 70 fino ai giorni nostri, catturato da grafismi e da segni colorati che emergono dalla superficie nera, fotografa l’asfalto e realizza opere esemplari come Asfalto 1990. In quest’area, il pubblico ha la sensazione di camminare sull’asfalto fotografato grazie a particolari light box con cinque stampe retroilluminate. Inoltre, è possibile ammirare splendidi scatti di automobili che tanto affascinano il maestro per la loro forma e design e una meravigliosa video-installazione di cinque fotografie in sequenza, Modena 1978.
Il pubblico ha l’opportunità di comprendere ulteriormente l’importanza della strada per Fontana attraverso un video-book dedicato alle tre strade per eccellenza: la Route 66, la strada verso Compostela e la Via Appia. Quest’ultima chiude la trilogia; è la strada che non solo permette al fotografo di riscoprire i paesaggi a lui familiari che hanno caratterizzato la sua produzione, ma anche rafforza il legame del maestro con la città di Roma e con il patrimonio della nostra civiltà.
A seguire, viene presentato un autoritratto del fotografo arricchito dalla sua biografia e, proseguendo nella visita, è possibile ammirare un interessante selezione di nudi femminili, le cui curve sono accentuate da veli e panneggi, accostati a fotografie delle statue del Cimitero di Staglieno, dalla serie Vita Nova.
L’ultima sezione della mostra, che si sviluppa lungo l’esteso corridoio del museo, accoglie fotografie dedicate alla moda, alle numerose pubblicità e realizzate in occasione di commissioni private. Le geometriche immagini dalla serie Artemide introducono un video-book del catalogo dei Dogi della Moda; e ancora, uno scatto, Ceramica 2010, introduce ad un ulteriore video-book del volume Terra a Fuoco. Dopo l’intensa esperienza di visita, il pubblico ha anche la possibilità di scoprire aspetti privati della vita del fotografo grazie all’esposizione in vetrine di fotografie personali, vinili, altri oggetti per finire con le coloratissime immagini dalla campagna pubblicitaria più recente di Sportmax del 2020.
Con l’obiettivo di rendere i musei luoghi aperti a tutti e per tutti e nell’intento di favorire la partecipazione del più ampio numero di persone alla vita culturale della città, la Sovrintendenza Capitolina prosegue nel suo impegno di dotare anche le mostre temporanee di servizi che rispondano alle diverse esigenze della cittadinanza, attraverso un potenziamento continuo dei percorsi di accessibilità. La mostra FRANCO FONTANA. Retrospective è progettata pertanto per essere accessibile.
Con la collaborazione di Fabio Fornasari, direttore scientifico presso l’Istituto dei ciechi Cavazza di Bologna, ha preso vita il progetto BIBLIOTECA ASTRATTA, un dispositivo di accessibilità da sfogliare, smontare e rimontare per accompagnare tutti, vedenti e non vedenti, alla scoperta dell’opera del maestro modenese. Composta da sei unità, posizionate nel percorso espositivo, la Biblioteca Astratta è un luogo simbolico, dove ogni scatto di Franco Fontana diventa un silent book tattile. Grazie al rinnovato impegno di Rai Pubblica Utilità, del Dipartimento Politiche sociali e Salute – Direzione Servizi alla Persona di Roma Capitale e della Cooperativa Segni d’Integrazione Lazio, sono inoltre disponibili audiodescrizioni e video LIS per accompagnare i l pubblico con disabilità visiva e uditiva nel percorso mostra. I contenuti delle audiodescrizioni e dei video LIS sono disponibili sulla Pagina Accessibilità del museo e sui canali di comunicazione RAI.
Dal 13 Dicembre 2024 al 31 Agosto 2025Luogo: Museo dell’Ara Pacis
Indirizzo: Lungotevere in Augusta
Orari: tutti i giorni 9.30-19.30 24 e 31 dicembre 9.30-14.00 Giorni di chiusura 1 maggio e 25 dicembre
Enti promotori:
Roma Capitale
Assessorato alla Cultura
Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
In collaborazione con Franco Fontana Studio e Civita Mostre e Musei
Ing.Andrea Natile-La fuga di uno dei ragazzi di via Panisperna-
Roma-La fuga di uno dei ragazzi di via Panisperna-Ottima famiglia, bell’aspetto, grande giocatore di tennis, avrebbe potuto diventare un professionista, appassionato di pesca subacquea e di sci nautico. Amava le automobili veloci, e in quela fuga dovette abbandonare l’ultima, che lasciò nell’officina del suo meccanico di fiducia per non lasciare tracce dietro di se; uno dei suoi rimpianti. Il rimpianto più grande fu sicuramente lasciare Roma, quella città che aveva condiviso con quei ragazzi.
Non aveva ancora quarant’anni, quando scelse di andare a vivere in quel posto freddo, molto diverso da quelli dove era nato, la Versilia, e poi Roma, dove aveva deciso di andare per studiare Fisica.
Perchè? Lo raccontò in un’intervista a Miriam Mafai, quando ormai aveva ottant’anni. Alla domanda della sua amica giornalista: “Bruno, ti sei pentito di quella scelta fatta quarant’anni fa?” Bruno rispose: “Ci ho pensato molto, non puoi immaginare quanto. Ma non riesco a dare una risposta”.
Bruno Pontecorvo era nato a Marina di Pisa, nell’agosto del 1913, in una famiglia bene di origini ebraiche. I suoi primi studi sono di ingegneria all’università a Pisa, ma poi, superato il biennio, aveva pensato che non faceva per lui: voleva fare il ricercatore. Nel 1931, si trasferisce a Roma, dove insegnava il grande Enrico Fermi.
Fermi e Rasetti, gli fanno il colloquio di ammissione al terzo anno della Facoltà di Fisica. Fu così che entrò a far parte di quel gruppo “i ragazzi di via Panisperna”; aveva solo diciotto anni e per questo lo soprannominarono “cucciolo”. Nel 1934 c’era, quando scoprirono gli “elettroni lenti”: quel cucciolo era entrato nella storia della Fisica che conta.
Nel 1936, era a Parigi con una borsa di studio per studiare con Frédéric Joliot e Irène Curie, che l’anno dopo vinsero il Nobel per la scoperta della radioattività artificiale.
A Parigi Bruno incontrò Marianne, una giovane svedese che divenne poco tempo sua moglie e che gli diede il suo primo figlio Gil.
Era scoppiata la guerra in Spagna e cominciò a interessarsi di politica. Gran parte dei suoi colleghi erano di sinistra, anche Irène e Frédéric Joliot; lui attivo comunista, era membro del governo di Léon Blum.
Nella capitale francese era presente anche suo cugino Emilio Sereni, dirigente del PCI, esule, in Francia, perchè perseguitato dai fascisti. Grazie a lui Bruno stabilì rapporti d’amicizia con gli intellettuali emigrati a Parigi per la politica: si iscrisse al partito.
Dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali del 1938 lui, ebreo e comunista, era dovuto restare in Francia. Poi le cose cominciarono a precipitare: nel settembre del ‘39 scoppiò la guerra e nel giugno del ‘40 ci fu l’invasione di Parigi da parte dei tedeschi.
Per gente come lui non c’era più posto nel Vecchio Continente. Con Marianne, decise di lasciare la Francia; scapparono, prima in bicicletta per la Spagna, poi in nave per gli Stati Uniti.
Nell’agosto del 1940, dopo una visita al suo maestro Fermi che era alla Columbia di New York, trovò lavoro in una compagnia petrolifera. Aveva messo a punto una tecnica di introspezione di nuovi pozzi petroliferi, con il tracciamento dei neutroni lenti.
Poco dopo, anche gli Stati uniti entrarono in guerra; era partito il Progetto Manhattan per la costruzione dell’atomica, ma lui non fu coinvolto, probabilmente a causa delle sue idee comuniste.
Nel ‘43 si trasferisce in Canada; lavora a ricerche teoriche nel campo dei raggi cosmici, delle particelle elementari ad alta energia, e aspetta la fine della guerra.
Nel ’47, riprendendo studi condotti anni prima dall’amico Ettore, portò avanti importanti ricerche sulla fisica di quella particella strana, il neutrino di Majorana. Diventò uno dei più grandi esperti del settore.
Nel 1948, su invito di John Cockcroft (Nobel per la Fisica nel ‘51) si trasferì nei pressi di Oxford in Inghilterra e lì prese anche la cittadinanza. Lavorava nell’Atomic Energy Research Establishment, il principale centro di ricerche nucleari voluto dal governo inglese.
Partecipò solo marginalmente al progetto per la costruzione dell’atomica inglese, i suoi studi principali, erano sempre sui raggi cosmici.
In occasione delle sue trasferte scientifiche, aveva conosciuto Klaus Fuchs, il fisico che poco dopo fu condannato per spionaggio in favore dell’Unione Sovietica. Si era nel periodo di “caccia alle streghe” ed è lì che forse maturò la sua scelta di campo.
Nell’estate del 1950 lasciò la sua casa vicino Oxford, senza avvertire nessuno; con la sua famiglia raggiunse l’Italia. Dopo un breve periodo Roma, abbandonò la amata macchina. L’intera famiglia prese un aereo con destinazione Stoccolma e da lì si imbarcò per Helsinki; destinazione Leningrado.
Nascosti nel bagagliaio di due auto i Pontecorvo attraversarono la cortina di ferro. Entrati in Unione Sovietica e giunti a Mosca, furono sistemati in un comodo appartamento in via Gorkij. I sovietici erano gentili, ma inflessibili sulla segretezza: per alcuni mesi furono costretti al più completo isolamento.
Trasferiti a Dubna, a un centinaio di chilometri dalla capitale, dove c’era l’aristocrazia della Fisica sovietica, gli diedero la direzione di una divisione sperimentale di Fisica Nucleare, libero di condurre le sue ricerche.
Nel 1959, per primo dimostrò per via teorica l’esistenza di diversi tipi di neutrini come già aveva ipotizzato nel ‘47. Stava nascendo la fisica dell’alta energia, anche in Russia, ma, con l’acceleratore di particelle di Dubna, troppo poco potente, non riuscì a provare le sue ipotesi per via sperimentale.
Soltanto agli inizi degli anni Sessanta, gli americani Leon Ledermann, Melvin Schwartz e Jack Steinberger confermarono la scoperta del fisico italiano. Questa scoperta valse ai tre fisici il premio Nobel nel 1988. L’esclusione dal premio di colui che per primo aveva l’aveva prevista suscitò lo scalpore di buona parte della comunità scientifica internazionale.
Inammissibile darlo ad un cittadino italiano, scappato dall’Inghilterra, per di più diventato cittadino sovietico dal 1952, che aveva ricevuto il Premio Stalin e faceva parte dell’Accademia sovietica delle scienze.
Per molti anni non poté lasciare l’URSS e riuscì a ritornare la prima volta in Italia solo nel 1978 in occasione del settantesimo compleanno di Edoardo Amaldi. In quello stesso anno comparvero i primi sintomi del morbo di Parkinson che progressivamente, senza mai togliergli lucidità, limiterà i suoi movimenti.
Poi nel ‘93 a Dubna, a causa di quel maledetto male, cadde bruscamente dalla bicicletta e come conseguenza di una brutta fattura morì 24 settembre 1993
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.