Biblioteca DEA SABINA-Associazione CORNELIA ANTIQUA
Fotoreportage di Franco Leggeri-
ROMA-Castel di Guido-Scavi Archeologici nella Villa Romana delle Colonnacce
CASTEL DI GUIDO-Roma Municipio 13- Villa Romana delle Colonnacce .
I Volontari del Gruppo Archeologico Romano (GAR) nel Fotoreportage di Franco Leggeri nella Villa Romana delle Colonnacce.I Volontari capitanati dall’Arch. VALERIA GASPARI hanno ripreso, a pieno ritmo, gli scavi nella Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido. La Villa Romana è del II-III secolo d.C. è sita su di un pianoro all’interno dell’Azienda agricola comunale. La Villa ha strutture di epoca repubblicana che sono le più antiche e di epoca imperiale. La villa ha una zona produttiva di e la parte residenziale di epoca imperiale. La parte produttiva comprende l’aia o cortile coperto: il grande ambiente conserva le basi di tre sostegni per il tetto, mentre è stato asportato il pavimento, al centro si trova un pozzo circolare. Vi è una cisterna per la conservazione dell’acqua meteorica, all’interno della cisterna si trovano le basi dei pilastri che sorreggevano il soffitto a volta. A giudicare dallo spessore dei muri e dei contrafforti si può desumere che avesse un altezza di circa 5 metri. Nell’ambiente di lavoro si trovano un pozzo e la relativa condotta sotterranea. Torcular : sono due ambienti che ospitavano un impianto per la lavorazione del vino e dell’olio. Vi era un torchio collegato alle vasche di raccolta, mentre in un ambiente più basso vi era l’alloggiamento dei contrappesi del torchio medesimo ed una cucina con contenitori in terracotta di grandi dimensioni (dolii). La parte residenziale ha un atrio, cuore più antico dell’abitazione romana, in cui si conservava l’altare dei Lari, divinità protettrici della casa. Al centro vi è una vasca ( compluvio) in marmo in cui si raccoglieva l’acqua piovana che cadeva da un foro rettangolare sito nel tetto (impluvio). Sale da pranzo, forse triclinari , ampie e dotate di ricchi pavimenti e di belle decorazioni affrescate sulle pareti. Cubicoli, stanze da letto . Vi erano dei corridoi che consentivano il transito della servitù alle spalle delle grandi sale da pranzo senza disturbare i commensali o il riposo dei proprietari. Il Peristilio o giardino porticato: era l’ambiente più amato della casa, di solito con giardino centrale ed una fontana. Dodici colonne sostenevano il tetto del porticato, che spioveva verso la zona centrale. I volontari del GAR –Zona Aurelio , scavano con perizia e recuperano frammenti, “i cocci”, li puliscono, catalogano e , quindi, li trasportano nella sede di via Contessa di Bertinoro dove vengono restaurati e conservati . Nel 1976 la Soprintendenza Archeologica di Roma recuperò preziosi mosaici e pregevoli pitture che sono ora esposti al pubblico nella sede del museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo. Se la Villa è visitabile e ben conservata lo si deve all’ottimo lavoro dell’Archeologo Dott.ssa Daniela Rossi che la si può definire “Ambasciatore e protettrice del Borgo romano di Lorium “. Ricordiamo il recente, superbo, lavoro della Dott.ssa Daniela Rossi nel quartiere Massimina sulla via Aurelia. La descrizione della Villa delle Colonnacce sono tratte da un saggio-lezione che la Dott.ssa Daniela.Rossi ha tenuto nella sala grande del Castello nel borgo di Castel di Guido il 18/04/09 .
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Note a margine dell’articolo-
Oggi erano presenti, tra gli altri, il mitico Archeologo VINCENZO ARNESE, ATTILIO PASSERINI in rappresentanza del CRSA –SOTTERRANEI di ROMA- il simpaticissimo NICOLA CURCIO e alla sua prima uscita sul campo la Dott.ssa ALESSIA NATALE-Oggi è venuto a visitare gli scavi anche il Dott. STEVE BASLEY famoso ornitologo inglese.
Associazione CORNELIA ANTIQUA– Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali.Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo !Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com– Cell-3930705272–
Si consiglia anche la visita all’Oasi Lipu di Castel di Guido, adiacente alla Villa romana, la Direttrice dell’Oasi è la Dott.ssa Alessia de Lorenzis-
Contatti -Tel.328 55 69123-e.mail:. oasi.casteldiguido@lipu.it
Articolo e Foto di FRANCO LEGGERI per Associazione CORNELIA ANTIQUA
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.mitico Archeologo VINCENZO ARNESEVolontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Associazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? 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Dal libro: Fotoreportage per raccontare Roma e la sua Campagna Romana
di Franco Leggeri.
La bellezza, la poesia e la “bioarchitettura” del Viale dei pini nella Campagna Romana. V.le del sito Archeologico Torre della BOTTACCIA-Brano e Fotoreportage tratto dalla Monografia “Torri Segnaletiche-Saracene della Campagna Romana “di Franco Leggeri.
L’ecologia è un concetto che fa parte della coscienza universale, di cui dobbiamo essere ogni giorno sempre più consapevoli. Il grande scienziato della natura e poeta Goethe riassume tale consapevolezza con queste parole: “Nulla si impara a conoscere, se non ciò che si ama, e più forte è l’amore tanto maggiore sarà la conoscenza”. Imparare a “godere” dello spazio naturale che ci circonda è uno strumento di straordinario valore per diffondere e sedimentare nell’agire una vera e propria cultura della sostenibilità. In tal senso, probabilmente la più spontanea e potente istanza pedagogica è proprio il paesaggio, capace di impartire una sua prima e fondamentale educazione implicita: il paesaggio è infatti come scrive , molto bene, nel suo saggio ”Paesaggio Educatore” il Regni R. “ maestro di una cultura dell’ascolto dell’armonia dell’uomo e del cosmo, propria di un ambiente come realtà da condividere e non solo come qualcosa a cui badare”(Ed.Armando -2009). L’ammirazione per lo splendore della natura è il motore che genera e, conseguentemente, moltiplica in ognuno di noi , sin dalla più giovane età, i sentimenti di affezione , rispetto e curiosità verso il patrimonio ambientale che ci circonda. D’altra parte tale affezione e desiderio di cura tutela non può che scaturire dalla conoscenza e dalla relazione . Ci è istintivamente estraneo ciò che non conosciamo, con cui non possiamo dialogare per assenza di codici condivisi e a cui non siamo socializzati . L’estraneità si supera a mio avviso, solo attraverso un flusso comunicativo e relazionare che deve essere continuamente alimentato e che dà luogo ad una empatia prodromica a comportamenti di cura , tutela e di salvaguardia . Per recuperare i “codici” che ci consentono , nell’ascolto, di comprendere il linguaggio della natura bisogna , infatti, conoscere quest’ultima, perché solo coltivando una conoscenza profonda e radicata , ma anche istintiva, di qualcosa possiamo affezionarci ad essa, amarla e far crescere in noi il desiderio spontaneo di difenderla e preservarla.
Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-
Campagna romana
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.-Con la locuzioneCampagna romana si indica la vasta pianura del Lazio, ondulata e intersecata da fossi o marrane, della provincia di Roma, che si estende nel territorio circostante l’intera area della città di Roma fino ad Anzio con il piano collinare prossimo, comprendente parte dell’Agro romano, fino al confine con l’Agro Pontino.
Il termine “Campagna” deriva dalla provincia di “Campania” istituita nel tardo impero in sostituzione della preesistente Regio I. Una paretimologia la fa derivare invece dal latinocampus (volgare “campagna” nel senso di area rurale). Va notato che “Campagna Romana” non è sinonimo di “Agro Romano“ – espressione, quest’ultima, utilizzata per indicare l’area di Campagna Romana nel distretto municipale di Roma.
Storia
Secondo Carocci e Vendittelli la struttura fondiaria e produttiva della Campagna Romana risale al tardo medioevo e si è conservata senza soluzione di continuo fino alla riforma agraria a metà del XX secolo.
Le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente favorirono il generale spopolamento delle campagne, compresa quella romana, e i grandi latifondi imperiali passarono nelle mani della Chiesa, che aveva ereditato le funzioni assistenziali e di governo già assolte dai funzionari imperiali, e le esercitava nei limiti del possibile.
A partire dall’VIII secolo le aziende agricole (villae rusticae) di epoca imperiale si trasformarono – dove sopravvissero – in domuscultae, entità residenziali e produttive autosufficienti e fortificate, dipendenti da una diocesi – o una chiesa, o un’abbazia – che deteneva la proprietà delle terre e le assegnava in enfiteusi ai contadini residenti. Questi spesso ne erano gli originali proprietari, ed avevano conferito la proprietà dei fondi alla Chiesa in cambio di un piccolo canone di affitto e dell’esenzione dalle tasse. Queste comunità godevano di completa autonomia, che implicava anche il diritto ad armarsi per autodifesa (da dove la costruzione di torri e torrette), e in alcuni casi giunsero anche a battere moneta.
Già dal X secolo, tuttavia, la feudalizzazione costrinse i contadini ad aggregarsi attorno ai castelli dei baroni ai quali veniva man mano attribuito il possesso – a vario titolo – di molte proprietà ecclesiastiche, e la coltivazione della pianura impaludata e malarica fu abbandonata, col tempo, quasi completamente. Là dove si continuava a coltivare, questi nuovi latifondi ormai deserti, nei quali sorgevano sparsi casali fortificati, furono destinati a colture estensive di cereali e a pascolo per l’allevamento di bestiame grande e piccolo. Il loro scarso panorama umano era costituito da pastori, bovari e cavallari, braccianti al tempo delle mietiture, briganti.
L’abbandono delle terre giunse a tal punto che con la conseguente scomparsa degli insediamenti urbani nel territorio circostante Roma attorno alle vie Appia e Latina, l’ex Latium Vetus, venne ripartito in “casali”, tenute agricole di centinaia di ettari dedicato all’allevamento di bestiame, soprattutto ovini, e alla coltivazione di cereali, a cui erano addetti lavoratori salariati spesso stagionali. Questi latifondi in età rinascimentale e moderna divennero proprietà delle famiglie legate al papato. A seguito dello spopolamento delle terre pianeggianti ritornate a pascolo, si aggravò il grave problema dell’impaludamento e della malaria.
Nel XVII secolo, dopo la redazione del Catasto Alessandrino[1], furono concessi ai contadini, ai piccoli proprietari e agli abitanti dei borghi l’uso civico dei terreni spopolati e abbandonati ed esenzioni fiscali (mentre venivano aggravate le imposizioni sui proprietari noncuranti), allo scopo di stimolare il ripopolamento di quelle campagne.
Nel XVIII e nel XIX secolo il paesaggio della Campagna romana, rappresentato da vaste aree pressoché disabitate dove spesso era possibile imbattersi nelle vestigia di imponenti costruzioni romane in rovina, divenne un luogo comune, un simbolo della tramontata grandezza di Roma, insieme con l’immagine del quotidiano pittoresco rappresentato dai briganti, dai pastori e dai popolani di Bartolomeo Pinelli e dei pittori europei del Grand Tour.
ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaFoto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaFoto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaFoto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-
Monteleone Sabino- Plinio Maior “TREBVLA MVTVESCA”
Arch. Carlo CUSIN:Monteleone Sabino ”Della terra dei Flavi,Plinio Maior scrisse : “Tra i Sabini vi sono i Tribulani che s’appellano Mutuesci.” Ieri ero proprio a “TREBVLA MVTVESCA”-Monteleone Sabino-La chiesa di S. Vittoria sorge su un bel terrazzamento panoramico ed è un didattico compendio di storie costruttive dal IV sec al basso Medioevo ed ho rivisto 2 sorprendenti siti legati alla storia del Console Manio Curio Dentato che.nel III sec aC,vinse e conquisto’ le terre di Sanniti,Galli Senoni e Sabini : l’anfiteatro e la chiesa di S. Vittoria. Il toponimo di Trebula Mutuesca deriva da “trabs”-trave,inteso come “casa” dei Mutuesci,in effetti,come Roma,Trebula M. sorse per sinecismo,riunendo i pagi rurali,sparsi sulle colline,con la romanizzazione del territorio,in un “Mvnicipivm” con terme,foro, anfiteatro e templi dedicati a divinità rurali arcaiche come Angitia e Feronia. L’anfiteatro è un grande ellisse di 94×66 mt,con vasti ambienti ipogei al servizio di munera e venationes,Traiano lo ricostrui’,come lo vediamo oggi,su un precedente edificio più piccolo,come scritto su 2 grandi epigrafi,in marmo lunense,visibili in sitv e nel locale museo archeologico. La chiesa di S. Vittoria sorge su un bel terrazzamento panoramico ed è un didattico compendio di storie costruttive dal IV sec al basso Medioevo,con una rara e composita planimetria asimmetrica,costruita con tanti elementi architettonici Romani di spoglio,come d’uso di un tempio pagano che qui sorgeva,una piccola catacomba,con riuso d’ambienti di cava,un pozzo con acqua “miracolosa”,già usata per i riti lustrali pagani,ed un alto campanile con un doppio ordine di bifore… “HISTORIA vero TESTIS temporvm, LVX veritas, VITA memoriae et MAGISTRA vitae !” La storia,in verità,è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria e maestra di vita ! Cicerone “De oratore”.
Le origini del nome sono incerte e sull’argomento sono state espresse varie ipotesi. La prima vede il leone come il simbolo dell’antica città romana sulle cui rovine è sorto: Trebula Mutuesca. Questo fornirebbe la spiegazione alla presenza di molte statue di pietra raffiguranti questo animale all’interno del paese, dalle quali avrebbe preso il nome[4].
Una seconda versione è quella che fa risalire il nome del paese alla famiglia Brancaleoni di Romania, che vi dominò dal 1344 fino alla metà del secolo successivo[5].
Un’altra ipotesi, attinta dalla tradizione popolare, vuole che il nome del paese si ricolleghi alla somiglianza che intercorre tra la fisionomia geografica che assume la collina (Monte) e il dorso longilineo del leone che aspetta argutamente la sua preda. Tale ipotesi, tuttavia, non dispone di fondamenta probative e testimonianze storiche documentate.
Storia
Il paese è di origine altomedievale[6], mentre sul suo territorio si trova l’antica città sabina di Trebula Mutuesca, luogo di importanti ritrovamenti di reperti.
MONTOPOLI DI SABINA (Rieti)-La Villa romana dei Casoni –
Architetto Carlo CUSIN:”La Villa romana dei Casoni “
MONTOPOLI di SABINA (Rieti)
Architetto Carlo CUSIN:”La Villa romana dei Casoni “è un altro tesoro Romano Repubblicano ,amato dal “Sol Invictvs”,a circa 500 mt slm,sul terrazzamento artificiale di una collina SABINA, ancor’oggi lontana dal mondo,non facile da raggiungere,immagino allora… “Dicitvr” si dice,senza certezze, purtroppo,come spesso accade,che sia una grande villa “per otivm”, sorta nel II sec aC su un antico “vicvs” sabino,appartenuta alla plebea “Gens Terentia” Romana,originaria di queste terre,con magistrati/letterati/militari noti fin dal V sec aC,cui appartenne Marco Terenzio Varrone (“Terentia” dal latino colui che trebbia/macina ). La grande villa è posta su almeno 3 terrazzamenti,con la classica planimetria composita con “atrivm”,peristilio,oecvs,triclini ecc con un sottostante criptoportico con bocche di lupo,collegato con un adiacente “horrevm” ipogeo,cui venne addossato,in epoca Imperiale un grandioso paramento,lungo oltre 50 mt,con 9 nicchie absidate/piane con un antistante giardino con una sorprendente piscina circolare ! A monte del complesso è ancora visibile una grande cisterna rifornita da una sorgente ora non più attiva… ! “Res magnae gestae svnt !” Grandi cose furono fatte ! “Gratias” agli amici del Gruppo FAI Sabina.
La Villa dei Casoni (o Villa romana dei Casoni o più comunemente detta Villa di Varrone) è ciò che resta di una villa romana d’epoca repubblicana situata nel comune di Montopoli di Sabina, nella frazione di Bocchignano. Descrizione
I ruderi della villa detta di Varrone sono raggiungibili sia da Poggio Mirteto che da Bocchignano. La villa è stata descritta da Guattani nel suo 3° volume dedicato ai monumenti sabini, fu poi descritta ampiamente anche da Ercole Nardi nel suo manoscritto “Ruderi delle ville romano sabine nei dintorni di Poggio Mirteto“.
La villa è stata edificata in epoca repubblicana presumibilmente su un preesistente villaggiosabino, come sembrerebbero testimoniare le tracce di opus poligonalis e quadratum. Essa è rialzata di circa sei metri rispetto al piazzale antistante al ninfeo, ove è presente una struttura circolare identificata con una piscina. Del piano abitativo restano solo le fondamenta delle stanze tra cui l’atrio con ai lati una coppia di cubicole (le camere da letto dei Romani), dall’atrio era possibile accedere a delle stanze identificabili con delle biblioteche una greca e una latina; inoltre era possibile accedere, attraverso un posticum, il Peristilio. Ad est è possibile osservare un altro gruppo di stanze, stavolta ad uso perlopiù rustico, infatti da un’esedra (una stanza di passaggio), era possibile accedere all’horreum (il magazzino delle granaglie), dove erano presenti degli scalini che conducevano al criptoportico sottostante e ad una stanza che secondo alcuni aveva la funzione di officina, luogo in cui si trasformavano i prodotti grezzi in prodotti destinati alla vendita. Il ninfeo con nove nicchie è in opus reticolatum, aggiunto successivamente nel I secolo per dare monumentalità alla struttura, appartenuta senza dubbio a un personaggio facoltoso per il rinvenimento di marmi, mosaici e intonaci policromi affrescati.
La Villa dei Casoni possiede uno dei criptoportici più conservati di tutta la Sabina, esso è a forma di “L” e lungo 50 m., prendeva luce da aperture a bocca di lupo e collegava, come già detto precedentemente, il magazzino delle granaglie (horreum) tramite delle scalette, al criptoportico e di conseguenza al piazzale sottostante, che probabilmente fungeva da giardino[senza fonte].
Inoltre, nei pressi della villa, in direzione nord, è presente un rudere identificato con una fontana romana (fons), probabilmente usata a scopo ornamentale. Non molto lontano dai resti di fondamenta delle stanze descritte precedentemente, sono presenti altri resti frammentari di altre stanze non identificate e lungo il perimetro del piazzale sottostante sono presenti dei resti di mura terminanti con un’esedra semicircolare di cui restano poche tracce.
Essa è conosciuta, non si sa bene a quale titolo documentabile come la “Villa di Terenzio Varrone” (116–27 a.C.), erudito che ebbe da Cesare il compito di organizzare la prima biblioteca della repubblica di Roma. Fu l’autore di circa 70 opere sui più vari campi del sapere tra le quali spiccano le “Antiquitates Rerum Umanarum et Divinarum Libri XLI”; e “Disciplinarum Libri Novem”, entrambe giunte in frammenti. L’opera sua più studiata e conosciuta è “De re rustica” in tre libri giuntici per intero, opera in cui sono presenti dei riferimenti indiretti alla Villa dei Casoni[senza fonte], il quale parla di una sua zia Terenzia che, al XXIV miglio della Salaria (quindi all’altezza di Cures) possedeva una villa con una tenuta non molto prospera. Cosicché ella vi installò un allevamento di tordi ( o forse colombacci o di una varietà allevabile di merli) con il quale riusciva a produrre redditi doppi rispetto a quelli ottenibili con un intero fondo. Tanto che in una sola occasione poté ricavarne 60.000 sesterzi per aver venduto in blocco 5000 uccelli nell’occasione del banchetto in onore del trionfo di Quinto Cecilio Metello Pio Scipione.
Dai recenti scavi effettuati in loc. Acquaviva, vicino Nerola, sono emersi i ruderi di una villa romana del II sec.a.C.-I secolo d.C. in cui sono presenti i resti di un doliarum (una zona dedicata alla conservazione dei doli e del suo contenuto), di un candelabro bronzeo e un’uccellaia per l’allevamento avicolo, rispettando di più la descrizione fornitaci da Varrone.
Bibliografia
Ercole Nardi, Ruderi delle ville romano sabine nei dintorni di Poggio Mirteto illustrati dal prof. Ercole Nardi 1885, edizione critica a cura di Dario Scarpati, Poggio Mirteto, 2010, pp. 61-66.
Carmelo Cristiano, I territori di Montopoli di Sabina e Bocchignano, 1996, pp. 22-24.
Il paese di Montopoli, situato a quota 331 metri s.l.m., vanta il privilegio di offrire la visione di una ininterrotta sequenza di magnifici panorami per la sua particolare collocazione sulla cresta di una verde collina che consente di spaziare l’intero orizzonte. Montopoli ha un territorio molto vasto che va dall’abitato di Passo Corese fino all’abitato di Poggio Mirteto, delimitato, ad est dal fiume Tevere ed a ovest dal torrente Farfa. L’origine del nome sembra derivare da Mons Poilionis che si modificò in Mons Operis per la operosità dei suoi abitanti e successivamente in Montis Opuli per la ricchezza della sua terra. La storia narra che intorno al mille passò sotto l’Abbazia di Farfa e da quell’epoca in poi risentì di tutti gli eventi che riguardarono la famosa Abbazia, fu coinvolta nelle lotte fra imperatori e papi dove gli abitanti si distinsero per il loro comportamento da fedeli guerrieri. Nel 1243 per ordine del Papa Gregorio IX, Montopoli fu saccheggiata e distrutta, fu prima borgo e poi elevato a comune. Dopo la ricostruzione cominciò il periodo della Signoria. Montopoli passò poi agli Orsini e ai Felici. Oggi Montopoli di Sabina è conosciuta soprattutto per l’eccellente qualità dell’olio di oliva e per la bontà del nettare che il suo territorio produce fin dai tempi del concittadino Numa Pompilio.
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Palestrina- La cista di un’elegante donna del III secolo a.C.
torna a Preneste, dove fu prodotta e utilizzata.
Palestrina Con “100 opere tornano a casa” i capolavori dell’arte escono dai depositi e tornano a Palestrina nelle sale dei musei. Grazie al progetto del Ministero della Cultura “100 opere tornano a casa” è tornata oggi a Palestrina dai depositi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli la Cista Borgiana. L’opera, rinvenuta nel corso del Settecento nel territorio di Palestrina, l’antica Praeneste, appartenne per un periodo a Ennio Quirino Visconti, prima di entrare a far parte della collezione del cardinale Stefano Borgia.
Palestrina (Roma)- La cista del III secolo a.C.
Con la vendita della collezione da parte del nipote Camillo, seguita alla scomparsa del Borgia, la cista confluì insieme ad una parte della collezione nel Real Museo Borbonico, l’attuale Museo Archeologico di Napoli. La cista è un recipiente di forma cilindrica e dotato di coperchio, in uso durante l’antichità per contenere oggetti di toletta o di abbigliamento sia maschile sia femminile. di vita quotidiana molto diffuso, ricopriva anche una funzione rituale legata ai culti dionisiaci: era chiamata cista mystica, e veniva utilizzata per contenere i serpenti sacri da impiegare durante i riti per la divinità. Fra i centri più noti di questa produzione si annovera proprio Preneste (l’odierna Palestrina), antica città del Lazio, che ne realizzò diversi esemplari dal IV secolo in poi. Dopo secoli, la preziosa cista torna quindi nel territorio per il quale era stata creata, destinata ad accompagnare, insieme alle suppellettili che certamente conteneva, l’ultimo viaggio di una sconosciuta donna prenestina, in una delle necropoli presenti nel territorio. Un percorso comune a tante opere prodotte per la ricca Praeneste, andate nel tempo ad arricchire le collezioni di musei in ogni parte del mondo, e che in questo caso ritorna invece nel contesto di provenienza. La cista andrà ad arricchire la Sala delle Necropoli al secondo piano del Palazzo Colonna Barberini, sede del Museo archeologico Nazionale di Palestrina, in coerenza con l’iniziativa promossa dal progetto “100 opere tornano a casa” voluto dal Ministro della Cultura Dario Franceschini per valorizzare il patrimonio storico artistico e archeologico italiano conservato nei depositi dei luoghi d’arte statali e per promuovere i musei più piccoli, periferici e meno frequentati. Hanno accolto l’arrivo dell’opera il Sindaco di Palestrina Mario Moretti, la Direttrice del Museo Marina Cogotti, il Direttore Regionale Musei del Lazio Stefano Petrocchi.
Civita Castellana (Vt). Tesori sotto gli alberi e i prati. Recuperato il tempio di Giunone a Falerii
Il Comune di Civita Castellana, la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale, la direzione regionale Musei Lazio e il dipartimento di scienze dell’antichità della Sapienza – Università di Roma hanno, infatti, ancora una volta unito le proprie forze per affrontare un nuovo percorso di ricerca e disseminazione della città antica.Le ricerche archeologiche sull’antica città preromana di Falerii, che hanno conosciuto una forte ripresa nel corso degli ultimi anni, si sono intensificate nel corso di questo inizio 2023, grazie alla stretta collaborazione tra tutti gli enti operanti sul territorio. Sono loro, infatti, il vero motore di questa nuova stagione di indagini avviata ormai dal 2020. Civita Castellana è un comune di circa 15.000 abitanti della provincia di Viterbo, nel Lazio. È sorta sulle rovine di Falerii Veteres città dei falisci di epoca arcaica. I Falisci erano una popolazione che parlava una lingua simile al latino, ma in Etruria. L’influenza etrusca sulla civiltà falisca è dunque fondamentale. Chiaro esempio è la scrittura della lingua falisca, di origine proto-Latina con influenza etrusca.
Civita Castellana (Vt). Tesori sotto gli alberi e i prati. Recuperato il tempio di Giunone a Falerii
“L’attenzione in questa prima parte del 2023 è stata posta su un’altra area di grande rilevanza della città preromana: il santuario in località Celle, tradizionalmente riconosciuto come dedicato a Giunone Curite. – afferma il Comune di Civita Castellana – Indagato per la prima volta alla fine dell’‘800, il suo rinvenimento causò subito grande scalpore per la monumentalità e perché, di fatto, venne riconosciuto come il primo esempio di tempio etrusco-italico a essere riportato alla luce durante l’avventurosa stagione di ricerche che caratterizzò gli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia”.
su un enorme basamento di 1400 mq, venne studiato a più riprese negli anni ’30 e poi negli anni ’70 del secolo scorso. I reperti rinvenuti, oggi in parte esposti presso il museo nazionale Etrusco di Villa Giulia e in parte presso il museo archeologico dell’Agro Falisco a Civita Castellana e pertinenti sia alla decorazione dell’edificio sia alla stipe votiva, attestano una frequentazione dell’area dal VI sec. a.C. alla prima età imperiale. Stando all’interpretazione generalmente accettata, nell’area si deve riconoscere il luogo di culto da cui prendeva le mosse la processione annuale in onore di Giunone, di cui ci dà conto il poeta latino Ovidio in una delle sue odi.
“Un monumento di tale rilevanza aveva necessità di essere nuovamente portato alla luce, di essere pienamente valorizzato e reso di nuovo fruibile dal pubblico. A tale scopo, attraverso la sinergia tra istituzioni, è stato possibile avviare dal mese di marzo scorso un’opera di ripulitura dell’area dalla vegetazione infestante. – affermano i vertici del Comune di Civita Castellana – Parte integrante del percorso di ricerca e divulgazione è anche il PCTO con l’istituto di istruzione superiore Ulderico Midossi di Civita Castellana, realizzato con l’équipe del progetto Falerii del dipartimento di scienze dell’antichità della Sapienza – Università di Roma, al fine di realizzare un percorso espositivo che verrà inaugurato presso il museo dell’Agro Falisco al Forte Sangallo nella seconda metà del prossimo mese di maggio e in cui sarà possibile, per la prima volta, toccare con mano la monumentalità del tempio che si ergeva in località Celle. Queste sono però solo alcune delle attività condotte in questi primi mesi del 2023 per favorire la riscoperta dell’antica Falerii. Consci dell’importanza di rivolgersi al pubblico dei più piccoli, si è infatti ideato il progetto pilota “Venite con noi al museo?”, che ha visto l’adesione di quasi 350 bambini delle scuole primarie di Civita Castellana. I piccoli studenti hanno potuto trascorrere una mattinata in compagnia degli archeologi del progetto Falerii, scoprendo il museo archeologico dell’Agro Falisco e le modalità con cui vengono trattati i reperti rinvenuti in uno scavo archeologico. Tutto ciò in attesa ovviamente della ripresa degli scavi sul colle di Vignale, prevista per il prossimo mese di giugno”.
Roma Municipio XIII- MUSEO PALEONTOLOGICO:” La Polledrara di Cecanibbio”-
CASTEL DI GUIDO-La Polledrara di Cecanibbio- MUSEO PALEONTOLOGICO
ROMA-Articolo scritto dalla Dott.ssa Anna Paola Anzidei, Soprintendenza Archeologica di Roma-Foto originali di Franco Leggeri–Il giacimento pleistocenico de Museo Paleontologico “la Polledrara di Cecanibbio” è ubicato a circa 20 km a Nord-Ovest di Roma tra la via Boccea e la via Aurelia , ad una quota di circa 83 metri s.l.m., nell’ambito dei rilievi periferici del Vulcano Sabatino. Il sito, venuto alla luce a seguito dell’erosione naturale di un pendio di collina, è stato parzialmente disturbato dall’aratura moderna. In base ai dati forniti dallo scavo archeologico, iniziato nel 1985 dalla Soprintendenza Archeologica di Roma e tuttora in corso e che ha rimesso alla luce un’area di oltre 700 mq, il giacimento è stato associato al paleo alveo ed ai margini di un piccolo corso d’acqua, presente in un paesaggio a lieve gradiente ,caratterizzato da canali fluviali a percorso instabile e da acque stagnanti . Il tratto dell’alveo conservato, inciso in un banco di tufite granulare compatta, raggiunge la larghezza massima di 40-50 m. Sulla paleo superficie erano irregolarmente distribuiti oltre 9000 (novemila) reperti faunistici fossili associati a circa 400 strumenti litici e a pochi strumenti su osso, attribuibili culturalmente al Paleolitico inferiore. L’associazione faunistica è costituita prevalentemente da Elefante antico e Bue primigenio; scarsa invece la presenza di altre specie quali il cervo, il cavallo, il lupo , il rinoceronte. Pochi i resti di microfauna e di uccelli acquatici. Le ossa erano accumulate in più livelli nel canale centrale , mentre nelle aree periferiche pianeggianti erano sparse su di un unico livello, con alcune concentrazioni in piccoli avvallamenti . Lo stato di conservazione è ottimo; le ossa presentano un buon grado di fossilizzazione ed un aspetto delle superfici vario, da quello molto fresco nei reperti che hanno subito poco o meno trasporto, a quello fortemente fluitato per quelli di minori dimensioni trascinati dalla corrente . I reperti erano stati successivamente seppelliti, in un tempo relativamente breve, da uno strato di tufite , derivata da prodotti vulcanici rimaneggiati. La distribuzione caotica del materiale, causata dai processi di trasporto e di deposizione che avvengono in un percorso d’acqua, è stata in parte determinata , soprattutto nelle aree marginali, dall’attività di animali da preda quali il lupo , e dall’intervento dell’uomo. Questi doveva avere frequentato le sponde del corso d’acqua , intensamente popolate da animali di varie specie, sia per procacciarsi il cibo , come è testimoniato dalla presenza di strumenti e dalle numerosissime ossa metapodiali di Bue primigenio fratturate per estrarne il midollo . Le ossa di Elefante sono in assoluto le più abbondanti, con la presenza di tutti gli elementi dello scheletro ; alcuni crani quasi completi sono di particolare interesse in quanto offrono una più ampia conoscenza sulla morfologia degli esemplari di Elefante antico nella penisola italiana. Numerose le zanne , le mandibole, i denti isolati e le ossa dello scheletro postcraniale , attribuibili ad almeno 25 individui prevalentemente adulti. Nel corso delle ultime campagne di scavo è stato parzialmente rimesso in luce un microambiente, di poco successivo all’episodio fluviale, caratterizzato da acqua a lentissimo scorrimento. In quest’area sono stati identificati i resti ossei di almeno due elefanti, in parziale connessione anatomica e con le superfici in perfetto stato di conservazione. Finora sono stati rimessi in luce un cranio ed alcune ossa dello scheletro postcraniale : una zampa anteriore, le ossa di una mano, le tibie e peroni, alcune vertebre e costole. Accanto alle vertebre di una degli esemplari vi erano i resti di un lupo , anch’essi parzialmente in connessione. Evidentemente le carcasse degli animali erano rimaste intrappolate nella melma e le ossa non avevano quindi subito spostamenti di rilievo. Sparsi tra i reperti faunistici sono stai raccolti 400(quattrocento) strumenti litici culturalmente riferibili al Paleolitico inferiore. La materia prima, costituita da piccoli ciottoli silicei e calcareo-silicei di colore variabile dal grigio al grigio scuro, non appartiene all’ambiente fluvio-palustre ricostruito, ed è stata evidentemente trasportata dall’uomo. Questi si procurava il materiale nei livelli a ghiaie attribuibili alla Formazione Galeria, i cui affioramenti sono attualmente individuabili alla quota di 40-45 metri s.l.m. lungo la parte terminale dei fossi Arrone e Galeria, ad una distanza minima di km 3 (tre) dal giacimento de La Polledrara. L’industria è caratterizzata dalla presenza di strumenti su ciottolo, in particolare choppers e raschiatoi , molti dei quali con il margine ottenuto con ritocco erto. Numerosi i denticolati , i grattatoi e gli strumenti con caratteri tipologici non ben definiti. Comunemente i manufatti presentano più margini ritoccati; tale sfruttamento intensivo dei ciottoli era probabilmente dovuto proprio alla difficoltà di reperimento della materia prima. Non sono presenti fino ad oggi strumenti bifacciali , comuni negli altri siti dell’area Nord-Ovest di Roma (Castel di Guido, Malagrotta, Torre in Pietra). Vario è la stato fisico dei manufatti; molti dei quali presentano le superfici alterate dal trasporto in acqua. Alcuni strumenti litici , rinvenuti associati alle ossa di elefante in connessione anatomica nell’ambiente di tipo palustre, presentano invece un aspetto fisico freschissimo e margini taglienti. L’analisi delle tracce d’uso ha permesso di riscontrare la presenza di tracce prodotte dal contatto di tessuti animali (ossa, carne e pelle) nel corso della macellazione delle carcasse. Pochi sono gli strumenti su osso, ricavati tutti da frammenti di diafisi di ossa lunghe di elefante , con estremità o margini laterali resi taglienti mediante il distacco di grosse schegge . In occasione del Giubileo dell’anno 2000 è stata attuata una struttura museale , dell’estensione di 900 (novecento) mq, per la fruizione , da parte del pubblico, della paleo superficie rimessa in luce e restaurata.
Articolo scritto dalla Dott.ssa Anna Paola Anzidei, Soprintendenza Archeologica di Roma-
Dal Volume- CASTEL DI GUIDO dalla Preistoria all’Età moderna. Edizione PALOMBI- ed. 2001-
Foto originali di Franco Leggeri
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Bibliografia
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Il giacimento è attualmente aperto al pubblico e può essere visitato dietro prenotazione da effettuare telefonando al numero +06.39967700 (lunedì-sabato 9-13.30 e 14.30-17), o collegandosi al sito www.archeorm.arti.beniculturali.it
Il Museo Preistorico di Pofi è stato istituito nel 1961 dal sindaco Pietro Fedele dopo la scoperta di un’ulna umana fossile, associata a resti di faune estinte e manufatti litici, nelle sabbie vulcaniche della Cava Pompi, in quel tempo aperta nel territorio di Pofi. La sede attuale, aperta al pubblico dal marzo 2001, si trova nel fabbricato destinato ai servizi culturali, insieme alla Biblioteca, all’Archivio Storico e alla Sala conferenze. Il progetto scientifico e di allestimento è stato curato da Italo Biddittu, archeologo; il progetto tecnico è stato curato dall’ing. Francesco Chiarelli e dall’architetto Tommaso Brasiliano.
IL TERRITORIO
Il Museo presenta le testimonianze dell’uomo preistorico nel Lazio meridionale interno. Il percorso inizia (area 1) con una ricostruzione stratigrafica, un plastico del territorio, e con pannelli bilingue italiano-inglese, che riassumono le principali tappe dell’evoluzione del pianeta dalla Pangea fino agli aspetti della geologia regionale. Gli eventi più significativi del passato, che hanno contribuito alla morfologia del paesaggio e che hanno interferito con la presenza dell’uomo sono legati alla estensione di grandi bacini lacustri ora scomparsi e agli apparati del “Vulcanismo Ernico” con centri che sono stati attivi tra 700.000 e 110.000 anni. Tra questi viene dato particolare risalto nel museo all’apparato poligenico di Pofi, attivo tra 430.000 e 110.000 anni, del quale si possono osservare nella morfologia del paesaggio quattro o cinque crateri principali. Nel museo sono esposti, tra l’altro, una bomba lavica di notevoli dimensioni e di forma particolarmente interessante.
OMINIDI FOSSILI (Argil l’uomo di Ceprano)
Nelle aree 2 e 3 sono trattati i temi dell’origine ed evoluzione dell’uomo attraverso l’esposizione di calchi di ominidi dagli Australopiteci (Lucy, Australopithecus afarensis) ai primi uomini africani (Homo rudolfensis, Homo habilis, Homo ergaster), la diffusione in Asia (Homo georgicus, Homo erectus), l’arrivo in Europa. Questa sezione didattica del Museo si è arricchita recentemente con l’acquisizione di numerosi calchi (circa 180) tra fossili umani, manufatti e resti di fauna, che costituiscono un nucleo importante nelle collezioni didattiche e di confronto del Museo. L’esposizione del cranio dell’Uomo di Ceprano (500.000 anni, noto anche come Argil), tra i più antichi fossili umani europei, rappresenta una tappa importante nel percorso del Museo. Il riconoscimento che il fossile ha avuto in campo internazionale per la sua particolare morfologia,con tratti arcaici uniti ad altri più evoluti, tanto da suggerire la creazione di una nuova specie e la presenza di numerosi siti archeologici con manufatti e faune del Paleolitico inferiore, hanno dimostrato l’importanza del Lazio meridionale per le conoscenze sull’evoluzione biologica e tecnologica dell’umanità preistorica. Nel percorso, articolato in senso cronologico, sono esposti anche i resti fossili umani di ulna e tibia rinvenuti nella cava di “pozzolana” di Giovanni Pompi (area 6), in attività negli anni sessanta del secolo scorso a Pofi. Il record fossile della provincia di Frosinone è completato anche dai quattro denti umani rinvenuti nel giacimento di Fontana Ranuccio di Anagni, datato con il metodo K-Ar 458.000 anni (area 4).
PALEONTOLOGIA
La fauna pleistocenica esposta è rappresentata da numerosi esemplari di Elephas antiquus, il gigantesco elefante che viveva nel Lazio meridionale, contemporaneo degli ominidi che spesso utilizzavano porzioni delle diafisi per realizzare manufatti in osso, alcuni particolarmente elaborati. Di questa specie sono esposti nel museo due crani, uno di giovane ed uno di adulto, alcune mandibole, 5 difese, coxale e femore dello stesso individuo, le ossa di un piede in connessione anatomica; questi reperti sono stati rinvenuti a Pofi, Ceprano, Isoletta, S. Giovanni Incarico, Strangolagalli.
Il genere Mammuthus è rappresentato con le tre specie M. meridionalis (da Castro dei Volsci), M. trogontherii (da Isoletta) e M. primigenius (da Veroli S. Anna), (aree 4, 5, 6 e 7). Sono esposti anche notevoli resti di cervi, buoi, rinoceronti, ippopotami. Particolarmente interessanti sono i resti paleobotanici (strobili di conifere, semi, “ciottoli” di legno modellati dall’azione delle acque sulle rive del bacino Lirino e i resti di molluschi di acqua dolce provenienti dal giacimento di Isoletta (Arce). Manufatti in pietra realizzati con la tecnologia del Modo 1 sono stati rinvenuti nei livelli sottostanti a quelli in cui era il cranio dell’uomo di Ceprano, e sono presenti anche nei giacimenti di Arce, Fontana Liri, Castro dei Volsci.
Si tratta di una tecnologia molto antica, che unitamente ai dati stratigrafici ricavati dallo studio dei giacimenti ricordati, pone l’arrivo dell’uomo nel Lazio meridionale intorno ad un milione di anni fa (area 3). Non sappiamo ancora per quanto tempo siano sopravvissuti nell’Italia centrale gli ominidi di questa prima fase di esplorazione del nostro territorio. E’ comunque un dato di fatto che 600.000 anni fa si diffondono in Europa gruppi umani che conoscono una nuova tecnologia nella lavorazione della pietra, indicata come Modo 2, rappresentata soprattutto da un manufatto a simmetria bilaterale ottenuto con distacchi bifacciali, noto come “amigdala”.
La relativa diffusione di questo manufatto, in siti datati tra 458.000 anni (Anagni- Fontana Ranuccio) e 250.000 anni (Ceprano-Campogrande-Colle Avarone, Arce-Isoletta, S.Giovanni Incarico-Lademagne, Pontecorvo-Cava Panzini, Aquino-Cava Pelagalli, Casalvieri), associato naturalmente ad una varietà di strumenti su ciottolo e su scheggia, sembra indicare una maggiore adattabilità agli ambienti e alle variazioni climatiche degli artefici di questo aspetto culturale. (aree 4 e 5 ) Nel museo è possibile osservare una copia della splendida amigdala in osso rinvenuta nel giacimento di Anagni Fontana-Ranuccio, datato col metodo del Potassio-Argon 458.000 anni, ottenuta scheggiando una porzione di spesso osso di elefante.
I resti fossili umani attribuiti a questa umanità (quattro denti da Anagni-Fontana Ranuccio 458.000 anni; ulna, tibia e frammento di cranio da Pofi-Cava Pompi 400.000 anni, esposti nel Museo) vengono raggruppati, secondo la terminologia attuale, nella specie Homo heidelbergensis.
Museo Preistorico di Pofi
IL PALEOLITICO MEDIO
Come è stato notato in molte regioni europee anche nel Lazio meridionale appare sfuggente, per assenza di giacimenti ben datati, una fase di transizione tra il Paleolitico inferiore e il Paleolitico medio. Quello che appare invece evidente, per le testimonianze rappresentate da manufatti tipologicamente riferibili a questa fase presenti in giacimenti in grotta e all’aperto, è la diffusione delle tracce della presenza di gruppi umani di Homo neanderthalensis.
Nel Lazio meridionale interno sono importanti i giacimenti di Sora e Carnello nei quali sono stati rinvenuti manufatti del Paleolitico medio di tecnica levalloisiana associati ad abbondante fauna fossile con specie di habitat freddo. Altri siti con manufatti di questa epoca, esposti nel museo, sono quelli di Pofi, Ceprano, Vicalvi, Isola Liri, Cassino.
Nel Museo un insieme importante è rappresentato dai manufatti rinvenuti in superficie, per l’interessamento di Pietro Fedele, in varie zone del territorio comunale di Pofi (soprattutto da Mola Sterbini). Per l’illustrazione didattica dell’umanità neandertaliana nel Museo sono esposti i calchi del cranio Saccopastore 1 rinvenuto a Roma, e Guattari 1 rinvenuto al Monte Circeo (area 7).
IL PALEOLITICO SUPERIORE
La diffusione in Europa dell’uomo anatomicamente moderno (Homo sapiens) viene posta, anche se con cronologia differenziata da regione a regione, intorno ai 40.000 anni fa. Nel Lazio meridionale interno sono, per ora, scarse le testimonianze di questa nuova fase dell’Età della pietra, e sono in gran parte derivate da rinvenimenti in superficie. Le aree di provenienza dei manufatti esposti nel Museo sono soprattutto quelle di Pofi-Mola Sterbini mentre rari manufatti provengono da Ceprano-Colle Avarone e da Anagni-Paduni (area 8).
Nella regione sono noti i giacimenti in grotta di Collepardo (Peschio Ranaro) attribuito ad una fase dell’Epigravettiano finale datato 9.730 B.P. La fauna è rappresentata da stambecco più abbondante, capriolo, cinghiale, marmotta, ermellino, gatto selvatico. Altri reperti in grotta provengono da Trevi nel Lazio e da Anagni-Osteria della Fontana.
IL NEOLITICO E L’ETA’ DEI METALLI
Il percorso finale del Museo (area 8) illustra le ultime fasi della preistoria fino alle soglie della protostoria. Si tratta di una sezione per ora poco estesa che sintetizza, con i rari rinvenimenti neolitici di Sora, Canterno e Ceccano, la trasformazione del mondo dei cacciatori in quello degli agricoltori-pastori (passaggio da una economia di “prelievo” a quella di produzione). La rarità dei siti riferibili al Neolitico nel Lazio meridionale interno, imputabile probabilmente solo alla carenza delle ricerche, rappresenta un vuoto nella documentazione che si spera possa essere colmato con le future ricerche. Con l’Età del rame e del bronzo, alle quali sono destinati due espositori con materiali di Pofi, S.Giovanni Incarico e Ceprano, termina il percorso del Museo.
Sezione tattile per non vedenti e per bambini: Il percorso del Museo è stato progettato per offrire ai non vedenti e ai bambini la possibilità di manipolare sia oggetti originali sia modelli di peso equivalente dei più importanti reperti esposti. La maggior parte degli espositori è fornita di contenitori nei quali sono messi a disposizione dei visitatori modelli di reperti, calchi di crani umani fossili illustrati da testi in Braille per non vedenti. Su prenotazione si effettuano visite guidate e attività di laboratorio anche per non vedenti.
Informazioni utili
Indirizzo: Via S. Giorgio, 28, 03026 Pofi (Fr)
Tipologia di Museo: a Indirizzo: Via S. Giorgio, 28, 03026 Pofi FR
Giorni e orari di apertura: martedì, sabato e domenica: 09.30-13.00. Lunedì, mercoledì, giovedì e venerdì: aperti su prenotazione
Biglietto di ingresso:
Ingresso Gratuito fino a 5 anni e oltre 65 e diversamente abili
[Da 6 a 18 anni] Biglietto d’ingresso: 2,00 Euro – Visita guidata: 1,00 Euro – Laboratorio: 1,00 Euro – Scavo simulato: 1,00 Euro
[Da 19 a 64 anni] Biglietto d’ingresso: 2,50 Euro – Visita guidata individuale: 10,00 Euro – Visita guidata fino a 20 persone: 20,00 Euro
ROMA- Ai Musei Capitolini, nel giardino di Villa Caffarelli,
L’imponente ricostruzione, in dimensioni reali, del Colosso di Costantino.
La statua, alta circa 13 metri, è stata realizzata attraverso tecniche di ricostruzione innovative, partendo dai pezzi originali del IV secolo d.C. conservati nei Musei Capitolini.
Tra le opere più importanti dell’antichità, con i suoi 13 metri circa di altezza, la statua colossale di Costantino (IV secolo d.C.) è uno degli esempi più significativi della scultura romana tardo-antica. Dell’intera statua, riscoperta nel XV secolo presso la Basilica di Massenzio, oggi rimangono solo pochi monumentali frammenti marmorei, ospitati nel cortile di Palazzo dei Conservatori ai Musei Capitolini: testa, braccio destro, polso, mano destra, ginocchio destro, stinco destro, piede destro, piede sinistro.
Musei Capitolini il Colosso di Costantino
Nel giardino di Villa Caffarelli è possibile ammirare, in tutta la sua imponenza, la straordinaria ricostruzione del Colosso in scala 1:1, risultato della collaborazione tra la Sovrintendenza Capitolina, Fondazione Prada e Factum Foundation for Digital Technology in Preservation con la supervisione scientifica di Claudio Parisi Presicce, sovrintendente capitolino ai Beni Culturali.
La replica del monumento è stata presentata al pubblico dal Sindaco di Roma Capitale Roberto Gualtieri, dall’assessore alla Cultura di Roma Capitale Miguel Gotor, dal sovrintendente Claudio Parisi Presicce, dal componente del Comitato di indirizzo di Fondazione Prada Salvatore Settis, e da Adam Lowe, della Factum Foundation for Digital Technology in Preservation.
Il progetto è promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e realizzato in collaborazione con Fondazione Prada che ha presentato per la prima volta l’opera a Milano, in occasione della mostra Recycling Beauty a cura di Salvatore Settis e Anna Anguissola con Denise La Monica.
Il Giardino di Villa Caffarelli, dove è stata collocata la riproduzione del Colosso di Costantino, insiste in parte sull’area occupata dal Tempio di Giove Ottimo Massimo, che un tempo ospitava la statua di Giove, la stessa forse da cui il Colosso fu ricavato o che comunque ne costituisce il modello di derivazione. I resti del tempio sono oggi visibili all’interno dell’Esedra di Marco Aurelio.
“A Roma stiamo cercando di recuperare le dimensioni dell’antichità e la nostra conoscenza e percezione dei capolavori del passato, di cui conserviamo tracce e frammenti. Lo abbiamo fatto poco tempo fa con il Museo della Forma Urbis, lo facciamo andando in profondità con gli scavi della Metropolitana, lo facciamo attraverso l’anastilosi della Basilica Ulpia e adesso rendendo fruibile da tutti questa statua colossale, sia per essere ammirata in se, sia per essere una porta di accesso a quello scrigno di tesori che è il Colle Capitolino e che sono i Musei Capitolini. Voglio davvero ringraziare tutti quelli che hanno reso possibile questa creazione e questa ricostruzione che contribuisce a farci comprendere meglio il passato e quindi a capire meglio chi siamo” ha spiegato il Sindaco Roberto Gualtieri.
Il progetto di ricostruzione della statua colossale di Costantino è partito da un importante lavoro di analisi archeologica, storica e funzionale dei frammenti, supportata dalla lettura delle fonti letterarie ed epigrafiche.
I nove frammenti in marmo pario, attualmente conservati presso i Musei Capitolini, sono stati rinvenuti nel 1486 all’interno dell’abside di un edificio che al tempo si riteneva il Tempio della Pace di Vespasiano, e che solo agli inizi dell’Ottocento sarà correttamente identificato con la Basilica di Massenzio lungo la Via Sacra. Si pensava che appartenessero a una statua dell’imperatore Commodo e, data la loro eccezionale importanza, furono allestiti nel Palazzo dei Conservatori durante i lavori di ristrutturazione dello stesso eseguiti su progetto di Michelangelo tra il 1567 e il 1569. I frammenti sono stati identificati come ritratto colossale dell’imperatore Costantino solo alla fine dell’Ottocento.
Un decimo frammento, parte del torace, rinvenuto nel 1951, è in procinto di essere trasferito dal Parco Archeologico del Colosseo nel cortile del Palazzo dei Conservatori, accanto agli altri frammenti.
Lo studio archeologico dei frammenti ha permesso di ipotizzare che il Colosso fosse seduto e che fosse realizzato come acrolito, ovvero con le parti nude in marmo bianco e il panneggio in metallo o in stucco dorato. Secondo uno schema iconografico tipico del tempo, che assimilava l’imperatore alla divinità, Costantino è rappresentato come Giove con la parte superiore del corpo scoperta e il mantello adagiato sulla spalla; il braccio destro che impugna lo scettro ad asta lunga e la mano sinistra che sorregge il globo.
A fine marzo 2022 un team della Factum Foundation ha trascorso tre giorni nel cortile dei Musei Capitolini per scansionare i frammenti presenti con la tecnica della fotogrammetria.
Ogni frammento è stato modellato in 3D e posizionato sul corpo digitale della statua creata utilizzando come esempio iconografico altre statue di culto di età imperiale in pose simili, tra cui la colossale statua di Giove (I secolo d.C.) conservata al Museo statale Ermitage di San Pietroburgo, probabilmente ispirata allo Zeus di Olimpia ad opera di Fidia e la grande copia in gesso della statua dell’imperatore Claudio, ritratto come Giove, allestita al Museo dell’Ara Pacis.
La complessa operazione di ricostruzione realizzata da Factum ha tenuto conto di molteplici fattori: il tipo di marmo delle parti originali, i restauri e le aggiunte; i dettagli del panneggio mancante e l’aspetto del bronzo dorato di cui era composto; il rapporto tra la ricostruzione e i frammenti superstiti, le condizioni di questi e la loro esatta posizione. Dopo aver ultimato il modello 3D ad altissima risoluzione, si è poi proceduto con la ricostruzione materiale del Colosso.
Resina e poliuretano, insieme a polvere di marmo, foglia d’oro e gesso, sono stati scelti come materiali per rendere le superfici materiche del marmo e del bronzo, mentre per la struttura interna (originariamente forse composta di mattoni, legno e barre di metallo) è stato impiegato un supporto in alluminio facilmente assemblabile e rimovibile.
Il risultato finale permette di ammirare, in una magnifica illusione, il Colosso nel suo complesso, in cui si distinguono visivamente le “ricuciture” tra le parti rimaterializzate e le copie dei frammenti originali presenti nel cortile di Palazzo dei Conservatori.
Info:
Ingresso Piazzale Caffarelli, 2
Orari: Tutti i giorni dalle 9.30 fino alle 18.30
ingresso gratuito
060608 (tutti i giorni ore 9.00-19.00) – www.museicapitolini.org
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.
Franco Leggeri Fotoreportage-
Roma Capitale-CASTEL DI GUIDO-
GAR-Sessione di scavo Villa Romana delle Colonnacce-
Roma- 30 marzo 2017-Sabato 22 aprile dalle ore 9:00 alle ore 17:00-I Volontari del Gruppo Archeologico Romano saranno presenti a Castel di Guido, presso l’Azienda Agricola Comunale di Roma Capitale e OASI della LIPU, per condurre gli scavi nella Villa Romana delle Colonnacce.La Villa Romana è databile tra il III sec. a.C. e il III sec. d.C. ed è costituita da strutture sia di epoca repubblicana sia imperiale.
Foto di FRANCO LEGGERI per REDREPORT
Per ulteriori informazioni si prega di contattare la segreteria del GAR: Gruppo Archeologico Romano Via Contessa di Bertinoro 6, Roma Tel. 06/6385256 info@gruppoarcheologico.it
Descrizione della Villa Romana delle Colonnacce sono tratte da un saggio-lezione della Dott.ssa Daniela Rossi- Archeologa .
Castel di Guido- La Villa Romana è del II-III secolo d.C. è sita su di un pianoro all’interno dell’Azienda agricola comunale. La Villa ha strutture di epoca repubblicana che sono le più antiche e di epoca imperiale. La villa ha una zona produttiva di e la parte residenziale di epoca imperiale. La parte produttiva comprende l’aia o cortile coperto: il grande ambiente conserva le basi di tre sostegni per il tetto, mentre è stato asportato il pavimento, al centro si trova un pozzo circolare. Vi è una cisterna per la conservazione dell’acqua meteorica, all’interno della cisterna si trovano le basi dei pilastri che sorreggevano il soffitto a volta. A giudicare dallo spessore dei muri e dei contrafforti si può desumere che avesse un altezza di circa 5 metri. Nell’ambiente di lavoro si trovano un pozzo e la relativa condotta sotterranea. Torcular : sono due ambienti che ospitavano un impianto per la lavorazione del vino e dell’olio. Vi era un torchio collegato alle vasche di raccolta, mentre in un ambiente più basso vi era l’alloggiamento dei contrappesi del torchio medesimo ed una cucina con contenitori in terracotta di grandi dimensioni (dolii). La parte residenziale ha un atrio, cuore più antico dell’abitazione romana, in cui si conservava l’altare dei Lari, divinità protettrici della casa. Al centro vi è una vasca ( compluvio) in marmo in cui si raccoglieva l’acqua piovana che cadeva da un foro rettangolare sito nel tetto (impluvio). Sale da pranzo, forse triclinari , ampie e dotate di ricchi pavimenti e di belle decorazioni affrescate sulle pareti. Cubicoli, stanze da letto . Vi erano dei corridoi che consentivano il transito della servitù alle spalle delle grandi sale da pranzo senza disturbare i commensali o il riposo dei proprietari. Il Peristilio o giardino porticato: era l’ambiente più amato della casa, di solito con giardino centrale ed una fontana. Dodici colonne sostenevano il tetto del porticato, che spioveva verso la zona centrale. I volontari del GAR –Zona Aurelio , scavano con perizia e recuperano frammenti, “i cocci”, li puliscono,catalogano e , quindi, li trasportano nella sede di via Baldo degli Ubaldi dove vengono restaurati e conservati . Nel 1976 la Soprintendenza Archeologica di Roma recuperò preziosi mosaici e pregevoli pitture che sono ora esposti al pubblico nella sede del museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo. Se la Villa è visitabile e ben conservata lo si deve all’ottimo lavoro dell’Archeologo Dott.ssa Daniela Rossi che la si può definire “Ambasciatore e protettrice del Borgo romano di Lorium “.
N.B. Franco Leggeri:”La descrizione della Villa delle Colonnacce sono tratte da un saggio-lezione che la Dott.ssa Daniela Rossi ha tenuto nella sala grande del Castello nel Borgo di Castel di Guido il 18/04/09 .”
FOTO GALLERY -Villa Romana delle Colonnacce-Foto di Franco Leggeri
Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.GAR-Gruppo Archeologico RomanoVolontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.VILLA ROMANA DELLE COLONNACCEVILLA ROMANA DELLE COLONNACCEVolontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Arch. VALERIA GASPARI Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Volontari GAR scavo Villa Romana delle Colonnacce a Castel di Guido.Castel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-Visita Villa Romana delle ColonnacceVisita Villa Romana delle ColonnacceCastel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-Castel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-Castel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-Castel di Guido, Villa delle Colonnacce– 5 febbraio 2017-
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