Anselmo Pagani- Margherita Hack-La “Signora delle stelle”
Margherita Hack-La “Signora delle stelle” non poteva che vedere la luce in via delle Cento Stelle, a Firenze, città del Sommo Poeta che, per sottolineare come le tenebre infernali fossero ormai soltanto un brutto ricordo, tirò un sospiro di sollievo tanto profondo, che pare persino di udirlo, quando finalmente uscì “a riveder le stelle”.
Tuttavia, il filo che legò Margherita Hack, nata il 12 giugno del 1922, agli astri celesti non si ridusse ad un semplice gioco di parole, ma si concretizzò in un connubio destinato a durare per tutta la vita di questa donna che della libertà e della laicità fece i pilastri sui quali poggiare il suo incessante impegno per la promozione dei diritti civili, la tutela dell’ambiente e la cura degli animali.
Figlia di padre protestante e madre cattolica, fu instradata dai genitori, entrambi insoddisfatti delle religioni tradizionali, verso lo studio della teosofia, dottrina filosofico-religiosa che combina la conoscenza mistica con l’indagine scientifica, predicando il rispetto di tutti gli esseri viventi.
Diplomatasi al liceo classico nel 1940, nella sua città natale frequentò i corsi di fisica laureandosi nel 1945 con una tesi sulle Cefeidi, un particolare tipo di stelle da lei lungamente studiate presso l’Osservatorio di Arcetri, dove Margherita ebbe modo di respirare la stessa aria che fu di Galileo, la cui eredità avrebbe enormemente influenzato il suo lavoro.
Sposatasi con Aldo De Rosa, al quale sarebbe rimasta legata per oltre settant’anni, nel 1951 si trasferì a Milano, presso la cui Università vinse un concorso come assistente, iniziando a lavorare all’Osservatorio di Merate, dove a quei tempi si trovava il secondo più grande telescopio d’Italia.
Grazie ai suoi oltre 250 scritti d’astrofisica e radioastronomia, oltre che alle sempre più frequenti collaborazioni con le principali Università del mondo, la Hack a poco a poco si guadagnò una fama planetaria e nel 1964 divenne la prima donna in Italia a dirigere un Osservatorio: quello di Trieste.
I suoi studi sono a tutt’oggi considerati una pietra miliare non solo per la misurazione della distanza degli infiniti spazi interstellari, ma anche per lo sviluppo dell’astronomia a raggi ultravioletti, grazie ai quali è possibile osservare fenomeni altrimenti invisibili quali la nascita e la morte delle stelle.
Oltreché validissima scienziata, Margherita fu anche una grande sportiva che in gioventù giocò a pallacanestro ed eccelse in atletica leggera (specialmente nel salto in alto e in lungo), mentre per tutta la vita sarebbe rimasta un’accesissima tifosa della Fiorentina.
Strenua paladina dei diritti civili, quando ancora di queste tematiche si discuteva sottovoce, si espose in diverse occasioni a chiare lettere in favore dell’eutanasia e dei diritti delle persone omosessuali, affermando fra l’altro che: “E’ un grande segno d’ignoranza discriminare i diversi e non capire che siamo tutti uguali. Il Parlamento dovrebbe avere la capacità di far rispettare la Costituzione, che di per sé garantisce la piena uguaglianza”.
Lo scorso anno, in occasione del centenario della nascita, il Comune di Milano le ha dedicato una statua bronzea che la raffigura in un atto a lei caro, quello di mimare l’osservazione delle stelle con un cannocchiale.
Margherita Hack, scienziata, donna libera e pioniera di tante battaglie non violente ci ha lasciati dieci anni or sono, il 29 giugno del 2013, ma la sua eredità ancora ci accompagna, indicandoci il cammino verso la piena promozione dei diritti civili che, dopo tutto, rimane quello illuminato dalle stelle.
Biografia di Liliane Wouters (1)-(Ixelles, 1930 – 2016).Poetessa, drammaturga, antologista e traduttrice belga (soprattutto di testi fiamminghi), membro dell’Académie de langue et littérature françaises de Belgique. La sua carriera poetica inizia grazie a Roger Bodart, al quale invia il manoscritto de La Marche forcée, che diventerà la sua prima raccolta di poesie (Éd. des Artistes, Georges Houyoux, 1956). A questa seguiranno, tra le altre, Le Bois sec (Gallimard, 1960), Le Gel (Pierre Seghers, 1966), L’Aloès (Luneau-Ascot, 1983) e l’ultima Trois visage de l’écrit (Espace Nord, 2016). La sua opera teatrale più conosciuta, La salle des profs, è una riflessione arguta e al contempo tenera sul mestiere dell’insegnante, mestiere esercitato dalla Wouters per oltre trent’anni. Grande rilevanza rivestono, inoltre, le antologie da lei curate di poesia belga, sia di lingua francese (con Alain Bosquet e Yves Namur) sia di lingua fiamminga. Tra i tanti riconoscimenti ricevuti, ricordiamo il premio Goncourt de la poésie (2000).
Si nasce soli
Si nasce soli e soli anche si muore.
Si dorme soli in letti condivisi.
Soli si mangia pane di poesia.
Soli con noi ci si trova stranieri.
Soli a sognare graviti lo spazio,
soli a sentire l’io di carne e sangue,
soli a voler trattenere l’istante,
a passare senza voler passare.
(da L’aloe, 1983)
Come dirlo semplicemente
Come dirlo semplicemente
sui miliardi di istanti della nostra vita
quasi tutti sono bolle
che scoppiano subito
Altri – ben pochi – durano per sempre
presi nel fiume che ci porta
sono già l’eternità
Gli istanti in cui
ci si può sentire vicini
agli alberi, agli uccelli
e agli uomini, talvolta
Gli istanti meravigliosi
in cui si crede di essere in sintonia
con l’universo intero
e – forse – con Dio
(da Gli ultimi fuochi sulla terra, 2014)
Per vivere
Per vivere, bisogna piantare un albero fare un figlio, costruire una casa. Io ho soltanto guardato l’acqua che passa dicendo che tutto scorre. Io ho soltanto cercato il fuoco che brucia dicendo che tutto si consuma. Io ho soltanto seguito il vento che fugge dicendo che tutto si disperde. Io non ho seminato nulla nella terra che riposa e ci dice: ti aspetto.
Liliane Wouters – due poesie Traduzione di Gabriele Belletti
1.
Pas rien, pas rien, le petit vent de l’aube,
le petit rose du petit matin,
changé en pourpre, en noir, en nuit de taupe.
Je suis la taupe et le ciel est lointain.
Pas rien, pas rien, les flaques sur la plage,
la dune blonde et la blonde clarté,
la mer sans fin et les vagues sans âge.
Nous n’y aurons dansé qu’un seul été.
Pas rien, pas rien, même si l’on décompte
les vaches maigres, les années de chien.
J’aurai vécu tel jour, telle seconde.
C’était trop peu, mais ce ne fut pas rien.
*
Quale nulla, quale nulla, il venticello dell’alba,
l’incerto rosa di primo mattino,
mutato in porpora, in nero, in notte di talpa.
Io sono la talpa e il cielo mai è vicino.
Quale nulla, quale nulla, le pozze sulla spiaggia,
la duna bionda e la bionda visione,
il mare senza fine dall’onda fatta saggia.
Lì la nostra danza di un’unica stagione.
Quale nulla, quale nulla, anche se nascondo
le vacche magre, gli anni da cani.
Avrò vissuto quel giorno, quel secondo.
Sempre pochi furono, ma mai furono vani.
[da L’Aloès, “L’Aloe”, Paris, Luneau-Ascot,1983]
2.
Le bois sec
Brûler Je songe à ma cendre
quand m’appellent des forêts
Ô feux Mais à leur voix tendre
répond votre chant secret
Je suis né pour cette fête
barbare ces rites purs
ce mortel assaut de bêtes
contre le défi des murs
J’aime la gloire soudaine
des flammes j’aime le bref
sursaut de passion de haine
du feu saluant son chef
Brûler Mon sang me calcine
Pas un coin de chair ombreux
Et si pourtant mes racines
trouvaient un sol généreux
un peu d’eau de sel Le sable
d’où je sors verrait des fruits
Non De cette paix durable
la fin seule me séduit
Je ne porte ni lumière
ni chaleur en mon corps mais
ce n’est qu’au centre des pierres
qu’on trouve un feu qui dormait
Verdoyez branches dociles
aux commandements des dieux
Je montre mon bois fossile
C’est lui qui flambe le mieux.
*
Il bosco secco
Bruciare Penso alla mia cenere
quando mi chiamano dei boschi
O fuochi Ma alle loro voci tenere
rispondono i vostri canti foschi
Io sono nato per questa festa
barbara questi riti puri
questo mortale assalto di bestia
contro la sfida dei muri
Amo la gloria immediata
delle fiamme amo il lesto
sussulto di passion crociata
del fuoco in onor del suo maestro
Bruciare Il mio sangue mi ustiona
Nessun angolo di carne ombroso
E se nonostante ciò il mio rizoma
trovasse un terreno generoso
un po’ d’acqua di sale La rena
da cui esco vedrebbe frutto
No Di questa pace cantilena
io voglio portare il lutto
Io non porto né lucentezza
né calore nel mio corpo tuttavia
è solo al centro della pietra grezza
che si trova un fuoco in prigionia
Verdeggiate rami docili
ai comandamenti degli dei
Io mostro il mio bosco fossile
Lui brucia come io vorrei.
Carteggi Letterari -[da Le Bois sec, “Il Bosco secco”, Paris, Gallimard, 1960]
Biografia di Liliane Wouters (1)-(Ixelles, 1930 – 2016).Poetessa, drammaturga, antologista e traduttrice belga (soprattutto di testi fiamminghi), membro dell’Académie de langue et littérature françaises de Belgique. La sua carriera poetica inizia grazie a Roger Bodart, al quale invia il manoscritto de La Marche forcée, che diventerà la sua prima raccolta di poesie (Éd. des Artistes, Georges Houyoux, 1956). A questa seguiranno, tra le altre, Le Bois sec (Gallimard, 1960), Le Gel (Pierre Seghers, 1966), L’Aloès (Luneau-Ascot, 1983) e l’ultima Trois visage de l’écrit (Espace Nord, 2016). La sua opera teatrale più conosciuta, La salle des profs, è una riflessione arguta e al contempo tenera sul mestiere dell’insegnante, mestiere esercitato dalla Wouters per oltre trent’anni. Grande rilevanza rivestono, inoltre, le antologie da lei curate di poesia belga, sia di lingua francese (con Alain Bosquet e Yves Namur) sia di lingua fiamminga. Tra i tanti riconoscimenti ricevuti, ricordiamo il premio Goncourt de la poésie (2000).
Breve biografia di Amalia Guglielminetti, poetessa e scrittrice. (Torino, 4 aprile 1881 – Torino, 4 dicembre 1941) -Appartenente alla piccola borghesia industriale, ricevette un’educazione rigidamente cattolica per volere del nonno, uomo dai costumi molto austeri e acceso clericale.
Una voce
Una voce nell’ombra ha qualche volta
la morbidezza calda d’una cosa
tangibile. Non s’ode e non s’ascolta,
ma sul cuor che l’accoglie quasi posa
le sue parole ad una ad una come,
quando langue, le sue foglie una rosa.
Se invoca piano, in ansia, un caro nome
par che vi tremi il mal represso ardore
d’un bacio non osato fra le chiome.
E di soverchia intensità essa muore
soffocata ed il pianto che l’assale
sembra il principio dolce dell’amore
ed è l’inizio acerbo del suo male.
*
Le seduzioni
Colei che ha gli occhi aperti ad ogni luce
e comprende ogni grazia di parola
vive di tutto ciò che la seduce.
Io vado attenta, perchè vado sola,
e il mio sogno che sa goder di tutto,
se sono un poco triste mi consola.
In succo io ho spremuto ogni buon frutto,
ma non mi volli sazïare e ancora
nessun mio desiderio andò distrutto.
Perciò, pronta al fervor, l’anima adora
per la sua gioia, senza attender doni,
e come un razzo in ciel notturno ogni ora
mi sboccia un riso di seduzïoni.
*
Vortice
Noi ci fissammo, con un folgorio
d’occhi tenace. Io so che in quel momento
il cuore ti tremò del tremor mio.
Eravamo seduti con il mento
nella mano, in un’ombra di veranda,
in qual tempo, in qual giorno, io non rammento.
Rammento che giungeva a ondate, blanda,
una lontana musica e che spesso
ripeteva un motivo di domanda.
A un tratto ci trovammo così presso
da provarne vertigini, e smarriti
impallidimmo del pallore stesso
come su un buio vortice che inviti.
*
Pallore
Oggi mi trovi pallida, ma sai
che un poco sempre io son pallida. È strano
come il mio volto non s’accenda mai.
Solo la bocca un fior di melagrano
sboccia sotto il tuo bacio, e il cuore pulsa,
– oh così forte! – sotto la tua mano.
Ma goda o soffra l’anima convulsa,
il marmo della fronte non confessa
gioia di amore o strazio di ripulsa.
Quanto più sfatta io piego su me stessa,
più s’impietra la maschera del volto.
Ma quando cedo dall’angoscia oppressa,
piango non vista il mio pianto raccolto.
*
L’etèra
Io t’ho seguita, sotto i primi lumi
rossastri d’una sera cittadina,
pallida etèra grave di profumi.
E parvi la falena che s’ostina
intorno ad una lampada notturna,
sempre più attratta e sempre più vicina.
Curiosità di male, taciturna,
mi trascinò nell’orbita di quella
ch’era del male più goduto l’urna.
Colei che attira asseta arde e flagella,
l’ombre accendeva di sua rossa chioma,
e molle andando, alla falena snella
vampava della sua carne l’aroma.
*
Asprezze
Aspra son io come quel vento vivo
di marzo, il quale par crudo di geli
ma discioglie la neve su pel clivo.
Vento di marzo che agita gli steli
pigri, scopre vïole in mezzo all’erba,
scompiglia erranti nuvole pei cieli.
Asprigna io sono e rido un poco acerba.
Mordere più che accarezzar mi piace
ed apparir più che non sia superba.
Come il vento di marzo io non do pace.
Godo sferzare ogni anima sopita,
e trarne l’ire a un impeto vivace
per sentirla vibrar fra le mie dita.
*
La solitudine
Siamo soli nel mondo: ciascun vive in mezzo a un deserto.
Nulla per noi è certo fuorchè questo vuoto profondo.
E i contigüi casi degli uomini, e i sogni e le cose
son come ombre fumose vanenti su torbidi occasi.
Talvolta amor mezzano avvicina due solitari,
li illude un’ora e ignari e ignoti li avventa lontano.
Ciascun ch’ami il suo orgoglio la sua verità o il suo errore
è un mesto viaggiatore superstite sopra uno scoglio.
S’illude egli alle prime carezze dell’onde e del vento,
ma tosto lo sgomento dello spazio enorme l’opprime.
Né v’ha cosa più triste della non colmabil lacuna,
dell’ombra che s’aduna fosca fra chi esiste e chi esiste.
*
Sera di vento
Dolce salire nella chiara sera,
sola col vento che m’abbraccia, folle
più d’ogni amor, la strada erta del colle
fra un presagio lontan di primavera.
Dolce, s’io pur di un’ironia leggiera
mi punga, come chi desto da un molle
sogno, se quasi già doler si volle,
ride di sua stoltezza passeggiera.
O breve inganno, io ben di te mi spoglio.
Fatta serena, del destino il gioco
senza umiltà io seguo e senza orgoglio.
Ma mi figuro d’avanzar guardinga
e curiosa, per gioir fra poco
d’altra menzogna bella di lusinga.
*
La malinconia
Dentro le vene la malinconia
s’insinua, ed è un morbo sonnolento
cui giova non trovar medicamento,
uno stupor di morbida follìa.
Il desiderio più tenace svia,
smemora del più intenso sentimento,
quasi vapori un greve incantamento
d’oppio, in cui goda più chi più s’oblìa.
Essa è come un giaciglio, ove un’inerte
stanchezza ci abbandoni svigorite,
con le treccie disciolte e a braccia aperte.
Ed ha il torpor d’alcune notti estive,
in cui ci s’addormenta indolenzite
dallo spasimo oscuro d’esser vive.
*
L’antico pianto
Quindi prosegua per cammini ombrosi,
a fior di labbro modulando un canto
che per me l’altra notte mi composi.
Poichè talor non piango io il mio pianto,
lo canto, e qualche mia triste canzone
fu come il sangue del mio cuore infranto.
Tempo fu che le mie forze più buone
stremai in canti a’ piedi d’un Signore
che m’arse di ben vana passïone.
Io piangevo così note d’amore,
come la cieca in sul quadrivio, volta
al sole, canta il suo buio dolore
e non s’avvede che nessun l’ascolta.
*
Breve biografia di Amalia Guglielminetti, poetessa e scrittrice. (Torino, 4 aprile 1881 – Torino, 4 dicembre 1941) -Appartenente alla piccola borghesia industriale, ricevette un’educazione rigidamente cattolica per volere del nonno, uomo dai costumi molto austeri e acceso clericale.
La prima collaborazione letteraria di Amalia risale al 1901, quando iniziò a pubblicare le sue poesie sul supplemento domenicale della “Gazzetta del popolo”. Erano versi scolastici e di maniera, nei quali l’autrice non aveva ancora maturato moduli espressivi propri e originali; in tal senso bisognerà attendere il 1907, anno della pubblicazione di “Le vergini folli”. La silloge fu molto ben accolta dal pubblico e soprattutto dalla critica: Arturo Graf ne lodò l’impronta innovativa e il felice connubio di spontaneità e qualità; Dino Mantovani paragonò Amalia a Saffo e a Gaspara Stampa. Più sottile fu il giudizio di Guido Gozzano (con cui la poetessa ebbe una intensa relazione amorosa), che ravvisò nell’opera una sensibile dipendenza dai canoni dannunziani e l’espressione di un’anima “un poco amara, un poco inferma”.
Nella poesia di Amalia, infatti, c’è una malinconia soffusa, come un alone di nebbia che ammanta ogni cosa. Perfino guardando la bellezza di un fiore, i suoi occhi la vedono già appassita; quasi come se l’anima, ormai ammalata di disinganno, non sapesse fare a meno di strappare il velo e guardare oltre, per cogliere tutto il male che si cela dietro gli incanti e le dolcezze.
Con gli anni, la sua scrittura si svincolò progressivamente dalle influenze dannunziane, acquistando in forza e profondità; i versi si fecero più concisi, lo stile più essenziale, l’uso degli aggettivi sempre più limitato. Negli anni Trenta, Amalia fu per qualche tempo a Roma, dove tentò la via del giornalismo ma senza il successo sperato.
Nel 1937 tornò nella sua città natale, dove visse in solitudine gli ultimi anni della sua vita. Nel 1941, durante un bombardamento, cadde dalle scale mentre correva al rifugio antiaereo, procurandosi una brutta ferita che causò la sua morte per setticemia. E’ sepolta al Cimitero Monumentale di Torino.
Ha lasciato diverse opere degne di interesse fra raccolte poetiche, fiabe, romanzi e lavori teatrali. Di recente, la casa editrice Bietti ha ripubblicato le sue poesie e gli scambi epistolari con Guido Gozzano, di cui sono state successivamente realizzate anche versioni digitali.
a cura di Donatella Pezzino
Fonti:
– Amalia Guglielminetti, Le vergini folli, Torino-Roma, Società Tip. Ed. Nazionale, 1907
– Amalia Guglielminetti, Le seduzioni, Torino, S. Lattes e C., 1909
– Amalia Guglielminetti, I serpenti di Medusa, Milano, La Prora, 1934
Marina Cvetaeva nacque a Mosca il 26 settembre (9 ottobre) 1892, figlia di Ivan Vladimirovič Cvetaev (1847-1913, filologo e storico dell’arte, creatore e direttore del Museo Rumjancev, oggi Museo Puškin) e della sua seconda moglie, Marija Mejn, pianista di talento, polacca per parte di madre.
Ecco ancora una finestra, dove ancora non dormono. Forse – bevono vino, forse – siedono così. O semplicemente – le due mani non staccano. In ogni casa, amico, c’è una finestra così.
Non candele o lampade hanno acceso il buio: ma gli occhi insonni!
Grido di distacchi e d’incontri: tu, finestra nella notte! Forse, centinaia di candele, forse, tre candele… Non c’è, non c’è per la mia mente quiete. Anche nella mia casa è entrata una cosa come questa.
Prega, amico, per la casa insonne, per la finestra con la luce.
Fonte-Officinapoesia Nuovi Argomenti
Breve biografia di Marina Cvetaeva nacque a Mosca il 26 settembre (9 ottobre) 1892, figlia di Ivan Vladimirovič Cvetaev (1847-1913, filologo e storico dell’arte, creatore e direttore del Museo Rumjancev, oggi Museo Puškin) e della sua seconda moglie, Marija Mejn, pianista di talento, polacca per parte di madre. Nel 1910 pubblicò Večernij al’bom (Album serale): poesie scritte dai quindici ai diciassette anni. Il volumetto attirò l’attenzione di poeti come Brjusov, Gumilëv, Vološin. Nella dacia di quest’ultimo, a Koktebel’, in Crimea, Marina incontrò per la prima volta (1911) Sergej Jakovlevič Efron, di origini ebraiche. L’anno successivo Marina lo sposò; di lì a poco comparve la sua seconda raccolta Volšebnyj fonar’ (Lanterna magica) e nel 1913 Iz dvuch knig (Da due libri). Intanto, il 5 settembre 1912, era nata la prima figlia, Ariadna (Alja). Agli inizi del 1916, dopo un viaggio a Pietroburgo si rafforzò l’amicizia con Osip Mandel’štam e si ruppe bruscamente il rapporto amoroso che per circa due anni l’aveva legata alla poetessa Sofija Parnok. Dopo l’ottobre 1917 il marito raggiunse l’esercito dei Bianchi, e la Cvetaeva restò bloccata a Mosca dalla guerra civile. Fra terribili privazioni e lutti (nel febbraio 1920 morì di denutrizione Irina, la figlia nata nel 1917), continuò a scrivere e a mantenere rapporti con il mondo letterario e artistico. Dal 1918 al 1919, nel periodo della sua amicizia con gli attori del II studio del Teatro d’Arte di Mosca, lavorò alle pièces del ciclo “romantico” Metel’ (La tormenta), Feniks (La fenice), Priključenie (Un’avventura), Fortuna, Červonnyj valet (Il fante di cuori), Kamennyj angel (L’angelo di pietra). Nel 1920 scrisse il poema-fiaba Car’devica (Lo Zar-fanciulla) e Lebedinyj stan (L’accampamento dei cigni), un ciclo lirico sull’Armata Bianca. Nel luglio 1921 ebbe per la prima volta la notizia che il marito era vivo e aveva trovato asilo in Boemia. Nel maggio dell’anno successivo lasciò con la figlia l’URSS per Berlino (qui ebbe inizio il lungo e intenso legame epistolare con Boris Pasternak); nell’agosto 1922 la famiglia Efron si stabilì in Boemia, dove visse fino al 1925, tra difficoltà finanziarie, separazioni e continui trasferimenti. Intanto la fama della Cvetaeva si era andata consolidando: nel 1922 erano state pubblicate a Mosca la raccolta Verste (1) e la pièce Konec Kazanovy (La fine di Casanova); a Berlino Stichi k Bloku (Poesie per Blok) e Razluka (Separazione); nel 1923, sempre a Berlino, avevano visto la luce le raccolte Remeslo (Mestiere) e Psicheja (Psiche). Nel 1924, anno in cui nacquero gli splendidi Poema della montagna e il Poema della fine, aveva pubblicato Ariadna (Arianna), prima parte di una progettata trilogia di tragedie in versi, e il poema Mólodec (Il prode). Con queste e altre opere (fra l’altro il poema Krysolov, L’accalappiatopi, 1925 e la tragedia Fedra, 1928) la Cvetaeva era divenuta un’assidua collaboratrice delle riviste dell’emigrazione russa, tra Berlino, Praga, Parigi. In quest’ultima città si trasferì nel novembre 1925 con Alja e Georgij, il bambino nato nel febbraio di quell’anno, e lì la raggiunse il marito. Il carattere intransigente e altero della Cvetaeva, aliena dal viscerale antisovietismo della maggioranza degli immigrati, creò gradatamente intorno a lei una pesante atmosfera di ostilità. L’ultima sua raccolta di versi, Posle Rossii (Dopo la Russia) vide la luce a Parigi nel 1928. Negli anni Trenta la Cvetaeva pubblicò quasi esclusivamente prose: saggi critici e critico-memorialistici, racconti “autobiografici” condotti sul doppio filo dell’invenzione e della memoria. All’inizio del 1937 Ariadna, fervente sostenitrice delle idee del padre, nel frattempo entrato in un’associazione che favoriva il ritorno in patria degli esuli russi, partì per l’Unione Sovietica. Nel settembre dello stesso anno Sergej Efron fu coinvolto in un clamoroso caso politico-spionistico: l’assassino di un ufficiale della polizia politica segreta sovietica che all’estero aveva disertato. Poco più tardi Efron scomparve dalla Francia. Sottoposta a un ormai violento ostracismo da parte della colonia russa, sconvolta dalle prime imprese europee del nazismo, sollecitata dalle insistenze del figlio, anche la Cvetaeva lasciò la Francia nel giugno 1939. A Mosca la attendevano nuove e terribili prove (Alja venne arrestata nel novembre ’39: dopo lager e confino, poté tornare a Mosca solo nel ’55; Efron, arrestato quasi contemporaneamente alla figlia, venne fucilato nell’agosto ’41), nuove privazioni, acuite dalle difficoltà del periodo prebellico. Aiutata da pochissimi amici fedeli, sopravvisse grazie a sporadici lavori di traduzione. Seguendo l’ondata dell’evacuazione, il 21 agosto del 1941 la Cvetaeva raggiunse con il figlio Elabuga, capitale della Repubblica autonoma socialista tatara, dove dieci giorni più tardi si sarebbe suicidata.
Renée Vivien, pseudonimo di Pauline Tarn (Londra, 11 giugno 1877 – Parigi, 18 novembre 1909), è stata una poetessa britannica che scrisse in francese, soprannominata “Saffo 1900”. Si trasferì giovanissima in Francia. Lì venne a contatto con l’ambiente articonformista parigino. La Vivien era apertamente lesbica, viveva lussuosamente e amava viaggiare. Morì a trentadue anni a causa di una pleurite contratta a Londra, ma le sue condizioni erano già deboli e precarie a causa di continui digiuni..La Tarn aderì ai modi del Simbolismo, Parnassianesimo e fu anzi fra gli ultimi poeti ad aderire a tale scuola.
Somiglianza inquietante
Ho visto sulla tua fronte bassa il fascino del serpente. Le tue labbra hanno inumidito il sangue di una ferita, e qualcosa dentro mi disgusta e si pente mentre il tuo freddo bacio mi punge con un morso.
Uno sguardo da vipera è nei tuoi occhi socchiusi, e la tua testa furtiva e piatta si raddrizza più minacciosa dopo il languore del riposo. Ho sentito il veleno in fondo alla tua carezza.
Duranti i giorni d’inverno nervosi e ghiacciati, tu sogni i tepori di profonde vallate, e ci si immagina, al vedere il tuo lungo corpo ondulato, delle scaglie d’oro lentamente spiegate.
Ti odio, ma la tua plastica e luminosa bellezza mi prende e m’affascina e m’attira senza fine, e il mio cuore, pieno di spavento davanti alla tua crudeltà, ti disprezza e t’adora, o Rettile e Dea
Versi d’amore
Tu conservi negli occhi la voluttà delle notti, o gioia inaspettata al termine delle solitudini! Il tuo bacio è come il sapore dei frutti e la tua voce fa sognare meravigliosi preludi mormorati dal mare nella bellezza delle notti.
Tu porti sulla fronte il languore e l’ebbrezza, i giuramenti eterni e le confessioni d’amore, sembri evocare la timida carezza il cui ardore trafuga la luminosità del giorno e ti lascia sulla fronte l’ebbrezza e il languore
I solitari
Coloro che hanno per mantello lenzuoli funerari provano la voluttà divina di essere solitari. La loro castità ha pena dell’ebbrezza delle coppie della stretta di mano, dei passi dal ritmo lieve. Coloro che nascondono la fronte nei lenzuoli funerari sanno la voluttà divina di essere solitari. Contemplano l’aurora e l’aspetto della vita senza orrore, e chi li compatisce prova invidia. Coloro che cercano la pace della sera e dei lenzuoli funerari conoscono la spaventosa ebbrezza di essere solitari. Sono i beneamati della sera e del mistero. Ascoltano nascere le rose sottoterra e percepiscono l’eco dei colori, il riflesso dei suoni… Si muovo in un’atmosfera grigio-viola. Gustano il sapore del vento e della notte, hanno occhi più belli delle torce funerarie.
La poesia di Renée Vivien fu per molti motivi celata, ancora oggi è sconosciuta, e proprio per questo motivo è interessante scoprirla e apprezzarla. Vivien scrisse del suo amore omosessuale per Natalie Clifford Barney, condannò nei suoi versi certi schemi patriarcali e maschilisti, creò addirittura un salotto letterario di sole donne in risposta all’Accademia francese che ne escludeva la partecipazione. Della sua poesia tradotta in italiano non abbiamo moltissimo, ma ricordiamo Cenere e polvere, a cura di Teresa Campi.Nella Parigi di inizio Novecento, venticinque secoli dopo Saffo, in una città mondana e libertina, tra i pizzi delle gonne al Moulin Rouge e i cocktail “al vetriolo” serviti nei salotti, una poetessa sfidò il suo tempo, scrivendo versi appassionati sull’amore e sulle donne.
Il suo nome era Pauline Mary Tarn (1877-1909), meglio conosciuta come Renée Vivien, una “figlia di Baudelaire”, come fu definita, che mise fine alla sua vita troppo presto, a soli trentadue anni.
Riportata in auge dal femminismo degli anni Settanta come una pioniera del canto lesbico, è ora considerata una delle voci più autorevoli del simbolismo francese. Al di là di ogni vivisezione psicoanalitica, che la tratteggia come anoressica, masochista, amante della Morte a discapito della Vita, la provocazione di Renée Vivien ha ancora molto da dire a favore del canto poetico inteso come “panico del suono”.
Teresa Campi, la prima studiosa italiana di Renée Vivien, restituisce finalmente un ritratto sincero di questa straordinaria donna presentandola non più come una figura misteriosa e “depravata” ma anzi come un personaggio appassionato, sullo sfondo dell’atmosfera dorata dei salotti e cenacoli delle jeunes filles de la Societé Future tra cui spiccava l’americana Natalie Clifford Barney, ricca e spavalda amante di Renée.
Il loro legame, tanto sulfureo quanto doloroso, divenne il perno centrale dei delicatissimi e mistici versi della poetessa. Eccentrica e scandalosa, ma anche colta e raffinata, la “Musa delle violette” ci ha lasciato parole appassionate e tempestose, che continuano a risuonare nel tempo.
“Mi hanno segnata a dito con un gesto stizzito perché il mio sguardo ti cercava teneramente, e vedendoci passare nessuno ha capito che io ti avevo scelta semplicemente. Osserva la vile legge che io trasgredisco e giudica il mio amore, che non conosce il male”.
– Renée Vivien
La Tarn aderì ai modi del Simbolismo, Parnassianesimo e fu anzi fra gli ultimi poeti ad aderire a tale scuola. Una donna dichiaratamente lesbica di alto profilo, nella Parigi della Belle Époque.
Scrisse sia versi che prose poetiche, utilizzando anche lo pseudonimo di Paule Riversdale[2] nelle opere composte in collaborazione con Hélène van Zuylen van Nyevelt.
Biografia
(FR)«Voici la nuit: je vais ensevelir mes morts,
Mes songes, mes désirs, mes douleurs, mes remords,
Tout le passé… Je vais ensevelir mes morts.»
(IT)«Ecco la notte: sto per seppellire i miei morti,
i miei sogni, i miei desideri, i miei dolori, i miei rimorsi,
tutto il passato… Sto per seppellire i miei morti»
Nell’ambiente “bohémien” parigino il suo stile di vita e il suo modo di vestire erano altrettanto noti dei suoi versi: viveva lussuosamente, era apertamente lesbica, e aveva una relazione con l’ereditiera e scrittrice statunitenseNatalie Clifford Barney. Ebbe inoltre per tutta la vita una passione per una sua amica intima d’infanzia, Violet Shillito, che però rimase sempre sul piano platonico.
Vivien era colta ed aveva viaggiato molto. Aveva passato un inverno in Egitto, visitato la Cina ed esplorato l’Europa e gli USA. I suoi contemporanei la considerarono bella ed elegante, grazie anche ai capelli biondi e agli occhi scuri con riflessi dorati. I digiuni protratti (un’abitudine che avrebbe poi contribuito alla sua morte) l’avevano resa anche relativamente magra.
Viveva lussuosamente a Parigi, in un elegante appartamento a piano terra che si apriva su un giardino alla giapponese. La sua casa era piena di mobili ed opere d’arte provenienti dal lontano Oriente. Inoltre, amava i fiori freschi.
Renée Vivien romanzò la morte e, in una sua visita a Londra nel 1908, profondamente abbattuta e oberata dai debiti, tentò il suicidio ingerendo una quantità eccessiva di laudano. Si distese sul divano, tenendo un mazzo di violette sul cuore. Il tentativo di suicidio fallì, ma in Inghilterra contrasse la pleurite e tornò a Parigi considerevolmente indebolita, tanto da essere costretta a camminare con un bastone.
Morì il 18 novembre 1909, all’età di 32 anni, a causa della pleurite e dell’indebolimento fisico dovuto ai frequenti digiuni. La sua morte fu riportata a quel tempo come suicidio, ma fu probabilmente il risultato di un’anoressia nervosa aggravata dalla pleurite e dall’alcolismo. Fu seppellita al cimitero di Passy, nell’esclusivo sobborgo parigino.
Durante la sua breve vita, Renée Vivien fu conosciuta anche come la “Musa delle violette”, soprannome dovuto al suo amore per questo fiore, richiamo al suo amore d’infanzia, Violet Shillito.
Molti dei suoi versi sono velatamente autobiografici e scritti in francese, e la maggior parte di essi non è mai stata tradotta in inglese, sua lingua madre.
La sua poesia fu largamente apprezzata, così come le opere di Natalie Clifford Barney, grazie alla contemporanea riscoperta delle opere di Saffo, l’antica poetessa greca, anch’essa notoriamente lesbica.
Opere
Études et préludes (1901), raccolta di poesie.
Cenere e polvere, a cura di Teresa Campi, Roma 1981 (traduzione italiana di: Cendres et poussières (1902), raccolta di poesie).
Brumes de Fjords, (1902), prosa poetica; i critici la salutarono come “il più grande poeta dell’anno;
Évocations (1903), raccolta di traduzioni moderne e adattamenti di testi di Saffo,
Du vert au violet (1903), prosa poetica, la prima a firma Renée Vivien
Une femme m’apparut (1904), romanzo autobiografico.
La dame à la louve (1904), racconti.
Les Kitarèdes (1904), traduzioni moderne di otto poetesse greche.
La Vénus des aveugles (1904), raccolta di poesie.
Donna m’apparve, a cura di Teresa Campi, Roma 1989 (traduzione italiana di: Une femme m’apparut (1905), nuova versione del suo romanzo autobiografico).
À l’heure des mains jointes (1906), raccolta di poesie.
Flambeaux éteints (1907), raccolta di poesie.
Chansons pour mon ombre (1907), antologia poetica.
Varie prose ironiche e satiriche (1907).
L’Album de Sylvestre (1908), volume d’aforismi.
Sillages (1908), raccolta di poesie di prosa poetica.
Anne Boleyn (1909), biografia.
Antologie di poesie e di prose, rimaneggiate (1909).
Dans un coin de violettes, raccolta postuma di poesie.
Le Vent des vaisseaux, raccolta postuma di poesie.
Haillons, raccolta postuma di poesie.
Une Femme m’apparut…, a cura di Patrizia Lo Verde, « I Miti Rivisitati », Collana di Testi in Edizione Critica diretta da Maria Teresa Puleio, Cuecm, 2004 (edizione integrale della prima versione originale pubblicata a Parigi da A. Lemerre il 27 febbraio 1904).
Note
^ Cettina Calò, L’urlo delle viole, in Il Foglio quotidiano, Anno XXVIII numero 89, 15/16 aprile 2023, p. 12.
Chiara Gagliano, Cinque poesie di Renée Vivien, su Almanacco de Lo Spazio Letterario, 27 aprile 2022. URL consultato l’8 settembre 2023 (archiviato l’8 settembre 2023).
Teresa Campi, Sul ritmo saffico. La vita e le opere di Renée Vivien, Bulzoni, Roma 1983.
André Germain, Renée Vivien, Crés, Paris 1917.
Jean-Paul Goujon, Renée Vivien à Mytilene, Edition à l’écart, Reims 1978.
Jean-Paul Goujon, Tes blessures sont plus douces que leurs caresses, Deforges, Paris 1986, ISBN 2-905538-15-5
Karla Jay, The amazon and the page. Natalie Clifford Barney and Renée Vivien, Indiana University Pres, Bloomington, Ind. 1988, ISBN 0-253-30408-3
Paul Lorenz, Sapho 1900. Renée Vivien, Julliard, Paris 1977.
Maria Gabriella Adamo, « “…une prosodie mystérieuse et méconnue”. Note su una traduzione italiana di Renée Vivien », in Giovanna BELLATI – Graziano BENELLI – Paola PAISSA – Chiara PREITE (éd.), « Un paysage choisi » – Mélanges de linguistique française offerts à Leo Schena, Turin, L’Harmattan Italia, 2007, pp. 21-35.
Patrizia Lo Verde, « Une Femme m’apparut… ou de l’hybridation générique », dans Renée Vivien à rebours, études pour un centenaire, sous la direction de Nicole G. Albert, Paris, Orizons, 2009, pp. 119-127.
“Poesie in prosa”, introduzione e traduzione di Mariella Soldo, Bari, LiberAria Edizioni, 2011.
Patrizia Lo Verde, « Nota aggiornata su Une Femme m’apparut… di Renée Vivien », Studia Universitatis Babeș-Bolyai Philologia, 4/2022, pp. 379-393.
Gabriela Mistral: Le poesie più belle della poetessa cilena-
-Premio Nobel per la Letteratura nel 1945-
Breve biografia di Gabriela Mistral-Lucila de María del Perpetuo Socorro Godoy Alcayaga, passata alla storia con il nome d’arte di Gabriela Mistral, nasce il 7 aprile 1889 a Vicuna, Cile del nord. La sua vita si rivela piena di complicazioni fin dall’infanzia: il padre Jeronimo Godoy Alcayaga Villanueva abbandona lei, la madre Petronila e la sorella Emelina quando Lucila ha appena 3 anni. Si trova quindi fin da subito a dover combattere una condizione di estrema povertà ma ciò nonostante, le difficoltà che deve affrontare nel quotidiano sembrano non riuscire ad affievolire la sua predisposizione per lo studio, per la letteratura e per la scrittura. I suoi testi sono avanguardisti, Lucila si schiera per l’istruzione gratis e la parità dei diritti, posizioni moderne che qualche anno più tardi le costeranno il rifiuto della sua domanda d’ammissione alla Scuola Normale per insegnanti. I suoi articoli, pubblicati da un quotidiano locale El Coquimbo de la Serena vengono infatti giudicati troppo sovversivi.
Prima donna sudamericana a vincere il Premio Nobel, nei suoi versi si fondono idealismo, anticonformismo e femminismo.
MADRE PIU’ DI UNA MADRE
Fa che io sia più madre di una madre nel mio amore e nella difesa del bambino che non è sangue del mio sangue. Aiutami affinché ognuno dei “miei” bambini diventi la poesia migliore. E nel giorno in cui non canteranno più le mie labbra, lascia dentro di lui o di lei, la più melodiosa delle melodie
Canto che amavi
Io canto ciò che tu amavi, vita mia, nel caso ti avvicini e ascolti, vita mia, nel caso ti ricordi del mondo che hai vissuto, nel rosso del tramonto io canto te, ombra mia.
Io non voglio restare più muta, vita mia. Come senza il mio grido fedele puoi trovarmi?
Quale segnale, quale mi svela, vita mia?
Sono la stessa che fu già tua, vita mia. Né infiacchita né smemorata né spersa. Raggiungimi sul fare del buio, vita mia; vieni qui a ricordare un canto, vita mia; se tu questa canzone riconosci a memoria e se il mio nome infine ancora ti ricordi.
Ti aspetto senza limiti né tempo. Tu non temere notte, nebbia o pioggia. Vieni per strade conosciute o ignote. Chiamami dove sei, anima mia, e avanza dritto fino a me, compagno.
Traduzione di Matteo Lefèvre Da Gabriela Mistral, Sillabe di fuoco, a cura di Matteo Lefèvre, con uno scritto di Octavio Paz, Bompiani 2020
Desolazione
La bruma spessa, eterna, affinché dimentichi dove
mi ha gettato il mare nella sua onda di salamoia.
La terra nella quale venni non ha primavera:
ha la sua notte lunga che quale madre mi nasconde.
Il vento fa alla mia casa la sua ronda di singhiozzi
e di urlo, e spezza, come un cristallo, il mio grido.
E nella pianura bianca, di orizzonte infinito,
guardo morire immensi occasi dolorosi.
Chi potrà chiamare colei che sin qui è venuta
se più lontano di lei solo andarono i morti ?
Tanto solo loro contemplano un mare tacito e rigido
crescere tra le sue braccia e le braccia amate!
Le navi le cui vele biancheggiano nel porto
vengono da terre in cui non ci sono quelli che sono miei;
i loro uomini dagli occhi chiari non conoscono i miei fiumi
e recano frutti pallidi, senza la luce dei miei orti.
E l´interrogazione che sale alla mia gola
al vederli passare, mi riscende, vinta:
parlano strane lingue e non la commossa
lingua che in terre d´oro la mia povera madre canta.
Guardo scendere la neve come la polvere nella fossa;
guardo crescere la nebbia come l´agonizzante,
e per non impazzire non conto gli istanti,
perché la notte lunga ora solo comincia.
Guardo il piano estasiato e raccolgo il suo lutto,
perché venni per vedere i paesaggi mortali.
La neve è il sembiante che svela i miei cristalli;
sempre sarà il suo biancore che scende dal cielo!
Sempre essa, silenziosa, come il grande sguardo
di Dio su di me; sempre la sua zagara sopra la mia casa;
sempre, come il destino che non diminuisce ne passa,
scenderà a coprirmi, terribile e estasiata.
La donna forte
Ricordo il tuo viso, fissato nei miei giorni,
donna con gonna azzurra e con fronte abbronzata;
quando nella mia infanzia, in terra mia d’ambrosia,
ti vidi aprire un solco nero in un ardente aprile.
Nella fonda taverna, l’impura coppa alzava,
chi un figlio appiccicò al tuo petto di giglio;
sotto questo ricordo, che t’era bruciatura,
cadeva dalla mano, serena, la semente.
Io ti vidi in gennaio segare il grano al figlio,
e in te, senza capire, trovai quegli occhi fissi,
ugualmente ingranditi da meraviglia e da pianto.
E ancora bacerei il fango dei tuoi piedi,
perché tra cento donne non ho visto il tuo volto,
e l’ombra tua nei solchi,
seguo ancora nel mio canto.
Dammi la mano
Dammi la mano e danzeremo
dammi la mano e mi amerai
come un solo fior saremo
come un solo fiore e niente più.
Lo stesso verso canteremo
con lo stesso passo ballerai.
Come una spiga onduleremo
come una spiga e niente più.
Ti chiami Rosa ed io Speranza
però il tuo nome dimenticherai
perché saremo una danza
sulla collina e niente più.
DAMMI LA MANO
Dammi la mano e danzeremo
Dammi la mano e mi amerai
come un solo fior saremo
come un solo fiore e niente più.
Lo stesso verso canteremo
allo stesso passo danzerai
Come una spiga onduleremo
come una spiga e niente più.
Ti chiami rosa e io speranza
ma il tuo nome dimenticherai
perchè saremo una danza
sulla collina e niente più.
Gocce di fiele
Non cantare: resta sempre attaccato
sulla tua lingua un canto;
quello che doveva essere trasmesso.
Non baciare: resta sempre per una strana maledizione
il bacio che non viene su dal cuore.
Prega: pregare è dolce: però sappi
che la tua lingua avara non giunge
a dire il solo Padre Nostro che ti salvi.
E non chiamare come clemente la morte,
perché nel corpo di bianchezza immensa
resterà un vivo brandello che sente
la pietra che ti soffoca
ed il vorace verme che ti fora.
NINNA NANNA
Il mare le sue mille onde culla divino; odo i mari innamorati mentre cullo il mio piccino. L’errabondo vento, a notte, culla le spighe; odo i venti innamorati mentre cullo il mio piccino. Iddio Padre i mille mondi culla senza un brusio. Sento il gesto suo nell’ombra mentre cullo il bimbo mio.
L’amore che tace
Se ti odiassi, il mio odio ti darei
con le parole, rotondo e sicuro;
ma ti amo e il mio amore non si affida
a questa lingua umana, così oscura!
Tu lo vorresti mutato in un grido,
e vien così dal fondo che ha disfatto
la sua ardente fiumana, sfinito
prima ancora della gola e del petto.
Io sono come uno stagno ricolmo
ed a te sembro una sorgente inerte,
per questo mio silenzio tormentoso
più atroce che entrare nella morte!
Intima
Non stringere le mie mani.
Verrà il tempo infinito
di riposare con molta polvere
ed ombra tra le dita intrecciate.
E tu dirai:
‘Non posso
più amarla; le sue dita
si sgranarono come le spighe’.
La mia bocca non baciare.
Verrà l’istante pieno
di spenta luce, senza labbra
starò sotto un umido suolo.
E tu dirai: ‘L’amai, ma non posso
amarla più, ora che non aspira
l’odore di ginestre del mio bacio’.
E mi rattristerò nell’udirti;
tu parlerai come un cieco ed un pazzo,
perché la mia mano sarà sulla tua fronte
quando le dita si spezzino,
e scenderà sopra il tuo volto
pieno d’ansia, il mio respiro.
Non mi toccare dunque. Mentirei
nel dirti che ti dono
il mio amore nelle braccia mie protese,
nella mia bocca, nel mio collo,
e tu, credendo d’averlo esaurito
ti sbaglieresti come un bambino ingenuo.
Perché il mio amore non è solo questo
stanco e restio covone del mio corpo,
che trema tutto offeso dal cilicio
e in ogni volo mi resta indietro.
È ciò che sta nel bacio e non nel labbro,
ciò che spezza la voce e non il petto:
ma è un vento di Dio, che passa lacerando
nel suo volo, la polpa delle carni.
AMO LE COSE CHE NON EBBI MAI
Amo le cose che mai non ebbi,
insieme alle altre che non ho più:
tocco un’acqua silenziosa,
distesa su freddi prati,
che senza vento rabbrividiva
in un orto che era il mio orto.
La guardo come la guardavo;
mi viene uno strano pensiero
e lenta gioco con quest’acqua
come con pesce o mistero.
Paradiso
Distesa lamina d’oro
e nell’adagiarsi dorato
due corpi come gomitoli d’oro;
un corpo glorioso che
ascolta e un corpo
glorioso che parla nel
prato in cui nulla parla;
un respiro che va al respiro e
un volto che trema d’esso, in un prato in cui nulla trema.
Ricordarsi del triste tempo in
cui entrambi avevano
Tempo e da esso vivevano
afflitti,
nell’ora del chiodo d’oro
in cui il Tempo restò alla
soglia
come i cani vagabondi…
-Biografia di Gabriela Mistral-
Lucila de María del Perpetuo Socorro Godoy Alcayaga, passata alla storia con il nome d’arte di Gabriela Mistral, nasce il 7 aprile 1889 a Vicuna, Cile del nord. La sua vita si rivela piena di complicazioni fin dall’infanzia: il padre Jeronimo Godoy Alcayaga Villanueva abbandona lei, la madre Petronila e la sorella Emelina quando Lucila ha appena 3 anni. Si trova quindi fin da subito a dover combattere una condizione di estrema povertà ma ciò nonostante, le difficoltà che deve affrontare nel quotidiano sembrano non riuscire ad affievolire la sua predisposizione per lo studio, per la letteratura e per la scrittura. I suoi testi sono avanguardisti, Lucila si schiera per l’istruzione gratis e la parità dei diritti, posizioni moderne che qualche anno più tardi le costeranno il rifiuto della sua domanda d’ammissione alla Scuola Normale per insegnanti. I suoi articoli, pubblicati da un quotidiano locale El Coquimbo de la Serena vengono infatti giudicati troppo sovversivi.
Il primo riconoscimento per l’arte poetica
Ma Lucila non si arrende e non abbandona né la vocazione di scrittrice né quella per l’insegnamento. Grazie all’aiuto della sorella Emelina, già maestra, riesce ad ottenere un posto come docente in alcuni istituti minori. È in questi anni che conosce un impiegato delle ferrovie, Romeo Ureta Carvajal, con cui dà vita a una relazione tormentata e controversa. Il suicidio dell’amato sarà al centro di un’opera, Sonetos de la Muerte, che le varrà il primo premio in una competizione letteraria nazionale svoltasi a Santiago nel dicembre del 1904. Lucila ora è Gabriela Mistral, una poetessa destinata al successo. Lo testimonia anche il suo nome d’arte del resto, un omaggio a due figure letterarie molto amate, il Vate Gabriele D’Annunzio e Frederic Mistral, poeta, quest’ultimo, insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1904.
Gabriela Mistral è stata la prima donna sudamericana a ricevere un premio Nobel ed è anche una delle poche (tredici donne totali) che fino ad ora hanno avuto questo onore (contro i 101 vincitori uomini). Ma sarebbe forse potuto essere differente, del resto, il destino di una scrittrice che con il suo nome d’arte omaggia due tra i più grandi poeti della storia? Probabilmente no. Gabriela Mistral è passata alla storia senza dubbio per la sua eccelsa arte poetica ma soprattutto in quanto intellettuale idealista, appassionata, impegnata, sincera e soprattutto avanguardista.
Finalmente il Nobel
Il 10 dicembre 1945 l’arte poetica di Gabirela Mistral le vale il Premio Nobel per la Letteratura, la sua vittoria è accompagnata da queste parole di motivazione: “La sua opera lirica che, ispirata da potenti emozioni, ha reso il suo nome un simbolo delle aspirazioni idealiste di tutto il mondo latino americano”.
Gli ultimi anni (anticonformisti)
Anche negli ultimi anni della sua vita Gabirela Mistral ha fatto scalpore e si è dimostrata come sempre anticipatrice dei tempi futuri, in particolare a dare adito a critiche e pettegolezzi in questo caso fu la sua relazione con una donna, Doris Dana, non vista di buon occhio. È il 10 gennaio 1957 quando la poetessa si spegne all’età di 67 anni a Long Island, sconfitta da un cancro al pancreas. La sua eredità più grande sopravvive nelle sue meravigliose poesie. Femministe, appassionate, intrise di amore per i suoi affetti più cari, la sua terra, le figure chiave della sua vita. Ma anche segnate dal dolore, dagli ideali disillusi e a volte anche da una certa spiritualità.
Susan Nalugwa Kigali, classe 1969, è considerata tra i più grandi poeti contemporanei dell’Africa orientale e meridionale; è nata in Uganda, una terra chiamata “la perla dell’Africa” senza sbocco sul mare ma impreziosita nel suo variegato paesaggio dai picchi dei monti Rwenzori e dall’immenso lago Vittoria. Una terra purtroppo segnata dall’orrore delle guerre e dalle tristi vicende dei bambini soldato; nella poesia di Susan Kigali, non è slegata questa memoria da quella di un luogo accogliente, con la presenza degli affetti familiari ( in primis la madre rimasta vedova giovane che l’ha cresciuta nella saggezza antica dei suoi avi) e degli amici. Accanto a loro prendono spicco figure di grandi sportivi che hanno dato lustro alla nazione, come i campioni olimpionici Cheptegei, mezzofondista e il maratoneta Kiprotich e al di là dei connazionali il grande pugile e campione Muhammed Alì che incontrò Foreman nel 1974 in Zaire; ne “L’uomo e la sua sansa” rievoca con affetto il grande musicista camerunese Francis Bebey.
Ricorda anche i grandi esponenti della libertà, eroi nazionali come Nkrumah per il Ghana e Nyerere per la Tanzania. Traspare nella sua poesia, accanto alle memorie personali e intime, “quel senso di comunità, di storia collettiva – che facciano parte del mito o siano contemporanee – così tipiche e forti di una certa cultura”.
Susan Kigali è intimista e corale al tempo stesso. La particolarità che contraddistingue questa artista della parola è saper far convivere sentimenti antitetici come sdegno e speranza, rabbia e consapevolezza sublimando a canto di gratitudine il suo racconto esistenziale.
La lingua da cui sono tradotte le poesie è l’inglese (testo originale a fronte) e riusciamo a percepire la musicalità che può sprigionare nella declamazione in pubblico ma è un ritmo che non si perde anche nella versione italiana. Per questo motivo, meritano di esser lette tutte con attenzione nelle due versioni linguistiche.
Nei ringraziamenti finali l’autrice ricorda la collaborazione con le varie Università e Festival cui ha partecipato e ringrazia Antonella Sinopoli con il suo progetto AfroWomen Poetry che ha reso possibile la pubblicazione di questo volume in edizione bilingue. Ricordiamo che l’autrice è docente presso il Dipartimento di Letteratura all’Università di Makerere dedicandosi in particolare alla ricerca sulla poesia africana orale e scritta e sulle performance poetiche nel Sudafrica del post apartheid e nell’Uganda post guerra civile.
Di seguito una breve selezione di poesie tratte da questo testo.
Noi non scriviamo la nostra poesia
noi la viviamo […]
(da: “A un’amica nella sua prima notte di sonno da quando il figlio è a letto per un altro attacco di anemia falciforme”)
Ai mercanti di guerra di tutto il mondo
Diteci
avete iniziato una guerra
così che le nostre donne
potessero essere vendute e umiliate davanti a tutti?
Le nostre ragazze ogni giorno
spogliate della loro umanità
e offerte alle
macchinazioni di folli soldati?
Diteci
avete iniziato questa guerra
come una fiera del male
che svela i diversi volti
di Lucifero a masse terrorizzate?
I nostri bambini nudi stringono pistole
al petto.
Diteci ora
avete concepito questa guerra
come un catalogo di atrocità
da custodire nelle biblioteche della nostra storia?
Avete progettato questa guerra
per bruciarci nelle fiamme delle vostre faide
o l’avete fatto per poter emanare comunicati ufficiali?
Terre che piangono
I guai nelle nostre terre
scendono in picchiata come aquile urlatrici
gli artigli aperti sulla
popolazione perplessa.
Io non lo
chi ha invaso chi
chi insegue troni regionali
io non lo so quale gerarchia ringhia
di chi sia il canale radio che mente.
Ma ho visto
macerie coprire gli indifesi
persone fatte a pezzi
dita puntate
capi abbracciarsi
persone morire.
Io non lo so quale Paese
difendano
di chi siano i bimbi
che proteggono
di chi siano i mercati
che salvaguardano
di chi sia il canale radio che mente.
Le madri cantano una ninna nanna
(dopo il genocidio del 1994 in Ruanda)
Le madri cantano una ninna nanna
mentre la notte cala sugli alberi
tagliando fuori le ombre.
Le voci suadenti s’insinuano e si attorcigliano
attorno agli arbusti e all’erba alta
che celano montagne di corpi decapitati
e il luccichio dei machete
che hanno squarciato gole urlanti.
In questi campi privi di felicità
le madri tengono viva la melodia della vita
catturando un vento malinconico
per infondere forza con il canto negli animi di bimbi
che non hanno mai conosciuto il sapore dei
fiocchi d’avena al mattino
né udito il frinire dei grilli la sera.
Le madri cantano una ninna nanna
per quei volti allucinati
che si ritraggono impauriti quando odono dei passi
i cui compagni di gioco sono scheletri ridenti.
Le madri si fanno ninna nanna
mettendo a tacere le sirene del dolore
restituendo compassione alla nazione.
L’amore non è una rosa
L’amore non è una rosa
perché le rose appassiscono e muoiono.
L’amore è acqua che scorre
su un fuoco ardente.
L’amore è latte schiumato
fresco di mucca.
L’amore è un forte infuso
bevuto in compagnia.
L’amore è medicina
per una febbre cocente.
L’amore è una preghiera
dalle solide ali.
Il formicaio
Voglio vedere il tuo volto
di fronte al mio
sempre.
Voglio accarezzare
il tenero lobo
del tuo orecchio
con la mia voce
sempre.
Voglio trovare
il cielo nelle
mezzelune dei tuoi
occhi
sempre.
Voglio che tutti
si stupiscano
di ciò che trovi
nelle mie gambe storte
sempre.
Voglio sedere
con te
sul formicaio
vicino alle colline scure come il pane
sempre.
Mwalimu Nyerere
(In memoriam)
Mwalimu Nyerere
tu, sommo padre, hai scalato
il Kilimangiaro fino all’altro versante,
il tuo volto impresso nella storia.
Tu libro della nostra lotta
tu portavoce del nostro popolo
tu bastone per il cammino dell’Africa
il braccio più forte della comunità.
Spirito di saggezza
pioniere dell’unità africana
fratello di Kwame Nkrumah
artefice della nostra rinascita.
Campione di giustizia
la tua mano sull’Uganda
la tua mano sul Sudafrica
la tua mano sul Burundi
la tua mano sull’Africa.
Figlio d’Africa
sostenitore della forza del nostro popolo
artigiano di un comune Tessuto Africano
lavorasti sodo per vedere
la gente mangiare assieme
i bambini andare a scuola
gli ospedali aprire.
Figlio di Makerere
filosofo nel nostro Cortile
secondo le usanze del nostro popolo
pronunciamo il tuo nome
segno ultimo della nostra riverenza.
Amo la mia casa
[…]
Per le risate che si alzano in volo
echeggiando in ogni angolo
per le risate sparse
sui cespugli in fiore
per le risate che sfuggono da ogni anfratto
levandosi per salutare il sole
per le risate da cellulare a cellulare.
Per quelli che hanno preso lezioni di danza
nell’utero
che scendono in pista
e si fanno adorare
che si voltano di qua e creano magie
si voltano di là
e mandano miliardi di angeli
a pregarli di non fermarsi mai
per quelli che fischiettano canzoni
e ti spingono a cantarle con loro
tuo malgrado.
Per quelli che piangono il lutto
richiamando mille nomi
ricordando nome su nome
ripercorrendo la storia di ogni vita
a loro cara ogni volto d’amore.
Per quelli che sentono il proprio dolore
dentro e fuori
che strisciano e graffiano la terra
come se questa potesse rispondere alle loro domande
per quelli che ogni giorno guardano il cielo
e implorano Dio
continuando ad amare
a sperare
a vivere come se la vita fosse per sempre
per quelli che non si lasciano mai andare
né lasciano le persone che colorano la loro vita
per quelli che fanno della tristezza parte della felicità
un elemento di pace
per vedere il prima, l’ora e il per sempre
per la mia gente che mi fa
desiderare di capire ciò che non capisco.
Mi manca mamma
[…]
Mi manca quella donna gentile
e la sua dolce morbida risata
e quella voce come se la risata fosse velluto
nella sua bocca.
Mi manca nostra madre
il modo in cui si gira risoluta
e chiede “Ate ki Mukwano?”
come se l’amicizia fosse tutto
ciò che vorrebbe da noi.
Amo nostra madre
quando socchiude gli occhi per dire no
quando si guarda i piedi intendendo
“Non c’è bisogno di stupidaggini”.
Quando alza gli occhi
attraversati da quei lampi di luce che dicono ben fatto
e grazie
quando i suoi occhi si riempiono di lacrime in una
preghiera riconoscente
Amo nostra madre
e sono contenta di poter scrivere in luganda e in inglese.
Oggi l’ho fatto in inglese
perché quando i nostri occhi si incontrano
parlano luganda.
P.S. “Ate ki Mukwano?” significa “che cosa ti preoccupa amico?”
Susan Kiguli, poetessa ugandese pubblicata qui per la prima volta in Italia, ha una peculiarità: parla degli orrori – come il genocidio del 1994 in Rwanda o le violenze nel suo paese – con uno sguardo severo che nello stesso tempo rifiuta la rabbia cieca. Uno sguardo e una parola che rimangono teneri e avvolgenti: «Ti ho osservata / con il curioso interesse di una bimba confusa / mentre hai incarnato la filosofia sopravvivi e vinci / sono convita che / se imparassi queste lezioni e le apprendessi bene / avrebbe inizio una rivoluzione / una rivoluzione per sostenere / la splendida nella quale sono nata». Edizione per il premio del festival internazionale di poesia civile di Vercelli a cura di Antonella Sinopoli con traduzione di Marta Zonca.
Biografia dell’autore Susan Nalugwa Kiguli
Susan Nalugwa Kiguli, nata nel 1969, è accademica e poetessa ugandese. È professore associato ed è stata direttrice del Dipartimento di Letteratura, Università di Makerere (marzo 2012-luglio 2016). Ha conseguito master all’estero e un dottorato di ricerca in inglese all’Università di Leeds (UK). Presidential Fellows dell’African Studies Association (Asa) nel 2011. Ha dedicato la sua ricerca alla poesia africana orale e scritta, al canto popolare e alla teoria della performance nel Sudafrica del post aparheid e nell’Uganda post guerra civile. «Dal suo lavoro» ha scritto l’ASA «emerge che canzone popolare e poesia orale sono riflessi di questioni sociali, culturali e politiche che influenzano le società in cui sono prodotte». È stata presidente di Femrite, associazione delle scrittrici ugandesi. Fa parte del comitato consultivo dell’African Writers Trust (Awt). Ha anche fatto parte della giuria del Commonwealth Writers’ Prize (regione africana) e partecipato a vari festival di letteratura, sia come protagonista che come membro della giuria. Tra questi il prestigioso Nigeria Prize for Literature (2022).
Il suo primo volume di poesie, The African saga (1998) l’ha collocata tra i poeti di maggior spessore dell’Africa orientale e meridionale. Il volume ha vinto il National Book Trust of Uganda Poetry Award (1999) e ha segnato la storia della letteratura nel suo Paese. I suoi lavori sono apparsi su diverse riviste e antologie, nazionali e internazionali. La seconda raccolta, Home floats in a distance/ /Zuhause treibt in der ferne (Gedichte), è un’edizione bilingue, inglese e tedesco (2012). Nel 2019 ha partecipato al progetto Afro Women Poetry fondato dalla giornalista Antonella Sinopoli.
Da “Avvenire”, Anna Pozzi su Terre che piangono di Susan Nalugwa Kiguli
«La poetessa ugandese in Italia per il Festival di poesia civile: “Voglio che si guardi in faccia la guerra e tutto l’orrore e il dolore che essa provoca alle persone innocenti
Solo parlandosi l’un l’altro si possono disinnescare i conflitti”».
Il suo primo volume di poesie, The African saga (1998) l’ha collocata tra i poeti di maggior spessore dell’Africa orientale e meridionale. Il volume ha vinto il National Book Trust of Uganda Poetry Award (1999) e ha segnato la storia della letteratura nel suo Paese. I suoi lavori sono apparsi su diverse riviste e antologie, nazionali e internazionali. La seconda raccolta, Home floats in a distance/ /Zuhause treibt in der ferne (Gedichte), è un’edizione bilingue, inglese e tedesco (2012). Nel 2019 ha partecipato al progetto Afro Women Poetry fondato dalla giornalista Antonella Sinopoli.
Susan Kiguli: una voce dall’Uganda la prima volta in Italia
Mercoledì 25 ottobre in Università Cattolica la poetessa africana presenta la sua prima opera in italiano: Terre che piangono in occasione del festival internazionale di poesia civile
La poetessa ugandese Susan Kiguli sarà a Milano mercoledì 25 ottobre alle ore 17 in Università Cattolica, aula Pio XII, largo Gemelli 1, per presentare il suo nuovo libro, prima opera in italiano, edita da Interlinea, Terre che piangono, con reading e colloquio con la giornalista Antonella Sinopoli. L’evento è in collaborazione con il Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica, con introduzione di Beatrice Nicolini (Università Cattolica del Sacro Cuore) e Roberto Cicala, editore e docente.
Kiguli nella stessa giornata sarà anche a Vercelli al Seminario arcivescovile in piazza Sant’Eusebio 10, alle ore 21 per ricevere il XIX Premio alla carriera del festival internazionale di poesia civile, in un incontro pubblico dove dialogherà con Serenella Mattera.
Terre che piangono ha una peculiarità: parla degli orrori – come il genocidio del 1994 in Rwanda o le violenze nel suo Paese – con uno sguardo severo che nello stesso tempo rifiuta la rabbia cieca. Uno sguardo e una parola che rimangono teneri e avvolgenti: «Ti ho osservata / con il curioso interesse di una bimba confusa / mentre hai incarnato la filosofia sopravvivi e vinci / sono convinta che / se imparassi queste lezioni e le apprendessi bene / avrebbe inizio una rivoluzione / una rivoluzione per sostenere / la splendida nazione / nella quale sono nata».
Il volume è tradotto da Marta Zonca e curato da Antonella Sinopoli, fondatrice del progetto AfroWomenPoetry, che presenta così il lavoro dell’autrice: «Questa è l’arte di Susan Kiguli: fare della parola poetica strumento di ricordo (mai rimpianto) e di riconoscenza. Ricordo delle persone ferite nella sua terra – i bambini, le madri, prima di tutto –. Ferite da guerre, poteri famelici, politiche indifferenti ai bisogni reali. Riconoscenza verso chi – al contrario – ha dato al suo Paese un contributo di speranza, di azione, di pensiero costruttivo e destinato a segnare le giovani generazioni».
Susan Nalugwa Kiguli, nata nel 1969, è accademica e poetessa ugandese. È professore associato ed è stata direttrice del Dipartimento di Letteratura, Università di Makerere (marzo 2012-luglio 2016). Ha conseguito master all’estero e un dottorato di ricerca in inglese all’Università di Leeds (UK). Presidential Fellows dell’African Studies Association (Asa) nel 2011. Ha dedicato la sua ricerca alla poesia africana orale e scritta, al canto popolare e alla teoria della performance nel Sudafrica del post aparheid e nell’Uganda post guerra civile. «Dal suo lavoro» ha scritto l’ASA «emerge che canzone popolare e poesia orale sono riflessi di questioni sociali, culturali e politiche che influenzano le società in cui sono prodotte». È stata presidente di Femrite, associazione delle scrittrici ugandesi. Fa parte del comitato consultivo dell’African Writers Trust (Awt). Ha anche fatto parte della giuria del Commonwealth Writers’ Prize (regione africana) e partecipato a vari festival di letteratura, sia come protagonista che come membro della giuria. Tra questi il prestigioso Nigeria Prize for Literature (2022).
Il suo primo volume di poesie, The African saga (1998) l’ha collocata tra i poeti di maggior spessore dell’Africa orientale e meridionale. Il volume ha vinto il National Book Trust of Uganda Poetry Award (1999) e ha segnato la storia della letteratura nel suo Paese. I suoi lavori sono apparsi su diverse riviste e antologie, nazionali e internazionali. La seconda raccolta, Home floats in a distance/ /Zuhause treibt in der ferne (Gedichte), è un’edizione bilingue, inglese e tedesco (2012). Nel 2019 ha partecipato al progetto Afro Women Poetry fondato dalla giornalista Antonella Sinopoli.
Mak Prof. Susan Kiguli appointed International Judge for the Nigeria Prize for Literature 2022
Mak Associate Professor of Literature Susan Nalugwa Kiguli was on August 18, 2022 appointed as the international consultant/ Judge for the Nigeria Prize for Literature 2022 Edition of Africa’s most prestigious prize for literary.
Kiguli was approved and appointed on the directives of the Advisory Board for The Nigeria Prize for Literature, a three-person panel, chaired by Professor Akachi Adimora-Ezeigbo.
Kiguli described her appointment as an honor and expressed excitement looking forward to identifying poetic talents in Nigeria.
“I am deeply honoured and privileged to have been appointed the international Judge for the Nigeria Prize for Literature 2022 whose focus is the genre of poetry. Besides this prize being an outstanding one in Africa, this year’s focus is on poetry which is one of my life’s passions.
I am extremely excited to be part of the process of recognizing current poetic talent in Nigeria given that recognition for poets within Africa is not a frequent activity.
This is even more significant for me that I have been recognized as capable of selecting worthy talent deserving of such a prestigious prize within Africa in a year when my alma mater and work place Makerere University is celebrating a 100 years of existence and so recognition of our skills and work is part of the endorsement that even at a 100 , we are still building for the future”
She commented.
The Nigeria Prize for Literature sponsored by Nigeria LNG Limited was established in 2004 to bring authors to public attention and celebrate literary accomplishments in Nigeria. Since its inception, Nigerian writers at home and in the diaspora have competed passionately for the prize,
Over the years, the list of laureates has grown to include names such as Gabriel Okara and Professor Ezenwa Ohaeto (joint winners, 2005); Ahmed Yerima (2006); Professor Akachi Adimora-Ezeigbo (current Chairman of Advisory Board) and Mabel Segun (joint winners, 2007); Kaine Agary (2008); Esiaba Irobi (2010); Adeleke Adeyemi with the pen name Mai Nasara (2011); Chika Unigwe (2012); Tade Ipadeola (2013), Sam Ukala (2014), Abubakar Ibrahim (2016) and Ikeogu Oke (2017) and Soji Cole (2018) and Jude Idada (2019).
Due to COVID-19, entries for 2020, which was on Prose Fiction, were moved over to 2021.
This year, the genre in focus is Poetry.
“The Advisory Board is confident that your contribution will impact this year’s competition positively and help produce a worthy winner. You are by this letter, appointed to work independently to classify the final shortlist of three books which would be selected by the panel of three eminent judges, including Professor Sule Egya Emmanuel (Chairman), Dike Chukwumerije, and Mrs Toyin AdewaleGabriel”, Part of the appointment letter reads.
Terms of Reference
Subject to her acceptance of this appointment, the following will constitute Prof. Kigulis terms of reference:
The Panel of Judges (2022) would read through and produce a shortlist of 20, 11 and 3 books, respectively.
• Receive the three final entries from the Advisory Board, a month to the last
• meeting – where the panel of judges chooses the winning entry.
• Expected to read through and objectively assess them and select a winning entry
• at least two weeks to the last meeting of the Advisory Board (i.e. on/before September 15, 2022).
• Evaluate the scope, maturity and integrity of writing, depth of vision, thematic engagement, and general contribution of the works to the field of literature.
• Where her choice does not agree with the adjudged winning entry, she will be invited
• to further deliberate with the Panel of Judges.
• A detailed report expected, clearly indicating the winning entry with justification and include general observations on submissions and anything else that may help promote reading, writing, and publishing.
• Together with the Panel of Judges are not bound to announce a winner if they do not find any of the submissions worthy of the award.
• The award should not be awarded for any other reason but excellence.
• An honorarium will be paid at the the end of the exercise.
• The judging shall be demonstrably fair, open, and transparent. Nigeria LNG Limited places accent on the highest ethics and expects that this will guide adjudication.
• The prize sponsors, Nigeria LNG Limited, shall serve as the secretariat and facilitate the prize’s administration.
Makerere staff applaud Kiguli
A section of Makerere staff on reading the news congratulated Assoc. Prof. Sarah Kiguli describing the win as deserving one.
The Director, Directorate of Graduate Research and Training Prof. Mukadasi Buyinza wrote,
“I have always known that literary excellence is all about you at MAK. Congrats Prof Susan Kiguli, you are and remain a star Professor in this field. You and your Literature work have always been beyond our expectations and have contributed significantly to our journey of success as an elite African University. Your fresh perspectives, your objectivity, and your superior literary skills that helps us to stay ahead of our competitors (Ibadan, SA cluster of elite Universities etc). Your dedication towards delivering high-quality output in every international assignment is truly commendable. Thank you for the effort and diligence that you put into your work every single day. May you continue to inspire us for many years to come!” Mukadsi Buyinza
Dr. Faridah Katushemererwe said, “Congratulations Dr. Susan Kiguli for the international recognition. Your prowess in poetry is in the skies. The seeds you have sown are spouting and growing in all corners of my vicinity, to the extent that even at wedding functions, we are “treated” with poems! Thank you our Wordsmith, congs once again”,
Hi Susan, At times I call you Your Excellency, (you know those circles) and now I take this opportunity to heartly congratulate you on this great achievement and pray that God lifts you to even higher grounds in His mighty name. Amen”, Joan Kakongoro wrote
“Congratulations to Dr Kiguli, as We Build for the Future”Said David Bakibinga
“Congratulations Assoc. Prof. Susan Kiguli, This is a well-deserved one! Keep flying”
Florence Ebila wrote.
“Dear Sue,Congratulations!!!!! I wish you all the best my sister.,” Grace Kibanja
“Congratulations to our very own Associate Prof Kiguli. May God bless you and use you. Esezah Kakudidi
“Hearty congratulations Susan. May God be praised for this appointment?” Saul Nsubuga posted.
About Susan Kiguli
Susan Nalugwa Kiguli is an academic and poet. She is an Associate Professor and served as Head of the Department of Literature, Makerere University (March 2012- July 2016). She holds a PhD in English from The University of Leeds (UK) sponsored by the Commonwealth Scholarship Scheme. She also has a Masters of Letters in Literary Linguistics from the University of Strathclyde, (UK), Masters of Arts (Literature) and a B.A. Education degree both from Makerere University, Uganda. She is the African Studies Association Presidential Fellow, 2011 and this presented her with an opportunity to read her poetry at the Library of Congress, Washington DC in November, 2011. She has also held the American Council of Learned Societies/ African Humanities Fellowship, 2010-2011 sponsored by Carnegie Corporation of New York, and as part of the fellowship, she was a researcher in Residence at the Centre for Humanities Research at the University of Western Cape, South Africa. Her research interests fall mainly in the area of Oral and Written African Poetry, Popular Song and Performance Theory. She has served as the chairperson of FEMRITE, Uganda Women Writers’ Association.
She currently serves on the Advisory Board for the African Writers Trust (AWT) and on the board of the Eastern African Literary and Cultural Studies Conference Series.
Her first volume of poetry, THE AFRICAN SAGA (1998) situated her among the most exciting poets from Eastern and Southern Africa. The volume won the National Book Trust of Uganda Poetry Award (1999) and made literary history in Uganda by selling out in less than a year. Her poetry has appeared widely in journals and anthologies both nationally and internationally. Her second collection of poetry HOME FLOATS IN A DISTANCE/ZUHAUSE TREIBT IN DER FERNE( GEDICHTE) is a bilingual edition in English and German (2012). A critic of poetry herself, she has written on Ugandan poetry, oral performance and the position of women writers in African literature.
She has also served on the panel of judges for the Commonwealth Writers’ Prize (African Region, 1999). She also served as one of the regional coordinators for the Women Writing Africa Project (Eastern region, 1999-2000) She was on the Board of Advisors for Beyond Borders: A Festival of Contemporary African Writing (Interaction Event) British Council, Uganda), 2005. She was a special participant in the Yorkshire Professional Development for Writers of African and Asian Descent-INSCRIBE (2005-2006) Project initiated by Arts Council England, Yorkshire in partnership with Peepal Tree Press in Leeds. She was a Commonwealth Researcher in residence at the University of Natal from Sept 2001-February 2002. She attended the Summer Institute on Contemporary American Literature, 2008 at the University of Louisville, Kentucky, USA. She was a Poet in Residence at the Siftung Kunst: Raum Sylt Quelle, Germany between October- November, 2008.
She has appeared twice as guest poet at the Poetry Africa Festival in Kwazulu –Natal among other literature festivals. She was also among three African Poets who not only performed before the former President of Germany, His Excellency Horst Kohler in 2008 at the International Literature Festival Berlin but was also honoured as one of the poets to appear in his book on Africa entitled SCHISKAL AFRIKA, 2010. She was the chief convener for both “Celebrating Ugandan Writing: Okot p’Bitek’s Song of Lawino at 50 Symposium” 18th March, 2016 and “The 2nd Eastern African Literary and Cultural Studies Conference”, 20th-22nd August, 2015, held at Makerere University.
She was also part of the organising committee for the Professor David Rubadiri Memorial Symposium at Makerere University on 12th October, 2018 and was the Co-Chair for the Celebrating Wangusa@80 event, Makerere University, 8th July, 2022 as part of the Makerere @100 celebrations.
She participated in the Afrowomen Poetry Project founded by the Italian journalist Antonella Sinopoli. She has recently been interviewed by Dr. Gilbert Ndi Shang for the Columbian National Library African Literature Programme. She has also been appointed as a member on the Peer Review Panel for the Department of English under the policy for Quality Assurance and Enhancement at Stellenbosch University, 2022.
Oggi 4 dicembre ricorre la data della morte della scrittrice, filosofa e storica –
Il 4 dicembre del 1975, a New York, muore la filosofa e storica tedesca Hannah Arendt. Nata da una famiglia ebrea, la Arendt studia filosofia con il teologo Rudolf Bultmann, Martin Heidegger all’università di Marburg.
Con Heiddeger, ricorda Rai cultura, «Arendt ha una relazione sentimentale segreta, scoprendo solo piuttosto tardi le simpatie naziste del filosofo, da cui si dissocia. Dopo aver chiuso questa relazione, la Arendt si laurea con una tesi sul concetto di amore in Sant’Agostino».
La tesi è pubblicata nel 1929, ma alla Arendt, viste le sue origini, non viene concessa l’abilitazione all’insegnamento nelle università tedesche. Lascia la Germania e si trasferisce prima in Francia e poi negli Stati Uniti, dove vivrà fino al 1975, anno della sua morte. Tra le sue opere più note, “Le origini del totalitarismo”, “Ebraismo e modernità” e “La banalità del male”».
Sessant’anni fa, nel 1964, Feltrinelli pubblica in Italia La banalità del male –Eichmann a Gerusalemme di Hannah Arendt.
«Il saggio – ricorda Elia Bosco sul sito della Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana– fu scritto dopo la partecipazione della pensatrice politica, in qualità di giornalista, al processo contro il gerarca nazista Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili della cosiddetta “soluzione finale”, svoltosi a Gerusalemme nel 1961, cui esito fu la pena di morte.
L’opera entrò a pieno titolo nella storia del pensiero del Novecento per la sua portata rivoluzionaria, che portò ad una inedita concezione delle categorie tradizionali di bene e di male.
Il concetto di banalità del male si mette in rapporto dialettico, nel pensiero della Arendt, con il concetto kantiano di radicalità del male, utilizzato dalla scrittrice nell’opera del ‘51 intitolata Le origini del totalitarismo. Sulle pagine del New Yorker, Hannah Arendt scrisse che il processo a Eichmann ha rovesciato completamente il tema del male come esso era stato presentato nel testo del 1951. Se in quell’opera i totalitarismi erano stati letti come conseguenza diretta del fallimento della democrazia e del pensiero critico, e piene manifestazioni del male assoluto e radicale, alla luce della macchina di sterminio industriale che Auschwitz rappresentò quella categoria non era più sufficiente per descrivere il dramma dei campi di sterminio e serviva dunque una rielaborazione concettuale».
Togliendoci qualsiasi appiglio metafisico, «che non di rado è stato utilizzato quale comoda uscita di sicurezza, e mettendoci in guardia dalla tentazione di estetizzare il male – scriveva nel 2015 Massimo Marottoli in un articolo su Riforma.it dal titolo Il doppio sguardo –sul film di M. Von Trotta, Arendt ci snida dalle menzogne in cui ci siamo appisolati; ci strappa di dosso gli alibi consolatori che preservano dal contatto diretto con il reale e ci chiama a responsabilità».
Breve biografia di Hannah Hannah Filosofa tedesca della politica, naturalizzata statunitense (Hannover 1906 – New York 1975). Significativo esempio di studiosa impegnata, A. ha lasciato una originale produzione scientifica che intreccia contributi filosofici, politologici e sociologici. Allieva di Husserl e Heidegger, laureatasi in filosofia a Heidelberg con Jaspers, fu costretta a lasciare la Germania (1933) perché di famiglia ebraica: lavorò a Parigi per un’organizzazione sionista fino al 1940; quindi emigrò negli Stati Uniti, dove fu attivista in organizzazioni ebraiche, fra cui la Jewish Cultural Reconstruction. La sua carriera accademica si svolse nelle univ. di Berkeley, Princeton, Chicago (dal 1963) e alla New School for Social Research di New York (dal 1967). Il problema dell’agire umano nella storia e della sua politicità (cioè del rapporto dell’uomo con gli altri uomini in comunità organizzate) è delineato in The origins of totalitarianism (1951; trad. it. Le origini del totalitarismo), una delle prime e più importanti analisi di un sistema politico manifestatosi, secondo A., per lo più nella Germania nazista e nell’URSS. Il totalitarismo si lega al declino dello Stato nazionale e al sorgere dell’imperialismo, alla rottura del sistema classista e all’atomizzazione della società di massa; e viene definito come «forma di governo la cui essenza è il terrore e il cui principio d’azione è la logicità del pensiero ideologico». Problemi ripresi in The human condition (1958; trad. it. Vita activa), in cui si afferma l’importanza della sfera pubblica come luogo privilegiato per la formazione del cittadino come protagonista della vita sociale e politica in tutta la ricchezza delle sue manifestazioni, secondo il modello della polis greca; a proposito del controverso rapporto sulla banalità del male come prodotto di un’organizzazione burocratica e dell’acquiescenza degli individui in Eichmann in Jerusalem (1963; trad. it. La banalità del male); nell’analisi della rivoluzione come fenomeno essenzialmente moderno inteso a liberare e a produrre libertà in On revolution (1963; trad. it. Sulla rivoluzione); nella riflessione sulle funzioni e sull’ubiquità della violenza in On violence (1970; trad. it. Sulla violenza). In polemica con le comunità ebraiche nell’affermazione della sua laicità, A. ebbe come filo unificante del suo pensiero la ricerca delle condizioni della libertà di fronte all’erosione della distinzione fra sfera privata e sfera pubblica, presentato nei volumi Pensare e Volere di un’incompiuta trilogia (manca Giudicare): The life of the mind (post. 1978; trad. it. La vita della mente).
Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani –
– Prof. GIUSEPPE LUGLI-Il Restauro del Tempio di Venere e Roma-
Copia anastatica dalla Rivista PAN -numero Luglio 1935-diretta da UGO OJETTI
Editore RIZZOLI e C. Milano-Firenze-Roma.
Prof.Lugli Giuseppe – Archeologo italiano (1890 – 1967) professore di topografia romana e di architettura all’università di Roma La Sapienza. La carriera del Lugli è stata prolifica anche se fra i suoi molti contributi significativi alcuni sono preminenti: – Fontes ad topographiam veteris urbis romae pertinentes (8 vols. 1952-69). corpus che raccoglie tutte le citazioni testuali nelle fonti antiche romane di carattere topografico e monumentale. – La tecnica edilizia romana: con particolare riguardo a roma e lazio, roma (bardi, 1957) rimane uno studio fondamentale sulle tecniche di costruzione durante il primo millennio a.C. – Forma italiae, una serie di programmi e di concordanza archeologica per l’Italia. Questo lavoro continua oggi come pubblicazione seriale ed ha un progetto di ricerca collegato, diretto dal prof. Paolo Sommella nel dipartimento di storia dell’archeologia e dell’antropologia di Roma antica presso l’Università degli Studi La Sapienza.
Restauro del Tempio di Venere e Roma-
Giuseppe Lugli Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967); prof. di topografia romana nell’univ. di Roma (1933-61); socio nazionale dei Lincei (1946). Pubblicò, tra l’altro, un ampio manuale (I monumenti antichi di Roma e suburbio, 3 voll. e un Supplemento, 1930-40), e ricerche sulla tecnica costruttiva e sull’architettura (La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio, 2 voll., 1957). Iniziò la pubblicazione sistematica dei Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes e la collana della Forma Italiae.
Lugli’s career was prolific, although among his many significant contributions, several are paramount. He is credited with more than 230 scholarly publications.[2] In his topographical career, Lugli compiled the landmark Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes (8 vols. 1952-69).[3] The aim of this corpus was to collect all of the textual mentions in the ancient sources that pertain to the topography and monuments of Rome. The work is organized according to the Augustan regions of the city.
Lugli was also a student of architecture, and in particular of building techniques. His study La tecnica edilizia romana: con particolare riguardo a Roma e Lazio, Roma (Bardi, 1957) remains a seminal study of the technology of construction in Italy during the 1st millennium B.C.[4]
Lugli also founded the Forma Italiae, a series of archaeological maps and concordance for Italy. This work continues today as a serial publication, and associated research project, directed by Prof. Paolo Sommella in the Department of Ancient History, Archaeology and Anthropology at the Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. The aim of Forma Italiae is to map the full archaeological landscape of Italy at a sufficient scale to facilitate a variety of research and teaching needs.[5]
A. M. Colini “Ricordo di Giuseppe Lugli” RIASA, n.s., XV, 1968.[2]
Scholarship
1930-1940. I monumenti antichi di Roma e suburbio. [I. La zona archeologica.–II. Le grandi opere pubblicha.–III. A traverso le regioni.] 3 vol., plus Supplemento: un decennio di scoperte archeologiche. Rome: G. Bardi. Worldcat.
1940. Pianta di Roma antica: forma Urbis imperatorum temporibus (1:10.000). Worldcat.
1946. Roma antica: il centro monumentale. Rome: G. Bardi. Worldcat.
1948. La Velia e Roma aeterna. Elementi topografici e luoghi di culto.Worldcat.
1952-1969. Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes. Colligendos at que edendos curavit Iosephus Lugli. Rome. Worldcat.
1957. La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio. 2 v. Rome: Bardi. Worldcat.
1969. La Domus Aurea e le Terme di Traiano. Rome: G. Bardi. Worldcat.
DESCRIZIONE del libro di Simone Pétrement-“La vita di Simone Weil”-Goffredo Fofi:”La Weil fu un personaggio singolare non solo nelle idee, fuori dai conformismi lo fu anche nella vita, o meglio nella rigorosa tensione a far coincidere vita e pensiero, a confrontare e legare il pensiero e l’esperienza. Dice la sua biografia: ‘Aveva il dono di irritare molti e a volte fino al furore, e… continua a irritare ancora’. Simone Pétrement fu sua amica, e ha pagato il debito all’amicizia, al ‘miracolo dell’amicizia’ così caro all’altra Simone, scrivendone una biografia bellissima, esemplare per onestà e precisione, per partecipe interrogazione sul senso e il mistero di una esperienza eccezionale” (Goffredo Fofi).
Biografia di Simone Weil (1909-1943) occupe une place tout à fait singulière dans l’histoire de la philosophie française contemporaine. Sans doute son acharnement à vivre en conformité absolue avec ses principes y est-il pour beaucoup et l’image de cette femme atteinte de tuberculose se laissant mourir, à Londres, en 1943, des privations qu’elle s’est imposées parce qu’elle n’est plus en état de combattre, illustre mieux qu’aucun autre de ses actes la nature de son engagement (physique autant que moral et intellectuel) du côté des pauvres, des démunis, des humiliés, des vaincus. Vérité et justice, tel est l’idéal qu’elle poursuit en véritable croisé. Elle le nourrira d’un travail intellectuel acharné et d’un engagement résolu dans tous les grands combats politiques de son temps : disciple d’Alain, agrégée de philosophie (1931), pénétrée des traditions chrétienne, grecque et hindoue, mais lectrice tout aussi éclairée des découvertes de la science moderne, elle s’établit comme ouvrière chez Alsthom puis Renault (1934-1935), s’engage aux côtés des combattants antifranquistes pendant la guerre d’Espagne (1936), se fait ouvrière agricole en 1941, avant de rejoindre la France libre en 1942-1943. Le destin exceptionnel de cette femme en quête d’absolu est ici raconté avec minutie et souci d’exactitude par quelqu’un qui l’a aimée et ne s’en cache guère. Son travail fait aujourd’hui référence.
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