-Nuova Campagna di Scavi presso il santuario della dea Vacuna-
Scavi presso il santuario della dea Vacuna-
Montenero in Sabina- 2 luglio 2022-Riparte- lunedì 4 luglio – la Campagna di Scavi presso il santuario della dea Vacuna in località Leone. La missione, giunta alla sua quarta edizione, è svolta dal Comune in convenzione con l’Université Lyon 2 e in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma e per la provincia di Rieti-
Fonte-Comune di Montenero in Sabina-
MONTENERO in SABINA –I-reperti-esposti-nella-chiesa-di-San-Cataldo- Photo-Maurizio-ZuccariMONTENERO in SABINA –Area Scavi- Photo-Maurizio-ZuccariMONTENERO in SABINA (Rieti)Foto di Paolo GenovesiPaolo Genovesi Fotoreportage MONTENERO in SABINA (Rieti)Paolo Genovesi Fotoreportage MONTENERO in SABINA (Rieti)MONTENERO in SABINA –Planimetria-degli-scavi – Photo-Maurizio-ZuccariPaolo Genovesi Fotoreportage MONTENERO in SABINA (Rieti)
Roma –Castel di Guido :Sit-in delle Associazioni per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia.
Roma Il Presidente dell’Associazione Cornelia Antiqua CRISTIAN NICOLETTA a Castel di Guido :Sit-in delle Associazioni per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia.
Roma Municipio XIII-Castel di Guido 26 giugno 2022-Si è svolto puntualmente , sulla piazza del Borgo, il sit-in organizzato dalle Associazioni Cornelia Antiqua e Castel di Guido e altro . Il Presidente, Cristian Nicoletta, organizzatore dell’evento, aprendo la manifestazione, ha ringraziato le tantissime Associazioni e i Cittadini presenti per aver risposto all’appello di Cornelia Antiqua a partecipare a questo sit-in al fine di salvare e riqualificare il sito Archeologico della Bottaccia , sottolineando:” che la concretezza operativa, ha iniziato a smuovere qualcosa e, finalmente , i vari “bla-bla” sembrerebbero destinati a finire nella cartella delle inutili promesse ”.
Il Presidente Cristian ha ringraziato la Presidente Diana Calcagni e i Volontari di Retake che proprio oggi , ancora una volta, hanno pulito la via di Castel di Guido e ,come fanno da anni, l’area antistante il Casale . Ha preso poi la parola il dott. Alessio De Cristoforo, funzionario della Soprintendenza responsabile per il Municipio XIII, sotto cui ricade il sito Archeologico della Bottaccia . Il dott. De Cristoforo ha illustrato ,con chiarezza, la Convenzione di Faro (Portogallo) del 2005, recentemente ratificata anche dal nostro Parlamento.
Il Vice-Presidente di Cornelia Antiqua, Gianluca Chiovelli nel suo intervento ha voluto evidenziare il ruolo delle Associazioni con queste parole :”Per riuscire a centrare l’obiettivo è necessario creare una rete di Associazioni e coinvolgere i Cittadini perché-chiosa Chiovelli-le Istituzioni devono essere sollecitate nelle azioni di recupero e valorizzazione dei Siti Archeologici e conservarli come eredità per le generazioni future”. La Presidente del CdQ Castel di Guido, Elisabetta Gasparri, ha elencato le attività in programma per l’Estate Romana nel Borgo le più importanti saranno “Il Teatro di Paglia” e i Concerti Musicali. Sono intervenuti dal podio tutti i Presidenti delle Associazioni presenti e che sono attivamente impegnate nella tutela e salvaguardia della nostra Campagna Romana.
-Fabio Scaccia (presidente Castel di Guido e altro);
-Riccardo Paolucci (Sotterranei di Roma);
-Enzo Stefanoni (Gar sezione Cerveteri);
-Alessandro Capitoni (presidente Mos Maiorum);
-Sandro Visci (presidente Romars);
-Romano del Valli (Civiltà Romana);
-Luigi Plos (Luoghi segreti a due passi da Roma);
-Pietro Mac (presidente Ager Veientanus);
-Pietro Serra (Associazione Schola Armaturarum);
-Ida Oliva (Forestale);
-Claudia Graziani (presidente Wow);
-Marco Collanega (Lorium);
-Andrea Silenzi Schifano (presidente Fonte di Mimir);
-Diana Calcagni (Retake);
-Luigi Conte(Priore del Palio dei Fontanili di Testa di Lepre);
-Elisabetta Gasparri (comitato Castel di Guido).
La logistica e il buffet sono stati curati dalle Associazioni Cornelia Antiqua e Castel di Guido e altro.
Articolo di Gianluca Chiovelli.
Galleria fotografica del Sit-in per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia
Roma –Castel di Guido :Sit-in delle Associazioni per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia.-L’intervento dott. Alessio De Cristoforo, funzionario della Soprintendenza responsabile per il Municipio XIII, sotto cui ricade il sito Archeologico della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .
Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma –Castel di Guido :Sit-in delle Associazioni per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia.Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .
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Castel di Guido :Sit-in delle Associazioni per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia.La logistica e il buffet sono stati curati dalle Associazioni Cornelia Antiqua e Castel di Guido e altro.
Galleria fotografica del Sit-in per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia
Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .Roma -Castel di Guido-Sit-in del 26 giugno 2022 per salvare dal degrado e l’abbandono il Casale della Bottaccia .
-Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio Procliano–
-Articolo di Tatiana Concas-
Associazione Cornelia ANTIQUA : Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio Procliano
Associazione Cornelia ANTIQUA : Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio Procliano -Articolo di Tatiana Concas-
ROMA- 23 giugno 2022-All’incrocio del ponticello di via della Storta con la via Boccea si trova il casale “Cascina di Sotto”. All’interno di questa proprietà si trova il Cippo Funerario eretto da Valeria Calpurnia in memoria del figlio quindicenne Quinto Cornelio Procliano (databile al secondo secolo d. C.). Ecco l’iscrizione:
D(is) M(anibus) s(acrum)
Q(uinto) Cornelio
Procliano
vixit annis XV
mensib(us) VIII dieb(us) XII
Valeria Calpurnia
Scopele mater
filio piissimo
fecit-
L’iscrizione tradotta:
“D(is) M(anibus) S(acrum)
QUINTO CORNELIO PROCLIANO
VISSUTO 15 ANNI, 8 MESI, 12 GIORNI
LA MADRE VALERIA CALPURNIA SCOPELE
AL PIO FIGLIO FECE”
La Pietra funeraria di Cornelio Procliano è parte della storia del nostro territorio ed è per questo motivo che l’ Associazione Cornelia ANTIQUA , che svolge attività di ricerca e studio , recupero, conservazione e valorizzazione dei reperti archeologici , ha deciso il suo restauro.
Noi dell’Associazione Cornelia Antiqua ,siamo perfettamente consapevoli che l’operazione di Restauro è un’azione volta a ripristinare un oggetto storico e costituisce un atto unico e irripetibile . Con questa premessa e consapevolezza, l’Associazione ha incaricato il Dott. Marco Castracane e la Dott.ssa Angela Santoro ad eseguire, al meglio, tutte le operazioni per recuperare e riportare il Cippo Funerario all’antica bellezza .
Il Cantiere, per le operazioni di Restauro, è stato aperto nel maggio 2022. La prima fase è stata la “pulitura” della Pietra Funeraria che ha richiesto varie giornate di lavoro.
Per la pulizia della Pietra Funeraria si è proceduto con l’applicare, su tutta la superficie e per varie volte, uno strato di biocida e lasciato agire per alcuni giorni, tramite l’applicazione di un telo. Con questo trattamento è stato rimosso lo sporco e disinfettate ed eliminate le eventuali cariche batteriche rimaste sulla superficie del Cippo Funerario.
La fase di pulizia della Pietra è stata completata con la rimozione delle alghe e licheni morti, presenti sulla superficie esterna, mediante l’utilizzo di spazzole morbide ed acqua. Quindi è stato applicato un impacco di cellulosa, imbevuta di carbonato di ammonio in soluzione satura, che ha portato ad un’ulteriore eliminazione dei materiali incongrui. Infine, grazie a successive operazioni di risciacquo, sono state eliminate tutte le particelle di cellulosa utilizzate per l’impacco e con esse, tutti i residui delle alghe e licheni che avevano provocato un annerimento del marmo.
Dopo aver eseguito le operazione sopra descritte è stato possibile, per la nostra Associazione, riportare la Pietra Funeraria alla sua bellezza originaria e, quindi, riconsegnarla al Bene Comune .
Voglio evidenziare il fascino di questo monumento funebre che ,oltre appartenere alla Memoria del nostro territorio, è la sintesi e la testimonianza del dolore e dell’amore materno immutabile nei secoli.
Si ringraziano la dott.ssa Roberta Pardi e la dott.ssa Chiara Scioscia Santoro della Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, per aver supportato ed approvato il nostro progetto di restauro.
In concomitanza con le operazioni di recupero dell’antico Cippo, sono state effettuate delle analisi chimico-fisiche eseguite dal Prof. Giovanni Visco e dalla Prof.ssa Maria Pia Sammartino, specializzati in chimica del restauro. Tali analisi hanno permesso di apportare un contributo scientifico, presentato in occasione del “Convegno Giovani Ricercatori”, Roma dal 20 al 23 giugno 2022, presso il dipartimento di Chimica dell’Università La Sapienza.
Si ringraziano il Prof. Giovanni Visco e la Prof.ssa Maria Pia Sammartino, per aver svolto questo studio scientifico a titolo completamente gratuito.
Riportiamo di seguito il titolo e gli autori del contributo scientifico che sarà pubblicato sul libro degli Atti del Convegno: Chemical-physical diagnostics propaedeutic to the conservative restoration of the Cippo Funerario of Quinto Cornelio Procliano (Emanuele Dell’Aglio, Maria Luisa Astolfi, Maria Pia Sammartino, Marco Castracane, Giovanni Visco, Luigi Campanella).
Articolo di Tatiana Concas- Associazione Cornelia Antiqua
Galleria Fotografica
Associazione Cornelia ANTIQUA : Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio Procliano
Associazione Cornelia ANTIQUA : Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio ProclianoAssociazione Cornelia ANTIQUA : Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio ProclianoAssociazione Cornelia ANTIQUA : Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio ProclianoAssociazione Cornelia ANTIQUA : Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio ProclianoAssociazione Cornelia ANTIQUA : Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio ProclianoAssociazione Cornelia ANTIQUA : Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio ProclianoAssociazione Cornelia ANTIQUA : Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio ProclianoAssociazione Cornelia ANTIQUA : Il restauro del Cippo Funerario di Cornelio Procliano
-La Poetessa Patrizia Cavalli arriva a Roma nel 1968, dopo essere passata per Ancona. Nella capitale conosce Elsa Morante, dalla cui frequentazione nasce, nel 1974, la sua prima raccolta di poesie, a lei dedicate. Nel 1976 viene inserita nell’antologia “Donne in poesia – Antologia della poesia femminile in Italia dal dopoguerra ad oggi“, insieme a autrici come Maria Luisa Spaziani, Vivian Lamarque Amelia Rosselli, Anna Maria Ortese.è scomparsa a 75 anni –
-Nata a Todi -Perugia 1947-Morta a Roma 21 giugno 2022-
È morta all’età di 75 anni Patrizia Cavalli una delle poetesse italiane contemporanee più importanti, come scrive Repubblica. Nata a Todi nel 17 aprile 1947, Cavalli viveva a Roma da tempo, ormai e lì, doveva aveva studiato Filosofia, aveva costruito la sua carriera letteraria che era legata a doppio filo con la casa editrice Einaudi per cui aveva pubblicato varie raccolte di poesie. In quegli anni romani aveva legato molto con un’altra delle scrittrici che hanno scritto il canone letterario italiano, ovvero Elsa Morante.
Patrizia Cavalli
Poesie di Patrizia Cavalli
Patrizia Cavalli
Sei poesie da Vita meravigliosa di Patrizia Cavalli, Einaudi, 2020.
Continuazione dell’Eden
L’originale comunque non lo voglio
non voglio stare dove ogni momento
se sbagli possono cacciarti via.
Lo preferisco falso e permanente
dove la legge la decido io.
Abolirò memoria e nostalgia,
non ci sarà intenzione né immaginazione
ma un’aria mite e ferma che acconsente:
si morirà per noia, dolcemente.
I nostri alberi non settentrionali
hanno foglie leggere e molto fitte,
vibranti nel dettaglio e pronte a rivelare
il loro lato argenteo, segreto,
solo sfiorate da un qualsiasi vento.
Senza peso sul ramo, ma ornamento,
sono le prime a muoversi, le ultime a star ferme
in quella oscillazione che acconsente
forte all’inizio e poi quasi incosciente.
Non c’era piú, anche se di solito spuntava
da ogni nebbia. Ma questa era una nebbia naturale o mia?
Con un’unghia raschiai un muschio grigio,
di cerchio in cerchio si era sovrapposto
al peperino e ambiva in sfumature
a farsi breccia d’Africa, non levigata,
che teneva in riserva i suoi colori.
Ma il suo colore – verde interiore, acido –
fu scalfittura e non levigatura
che lo scoprí. Gli ulivi intanto
si erano puliti della nebbia.
(Forse la nebbia era soltanto mia).
Si addensava lontano oltre il querceto
e non mi dava Orvieto, che aspettavo.
Era una nebbia a cumulo, potente
e concentrata, il vapore che segue
al fuoco spento, che sale bianco
ma ne mantiene l’empito. Tra poco
si sarebbe sciolto e a poco a poco
avrebbe liberato pure Orvieto. E fu cosí.
Ma era tutta grigia, rassegnata.
Era bruciata.
Era lí senza bene e senza male
aspettava il bene e il male,
aspettava nella stasi
bene o male calcolava
quanto tempo le restava
come rompere l’attesa
di questo persistere
in un’idea stanziale
che vuole sistemarsi in penitenza
eterna paura di esistere, pure
sapeva di non essere immortale.
Cerco i miei versi tra un tavolo e una sedia
nel bosco predisposto pei miei passi
mi apposto e aspetto quel suono che si forma
uscendo da un rumore senza forma.
La mia disperazione è la speranza,
io spero troppo e troppo spesso spero
ma è uno sperare fatto di incostanza,
giro la testa e mi ricala il nero.
Immagine: Foto di Dino Ignani.
Patrizia Cavalli
Poesie di Patrizia Cavalli
Adesso che il tempo sembra tutto mio
Adesso che il tempo sembra tutto mio e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena, adesso che posso rimanere a guardare come si scioglie una nuvola e come si scolora, come cammina un gatto per il tetto nel lusso immenso di una esplorazione, adesso che ogni giorno mi aspetta la sconfinata lunghezza di una notte dove non c’è richiamo e non c’è piú ragione di spogliarsi in fretta per riposare dentro l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta, adesso che il mattino non ha mai principio e silenzioso mi lascia ai miei progetti a tutte le cadenze della voce, adesso vorrei improvvisamente la prigione.
Quante tentazioni attraverso
nel percorso tra la camera
e la cucina, tra la cucina
e il cesso. Una macchia
sul muro, un pezzo di carta
caduto in terra, un bicchiere d’acqua,
un guardar dalla finestra,
ciao alla vicina,
una carezza alla gattina.
Così dimentico sempre
l’idea principale, mi perdo
per strada, mi scompongo
giorno per giorno ed è vano
tentare qualsiasi ritorno.
Addosso al viso mi cadono le notti
e anche i giorni mi cadono sul viso.
Io li vedo come si accavallano
formando geografie disordinate:
il loro peso non è sempre uguale,
a volte cadono dall’alto e fanno buche,
altre volte si appoggiano soltanto
lasciando un ricordo un po’ in penombra.
Geometra perito io li misuro
li conto e li divido
in anni e stagioni, in mesi e settimane.
Ma veramente aspetto
in segretezza di distrarmi
nella confusione perdere i calcoli,
uscire di prigione
ricevere la grazia di una nuova faccia.
E’ tutto così semplice,
sì, era così semplice,
è tale l’evidenza
che quasi non ci credo.
A questo serve il corpo:
mi tocchi o non mi tocchi,
mi abbracci o mi allontani.
Il resto è per i pazzi.
Note: da “Amore non mio e neanche tuo” – Patrizia Cavalli
Per questo sono nata, per scendere
Per questo sono nata, per scendere da una macchina dopo una corsa in una strada qualunque e trafficata e guidata dagli angeli piegarmi attraverso il finestrino sopra quei capelli e in silenzio sentire l’odore di quel viso dove poco prima avevo visto come la bocca e gli occhi si passavano un sorriso che non si apriva mai e correndo veloce scompariva in un attimo e tornava.
Questa sfusa felicità che assale
Questa sfusa felicità che assale
le facce al sole,
i gomiti e le giacche
– quante dolcezze
sparse nel mercato,
come son belli
gli uomini e le donne!
E vado dietro all’uno
e guardo l’altra,
sento il profumo
inseguo la sua traccia,
raggiungo il troppo
ma il troppo non mi abbraccia.
Sempre aperto teatro
Indietro, in piedi, da lontano,
di passaggio, tassametro in attesa
la guardavo, i capelli guardavo,
e che vedevo? Mio teatro ostinato,
rifiuto del sipario, sempre aperto teatro,
meglio andarsene a spettacolo iniziato.
O amori – veri o falsi
siate amori, muovetevi felici
nel vuoto che vi offro.
Tutto mi appare in bella superficie
e poi scompare. Perché ritorni
la figura io mi sfiguro, offro
i miei pezzi in prestito o in regalo,
bellezza sia visibile, formata,
guardarla da lontano, anche sfocata,
purché ci sia, purché ci sia, anche non mia.
Note: Patrizia Cavalli, Sempre aperto teatro
Poesie per colazione -153
Era alla luce terribilmente sabato,
quel sole infimo che annunzia svogliatezze
mentre nella piazza fin dentro le mie finestre
chiuse si muoveva il mercato prolungato.
L’ultima offerta e poi si chiude. Poi la festa
untuosa e il silenzio. Già si smontavano
i banchetti con la ferocia trasandata
della fine. Forse era possibile
una corsa per prendere qualcosa, forse
restava qualche cassetta ancora non riposta.
Ma non mi decidevo a quella corsa.
Quando scendevo ormai era tardi
tra i mucchi di foglie di carciofi
e i pomodori sfatti dove una vecchietta china
correva rapace alla riscossa di mezze mele
di peperoni buoni per tre quarti.
Ma io non cercavo frutta marcia o fresca,
io volevo soltanto la certezza
della settimana che finisce,
dell’occasione persa.
Patrizia Cavalli
Note: Patrizia Cavalli, “L’io singolare proprio mio” in Poesie, Einaudi, 1992.
Pure scoprendo che quello che vedevo,
e lo vedevo in te amore amato
in verità non c’è, non c’è mai stato,
forse per questo è meno vero? No,
continua ad essere vero, e non perché
così mi era sembrato, non si tratta
di soggettività. Nessuno infatti
avrebbe in sé alcuna qualità
se non fosse per quel sentire che spinge
a concepire mischiandosi all’oggetto
un pensiero commosso per cui la nostra mente
intenerita fa che la morte venga differita,
almeno per un po’, giocando a questo
o a quello, prestando al giocatore
opaco il suo fervore, anche inventato.
Note: da “Pigre divinità e pigra sorte” – Patrizia Cavalli
Essere animale per la grazia
di essere animale nel tuo cuore.
Mi scorge amore, mi scorge quando dormo.
Per questo io dormo. Di solito io dormo.
Mi ero tagliata i capelli, scurite le sopracciglia,
aggiustata la piega destra della bocca, assottigliato
il corpo, alzata la statura. Avevo anche regalato
alle spalle un ammiccamento trionfante. Ecco ragazza
ragazzo
di nuovo, per le strade, il passo del lavoratore,
niente abbellimenti superflui. Ma non avevo dimenticato
il languore della sedia, la nuvola della vista.
E spargevo carezze, senza accorgermene. Il mio corpo
segreto intoccabile. Nelle reni
si condensava l’attesa senza soddisfazione; nei giardini
le passeggiate, la ripetizione dei consigli,
il cielo qualche volta azzurro
e qualche volta no.
Note: tratta da “Poesie”,Patrizia Cavalli, Einaudi, 1999)
Patrizia Cavalli
Biografia di Patrizia Cavalli. – Poetessa italiana (n. Todi, Perugia, 1947-Roma 21 giugno 2022 ). La sua lirica, limpida e diretta, rivela spesso intensa drammaticità. Ha scritto: Le mie poesie non cambieranno il mondo (1974); Il cielo (1981); Poesie 1974-1992 (1992); Sempre aperto teatro (1999), con il quale ha vinto il premio Viareggio-Repaci; La Guardiana (2005); Pigre divinità e pigra sorte (2006); Flighty matters (2012); Datura (2013). C. si è dedicata anche a traduzioni per il teatro, e nel 2012 ha pubblicato, con la musicista D. Tejera, Al cuore fa bene far le scale, CD e libro con poesie e musiche originali nate dalla collaborazione tra le due artiste. Nel 2019 C. ha pubblicato la raccolta di prose Con passi giapponesi, finalista al Premio Campiello 2020; è dello stesso anno la raccolta di versi Vita meravigliosa.- Patrizia Cavalli arriva a Roma nel 1968, dopo essere passata per Ancona. Nella capitale conosce Elsa Morante, dalla cui frequentazione nasce, nel 1974, la sua prima raccolta di poesie, a lei dedicate. Nel 1976 viene inserita nell’antologia “Donne in poesia – Antologia della poesia femminile in Italia dal dopoguerra ad oggi“, insieme a autrici come Maria Luisa Spaziani, Vivian Lamarque Amelia Rosselli, Anna Maria Ortese.
Maya Angelou- La poetessa che ha cambiato il mondo con le sue parole –
Maya Angelou
Maya Angelou, La poetessa che ha cambiato il mondo con le sue parole –
SOLI
A letto, a pensare
Ieri notte
Come trovare casa alla mia anima
Dove l’acqua non abbia sete
E il pane non sia pietra
Ho capito una cosa
Non credo di sbagliarmi
Che nessuno
Ma nessuno
Qui può cavarsela da solo.
Ci sono milionari
Con denaro che non sanno usare
Le mogli corrono a destra e a manca come furie
I loro figli fanno il piagnisteo
Si rivolgono a medici costosi
Per curare i loro cuori di pietra.
Ma nessuno
No, nessuno
Qui può cavarsela da solo.
Adesso se mi ascolti attentamente
Ti dirò quel che so
Nuvole tempestose si vanno adunando
Il vento soffierà
La razza umana soffre
E io ne sento i gemiti,
Perché nessuno
Ma proprio nessuno
Qui può cavarsela da solo.
Eppure mi rialzo
Puoi infangarmi nella storia
con le tue amare, contorte bugie.
Puoi schiacciarmi nella terra
ma, come la polvere, iomi rialzo.
La mia sfacciataggine ti disturba?
Perché sei afflitto dallo sconforto?
Perché cammino come se avessi pozzi di petrolio
che pompano nel mio salotto.
Proprio come le lune e i soli,
con la certezza delle maree,
come le speranze che volano alte, iomi rialzo.
Volevi vedermi spezzata?
Con la testa china e gli occhi bassi?
Spalle cadenti come lacrime,
indebolite dai pianti della mia anima?
La mia immodestia ti offende?
Non te la prendere così tanto
solo perché io rido come se avessi miniere d’oro
scavate nel mio giardino
Puoi ferirmi con le tue parole,
puoi trafiggermi con i tuoi sguardi,
puoi uccidermi con il tuo odio,
eppure, come la vita, io mi rialzo.
La mia sensualità ti disturba?
Ti coglie di sorpresa
Che io danzi come se avessi diamanti
alla confluenza delle mie cosce?
Dalle capanne della storia ignobile iomi rialzo.
Da un passato radicato nel dolore iomi rialzo.
Sono un oceano nero, impetuoso e vasto
che traboccante e gonfio avanza con la marea.
Lasciandomi indietro notti di terrore e paura iomi rialzo
in un nuovo giorno miracolosamente chiaro Iomi rialzo
Portando i doni lasciati dai miei antenati,
sono la speranza e il sogno dello schiavo.
E così mi rialzo, mi rialzo mi rialzo.
Ancora, mi rialzo
Puoi sminuirmi nella storia
Con le tue amare, contorte bugie;
Puoi calpestarmi nella sporcizia
Ma, ancora, come polvere, mi rialzerò
La mia presunzione ti infastidisce?
Perché sei avvolto dall’oscurità?
Perché io cammino come se avessi pozzi di petrolio
Che pompano nel mio soggiorno
Proprio come le lune e come i soli,
Con la certezza delle maree,
Proprio come le speranze che si librano alte,
Ancora, mi rialzerò
Volevi vedermi distrutta?
Testa china e occhi bassi?
Con le spalle cadenti come lacrime,
Indebolita dai miei pianti struggenti?
La mia arroganza ti offende?
Non prenderla troppo male
Perché io rido come avessi trovato miniere d’oro
Scavando nel giardino
Puoi spararmi con le parole,
Puoi trapassarmi con gli occhi,
Puoi uccidermi con l’odio,
Ma, ancora, come l’aria, mi rialzerò.
La mia sensualità ti disturba?
Ti giunge come sorpresa
Che io balli come avessi diamanti
Al congiungersi delle mie cosce?
Fuori dai tuguri della vergogna della storia
Mi rialzo
In alto, da un passato che ha radici nel dolore
Mi rialzo
Io sono un oceano nero, tempestoso e vasto,
Sgorgando e crescendo rinasco nella marea.
Lasciandomi dietro notti di terrore e paura
Mi rialzo
In un nuovo giorno che è meravigliosamente chiaro
Mi rialzo
Portando i doni dei miei antenati,
Io sono il sogno e la speranza dello schiavo.
Mi rialzo
Mi rialzo
Mi rialzo
———–
Le belle donne si domandano dove si celi il mio segreto.
Non sono appariscente, né disegnata per vestire
taglie da modella,
ma quando comincio a raccontarmi
credono stia raccontando storie.
Dico loro
Che è nello spazio del mio abbraccio,
è nell’ampiezza dei miei fianchi
è nell’andatura del mio passo,
è nella linea delle mie labbra.
Sono una donna,
intensamente.
Sono una donna fenomenale
Ecco io chi sono.
Quando entro in una stanza,
disinvolta, come piace a te
E cammino verso un uomo
tutti gli altri si alzano in piedi
O cadono sulle ginocchia,
poi si raccolgono intorno a me
Come le api intorno al miele.
Dico loro
Che è il fuoco del mio sguardo,
è lo splendore del mio sorriso
è l’ondeggiare della mia vita,
ed è la gioia nei miei piedi.
Sono una donna,
intensamente.
Una donna fenomenale
Ecco io chi sono.
Anche gli uomini si domandano
cosa vedano in me,
ci provano davvero,
ma non riescono a toccare
l’essenza del mio mistero.
Quando tento di mostrarlo
essi dicono che ancora non vedono.
Dico loro
Che è nell’arco della mia schiena,
è nella luce del mio sorriso,
è nel sentiero dei miei seni,
è nella grazia del mio stile.
Sono una donna,
intensamente.
Sono una donna fenomenale.
Ecco chi sono io.
Ora puoi comprendere
perché il mio capo non è chino.
Io non urlo o salto in giro
io non parlo con un grido.
E quando mi vedi passare provi un orgoglio glorioso.
Io dico
è nello scatto delle mie ginocchia,
è nell’onda dei miei capelli,
è nel palmo delle mie mani,
è nel bisogno delle mie attenzioni.
Perché io sono una donna,
intensamente.
Una donna fenomenale.
Ecco io chi sono.
Maya Angelou
Maya Angelou (nata Marguerite Ann Johnson) ha pubblicato, nell’arco di mezzo secolo, un’autobiografia divisa in sette parti, tre libri di saggistica e numerose raccolte di poesia, oltre a libri per bambini, drammi teatrali, sceneggiature e programmi televisivi. Ha ricevuto decine di premi e più di trenta dottorati di ricerca honoris causa. Angelou è celebre soprattutto per le sette autobiografie incentrate sulle sue esperienze adolescenziali e della prima maturità. Con la prima autobiografia, Il canto del silenzio nella quale racconta la propria vita fino all’età di diciassette anni, ha incontrato un enorme successo e apprezzamento internazionale. –
LINA CAVALIERI “LA DONNA PIU’ BELLA DEL MONDO” e il suo soggiorno obbligato a RIVODUTRI di Rieti
LINA CAVALIERI
RIVODUTRI (Rieti)-2 luglio 1940 –Il soggiorno obbligato perLINA CAVALIERI, LA DONNA PIU’ BELLA DEL MONDO.
LINA CAVALIERI
LINA CAVALIERI Il 2 luglio 1940 fu internata, con obbligo di firma tre volte al giorno , insieme alla sorella, a Rivodutri in provincia di Rieti, in quanto suddita francese.A Rivodutri vi restò fino al 27.07.1940 per poi essere trasferita a Rieti. Gabriele D’Annunzio la definì la “massima testimonianza di Venere in terra” e nella dedica di una copia del romanzo “Il Piacere” scrisse: “a Lina Cavalieri, che ha saputo comporre con arte, una insolita armonia tra la bellezza del suo corpo e la passione del suo canto. Un poeta riconoscente. Firmato Gabriele D’Annunzio.”
Lina Cavalieri risiedette, durante il soggiorno a Rivodutri, in via Micheli Giuseppe 1, nei pressi della Piazza del Municipio.
N° O07I4 P/llo Rieti, 5 luglio 1940 XVIII
Oggetto; Cavalieri Natalia fu Florindo e fu Peconi Teonilla nata a Roma,25/12/1876 – suddita francese.
Al PODESTÀ’ di Rivodutri
AL COMANDO STAZIONE CC.RR. Rivodutri
p.c .ALLA R. PREFETTURA DI – RIETI
ALLA R. PREFETTURA DIV. RAGIONERIA di RIETI
AL COMANDO GRUPPO CC,RR. di RIETI
AL COMANDO COMPAGNIA CC.RR. Rieti
Con foglio di via obbligatorio ho avviato costà, in data odierna, l’individuo in oggetto il quale, con provvedimento I* corr» N°484I2/443
del Ministero dell’interno, viene internato in cotesto Comune.
Il Podestà di Rivodutri è pregato attenersi scrupolosamente
alle seguenti disposizioni Ministeriali;
.
I°) – All’arrivo dell’ internato provvedere a far impiantare il fascicolo personale ed un registro, nel caso vi siano più internati
2°)- Stabilire il perimetro entro il quale l’internato può circolare.
3°) – Imporgli, senza però rilasciargli speciali carte di permanenza, la prescrizione di non allontanarsi da detto perìmetro. Per gìustificati motivi sì pòtra consentire all’internato di recarsi in determinate località dell’abitato. II permesso dì allontanarsi dall’abitato potrà, invece, essere concesso soltanto dietro autorizzazione del Mini¬stero, da richiedersi pel tramite di quest’Ufficio.
4°) – Imporre all’internato un orario con divieto, salvo giustifi¬cati motivi o speciali autorizzazioni, di uscire prima dell’alba e rin¬casare dopo l’Ave Maria.
5e) – L’internato dovrà presentarsi tre volte.al giorno: al mattino. a mezzo giorno ed alla sera, al Podestà o ad un Funzionario Comunale che ne prenderà nota nel fascicolo personale. In caso di constatata as¬senza il Podestà dovrà darne immediato avviso a cotesta Stazione CC.CC,; per le ricerche, telegrafando altresì a quest’Ufficio.
6°) – L’internato potrà consumare i pasti in esercizi o presso famiglie private del posto, dietro autorizzazione del Podestà.
7′) L’internato ha l’obbligo di serbare buona condotta e non dar luogo a sospetti e mantenere contegno disciplinato,
8°) – Non è consentito all’internato dì tenere presso di se passa porti o documenti equipollenti e documenti militari.
9°) – L’internato non deve possedere danaro a meno che non sì tratti di piccole somme non eccedenti in nessun caso le cento lire; le eccedenze dovranno essere depositate presso banche o uffici postali su libretto nominativo che sarà conservato dal podestà. Qualora l’internato abbia necessità di effettuare prelevamenti, dovrà chiedere di volta in volta l’autorizzazione al podestà il quale, se ritiene gìustificata la richiesta provvedere a fare eseguire l’operazione tenendo presenti che la somma da prelevare non deve mai superare quella consentita. Prelevamenti di somme superiori dovranno essere autorizzati dal Ministero,pel tramite di questo Ufficio.
IO°)- L’internato non può tenere gioielli di valore rilevante né t:itoli; tanto i gioielli che i titoli dovranno essere depositati a spese dell’interessato,, in cassette di sicurezze presso la banca più vicina dove l’internato sarà fatto accompagnare per tale operazione. La chiave della cassetta sarà tenuta dall’interessato, mentre il libretto dì riconoscimento sarà conservato dal Podestà,
…………………..Omissis
Firmato: il Questore di Rieti
Di seguito viene riportato uno stralcio del registro della firma dell’internata Lina Cavalieri. Le firme dovevano essere apposte alle ore: 9,00, alle 12,30 ed alle 18,30
stralcio del registro della firma dell’internata Lina Cavalieri
Biografia di Lina Cavalieri-Autore Marta Questa
Era il 1936 quando fu pubblicato a Roma il libro Le mie verità scritto da Lina Cavalieri, canzonettista, soprano lirico, mito della belle époque europea ed attrice cinematografica. L’ autobiografia, curata da Paolo d’ Arvanni, nome d’ arte dell’ avvocato Arnaldo Pavoni, suo impresario e compagno di vita, era dedicata al poeta Trilussa, pseudonimo anagrammatico di Carlo Alberto Salustri, “grande amico e grande romano” e noto per le sue composizioni in dialetto romanesco. Lina aveva da poco superato i sessant’ anni, età in cui, diceva, “si è maturi per vivere in campagna”. A quell’ epoca aveva scelto di abitare nella villa di Roma “tra alberi secolari e piante e fiori” e per altri sei mesi dell’ anno a 80 chilometri dalla capitale, presso Rieti, a Castel San Benedetto , in collina, zona che diceva, “valorizzata per volere di Mussolini” e dominata dalla “montagna di Roma, il Terminillo”.
L’ aspetto conventuale e serenamente monastico della casa di campagna sembrava giustificare il suo nome La Cappuccina, termine che, comunque, risultava avere molta assonanza con la villa La Capponcina, presso Settignano, a Firenze, abitata per un certo periodo dal poeta Gabriele d’ Annunzio che Lina aveva conosciuto, frequentato e forse, per breve tempo, anche amato e che ai suoi occhi “si era trasformato da poeta incomparabile in eroe leggendario nella guerra che ha reso l’ Italia degna delle più fulgide tradizioni”. Si trattava di una ammirazione reciproca perché già lo stesso poeta a Milano nel maggio del 1903 aveva scritto:” A Lina Cavalieri , che ha saputo comporre con arte una insolita armonia tra la bellezza del suo corpo e la passione del suo canto” ed ancora nel settembre dello stesso anno su un volume, appena pubblicato, dal titolo Il piacere apparve la seguente dedica: “A Lina Cavalieri, alla massima testimonianza di Venere in terra, questo libro ove si esalta il suo potere”.
“I suoi capelli corvini, la pelle d’ avorio, le sopracciglia più lunghe del mondo, le labbra carnosissime e lievemente rilevate, il naso gentile, e all’insù, gli occhi profondissimi e ombrati”, nonché le sue forme valorizzate da splendidi abiti e da un abbigliamento in genere molto scollato, fecero impazzire gli uomini dell’ epoca tanto da essere definita “La donna più bella del mondo”. Si diceva che fosse “ talmente perfetta da fare arrestare le persone per strada”
“Sono nata a Roma il 25 dicembre di un anno che non ricordo”, così esordiva nel libro “Le mie verità” , celando volutamente l’ anno della sua nascita, atteggiamento vezzoso tipico delle donne di spettacolo famose che vogliono nascondere la loro età . “Venni al mondo in una più che modesta viuzza del vecchio Trastevere dal quale lo spirito di Gioacchino Belli aveva saputo trarre ora la satira pungente, ora la poetica descrizione di uomini e di cose”. Era il 1 875 e Roma da pochi anni era capitale del Regno unito d’ Italia con a capo il re Vittorio Emanuele II. Nacque in Via del Mattonato 17 il giorno di Natale e per questo fu battezzata nella basilica di Santa Maria in Trastevere due giorni dopo con il nome, si dice, di Natalina. Sin da bambina si manifestò vivace e caparbia : “Mia madre aveva tentato tutti i mezzi per domare questa eccessiva mia indipendenza di carattere. Trovate assolutamente inutili le forme più comuni di persuasione, ricorreva assai spesso alle busse, che non sortivano effetto migliore degli amorevoli ammonimenti”. Le piaceva giocare a picca a campana e cercava sempre con gli amici di entrare nei baracconi da fiera senza pagare. Lasciata bruscamente “l’età dei giochi”, a causa della situazione familiare economica molto precaria, svolse diversi mestieri per sostenere la famiglia: sarta apprendista, quindi, fioraia ambulante ed anche piegatrice di giornali presso il quotidiano La Tribuna. “Lavoravo, rigovernavo, facevo le compere, custodivo i miei fratelli Nino e Oreste e mia sorella Giulia. Nella nuova stamberga che ci alloggiava, in Via Napoleone III (una camera e una cucina) tutto intorno a me era squallore. Io lo sentivo , mi si stringeva il cuore , ma per uno strano contrasto sempre presente in ogni i istante della mia vita, cantavo […]. Il caso volle che mi dedicassi al teatro”. L’ abitudine della ragazza a cantare durante il lavoro con una notevole voce spinse la madre a ricorrere ad Arrigo Molfetta, maestro di musica, non certo passato alla storia, che si offrì gratuitamente di insegnare a Lina qualche canzonetta per diventare una chanteuse di caffè – concerti . Nel 1887 fu scovata nei Capannoni di Porta Salaria dall’ impresario Nino Cruciani che la scritturò per il caffè-concerto Esedra. Il suo primo repertorio era costituito di tre canzoni : Core innamorato, Chiara Stella, Il cavallo del colonnello, una di quelle composizioni a doppio senso allora di moda, ed un teatrino di piazza Navona fu luogo del suo esordio. “Avevo quattordici anni – scrive nel memoriale Le mie verità – la mia buona mamma mi accompagnava a piedi dalla nostra casa di via Napoleone III a piazza Navona […] perché eravamo tanto povere da non poterci permettere il lusso di un tram. Del mio ingresso nella vita artistica conservo un confuso ricordo di paura […], le mie mani trepide, tormentavano il mio vestitino, la bocca non riusciva ad aprirsi, la gola serrata dallo spavento non emetteva alcun suono. In quest’ attimo terribile intravidi la mia casetta, la necessità e inconsciamente aprii le labbra, articolai qualche nota. Cessò la musica del piano scordato, un frastuono di mani plaudenti mi scosse e quasi automaticamente ricaddi tra le quinte. Quando molti anni dopo la critica dei grandi quotidiani americani rilevava[…] il caldo singulto arrotondante della mia voce, ho ripensato che il mio debutto fu dolente e che forse quella sera , nella fumosa sala di piazza Navona, la mia voce ricevette il crisma del singhiozzo, che si confuse per sempre alle mie note appassionate”. Da quel timoroso debutto nel sordido teatrino romano, dove cominciò ad esibirsi per una lira al giorno, indossando ogni sera un semplice abitino di tessuto a fiori celeste comprato a Campo dei Fiori e cucito dalla madre, la popolarità sarà in continua ascesa grazie anche alla sua bellezza, sensualità e temperamento focoso, divenendo in breve tempo una figura popolare della Roma umbertina. La scritturarono in locali sempre più importanti e famosi. Nel 1894 il nome di Natalina Cavalieri per la prima volta apparve sulla locandina del Concerto delle Varietà, in Via Due Macelli , poi sarà la volta del grande teatro Orfeo, per dieci lire al giorno, e poi al teatro Diocleziano per quindici lire. Il suo repertorio si arricchì di altre canzoni: La Ciociara, Funiculì – funiculà, A Frangesa di Mario Costa. Il suo successo romano fu siglato anche dalla elezione a reginetta di Trastevere, avvenuta una sera di Carnevale al teatro Costanzi, per merito soprattutto di un principe romano e dei suoi amici, e questo titolo le agevolò l’ingresso al grande Orfeo, dove i suoi meriti artistici ebbero l’opportunità di essere consacrati. Arrivò dopo anche per lei il momento di approdare nel regno italiano dei cafè chantant, caffè con spettacoli di varietà: il Salone Margherita di Napoli, il luogo, in quel periodo, più prestigioso per una canzonettista. Fu l’ impresario del salone Margherita che nel 1895 la presentò al pubblico per la prima volta con il nome abbreviato di Lina al posto del dichiarato Natalina. Dichiarato perché molti dubbi sorgeranno infatti sul suo nome proprio quando nel 1940, durante il breve periodo di internamento nel carcere di Rivodutri, vicino a Rieti, sarà registrata con il nome di Natalia e non Natalina e questo può far pensare che a Napoli, al momento dell’ abbreviazione, lei o chi altro per lei, avesse preferito al diminutivo Lia, forse troppo breve, quello di Lina con il quale poi sarà conosciuta in tutto il mondo. Nei tre locali partenopei più famosi, quali il Salone Margherita l’Eldorado e l’Eden si esibì con il suo repertorio delle più celebri canzoni napoletane di Maria Marì, O sole mio, Marechiare, e con l’inedita Ninuccia, canzone che fu composta per lei dal poeta e musicista napoletano Giambattista De Curtis su testo di Vincenzo Valente e di cui fu la prima interprete. Era alta, aggraziata con un contegno angelico e trasognato e molto sensuale ed a Napoli, anche quando entrava in scena cantando” O sole mio”, accompagnata da un gruppo di mandoliniste vestite da pescatore, faceva impazzire tutti gli uomini. Napoli rappresenterà per lei in trampolino di lancio per l’ Europa. Aveva appena vent’ anni quando da lì andò a Parigi, alle Folies Bergère, riproponendo il suo programma di canzoni napoletane, con un’ orchestra completamente femminile con chitarre e mandolini. Lina Cavalieri sconcertò Parigi: si fece scoprire dai suoi ammiratori mentre correva vezzosamente per il Bois de Boulogne su un velocipede color rosso fuoco,” polpacci e caviglie in bellavista, il volto graziosamente arrossato dallo sforzo.”. Fu un’abile strategia che le consentì, già allora, di ottenere un’ampia pubblicità gratuita. Nella primavera del 1893 Natalina aveva già saputo attirare attorno a sé l’attenzione degli sportivi e l’ammirazione delle donne recandosi a Milano per una gara ciclistica nella quale l’attrice aveva sfidato la fioraia Adelina Vigo. Quella delle due ruote fu per la Cavalieri un sincero diletto sportivo che l’accompagnò anche negli anni successivi e che la portò a correre e a vincere la corsa a tappe Roma – Torino e ancora, nel 1899, a sfidare la campionessa belga, mademoiselle Hélene Dutrierux.
Dimostrava di comprendere lo spirito del tempo: diffusione dello sport tra le donne significava emancipazione. Il pedalare un velocipede liberava dall’opprimente corsetto, ne scopriva il corpo, e tutto questo dava alla donna la coscienza del proprio fisico e sessualità. La belle epoque” fu affascinata dalla sua intraprendenza, dalla sua grazia e dalla sua straordinaria bellezza. Cominciavano a circolavano in tutto il mondo cartoline postali che riproducevano il suo volto, i suoi favolosi boa di struzzo, i suoi splendidi gioielli che fecero sognare donne di tutti i paesi.
Salì poi sul palcoscenico dei più importanti teatri di Londra, Berlino e San Pietroburgo.
Aveva già un figlio, Alessandro, chiamato anche lui con un diminutivo: Sandro. Era nato a Roma nel febbraio del 1892, si dice, da una relazione con il maestro di musica Arrigo Molfetta, a cui, poi, Lina qualche anno dopo, sembra, avesse restituito tutto il denaro “prestato per gli alimenti”, perché non avesse alcuna ingerenza nell’ educazione di quello che reputava solo suo figlio . In quegli anni Lina non poteva immaginare ancora che Sandro avrebbe più tardi preso il cognome del suo terzo marito, il tenore francese Lucien Muratore.
Di lei si diceva che era una danzatrice aggraziata, in grado di compiere i movimenti ed i gesti più allusivi con tale innocenza e con tale fanciullesca semplicità e fascino che la loro natura pornografica veniva ignorata. Jules Massenet., autore di alcune fra le opere portate in scena da Lina semplificava così: “La bellezza ti dà il diritto di sbagliare qualche volta”.
Fu a Mosca che omaggiò il pubblico di una versione un po’ pasticciata di Oci ciorni e, nonostante la pronuncia approssimativa, ne ricavò tanti applausi ed il dono di un facoltoso ammiratore: una cesta di fiori unita ad una collana di smeraldi appartenuta all’ inglese Lady Hamilton. Il donatore era il principe russo Aleksander Bariatinsky che Linotchka, come lui la chiamerà, sposerà in segreto a Pietroburgo nel 1899.
Fu alla fine del secolo che, spinta da molteplici pareri favorevoli, Lina decise di passare al canto lirico. Darà definitivamente l’ addio al varietà per realizzare un sogno più ambito: diventare una cantante lirica, professione considerata all’epoca più nobile. Fu il tenore Francesco Marconi, il popolare Checco, interprete dei Puritani e del Rigoletto, a perfezionare il suo canto. Prenderà lezioni dall’ affermata cantante del Teatro della Scala, Maddalena Mariani Masi, che di Lina riconoscerà sempre l’ intelligenza, l’ intuito musicale non comuni ed una forza di carattere da permetterle di sottoporla ad uno studio indefesso. “Il teatro lirico metteva in me la febbre del desiderio” .
Il debutto a soprano avvenne nel 1900 a Lisbona ne “I Pagliacci”. Fu un fiasco totale che Lina nel suo libro attribuì al nervosismo destato dalla presenza della famiglia reale portoghese ed all’ intervento malevolo del manager Petrini, talmente ossessionato da lei da essere disposto a rovinare lo spettacolo per farla cedere alle sue avances.
Il 4 marzo dello stesso anno si cimenterà nella Bohème di Giacomo Puccini nel ruolo di Mimì al San Carlo di Napoli: “Vestii l’ abito di Mimì e cantai. Non potevo non vincere Stravinsi. Sentii Napoli. Napoli mi comprese”.
Il passo era fatto e Lina era diventata soprano lirico.
Sergi Levik, baritono e critico d’ opera di origine russa, così commentava: “L’ enorme lavoro che la Cavalieri ha fatto su se stessa con la supervisione di buoni insegnanti ha trasformato una voce debole e miserella in uno strumento professionale del tutto tollerabile” Si diceva che avesse una voce limpida e fresca, ma piuttosto limitata nel volume, nelle vibrazioni ed anche nell’ estensione e c’ è chi la consigliava di sostare al confine tra il genere lirico e quello leggero.
Il momento di svolta artistica coincise con la fine del suo primo matrimonio a cui seguirà l’ annullamento dell’ unione da parte dello zar Nicola.
Da Napoli si aprirà per lei una carriera che la porterà nei più importanti teatri lirici d’ Europa e d’ America al fianco di nomi celebri della lirica. Fu al S. Carlos di Lisbona, all’ Imperiale di Varsavia, all’ Aquarium di Pietroburgo, al Teatro Massimo di Palermo, al Dal Verme ed al Lirico di Milano nel 1902 e nel 1903, al Carlo Felice di Genova, al Casino di Montecarlo tra il 1904 ed il 1906. Importantissimi sono gli ingaggi che ottenne oltreoceano, a New York, al Metropolitan e al Manhattan. Il suo successo derivava molto dal fatto che incarnava il prototipo di bellezza femminile dell’ epoca: una bellezza trasognata che, unita ad una presenza scenica ed ad una buona recitazione, rappresentava in campo operistico nell’ epoca del verismo una vera e propria carta vincente. Una sera d’ impulso, al termine del gran duetto d’ amore della Fedora, Lina Cavalieri al Metropolitan, durante la stagione del 1906-1907, in scena baciò realmente Enrico Caruso sulle labbra, ottenendo così il definitivo successo del suo personaggio. Per la prima volta in America un’ attrice aveva baciato davvero sulla scena. Fu un trionfo, si gridò allo scandalo e ciò aumentò il successo che la porterà alla vittoria sulla soprano Geraldine Farrar e ad ottenere l’ interpretazione della Manon Lescaut di Puccini. L’ indomani , l’ Evening World intitolava così la cronaca della serata:
”Cavalieri and Caruso, in a fervent embrace arouse a Metropolitan Opera House audience”. La Cavalieri fu allora conosciuta negli Stati Uniti come la primadonna che bacia,“the kissing primadonna”.
L’ influente critico musicale Algernon ST Brenon sul Daily Telegrapphy così scriveva: “Possiede fuoco e varietà di movimento, impulso ed emozione[….].un colpo d’ originalità nel gestire la scena […]. A proposito del canto non ci si può esprimere altrettanto entusiasticamente. A volte le sue note acute sono imprecise, a volte le medie, a volte le gravi; almeno in questo sembra essere imparziale […]. Ma sul palco riesce davvero a dare qualcosa di raro. Nessuno è come lei con quella faccia da madonna e la sua figura sinuosa e serpentina”. Dopo un periodo iniziale di rappresentazioni della Bohème, del Faust, de “I Pagliacci”, s’ indirizzò verso le parti di cortigiana d’ alto rango e di donna fatale. Era attratta da opere come la Fedora, la Tosca, l’ Adriana perché le offrivano l’ occasione di sfoggiare abiti sontuosi che mettevano in risalto il suo fisico e gioielli veri e preziosissimi. Aveva “un portamento da gran dama” e, secondo il giudizio di molti, nessuna primadonna seppe raccogliere e drappeggiare al pari di Lina lo strascico della principessa Fedora.
Ma la Lina Cavalieri “dell’ Opera di Parigi, del Metropolitan di New York, del Coven Garden di Londra, del teatro italiano di Pietroburgo…. ecc.” non cantò mai a Roma come soprano. ”Non ho mai voluto presentarmi al pubblico dei miei concittadini – scriveva nella sua autobiografia- perché ho sempre risentita una autentica paura degli spettatori romani. Il pubblico a Roma è critico, sagace, intenditore perfetto di musica, abituato agli spettacoli lirici più vari e più complessi, assuefatto a dare un giudizio su tutte le celebrità. Sebbene non mi sia mai sentita come artista, inferiore a tanti altri, ho sempre pensato, da buona romana, quale sono, Nemo propheta in patria”.
La bellezza le valse, si dice, ottocentoquaranta proposte di matrimonio e numerosi flirt. La desiderarono gli uomini di mezzo mondo e per lei spasimarono principi, baroni, finanzieri,poitici ed artisti di ogni continente, per lei Wassili d’Angiò, duca di Durazzo, conte di Gravina e di Alba, ex capitano dell’esercito zarista, ultimo discendente del re di Napoli, di Sicilia e d’Albania Carlo D’Angiò a Parigi, fece ricoprire di petali di rose rosse l’intero tragitto tra la stazione ferroviaria e l’albergo in cui l’aspettava. Ma lei stessa in “Le mie verità” scrive: “Tre volte ho sposato e tre volte ho rotto i miei vincoli legali: un russo, un americano ed un francese”. Dopo il principe russo Alessandro Bariatinsky sarà la volta del ricchissimo, “cittadino della stellata repubblica”, l’ americano Robert Winthrop Chanler, conosciuto a New York durante la stagione lirica al Manhattan Opera House, durante un ricevimento dato in onore di Lina in casa della signora Benjamin Guiness, “la migliore e la più cara amica”. “Non avevo per lui che un sentimento di buona amicizia” ed infatti il matrimonio durò appena una settimana e nella sua opera autobiografica scrive: “Le mie valige erano fatte. Partii […]. Ed io rinunziai ai palazzi, alla grande tenuta, alla rendita annua […]. Non ho mai più rivisto il mio secondo marito del quale solo qualche anno fa ho appreso la morte. Amici comuni mi dissero [ ..] che la sua camera era letteralmente tappezzata di mie fotografie”. In realtà c’ è chi disse che una immensa quantità di beni, comprendente addirittura tre palazzi, trasmigrò dalla proprietà dell’ americano nelle mani di Lina prima addirittura della separazione. Anche questa volta la separazione fu dovuta al fatto che Lina amava assumere il ruolo di vera e propria donna di spettacolo. Amava calcare le scene, farsi ritrarre nelle pose più conturbanti, vestire abiti sfarzosi arricchiti anche da pietre preziose spesso regalate dai suoi ammiratori, mariti ed amanti, indossare capi della famosa della sartoria francese di Jeanne Paquin, più conosciuta come Madame Paquin, capi che Lina pubblicizzava in tutto il mondo. “In certe sere il palcoscenico dei teatri veniva trasformato in giardino ed i diamanti, gli smeraldi, i rubini sfolgoravano indosso alla bella artista”. Molto spesso in scena fu vista portare in petto una croce di diamanti, non per la grande devozione per il simbolo, quanto, sosteneva il critico Giulio Piccini, meglio conosciuto con lo pseudonimo Jarro, per il valore delle pietre che la costellavano. Divenne il simbolo della donna più elegante ed affascinante d’ Europa, un sogno per gli uomini di tutti i paesi ed un mito per le donne dell’ epoca. “E’ così bella, si diceva, che troverebbe mille spettatori anche se andasse in un’ isola deserta”.
Il marito francese sarà il tenore Lucien Muratore, che sposerà nel 1913 a Parigi e che diventerà padre adottivo del figlio Sandro. La guerra del 1914 “sconvolse tutto [….] Allontanò da me in poco tempo mio marito nell’ esercito della Repubblica transalpina, due miei fratelli e mio figlio nell’ armata italiana”. Il matrimonio con il terzo marito coincise con l’ abbandono della carriera lirica e l’ approccio con quella cinematografica.
Come tanti ironizzarono, divenne la prima cantante lirica protagonista di films muti. Dopo i primi passi compiuti alle Cines di Roma, società allora diretta dal barone Alberto Fassini, debuttò a Parigi sotto l’ insegna dei Fratelli Pathè. Tra il 1914 ed il 1921 girerà film in Italia, poi a Berlino, in Inghilterra e, prima fra le europee, in America, scritturata dalla Players films company a New York, dove recitò per la prima volta nel film muto “Gismonda “diretto da Edward José e tratto dall’ opera teatrale di Victorien Sardou, L’ eterna tentatrice su scenario di Fred de Gressac, che poi divenne produttore della Metro Goldwin Mayer a Hollywood. ”Il lavoro cinematografico mi piaceva moltissimo – scriveva – ma male sopportavo le luci dei proiettori che mi cagionarono gravi forme di congiuntivite […]. Come al teatro di Montecarlo nella Fedora cantai l’ opera per l’ ultima volta, così a New York l’interpretazione di Gismonda chiuse la mia attività cinematografica”. In Italia, per gli effetti della Grande Guerra, i film americani della Cavalieri furono distribuiti solo al termine del conflitto, non ottenendo peraltro pari successo delle proiezione oltralpe. Da cantante di cabaret a soprano lirico, da sportiva ad attrice cinematografica, scrittrice ed anche produttrice di creme e profumi Il periodo del matrimonio con Muratore coincise anche con l’apertura dell’Istituto di bellezza “Chez Lina”, a Parigi, vicino agli Champs Elysèes, in Avenue Victoir Emmanuel,, oggi avenue du Président Roosevelt, che sarà frequentato da nobili e ricche signore affascinate dal mito della bellezza “costi quel che costi”.
“Mi dedicai a questa nuova forma d’ arte che ritenni anche manifestazione pratica di altruismo”. Fu così che le macchine di massaggio e di ondulazione, le ciprie, le creme, i rossetti e le lozioni, sostituirono per circa dieci anni le orchestre, le scene, le partiture. Le parrucche ed i costumi. I miei compagni di successo non si chiamarono più: musicisti, tenori, baritoni, bassi ma parrucchieri, massaggiatori, manicure e pedicure” ”In questa nuova attività ho avuto gioie e soddisfazioni, se non materiali almeno morali”. La maison fu frequentata dalle signore della nobiltà europea affascinate dal mito della bellezza di Lina che produsse anche cosmetici che recavano sulla confezione il suo nome: ricercatissimi i profumi Monna Lina ed Eau de Jouvence. Nel 1909 la Cavalieri aveva aperto un laboratorio di prodotti di bellezza anche negli Stati Uniti, gestito dal fratello Oreste, nel quale venivano realizzati cosmetici secondo i segreti acquisiti da un antico ricettario di Caterina de Medici che, diceva, “di aver rinvenuto”. Accetterà anche di pubblicizzare vari prodotti dell’ epoca, come quelli della casa di produzione Palmolive e l’ aperitivo Bitter Campari, allora in voga. Nel 1914, aveva dato alla stampa un libro “My secrets of beauty” il cui sottotitolo recava uno slogan che sembra scritto oggi: “Contiene più di mille preziose ricette di preparazione usate e raccomandate da Madame Cavalieri in persona”. Offriva raccomandazioni sulla conservazione della bellezza, consigli che la Cavalieri aveva già dispensato alle lettrici di una rivista francese di attualità e moda femminile.
Le sue varie attività ed i suoi ingaggi la porteranno continuamente a viaggiare da un paese all’ altro, correndo spesso anche dei rischi, in un’epoca, non dimentichiamo, in cui i mezzi di locomozione erano assolutamente primordiali, la distanza tra una località e l’altra praticamente insormontabile così come le frontiere delle varie nazioni.. Durante un suo viaggio da Bordeaux per Nuova York sul piroscafo Patria della Favre Line, che ospitava anche la famosa attrice Sarah Bernhardt, Lina racconta che temette per la sua vita in quanto un sottomarino nemico seguì minaccioso la rotta del piroscafo, dopo averne già fatto affondare ben undici.
Anche il matrimonio con il tenore francese ebbe termine e si separarono a Parigi nel 1927. Ammetterà di aver “amato sempre con riserva, col beneficio dell’ inventario come direbbero gli avvocati specializzati in successione”. “Amo gli uomini come amo la vita, come amo la natura, ma penso che, nella maggioranza dei casi, questo compagno della nostra esistenza è assai inferiore a quel che crede o sente di valere”.
Nel frattempo, una nuova unione ufficiale, c’ è chi sostiene coronata anche da un matrimonio, di cui, però, non ci sono tracce e di cui Lina nelle sua opera autobiografica non fa alcuna menzione, la vedrà impegnata con il campione automobilistico Giovanni Campari, che morirà tragicamente di lì a poco il 10 settembre 1933, uscendo di pista nell’autodromo di Monza durante una gara. Sarà il fratello Davide Campari, l’imprenditore italiano legato anche lui, sembra, sentimentalmente alla Cavalieri, a sfruttare la fama di lei per promuovere in tutto il mondo i propri elisir, le bevande Cordial e Bitter. Nello stesso periodo, ancora molto affascinante, anche se non più giovane, Lina sarà ambasciatrice del made in Italy ma anche la testimonial per prodotti di bellezza, per l’ alta moda sartoriale e per apparecchi musicali Columbia.
Anche il legame sentimentale con Davide Campari non durerà a lungo e nel 1934 la Cavalieri si legò all’avvocato romano Arnaldo Pavoni, di venti anni più giovane di lei, già sposato e che, con lo pseudonimo di Paolo D’Arvanni, curerà due anni dopo la pubblicazione del libro autobiografico di Lina “Le mie verità”, memorie che sembravano un romanzo, tanto da indurre una grande casa cinematografica americana a proporle di girare un film sulla propria vita, che sicuramente sarebbe stato realizzato se non fosse scoppiata la seconda guerra mondiale.
Nel frattempo già all’ età di 55 anni, tre anni dopo essersi separata da Lucien Muratore, si era ritirata dal lavoro. Aveva affidato al figlio l’ amministrazione di tutte le attività di Parigi e Montecarlo , aveva abbandonato il cinema. “Abbandono che non mi rattristò – diceva – perché lo ritenevo solo un riposo”. “Mi ritiro dall’ arte senza chiasso dopo una carriera forse troppo clamorosa”.
Tornò in Italia, comprò una casa vicino a Rieti, a Castel San Benedetto, dove riunì tutti i suoi cimeli e lì visse accanto al suo impresario Arnaldo Pavoni ed al suo cane tanto amato che chiamò Pastorella in sintonia con il nome monastico della villa La Cappuccina. Si racconta che in quegli anni di ritiro in campagna Lina Cavalieri aprisse la sua dimora a tanti ospiti italiani e stranieri, organizzando giornate di festa con spettacoli anche di fuochi d’artificio e con particolari luci ad intermittenza con una cadenza che poteva dar luogo ad una sorta di alfabeto Morse luminoso, destinato come messaggio a qualcuno che si trovava a distanza e nel buio. Queste luci, che potevano, in effetti, servire per lanciare messaggi a chi “si intendeva informare”, e, quindi, il sospetto di spionaggio o di tentato sabotaggio ed il fatto di essere suddita francese furono probabili causa del suo arresto e successivo internamento a Rivodutri, voluto esplicitamente dal Ministero dell’ Interno italiano.
In passato, a partire dalla prima guerra mondiale aveva sempre mostrato una aperta simpatia per le forze alleate. Durante il periodo parigino insieme al terzo marito Lucien Muratore ed all’ amica Rachel Boyer della Comedie francaise aveva fatto parte del Comités pour l’ assistence aux poilus, aveva partecipato alle numerose tournée di propaganda per gli alleati europei insieme al marito anche in occasione del viaggio del maresciallo Ferdinand Foch, che aveva occupato il ruolo di comandante in capo di tutti gli eserciti alleati sul fronte occidentale sino alla resa della Germania imperiale. Negli anni Trenta aveva, si diceva, dato ospitalità nella sua abitazione parigina a Dolores Donati, sorella del più noto Oreste che in quegli anni, come antifascista, era esule in Francia. Nel suo libro Le mie verità, pubblicato nel 1936, facendo riferimento al suo viaggio in Africa settentrionale ed in Asia Minore, parlerà della Palestina come della “culla di tre religioni, la patria del più grande spirito che il mondo abbia conosciuto : Gesù Cristo”, e rimarrà impressionata dalla “visione dei pochi ebrei rimasti in Gerusalemme, non più padroni di casa loro, non più liberi di esercitare liberamente la loro missione di moderne vestali, custodi del fuoco sacro d’ Israele”. Inoltre sempre nella sua opera autobiografica descriverà con acume e benevolenza le caratteristiche dell’ uomo russo, americano, francese, italiano, ma non farà alcun riferimento all’ uomo tedesco, citandolo soltanto in un iniziale e semplice elenco. Non si soffermerà a descrivere le sue particolarità, come se volutamente volesse sorvolare sull’ argomento o per paura, o per dichiarato distacco, o per poca attrazione nei confronti di quel tipo di uomo.
Era il 2 luglio del 1940 quando Lina fu arrestata. La Germania a partire dal maggio aveva dato avvio alle operazioni militari contro la Francia ed il 10 giugno l’ Italia aveva dichiarato guerra alla Francia ed alla Gran Bretagna a fianco della Germania. Fu arrestata insieme alla sorella, ma, forse per il suo passato molto celebre, l’ arresto qualche giorno dopo fu tramutato in domicilio coatto a Rivodutri, in via Giuseppe Micheli 1, nei pressi della piazza del Municipio dove rimase sotto stretto controllo per un certo periodo, con l’ obbligo di non allontanarsi dall’ abitato e di presentarsi tre volte al giorno, vale a dire al mattino. a mezzo giorno ed alla sera, di fronte al podestà o ad un funzionario comunale, che ne doveva prendere nota nel fascicolo personale insieme alla sua regolare firma. Non le era concesso, come a tutti gli internati, di possedere denaro, né gioielli, né titoli. A Lina, che sempre ricordava la difficile infanzia, che mai aveva nascosto di temere la precarietà economica, la povertà e si era continuamente impegnata per divenire ricca, famosa e potente, non fu facile sicuramente accettare queste regole e soprattutto la mancanza di libertà. Questa esperienza rappresentò per lei sicuramente una svolta e segnò un cambiamento nelle sue scelte di vita. Durante l’ internamento può essere entrata in contatto o avvicinata da quelle forze politiche italiane e tedesche per le quali Lina aveva tutti i requisiti per divenire una loro collaboratrice: parlava bene il russo, il francese e l’ inglese, proprio le tre lingue dei belligeranti nemici dell’ Italia e della Germania ed inoltre aveva numerose conoscenze all’ estero anche fra civili e militari con incarichi importanti. Sta di fatto che dopo il domicilio coatto a Rivodutri e la sua permanenza ancora per poco tempo a Castel San Benedetto , lascerà la casa “La Cappuccina” per trasferirsi insieme al suo compagno di vita Arnaldo Pavoni, in arte Paolo D’ Arvanni, a Firenze, la “città dei fiori”, “la città di Dante”, come l’ aveva definita nella sua opera autobiografica, quella città che l’ aveva vista più volte far “moda automobilistica” sfrecciando lungo le Cascine o in aperta campagna su una splendida Ford Model T, conosciuta anche col nome di Tin Lizzie (lucertolina di latta). Aveva sempre associato Firenze ad una esperienza alquanto singolare, vissuta nel periodo in cui si trovava nella città per le varie rappresentazioni della Traviata al teatro Pagliano, ai primordi della sua attività di soprano lirico. All’ epoca alloggiava, all’ hotel Baglioni insieme alla compagna delle “sue fatiche”, la maestra Maddalena Mariani Masi ed in quella occasione era venuta a conoscenza che l’ autista, che ogni mattina la scorrazzava alle Cascine per un passeggiata, altro non era che il duca Raimondo T, primogenito di una delle più antiche e nobili famiglie siciliane, ben conosciuto da alcuni amici palermitani e che, pur di dividere il suo tempo con lei, aveva accettato questo incarico. Ma i tempi erano cambiati: Italia e Germania erano in guerra, Firenze aveva accolto in visita Hitler già ben due volte, nel 1938 e poi nel 1940 ed il clima mondano era solo un lontano ricordo.
Lina prenderà alloggio, o meglio, forse le sarà assegnato come alloggio, la villa Torre al Pino, ammobiliata, con villino attiguo, in via Suor Maria Celeste nella zona di Poggio Imperiale, di proprietà della tedesca Olga Tall, vedova del russo Muravieff , e che era stata sottoposta a sequestro dall’ Ente gestione e liquidazione immobiliare di Roma in quanto dichiarata di proprietà di un suddito “nemico della patria”. Vivere a Firenze le permetteva anche di avere più contatti con il figlio dal carattere, dicevano, molto schivo e poco socievole, che sin dalla tenera età era stato lasciato alle cure dei nonni materni e che aveva avuto pochi contatti con la madre sempre impegnata in attività che la portavano a viaggiare in tutta Europa ed in America. Alessandro risiedeva in città ormai dal 1933 insieme alla moglie, Elena Darra, che aveva sposato a Firenze nel 1932, quando ancora a Palmanova svolgeva attività in qualità di capitano dell’ esercito italiano. Viveva insieme ad Elena in uno stabile in via Jacopo Nardi, abitato anche dagli zii della moglie con i quali sicuramente aveva instaurato un legame affettivo molto stretto che lo porterà alla sua morte, avvenuta nel 1993, all’ età di 101, a scegliere di essere seppellito nella tomba che aveva già accolto le spoglie degli zii acquisiti e successivamente della consorte. Si trattava di una zona abitata dalla borghesia fiorentina, al di là di quei viali di circonvallazione, realizzati su progetto dell’ architetto Giuseppe Poggi dopo l’ abbattimento delle mura città nella seconda metà dell’ Ottocento, nei pressi della stazione di Campo di Marte, non certamente vicina a via Suor Maria Celeste, nella zona di Arcetri , in campagna, fuori dalla città, vicina a villa Il Gioiello, che aveva ospitato un tempo Galileo Galilei, all’ Istituto di Poggio Imperiale, all’ Osservatorio astronomico di Arcetri ed all’ Istituto di fisica, voluto in quella zona dallo scienziato e poi anche sindaco e podestà di Firenze, Antonio Garbasso. La via stretta e lunga era poco frequentata e la villa Torre al Pino, che si trovava circa a metà della strada, era isolata, circondata da un ampio parco e chiusa da un alto muro e pertanto presentavano una conformazione adatta per essere facilmente controllabili in tutt o loro punti. All’ epoca i vicini vedevano talvolta Lina Cavalieri girare nei dintorni su una carrozza guidata da un cocchiere, ma nessuno sembra averla mai avvicinata. Sta di fatto che molti fiorentini e visitatori ebbero modo di vederla per l’ ultima volta alla XIII Mostra d’ arte toscana, tenuta a Palazzo Strozzi nell’ aprile – maggio del 1942, ritratta nel dipinto di Giovanni Boldini che la raffigurava vestita stranamente con un abito molto castigato che nascondeva “la rara perfezione del suo corpo, massima nelle braccia che erano rimaste esemplari con gli anni”.
Firenze la ospiterà per poco tempo. Alcuni amici raccontarono che a Parigi una cartomante le aveva predetto che un giorno sarebbe morta di morte violenta. Così accadde. L’ 8 febbraio del 1944 da un aereo delle forze alleate, alle tre del pomeriggio, furono sganciate tre bombe: la prima colpì la casa di Lina Cavalieri, la seconda il bordo della strada che rimase transennato per anni, la terza cadde nel terreno agricolo sottostante la strada, che gli abitanti di Pian dei Giullari chiamavano Regnaia, perché i contadini erano soliti collocarvi delle reti per catturare piccoli uccelli. Solo la prima bomba provocò vittime. Lina Cavalieri morì insieme al suo segretario , l’ avvocato Arnaldo Pavoni ed alla sua casiera Guglielma Raveggi. Lo spostamento d’ aria demolì anche parte del villino vicino dove rimase ferito Ennio Raveggi, il popolare massaggiatore della Fiorentina. Sembra che Lina non avesse raggiunto in tempo i sotterranei esterni di difesa antiaerea per poter recuperare i gioielli nascosti nella sua camera da letto.
All’ epoca ci fu chi sostenne che le bombe erano state sganciate perché l’ aereo stava perdendo quota a causa di una avaria, ma tre bombe sganciate erano poca cosa perché l’ aereo si alleggerisse ed inoltre i punti colpiti apparvero precisi e strategici perché l’ obiettivo venisse colpito ed eliminato. Molti, infatti, ritennero che le truppe alleate avessero voluto punire la cantante in quanto collaboratrice di ufficiali tedeschi.
Brevi e sintetici furono gli articoli apparsi sui giornali nei giorni successivi al bombardamento ed alla morte di Lina Cavalieri, mentre si dice che dopo il tragico evento «lenta e dura la voce della radio” introdusse “ un brivido di orrore nelle tante case borghesi dove Lina Cavalieri era divenuta un mito [… ] milioni di persone hanno sospirato, riconoscendo nella fine di una leggenda un congedo della propria stessa giovinezza”. Sembra che dopo l’ accaduto in Firenze non fu reso alcun omaggio alla “donna più bella del mondo”, a colei che nella sua vita era sempre stata un personaggio pubblico ed aveva in tutti i modi cercato di attirare a sé l’ attenzione di tutti. La paura,forse, di nuovi attacchi aerei, il clima di forte tensione in quei giorni tra forze fasciste e gruppi di antifascisti e la presenza frequente nella zona di militari tedeschi, ormai prossimi alla ritirata, faranno sì che “dietro al suo carro, in quei giorni tristi e dolorosi” ci fossero solo “ un prete, sei persone ed una folla di ricordi che nessuno vide”.
La salma, pare intatta, di Lina Cavalieri, estratta dalle macerie, fu trasferita all’ asilo mortuario del Romito dove si svolse,come comunicarono molti giornali dell’ epoca, il non ben definito “rito del’ associazione”. Il suo corpo fu poi trasportato al cimitero delle Porte Sante, dove rimarrà sino al 1947 ed alla fine della guerra verrà tumulata nel cimitero del Verano, a Roma, nella tomba di famiglia insieme al padre Florindo, già morto nel 1909, ed alla madre Teonilla, deceduta nel 1931 e dove più tardi la raggiungeranno anche i fratelli. La salma del suo compagno di vita, il romano Arnaldo Pavoni rimase nel cimitero dello Porte Sante sino al 1951, quando sarà tumulato in un altro cimitero fiorentino senza, ironia della sorte, poter mai raggiungere l’ ultima compagna della sua vita e della morte.
Libero ANDREOTTI e il Ritratto-Articolo di Ugo OJETTI
Articolo di Ugo OJETTI scritto per la Rivista PAN n°6 del 1934
Libero ANDREOTTI e il Ritratto-Articolo di Ugo OJETTILibero ANDREOTTI e il Ritratto-Articolo di Ugo OJETTILibero ANDREOTTI e il Ritratto-Articolo di Ugo OJETTILibero ANDREOTTI e il Ritratto-Articolo di Ugo OJETTILibero ANDREOTTI e il Ritratto-Articolo di Ugo OJETTILibero ANDREOTTI e il Ritratto-Articolo di Ugo OJETTILibero ANDREOTTI e il Ritratto-Articolo di Ugo OJETTILibero ANDREOTTI e il Ritratto-Articolo di Ugo OJETTILibero ANDREOTTI e il Ritratto-Articolo di Ugo OJETTILibero ANDREOTTI e il Ritratto-Articolo di Ugo OJETTILibero ANDREOTTI e il Ritratto-Articolo di Ugo OJETTILibero ANDREOTTI e il Ritratto-Articolo di Ugo OJETTI
Biografia-Libero Andreotti (1875-1934).
Libero Andreotti
Libero Andreotti nacque a Pescia il 15 giugno 1875.
Dagli otto ai diciassette anni lavorò nell’officina di un fabbro, frequentando un corso per il conseguimento del diploma di maestro elementare.
A Lucca incontrò Alfredo Caselli e Giovanni Pascoli stimolano i suoi interessi artistici e culturali.
Nel frattempo lo zio Ferruccio Orsi gli trovò un impiego presso la Libreria Sandron di Palermo; qui lo assunse il Principe Tasca di Cutò come redattore e illustratore del settimanale La battaglia.
Nel 1899 si recò a Firenze dove iniziò l’attività di caricaturista, illustratore e pittore. Strinse amicizia con Enrico Sacchetti che gli dedicò il libro Vita d’artista e con lo scultore Mario Galli nel cui studio iniziò a modellare piccole statuine colorate.
Trasferitosi a Milano si occupò di scultura, catturando l’attenzione del noto pittore Vittore Grubicy che iniziò ad occuparsi della sua carriera.
Nel 1905 espose per la prima volta alla Biennale di Venezia e due anni dopo si stabilì a Parigi; qui presentò una quarantina di dipinti alla mostra sui divisionisti italiani organizzata dallo stesso Grubicy nella Serre de l’Alma.
Nel 1911 si tenne la sua prima grande mostra alla Galerie Bernheim Jeune, dove espose 51 opere. Tre anni più tardi, con lo scoppio della guerra, decise di tornare a Firenze dove strinse una grande amicizia con Ugo Ojetti che lo introdusse nei maggiori centri artistici del Nord Italia.
Molte delle opere eseguite tra il 1914 e il ’21 furono acquistate da Ojetti che nel 1920 gli dedicò un importante saggio su “Dedalo”.
Nel 1923 sposò Margherita Carpi. L’anno successivo eseguì il monumento ai caduti di Saronno, in maggio vinse il concorso per il monumento alla Madre italiana per la chiesa di Santa Croce a Firenze.
Con Carena e Alberto Magnelli, nel 1929 dette vita a Firenze ai “mercoledì dell’antico Fattore”, dal nome della trattoria punto di ritrovo di artisti, letterati e musicisti.L’anno seguente istituì il premio letterario dell’Antico Fattore.Libero Andreotti morì improvvisamente il 4 aprile 1934
Ugo Ojetti
Biografia di Ugo Ojetti –
Ugo Ojetti,Figlio della spoletina Veronica Carosi e del noto architetto Raffaello Ojetti, personalità di vastissima cultura, consegue la laurea in giurisprudenza e, insieme, esordisce come poeta (Paesaggi, 1892). È attratto dalla carriera diplomatica, ma si realizza professionalmente nel giornalismo politico. Nel 1894 stringe rapporti con il quotidiano nazionalista La Tribuna, per il quale scrive i suoi primi servizi da inviato estero, dall’Egitto.
Nel 1895 diventa immediatamente famoso con il suo primo libro, Alla scoperta dei letterati, serie di ritratti di scrittori celebri dell’epoca[1] redatti in forma di interviste, genere all’epoca ancora in stato embrionale. Scritto con uno stile che si pone fra la critica ed il reportage, il testo viene considerato, e come tale fa discutere, un momento di analisi profonda del movimento letterario dell’epoca. L’anno seguente Ojetti tiene a Venezia la conferenza “L’avvenire della letteratura in Italia”, che suscita un vasto numero di commenti in tutto il Paese.
I suoi articoli diventano molto richiesti: scrive per Il Marzocco (1896-1899), Il Giornale di Roma, Fanfulla della domenica e La Stampa. La critica d’arte occupa la maggior parte della sua produzione. Nel 1898 inizia la collaborazione con il Corriere della Sera, che si protrae fino alla morte.[2]
Tra il 1901 e il 1902 è inviato a Parigi per il Giornale d’Italia; dal 1904 al 1909 collabora a L’Illustrazione Italiana: tiene una rubrica intitolata “Accanto alla vita”, che poi rinomina “I capricci del conte Ottavio” (“conte Ottavio” è lo pseudonimo con cui firma i suoi pezzi sul settimanale). Nel 1905 si sposa con Fernanda Gobba e prende domicilio a Firenze; dal matrimonio tre anni dopo nasce la figlia Paola. Dal 1914 abiterà stabilmente nella vicina Fiesole. Invece trova nella villa paterna di Santa Marinella (Roma), soprannominata “Il Dado”, il luogo ideale in cui riposarsi, trascorrere le sue vacanze e scrivere le sue opere.
Partecipa come volontario alla prima guerra mondiale. All’inizio della guerra riceve l’incarico specifico di proteggere dai bombardamenti aerei le opere d’arte di Venezia. Nel marzo 1918 fu nominato “Regio Commissario per la propaganda sul nemico”. Fu incaricato di scrivere il testo del volantino, stampato in 350 000 copie in italiano e in tedesco, che fu lanciato il 9 agosto, dai cieli di Vienna dalla squadriglia comandata da Gabriele D’Annunzio.[3]
Nel 1920 fonda la sua rivista d’arte, Dedalo (Milano, 1920-1933), dove si occupa di storia dell’arte antica e moderna. Dall’impostazione della rivista dimostra una sensibilità e un modo di accostarsi all’arte e di divulgarla diversi dai canoni del tempo. La rivista diventa subito occasione d’incontro tra critici, intellettuali, artisti come Bernard Berenson, Matteo Marangoni, Piero Jahier, Antonio Maraini, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Pietro Toesca, Lionello Venturi e Roberto Longhi. L’idea di base della rivista è che l’opera d’arte abbia valore di testimonianza visibile della storia e delle civiltà più di ogni altra fonte. Nel 1921 avvia una rubrica sul Corriere utilizzando lo pseudonimo “Tantalo”. Tiene la rubrica ininterrottamente fino al 1939.
Sul finire del decennio inaugura una nuova rivista, Pegaso (Firenze, 1929-1933). Infine, lancia la rivista letteraria Pan, fondata sulle ceneri della precedente esperienza fiorentina. Tra il 1925 e il 1926 collabora anche a La Fiera Letteraria. Tra il 1926 ed il 1927 è direttore del Corriere della Sera.
È tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925 ed è nominato Accademico d’Italia nel 1930. Fa parte fino al 1933 del consiglio d’amministrazione dell’Enciclopedia Italiana. Ojetti organizza numerose mostre d’arte e dà vita ad importanti iniziative editoriali, come Le più belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi per l’editrice Treves e I Classici italiani per la Rizzoli. Sul significato dell’architettura nelle arti ebbe a dire:
«l’architettura è nata per essere fondamento, guida, giustificazione e controllo, ideale e pratico, d’ogni altra arte figurativa»
La finestra di Ojetti a villa Il Salviatino con una targa che lo ricorda
Collaborò anche con il cinema: nel 1939 firmò l’adattamento per la prima edizione sonora de I promessi sposi, che costituì la base della sceneggiatura per il film del 1941 di Mario Camerini.
Aderì alla Repubblica Sociale Italiana[4]; dopo la liberazione di Roma, nel 1944, fu radiato dall’Ordine dei giornalisti. Passò gli ultimi anni nella sua villa Il Salviatino, a Fiesole, dove morì nel 1946.
Antonio Gramsci scrisse che « la codardia intellettuale dell’uomo supera ogni misura normale ». Indro Montanelli lo ricordò sul: « È un dimenticato, Ojetti, come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: Barzini, per il grande reportage; Mussolini (non trasalire!), quello dell’Avanti! e del primo Popolo d’Italia, per l’editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l’articolo di arte e di cultura ».
Opere
Letteratura
Paesaggi (1892)
Alla scoperta dei letterati: colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga (Milano, 1895); ristampa xerografica, a cura di Pietro Pancrazi, Firenze, Le Monnier, 1967.
Scrittori che si confessano (1926),
Ad Atene per Ugo Foscolo. Discorso pronunciato ad Atene per il centenario della morte, Milano, Fratelli Treves Editori, 1928.
Profondo conoscitore ed appassionato studioso d’arte, Ugo Ojetti ha pubblicato sull’argomento diversi importanti libri:
L’esposizione di Milano (1906),
Ritratti d’artisti italiani (in due volumi, 1911 e 1923),
Il martirio dei monumenti, 1918
I nani tra le colonne, Milano, Fratelli Treves Editori, 1920
Raffaello e altre leggi (1921),
La pittura italiana del Seicento e del Settecento (1924),
Il ritratto italiano dal 1500 al 1800 (1927),
Tintoretto, Canova, Fattori (1928),
Atlante di storia dell’arte italiana, con Luigi Dami (due volumi, 1925 e 1934),
Paolo Veronese, Milano, Fratelli Treves Editori, 1928,
La pittura italiana dell’Ottocento (1929),
Bello e brutto, Milano, Treves, 1930
Ottocento, Novecento e via dicendo (Mondadori, 1936),
Più vivi dei vivi (Mondadori, 1938).
In Italia, l’arte ha da essere italiana?, Milano, Mondadori, 1942.
Romanzi
L’onesta viltà (Roma, 1897),
Il vecchio, Milano, 1898
Il gioco dell’amore, Milano, 1899
Le vie del peccato (Baldini e Castoldi, Milano, 1902),
Il cavallo di Troia, 1904
Mimì e la gloria (Treves, 1908),
Mio figlio ferroviere (Treves, 1922).
Racconti
Senza Dio, 1894
Mimì e la gloria, 1908
Donne, uomini e burattini, Milano, Treves, 1912
L’amore e suo figlio, Milano, Treves, 1913
Teatro
Un Garofano (1902)
U. Ojetti-Renato Simoni, Il matrimonio di Casanova: commedia in quattro atti (1910)
Reportages
L’America vittoriosa (Treves, 1899),
L’Albania (Treves, 1902); nuova edizione, con cartina originale “La Grande Albania”, in Ugo Ojetti, Olimpia Gargano (a cura di), L’Albania, Milano, Ledizioni, 2017.
L’America e l’avvenire (1905).
Raccolte di articoli
Articoli scritti fra il 1904 e il 1908 per L’Illustrazione Italiana: I capricci del conte Ottavio (due voll., usciti rispettivamente nel 1908 e nel 1910)
Articoli per il Corriere della Sera: Cose viste (7 voll.: I. 1921-1927; II. 1928-1943). L’opera è stata anche tradotta in lingua inglese.
Memorie e taccuini
Confidenze di pazzi e savi sui tempi che corrono, Milano, Treves, 1921.
Vita vissuta, a cura di Arturo Stanghellini, Milano, Mondadori, 1942.
I Taccuini 1914-1943, a cura di Fernanda e Paola Ojetti, Firenze, Sansoni, 1954. [edizione censurata, con molti passi espunti]
Ricordi di un ragazzo romano. Note di un viaggio fra la vita e la morte, Milano, 1958.
I taccuini (1914-1943), a cura di Luigi Mascheroni, prefazione di Bruno Pischedda, Torino, Aragno, 2019, ISBN 978-88-841-9989-8.
Aforismi
Ojetti è celebre anche per i suoi aforismi, massime e pensieri, molti dei quali sono raccolti nei 352 paragrafi di Sessanta, volumetto scritto dall’autore nel 1931 per i suoi sessant’anni e pubblicato nel 1937 da Mondadori.
Lettere
Venti lettere, Milano, Treves, 1931.
Lettere alla moglie (1915-1919), a cura di Fernanda Ojetti, Firenze, Sansoni, 1964.
Intitolazioni
Presso il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi si è tenuta una mostra dedicata alle fotografia scattate per la rivista e che costituiscono il Fondo Ojetti.[7]
– Prof. GIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di Cesare
Copia anastatica dalla Rivista PAN –n° uno del 1934-diretta da UGO OJETTI
Editore RIZZOLI e C. Milano-Firenze-Roma.
Prof.Lugli Giuseppe Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967);
Prof. GIUSEPPE LUGLI– Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967); prof. di topografia romana nell’univ. di Roma (1933-61); socio nazionale dei Lincei (1946). Pubblicò, tra l’altro, un ampio manuale (I monumenti antichi di Roma e suburbio, 3 voll. e un Supplemento, 1930-40), e ricerche sulla tecnica costruttiva e sull’architettura (La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio, 2 voll., 1957). Iniziò la pubblicazione sistematica dei Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes/”>pertinentes e la collana della Forma Italiae.Fonte- Enciclopedia TRECCANI
GIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di CesareGIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di CesareGIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di CesareGIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di CesareGIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di CesareGIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di CesareGIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di CesareGIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di CesareGIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di CesareGIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di CesareGIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di CesareGIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di CesareGIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di CesareGIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di CesareGIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di Cesare
SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO-
Articolo scritto per la Rivista PAN n°8 anno 1935-diretta da Ugo OJETTI
SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO- SILVIO D’AMICO-MESSINSCENA ITALIANA DEL DRAMMA SACRO-Ugo OjettiRivista PAN n°8 del 1935 diretta da Ugo Ojetti
Prof.Giorgio Giannini- “IL PRIMO SCIOPERO DEI BRACCIANTI AGRICOLI NELLO STATO PONTIFICIO “-Roma maggio 1832
Prof.Giorgio GianniniCASTEL DI GUIDO-Roma
LE CONDIZIONI DEI LAVORATORI AGRICOLI NELLE TENUTE DELL’AGRO ROMANO
All’inizio dell’Ottocento l’Agro romano, cioè la zona intorno a Roma compresa tra il Mare Tirreno ad Ovest, l’Appennino ad Est, l’Agro Pontino al Sud e l’Agro di Tarquinia a Nord, ha una estensione di oltre 200.000 ettari. Vi abitano stabilmente poche migliaia di persone per le difficili condizioni di vita e per la presenza della malaria, che è endemica e provoca molte vittime. Secondo il censimento del 1871 ci sono 2 residenti per Kmq mentre i “presenti” (che vi lavorano) sono 7 per Kmq. Mezzo secolo prima, la situazione demografica era certamente peggiore.
Ci sono pochi borghi abitati, che rappresentano il “centro” delle molte Tenute agricole, di proprietà di Enti religiosi o di Nobili, date in affitto ai cosiddetti Mercanti di Campagna, che, per massimizzare il profitto, sfruttano al massimo i lavoratori agricoli (pochi sono assunti stabilmente mentre la maggior parte sono braccianti stagionali, provenienti dalle altre Regioni dello Stato Pontificio (soprattutto le Marche e l’Umbria) ed anche dal Regno delle Due Sicilie (soprattutto l’Abruzzo), che sono assunti in occasione dei lavori più impegnativi, quali la raccolta dei cereali e la fienagione) e conducono una vita di stenti, con la misera paga che ricevono, in moneta o in natura (in beni alimentari), e spesso sono addirittura indebitati con i loro datori di lavoro. La vita di questi lavoratori è raccontata dai Viaggiatori del Gran Tour del 700 e del 800.
Le attività agricole principali sono l’agricoltura, che è molto arcaica e poco produttiva, e l’allevamento del bestiame allo stato brado.
I lavoratori agricoli delle Tenute sono strutturati secondo una rigida gerarchia sociale, che comprende il Fattore, il Sotto Fattore, il Capoccia, il Capoccetta, il Guardiano, il Dispensiere (che consegna i beni alimentari previsti dalla “paga in natura” oppure li vende – a caro prezzo- ai dipendenti), i Salariati fissi, che ricevono un salario mensile e possono essere licenziati con un preavviso di tre mesi), gli Avventizi (detti anche Bifolchi), che sono reclutati per un periodo di tempo limitato, quasi sempre attraverso i Caporali, nei paesi di origine oppure in alcune “piazze di Roma “ (tra le quali Campo de’ Fiori e Piazza Navona) e che ricevono un “compenso a giornata” e possono essere licenziati senza preavviso, nei giorni di mercoledì e di sabato. In fondo alla scala sociale dei lavoratori ci sono le donne ed i ragazzi, reclutati dal Caporale, che svolgono le mansioni più semplici ed umili.
I lavoratori sono aggregati in Compagnie di 25-30 persone, che si chiamano “scelte”, se sono formate per almeno la metà da lavoratori specializzati (addetti a mansioni specifiche, come i mietitori dei cereali ed i falciatori del fieno) oppure “bastarde”, se sono formate per più della metà da donne e da ragazzi.
Il lavoro è molto duro: dura da un’ora prima dell’alba al tramonto, con due pause di un’ora, per la colazione ed il pranzo.
IL PRIMO SCIOPERO DEL 16 MAGGIO 1832
Carlo Travaglini
Lo sciopero dei lavoratori Avventizi inizia mercoledì 16 maggio 1832 (il mercoledì era il giorno in cui potevano essere licenziati senza preavviso), come risulta dall’esposto presentato al Governatore di Roma, Mons. Capelletti, dal Mercante di Campagna Luigi Gentili, affittuario della Tenuta di Ponte Galeria. Aderiscono alla protesta anche i Bifolchi della vicina Tenuta del Pisciarello, gestita in affitto dalla vedova Regis.
In un rapporto della Polizia pontificia è scritto che alcuni lavoratori in agitazione vanno nella Tenuta di Castel di Guido, gestita direttamente dall’Istituto di Santo Spirito, per “sollevare” (convincere a partecipare alla protesta) i Bifolchi locali e consegnano al Capoccia un foglio scritto a mano contenente le “rivendicazioni” avanzate per far cessare lo sciopero. In seguito si sparge la voce di un raduno di lavoratori a Campo de’ Fiori ed a Piazza Farnese per domenica 20 maggio.
All’alba di giovedì 17 maggio, il Capo delle Guardie di Polizia Giovanni Galanti, evidentemente informato di quanto è accaduto il giorno prima, arriva con sette poliziotti a cavallo nella Tenuta di Boccea (di proprietà del Capitolo di San Pietro), dove trova 51 Bifolchi (lavoratori di varie Tenute, che si sono lì riuniti), 23 dei quali dipendenti della Tenuta di Torre in Pietra (gestita dai 4 Fratelli Merolli), 8 della Tenuta di Tragliata, 6 della Tenuta di Ponte Galeria, 5 della Tenuta della Bottaccia, 3 delle Tenute di Boccea, Castel di Guido e Pisciarello. Solo 2 Bifolchi sono di Roma. Gli altri sono originari dei paesi della Provincia romana e del Viterbese. Tutti i 51 Bifolchi sono arrestati e condotti nel carcere romano. 41 però sono liberati il giorno seguente, venerdì 18 maggio, tranne 10 che sono considerati i “caporioni” della protesta.
Dalle indagini fatte da Galanti, interrogando il sig. Cesare Sinibaldi, affittuario della Tenuta di Boccea, risulta che i Bifolchi sono arrivati nella Tenuta con un foglio scritto a mano contenente le loro richieste. In particolare lamentano il cattivo trattamento ricevuto dai Mercanti di Campagna, affittuari delle varie Tenute, soprattutto dai Fratelli Merolli, affittuari della Tenuta di Torre in Pietra, che danno loro del pane cattivo, anche con i vermi. Al riguardo avevano mandato “suppliche” al Cardinale Segretario di Stato e perfino al Papa, senza avere alcun riscontro. Pertanto erano stati costretti a fare la “protesta”.
Sinibaldi riferisce anche che i lavoratori hanno tenuto un comportamento pacifico ed hanno chiesto, per sfamarsi, di avere del pane, che hanno ricevuto.
Il 18 maggio il Delegato apostolico di Civitavecchia informa il Segretario di Stato che il giorno prima c’è stato un “ammutinamento” di Campagnoli a Cerveteri e nelle zone vicine, dove una quarantina di persone, armate di bastoni, hanno obbligato i Bifolchi delle Tenute locali a lasciare il lavoro sulla base di un documento scritto a mano intitolato “rivoluzione campagnola”. Lo stesso giorno il Delegato invia al Segretario di Stato un’altra lettera per informarlo che ha inviato a Cerveteri, Santa Severa e Santa Marinella “mezza Compagnia” di soldati e vari Carabinieri e Finanzieri a cavallo, per convincere i Campagnoli a tornare al lavoro nelle loro Tenute.
Anche il Capitano Giorgi, comandante della “forza di sicurezza” inviata per reprimere la “rivoluzione campagnola”, riferisce nel suo Rapporto che più di 40 persone hanno obbligato i Bifolchi delle Tenute a lasciare i lavoro e che il motivo della protesta era il “pane pessimo” fornito dai Mercanti di Campagna.
Anche in altri rapporti di Polizia si riferisce che la protesta non ha una motivazione politica, contro il Governo pontificio, ma è diretta contro i Mercanti di Campagna. Al riguardo nel Rapporto dell’Aggiunto giudiziario L. Silvagni del 20 maggio 1832 è specificato chiaramente che la protesta è diretta non contro il Governo pontificio, ma contro gli imprenditori agricoli che gestiscono le Tenute lungo la Via Aurelia, da Civitavecchia a Palidoro, che sono state tutte “investigate” (controllate). In particolare la protesta dei Campagnoli è stata causata dalla “paga bassa” e dallo “scarso e cattivo alimento” (pane), che comporta “frequenti malattie e mortalità assai maggiore degli anni decorsi”. Nel Rapporto si scrive che i Mercanti “più avidi e crudeli” sono i quattro Fratelli Merolli, che gestiscono la Tenuta di Torre in Pietra, e Marco Liberti, che gestisce la Tenuta di Castel di Guido, tanto che, “dalle indagini fatte sembra che i bifolchi di costoro siano stati i primi a sollevarsi ed abbiano eccitati gli altri alla rivolta”, come ha dichiarato il Capoccia della Tenuta di Castel di Guido, Benedetto Monti. L’Aggiunto giudiziario Silvagni inoltre dichiara nel Rapporto che ha “personalmente verificato che il pane è effettivamente scarso, poco salubre, come “troppo tenue sembra la paga mensile”. Infine, in merito al foglio scritto a mano ed in forma sgrammaticata, contenente le richieste dei Campagnoli, di cui sono state trovate quattro copie, tutte intestate “ad esitto della rivolsione deli campagnioli”, l’Aggiunto ritiene, anche se è scritto in modo sgrammaticato, che è “opera di persona più istruita” rispetto ai Campagnoli. In conclusione, le richieste dei lavoratori sono economiche e non politiche, nonostante sia stata usata la parola “rivolsione” (rivoluzione). Inoltre, nella loro protesta non hanno usato violenza e si sono rivolti ai Padroni delle Tenute, negli scritti, in modo rispettoso, chiamandoli “Signori” (“Noi pregiattissimi Signori padroni non ricerchiamo altro che loro Signori ci aricrescino la mesata…per che co sì tenua mesata non ci possiamo campare”). Alla fine i lavoratori confidano nell’intervento del Governatore di Roma.
I VERBALI DEGLI INTERROGATORI
Ricerca storica su: “Campagna Romana-Castel di Guido “
Altre notizie sulla causa della protesta e sul contenuto delle richieste dei lavoratori si ricavano dai verbali degli interrogatori, fatti in carcere il 17 maggio. Al riguardo nel suo verbale, Gregorio Chiodi, originario di un paese del Viterbese, di anni 40, scapolo, in servizio come Bifolco nella Tenuta di Pisciarello, gestita dalla vedova Regis, dichiara che da due settimane ricevevano “pane cattivo e paga poca, in modo da non poter vivere avendo tutti dei debiti” (con i Mercanti di Campagna), per cui si erano “passati parola fra loro, onde tutti in un tempo abbandonare i lavori, e costringere così i padroni delle Tenute a dare loro miglior pane, e crescere le mesate di qualche cosa, onde poter vivere competentemente”. Afferma inoltre che la vedova Regis “tratta meglio degli altri” i suoi dipendenti e che nella loro protesta “non eravi alcun fine cattivo per il Governo”. Riferisce infine che la sera di mercoledì, finito il lavoro, si sono riniti nella Tenuta di Boccea, dove sono stati trovati da Capo delle Guardie di Polizia Giovanni Galanti, che li ha arrestati e portati nel carcere romano.
Nel suo verbale, Luigi Papetti, originario di un paese del Viterbese, di anni 26, scapolo, in servizio come Buttero nella Tenuta di Pisciarello, gestita dalla vedova Regis, afferma: che il pane dato dai Mercanti “è spesso cattivo in modo da non potersi mangiare”; che i dipendenti “vengono anche strapazzati dai caporali”; che la loro paga è “meschina” e quindi sono carichi di debiti coi padroni i quali approfittando di ciò li tengono come legati nei loro terreni”. Pertanto, poiché i padroni “non hanno voluto e vogliono più sentirli”, si sono accordati per riunirsi mercoledì sera, 16 maggio, nella Tenuta di Boccea.
Nel suo verbale, Lorenzo Zamparelli, originario di Nepi, di anni 23, scapolo, in servizio come Bifolco nella Tenuta di Pisciarello, gestita dalla vedova Regis, ribadisce che hanno protestato per la paga “meschina” e che si sono accordati per riunirsi mercoledì sera nella Tenuta di Boccea.
Il 18 maggio la Direzione di Polizia dispone la liberazione di 41 dei 51 Campagnoli arrestati e portati in carcere a Roma.
Il 19 maggio è interrogata anche la vedova Regis, affittuaria della Tenuta di Pisciarello, nella sua abitazione romana, la quale dichiara di essere stata avvertita dal Capoccia della protesta e di essere quindi andata nella Tenuta per convincere i lavoratori a riprendere il lavoro e che loro le avevano comunicato che chiedevano un aumento della paga, altrimenti “sarebbero ritornati alle proprie case”. Dichiara poi che da alcuni anni frequenta la Tenuta un “sedicente sacerdote”, che si fa chiamare “Don Luca”, che si intrattiene a parlare con i lavoratori. Infine riconosce: che alcuni Mercanti somministrano ai lavoratori un “pane pessimo” e che questa cosa “merita una seria sorveglianza”; che la paga data ai lavoratori è “meschina e merita un amento” ; che non c’è nella protesta un “fine politico”.
La Direzione di Polizia individua “Don Luca” in Don Luca Riccelli, un sacerdote impiegato presso la Segreteria dei Brevi (un ufficio della Curia Romana), che è interrogato il 19 maggio e riconosce che negli ultimi 5 anni era andato spesso nella Tenuta Pisciarello, l’ultima volta il 10 maggio, e che ha parlato con i lavoratori delle loro condizioni di lavoro e di vita. Conferma che alcuni lavoratori gli hanno chiesto consiglio su come fare per migliorare la loro “condizione” e lui li aveva consigliati di rivolgersi al Tribunale dell’Agricoltura.
LA MEDIAZIONE DELLE AUTORITA’ PONTIFICIE TRA I MERCANTI ED I LAVORATORI
Castel di Guido-chiesa dello SPIRITO SANTO anno di costruzione 1600
Pertanto, in base ai Rapporti di Polizia ed agli interrogatori, le Autorità pontificie hanno subito un quadro preciso in merito alle cause ed alle modalità della “protesta contadina”. Quindi in una riunione tra il Papa Gregorio XVI, il Governatore di Roma, Mons. Benedetto Capelletti, ed il Segretario di Stato, Cardinale Tommaso Bernetti, considerato che i motivi della protesta sono solo di carattere economico e non politici, cioè di opposizione al Governo pontificio, si decide di non ricorrere all’azione repressiva, ma di svolgere una attività di mediazione tra i Mercanti di Campagna ed i Bifolchi, i quali sono “ammoniti” a ritornare alle “loro occupazioni” e a non fare altre proteste, ma eventualmente una “petizione”. In cambio il Governo pontifico si impegna a difendere i loro diritti ad un vitto “sano e di buona qualità” ed a un “salario giusto”. Al riguardo, i Mercanti di Campagna sono richiamati a dare un “equo trattamento“ economico ai Campagnoli per migliorare le loro condizioni. Sono anche avvisati che il “problema” è seguito personalmente sia dal Pontefice che dal Segretario di Stato.
Il 19 maggio è convocato dalla Polizia Carlo Merolli (che ha in affitto la Tenuta di Torre in Pietra, insieme con i tre fratelli Antonio, Francesco e Tommaso), il quale è ammonito che “i viveri, ed in specie il pane, che si somministra ai campagnoli addetti alle loro terre, siano di buona e sana qualità”, sia per prevenire “nuovi reclami”, sia per evitare le sanzioni previste dalle leggi sanitarie.
Sempre il 19 maggio il Governatore di Roma chiede al Cavaliere Valentini, Presidente della Camera di Commercio (istituita l’8 luglio 1831 come organo consultivo del Governo pontificio e composta da 15 membri, tutti “negozianti distinti per probità e per relazioni commerciali”), di convocare per il giorno seguente la Camera. Allega alla richiesta uno dei pani sequestrati ai Merolli, che erano di solito dati ai Campagnoli, affinché i componenti della Camera possano controllarne la “natura”.
Lo stesso 19 maggio il Direttore Generale della Polizia invia una lettera al Presidente della Camera di Commercio, nella quale afferma che i Campagnoli “mal soddisfatti del cattivo trattamento e della scarsa mercede, che ricevevano dai Mercanti di Campagna a cui erano addetti, si sono ammutinati ed hanno unanimemente sospeso il lavoro”. Pertanto, la responsabilità della agitazione è attribuita dal Direttore della Polizia ai Mercanti di Campagna, la maggior parte dei quali trattano i propri lavoratori “in un modo assai duro, sia nello stipendio, sia nelle cibarie, e specialmente nel pane” e sono quindi richiamati perché si temono conseguenze sia politiche (nuovi moti popolari come quelli avvenuti l’anno precedente) che sanitarie, dato che la somministrazione di alimenti di “cattiva qualità” potrebbe provocare un’epidemia di colera. Al riguardo, il 19 maggio la Segreteria della Sacra Consulta invita il Cardinale Camerlengo a disporre gli opportuni controlli per garantire “la qualità sana dei generi commestibili che si smerciano per il consumo”, allo scopo di evitare “malattie contagiose”.
LE DECISIONI DELLA CAMERA DI COMMERCIO
LA TOSA-Ricerca storica su: “Campagna Romana-Castel di Guido di Roma.”
Il pomeriggio del 20 maggio si riunisce la Camera di Commercio, allargata ai principali Mercanti di Campagna che “seminano le Tenute dell’Agro Romano”, 16 dei quali partecipano (compresi due dei 4 Fratelli Merolli).
Il giorno seguente, 21 maggio, il Cavaliere Valentini, Presidente della Camera, invia una relazione al Governatore di Roma, nella quale cerca di condurre la causa dell’agitazione contadina alla “cattiva qualità” del vitto distribuito ai lavoratori dai Fratelli Merolli, in particolare il pane che è definito “orrido” e che ha “commosso a sdegno” tutti i presenti. Al riguardo Tommaso Merolli riconosce che il pane è stato distribuito ai lavoratori, ma “una volta sola… per equivoco” e promette che non sarebbe più avvenuto.
Però, poiché il pane era stato cotto in un forno di Roma, Valentini chiede al Governatore di Roma di far controllare meglio la salubrità dei cibi da parte della Prefettura dell’Annona, attraverso i tanti Agenti incaricati. In questo modo, secondo Valentini i Mercanti di Campagna da “imputati” diventano “critici” verso la Prefettura dell’Annona, ritenuta responsabile per il mancato controllo della produzione del pane avariato nel forno di via dei Chiavari.
Inoltre il Presidente della Camera di Commercio Valentini accusa i Campagnoli di essere “infingardi” ed “insubordinati” dato che tutti i Mercanti di Campagna affermano che “nelle loro Tenute i lavoratori non avevano di che lagnarsi…tanto per ragione delle cibarie quanto per ragione delle mercedi”.
In merito all’invito del Governatore di Roma, a nome del Papa, di migliorare il salario dei lavoratori agricoli, il Cavaliere Valentini, molto diplomaticamente, afferma che la questione merita un esame approfondito, ma fa presente che i vantaggi salariati acquisiti dai Campagnoli sarebbero stati poi richiesti anche da altre categorie di lavoratori, mettendo in difficoltà l’economia dello Stato.
La Camera di Commercio incarica uno dei suoi membri più autorevoli, il Mercante di Campagna Gaetano Giorgi, di preparare una “memoria” sul problema dell’aumento del salario, che viene discusso ed approvato il 30 maggio. Al riguardo, Valentini toglie dal testo l’introduzione nella quale Giorgi, pur essendo un Mercante di Campagna, denuncia le difficili condizioni di vita dei Campagnoli, affermando in particolare che la loro condizione è “più che dura”, dato che lavorano “dalla mattina alla sera, sottoposti alle intemperie delle stagioni ed alle stravaganze dei tempi” e che hanno diritto ad “un cibo proporzionato la bisogno, a un sufficiente vestito e a un sicuro ricovero”. Riconosce inoltre che la mercede in denaro è “scarsa”.
Nel documento della Camera di Commercio si afferma la netta opposizione a stabilire per legge il salario minimo, che deve essere lasciato alla “libera contrattazione delle parti”. Si propone inoltre l’abolizione delle Tariffa per le mercedi dei lavoratori agricoli dell’Agro Romano, prevista nello Statuto dell’Arte Agraria approvato nel 1718, che avvantaggia i “Caporali” (intermediari) che speculano sull’offerta di lavoro (da parte dei Campagnoli), che è sempre maggiore rispetto alla domanda di lavoro (da parte dei Mercanti di Campagna). Inoltre, rispetto alla parte del salario corrisposto in natura (come alimenti) si afferma l’opportunità che fosse determinato in termini quantitativi e non monetari per garantire ai lavoratori agricoli una razione alimentare costante, considerato l’aumento dei prezzi, in conseguenza dell’inflazione, che comportava una diminuzione continua della quantità della razione alimentare.
Si propone una Bozza di Regolamento di Polizia Rurale per regolare i rapporti tra i Mercanti di Campagna ed i lavoratori, come ad esempio la determinazione precisa dei vari lavori, la loro esecuzione ottimale e la loro durata…e la puntualità del pagamento del salario. Si propone anche di istituire un Libretto di Lavoro, come è stato fatto nel Lombardo-Veneto (possedimento austriaco) ed in Toscana, e di far costruire dai proprietari terrieri delle Tenute, e non dai Mercanti di Campagna che le hanno in gestione, un numero adeguato di casali (abitazioni rurali) per ospitare, la notte ed in caso di maltempo, i lavoratori agricoli che altrimenti sono costretti a “dormire sulla nuda terra e a cielo scoperto”, con la conseguenza che si ammalano e poi riempiono gli ospedali di Roma.
Con questa Relazione la Camera di Commercio va molto oltre la richiesta fatta dal Governatore di Roma. In particolare si chiede al Governo un intervento repressivo, che invece era stato escluso, considerata la legittimità dei motivi economici della protesta per evitare nuove agitazioni che avrebbero danneggiato l’imminente raccolto dei cereali.
IL NUOVO SCIOPERO DEL 29 MAGGIO 1832
Castel di Guido-Casale della Bottaccia
Il 29 maggio 1832 protestano i lavoratori delle Tenute ubicate lungo la Via Tuscolana e Tiburtina. Infatti nel pomeriggio di mercoledì 29 maggio il Governatore di Frascati informa la Segreteria di Stato che la mattina una “quantità di bifolchi”, provenienti dalla Tenuta di Lunghezza, sono arrivati nella Tenuta di Pantano, dove hanno persuaso “altri simili operaj” ad abbandonare il lavoro, reclamando “l’aumento del salario”, e poi sono andati, tutti insieme, alla Tenuta Pallavicina, per convincere anche i lavoratori di quella azienda a lasciare il lavoro.
Il fatto è confermato dalla denuncia, presentata nella stessa giornata alla Direzione di Polizia, dal Capoccia della Tenuta di Lunghezza, Franco Caldari, il quale dichiara che la mattina 16 Bifolchi “di comune accordo” avevano rifiutato di obbedire all’ordine di attaccare gli aratri ai buoi, per fare l’aratura dei campi, ed avevano addirittura impedito di farlo al Capoccetto. In seguito i Bifolchi erano andati verso al Tenuta di Pantano. Caldari dichiara inoltre che il motivo addotto dai Bifolchi per la protesta è stato quello “di non poter vivere colla meschina mesata che hanno”, e che non si sono lamentati del vitto fornito, che è considerato “eccellente”.
Nei giorni seguenti, 30 e 31 maggio, arrivano alla Direzione di Polizia, al Governatore di Roma ed alla Segreteria di Stato vari rapporti da parte di Carabinieri, di poliziotti e di autorità locali. In particolare il Governatore di Gennazzano riferisce il 30 maggio che il giorno precedente circa 200 Bifolchi, anche armati di falce, di zappe e di altri attrezzi, giravano per le Tenute, convincendo “a viva forza” i lavoratori a lasciare il lavoro.
Sempre il 30 maggio il Comandante del distaccamento dei Carabinieri di Zagarolo invia un rapporto al Comandante la Tenenza di Palestrina, sulla base delle informazioni fornite dal fattore della Tenuta San Cesareo, il quale aveva dichiarato che “circa 80 bifolchi” erano arrivati nella Tenuta ed avevano convinto con la forza 16 lavoratori a lasciare il lavoro. Quindi, tutti insieme, erano andati alla Tenuta di Corcollo e poi alla Tenuta di Pantano, dove hanno bivaccato, dopo aver abbondantemente bevuto. La mattina seguente dovevano andare nelle Tenute Pallavicina e Torre Nova, per poi andare a manifestare a Roma, ma durante la notte molti Bifolchi se ne sono andati e gli altri sono ritornati nelle loro Tenute la mattina del 30 maggio.
La sera del 30 maggio è inviato alla Segreteria di Stato ed al Governatore di Roma un rapporto dettagliato dal Capo delle Guardie di Polizia Giovanni Galanti, il quale riferisce che un drappello di guardie a cavallo aveva trovato vicino alle Tenute Pantano e Pallavicina “un’orda di 20 campagnoli”, che erano stati fermati, interrogati e poi condotti alle loro Tenute. Dagli interrogatori era emersa la situazione di “disagio” dei lavoratori agricoli, che li aveva indotti a fare la protesta. Galanti chiede inoltre al Governatore di Roma l’adozione di misure repressive, che però non sono accolte dal Governo, dato che era stata accertata l’inesistenza di motivazioni politiche per la protesta, che era causata solo dalle difficili condizioni di vita dei Campagnoli.
Anche il Priore di Zagarolo, nella lettera inviata il 30 maggio al Governatore di Palestrina, afferma che lo scopo dei Bifolchi era quello “di avere il pane e il salario come lo avevano prima”.
Il motivo economico della protesta emerge anche dal rapporto inviato il 31 maggio dai Carabinieri, nel quale si afferma che i Campagnoli “erano mal governati dai Proprietari delle Tenute”, che facevano loro mangiare “pane assai cattivo” ed inoltre erano “tenuamente pagati”. Pertanto, emerge chiaramente che il motivo della protesta era la qualità del vitto (il salario corrisposto in natura) e la insufficienza del salario. Però non emerge dalle indagini fatte dalla Polizia un collegamento con la precedente protesta del 16 maggio, che aveva riguardato le Tenute lungo la via Aurelia, molto lontane da quelle interessate dalla protesta del 29 maggio. Certamente la notizia della protesta del 16 maggio, che non era stata repressa, si era diffusa in tutto l’Agro Romano. Sicuramente era anche nota la disponibilità del Governo pontificio ad ascoltare le rivendicazioni dei lavoratori (addirittura considerate giuste e legittime). Pertanto, tutto questo aveva indotto anche i Bifolchi dell’altra parte dell’Agro Romano a protestare.
La nuova protesta, anche se non c’erano fogli scritti a mano con le richieste dei lavoratori, suscita un notevole allarme sia nel Governo pontificio che negli ambienti dei Proprietari terrieri e dei Mercanti di Campagna.
I PROVVEDIMENTI ADOTTATI
Castel di Guido di Roma-Epigrafe marmorea sulla facciata degli edifici della piazza del Borgo-
Il 12 giugno il Governatore di Roma, Mons. Capelletti, scrive al Cavaliere Valentini, Presidente della Camera di Commercio, chiedendo di aggiornare la Tariffa salariale prevista negli Statuti dell’Agricoltura del 1718.
Inoltre ordina alle Guardie ed ai Carabinieri di perlustrare l’Agro Romano sia per prevenire nuove proteste, sia per verificare che nelle varie Tenute si somministrasse ai lavoratori un vitto adeguato sia per qualità che per quantità. Al riguardo, infatti, continuano ad arrivare “rimostranze” di Campagnoli per il vitto di pessima qualità somministrato dai Mercanti di Campagna. In particolare, l’11 giugno si presenta alla Direzione Generale di Polizia il sig. Carlo Lucchetti, Caporaletto della Tenuta di Ponte Galera, affittata dal Mercante Giuseppe Gentili, il quale lamenta che da sette giorni è somministrato un “pessimo pane ”, per cui “si sentono tutti gli omini malati con pene di stommaco e dolori”. Hanno reclamato più volte, ma inutilmente. La Direzione di Polizia assicura Lucchetti che il Governo avrebbe provveduto onde il pane fosse somministrato di “bona qualità”.
Nel mese di giugno c’è una fitta corrispondenza del Governatore di Roma con il Presidente dell’Annona, Mons. Luzi, al quale chiede in particolare di aumentare i controlli nei forni e di reprimere le frodi attraverso l’uso nella panificazione di farine malsane.
Lo stesso Pontefice aveva chiesto al Governatore di Roma di tenerlo informato ed in particolare aveva chiesto che ai Fratelli Merolli, affittuari della Tenuta di Torre in Pietra, fosse applicata una forte multa, che sarebbe stata usata per scopi caritativi. Al riguardo, il 27 luglio Mons. Luzi annuncia al Governatore di Roma che la multa è stata fissata in 350 scudi in seguito ad una perizia che ha accertato che nella panificazione del pane somministrato dai Fratelli Merolli ai propri lavoratori erano state usate farine “pregiudizievoli alla pubblica salute”, dato che contenevano “sostanze straniere…cioè terra, sassolini stritolati e carbone”.
Tra il giugno e la metà di luglio, il Capo delle Guardie Giovanni Galanti invia cinque importanti rapporti al Segretario di Stato Cardinale Bernetti. In uno riferisce sul salario mensile in moneta corrisposto ai Bifolchi nei vari mesi dell’anno, che è risultato crescente: a gennaio-marzo era di scudi 1,50 (1 scudo equivale a 100 bajocchi); ad aprile di scudi 2; a maggio di scudi 2,50; a giugno di scudi 3,50; a luglio di scudi 5,50; ad agosto di scudi 4,50; a settembre- ottobre-novembre di scudi 3; a dicembre di scudi 2. Questo dimostra il maggior potere contrattuale dei Bifolchi nei periodi dell’anno (luglio ed agosto) nei quali si devono svolgere i lavori non rinviabili (ad esempio la mietitura dei cereali). Però il livello del salario monetario mensile, dopo l’impennata che c’era stata negli ultimi anni del Settecento, in particolare durante la Repubblica Romana del 1799, quando era raddoppiato rispetto al 1718, era tornato, con la Restaurazione, al livello degli anni 1775-1777, per cui le condizioni economiche dei Bifolchi erano notevolmente peggiorate.
In un altro rapporto Galanti riferisce sulla situazione della quantità e della qualità del salario in natura, costituito dai “viveri” (generi alimentari) corrisposti dai Mercanti di Campagna ai propri dipendenti, che per circa i 4/5 era costituito dal pane, che in molti casi continuava ad essere di pessima qualità, in particolare a Castel di Guido, dove è “mescolato con grossumi…malcotto e di cattiva masticazione per la terra che contiene”. Galanti riferisce anche che il peso della pagnotta che costa 1 bajocco era costantemente diminuito, passando da otto once del Settecento a sei once del 1832, con una perdita di peso di circa il 25% .Galanti riferisce inoltre che è molto diffusa la “frode sul peso” del pane somministrato. In questo modo i Bifolchi erano penalizzati due volte. Pertanto, Galanti suggerisce al Governatore di Roma, anche per evitare nuove proteste, nel suo rapporto del 17 giugno, di “intimare” ai Mercanti di Campagna, che egli chiama “delinquenti”, “l’osservanza esatta” dei loro doveri, minacciando altrimenti la surrogazione del Governo pontificio nella corresponsione di un “equo salario”, che naturalmente sarebbe stato rimborsato dai Mercanti.
Nel rapporto del 29 giugno Galanti afferma che pur essendo ora “in generale il pane ed il companatico pei campagnoli di buona qualità”, ci sono ancora dei Mercanti che “continuano a distribuire un pane di qualità scadente” ed il “peggiore di tutti” è ancora quello dei Fratelli Merolli, i quali per questo motivo sono sanzionati con una multa di ben 350 scudi.
Nello stesso rapporto del 29 giugno Galanti afferma che i Campagnoli “sono rimasti oltremodo soddisfatti delle premure a loro vantaggio” prese dal Governo pontificio.
Nel rapporto del 15 luglio Galanti ribadisce che “gli ammutinamenti dei villici hanno tratta origine dal cattivo trattamento dei Mercanti ed in particolare dei Fratelli Merolli”.
Purtroppo la Tariffa degli Statuti di Agricoltura del 1718 non è modificata per le resistenze frapposte dalla Camera di Commercio, che approfitta anche del fatto che era passato il periodo della trebbiatura e quindi i Bifolchi avevano perso il loro potere contrattuale. In verità avrebbero potuto riattivare la protesta l’anno seguente, ma purtroppo questo non è avvenuto. Si dovrà aspettare 30 anni per un nuovo “sciopero”, fatto nel giugno 1863 dai mietitori.
BIBLIOGRAFIA
Carlo Maria Travaglini, Analisi di un’agitazione contadina nella campagna romana all’epoca della Restaurazione, Pubblicazione dell’Istituto di Storia Economica, Facoltà di Economia e Commercio dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Roma 1984.
BREVISSIMA BIOGRAFIA del Professor GIORGIO GIANNINI-Nato a Roma il 23 ottobre 1949.
Prof.Giorgio Giannini
Giorgio GIANNINI, Ha conseguito la Laurea in Giurisprudenza, la Specializzazione in Diritto penale e Criminologia ed il Perfezionamento in Scienze Amministrative presso l’Università “La Sapienza”, di Roma.
E’ stato obiettore di coscienza al servizio militare, svolgendo il servizio civile sostitutivo, e docente di ruolo di Discipline Giuridiche ed Economiche dal 1978 al 2009.
Negli anni 1996-97 e 1997-98 ha prestato servizio in “assegnazione” presso il Museo Storico della Liberazione di Roma in Via Tasso 145, Roma.
Dal 1989 al 2001 è stato Consigliere per i Verdi nella Circoscrizione 18 e dal 2006 al 2008 nel Municipio 13.
Nel 2008 è stato Consulente presso l’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile.
Dal 2006 è presidente dell’associazione pacifista e nonviolenta Centro Studi Difesa Civile (www.pacedifesa.org), di cui è stato cofondatore nel 1988.
Fa parte del Direttivo del Circolo Giustizia e Libertà, fondato a Roma nel 1948 da partigiani del Partito d’Azione, e della Associazione democratica Giuditta Tavani Arquati, fondata a Roma nel 1887 per tutelare gli ideali risorgimentali, ed è membro della Associazione nazionale del libero pensiero Giordano Bruno, costituita a Roma nel 1906 per tutelare gli ideali di libertà e di laicità.
Ha pubblicato i seguenti libri:
Il servizio di leva, Buffetti Editore, Roma,1985;
L’obiezione di coscienza, Cooperativa Editrice Satyagraha, Torino 1986;
L’obiezione di coscienza Saggio storico giuridico, Edizioni Dehoniane, Napoli 1987;
La lotta non armata nella resistenza (a cura di), Centro Studi Difesa Civile, Roma 1994;
La resistenza non armata (a cura di), Sinnos Editrice, Roma 1995;
L’opposizione popolare al fascismo (a cura di ), Edizioni Qualevita ,Sulmona (AQ) 1996;
I forti di Roma, Newton Compton Editori, Roma 1998;
Lotta per la libertà, Resistenza a Roma 1943-1944, Edizioni Associate, Roma 2000;
Il giorno della memoria Per non dimenticare, Edizioni Associate, Roma 2005;
Vittime dimenticate, Lo sterminio dei disabili,dei Rom,degli omosessuali e dei Testimoni di Geova, Stampa Alternativa, Viterbo 2011.
L’inutile strage, Controstoria della Prima guerra mondiale, Luoghi Interiori, Città di Castello (PG) 2018
La tragedia del confine orientale, L’italianizzazione degli Slavi, le foibe,l’esodo giuliano-dalmata, Luoghi Interiori, Città di Castello (PG) 2018
Le mie tre vite, La vita avventurosa del Comandante partigiano romano Mario Fiorentini, Luoghi Interiori Città di Castello (PG) 202
Ha inoltre pubblicato più di 300 articoli, pubblicati su varie Riviste cartacee ed online.
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