Articolo di Guido Michelone-I futuristi secondo Gramsci-Fin da subito si delineano all’interno del movimento futurista due atteggiamenti ideologici: uno nazionalista e l’altro anarcoide, con colorature socialisticheggianti. Questa sorta di divisione interna fra destra e sinistra futuriste non si notano a livello creativo: in entrambi i casi il futurismo all’inizio è un movimento compatto avente quale obiettivo primario la distruzione del cosiddetto passatismo, che ad esempio in pittura concerne l’accademia, il gusto classico, la morale borghese, l’arte consolatoria. È solo dopo la Marcia su Roma con la dittatura di Benito Mussolini che il futurismo aderisce ufficialmente al fascismo, identificandosi in toto con esso, in una situazione doppiamente paradossale perché da un lato il futurismo è l’unica avanguardia ad aderire a un regime di destra, così come il fascismo è il solo dei totalitarismi (rispetto a nazismo, franchismi, stalinismo) a proteggere, favorire, esaltare, soprattutto nelle arti figurative, un movimento sperimentale.
Dimenticata in fretta nell’Italia del secondo dopoguerra – almeno fino agli anni Sessanta con la riscoperta dello storico dell’arte Maurizio Calvesi – l’estetica del futurismo gode di prestigio e ammirazione negli altri paesi europei e soprattutto negli Stati Uniti, in cui gli studiosi progressisti trovano, specie nei proclami teorici, molte anticipazioni delle cosiddette neoavanguardie. Ma a intuire la novità futurista esiste già nel 1921 tale Antonio Gramsci il quale, in una nota non firmata, sul giornale «L’Ordine Nuovo» (da lui stesso fondato) il 5 gennaio 1921 scrive: “I futuristi, nel loro campo, nel campo della cultura, sono rivoluzionari; in questo campo, come opera creativa, è probabile che la classe operaia non riuscirà per molto tempo a fare di più di quanto hanno fatto i futuristi: quando sostenevano i futuristi, i gruppi operai dimostravano di non spaventarsi della distruzione, sicuri di potere, essi operai, fare poesia, pittura, dramma, come i futuristi, questi operai sostenevano la storicità, la possibilità di una cultura proletaria, creata dagli operai stessi”.
Si tratta di un ragionamento che parte da una constatazione ben precisa, risalente a quanto dimostrato dal futurismo medesimo nei quattordici anni di assidua militanza artistica: “I futuristi – continua Gramsci – hanno svolto questo compito nel campo della cultura borghese: hanno distrutto, distrutto, distrutto, senza preoccuparsi se le nuove creazioni, prodotte dalla loro attività, fossero nel complesso un’opera superiore a quella distrutta: hanno avuto fiducia in se stessi, nella foga delle energie giovani, hanno avuto la concezione netta e chiara che l’epoca nostra, l’epoca della grande industria, della grande città operaia, della vita intensa e tumultuosa, doveva avere nuove forme, di arte, di filosofia, di costume, di linguaggio: hanno avuto questa concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista, quando i socialisti non si occupavano neppure lontanamente di simile questione, quando i socialisti certamente non avevano una concezione altrettanto precisa nel campo della politica e dell’economia, quando i socialisti si sarebbero spaventati (e si vede dallo spavento attuale di molti di essi) al pensiero che bisognava spezzare la macchina del potere borghese nello Stato e nella fabbrica”.
Si tratta di un passo che viene riscoperto solo negli anni Settanta del XX secolo quando si iniziano i primi studi sul Gramsci recensore di spettacoli teatrali, un’esperienza da cui trarrà giovamento anni dopo, quando, rinchiuso nelle patrie galere da Mussolini per tappargli la bocca e impedirgli l’attività giornalistica, riuscirà miracolosamente a redigere alcuni scritti pubblicati solo nel 1948, che saranno alla base delle politiche culturali del Partito Comunista Italiano, che di futurismo, all’epoca, proprio non ne vuole sentire parlare.
Tuttavia rileggendo un celebre passo dei Quaderni del carcere è palese quanto il ricordo del futurismo possa aver ispirato a Gramsci questa profonda riflessione: «(…) l’arte è sempre legata a una determinata cultura o civiltà, e che lottando per riformare la cultura si giunge a modificare il “contenuto” dell’arte e che si lavora a creare una nuova arte, non dall’esterno (pretendendo un’arte didascalica, a tesi moralistica), ma dall’intimo, perché si modifica tutto l’uomo in quanto si modificano i suoi sentimenti, le sue concezioni e i rapporti di cui l’uomo è l’espressione necessaria».
La Chiesa valdese di Roma presenta la Mostra di arti grafiche e visive
“ARTE PER I DIRITTI UMANI”
Roma (NEV), 3 dicembre 2024 – La Chiesa valdese di Roma piazza Cavour presenta la Mostra di arti grafiche e visive “ARTE PER I DIRITTI UMANI”. In memoria di coloro i cui diritti umani siano stati lesi”. L’iniziativa gode del patrocinio di Amnesty International e IDHAE (Istituto per i Diritti dell’Uomo. Avvocati Europei). Il vernissage si terrà domenica 8 dicembre a partire dalle 16. Per l’occasione è stata anche organizzata una conferenza di Emanuela Claudia del Re, rappresentante speciale europea per il Sahel (ISPI).
Si legge nel comunicato stampa di lancio dell’iniziativa:“Sono migliaia le donne e gli uomini rinchiusi in carceri malsane, che regolarmente vengono torturati, stuprati, privati di cure mediche, privati della visita dei congiunti e della possibilità di avere un avvocato difensore. Sono tantissime le persone di ogni ceto sociale prese e detenute senza motivo, o comunque
illegalmente, per governare con il terrore in nome del danaro e del potere. E se è giusto, come è giusto, che le grandi stragi e le sofferenze del passato siano ricordate, e qui vogliamo in particolare riferirci alla persecuzione degli Ebrei nell’ultima guerra, allora sarà altrettanto giusto far uscire dall’ombra i nomi, i volti e le storie delle persone perseguitate oggi, a volte solo per avere espresso una opinione. Nemmeno i bambini e i giovani si salvano da questo Museo dell’Orrore.
La Chiesa Valdese di Piazza Cavour in Roma, da sempre attiva nel campo della difesa dei diritti umani, non potendo più rimanere indifferente alle atrocità che Governi non illuminati stanno perpetrando in moltissimi paesi del mondo, ha deciso di reagire, in modo pacifico, organizzando una Mostra dedicata ai diritti umani. Questa mostra vuole dare un sia pur minuscolo contributo per far uscire dall’ombra della morte e dal gelo del carcere le persone ingiustamente detenute, altri esseri umani in questo momento avvolti dal terrore di essere dimenticati da quel mondo per il quale si sono sacrificati. C’è un pensiero di Benenson, fondatore di Amnesty International, che ben si attaglia a questa mostra: Meglio accendere una candela che rimanere al buio”.
Appuntamento in via Marianna Dionigi, 59 (Piazza Cavour – Roma)
Oggi 4 dicembre ricorre la data della morte della scrittrice, filosofa e storica –
Il 4 dicembre del 1975, a New York, muore la filosofa e storica tedesca Hannah Arendt. Nata da una famiglia ebrea, la Arendt studia filosofia con il teologo Rudolf Bultmann, Martin Heidegger all’università di Marburg.
Con Heiddeger, ricorda Rai cultura, «Arendt ha una relazione sentimentale segreta, scoprendo solo piuttosto tardi le simpatie naziste del filosofo, da cui si dissocia. Dopo aver chiuso questa relazione, la Arendt si laurea con una tesi sul concetto di amore in Sant’Agostino».
La tesi è pubblicata nel 1929, ma alla Arendt, viste le sue origini, non viene concessa l’abilitazione all’insegnamento nelle università tedesche. Lascia la Germania e si trasferisce prima in Francia e poi negli Stati Uniti, dove vivrà fino al 1975, anno della sua morte. Tra le sue opere più note, “Le origini del totalitarismo”, “Ebraismo e modernità” e “La banalità del male”».
Sessant’anni fa, nel 1964, Feltrinelli pubblica in Italia La banalità del male –Eichmann a Gerusalemme di Hannah Arendt.
«Il saggio – ricorda Elia Bosco sul sito della Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana– fu scritto dopo la partecipazione della pensatrice politica, in qualità di giornalista, al processo contro il gerarca nazista Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili della cosiddetta “soluzione finale”, svoltosi a Gerusalemme nel 1961, cui esito fu la pena di morte.
L’opera entrò a pieno titolo nella storia del pensiero del Novecento per la sua portata rivoluzionaria, che portò ad una inedita concezione delle categorie tradizionali di bene e di male.
Il concetto di banalità del male si mette in rapporto dialettico, nel pensiero della Arendt, con il concetto kantiano di radicalità del male, utilizzato dalla scrittrice nell’opera del ‘51 intitolata Le origini del totalitarismo. Sulle pagine del New Yorker, Hannah Arendt scrisse che il processo a Eichmann ha rovesciato completamente il tema del male come esso era stato presentato nel testo del 1951. Se in quell’opera i totalitarismi erano stati letti come conseguenza diretta del fallimento della democrazia e del pensiero critico, e piene manifestazioni del male assoluto e radicale, alla luce della macchina di sterminio industriale che Auschwitz rappresentò quella categoria non era più sufficiente per descrivere il dramma dei campi di sterminio e serviva dunque una rielaborazione concettuale».
Togliendoci qualsiasi appiglio metafisico, «che non di rado è stato utilizzato quale comoda uscita di sicurezza, e mettendoci in guardia dalla tentazione di estetizzare il male – scriveva nel 2015 Massimo Marottoli in un articolo su Riforma.it dal titolo Il doppio sguardo –sul film di M. Von Trotta, Arendt ci snida dalle menzogne in cui ci siamo appisolati; ci strappa di dosso gli alibi consolatori che preservano dal contatto diretto con il reale e ci chiama a responsabilità».
Breve biografia di Hannah Hannah Filosofa tedesca della politica, naturalizzata statunitense (Hannover 1906 – New York 1975). Significativo esempio di studiosa impegnata, A. ha lasciato una originale produzione scientifica che intreccia contributi filosofici, politologici e sociologici. Allieva di Husserl e Heidegger, laureatasi in filosofia a Heidelberg con Jaspers, fu costretta a lasciare la Germania (1933) perché di famiglia ebraica: lavorò a Parigi per un’organizzazione sionista fino al 1940; quindi emigrò negli Stati Uniti, dove fu attivista in organizzazioni ebraiche, fra cui la Jewish Cultural Reconstruction. La sua carriera accademica si svolse nelle univ. di Berkeley, Princeton, Chicago (dal 1963) e alla New School for Social Research di New York (dal 1967). Il problema dell’agire umano nella storia e della sua politicità (cioè del rapporto dell’uomo con gli altri uomini in comunità organizzate) è delineato in The origins of totalitarianism (1951; trad. it. Le origini del totalitarismo), una delle prime e più importanti analisi di un sistema politico manifestatosi, secondo A., per lo più nella Germania nazista e nell’URSS. Il totalitarismo si lega al declino dello Stato nazionale e al sorgere dell’imperialismo, alla rottura del sistema classista e all’atomizzazione della società di massa; e viene definito come «forma di governo la cui essenza è il terrore e il cui principio d’azione è la logicità del pensiero ideologico». Problemi ripresi in The human condition (1958; trad. it. Vita activa), in cui si afferma l’importanza della sfera pubblica come luogo privilegiato per la formazione del cittadino come protagonista della vita sociale e politica in tutta la ricchezza delle sue manifestazioni, secondo il modello della polis greca; a proposito del controverso rapporto sulla banalità del male come prodotto di un’organizzazione burocratica e dell’acquiescenza degli individui in Eichmann in Jerusalem (1963; trad. it. La banalità del male); nell’analisi della rivoluzione come fenomeno essenzialmente moderno inteso a liberare e a produrre libertà in On revolution (1963; trad. it. Sulla rivoluzione); nella riflessione sulle funzioni e sull’ubiquità della violenza in On violence (1970; trad. it. Sulla violenza). In polemica con le comunità ebraiche nell’affermazione della sua laicità, A. ebbe come filo unificante del suo pensiero la ricerca delle condizioni della libertà di fronte all’erosione della distinzione fra sfera privata e sfera pubblica, presentato nei volumi Pensare e Volere di un’incompiuta trilogia (manca Giudicare): The life of the mind (post. 1978; trad. it. La vita della mente).
Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani –
Franco Leggeri Fotoreportage -Roma Municipio XIII-Torre della Bottaccia di Castel di Guido –
ROMA Municipio XIII-Franco Leggeri Fotoreportage -La Torre della Bottaccia è sita sulla via Aurelia Antica, Municipio XIII- Brano e foto tratto dalla Monografia “Torri Segnaletiche-Saracene della Campagna Romana “di Franco Leggeri.In Italia esistono luoghi, se pur carichi di storia per le Città e i Borghi dove sorgono, lasciati nel degrado e nella più completa rovina. Le Torri della Campagna Romana non sono “pietre disperse” e senza storia , ma sono sicuramente edifici, porzione di edifici, dal passato antico che per qualche ragione sconosciuta non godono dei “diritti” di recupero e restauro come di altri luoghi simili esistenti nella Roma Capitale d’Italia.La Torre della Bottaccia è forse condannata a una fine ignobile, soffocata dai suoi stessi calcinacci?
A proposito delle Torri della Campagna Romana il Tomassetti scrisse:”…pensi il lettore , contemplandole ora così poeticamente desolate, quasi giganti feriti ed impietriti sul posto , a ricostruire la Storia con l’immaginazione , e figurarsi le feste, gli armamenti, le battaglie, tutto ciò che formò la vita agiata della Campagna Romana nel Medioevo; ed egli dovrà convenire con me che esse esercitano grande seduzione nella nostra mente. Pensino pertanto i proprietari dell’Agro Romano a conservare gelosamente questi ruderi dell’Arte e della Poesia; ne impediscano ai pecorari e ai contadini la continua malversazione; pensi il Governo a farne compilare l’esatto elenco ed a farne regolare consegna ai proprietari, come dei Monumenti Antichi, sia perché hanno aspetto pittoresco , sia perché appartengono alla Storia; e col tempo la posterità domanderà conto alla presente generazione del non aver arrestato e posto fine ai guasti dovuti all’ignoranza dei nostri predecessori ”.Brano e foto tratto dalla Monografia “Torri Segnaletiche-Saracene della Campagna Romana “di Franco Leggeri.
Campagna Romana.
ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della Bottaccia Foto di Franco Leggeri
Disegno copiato dal catasto Alessandrino del secolo XVII.
La ventitreenne americana Florence Fein, figlia di genitori ebrei e nipote di una donna russa, è da sempre affascinata dal mondo sovietico. La Grande Depressione ha colpito gli Stati Uniti e lei, idealista e nauseata dalle contraddizioni del proprio paese, decide di lasciare New York per trasferirsi nella terra d’origine della nonna, inseguendo il sogno socialista e la promessa di un amore oltreoceano. Una volta giunta a destinazione, però, le speranze svaniscono una dopo l’altra, la ragazza si trova faccia a faccia con la brutalità di un regime sempre più opprimente e rimane presto bloccata in un paese da cui non può fuggire. Molti anni dopo, il figlio di Florence, Julian, emigra di nuovo verso gli Stati Uniti, anche se il suo lavoro nell’industria petrolifera lo porta frequentemente a Mosca. Gran parte della vita della madre gli è stata tenuta nascosta e, quando viene a sapere che il fascicolo del KGB su di lei è stato aperto, organizza un viaggio d’affari per scoprire tutta la verità. Ma il cerchio non si è ancora chiuso: per chiuderlo definitivamente Julian dovrà anche convincere suo figlio, l’ostinato Lenny, che nel frattempo sta cercando di fare fortuna nella spietata Russia di Putin, a tornare a casa. Lo stupefacente romanzo d’esordio di Sana Krasikov racconta le vicende di tre generazioni in bilico fra due continenti, intrappolate tra le forze della Storia e le conseguenze delle proprie scelte. Grandioso nell’incedere e intimo nei dettagli, appassionante saga familiare e minuzioso romanzo storico, I patrioti è una potente epopea trainata da una protagonista indimenticabile e orchestrata da una penna eccellente.
«I patrioti è un capolavoro. Il dottor Živago del nostro tempo».
Yann Martel, autore di Vita di Pi
«Ho trovato in ogni pagina un’osservazione tanto acuta, una frase di tale verità e dai dettagli tanto splendenti che ho dovuto rileggerlo per puro piacere. I patrioti mi ha convinto che Krasikov appartenga ai giovani scrittori totemici della sua epoca». Khaled Hosseini, autore di Il cacciatore di aquiloni
«Come racconto intelligente e letterario delle relazioni tra la Russia e l’America del secolo scorso non ha eguali». «The Spectator»
«I patrioti è una storia d’amore alla vecchia maniera: multigenerazionale, intercontinentale, carica di retroscena e ricerche storiche, si muove tra dettagli scrupolosi e panorami ampi, melodramma e satira, la Cleveland del 1933 e la Mosca del 2008». «The New York Times Book Review»
«In un racconto inebriante fatto di protagonisti imperfetti e coraggiosi, passione erotica e politica e lotte strazianti per la sopravvivenza, Krasikov ritrae magistralmente l’oscuro meccanismo a orologeria del totalitarismo e si chiede cosa significhi essere un eroe, un patriota, un essere umano». «Booklist»
– Prof. GIUSEPPE LUGLI-Il Restauro del Tempio di Venere e Roma-
Copia anastatica dalla Rivista PAN -numero Luglio 1935-diretta da UGO OJETTI
Editore RIZZOLI e C. Milano-Firenze-Roma.
Prof.Lugli Giuseppe – Archeologo italiano (1890 – 1967) professore di topografia romana e di architettura all’università di Roma La Sapienza. La carriera del Lugli è stata prolifica anche se fra i suoi molti contributi significativi alcuni sono preminenti: – Fontes ad topographiam veteris urbis romae pertinentes (8 vols. 1952-69). corpus che raccoglie tutte le citazioni testuali nelle fonti antiche romane di carattere topografico e monumentale. – La tecnica edilizia romana: con particolare riguardo a roma e lazio, roma (bardi, 1957) rimane uno studio fondamentale sulle tecniche di costruzione durante il primo millennio a.C. – Forma italiae, una serie di programmi e di concordanza archeologica per l’Italia. Questo lavoro continua oggi come pubblicazione seriale ed ha un progetto di ricerca collegato, diretto dal prof. Paolo Sommella nel dipartimento di storia dell’archeologia e dell’antropologia di Roma antica presso l’Università degli Studi La Sapienza.
Restauro del Tempio di Venere e Roma-
Giuseppe Lugli Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967); prof. di topografia romana nell’univ. di Roma (1933-61); socio nazionale dei Lincei (1946). Pubblicò, tra l’altro, un ampio manuale (I monumenti antichi di Roma e suburbio, 3 voll. e un Supplemento, 1930-40), e ricerche sulla tecnica costruttiva e sull’architettura (La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio, 2 voll., 1957). Iniziò la pubblicazione sistematica dei Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes e la collana della Forma Italiae.
Lugli’s career was prolific, although among his many significant contributions, several are paramount. He is credited with more than 230 scholarly publications.[2] In his topographical career, Lugli compiled the landmark Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes (8 vols. 1952-69).[3] The aim of this corpus was to collect all of the textual mentions in the ancient sources that pertain to the topography and monuments of Rome. The work is organized according to the Augustan regions of the city.
Lugli was also a student of architecture, and in particular of building techniques. His study La tecnica edilizia romana: con particolare riguardo a Roma e Lazio, Roma (Bardi, 1957) remains a seminal study of the technology of construction in Italy during the 1st millennium B.C.[4]
Lugli also founded the Forma Italiae, a series of archaeological maps and concordance for Italy. This work continues today as a serial publication, and associated research project, directed by Prof. Paolo Sommella in the Department of Ancient History, Archaeology and Anthropology at the Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. The aim of Forma Italiae is to map the full archaeological landscape of Italy at a sufficient scale to facilitate a variety of research and teaching needs.[5]
A. M. Colini “Ricordo di Giuseppe Lugli” RIASA, n.s., XV, 1968.[2]
Scholarship
1930-1940. I monumenti antichi di Roma e suburbio. [I. La zona archeologica.–II. Le grandi opere pubblicha.–III. A traverso le regioni.] 3 vol., plus Supplemento: un decennio di scoperte archeologiche. Rome: G. Bardi. Worldcat.
1940. Pianta di Roma antica: forma Urbis imperatorum temporibus (1:10.000). Worldcat.
1946. Roma antica: il centro monumentale. Rome: G. Bardi. Worldcat.
1948. La Velia e Roma aeterna. Elementi topografici e luoghi di culto.Worldcat.
1952-1969. Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes. Colligendos at que edendos curavit Iosephus Lugli. Rome. Worldcat.
1957. La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio. 2 v. Rome: Bardi. Worldcat.
1969. La Domus Aurea e le Terme di Traiano. Rome: G. Bardi. Worldcat.
Marco Mondini- Roma 1922 -Il fascismo e la guerra mai finita
Editore Il Mulino
Descrizione del libro di Marco Mondini-Roma 1922 -Il fascismo e la guerra mai finita «I fascisti erano ossessionati dal potere, e dalla possibilità di redimere la nazione e di trasformare gli italiani, anche a costo di eliminare tutti quelli che non erano d’accordo con loro. […] Le armi non sarebbero state deposte, fino al compimento di questa missione.» L’ascesa al potere del fascismo e il suo atto culminante, la cosiddetta marcia su Roma, possono essere capiti solo all’interno di un quadro più vasto, quello di un’Europa incapace di chiudere i conti con la Grande guerra. E se furono soprattutto i paesi sconfitti a scoprire che uscire dalla cultura dell’odio e della violenza quotidiana non era facile, frustrazione, scontento e desiderio di rivalsa si impossessarono anche degli italiani che pure – almeno formalmente – la guerra l’avevano vinta. Marco Mondini compone la storia corale e implacabile di un’Italia in cui la lotta politica si trasforma in guerra civile e che scivola via via verso il lungo ventennio della dittatura fascista.
Breve biografia di Marco Mondini-Storico
Si è laureato all’Università di Pisa in storia militare nel marzo 1998, e nel novembre dello stesso anno si è diplomato alla Scuola Normale Superiore in discipline storiche. Ha conseguito il perfezionamento (dottorato) in storia contemporanea presso la Scuola Normale Superiore nel 2003[1]. Tra 1999 e 2000 ha prestato servizio nell’Esercito Italiano come ufficiale di complemento, prima alla Brigata “Tridentina” e poi, come ufficiale incaricato della pubblica informazione, presso il Comando Truppe Alpine.
Dal 2003 al 2005 è stato borsista di post-doc all’Università di Padova. Nel 2006 è stato borsista della Fondazione Luigi Einaudi di Torino. Dal 2006 al 2010 assegnista di ricerca in Storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore. Dal 2011 al 2017 è stato ricercatore all’Istituto storico italo Germanico-FBK di Trento, dove ha diretto il gruppo di ricerca “1914-1918” (FBK – Università di Trento), e dove dal 2017 è affiliated fellow.[2] Negli stessi anni è stato anche visiting fellow all’ENS di Parigi, all’università di Lille “Charles De Gaulle”, all’università di Paris 7 “Diderot”, all’Oberlin College (USA) e allo US Army War College di Carlisle (Pennsylvania, USA) ed è stato nominato chercheur associé al CNRS e all’Università di Paris-Sorbonne[3]. Dal 2017 è diventato prima ricercatore e poi professore associato presso il Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dell’Università di Padova, dove insegna History of conflicts e Storia contemporanea e dove, dal 2023, è Delegato alla comunicazione e alla terza missione [3]. Dal 2019 è membro del Comité directeur del Centre International de Recherche dell’Historial de la Grande Guerre di Péronne.
Durante il Centenario della Grande Guerra, ha fatto parte come consulente della Struttura di missione anniversari nazionali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.[4] Collabora con Il Corriere della Sera, con Il Foglio e con Rai Storia, per la quale ha scritto e condotto diversi documentari e le trasmissioni “Archivi. Miniere di Storia” (2018-2019) e dal 2020 al 2024, quando il rapporto tra i due si è interrotto, insieme a Michela Ponzani, “Storie Contemporanee”.[5] Dalla sua prima stagione, è ripetutamente ospite della trasmissione Passato e Presente condotto da Paolo Mieli (Rai 3 – Rai Storia) [6]Nella stagione 2023/2024 e 2024/2025 ha collaborato con Aldo Cazzullo per alcune puntate della trasmissione Una giornata particolare(La7).[7] Nel 2023 ha partecipato al documentario “La caduta”, condotto da Ezio Mauro per La7, sul 25 luglio 1943.[8] Nel 2024 è consulente e tra le voci narranti del documentario “I survived the Holocaust” diretto da Sanela Prašović Gadžo, presentato al Sarajevo Film Festival e allo Stockolm Film Festival.[9]
Gli sono stati attribuiti diversi riconoscimenti tra cui il premio nazionale “Friuli Storia” (2017) per la biografia di Luigi CadornaIl Capo, e il premio “Acqui Storia. Storico in TV” (2022) per il documentario L’ultimo eroe. Viaggio nell’Italia del Milite Ignoto (RAI Storia[10]), scritto e condotto insieme a Nicola Maranesi e Fabrizio Marini.
Opere
Veneto in armi. Tra mito della nazione e piccola patria 1866-1918, Collana Le guerre, Gorizia, LEG, 2002, ISBN 978-88-869-2853-3.
Armi e potere. Militari e politica nel primo Dopoguerra, Quaderni della Fondazione Luigi Salvator, Roma, Aracne, 2006, ISBN978-88-548-0745-7.
La politica delle armi. Il ruolo dell’esercito italiano nell’avvento del fascismo, Collana Quadrante, Roma-Bari, Laterza, 2006, ISBN 978-88-420-7804-3.
Dalla guerra alla pace. Retoriche e pratiche della smobilitazione nell’Italia del Novecento, con Guri Schwarz, Collana Nord-Est. Nuova serie, Verona, Cierre, 2008, ISBN 978-88-831-4439-4.
Alpini. Parole e immagini di un mito guerriero, Collana Percorsi, Roma-Bari, Laterza, 2008, ISBN 978-88-420-8652-9.
Venezia, Treviso e Padova nella grande guerra, con Lisa Bregantin e Livio Fantina, Collana 900 Veneto. La Grande Guerra, Istresco, 2008, ISBN978-88-888-8039-6.
Fiume! Scene, volti, parole di una rivoluzione immaginata 1919-1920, con Alessio Quercioli e Fabrizio Rasera, Museo Storico Italiano della Guerra, 2010, ISBN 978-88-322-6612-2.
Generazioni intellettuali. Storia sociale degli allievi della Scuola Normale Superiore di Pisa nel Novecento (1918-1946), Edizioni della Normale, Pisa, 2011, ISBN 978-88-764-2405-2.
La guerra italiana. Partire, raccontare, tornare 1914-1918, Collana Biblioteca storica, Bologna, Il Mulino, 2014, ISBN 978-88-152-51633.
De Gasperi e la Prima guerra mondiale, con Maurizio Cau, FBK Press, 2015, ISBN978-88-989-8923-2.
Andare per i luoghi della grande guerra, Collana Ritrovare l’Italia, Bologna, Il Mulino, 2015, ISBN 978-88-152-5794-9.
Il capo. La Grande Guerra del generale Luigi Cadorna, Biblioteca Storica, Bologna, Il Mulino, 2017, ISBN 978-88-152-7284-3. [Audiolibro letto da Ezio Bianchi, Feltre, Centro Internazionale del Libro Parlato, 2017], traduzione in tedesco: Der Feldherr. Luigi Cadorna im Grossen Krieg 1915-1918, Berlino / Boston, De Gruyter 2022 ISBN 978-3-11-069342-3
Fiume 1919. Una guerra civile italiana, Collana Aculei, Roma, Salerno Editrice, 2019, ISBN978-88-697-3364-2. – Collana Itinerari nella storia n.24, Milano, RCS MediaGroup, 2024.
Tutti giovani sui vent’anni. Una storia di alpini dal 1872 a oggi, Collezione Le Scie. Nuova serie, Milano, Mondadori, 2019, ISBN 978-88-047-1224-4.
Roma 1922. Il fascismo e la guerra mai finita, Biblioteca storica, Bologna, Il Mulino, 2022, ISBN 978-88-152-9927-7.
Il ritorno della guerra, Collana Biblioteca storica, Bologna, Il Mulino, 2024, ISBN978-88-153-8810-0.
Curatele
Armi e politica. Esercito e società nell’Europa contemporanea, con J.F. Chanet, D. Ceschin, H. Kuprian, C. Jahr, A. Argenio, numero monografico di “Memoria e Ricerca”, 2008, 28.
Narrating War. Early Modern and Contemporary Perspectives, con M. Rospocher, Duncker&Humblot – Il Mulino, Berlino-Bologna, 2013.
Roma-Al via la 18edima edizione di Teatri di Vetro, Festival delle Arti sceniche contemporanee-dall’8 al 21 dicembre, al Teatro India di Roma, Teatro del Lido di Ostia e Teatro Biblioteca Quarticciolo, attraverso strategie performative diverse – spettacoli, performance, pratiche corporee, installazioni performative, sperimentazioni musicali, progetti di partecipazione – pone l’attenzione oltre che sull’opera, sul processo creativo, creando le condizioni per nutrire la relazione con lo spettatore.
Teatri di Vetro è un progetto curatoriale articolato in sezioni. Trasmissioni, Composizioni, Oscillazioni, Elettrosuoni sono gli ambienti, le cornici. Ciascuna parte consente di attivare pratiche specifiche implicando aspetti metodologici, artistici, tematici, relazionali e interconnettendoli tra di loro in un’ottica multidisciplinare e interdisciplinare. Dentro l’architettura l’obiettivo è e resta Oscillazioni. Si configura come la meta e “informa” tutto il resto, ciò che la precede. È lì, nel deragliamento, nell’esplosione dei processi in articolazioni plurali, che si creano le condizioni per condividere e rendere viva la sfida della ricerca e mettere gli spettatori a contatto con il centro che realmente “muove” la scena.
Composizioni, l’8 dicembre al Teatro Lido di Ostia, prevede il coinvolgimento diretto dei cittadini proponendo progetti artistici dal carattere partecipativo; la musica elettronica e le sperimentazioni compositive tra musica e video di Elettrosuoni, dall’8 al 21 dicembre, attraversano il Teatro India e il Teatro del Lido; Oscillazioni, l’11 e il 13 al Teatro Quarticciolo e dal 16 al 21 dicembre al Teatro India, intercetta le spinte più significative della produzione artistica contemporanea di ricerca presentando in prima nazionale e romana i lavori degli artisti della scena nazionale tra cui Silvia Gribaudi, Operabianco, Alessandra Cristiani, Bartolini Baronio, Carlo Massari, Paola Bianchi e tanti altri.
30 spettacoli – 6 prime nazionali, 5 prime romane – creano un ambiente di dialogo e incontro tra artisti e pubblico, invitando gli spettatori a esplorare i processi della creazione scenica, coinvolgendo i cittadini in creazioni collettive e offrendo a tutti una possibilità di affondo nella radice profonda della scena.
“La 18^ edizione di Teatri di Vetro affianca spettacoli di cui il festival ha seguito i processi creativi a nuclei di ricerca in una costellazione di possibili scenici. La programmazione risponde alla complessità dei linguaggi della contemporaneità e invita a interrogare e condividere con il pubblico i processi di creazione, le necessità interne che la scena svela e nasconde, la compresenza e le tensioni vive tra il discorso del teatro e il discorso del pensiero. Un’architettura progettuale resa tangibile dagli oggetti scenici che la compongono. Abitata dalle molteplici figure con cui l’individualità artistica si apre all’esterno da sé, altri artisti e contesti” spiega Roberta Nicolai, direttrice artistica del festival.
OSCILLAZIONI
Apre la programmazione della sezione Oscillazioni un focus su Alessandra Cristiani che presenta Trilogia_la questione del linguaggio corporeo e l’arte di A. Mendieta, C. Cahun, S.Moon. Inaugura l’11 dicembre al Teatro Quarticciolo, con Matrice da Ana Mendieta, prima opera della Trilogia, che trae ispirazione dal lavoro dell’artista cubana che ha indagato l’esperienza dello sradicamento e la perdita delle radici attraverso Land e Body art. Il 13 dicembre al TeatroQuarticciolo è la volta di Lingua da Claude Cahun, ispirata all’ artista pioniera di una sessualità fluida e di uno stile di vita rivoluzionario. Chiude la Trilogia il 19 dicembre al Teatro India,Caduta la neve da Sarah Moon, che prende spunto da una delle maggiori fotografe contemporanee che nel suo percorso ha indagato la bellezza e lo scorrere del tempo con un linguaggio proprio e inconfondibile. A conclusione del lungo processo creativo, il 21 dicembre al Teatro India, Diario performativo, in collaborazione con Alberto Canu e Samantha Marenzi, esplora il linguaggio d’arte come mezzo espressivo, al centro dell’indagine il ritornare o il ripartire dalla radice corporea come causa generante di nuove visioni.
Il 16 dicembre Teatri di vetro sbarca al Teatro India. Operabianco debutta con Trickster un lavoro che parte da The Playhouse di Buster Keaton e da Francis Bacon e in cui l’uso delle citazioni è funzionale all’attraversamento continuo di altre materie nella carne del danzatore. Pixel, scariche elettriche, immagini effimere del web e del cinema, diventano carne, peso, muscoli, acrobazia, respiro. Giselda Ranieri presenta Ice_Scream, un duo tra danza e voce che interroga il binomio oppositivo Riso/Pianto. Un’indagine sul ridere, sul piangere e sull’instabilità degli stati corporei, emotivi e sonori legati a e compresi tra questi due apici. Una ricerca che parla della fragilità e allo stesso tempo della potenza dell’umano che non teme se stesso. Prosegue la serata con Una rinascita appunti su Forough Farrokhzad della Compagnia Bartolini Baronio che compone sulla scena gli appunti di un incontro tra la vita e le opere della poetessa iraniana Forugh Farrokhzad e le memorie personali delle artiste coinvolte. La condizione di spaesamento, l’esilio, esistenziale e reale, causato dalla violenza di condizionamenti sociali ed economici, familiari e culturali, religiosi e di genere, risuona nelle opere e nella storia di ribellione e di ricerca di libertà di Forugh. Chiude la serata Tools di Federico Scettri, un progetto musicale in solo che pluralizza il suono attraverso l’utilizzo del sample come materia viva e dialogica. Un all-in ironico e contraddittorio di field recording, groove, incursioni televisive e interferenze pubblicitarie.
Il 17 dicembre Medusa di Fabritia D’Intino e Federico Scettri si muove nella dimensione immersiva dell’oscurità, indagando il possibile stato di invisibilità di un corpo. Che ne è della danza se nessuno la vede? Ilenia Romano debutta con Strings, un lavoro di sperimentazione sul rapporto di assonanza-dissonanza-risonanza tra movimento e musica. Il solo, creato a partire da Voyage that never ends di Stefano Scodanibbio con esecuzione musicale dal vivo Giacomo Piermatti, crea tra corpo e musica un legame che viaggia per echi di mondi reali e immaginari. Le modificazioni di stato del corpo tra ‘accordatura e scordatura’ creano insieme alla musica le condizioni per un’esperienza sensoriale fortemente immersiva. Μονας (monàs) di Teatringestazione è un’opera ibrida tra installazione partecipata, autopoiesi coreografica e live cinema. Il pubblico facendo esperienza del differimento del proprio corpo in immagine, riflette sul rapporto tra spazio reale e spazio di rappresentazione. Dehors Audela con Sfondi/ Wallpapers_primo studio elabora un ambiente visivo abitato da coppe di un passato agonistico e carta da parati, dove le tracce sulle pareti, emerse, sedimentate, configurano lo stato semovibile della memoria.
Il 18 dicembreTeatrInGestazione in Variante B. NOT FOUND– studio espongono il prototipo che mostra il funzionamento del dispositivo scenico di Μονας. Dehors Audela con Deteriorate, a partire dall’archivio fotografico Totò Musolino, narrano storie inventate attraverso fotografie deteriorate da corrosioni che escludono alcuni elementi interrogando l’ordine degli oggetti all’interno dell’immagine. Perdere l’identità per corrosione, restituisce alle immagini un futuro e le riporta in uno stato eternamente nascente, quello del poter essere tutto e niente. Sempre il 18 debutta Pinocch-Io di Lucia Guarino un percorso che origina il suo pensiero da una personale messa a fuoco sulla fragilità e sull’ambiguità dell’esser-ci, ora-adesso, come esseri umani e viventi. Teatro Akropolis presenta La parte maledetta. Viaggio ai confini del teatro_Carmelo Bene per la regia di Clemente Tafuri. Tra le figure più controverse del Novecento teatrale, Carmelo Bene racconta i fondamenti della sua arte e il conflitto irrisolvibile col sistema del teatro e della cultura. La sua parte maledetta riguarda il paradosso della creazione nel teatro come nel cinema, nella musica e nella poesia, ovvero l’inevitabile incompiutezza dell’opera rispetto a quanto si può intuire e vivere oltre la letteratura, il linguaggio e la rappresentazione.
Il 19 dicembreZugZwang di e con Elisabetta e Gennaro Andrea Lauro: due individui, fratello e sorella, si ritrovano come pedine all’interno di una scacchiera simbolica, cui sono racchiuse tutte le loro possibilità di movimento e di relazione. Ad ogni casa corrisponde un mondo, un enigma da attraversare e decifrare. Insectum in Rome di Silvia Gribaudi e Tereza Ondrová nasce dalla ricerca In-Sectum di Elisabetta Zavoli, fotografa laureata in scienze ambientali e master in fotogiornalismo a Contrasto, e Sara Michieletto, violino primo nell’orchestra del Teatro la Fenice, durante una residenza artistica nella riserva Adolfo Ducke nei dintorni di Manaus, nella foresta amazzonica brasiliana. Le due artiste hanno creato immagini e suoni per riavvicinare le persone ai temi ambientali e spostare il punto di vista antropocentrico dell’esistenza. In Insectum lo studio si fonda sulla visione del mondo dal punto di vista dell’insetto.
Il 20 dicembre debutta Voice Over di Paola Bianchi una coreografia con nove danzatrici in scena, che nasce dalla trasmissione via audio della descrizione di alcune posture presenti nel solo di danza […] KZ e dal passaggio istantaneo e diretto dalla parola al corpo (eterodirezione). Memoria collettiva, trasmissibilità e intrasmissibilità sono i nuclei su cui si appoggia Voice Over, dove il corpo diventa grido senza esporre l’orrore. Strangers in the night, la nuova co-creazione firmata da Jos Baker, Linus Jansner e Carlo Massari, parte del percorso di ricerca sulle Metamorfosi e segna un‘importante passo avanti verso l’affermazione dello stile compositivo identitario di C&C Company. Una ricerca meta-teatrale, che buca la quarta parete e coinvolge il pubblico in un’escalation di follia, violenze e ironia. Irene Russolillo con Fàtico set predispone una pratica collettiva di ascolto in relazione al movimento, declinazione partecipativa dello spettacolo Fàtico: è un punto di incontro tra un concerto e un workshop, in uno spazio condiviso.
Il 21 dicembre è in scena […] KZ di Paola Bianchi è una danza che incorpora il rumore di fondo di audiocassette con la voce di persone deportate nei campi di sterminio nazisti, il fruscio, i vuoti, i buchi, le voci. Fàtico di Irene Russolillo è un progetto coreografico e musicale in cui il canto e la danza battono il tempo di tre orazioni. Battaglia della compagnia francese Emile Saar è la storia di un’opera perduta di cui resta solo la storia che ne raccontano due archeologi.
ELETTROSUONI
La musica elettronica e le sperimentazioni compositive tra musica e video attraversano il Teatro India e il Teatro del Lido. Wahid di Simone Alessandrini costruisce un dialogo tra strumenti a fiato trattati ed elementi del folklore musicale egiziano. A seguito della collaborazione con i Mazaher, collettivo musicale de Il Cairo, Simone Alessandrini rielabora tessuti ritmici e timbrici dello Zar, musica di antichissima provenienza, registrata durante la permanenza in Egitto, volendo creare così, una sintesi tra rituale e performance. Overlay di Riccardo Gola è un ipnotico set per contrabbasso ed elettronica, in cui strati di densa materia sonora si sovrappongono a voci campionate, in una coinvolgente performance di improvvisazione elettroacustica.
COMPOSIZIONI Composizioni, l’8 dicembre al Teatro Lido di Ostia, prevede il coinvolgimento diretto degli spettatori proponendo progetti artistici dal carattere partecipativo e rendendo gli eventi scenici non solo attraversabili, ma campi di gioco e sperimentazione in cui la presenza di cittadini, amatori, bambini, anziani e migranti diventa parte integrante della ricerca.
Elisabetta Lauro con Circuiti, un percorso laboratoriale che si inserisce nel più ampio Obey – progetto che si dirama in diverse direzioni, ognuna con il proprio fulcro tematico – indaga insieme alle giovani danzatrici del Liceo Coreutico Giovanni Paolo II, la dimensione del femminile e il concetto di disobbedienza a partire da un’idea di energia confinata e lineare, per cercare varchi di apertura e zone di fuori fuoco. Il lavoro di Gennaro Lauro, Questo ballo è per noi – parte di To Repel Ghosts/Lettera al Padre, si rivolge ai cittadini maschi o che si identifichino come tali, di età compresa tra i 15 e i 65 anni condividendo con loro e attraverso pratiche corporee una serie di domande: Cos’è il maschile? Di chi è? Mi appartiene? O sono io ad appartenergli? Quanto mi ha dato e quanto mi ha tolto? Può essere più mio? E come? Mentre Variazioni di spettro del collettivo Secondo Nome predispone un confronto aperto e condiviso con i partecipanti sulle modalità compositive e di improvvisazione a partire dal progetto performativo Spettro Variabile. Infine, Sonar di Ivan Gasbarrini/Zona Incerta crea con un ambiente interattivo in cui movimento, suono e video si intrecciano e si confondono. Uno spazio immersivo che si apre alle relazioni, al mutamento, alle possibilità di sconcerto o dissonanza alla fluidificazione tra scena e sala preparando l’atto finale della giornata: una festa.
TEATRI DI VETRO, Festival delle arti sceniche contemporanee – direzione artistica Roberta Nicolai – giunge alla 18esima edizione grazie al sostegno di MIC, della Regione Lazio, della Fondazione Carivit che concede un proprio contributo alla sezione Trasmissioni e in collaborazione con Teatro di Roma, Teatro del Lido, ATCL Lazio, Comune di Tuscania.
OSCILLAZIONI è organizzata e ideata dall’Associazione Il triangolo scaleno. Il progetto, promosso da Roma Capitale – Assessorato alla Cultura, è vincitore dell’Avviso Pubblico biennale “Culture in Movimento 2023 – 2024” curato dal Dipartimento Attività Culturali ed è realizzato in collaborazione con SIAE
In collaborazione con: Teatro di Roma, Teatro del Lido, Teatro Biblioteca Quarticciolo, Accademia Nazionale di Danza, ATCL, ORBITA/Spellbound, TenDance Festival, Teatro Akropolis_Testimonianze ricerca azioni Festival, NDN Network drammaturgia Nuova, ANTICORPI XL, Europe Beyond Access 24-27, ATAC, ARCI Roma Aps, LAZIO YOUTH, DAMS Università Roma Tre, Roma Tre Dipartimento Filosofia, Comunicazione e Spettacolo, Liceo Coreutico Istituto Giovanni Paolo II, Consorzio Casa Internazionale delle Donne Aps, Centro Internazionale La Cometa, Stap Brancaccio Accademia di Teatro e Arti Performative, Associazione Cassiopea Ets Alta Formazione Artistica, Scuola d’arte Cinematografica Gian Maria Volonte’, Liminateatri, Teatro e Critica, Krapp’s Last Post.
CALENDARIO
TEATRO DEL LIDO DI OSTIA domenica 8 dicembre
17h00 Elisabetta Lauro_Obey#circuiti
17h30 Gennaro AndreaLauro_Questo ballo è per noi – restituzione laboratorio
18h00 Secondo Nome_Variazioni di spettro
18h30 Ivan Gasbarrini/Zona Incerta_Sonar installazione interattiva
TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO mercoledì 11 dicembre
21h00 Alessandra Cristiani_Matrice da Ana Mendieta
venerdì 13 dicembre
21h00 Alessandra Cristiani_Lingua da Claude Cahun
TEATRO INDIA lunedì 16 dicembre
19h30 Giselda Ranieri _Ice_Scream
20h30 Operabianco _Trickster
21h30 Bartolini/Baronio_Una rinascita appunti su Forough Farrokhzad
22h30 Federico Scettri_Tools
martedì 17 dicembre
18h00 Operabianco_Dialogo nello scorrere della creazione (incontro)
19h00 Fabritia D’Intino_Medusa
20h00 Ilenia Romano_Strings
21h00 Dehors Audela_Sfondi/ Wallpapers_primo studio
22h00 TeatrInGestazione_Μονάσ (Monás) mercoledì 18 dicembre
18h00 TeatrInGestazione_Variante B. NOT FOUND – studio
19h00 Dehors Audela_Deteriorate
20h00 Lucia Guarino_Pinocch-Io
21h30 Teatro Akropolis_La parte maledetta. Viaggio ai confini del teatro Carmelo Bene
22h30 Simone Alessandrini_Wahid
giovedì 19 dicembre
19h30 Elisabetta e Gennaro Andrea Lauro_ZugZwang
20h30 Silvia Gribaudi & Tereza Ondrová_Insectum in Rome
21h30 Alessandra Cristiani_Caduta la neve da Sarah Moon
22h30 Riccardo Gola_Overlay
venerdì 20 dicembre
17h30 Presentazione della fanzine OSCILLAZIONI#3 Lascia dormire il futuro (incontro)
19h00 Irene Russolillo_Fàtico set
20h30 Paola Bianchi_Voice Over
21h30 Carlo Massari C&C_Strangers in the night
sabato 21 dicembre
19h00 Compagnie Emile Saar_Battaglia
20h00 Alessandra Cristiani_Diario performativo. Movimento n potenza
21h00 Paola Bianchi_[…KZ]
22h00 Irene Russolillo_Fàtico
INFO
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YouTube @teatridivetrotriangoloscalenoteatro
PRENOTAZIONI I biglietti per gli spettacolisono prenotabili ai seguenti recapiti: promozione@triangoloscalenoteatro.it | 339.2824889 I biglietti vanno ritirati presso il botteghino del teatro. 10 euro intero, 5 euro ridotto, 3 euro operatori;
riduzione del 50% sul biglietto intero dedicata al pubblico con età inferiore ai 26 o superiore ai 65 anni e ai residenti del X Municipio per la programmazione al Teatro del Lido, del V Municipio per la programmazione a Teatro Biblioteca Quarticciolo e dell’XI Municipio per la programmazione al Teatro India.
Gli incontri previsti dal programma sono a ingresso gratuito
LUOGHI
TEATRO INDIA
Lungotevere Vittorio Gassman, 1
TEATRO DEL LIDO
Via delle Sirene, 22, Lido di Ostia
TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO
Via Ostuni, 8
COME RAGGIUNGERE I LUOGHI
TEATRO INDIA
170 – 781 – M Linea B fermata Basilica San Paolo + 766
Ingresso per le persone con disabilità: via Luigi Pierantoni, 6.
TEATRO DEL LIDO
M Linea B + Linea Roma-Lido fermata Lido centro + linea 01
TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO
Tram 14
Bus 450, 451, 508, 543
Giuseppe Bartoli –Militare antifascista, Partigiano, Autore del libro il libro
-Edizioni Zero Lire-
. 25 APRILE
L’importante è non rompere lo stelo
della ginestra che protende
oltre la siepe dei giorni il suo fiore.
C’é un fremito antico in noi
che credemmo nella voce del cuore
piantando alberi della libertà
sulle pietre arse e sulle croci.
Oggi non osiamo alzare bandiere
alziamo solo stinti medaglieri
ricamati di timide stelle dorate
come il pudore delle primule:
noi che viviamo ancora di leggende
incise sulla pelle umiliata
dalla vigliaccheria degli immemori
Quando fummo nel sole
e la giovinezza fioriva
come il seme nella zolla
sfidammo cantando l’infinito
con un senso dell’Eterno
e con mani colme di storia
consapevoli del prezzo pagato
Sentivamo il domani sulle ferite
e un sogno impalpabile di pace
immenso come il profumo del pane
E sui monti che videro il nostro passo
colmo di lacrime e fatica
non resti dissecato
quel fiore che si nutrì di sangue
e di rugiada in un aprile stupendo
quando il mondo trattenne il respiro
davanti al vento della libertà
portato dai figli della Resistenza.
AD UN PARTIGIANO CADUTO
E’ un fiume di ricordi ormai amico
la strada che conduce
a quei giorni lontani di smeraldo
dove sostammo come creduli ragazzi
a creare coi sogni nelle vene
fantasie di speranze e di parole
fra pugni di “canaglie in armi”
Forse potrei dimenticare il giogo
che mi lega all’arco dei rimpianti
se soltanto le voci dei compagni
tornassero a cantare
come quando la vita dilagava
e tu portavi alla gioia di tutti
il tuo sorriso di fanciullo
e la forza serena dei tuoi occhi
Ma anche se il tempo non ricama
che fili d’ombra sulla memoria
e il tormento di quell’assurdo giorno
quando attoniti restammo
davanti alla pietà della tua forca
è pur sempre l’ora della tua lotta
del tuo caldo vento di libertà
immenso come grembi di colombe
in volo fra fiori d’acquadiluna
Tu solo amico adesso
puoi scegliere i ritorni
e dirci ancora
col battito delle tue ali
le bellezze della vita
e le dolci innocenze della morte.
NOI CHE CADEMMO
Fummo una zolla qualunque
al taglio del vecchio aratro
che il nuovo trattore ferisce
inpianto, sudore e lavoro
Ora ascoltiamo i sospiri
di neri e snelli cipressi
dipinti da soffi di sole
in chicchi di riso azzurrino
che l’acre piovasco flagella
Viviamo in bellezze di morte
fra pioppi inclinati sul rio
E siamo la gialla pannocchia
che nutre la fame del povero
che accende la fede nell’uomo
Siamo promessa di pace
che tesse tovaglie d’altare
e bianchi lini di sposa
per alta promessa di vita
…………………………………….
noi che cademmo a vent’anni
nel sogno sublime dei liberi.
CA’ DI MALANCA
Se non sai leggere
negli occhi rossi
delle ginestre
nate dal sangue
della libertà
la muta preghiera
che scuote le catene
dei tiranni . . . .
Se non t’inginocchi
sulla brace
della carne accesa . . . .
Se non piangi
sui muri di corallo
delle case arse
e se non baci
la paglia insanguinata
dalle vene di tuo fratello
sei solo un fardello inutile
che non paga
il giusto prezzo ai Morti
Solo quando capirai
tutto questo . . . .
Solo quando ricorderai
come mordevi con dente di lupo
l’ultimo pane
nel cavo della mano contadina
potrai rivivere
quella primavera colma di rosso
per il primo fiore della Libertà
I MORTI ASPETTANO UN RAGAZZO DAGLI OCCHI DI SOLE LA MÖRT ED CURBERA LA MORTE DI CORBARA I DISCORSI D’ALLORA A CRESPINO LA DISFATTA UN BARATTOLO DI LATTA UNA FARFALLA DI CENERE
INTRODUZIONE
Udimmo il tonfo delle rane
negli alti silenzi dei meriggi
e il respiro lieve dei cavalli
nelle estese vele delle notti
gonfie di lucciole e di fremiti
Sulle nostre tavole di fieno
abbiamo mangiato
lacrime e canti
fra grappoli di rondini
in giostra nel cielo
Udimmo la scure abbattersi
sui letti deserti dei boschi
mentre carri di ricordi
si trascinavano lenti
Poi arrivò l’alba
d’una rossa primavera
con brezze di mandorli avvolte
nell’immemore pianto della terra
Tornammo dalle nostre madri
dopo una lunga notte insonne
intonando canti senza dolore
Le culle delle foglie
che ci furono compagne
raccolsero il vagito
della rinata libertà
e sui crateri di sangue
– scavati –
dalla nostra lotta
mani nude di orfani
sfidarono il cielo
Dal buio delle fosse
vergini di croci
gli occhi spalancati
dei partigiani caduti
si chiuderanno solo
se la loro speranza
diventerà la nostra.
Sono tornato dove un ragazzo
dai grandi occhi di sole
ha maturato le sue radici
Sono tornato dove abbiamo
sepolto la nostra giovinezza
e dove il nome di battaglia
nasceva tra bagliori di fuoco
Ed ho ritrovato la mia estate
L’estate dei ramarri sui muri
la fionda dall’elastico rosso
i piedi scalzi color di terra
e tutta la luce del giorno
a tingerci d’ambra le mani
Qui “giocavamo” alla guerra
fra siepi di rovi e di more
dietro lo scudo delle foglie
povera “canaglia” della libertà
inerme come grembi di colombe
Raccogliemmo morte e mirtilli
e tra cappotti di lune rosse
rubammo l’oro alle lucciole
Quando tua madre ingobbita
come la collina che ti colse
soffocò l’urlo e i singhiozzi
nella “tana” d’uno scialle nero
per te cantarono le cicale
e si schiusero nidi di viole
C’era un profumo di ginestre
nel cielo della tua ultima estate
Ora ti guardo senza piangere
compagno dagli occhi di sole
e mi chiedo se non fu fortuna
quel tuo andartene allora
col freddo sudore di morte
sul tenerume delle labbra
ancora ebbre di latte materno
Te ne andasti e forse fu meglio
perchè adesso solo le pietre
urlano come monumenti nudi
e perchè ragazzo senza nome
siamo ormai pochi a ricordare
il “sorriso” delle tue tenere vene
che si svuotavano come calici
per l’ultimo brindisi alla vita.
I s’arbuteva coma spig’d grân Si rovesciavano come spighe di grano
cun del biastèm che pareva preghir con delle bestemmie che sembravano preghiere
e vers e’ zêl e verso il cielo
pal’d s-cióp spudedi fra i dént palle di schioppo sputate tra i denti
l’andeva e’nom’d Maria e chietar sént andava il nome di Maria e degli altri santi
E prèm a caschê e fo Curbera Il primo a cadere fu Corbari
e par la bòta e per il tonfo
o tremê la tëra e o fo sobit sera tremò la terra e fu subito sera
A lé stuglé, ribèl senza pio’ él Lì disteso, ribelle senza più ali
u raspeva da e’ mêl raspava dal male
cun cla manaza grânda e cuntadéna con quella manaccia grande e contadina
……. bôna l’era la tëra ……….. ……………… buona era la terra
grasa e féna ……………. grassa e fine
Raspa Curbera, raspa stvò truvé Raspa Corbari, raspa se vuoi trovare
l’eteran cunzem dla libartê: l’eterno concime della libertà:
e’ sangue rumagnöl il sangue romagnolo
cla imbariaghê ogni côr che ha ubriacato ogni cuore
Strèca, strèca la tëra Stringi, stringi la terra
l’è sèmpar cl’udôr è sempre quel profumo
l’è sèmpar l’amôr dla stesa mâma è sempre l’amore della stessa mamma
cut fa da lët pövar fiol’d Rumâgna che ti fa da letto povero figlio di Romagna
Strèca ed elza la tësta, so canàja! Stringi ed alza la testa, su “canaglia”!
L’as drèza la camisa sanguneda Si alza la camicia insanguinata
la pê ôn lôm a Mérz, lôm’d premavera sembra un lume a marzo, lume di primavera
l’è bèl finì e’ su dé par na bangera è bello finire la vita per una bandiera
E cvànd che la prema sfója’d sôl E quando la prima sfoglia di sole
la spôrbia d’ôr tota la campagna spolvera d’oro tutta la campagna
e’partigiân e mör il partigiano muore
Bsén a lô ôn pòpul’d cuntadén Vicino a lui un popolo di contadini
o prega e o biastèma a tësta basa prega e bestemmia a testa bassa
Sôra a lô na bânda d’asasén Sopra di lui una banda d’assassini
la rid cun la vargôgna in faza ride con la vergogna in faccia
E’ sôl c’nas e dà vita a la brèza Il sole che nasce da vita alla brezza
nud coma Crèst, inciudê tna trèza nudo come Cristo inchiodato in una treggia
e pasa per l’amiga campâgna passa per l’amica campagna
l’ultum re dla muntâgna l’ultimo re della montagna
Brigant dla libartê e preputént Brigante della libertà e prepotente
ma s-cét com l’è s-cét la su zént ma schietto come è schietta la sua gente
s-cét coma i nost dê pasê bsén el stël schietto come i nostri giorni passati vicini alle stelle
fra e’ piânt’d mâma e cvèl de parabël tra il pianto di mamma e quello del parabello
(1) Silvio Corbari, medaglia d’oro della Resistenza.
Parlavamo di noi
quando la sera maturava
la stanchezza del giorno
e le contadine velate di nero
raccontavano al cielo
i guasti della pioggia
del vento e della guerra
Parlavamo di noi
all’acqua vergine di fonte
mescolando al grattare del mitra
la ragione di crederci uomini
e il diritto di lasciare
alle bestie da soma
il vanto pesante del basto
Parlavamo d’idee
mescolando bestemmie
ai rosari di pietra
per lasciare lontano l’inverno
che marciva nei solchi
e la fame
che uccideva le ultime favole
negli occhi dei bambini
Parlavamo di noi
cercando nei boschi la vita
e nei sentieri di piombo
le nostre radici di uomo
Parlavamo di noi
quando albe di fuoco
scoprivano i nostri fantasmi
già stanchi al primo mattino
già vecchi a soli vent’anni
Parlavamo del nostro domani
davanti alla salma nuda
d’un compagno caduto
e ad un ventre di terra
– che ingoiava –
le noste tenere radici
lasciandoci in bocca
la voglia rabbiosa
d’un tempo migliore
in cui ancora sperare
Vennero i giorni della primavera
La terra si coprì d’allegria
cantò tutti i colori del cielo
andò a piangere sui seminati
Nell’antica valle del Lamone
fiorì il natale sacro dei ciliegi
e le spighe in curva preghiera
baciarono il rosso dei papaveri
I campi non furono più tristi
quando sopra sbocciarono gentili
le rose selvatiche del maggio
Nessuno parlava di morte
fra le spine dei rossi lamponi
Ma la morte era in ogni pietra
nel filo dell’erbe e delle foglie
La morte vagava lungo il fiume
negli occhi delle bestie inquiete
nel taglio affilato della scure
E venne il giorno del martirio
sull’inerme cuore contadino
sulle mani rotte dal lavoro
sulla vanga ancora impastata
di buona terra e sacro sudore
Quando i barbari furono pronti
tacque il mormorio dell’acque
e una nube scura salì al cielo
a nascondere la rosa del sole
Le mani strinsero altre mani
Le parole e un pianto disperato
narraron sogni e favole smarrite
e negli occhi grandi delle madri
si posò il bacio dei figli
E l’ultimo pensiero andò lontano
ai fuochi spenti alla terra arata
all’oro reciso delle spighe
e ai giorni senza più domani
ai canti che si spegnevano
a loro che salivano il Calvario
e a noi, a noi, che siamo rimasti
a cogliere i frutti d’una stagione
nata da vittime innocenti
Era l’intera valle delle Scalelle
e dei castagni sacri a Campana
che consumava l’ultima ora
Non li chiamavano per nome
per non spaccare la cesta dell’odio
Un cenno, una spinta, un urlo
e la morte li coglieva sul petto
unendo il gemito di chi andava
all’angoscia di chi attendeva
Il campo diventò bara immensa
nel tiepido meriggio estivo
Noch ein! Noch ein! Noch ein!
Ancora uno! Ancora uno! Ancora uno!
E un colpo dopo l’altro
rompeva il grido della carne viva
e il sangue si fondeva in grumi
nel rosario dei ceppi delle mani
nella coppa umida della terra
Quando il silenzio raccolse dai pendii
l’ultimo colpo e l’ultimo grido
– lontano –
oltre la malinconia dei roveti
un requiem di coralli accesi
si scaldava al lume delle case
e noi,, noi, quelli ancora vivi
attendevamo un “nuovo” mattino
P.S. Questa poesia intende ricordare l’eccidio di 42 inermi contadini vittime della barbaria nazista a Crespino sul Lamone – Luglio 1944.
Io non ho perso la guerra quando combattevo
nella nuda terra africana
seppellito come un pidocchio
dentro una gabbana
fatta di sabbia e di sete
mangiando cavallette
Io non ho sporcato
l’argento delle mie stellette
nella steppa russa
mordendo con dente di lupo
le ossa condite di ghiaccio
dei miei fratelli caduti
Io perdo ancora la guerra
tutte le volte che penso
a me e agli altri ragazzi
che col fucile in mano
tenevamo Anna Frank
sepolta in una soffitta
E fra l’occhio spento del cielo
e l’odio assassino della terra
l’ebrea costruiva col sangue
quel monumento di pace
che schiaccia ancora adesso
l’anima di tutti i boia
Quella si che fu la vera disfatta
il marchio d’una sconfitta
che mi urla sempre addosso
con una bocca larga
come una camera a gas
La stella dalla coda
aveva appena perso
l’ultimo filaccio
ancora pregno di sangue
Adesso il mondo
poteva piangere
rannicchiato
fra gli spigoli
delle case arse
Ma un bambino
aveva tanta
tanta voglia di vivere
di correre sulla rugiada
che non appassiva più
sulla terra dischiusa
Cercava un barattolo
per giocare a palla
per capire dal suono
di quel giocattolo
che rideva fra i sassi
che il macello era finito
Ma nessuna luna d’argento
– rotolava –
sul grembo della terra
e allora spense
i suoi piedi nudi
fra spine di pietra
e diventò subito un uomo
Sarà festa grande
al taglio del maggese
per coriandoli di farfalle innamorate
libere dalle culle
dell’amore agreste
Voleranno
verso la vela
tenera del cielo
tra grida pulite
di bambini
frammenti ansiosi
d’albe serene
nati dalla brace
della carne accesa
E tornerà puntuale
il ricordo
della bimba di Bologna
che sognava
una farfalla di fiordaliso
da chiudere
nella gabbia del cuore
Vedo la sua immagine
dibattersi prigioniera
fra i rovi delle schegge
come rosa di macchia
nella siepe
Ogni anno
– per non dimenticare –
un filo di calendule d’oro
illuminerà
il sentiero di cenere
grigio
come la dolcezza
d’un settembre
Angela
non rivedrà più
gronde di luna
né si scalderà
all’abbaino del sole
con occhi
di passero sperduto
Di lei resta solo
un volo immenso
di cenere
che si posò leggero
sui suoi capelli
“come solinga
lampada di tomba”
Qualcuno di fronte a questa pubblicazione potrebbe intanto giustamente chiedersi a cosa serve la poesia. Rispondo con una frase dello scrittore americano William Carlos Williams laddove afferma che «niente di utile si trova nella poesia, ma l’umanità sta morendo miseramente ogni giorno per mancanza di ciò che si trova nella poesia». Pur ritenendo valido questo concetto si potrebbe pensare che la poesia possiede uno status specifico che la destina, lo si voglia o no, ad un pubblico di elite, a ristrette minoranze.
Ma così non è.
Abbiamo intanto un ricco patrimonio di versi dia-lettali che affonda le sue radici proprio nell’animo più popolare della nostra gente. E’ sufficiente ricorrere al lirismo di Aldo Spallicci o alla satira di Olindo Guerrini, alias Stecchetti, che esaltano la sensibilità più riposta e il diapason spirituale dei romagnoli, per capire l’importanza e il valore di immagini espressive che si richiamano alla fatica e al dolore dell’uomo, all’amore per la propria terra e le proprie tradizioni, concetti questi ancora profondamente radicati nell’animo più schietto del popolo.
La poesia è anche pensiero e fantasia, immagine e sentimento e lo sarà sempre fino a quando il sole risplenderà sulle sciagure umane.
Ed è proprio partendo dalla grande tragedia dell’ultima guerra che intendo dipanare il filo delle mie parole evidenziando, in particolare, l’olocausto di milioni di persone che assieme all’antifascismo, va visto come il substrato della Resistenza.
Ho avut o modo di leggere poesie scritte da bambini che hanno vissuto, prima di essere polverizzati nei lager tedeschi, momenti dilaganti di morte e disperazione. Si può cogliere in questi scritti una testi-monianza d’amore, un grido di condanna, un canto di speranza, un anelito di libertà che trascende la ricerca stessa della vendetta. Sono versi che diven-tano humus e linfa vitale offrendosi ad un’epoca in cui l’uomo barcolla alla ricerca di una luce che rischiari sentieri futuri per non morire per sempre.
Sentite cosa ha scritto, prima di entrare nei forni crematori, un ragazzo di quattordici anni: “Prova, amico, ad aprire il tuo cuore alla bellezza quando cammini tra la natura per intrecciare ghirlande con i tuoi ricordi e anche se le lacrime ti cadono lungo la strada vedrai che è bello vivere”
E non va dimenticato neanche il monito del piccolo ebreo Hanus “gasato” ad Auschwitz quando dice “che l’uomo non deve più lasciarsi riprendere dal sonno”. E il sonno in questo caso significa accettare supinamente le libertà perdute.
Ed Alena Synkova sogna orizzonti di pace, pur sapendo di dover morire, lasciandoci questi versi: “Vorrei andare sola dove c’è altra gente migliore in qualche posto sconosciuto dove nessuno uccide” Ho voluto di proposito far precedere alle mie poesie le stupende parole di alcuni dei tanti ragazzi che con il tappeto delle loro ceneri innocenti prepararono la Resistenza di tutta Europa. C’è una poesia che per il suo alto contenuto va inclusa in questa breve documentazione. Non è mia, ma del poeta siciliano Ottavio Profeta. “Se la mia voce morirà sulla croce di pietra cittadina portatela sulla cima del mio monte che s’alza nel vento e si corica nella nebbia Se la mia voce morirà nella mia pianura cercatela nel canneto nella conchiglie del mare e nell’acqua del fiume Se la mia voce morirà ridatemela viva fra gli alberi del bosco dove ogni sera canta un usignolo” –
Tornando ai bambini di Terezin e degli altri campi di sterminio, è sorprendente constatare la consonanza della poesia con la natura del fanciullo, il gusto estetico essenzialmente contenutistico, che non disdegna l’aspetto formale, le continue trasfigurazioni in immagini semplici e profonde. L’età evolutiva rivaluta il suo copioso scrigno di sogni. di intuizioni, di amore. Nel caso dei ragazzi di Terezin, il realismo è esaltato dalla virtù della speranza. Di fronte al bivio del “day after”, la storia e la poesia ripropongono la missione millenaria dell’umanità che si può sintetizzare in pochi versi: “…..e la speranza libera dalla gabbia colorerà la nebbia delle ore”. Questa pubblicazione, voluta dalla Comunità Montana nell’ampio quadro delle celebrazioni del cinquantenario della Resistenza, è indirizzata, in particolare, verso i ragazzi affinchè il ricordo dei loro coetanei che si aggiravano come passere bianche tra i fili spinati dei campi di prigionia, non sia dimenticato. Siamo di fronte alla tragedia di una adolescenza senza dimensione che va vista come un bozzolo di sole spento da uomini in delirio. L’olocausto dei ragazzi polverizzati nelle camere a gas, fu forse segno d’incantesimo, di cenere che s’innalzò come un vortice sulla notte di una civiltà calpestata. Ognuno di noi deve finalmente capire che l’innocente battito d’ali e il solco di terra che “annegava” tenerezza di ossa, appartiene all’umanità tutta come un monito tremendo.
«…..non è più tempo amico di trascinare uomini col giogo sui «Golgota» affamati di croci Non è più tempo delle gioie né di rimembranze serene se capisci che affondi i piedi sul sangue degli innocenti Resta coi bambini di Terezin e vedrai che dopo la lunga notte i licheni tenaci della libertà chiuderanno le crepe profonde delle nostre coscienze stanche» –
Breve biografia di Giuseppe “Pino” Bartoli, nato a Brisighella il 18/07/1920 e deceduto il 20/06/2004. Ex Ufficiale di Stato Civile ed ufficiale della formazione partigiana “Silvio Corbari”, grado riconosciutogli dal Ministero della Difesa, ha ricoperto, nel comune di Brisighella, tutti gli incarichi pubblici: Sindaco, Presidente della Comunità Montana, della Pro Loco, delle Opere Pie e del Museo del Lavoro Contadino. Poeta in lingua e vernacolo nonché prosatore, si è affermato in oltre 500 concorsi letterari, molti dei quali di livello nazionale ed internazionale. Cavaliere della Comunità Poetica Europea e Commendatore dell’Ordine Militare di S.Andrea, socio di 10 Accademie di lettere, arti e scienze, ha conseguito per due volte l’Oscar di Letteratura “Romagna”.
In sua memoria, si tiene annualmente un concorso di poesia, elaborati, disegni, ceramiche, ecc. riservato agli
quei giovani in cui Giuseppe riponeva la sua speranza per il futuro e che credeva fossero la gioia più bella del mondo.
L’inciviltà dell’irrazionalità Di difficile collocazione come genere letterario, “A COME ATEA” di Carla Corsetti è un saggio diretto in particolar modo ai popoli del primo mondo questo primo mondo che detiene – forse ancora per poco – il primato geopolitico, tecnologico, scientifico, economico, militare, e culturale dell’intero pianeta. Per ogni lettera dell’alfabeto, l’autrice ha trattato alcune parole particolarmente significative che le hanno permesso di sviluppare le sue riflessioni di lucida pensatrice.
Questo glossario delle opinioni non è frutto solamente di una mente acuta che sa scandagliare la storia, le cause della violenza e della corruzione nel mondo, la spietatezza e la follia dell’essere umano ma anche frutto d’un cuore caldo che ama l’essere umano, che ha osservato con meraviglia gli occhi innocenti dei bambini e sa che nasciamo tutti puri, ma poi la nostra storia, la nostra cultura, l’ambiente in cui cresciamo e viviamo, producono schegge impazzite, generano il “male” quel “male” che in natura non esiste. La prima lettera di questo saggio-glossario è proprio “Atea”, e l’ateismo viene definito come il fondamento della costruzione critica di ogni individuo razionale.
Chi scrive questa prefazione è anch’egli ateo, ateo nato in un paesino del sud Italia ed educato in compagnia di tutti i sacramenti che la tradizione cattolica gli riservava. Poi sono cresciuto, le fiabe dell’infanzia sono svanite assieme alla fiaba di Betlemme, e la mia vita – mente fredda e cuore caldo, razionalità e sentimento – ha cominciato a trovare la sua armonia. E ogni giorno che mi sveglio sono felice di essere nato, di aver conosciuto la vita. E sono grato all’evoluzione che – attraverso 4 milioni di anni – ha portato la mia mente a ragionare in questo modo.
Vado proprio d’accordo con la mia mente di ateo, perché la mia vita è una continua scoperta, un viaggio responsabile, con la consapevolezza che gran parte di quello che accade a me, alla mia famiglia, al popolo a cui appartengo e alla specie umana, dipende dalle mie azioni, dall’agire di noi uomini e non da un fantomatico dio.
Le statistiche ufficiali dicono che gli atei dichiarati nel mondo sono un terzo del totale della popolazione mondiale, ma probabilmente siamo molti di più in quanto gli atei non fanno mai sfoggio del loro pensiero.
Credo che l’umanità intera possa contare sulla razionalità degli atei, sul loro equilibrio, sulla loro continua ricerca di armonia fra la loro essenza e madre natura che ci ha donato la vita.
Ma essere atei nella tollerante terra nordeuropea è un conto, altra faccenda lo è nell’ultima roccaforte della chiesa cattolica, l’organizzazione più astuta e spietata prodotta dalla specie umana, che – oltre ad aver imprigionato, torturato, bruciato vivi popoli interi – ha incatenato la mente degli uomini per manovrarli, dominarli, depredarli: la nostra povera disgraziatissima Italia, nazione la cui presenza del clero è alla base della corruzione morale che trasversalmente si spalma su tutta la società italiana.
La nostra autrice ci parla con la purezza delle sue idee, mettendo a nostra disposizione una visione dettagliata e generale di tutti i problemi che tratta visione rafforzata dai suoi studi di giurista, che rendono questo testo unico, profondo, a mio parere appassionante. Le tematiche potrebbero già incuriosire solo scorrendo parte del complesso e variegato indice (bibbia, crocifisso, divorzio, donne, famiglia, giustizia, homo sapiens, Islam, libertà di coscienza, mafia, origini, Rinascita Democratica, stato ateo, testamento biologico, unità d’Italia, etc. etc.) ma in realtà le materie trattate racchiudono un principio comune a tutte: far conoscere eventi che davamo per scontati ma che non avevamo mai veramente approfondito, particolari inediti, un grido d’allarme percependo in ogni pagina la motivazione di questo grido: accendere la favilla della speranza tenendo ben chiara una visione dello Stato imperniata su un sistema riconducibile essenzialmente ai diritti fondamentali dell’uomo.
Carla Corsetti non risparmia nulla e nessuno, né il modello comunista né quello neoliberista, entrambi responsabili della povertà di milioni di esseri umani. Né la FIAT (che non conosce la dignità umana) né la classe politica, che aggrava sempre più quella classe lavoratrice economicamente disagiata che per giunta l’ha appoggiata. Alla voce “Giustizia”, l’autrice offre una denunzia implacabile, spietata, così come richiede la gravissima situazione del nostro paese declamando che dopo aver distrutto la scuola, ora hanno distrutto la giustizia civile. E sull’Ordine dei Giornalisti, ci dice che sono pochissimi a farne parte, in quanto quasi tutti gli iscritti o sono politici di mestiere, oppure persone assoldate da bancari o industriali. Un trattamento di particolare durezza Carla Corsetti riserva a tutte le religioni, in special modo a quelle monoteiste, per il loro controllo della sessualità, soprattutto quella della donna per poter avere il controllo sull’intera comunità. E ricorda il proverbio africano: Se darai l’istruzione a un uomo formerai un individuo, se darai istruzione a una donna formerai una società.
Dopo aver paragonato la Lega Nord al Partito fascista per l’odio razziale che fa nutrire contro gli immigrati ci propone una riflessione ch’è anche un augurio, affinché contro l’abbrutimento della barbarie leghista sgorghi il germe del riscatto proprio nell’intelletto di quei ragazzi che non si faranno plagiare dalla follia razzista dei loro genitori: noi non abbiamo fretta e sapremo aspettarli dentro gli infiniti spazi della civiltà.
Ecco, questa frase offre al saggio sociologico-politico “A COME ATEA” una sensazione d’aria fresca, confermandoci che la nostra autrice si occupa di tutte le possibilità della natura umana. Carla Corsetti, inoltre, ci fa incontrare personaggi incredibili come Anna Maria Mozzoni, antesignana dell’emancipazione femminile che lottò affinché le donne potessero votare nel 1876, puntualizzando che esiste un universo femminile distante dal marciume imperante.
La condizione delle donne è un parametro imprescindibile per misurare il grado di civiltà di una Nazione ed è arrivato il tempo che anche gli uomini ne prendano atto.
Fra le pagine più terribili di questo libro-denuncia, ci sono quelle dedicate alla tessera 1816, che testimonia che Silvio Berlusconi faceva parte dal 1978 del programma eversivo “Rinascita Democratica”, promossa dalla loggia massonica P2 (Propaganda Due) capeggiata da Licio Gelli.
Poi la nostra autrice ci offre una dissertazione sullo “Stato Ateo”, premettendo che imporre l’ateismo è un crimine contro l’umanità, come pure imporre una religione è un crimine contro l’umanità (e riflettendo che spesso per “Stato ateo” il pensiero va immediatamente agli Stati comunisti che imposero l’ateismo con la violenza). Mentre gli Stati atei potranno differenziarsi tra dittatoriali e democratici, quelli teocratici saranno necessariamente dittatoriali non potendo contenere in sé il germe della libertà di pensiero, fonte, di per sé, di spinte democratiche.
È la tensione unitaria che tiene avvinto questo singolare glossario delle opinioni che rivela lo struggente balenio del cuore caldo dell’autrice, che fa pulsare la sua razionalità in modo così genuino, puro, che le fa studiare con attenzione il progetto della Commissione Europea EXREL (la cui finalità era quella di prevedere l’evoluzione delle religioni e di conoscere con quali meccanismi potranno evolversi nelle società future).
Carla Corsetti, ben conscia della responsabilità affidata a questo libro, pur sapendo che l’Italia non ha partecipato al progetto EXREL e che nessuno ne abbia parlato, leva la sua penna dalle ali di fiamma soprattutto contro le religioni – inesauribili moltiplicatori di povertà – e ci lascia col sostegno della sua nobile istanza affinché i governi più evoluti impediscano, nel futuro, che le nostre società possano degenerare nell’inciviltà dell’irrazionalità ritrovando quell’idea universale capace di unire il mondo.
Prefazione di Adriano Petta
Breve biografia di Carla Corsetti ,Avvocato, Segretario di Democrazia Atea
Carla Corsetti nasce a Roma nel 1962. Ha conseguito la maturità classica e si è laureata in Giurisprudenza. Ha accompagnato gli studi universitari con un assiduo tirocinio nello studio legale del padre. Esercita la professione di avvocato. E’ sposata e madre di due figli. Si è sempre occupata di politica ed ha ricoperto il ruolo di consigliere comunale nel 1993 in una lista civica di centro-sinistra. Nel 2009 ha fondato Democrazia Atea e attualmente ne è il Segretario nazionale. Si dichiara atea dalla nascita e ritiene che essere anticlericali sia un dovere morale.
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