(a cura di Alberto Longobardi e Mia Pop Longobardi)
Il libro, già dal titolo, dimostra che vuole essere ed è, un accorato atto di amore per Fianello:
“C’era una volta”, un “passato” che NON è passato perché “ancora c’è”; almeno, questa è la speranza degli autori. Anche la “dedica” rivela questo amore per il borgo: “a tutti coloro che hanno fatto qualcosa di utile per Fianello o che vorranno farlo” passato e futuro, strettamente legati dall’amore. Il libro, arricchito da oltre 160 fotografie, svolge un racconto, che amalgama fluidamente, storia e leggenda, “elargendo” notizie interessanti, come se fosse il racconto di una fiaba. Si parte addirittura dall’era geologica del “pliocene” (oltre due milioni di anni or sono), testimoniato dai numerosi fossili presenti nel territorio di Fianello; uno dei quali, interessantissimo, è custodito nella Taverna del Vecchio Frantoio; si accenna fugacemente alla presenza dei Sabini ed a quella degli antichi romani, che hanno lasciato in Fianello numerose testimonianze. Più ricco si fa il racconto, parlando dei Longobardi (Fianello apparteneva al ducato di Spoleto), la cui presenza è rilevata dai notevoli manufatti della Torre pentagonale e della Cripta sotto la chiesa di S. Maria e dall’intestazione della chiesa parrocchiale a San Giovanni battista, patrono dei Longobardi;. Il racconto diventa, a mio avviso, appassionante, quando si narra, tra storia e leggenda, delle vicende di Narni, Fianello, Berlengario, Bizanna, Erlengarda e Susanna; fino alla “apoteosi” del rapporto con l’abbazia di Farfa: sette pagine che ti tengono col fiato sospeso! Molto efficacemente, veniamo “guidati” alla scoperta di Fianello con una lunga serie di fotografie e brevi, ma efficaci, descrizioni dei luoghi: ingresso al borgo; edificio scolastico; il “Cantinone”; l’affascinante “percorso geologico sotto terra”; il Palazzo; il Forno monumentale; la Porta meridionale ad arco, in pietra rosa di Cottanello; i tramonti, che da questa porta si possono ammirare, legati alla leggenda di “fate e folletti”; la Taverna del Vecchio Frantoio, che accoglie una Mostra permanente di reperti geologici ed archeologici; oltre ad arredi ed utensili della civiltà contadina. Alla pagina 50 si parla dell’abbandono di Fianello negli anni 1960 da parte degli abitanti e delle ordinanze di chiusura del borgo, emanate negli anni 1970, dal Genio Civile. Dopo l’acquisto delle case abbandonate, per destinarle a “seconde case”, Fianello Risorge. Molte, infatti, sono le iniziative che da questo momento si sono svolte a Fianello e ben documentate dalle foto: —-anno 1976, Festa di Carnevale, in maschera, nel palazzo Savelli-Orsini; —-anno 1978, Festa della Rinnovazione, dopo l’esecuzione di vari interventi pubblici strutturali; —-dall’anno 1979 al 1987, Festa di S. Lorenzo organizzata, in modo innovativo, da un apposito Comitato; —-il 25-08-1979, annunciata da un manifesto, si è tenuta in Fianello una Conferenza-Dibattito, la cui relazione è riportata integralmente nel libro; —-nel 1980, viene costruito un Campo di Bocce dove c’era un orto; —-dall’anno 1998 al 2001, Fianello ospita la manifestazione “Andar per Olio e per Cultura”; —-il 23 e 29-08-1998, in occasione del restauro del forno di Fianello, Festa del Pane; —-il 30 giugno 2001: Rievocazione Storico-Leggendaria cessione Fianello all’Abbazia di Farfa, (è scritto testualmente nel libro), “preceduta da una serie di cene di autofinanziamento, la più nota delle quali si è tenuta nella Piazza di Fianello con la partecipazione di 150 persone, allietate dalla presenza di due musici in costume medievale, che hanno eseguito musiche medievali usando gli strumenti musicali dell’epoca. E’ stato un successo “epocale”, che ha visto anche la celebrazione della Messa in latino e l’esecuzione di Canti Gregoriani, per iniziativa del parroco don Enzo Cherchi”. In tale occasione, il menestrello ha letto Frizzi e Lazzi dell’Epoca, testualmente trascritti nel libro. Anche il Prografo di tale evento, è testualmente trascritto. Negli anni 2002 e 2003, si sono svolte altre due edizioni della Rievocazione, l’ultima delle quali si è svolta nel 2007 fuori dal Borgo, perché questo era pericolante; —-agosto 2003, Festa del Grano con “trebbiatura d’epoca sull’aia e trita con i cavalli”; —-ottobre 2010 Festa dell’Uva, che viene pigiata con i piedi; —-nell’anno 2015, Festival dell’Utopia, organizzata in modo molto “frizzante” dai ragazzi belgi; —-nello stesso anno (2015), viene introdotta a Fianello la GOGNA in legno (tutt’ora utilizzata per foto-ricordo) ed ospitata una delle giornate di studio Strada Campana; —-vengono documentati, con la riproduzione di manifestini, Concerti ed Inaugurazioni a Fianello, dagli anni 1995 al 2007; —-anno 2018, celebrazione del 20° Anniversario Riapertura Chiesa S. Maria. Nel libro, infine, viene ricordato che Fianello è stato protagonista di due Documentari di notevole rilevanza: uno, prodotto dalla RAI nel 2008 condotto da Franco Valentini e l’altro nel 2016, condotto dal maestro Antonio Vignera dei Musei Vaticani. —-Seguono diverse foto di Attività Varie in Fianello e le foto di Curiosità veramente Curiose: topo che mangia insieme al gatto e gatto che mangia insieme al rospo. —-Poi, si apre il capitolo dedicato ai Gatti di Fianello, con la trascrizione della Storia del Gatto e alcune Storie di alcuni dei gatti di Fianello (Speranza, Bambi, Cenerella, Alex e Salvina). —Segue la trascrizione del Canto di Erlengarda. Il libro si Conclude con la documentazione fotografica del Degrado di Fianello; Appelli e Interventi di Denuncia; Lettera Aperta di Fianello e …………. una ….
“sorpresa” nella PAGINA FINALE!!!!!!
Un libro, di cui vale proprio la pena tenerne una copia in casa.
Franco Leggeri Fotoreportage -Monte Santa Maria di Poggio Nativo in 80 foto
Monte Santa Maria fa parte del comune di Poggio Nativo, in provincia di Rieti, nella regione Lazio. Il Borgo e’ noto per la sua natura ricca di uliveti e macchie tipiche dei colli sabini.
La frazione o località di Monte Santa Maria dista 2,14 chilometri dal medesimo comune di Poggio Nativo di cui essa fa parte. Monte Santa Maria, ante 1863-Monte Santa Maria di Farfa, ante sec. XIX-Anche questo castello fa parte dell’ultima fase della fondazione di insediamenti fortificati, avvenuta in Sabina tra fine Duecento e primo Trecento. La più antica notizia di Monte Santa Maria risale al 1339, allorchè viene elencato da Benedetto XII tra i castelli sottratti a Farfa. Di fondazione farfense, le sue vicende storiche furono sempre legate a quelle delll’Abbazia. Il suo apparato fortificatorio doveva essere stato costruito in modo molto accurato, dato che, nella seconda metà del XIV secolo, vi si rifugiò l’abate di Farfa, Sisto, per sfuggire alle compagnie di ventura che stavano compiendo in quel periodo continue scorrerie nella Sabina. Durante la parentesi del dominio francese appartenne dapprima al dipartimento del Clitumno, cantone di Poggio Mirteto (1798) per passare poi al dipartimento di Roma, circondario di Rieti, cantone di Poggio Mirteto, come comunità dipendente da Toffia (1810). Con la restaurazione del potere pontificio e le riforme del 1816/1817 Monte Santa Maria entrò a far parte della provincia di Sabina, delegazione di Rieti, distretto di Poggio Mirteto, come comunità appodiata a Castelnuovo di Farfa, sede di governo, mentre nel riparto territoriale del 1831 risulta di nuovo comune autonomo facente capo al governo di Fara Sabina. Dopo l’aggregazione al Regno d’Italia, avvenuta nel 1860, appartenne alla provincia di Perugia, sino al 1923, poi a quella di Roma, sino al 1927, anno in cui fu incluso nella neoistituita provincia di Rieti. Nel 1876 Monte Santa Maria perse di nuovo la propria autonomia essendo aggregato a Toffia, mentre nel 1946 passò al comune di Poggio Nativo, di cui costituisce tuttora frazione. Dal 1863 all’antica denominazione di Monte Santa Maria è stata aggiunta la specifica “in Sabina”
La frazione Monte S. Maria chiede di aggregarsi al Comune di Poggio Nativo
Luogo: Toffia Datazione: 1945/08/14 Autore: Podestà Conservazione: Archivio Comune di Toffia
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 27 maggio 1949, n. 324
Vista l’istanza con la quale la maggioranza, dei contribuenti della frazione di Monte Santa Maria del comune di Toffia (provincia di Rieti) ha chiesto l’aggregazione della suddetta frazione al comune di Poggio Nativo; Visti gli articoli 34 e 35 del testo unico della, legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 3 marzo 1934, n. 383; Udito il parere del Consiglio di Stato; Sulla proposta del Ministro per l’interno; Decreta: Art. 1. La frazione di Monte Santa Maria e’ distaccata dal comune di Toffia ed aggregata a quello di Poggio lativo con la circoscrizione territoriale risultante dalla pianta planimetrica annessa al presente decreto.
Castelnuovo di Farfa e La guerra dei confini con l’Abbazia di Farfa
Articolo di Franco Leggeri
Articolo di Franco Leggeri–Castelnuovo di Farfa e Abbazia di Farfa-Confine è una parola pericolosa, perché appartiene in primo luogo alla semantica della chiusura; ma come tutte le parole “sol che rifletta sulle loro vibrazioni e se ne interroghi la perenne ambiguità” sa dire altro : esprime anche il senso opposto dell’apertura: è linea che garantisce la nostra identità, ma dal cui orizzonte , arricchiti dalla consapevolezza di ciò che siamo, si può guardare oltre ; è la “provincia”, la quale , appena viva consapevolmente la sua identità, ma dal cui orizzonte , arricchiti dalla consapevolezza spinge lo sguardo oltre i suoi limiti. La premessa è per introdurre alla storia e a una guerra di secoli tra gli abitanti di Castelnuovo e l’Abbazia di Farfa. Si narra che più volte i castelnuovesi spostarono i confini, cippi di pietra, e li gettassero nei fossi. La “guerra dei confini” portò anche ad una scomunica da parte della Chiesa di Roma nei confronti dei castelnuovesi. In verità i castelnuovesi più e più volte malmenarono i frati dell’Abbazia e :“gli abitanti di essa, servi, garzoni, stallieri ecc. “ –“Alle parole seguirono i fatti, e le mani si levarono e colpirono a sangue i monaci che malconci si rifugiarono in chiesa, e qui furono curati dalle ferite riportate nello scontro con gli abitanti di Castelnuovo, quel Borgo di uomini duri e forti…” La questione dei confini fu , finalmente, risolta con il Regio decreto del 6 agosto 1937-XV. N.1695; “Rettifica di confine fra i comuni di Castelnuovo di Farfa e di Fara in Sabina, in provincia di Rieti”.
. Con il Regio Decreto vennero, finalmente, riconosciute le ragioni degli abitanti di Castelnuovo di Farfa. La “QUESTIONE CONFINI” durava dal medioevo…risolta dopo quattro secoli. I castelnuovesi non sono mai stati servi e sottomessi alle prepotenze dei frati dell’Abbazia e qui inizia un altro capitolo relativo alla guerra del sale e “dazi & balzelli” che si dovevano pagare ai monaci dell’Abbazia. ……………………………………………………………………………………….
I confini tra Castelnuovo di Farfa e Poggio Nativo potrebbero essere stati rivisti nel 1946, (Nota a chiarimento dell’imprecisione non mi è stato consentita la consultazione dell’Archivio di Castelnuovo di Farfa), a seguito del distacco della frazione di Monte Santa Maria dal comune di Toffia , distacco richiesto sin dall’8 ottobre 1922 e mai concesso. Nel 1945 il 14 settembre la Democrazia Cristiana al fine di contrastare la Sinistra di Poggio Nativo ne sancì il distacco definitivo così come si legge nel verbale del consiglio comunale di Toffia che riporto integralmente:
” Che non ostante i proventi della sovrimposta di terreni e fabbricati della frazione a quelli degli altri tributi comunali, il bilancio da alcuni anni pareggia col contributo della Stato; Che in conseguenza senza i proventi di cui sopra il Comune di Toffia non potrebbe più reggersi, mentre il Comune di Poggio Nativo ne avrebbe immensi vantaggi finanziari, che verrebbero a migliorare ancor più la sua ben nota floridezza economica; Che si hanno buoni motivi di ritenere che la domanda dei frazionisti di Monte Santa Maria sia stata principalmente determinata dalla situazione politica creatasi nel Comune, in quanto nella frazione predomina il Partito Democratico Cristiano, mentre nel capoluogo predominano i partiti di sinistra;
per le ragioni di cui sopra
La Giunta
Ad eccezione del rappresentante della Frazione di Monte Santa Maria
Ad unanimità Delibera
Di esprimere parere contrario al distacco della Frazione stessa dal Comune di Toffia.
Letto confermato e sottoscritto:
il Sindaco Leo Mancini
la Giunta:Paolini Guido-Ferretti Alfonso-Capparoni Pietro.
Molto interessante è il sistema escogitato dai castelnuovesi, opera di ingegneria idraulica CONTADINA, al fine di sfuggire al monaco “PISCIONARIO” addetto alla riscossione del “dazio” sui “diritti di pesca” relativi al fiume FARFARIO ecc.
Dal libro di Franco Leggeri :Castelnuovo , la riva sinistra del Farfa.
-traduzione di Graziella Cillario-Editore Einaudi-
-Marguerite Yourcenar-Più invecchio anch’io, più mi accorgo che l’infanzia e la vecchiaia non solo si ricongiungono, ma sono i due stati più profondi in cui ci è dato vivere. In essi si rivela la vera essenza di un individuo, prima o dopo gli sforzi, le aspirazioni, le ambizioni della vita.-
-Gli occhi del fanciullo e quelli del vecchio guardano con il tranquillo candore di chi non è ancora entrato nel ballo mascherato oppure ne è già uscito. E tutto l’intervallo sembra un vano tumulto, un’agitazione a vuoto, un inutile caos per il quale ci si chiede perché si è dovuto passare.–
Archivi del Nord(Archives du Nord) è il secondo capitolo della trilogia Il labirinto del mondo (Le labyrinthe du monde) di Marguerite Yourcenar del 1977, edito nella versione originale francese da Gallimard. Il libro è stato tradotto in almeno quattordici lingue;[1] in italiano è apparso nel 1982, pubblicato da Einaudi.
Marguerite Yourcenar (1903-1987)fut dès l’enfance, plus qu’une voyageuse, une nomade. D’où sans doute cette ouverture à toutes les cultures dont témoigne une œuvre multiforme et apparemment paradoxale : au plus haut point préoccupée des questions contemporaines, l’auteur des Mémoires d’Hadrien a trouvé dans le passé l’aliment essentiel de sa création. Mais doit-on s’étonner qu’une humaniste confie à l’histoire la tâche d’éclairer notre temps ?
“Il poeta comincia dove finisce l’uomo”, così sentenziava il filosofo spagnolo José Ortega Y Gasset. Santa Teresa d’Avila, Dottore della Chiesa, nella sua profonda esperienza mistica, si è servita anche della poesia, oltreppassando così con i suoi componimenti quel guado che divide l’uomo dall’infinito.
Eppure troppe volte sono stati dimenticati i suoi versi in cui è possibile trovare un vero e proprio scrigno di bellezza e di spiritualità. Al loro interno, infatti, è possibile persino scovare quella che sarà poi conosciuta comunemente la “trasverberazione del cuore”, una delle grazie mistiche di cui santa Teresa spiegherà nella sua Vita, l’autobiografia della santa: il dardo, la “freccia” dell’Amore di Dio colpisce il suo cuore, lo tramuta e lo sublima facendolo avvicinare al Cuore di Dio in nozze mistiche. Nozze che, in molte occasioni, sembrano essere celebrate dalla santa nei suoi componimenti poetici: santa Teresa ascende a Dio così come discende nelle profondità della poesia.
Sfogliando queste pagine poetiche, è possibile dividere la produzione in versi in tre determinati gruppi: prima di tutto troviamo le poesie mistiche nelle quali si respira tutta la spiritualità della santa; il secondo gruppo comprende le poesie che hanno come oggetto le feste liturgiche come il Natale, l’Epifania o l’Esaltazione della Croce; e, infine, il terzo gruppo, scritte – come lei stessa le definisce – con “stile di fratellanza e di ricreazione”: sono versi che celebrano avvenimenti interni alla comunità religiosa per allietare le consorelle della comunità monastica.
Tre diverse situazioni poetiche, ma con un elemento in comune ben preciso: la Bellezza. Santa Teresa è stata sempre affascinata – fin dalla fanciullezza – dalla bellezza artistica, nelle sue diverse espressioni, ma specialmente era attratta dall’arte pittorica e scultorea. Più volte, nel libro della sua Vita, si sofferma sul piacere che prova per l’armonia scaturita dalla musica del fruscio della campagna che la circonda. Più volte si sofferma sulle note di una canzone che ha ascoltato. E’ proprio questo, infondo, l’humus dell’anima da cui nasceranno i suoi versi, frammenti poi di una Bellezza ancora più vasta, quella del Signore. Un riassunto della sua visione poetica è possibile trovarlo in questi suoi versi che delineano, tratteggiano con efficacia il suo animo poetico dedicato a Dio: “Bellezza che trascendi/ ogni bellezza!/ Senza ferire, fate soffrire;/ senza dolore, voi fate morire”. Passare in rassegna tutte le poesie che ha composto santa Teresa sarebbe impresa alquanto ardua visto la molteplicità di temi affrontati. Cercheremo, allora, di fare una breve selezione.
Vivo sin vivir en mi (Vivo ma non vivo in me) è questo il nome di una delle poesie-canzoni più importanti della sua produzione. I versi racchiudono ossimori e altre figure retoriche assai care ai poeti, di ogni epoca: “Vivo ma non vivo in me/e attendo una tal vita/ da morirne se non muoio”.
E ancora “Questa divina prigione/ dell’amore in cui vivo,/ ha reso Dio, mio prigioniero/ e libero il mio cuore;/ e causa in me tanta passione/ da morirne se non muoio”. Del tutto particolare, rimane la seconda tipologia di produzione, quella legata alle feste liturgiche. Il loro maggior merito è quello di aver introdotto nei monasteri carmelitani il ricorso alla poesia come componente festiva della vita religiosa. Un tema fondamentale – e non poteva essere altrimenti – per l’ordine carmelitano è quello della Croce che santa Teresa canta in diversi componimenti da condividere con le proprie consorelle. E’ il caso di En la Cruz está la vida (Nella Croce risiede la vita), composta per le religiose del monastero di Soria, in occasione della festa dell’Esaltazione della Santa Croce: “Le religiose la cantano durante la processione che fanno in detto giorno per i corridoi del monastero, recandosi al luogo della sepoltura comune, sotto il coro inferiore. E’ una funzione commovente: si procede a croce alzata, e le religiose tengono in mano rami di palma e di olivo”, così si legge in un antico manoscritto.
I versi che santa Teresa compone per quest’occasione sono versi dal ritmo serrato, scandito da sillabe che vengono cadenzate in rima. Bisogna ricordare che questi componimenti vivevano poi dell’improvvisazione delle consorelle. Si può, dunque, solo immaginare l’effetto vero e proprio che potevano avere. Altra occasione, il Santo Natale: nei monasteri carmelitani si respirava un’aria di particolare gioia durante le feste natalizie; ogni comunità aveva le sue modalità di festeggiare e molte di queste sono state introdotte dalla stessa Santa Teresa e dall’altro poeta carmelitano, San Giovanni della Croce. E’ possibile trovare il tema della notte santa nelle seguenti poesie: Pastores que veláis (Pastori che vegliate), nel componimento Al nascimento de Jesús (Per la nascità di Gesù), e ancora nella graziosa canzone En la noche de Navidad (Nella notte di Natale).
L’entrata di una nuova sorella nel Carmelo era poi celebrata come una grande festa. Ed è così che nascono per queste occasioni speciali alcuni poemetti che riescono a offrirci una sorta di fotografia della vita nei monasteri del Carmelo: “Il leggiadro vostro velo/ dice a voi di stare in veglia/ di montar la sentinella, fino a che lo Sposo venga./ Nella vostra mano accesa/ sempre abbiate una candela;/ sotto il velo state in veglia”.
Articolo di Antonio Tarallo
Santa Teresa, una voce poetica votata al Signore; un forziere di ricordi e immagini che andrebbe riscoperto perché la mistica passa anche per la poesia.
Poesia spagnola : SANTA TERESA D’AVILA
. TERESA D’AVILA: POESIE
Vivo ma non vivo in me,
e attendo una tal alta vita,
che muoio perchè non muoio.
(Vivo sin vivir in mi,
y tan alta vida espero
que muero porque non muero.)
Vivo già fuori di me,
giacchè muoio d’amore,
perchè vivo nel Signore,
che mi volle tutta a sè.
Quando il cuore gli donai
vi scrissi questa frase:
che muoio perchè non muoio.
(Vivo ya fuera de mi,
despuès que muero de amor,
porquè vivo en el Senòr,
que me quiso para sì.
Cuando el corazon le dì
puso en el este letrero,
que muero porquè no muero.)
Questa prigione divina
dell’amore in cui io vivo,
ha reso Dio mia preda,
e libero il mio cuore,
mi fa nascere tal passione
veder Dio mio prigioniero,
che muoio perchè non muoio.
(Esta divina prisòn,
de amor en què yo vivo,
ha hecho a Diòs mi cautivo,
y libre mi corazòn;
y causa en mì tal pasiòn
ver a Diòs mi prisonero,
que muero poquè no muero
Guarda come l’amore è forte;
guarda che sol mi resta
di perderti per guadagnarti.
Venga subito la dolce morte,
venga leggero il morir,
che muoio perchè non muoio.
(Mira que el amor es fuerte;
vida,no me seas molesta,
mira que solo me resta,
para ganarte perderte.
Venga ya la dulce muerte,
el morir venga ligero
que muero porquè no muero.)
Ebbene, questa è una traduzione attuale, ma molto affine allo scritto di Teresa, che ritengo più moderno di quanto non sia la versione “ufficiale” tratta dalle Opere della Santa Madre. Sono spiacente di dover dire; coloro che hanno tradotto questo incanto di poesia, in un linguaggio poetico, ma antico, hanno modificato, per seguire lo stile del tempo, anche ciò che Teresa voleva significare.
Riporto una porzione di testo che appare sulle Opere:
Più in me non vivo e giubilo (Teresa non l’ha detto, che giubila) vivo nel mio Signore
Per se mi volle, e struggomi or per intenso ardore
Gli detti il cuor, e in margine
Scrissi con segni d’oro (non dice neppure questo) Moro perché non moro ( che è una forma in disuso, meglio tradurre in muoio)
E non proseguo, poiché questa traduzione non corrisponde del tutto a quanto Teresa scrisse.
Molte poesie composte da Santi autori, ma anche in genere da tutti i poeti stranieri, in lingua madre, sono state tradotte, per rispettare le rime, la metrica, ecc. in modo tanto astruso, da modificare radicalmente il senso che l’autore voleva dare alla sua opera. Se quindi ho scritto, nel mio precedente articolo su Santa Teresina, che sarebbe bene possedere le opere dei nostri santi carmelitani, ora aggiungo che varrebbe la pena acquistarle in lingua originale, oppure tradotte in modo più aderente al pensiero dell’autore e in un linguaggio adeguato al nostro tempo.
I testi delle opere di Santa Teresa di Gesù sono ancora attualissimi, moderna donna del ‘500 e moderna Santa anche ora, nel terzo millennio! Vi invito a leggerli, o meglio ancora a leggerli con chi ne sa più di noi e possa così approfondirne il pensiero. Io ne sono rimasta affascinata, Teresa si è dimostrata una donna di grande carattere, e nella sua “determinada determinacion” ha raggiunto tutte le mete stabilite, sia quelle della terra (fondazioni) che quelle del Cielo!! (un’unione dell’anima, totale e perfetta, con il Signore).
Nel 2015 ci sarà grande festa in suo onore, per i 500 anni dalla nascita che è avvenuta il 28 marzo 1515.
Pubblicato da Danila Oppio
Felicità di chi ama
Libero e lieto è il cuore innamorato
Che tutto e solo si concentra in Dio.
Per Lui rinuncia ad ogni ben creato,
per Lui si lascia in disdegnoso oblio.
Il suo pensiero è tutto in Lui sacrato,
ed Ei l’appaga in ogni suo desio.
Così, fra mezzo a questo mar sconvolto,
passa sereno nella pace avvolto.
Innanzi alla bellezza di Dio
Bellezza incomparabile
Ch’ogni bellezza anneri,
innanzi a Te che l’anima
senza ferir feri,
ogni terreno amore
non con rimpianto muore.
Nodo che insiem sì varie
Cose congiungi e tieni,
deh! Non ti scior! Se l’anima
stretta al suo Dio trattieni,
in gioie senza uguali
mutansi tosto i mali.
Quei che non è, all’Essere
Che non ha fine unisci;
m’ami senza mio merito;
senza finir finisci.
Innanzi a Te, o Possente,
fai grande il mio niente.
Lamenti dell’esilio
Cammino interminabile,
lungo e crudele esilio,
terra in cui debbo vivere,
soggiorno di perielio!
Signore amabilissimo,
concedimi d’uscire,
ché ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Da Te lontana, l’anima
struggesi in duolo e in pianto:
la vita è triste e lugubre,
priva d’alcun incanto.
Ohimè! Infelice e misera,
costretta qui a soffrire!…
Ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Morte, benigna ascoltami,
soccorri a tante pene,
vibra i tuoi colpi amabili,
spezza le mie catene!
Che gioia, o Dilettissimo,
lassù con Te venire!…
Ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
L’amor terreno avvinghia
a questa triste vita,
ma l’alto amor etereo
verso quell’altra incita.
No, non si può più reggere:
altrove è il mio desire.
Ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Questo terreno vivere
è un’iterata guerra:
la vera vita vivesi
oltre la grama terra.
Schiudi, Signor, l’empireo,
fammi con Te venire,
ché ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Chi potrà mai dolersene
Se questo fral perisce,
quando in tal modo acquistasi
il Ben che mai svanisce?
Amarti, amarti, o Amabile,
amarti e mai finire.
Ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
L’anima afflitta spasima
senza trovar ristoro.
Ma chi potrìa non piangere
lungi dal suo Tesoro?
Vieni, Signore, ascoltami,
non farmi più soffrire,
ché ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Se con sottile astuzia
togliesi al suo elemento
il pesce muore e termina
ogni altro suo tormento.
Io qui invece struggimi
lungi da te a patire…
Ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Invano, o Dio, ti supplico,
invan ti cerco e bramo:
ognora a me invisibile,
non senti che ti chiamo:
onde infiammata spasimo
mai stanca di ridire
ché ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Quando nei candid’Azzimi
scendi nel petto mio,
tosto il pensiero angustiami
che poi n’andrai, mio Dio.
E allor diffusa in lacrime
Altro non so che dire,
ché ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Cessi, Gesù dolcissimo,
quest’aspra pena mia!
Appaghisi quest’anima
che Te, Signor, desia!
Fugate alfin le tenebre,
possa pur io gioire,
ché ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Ma no, Signor! Innumeri
sono i miei falli rii:
è giusto che qui spasimi
che qualche cosa espii.
Alfin, però, i miei gemiti
Degnati d’esaudire,
ché ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Teresa d’Avila
(carmelitana scalza)
Canto a Gesù crocifisso
Se elevo a te, mio Dio, il mio grido d’amore,
non è affatto per il cielo che ci hai promesso;
e non è neppure l’inferno, con i suoi territori,
che mi fa allontanare dal tradirti.
Ma io ti amo, mio Dio, vedendoti così,
inchiodato su questa croce imporporata dal tuo sangue.
Sono le tue piaghe che amo, ed è la tua morte,
quel che amo è il tuo amore.
Al di là dei tuoi doni e delle tue speranze,
quand’anche non vi fossero né cielo, né inferno,
io lo so, mio Dio, che t’amerei ancora.
Amarti è mia felicità tanto quanto mio dovere.
Non mi accordare nulla, dunque, anche se t’imploro:
l’amore che ho per te non ha bisogno di speranza.
( Teresa d’Avila Carmelitana scalza)
anno 4 – N° 18
13 Dicembre 2019
Santa Teresa d’Avila (Teresa de Cepeda y Ahumada) nacque a Gotarrendura, Avila, il 28 marzo del 1515. Nel 1534 entrò nell’ordine del Carmelo. Fondò diversi conventi che chiamo “colombaie della Vergine”, con l’aiuto del monaco carmelitano Juan de Yepes Álvarez, più conosciuto come San Giovanni della Croce, uno dei più grandi poeti di lingua spagnola. Insieme fondarono l’Ordine dei Carmelitani scalzi. Santa Teresa morì ad Alba de Torres il 4 ottobre 1582. Fu canonizzata nel 1622 e proclamata Dottore della Chiesa da Paolo VI nel 1970.
Santa Teresa compose molte poesie ed ebbe la fama di essere una brava “tracciatrice di versi”. Li scriveva per rendere meno monotona, con una spruzzata di sorrisi, la vita dei suoi conventi e la stanchezza dei suoi continui viaggi di fondatrice. È comunque difficile individuare le vere poesie della Santa. C’erano tra le sue consorelle altrettante buone “tracciatrici di versi” come, per esempio, María de San José. Quelle sicuramente sue superano di poco la trentina. Ne abbiamo appena pubblicate 15 con la versione in italiano a opera dell’infaticabile Emilio Coco.
MUERO PORQUE NO MUERO
Vivo sin vivir en mí
y de tal manera espero,
que muero porque no muero.
Vivo ya fuera de mí,
después que muero de amor,
porque vivo en el Señor,
que me quiso para sí:
cuando el corazón le di
puso en mí este letrero:
Que muero porque no muero.
Esta divina prisión,
del amor con que yo vivo,
ha hecho a Dios mi cautivo
y libre mi corazón;
y causa en mí tal pasión
ver a mi Dios prisionero,
que muero porque no muero.
¡Ay, qué larga es esta vida!
¡Qué duros estos destierros!
Esta cárcel y estos hierros
en que el alma está metida!
Sólo esperar la salida
me causa un dolor tan fiero,
que muero porque no muero.
¡Ay, qué vida tan amarga
do no se goza el Señor!
Porque si es dulce el amor,
no lo es la esperanza larga:
quíteme Dios esta carga,
más pesada que el acero,
que muero porque no muero.
Sólo con la confianza
vivo de que he de morir,
porque muriendo el vivir
me asegura mi esperanza;
muerte do el vivir se alcanza,
no te tardes, que te espero,
que muero porque no muero.
Mira que el amor es fuerte;
vida, no me seas molesta,
mira que sólo me resta
para ganarte o perderte.
Venga ya la dulce muerte,
el morir venga ligero
que muero porque no muero.
Aquella vida de arriba,
que es la vida verdadera,
hasta que esta vida muera,
no se goza estando viva:
muerte, no me seas esquiva;
viva muriendo primero,
que muero porque no muero.
Vida, ¿qué puedo yo darte
a mi Dios, que vive en mí,
si no es el perderte a ti
para merecer ganarte?
Quiero muriendo alcanzarte,
pues tanto a mi Amado quiero,
que muero porque no muero.
MUOIO PERCHÉ NON MUOIO
Vivo ma in me non vivo
e fino a tal punto spero
che muoio perché non muoio.
Vivo ormai fuori di me
dopo esser morta d’amore,
perché vivo nel Signore,
che mi ha voluta per sé:
quando gli ho dato il mio cuore
vi ha scritto queste parole: Che muoio perché non muoio.
Questa divina prigione,
dell’amore con cui io vivo,
Dio ha reso mio prigioniero
e ha liberato il mio cuore;
e mi dà tanta passione
veder Dio mio prigioniero che muoio perché non muoio.
Com’è lunga questa vita!
Com’è duro quest’esilio!
Il carcere e questi ceppi
in cui l’anima si trova!
Solo aspettarne l’uscita
mi causa un tale dolore, che muoio perché non muoio.
Ah, che vita così amara
se non si gode il Signore!
Perché se è dolce l’amore,
non lo è la lunga speranza;
toglimi Dio questo peso,
più pesante dell’acciaio, che muoio perché non muoio.
Vivo con la sicurezza
che un giorno dovrò morire,
perché il vivere, morendo,
mi assicura la speranza;
morte in cui vita s’ottiene,
non tardare, che ti aspetto, che muoio perché non muoio.
Guarda che l’amore è forte;
vita, non mi molestare,
guarda che solo mi resta
perderti per guadagnarti.
Venga ormai la dolce morte,
venga il morir senza indugio che muoio perché non muoio.
Quella vita di lassù
che è la sola vera vita,
fino a che questa non muore,
non si gode essendo viva:
morte, non essermi schiva;
che io viva morendo prima, che muoio perché non muoio.
Vita, che altro posso dare
al mio Dio che vive in me,
se non il perdere te
per poterti guadagnare?
Voglio morendo raggiungerti,
ché bramo tanto il mio Amato, che muoio perché non muoio.
In Campidoglio celebrazioni per ricordare Giacomo Matteotti
a 100 anni dal suo omicidio per mano fascista
Iniziativa promossa dalla Presidenza dell’Assemblea Capitolina
Roma, 7 giugno 2024 – Si è svolta questa mattina nell’Aula Giulio Cesare in Campidoglio una celebrazione per ricordare Giacomo Matteotti nel centesimo anniversario del suo omicidio per mano fascista. L’iniziativa è stata promossa dalla Presidente dell’Assemblea Capitolina On.Svetlana Celli che ha aperto l’incontro al quale era presente anche una rappresentanze delle scuole romane.
Sono intervenuti il sindaco Roberto Gualtieri; l’assessore alla Cultura Miguel Gotor; Claudio Signorile, ex segreteraio nazionale PSI, già ministro; Claudio Martelli, presidente Fondazione Pietro Nenni; Giorgio Benvenuto, presidente Fondazione Bruno Buozzi; la storica Simona Colarizzi; esponenti delle sigle sindacali.
Nel corso della cerimonia sono stati letti degli articoli della Costituzione Italiana dagli studenti Azzurra Dottori e Francesco Mastrostefano e dall’attore Marcello Amici.
“Giacomo Matteotti è una figura importante della storia italiana. E’ nostro dovere morale tutelare, custodire, ma soprattutto promuovere il ricordo di personaggi come Giacomo Matteotti, un socialista che ebbe il coraggio di contrastare il fascismo, pur avendo consapevolezza che ciò lo avrebbe portato alla sua condanna. Proprio l’Assemblea capitolina, qualche giorno fa, ha approvato una mozione a mia prima firma per promuovere iniziative e azioni per valorizzare la memoria e la testimonianza di Matteotti. Il suo discorso pronunciato alla Camera il 30 maggio 1924 è un testo che andrebbe letto e diffuso e, soprattutto, studiato nelle scuole”, afferma la presidente dell’Assemblea capitolina On.Svetlana Celli.
“Siamo convintamente antifascisti. E lo diciamo con voce alta soprattutto in questa particolare fase storica in cui rigurgiti di odio sembrano mettere in discussione le conquiste di libertà e di democrazia raggiunte con il sacrificio e il prezzo della vita di migliaia di donne e uomini. Ci rivolgiamo ai giovani per costruire una coscienza basata sulla conoscenza di personaggi che hanno contribuito all’Italia di oggi, fondata sui valori della Resistenza, della pace, della giustizia sociale, dell’uguaglianza, del rispetto dei diritti. Matteotti è diventato un riferimento per tutti coloro che lottarono per la liberazione e permisero poi al nostro Paese di diventare una Repubblica che mette al centro la Costituzione in cui tutti ci riconosciamo”, conclude l’On. Svetlana Celli.
Monteleone Sabino- Plinio Maior “TREBVLA MVTVESCA”
Arch. Carlo CUSIN:Monteleone Sabino ”Della terra dei Flavi,Plinio Maior scrisse : “Tra i Sabini vi sono i Tribulani che s’appellano Mutuesci.” Ieri ero proprio a “TREBVLA MVTVESCA”-Monteleone Sabino-La chiesa di S. Vittoria sorge su un bel terrazzamento panoramico ed è un didattico compendio di storie costruttive dal IV sec al basso Medioevo ed ho rivisto 2 sorprendenti siti legati alla storia del Console Manio Curio Dentato che.nel III sec aC,vinse e conquisto’ le terre di Sanniti,Galli Senoni e Sabini : l’anfiteatro e la chiesa di S. Vittoria. Il toponimo di Trebula Mutuesca deriva da “trabs”-trave,inteso come “casa” dei Mutuesci,in effetti,come Roma,Trebula M. sorse per sinecismo,riunendo i pagi rurali,sparsi sulle colline,con la romanizzazione del territorio,in un “Mvnicipivm” con terme,foro, anfiteatro e templi dedicati a divinità rurali arcaiche come Angitia e Feronia. L’anfiteatro è un grande ellisse di 94×66 mt,con vasti ambienti ipogei al servizio di munera e venationes,Traiano lo ricostrui’,come lo vediamo oggi,su un precedente edificio più piccolo,come scritto su 2 grandi epigrafi,in marmo lunense,visibili in sitv e nel locale museo archeologico. La chiesa di S. Vittoria sorge su un bel terrazzamento panoramico ed è un didattico compendio di storie costruttive dal IV sec al basso Medioevo,con una rara e composita planimetria asimmetrica,costruita con tanti elementi architettonici Romani di spoglio,come d’uso di un tempio pagano che qui sorgeva,una piccola catacomba,con riuso d’ambienti di cava,un pozzo con acqua “miracolosa”,già usata per i riti lustrali pagani,ed un alto campanile con un doppio ordine di bifore… “HISTORIA vero TESTIS temporvm, LVX veritas, VITA memoriae et MAGISTRA vitae !” La storia,in verità,è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria e maestra di vita ! Cicerone “De oratore”.
Le origini del nome sono incerte e sull’argomento sono state espresse varie ipotesi. La prima vede il leone come il simbolo dell’antica città romana sulle cui rovine è sorto: Trebula Mutuesca. Questo fornirebbe la spiegazione alla presenza di molte statue di pietra raffiguranti questo animale all’interno del paese, dalle quali avrebbe preso il nome[4].
Una seconda versione è quella che fa risalire il nome del paese alla famiglia Brancaleoni di Romania, che vi dominò dal 1344 fino alla metà del secolo successivo[5].
Un’altra ipotesi, attinta dalla tradizione popolare, vuole che il nome del paese si ricolleghi alla somiglianza che intercorre tra la fisionomia geografica che assume la collina (Monte) e il dorso longilineo del leone che aspetta argutamente la sua preda. Tale ipotesi, tuttavia, non dispone di fondamenta probative e testimonianze storiche documentate.
Storia
Il paese è di origine altomedievale[6], mentre sul suo territorio si trova l’antica città sabina di Trebula Mutuesca, luogo di importanti ritrovamenti di reperti.
Il Coro del Club Alpino Italiano di Rieti compie 30 anni
La formazione nasce nel 1994 in seno al Cai Rieti ,Club Alpino Italiano, con lo scopo principale di conservare e tramandare alle future generazioni il prezioso patrimonio di canti di montagna, popolari e degli alpini.
Questi canti, nati nei luoghi più disparati e che di quei luoghi narrano episodi ed eventi, raccontano anche di personaggi, di corteggiamenti e di amori, di tragedie e di guerre e diventano patrimonio comune proprio per quel comune sentire che, al di là di ogni frontiera, unisce.
In questo lungo cammino il Coro si è distinto anche per l’organizzazione e la partecipazione ad eventi e manifestazioni di particolare importanza che hanno dato lustro alla locale Sezione del Cai ed alla Città di Rieti . Solo per citarne alcuni: “Concerto di Natale delle Coralità di montagna” nell’Aula di Montecitorio nel dicembre 2010 insieme ad altri Cori provenienti da altre regioni d’Italia, partecipazione al programma Corale di TV2000 “La canzone di noi” nel novembre 2013, Concerto al Teatro Vespasiano “Sulle tracce
della Grande Guerra – Suoni e parole dalle trincee” per il centenario della fine della 1^ Guerra mondiale, nel novembre 2018, nel 2011, per la ricorrenza dei 150 anni dell’Unità D’Italia, il Coro ha avuto il prestigioso riconoscimento da parte del Comune di Rieti, con delibera del Consiglio Comunale, quale “Gruppo Corale di interesse Comunale”.
Superate le difficoltà della ripartenza del post covid, nel 2020 il Coro è riuscito a sopravvivere e a partecipare a due importanti eventi: realizzazione di un video per essere presenti il 21 giugno alla virtuale Festa della Musica su YouTube organizzata dalla Associazione Regionale Cori del Lazio e alla quale hanno partecipato oltre 70 Cori, esibizione ad Amatrice il 3 ottobre quale “cornice corale” all’importante convegno nazionale sul Sentiero Italia organizzato dal Cai centrale.
Il Coro ha raggiunto il prestigioso risultato di essere inserito nell’Albo dei Cori della Regione Lazio, con l’orgoglio di essere il primo e finora l’unico della provincia di Rieti. Il 2023 è iniziato con l’arrivo del nuovo Maestro Teresa Buono: pianoforte e studio del canto lirico presso i Conservatori di Musica “A. Casella” di L’Aquila e “Domenico Cimarosa” di Avellino ed esibizioni come solista ed in formazioni da camera.
Si è avvicinata alla coralità sotto la guida del Maestro Domenico Cieri cantando nel coro “L. Colacicchi”,proseguendo l’attività, poi, in altri cori romani e sabini. La tenacia, l’impegno e il senso di appartenenza dimostrato dagli attuali componenti, garantiranno la
continuità di questa importante e storica realtà canora, con la direzione del Maestro Teresa Buono, superando anche le difficoltà organizzative degli ultimi due anni.
A tutti gli appassionati del canto corale l’appello di venire al Coro, magari solo per un’audizione che potrebbe poi portare all’inserimento nell’organico.
TURANIA e Lago del Turano- (Rieti)- Brevi cenni storici-
TURANIA (Rieti)-Brevi cenni storici- Le prime notizie circa un paese chiamato “Petescia” risalgono all’890 e appartengono ad un documento che registra una donazione concessa all’Abbazia di Farfa. Il borgo, di origine preromane, deriva il suo antico nome da “ Pat-Aschi” che vuole dire , probabilmente, “Apertura della fiamma” mentre fu solo da 1950 che ebbe il nome di TURANIA in relazione al fiume omonimo che scorre nella zona. Fu feudo degli Orsini, dei Tagliacozzo, dei Muti e dal 1632, per quasi tre secoli, dei principi Borghese. Di particolare interessante è la chiesa parrocchiale di San Salvatore ricostruita completamente ne 1779. La chiesa di Santa Maria del Carmine, chiesa cinquecentesca, sorge nei pressi del centro abitato e vi si celebra solennemente il 16 luglio di ogni anno, la festa della Madonna del Carmine.
Posto a 536 m sul livello del mare lungo il corso del fiume Turano, il lago è lungo una decina di chilometri scarsi ed ha un perimetro di circa 36 km.
Il bacino è di origine artificiale: fu realizzato nel 1939, con la costruzione della diga del Turano nei pressi dell’abitato di Posticciola e di Stipes, allo scopo di produrre energia idroelettrica e di evitare che le piene del fiume inondassero la Piana di Rieti[2]. Il vicino lago del Salto, anch’esso artificiale, fu realizzato contemporaneamente; i due laghi sono collegati da una galleria sotterranea lunga 9 km e insieme alimentano la centrale idroelettrica di Cotilia (situata a Cittaducale), parte del nucleo idroelettrico di Terni di Enel Green Power, che rilascia poi le acque nel Velino a monte della città di Rieti.
Il lago si distende ai piedi del monte Navegna (1506 m), una riserva naturale coperta di boschi, ed è caratterizzato dalla presenza sulle sue rive di antichi paesi e castelli che si specchiano nelle limpide acque. A metà del lago si fronteggiano infatti, il primo su una penisola e l’altro su un cocuzzolo roccioso, i due centri abitati di Colle di Tora e di Castel di Tora, i cui nomi furono cambiati nel 1864 a ricordo dell’antica città sabina di Tora. Recente è la scoperta di una necropoli romana di età imperiale (200 d.C. circa) proprio nei pressi del paese di Castel di Tora[3]. Gli altri paesi che si affacciano sul lago sono Ascrea e Paganico Sabino.
Il Turano è stato utilizzato più volte come location cinematografica: il lago è infatti protagonista del film Il santo patrono (1972) di Bitto Albertini, dove recita Lucio Dalla nella parte del parroco Don Arcadio. Il film è stato girato per la maggior parte a Colle di Tora. L’antico borgo medievale di Antuni è stato invece protagonista del film Il cielo è vicino (1954) di Enrico Pratt.
Il lago del Turano è protagonista del videoclip di Petrolio[8], brano del rapper di XFactorCranio Randagio, e di alcune scene dei videoclip dei brani Ovunque tu sia[9] di Ultimo e de Il tuo amico di sempre[10] di Sergio Cammariere.
Sport
Nell’area del lago sono praticati, oltre a sport acquatici come vela, SUP, kayak, l’escursionismo-trekking grazie alla rete sentieristica della Riserva Naturale Regionale “Navegna-Cervia”, l’enduro, il ciclismo e dal 2017 alcuni piloti hanno iniziato a sorvolare il lago con il parapendio acrobatico.
-Spazi della Preghiera Spazi della Bellezza : Il Complesso Abbaziale di Santa Maria di Farfa
autrice Isabella Del
Descrizione:Un viaggio attraverso i secoli alla scoperta della meraviglia dell’Abbazia di Farfa, uno scrigno d’arte e di fede immerso in un affascinante ambiente naturale della Sabina che ha subito a partire dal VI secolo periodi di invasioni, devastazioni e, distruzioni ma che ha sempre avuto la forza e la capacità di rinascere. Il volume, grazie anche ad un ricco e suggestivo apparato iconografico documenta e racconta la storia della presenza monastica che ha saputo realizzare i tesori d’arte che ancora oggi si possono ammirare visitando il complesso Abbaziale di Santa Maria di Farfa e sfogliando le pagine della pubblicazione. Spazi della preghiera, spazi della bellezza. Il concetto di spazio richiama subito un luogo fisico, un’architettura destinata a funzioni di vita: gli spazi dell’abbazia di Farfa furono e tuttora sono i luoghi della vita dei monaci, luoghi in cui la regola benedettina scandisce le ore destinate alla preghiera e al lavoro. Ma sono anche i luoghi in cui risuona la bellezza dell’arte che a piene mani nel corso dei secoli ha arricchito la chiesa e il convento. Il volume fornisce una visione organica e aggiornata del ricco patrimonio storico, religioso e artistico di questo prezioso complesso monastico che, con i monasteri di Subiaco e Montecassino, costituisce la più valida testimonianza della presenza benedettina nel Lazio. I diversi capitoli nei quali è ripartita la monografia presentano i risultati di approfondimenti e riflessioni su argomenti a lungo dibattuti intorno alle problematiche architettoniche e artistiche poste dalle lunghe e complesse vicende storiche e costruttive del complesso abbaziale, ma propongono anche novità attributive e mettono in risalto aspetti fino ad ora poco indagati. La varietà e complessità dei saggi di questo volume riflette dunque la ricchezza di riferimenti culturali che caratterizza il patrimonio artistico del complesso abbaziale di Farfa. Non sono mancate in passato indagini approfondite su singoli temi di particolare complessità: gli scavi e i restauri che hanno interessato l’abbazia nell’ultimo sessantennio riportando alla luce frammenti murali, musivi, pittorici di epoca alto medievale, hanno suscitato vivaci dibattiti fra gli studiosi, che si riverberano nei saggi di questo volume dedicati alle testimonianze architettoniche e decorative dell’abbazia in epoca medievale. Da sottolineare, infine, il testo introduttivo di carattere storico che illustra le realtà sociali, economiche, culturali, che resero l’Abbazia benedettina di Farfa un punto di riferimento religioso ma anche una potenza economica capace di aggregare la popolazione rurale e di avviare una solida attività economica e commerciale.
Anno Edizione:
2016
Casa Editrice:
Palombi Editori – Roma
Argomento:
Beni culturali, restauro e tutela del patrimonio culturale
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