Nacque a Roma da Augusto e da Angela Zeri nel 1884. Il cognome rivela le origini castigliane della famiglia: discendeva infatti da Juliano Muñoz, ufficiale in servizio presso l’ambasciata di Spagna che nel Settecento si era definitivamente stabilito nell’Urbe sposando una donna romana[1].
Frequentò l’Università di Roma dove ne uscì nel 1906 laureato in lettere. Seguì quindi un corso di perfezionamento in storia dell’arte tenuto da Adolfo Venturi. Durante gli studi accademici aveva trascorso un periodo a Parigi per seguire alcuni corsi dell’Académie des beaux-arts; nello stesso periodo visitò il Medio Oriente, l’Austria e la Russia e, a partire dal 1903, cominciò a pubblicare articoli per la rivista L’Arte[1].
Il 21 aprile 1930 inaugurò il Museo di Roma, di cui fu anche il primo direttore. Il museo era allora ubicato nella vecchia sede del Pastificio Pantanella, in piazza della Bocca della Verità, nel 1952 venne poi trasferito nella sede attuale di Palazzo Braschi, in piazza San Pantaleo.[8]
Scrisse, fin da giovane, numerosi articoli e volumi di storia dell’arte e archeologia. Tra le sue opere troviamo anche raccolte di poesie e poemetti romaneschi[9] ed un divertente e singolare Sinonimi del dialetto romanesco. Novanta modi per dire imbecille, pubblicato nel 1947.[10]
Nel 1936 fondò la rivista L’Urbe, Rivista Romana di storia, arte, lettere, costumanze, bimestrale edito dai Fratelli Palombi, e la diresse per circa un ventennio. Alla rivista collaborarono, nel corso del tempo, alcuni tra i maggiori romanisti[11] tra i quali Ceccarius.
Morì nel 1960, a settantacinque anni, nella città natale. Il comune di Roma, nel 1971, ha intitolato al suo nome una via di Ostia Antica (Zona XXXV, Municipio XIII).[12]
Opere (elenco parziale)
I codici greci miniati delle minori biblioteche di Roma, Firenze, Alfani e Venturi, 1905
Iconografia della Madonna: studio delle rappresentazioni della Vergine nei monumenti artistici d’Oriente e d’Occidente, Firenze, Alfani e Venturi, 1905
Monumenti d’arte medioevale e moderna, Pubblicazione a fascicoli, Roma, Danesi, 1906
La Galleria Borghese in Roma, Roma, W. Modes, 1909
Studi d’arte medievale, Roma, Modes, 1909
Basilica di S. Pietro, Collezione Monumenti d’Italia, Roma, Garzoni Provenzani, 1910
Il restauro della chiesa e del chiostro dei ss. Quattro Coronati, Roma, Ed. Danesi, 1914
Elogio del Borromini, Roma, Stab. tip. E. Armani, 1918
La basilica di Santa Sabina in Roma: descrizione storico-artistica dopo i recenti restauri, Milano, Alfieri e Lacroix, 1919
Roma barocca, Roma-Milano, Casa editrice d’arte Bestetti e Tumminelli, 1919
G. B. Piranesi, Roma-Milano, Casa editrice d’arte Bestetti e Tumminelli, 1920
Roma di Dante, Roma-Milano, Casa editrice d’arte Bestetti e Tumminelli, 1921
S. Pietro in Vaticano, Collezione Le chiese di Roma illustrate, Roma, Casa ed. Roma, 1924
Campidoglio, Roma, Stab. Tip. Arte della stampa, 1930
Il Museo di Roma, Roma, Governatorato di Roma, 1930
Via dei monti e via del mare, Roma, Biblioteca d’arte, 1932
La via del Circo Massimo, Roma, Tumminelli, 1934
Roma di Mussolini, Milano, Treves, 1935
Architettura gotica: appunti di storia dell’arte medioevale, Roma, Gruppo dei fasci dell’Urbe, 1937
Il restauro della Basilica di Santa Sabina, Roma, Palombi, 1938
Roma medioevale, Roma, Edizioni Italiane, 1939
Rembrandt, Collezione I grandi pittori, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1941
Van Dyck, Collezione I grandi pittori, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1941
Velazquez, Collezione I grandi pittori, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1942
L’isolamento del colle capitolino, Roma, Arti graf. fratelli Palombi, 1943
La basilica di S. Lorenzo fuori le mura, Roma, Palombi, 1944
Domenico Fontana architetto (1543-1607), Bellinzona, Ist. Edit. Ticinese, 1944
Figure romane, Roma, A. Staderini, 1944
D’Annunzio a Roma (Muñoz ed altri), Roma, Palombi, 1955
personale dell’Artista Alfredo Di Bacco “Il paradosso della realtà”
Pescara, 2 ottobre 2024–Al Museo delle Genti d’Abruzzo le tele che Alfredo Di Bacco Figure che esaltano l’interiorità, portando a galla i sentimenti più profondi, fondendoli con la realtà e acquisendo un senso nuovo. Sono trentatré le tele che Alfredo Di Bacco propone nella personaleche venerdì prossimo, 4 ottobre, sarà inaugurata alle 17,30 nello Spazio Arte del Museo delle Genti d’Abruzzo in via delle Caserme a Pescara. Un percorso che rappresenta la silloge della produzione dell’artista negli ultimi dieci anni. Raffinato ed elegante nel tratto e nei cromatismi, Di Bacco è espressione di una cultura che affonda le sue radici negli ultimi trent’anni del Novecento e si evolve costantemente assorbendo le dinamiche del presente e restituendole animate da una percettibileprospettiva futura. “Di Bacco, infatti – scrive nelle note il curatore della mostra Andrea Viozzi – dimostra di possedere un’ampia conoscenza delle afflizioni della società moderna, dei suoi malesseri e dei suoi paradossi, e una vasta gamma iconografica da cui trarre spunto per le sue tele, dove la duplice figura MI rappresenta il nostro dual, il nostro opposto, dove la realtà appare come un gioco illusorio che si frammenta in maniera articolata, la cui lettura è spesso mascherata e di non facile interpretazione,perché non esiste un’unica verità e non esiste più una sola coscienza, ma più coscienze.
Come molti pittori del nostro tempo egli ha ben chiaro che non esiste più l’opera d’arte nella sua autonomia e indipendenza ma solo se viene posta al centro di un dibattito sociale. Ha dato vita ad un lungo lavoro di scavo e di evoluzione tecnica che lo hanno spinto non solo a dipingere per rappresentare una realtà in cui forma e colore, ritmo e volume, disegno e gesto hanno riacquisito una loro precisa identità, ma per esplorare e comunicare concetti complessi”.
La mostra “Il paradosso della realtà” resterà aperta fino al 13 ottobre.
Informazioni
Il Museo delle genti d’Abruzzo è un museo di Pescara.
Il Museo traccia la storia dell’uomo in Abruzzo dal suo primo apparire come cacciatore paleoloitico. Sottolinea il contributo offerto dalle 9 tribù italiche d’Abruzzo e Molise all’affermazione di Roma, tanto da dare il nome di Italia a tutta la penisola. Con una rapida sintesi evidenzia quanto di questo passato si sia tramandato sino a noi in termini di costumi, credenze, luoghi di culto, produzioni, oggetti, forme. Tema centrale del Museo, articolato in 16 grandi sale espositive, è il concetto di continuità, di perduranza culturale, illustrata attraverso un allestimento museografico coinvolgente, dotato di postazioni multimediali e di un sistema digitale di audioguide in più lingue, che lo rendono uno fra i più originali e innovativi in Italia nel campo antropologico. Il Museo delle Genti d’Abruzzo si trova nel centro storico di Pescara, all’interno dell’antico edificio delle caserme Borboniche. Il piano dov’è ospitata la collezione permanente fu costruito come caserma nel Settecento, sul seminterrato che apparteneva alla cinquecentesca Fortezza di Pescara.
Informazioni
Il Museo delle genti d’Abruzzo è un museo di Pescara.
A Roma la galleria d’Arte Contemporanea di Francesca Antonini festeggia 60 anni.
L’evento a Palazzo delle Esposizioni
Articolo di Valentina Muzi per Artribune-Un traguardo importante che il polo espositivo romano ha deciso di celebrare organizzando un incontro con curatori, collezionisti e artisti che hanno contribuito al successo della storica galleria Maggiormente orientata verso la giovane arte emergente e i linguaggi sperimentali, la galleria d’arte Francesca Antonini si racconta, a sessant’anni dalla sua fondazione, tra aneddoti, testimonianze e racconti a Palazzo delle Esposizioni, oggi 2 ottobre 2024, in compagnia di collezionisti, curatori e artisti che hanno segnato la carriera della galleria.
La galleria Francesca Antonini Arte Contemporanea a Roma: la storia
Fondata da Angelica Savinio, figlia del grande artista Alberto Savinio, nel 1964 sotto il nome di Il Segno, la galleria d’arte contemporanea di Via di Capo le Case a Roma ha avviato un importante percorso di collaborazioni con alcuni dei maggiori artisti internazionali dell’epoca. Andy Warhol, Robert Rauschenberg, Alberto Burri, Fausto Melotti e Lucio Fontana sono solo alcuni degli artisti che hanno contribuito al successo della galleria, rendendola una delle realtà protagoniste del panorama culturale italiano.
Da “Il Segno” a “Francesca Antonini Arte Contemporanea”
Nel 2014, in concomitanza con il cinquantesimo anniversario della fondazione, la galleria cambia il proprio nome in Francesca Antonini Arte Contemporanea, marcando l’avvio di un nuovo percorso espositivo e il rinnovamento del proprio ambito di ricerca, con la scelta di concentrarsi sulla giovane arte italiana, seguendo artisti come Guglielmo Castelli, Simone Cametti, Marco Eusepi e Francesco Casati, per citarne solo alcuni.
I festeggiamenti a Palazzo delle Esposizioni a Roma
Per celebrare il sessantesimo compleanno della galleria d’arte romana, Palazzo delle Esposizioni ospiterà un incontro il 2 ottobre 2024 alle ore 17 invitando curatori, collezionisti e artisti che hanno contribuito al successo della storica galleria, raccontando ricordi e aneddoti personali. Tra i partecipanti ricordiamo il collezionista Franco Bernabé, gli Gregorio Botta e Simone Cametti, i curatori Ludovico Pratesi e Paola Ugolini e molti altri ancora.
Valentina Muzi (Roma, 1991)è diplomata in lingue presso il liceo G.V. Catullo, matura esperienze all’estero e si specializza in lingua francese e spagnola con corsi di approfondimento DELF e DELE. La passione per l’arte l’ha portata a iscriversi alla Facoltà di Studi Storico-Artistici dell’Università di Roma La Sapienza, laureandosi in Storia dell’Arte Contemporanea e svolgendo il tirocinio formativo presso il MLAC – Museo e Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Ateneo, parallelamente ha frequentato un Executive Master in Management dei Beni Culturali presso la Business School del Sole24Ore di Roma. Dal 2016 svolge attività di PR, traduzione di cataloghi, stesura di testi critici e curatela indipendente. Dal 2017 svolge l’attività di giornalista di taglio critico e finanziario per riviste di settore. Attualmente è membro del Board Strategico presso l’Associazione culturale Arteprima noprofit, nella stessa ha svolto il ruolo di Social Media Manager ed è Responsabile organizzativa della piattaforma Arteprima Academy.
Fonte-Artribuneè la più ampia e diffusa redazione culturale del Paese (conta 250 collaboratori in tutto il mondo) e il più seguito strumento d’informazione, aggiornamento e approfondimento in Italia sui temi dell’arte, della cultura e su tutto ciò che vi ruota attorno.
Edita da Artribune srl, presieduta da Paolo Cuccia (anche presidente del Gambero Rosso), Artribune è la più ampia e diffusa redazione culturale del Paese (conta 250 collaboratori in tutto il mondo) e il più seguito strumento d’informazione, aggiornamento e approfondimento in Italia sui temi dell’arte, della cultura e su tutto ciò che vi ruota attorno: comunicazione, creatività, politica e politiche culturali, editoria, mass media, pubblicità, nuove tecnologie, architettura e urbanistica, design, cinema, musica, teatro, filosofia, letteratura, eccetera.
Non solo web magazine, ma anche free press, grazie a una rivista cartacea gratuita stampata in 55mila copie e distribuita in tutta Italia.
Storia dei resoconti del 25 aprile di quell’anno nella stampa quotidiana.
Roma,La Storia del 25 aprile – Anche se già dal 1947 il 25 aprile era stato proclamato Festa nazionale, è solo nel 1950 che per la prima volta l’anniversario viene celebrato con una cerimonia ufficiale ed unitaria, come ci dice il manifesto affisso a cura del Comitato organizzatore:
“Aderendo all’invito di tutte le forze della resistenza, sotto gli auspici del Parlamento, le rappresentanze del Senato e della Camera e del Governo, le formazioni volontarie della lotta per la Liberazione, le Direzioni dei partiti che parteciparono alla riscossa, le organizzazioni dei combattenti e dei mutilati hanno deciso di celebrare con una solenne unica cerimonia in Roma la data del 25 aprile.”
Il significato della celebrazione unitaria, che trova insieme schierati autorità e popolo, è evidente.
A cinque anni di distanza dall’evento che è certamente tra i più grandi e decisivi della nostra storia, gli italiani non ingrati e non immemori desiderano elevare in concordia il loro pensiero di reverenda gratitudine alla memoria dei Martiri, dei Morti gloriosi, dei partigiani della libertà. Ma ora e al disopra del rito commemorativo, l’Italia rinnovata intende riaffermare la perenne validità del patrimonio ideale che si identifica nel movimento della Resistenza.
La Resistenza si riallaccia con i suoi valori etici e politici ai moti del nostro Risorgimento; lo completa attraverso la sempre maggiore partecipazione attiva e consapevole fatta di sacrifici e di sangue del popolo ai destini della Patria.
La celebrazione del 25 aprile nella unità degli animi e degli intenti di tutte le forze vive che vi parteciparono ha pertanto un valore di altissimo insegnamento. Per tutti gli italiani il patrimonio ideale della Resistenza è sacro e inattaccabile. Appartiene indissolubilmente – ora e sempre – alla storia del nostro Paese.”
1)
Prima del 1950
Negli anni precedenti diverse manifestazioni erano state organizzate da associazioni, prima fra tutte l’Anpi, e da partiti, né erano mancate alcune iniziative del Governo. Così il 25 aprile 1946 il Ministro Gasparotto aveva pubblicato una relazione nella quale forniva i dati del contributo italiano alla Liberazione: l’esercito italiano il 1 gennaio 1946 aveva una forza di 385.156 uomini, secondo le aliquote fissate dagli alleati; le perdite furono di 128.506 morti; 29.398 furono i feriti.
2)
Nello stesso anno il Luogotenente generale del Regno, Umberto II di Savoia, aveva diretto un proclama alle Forze Armate ed aveva concesso medaglie d’oro al valor militare a partigiani e a famiglie di caduti, come farà anche l’anno successivo.
Alle manifestazioni in genere avevano partecipato autorità civili e militari, a volte lo stesso Primo ministro. Di solito si era trattato di Messe di suffragio, deposizione di corone d’alloro o di fiori, comizi. Al pomeriggio si erano aggiunte esibizioni di bande, feste, balli, pesche di beneficenza, la gara ciclistica “Gran Premio della Liberazione” sul circuito della Passeggiata Archeologica, che continuerà per alcuni anni, competizioni pugilistiche, proiezione di film e trattenimenti vari.
Nel 1946 “l’Unità” scrive: “Durante tutto il pomeriggio e la sera […] a Campo dei Fiori, a piazza Borghese, a piazza Testaccio, a piazza Ragusa, a Via Alberto da Giussano, a Porta Cavalleggeri, a Monte Sacro, sui vecchi selciati del centro, nei lontani quartieri della periferia i festoni e le stelle luminose issate su improvvisati spacci di bibite e vino si agitavano nel vento della sera.
I padri, le madri, i giovani, i bambini, le ragazze, gli uomini semplici si muovevano tra la musica che suonava per loro, liberi e felici nelle strade percorse ogni mattina per recarsi al lavoro. Due anni fa per quelle strade gli invasori e i nemici del popolo circolavano nelle
automobili mimetizzate. Due anni fa a giugno per quelle strade e per quelle piazze il popolo passò esterrefatto e delirante per la Liberazione.
[…] Quando il popolo balla nelle strade e nelle piazze, sotto il cielo, vicino alle sue case è un brutto giorno per tutti i suoi nemici. Quei balli e quei canti significano forza, perché sono espressione di amore, di solidarietà e di fratellanza.
Il popolo italiano ha ritrovato la solidarietà e la fratellanza combattendo e distruggendo il fascismo suo nemico. Ogni anno come quest’anno il popolo romano ricorderà quell’impresa, ritroverà il senso della sua forza e del suo amore ballando per le strade.”
3 )
Anche la Rai nel 1947 aveva trasmesso un programma di canti partigiani.
Numerosi erano stati anche i proclami e gli appelli pubblicati per il 25 aprile. Tra questi merita di essere ricordato quello che, nel 1949, l’Alleanza femminile ha diretto alle donne del Fronte, appello nel quale si dice:
“Nel giorno che ricorda la Liberazione del nostro Paese e la grandiosa epopea della lotta partigiana inviamo il nostro saluto a voi tutte, donne d’Italia, che avete or ora sostenuta una così dura battaglia per la democrazia, non come allora, aperta e leale, contro un nemico ben individuato, ma una battaglia sorda contro le calunnie e le perfidie e le insidie di coloro che non conoscono lotta onesta e sincerità d’intenti”
4)
L’appello si conclude con l’invito alle donne a restare unite con chi difende i valori della libertà, del lavoro, della pace.
Solo nel 1948 le manifestazioni erano state vietate. Quell’anno la lotta per le elezioni politiche era stata durissima. La Democrazia Cristiana aveva mobilitato tutte le sue forze, in primo luogo i parroci, contro il pericolo rosso; padre Lombardi, “il microfono di Dio”, tuonava dalla Rai; agli operai si ricordava che Nel segreto della cabina Dio ti vede, Stalin no. Gli animi erano esasperati e i disordini non erano e non sarebbero mancati. La Dc aveva vinto, ma i timori non erano placati e le manifestazioni, anche quelle per il 25 aprile, erano state vietate.
“L’Unità”, commentando il provvedimento, deplora il ministro Scelba che “ha assurdamente esteso anche alle manifestazioni indette per ricordare questa data solenne della storia d’Italia il provvedimento che vieta di tenere fino a nuove disposizioni manifestazioni e riunioni pubbliche. A tutti i prefetti ha diramato disposizioni in tal senso. Solo alla Dc il ministro Scelba, quest’uomo la cui faziosità si accentua ogni giorno che passa, consente di tenere comizi e cortei per le città d’Italia. E proprio in occasione del 25 aprile vien data notizia di manifestazioni che i democristiani – essi soli – si apprestano a tenere a Firenze con la partecipazione dei loro leaders politici per dare anche a questa giornata un carattere di parte.
Tuttavia il ministro Scelba si illude se pensa di poter impedire, con un suo decreto, che i lavoratori e i partigiani rievochino degnamente la lotta antifascista, che i caduti abbiano i loro fiori, che in tutte le città d’Italia i partigiani rivivano il 25 aprile col loro vecchio, genuino entusiasmo e che con essi tutta la popolazione democratica lo riviva.”
5)
Il 25, in realtà, la ricorrenza fu ricordata quasi ovunque. A Milano, però, si registrarono scontri e ferimenti.
Quanto ai temi trattati, nel corso degli anni essi si sono strettamente connessi agli avvenimenti in corso. Così, ad esempio, nel 1949, e negli anni immediatamente successivi, la celebrazione per la sinistra è legata alla propaganda per i Comitati per la pace che si oppongono ai blocchi militari, “bellicisti”, ed in particolare all’ingresso dell’Italia nella Nato, appena costituita. Si ricordano perciò innanzi tutto i 72.000 morti, le centinaia di migliaia di feriti, i 40.000 mutilati.
Un appello in tal senso è anche indirizzato dall’Udi alle donne perché rinnovino il giuramento di lottare per gli ideali che animarono la guerra di Liberazione:
«Mentre si minaccia il nostro Paese con patti bellici ricordiamo e facciamo ricordare a chi non vuole, che il nostro popolo avrebbe perduto l’indipendenza e la libertà se le eroiche armate partigiane non avessero riscattato, con l’onore, anche il diritto ad un maggior rispetto da parte dei vincitori: salutiamo nei partigiani d’Italia i primi ed i più degni difensori della pace del nostro Paese.»
6)
La prima celebrazione unitaria
Quando nel 1950 si decide la manifestazione ufficiale, fanno parte del Comitato che la organizza i Presidenti del Senato e della Camera, Bonomi e Gronchi, il Presidente del Consiglio De Gasperi, il primo Presidente della Repubblica De Nicola, gli ex Presidenti del Consiglio Orlando e Nitti, il senatore Croce, i membri del Cln dell’Italia centro- meridionale Casati, Lussu, Nenni, Reale e Scoccimarro, i membri del Cln dell’Alta Italia Marasca, Merzagora, Morandi e Pertini, i comandanti del Corpo Volontari della Libertà Parri, Longo e Cadorna, i segretari dei Partiti che parteciparono alla Resistenza Togliatti, Mondolfo, Reale, Saragat, Gonella e Villabruna, i Presidenti dell’ANPI, dell’Acnr e dell’Anmi Boldrini, Viola e Ricci, i dirigenti della Resistenza e i deputati e senatori Amendola, Bauer, Bergamini, Brosio, Calamandrei, Carandini, Cevalotto, Cianca, Della Torretta, Fancello, Gasparotto, La Malfa, Lombardi, Mattei, Molè, Ponti, Porzio, Quarella, Romita e Taviani e i dirigenti delle associazioni combattentistiche di Roma Bruno, Cirenei e Garzoni.
Per la ricorrenza, l’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di guerra, l’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci e l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia hanno rivolto a tutti gli italiani il seguente messaggio:
“ITALIANI: ex partigiani, ex combattenti di tutte le guerre!
Ritorna con l’aprile l’anniversario del nostro riscatto.
Misconoscimenti ed oltraggi, che già seguirono al Primo Risorgimento, non possono né potranno mai diminuire la grandezza popolare e nazionale del Secondo Risorgimento d’Italia.
Da Cefalonia, da Napoli delle ‘quattro giornate’, dai campi di concentramento e dalle camere di tortura, dalle Fosse Ardeatine come da Marzabotto e da Vinca, dai paesi montani non piegati dalle rappresaglie, dalle città insorte e liberate parecchi giorni prima che arrivassero gli Alleati, dalle fabbriche e dai porti salvati, ritornano a noi in un vento di epopea i 72.500 Caduti per la Libertà. Essi ci ammoniscono, e ammoniscono il mondo, a ricordare la tragica esperienza della guerra e del fascismo, e l’eroica prova di capacità data dal popolo italiano risollevando dalla catastrofe la bandiera della Patria.
L’esempio che danno le Associazioni dei Combattenti e reduci, dei Mutilati e Invalidi di guerra e Anpi nel celebrare insieme il 25 aprile, come una delle grandi date patriottiche in cui si esaltano gli ideali comuni di libertà, di indipendenza e di pace, sia seguito dall’intera Nazione.
Erano di tutte le regioni d’Italia e di tutti i ceti i Martiri della Resistenza. Ed è stata la loro unità e l’unità attorno ad essi di tutto il popolo che ha salvato allora l’Italia.
Nella difficile situazione attuale sappia l’Italia trarre dall’anniversario della Liberazione motivo di concordia e di fierezza nazionale, luce per un avvenire di pace e di progresso, insegnamento generoso per le giovani generazioni.
Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra – Associazione Nazionale Combattenti e Reduci – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.”
7)
I commenti sui mezzi di informazione
Il richiamo al Risorgimento e la definizione della Resistenza come secondo Risorgimento e completamento del primo erano già stati molto frequenti negli anni precedenti e ritornano nel 1950. Anche l’articolo di Mario Vinciguerra sul “Messaggero” del 25 aprile accosta Resistenza e Risorgimento e considera la situazione dell’Italia nei due momenti. Ma la situazione d’oggi, egli dice, “è certo assai più difficile di quella degli anni che seguirono immediatamente le guerre d’indipendenza e che pure appariva così fosca ai patrioti di allora. Per essi il terreno della patria comune era più facile a ritrovare ed un’atmosfera di più elevata moralità permetteva cavalleresche rinunzie che oggi purtroppo appaiono inconcepibili. […] quello che rattrista e dà giustificate ragioni di preoccupazione è che in mezzo all’elemento fattivo del mondo politico non siano stati superati lo spirito e la pratica di parte. […] guardando la situazione quale è non m’illudo che la celebrazione di oggi riuscirà a portare una parte non trascurabile di italiani su un fondamentale piano di intesa nazionale. Si può dire che essa è ancora una truppa accampata e con le armi al piede. Non voglio discutere le ragioni e anche gli ideali per i quali essa intende combattere ancora. Non sono i miei; ma li comprendo. Però sul
terreno politico bisogna regolare le proprie azioni non su disquisizioni dottrinarie, sibbene sui risultati derivanti dal formarsi o dal rompersi di un certo equilibrio di forze.
L’intesa coi partiti rivoluzionari – malgrado l’intima contraddizione – sarebbe stata ancora possibile, se essi l’avessero voluta mantenere quale fu al tempo della Resistenza. Perché fosse mantenuta, era necessaria una garanzia di pace interna e di sicurezza nazionale. Questo non è stato possibile perché la contraddizione era troppo forte. In verità si tacque di fronte al tremendo pericolo comune; ma quando si cominciò a parlare, ci si accorse che mai come questa volta si parlavano due linguaggi, Per essi la Resistenza significava la difesa della rivoluzione; per noi significò e significherà sempre la difesa della Patria.”
Non molto diverso è il tono delle parole dell’on. Taviani a Genova, dove ricorda il pericolo del bolscevismo e l’impossibilità di schierarsi con i comunisti che hanno dimostrato “di essere altrettanto totalitari e altrettanto pericolosi dei nazisti.”
9)
Nell’editoriale del “Giornale d’Italia” del 26 aprile si dice: “Nello spirito del Risorgimento […] oggi si celebra più che la Liberazione dai tedeschi la caduta di una dittatura e la fine di una guerra infausta che trovò gli italiani divisi e avversi, si celebra […] il ripristino del reggimento democratico nell’aureola splendente della santa Libertà. […] oggi alcuni partiti intendono distinguere, travisare, sopraffare, nel chiaro intento di conquistare posizioni di privilegio che contrastano non solo con lo spirito di quella unione, ma con la volontà liberamente espressa dal popolo in libere elezioni. […] mettere la Resistenza a servizio di un partito che si dice democratico, anche se aggiunge progressivo, quando è notorio che si tratta di una dittatura che tiranneggia le stesse classi sulle quali si regge, è un errore grossolano nel quale solo gli ingenui in buona fede e i falliti in cerca di una favola di salvezza possono cadere.”
10)
Anche il Pci fa riferimento al Risorgimento, ma con toni assai diversi, perché come aveva detto Secchia nel 1946: “i combattenti del nostro Risorgimento non hanno impugnato le armi per essere considerati, dopo un anno appena, dei briganti, per essere messi da parte come lo fu già Garibaldi dopo il 1860, a Caprera. La loro opera non è finita. I partigiani, i patrioti, tutti gli italiani insorti contro la barbarie tedesca e fascista hanno combattuto non solo per liberare l’Italia dalle orde teutoniche, ma per ripulirla dal marciume fascista, per liberarla dall’istituto monarchico causa di tante rovine, per fare dello Stato italiano una repubblica democratica e progressiva.
Il 25 aprile 1945 ha aperto la strada al 2 giugno 1946. Due date, un solo obiettivo: Repubblica, Pace, Lavoro.”
11)
Costante del resto è il richiamo alla pace e alla concordia da parte delle forze di centro e di destra, mentre la sinistra tende a porre l’accento sempre più spesso sulle speranze e gli ideali traditi. Nell’articolo di Arturo Colombi su “l’Unità” del 25 aprile 1950 si dice: “Il ricordo dei nostri morti, delle battaglie combattute in unità d’intenti, delle ansie e delle speranza comuni a tutti coloro che avevano scelto un’altra via che non fosse quella del fascismo e della guerra, è più che mai necessario oggi che taluni uomini e partiti, i quali pur combatterono, in un modo o nell’altro, a fianco della classe operaia e della sua avanguardia comunista e socialista, hanno abbandonato e tradito gli ideali della Resistenza e perseguitano i migliori combattenti della libertà e fanno causa comune con i ceti che costituirono la base e furono i profittatori della dittatura mussoliniana […]. Mentre il paese si apprestava a celebrare la data gloriosa di Aprile ed era lecito attendersi da chi dirige il governo una parola ispirata all’unità e alla concordia del popolo, abbiamo udito invece nuove parole di odio contro i partiti popolari ed espressioni invece di invitante rammarico verso i fascisti. […] come potrebbero gli italiani non essere angosciati dallo spettro della guerra, quando il governo è legato mani e piedi ai forsennati guerrafondai d’oltre oceano e sbarcano sul nostro suolo le armi di quegli imperialisti che non esitano a provocare incidenti di frontiera a diecimila chilometri dal loro territorio?
Non si ricostruisce il Paese asservendolo all’imperialismo del dollaro, né vi può essere ripresa economica, nella pace e nella libertà, finché si conta solo sulle elemosine interessate dello straniero e quando si perseguitano la classe operaia, i lavoratori e i partigiani, proprio perché essi sono rimasti fedeli agli ideali di rinnovamento sociale, di libertà e di pace che animarono la Resistenza.
Per ricostruire e rinnovare l’Italia non occorre tanto l’aiuto americano e ancor meno quello dei rigurgiti fascisti. Occorre aver fiducia nelle virtù del nostro popolo […].
Come negli anni della guerra di Liberazione, così oggi noi abbiamo fiducia nel nostro popolo, è nel nostro popolo e nella sua unità antifascista che noi dobbiamo ricercare le forze e i mezzi per risorgere come popolo libero che costruisce il suo avvenire, che assicura il lavoro e il pane a tutti i suoi figli per risorgere come nazione grande, pacifica e rispettata nel mondo.
Il convegno su Resistenza e cultura
Ci sembra che questo sia lo spirito nel quale si realizza quell’unità antifascista, la quale ha trovato in questi giorni una espressione così alta al Convegno sulla Resistenza e sulla Cultura.”
12)
Questo Convegno, organizzato a Venezia, al quale hanno partecipato numerosi ed importanti intellettuali, si conclude con l’approvazione della seguente, importante mozione:
“Il Convegno ‘La Resistenza e la Cultura italiana’ tenutosi a Venezia i giorni 22, 23 e 24 aprile 1950, nella diversità e varietà di origini e di idee dei convenuti, dichiara che le sofferenze ed il martirio di tutto il popolo, nei lunghi anni della dominazione fascista e nazista, la lotta e la Liberazione che la cultura italiana, nello spirito delle sue tradizioni, suscitò e condusse con tutti gli italiani contro la tirannide fascista e per la Liberazione del Paese, sono patrimonio comune ed intangibile di tutta la nazione. Denuncia la insidia e la protervia delle forze ostili alle libertà nazionali che, male interpretando come debolezza il generoso sforzo di riconciliazione della democrazia, si riorganizzano nella sistematica denigrazione di ogni aspetto e fase della lotta per la libertà, in una azione consapevole volta a rendere inoperante la Costituzione, giovandosi dell’appoggio di elementi dirigenti fascisti reintegrati nell’apparato statale, nella scuola, nella stampa e tra l’inerte disinteresse dei pubblici poteri.
E richiama l’attenzione del Paese sui pericoli interni e internazionali del rifiorire delle forze che condussero l’Italia alla catastrofe.
Ricorda agli immemori che, se un Italia democratica e pacifica può oggi rivendicare il diritto dell’unità e dell’integrità nazionale, questo si deve al sacrificio dei partigiani e dell’esercito di Liberazione. Impegna tutte le forze della cultura e della politica democratica italiana a fermamente difendere i perenni valori di libertà politica, civile, religiosa, intellettuale che ispirò la lotta di Liberazione in Italia e nel mondo.”
13)
Il giorno della Liberazione vengono lanciato vari messaggi: il sindaco di Trieste, ing. Gianni Bartoli, indirizza un messaggio a tutti i sindaci d’Italia; la Federazione Italiana Volontari per la Libertà esorta la nazione a difendere i valori della libertà e della pace contro ogni nostalgico tentativo di ritorno o di sovversione.
Il messaggio dell’Anpi è invece diretto alle Forze Armate e dice:
“Nel quinto anniversario della Liberazione salutiamo fraternamente gli Ufficiali ed i Soldati delle Forze armate alla cui storia gloriosa la vittoria del 25 aprile appartiene. Gloria ai reparti di tutte le Armi che l’8 settembre in Italia e all’estero, trovandosi nella tragica situazione di cui non essi, ma il fascismo era responsabile, seppero resistere a Roma come a Cefalonia, a Torino come nei Balcani, e per il riscatto d’Italia trasformarsi in partigiani. Onore agli Ufficiali e Soldati dell’eroico Corpo Italiano di Liberazione. E onore al popolo italiano che prendendo la iniziativa della guerra partigiana e costituendo il Corpo Volontari della Libertà, ha voluto ridare all’Italia e al suo Esercito indipendenza e dignità. La vittoria conquistata insieme ha permesso all’Italia di risorgere, ha acceso nel cuore dei suoi figli una nuova speranza.
Col nostro saluto, esprimiamo l’augurio che sia messa a frutto nelle Forze Armate della Repubblica, l’eredità preziosa della Resistenza e che sia rafforzata l’unione delle Forze Armate con gli ex partigiani, gli ex combattenti di ogni guerra e tutto il popolo per garantire insieme che la nostra Patria viva e prosperi nella pace, sia libera e indipendente come l’abbiamo voluta noi combattenti, come l’hanno sognata i nostri Morti, come la Costituzione dichiara.
Evviva il 25 aprile!
Evviva le Forze Armate della Repubblica!
Evviva l’Italia
L’Esecutivo dell’Anpi”
14)
La Camera del lavoro ha inviato all’Anpi un saluto e l’auspicio della intensificazione della lotta per l’affermazione dei valori della Costituzione e della pace contro ogni tentativo di riportare il Paese al fascismo e alla guerra.
Il messaggio del Presidente della Repubblica
Infine il messaggio che il Presidente della Repubblica ha diretto al Comitato organizzatore dice:
“Nell’alta parola che le forze della Resistenza hanno dedicato al 25 aprile il Paese riconosce i sentimenti onde la sua anima è commossa al ricorrere di questa data. Per ogni italiano è soprattutto motivo di compiacimento il carattere unitario del richiamo a quei comuni ideali che, nel solco della gloriosa tradizione del Risorgimento, il nostro popolo ancora una volta volle e seppe tradurre in momenti segnati da martirii e sacrifici. Nella fedeltà di ognuno a quegli ideali, nel sapere in essi ritrovarsi di quanti li servirono e nel perpetuarsi in ogni cuore della memoria di coloro che ad essi fecero olocausto della vita, la Patria risorta ravvisa l’auspicio di un migliore avvenire garantito dal costante rafforzamento delle sue istituzioni democratiche e dalla perenne incolumità da ogni tirannide.”
15)
La cerimonia ufficiale, che viene trasmessa per radio, si tiene la mattina del 25 al Teatro Adriano, dove sono presenti i rappresentanti di tutti i partiti. Accanto all’oratore, on. Bonomi, Presidente del Senato, ci sono gli onorevoli Orlando, Togliatti e Gronchi. “L’Unità” sottolinea “la significativa assenza di De Gasperi dalla manifestazione unitaria”. La sala e la piazza Cavour sono affollatissime. Il comizio di Bonomi viene perciò diffuso da altoparlanti anche all’esterno, dove si accalca molta gente che non ha trovato posto nel teatro. L’on. Bonomi, presentato da Molè, ricorda come proprio a Roma dopo l’8 settembre i capi dei movimenti antifascisti si erano riuniti in un modesto appartamento di via Adda. C’erano i democristiani De Gasperi e Ruini, il comunista Scoccimarro, il liberale Casati, il socialista Nenni, il Leader del Partito d’Azione La Malfa. Lo stesso Bonomi li presiedeva. Egli rilegge il testo dell’ordine del giorno che fece allora votare: “Nel momento in cui il nazismo tenta restaurare in Roma e in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di Liberazione Nazionale per chiamare gli italiani alla lotta ed alla resistenza e per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni.”
16)
Bonomi ricorda poi i partigiani del Nord e le quattro divisioni dell’esercito (la “Cremona”, operante nei pressi della laguna di Comacchio, la “Friuli”, sull’Appennino, la “Folgore” e la “Legnano”, in Emilia Romagna) che dopo la Liberazione di Roma si posero al loro fianco, oltrepassando la linea gotica, per sconfiggere le ultime postazioni tedesche. Il contributo dato dall’Italia alla vittoria della democrazia, dice Bonomi non è stato adeguatamente apprezzato dagli alleati che hanno confuso le responsabilità di pochi con quelle di un popolo intero. “Ricordo […] i tristi giorni per la conferenza per la pace dell’estate 1946 a Parigi. Io fui dei tre Cirenei (gli altri erano gli on.li De Gasperi residente del Consiglio, e Saragat Presidente dell’Assemblea Costituente). […] L’Italia vi fu accolta come un reo che deve sedersi sul banco dei vinti […]. Nonostante tutto, molto cammino è stato fatto da allora nella faticosa opera di risollevare l’Italia nell’estimazione del mondo e specialmente dei vincitori, ma molto resta ancora da fare.”
Passando alla situazione interna dell’Italia l’oratore ricorda la necessità di mantenersi uniti, nonostante le diversità dei programmi di partito, nella difesa della libertà e della democrazia e per la difesa del patrimonio ideale per il quale si è combattuto e tanti martiri sono caduti. “Contro questo patrimonio […] si appuntano oggi accuse e rancori. Non si può negare che quel quadro luminoso possa aver avuto qualche ombra, perché tale è il destino di tutti i grandi eventi storici, ma non sono ammissibili recriminazioni da parte di coloro che in quelle circostanze si schierarono dalla parte del tedesco invasore.”
17)
Bonomi dice anche che: “Non possiamo tollerare oblio e ignominia contro il secondo Risorgimento”.
Altre manifestazioni
Accanto a quella unitaria si tengono a Roma anche altre manifestazioni. Tra quelle ufficiali ricordiamo che la mattina alle 10, il capo si Stato Maggiore generale, accompagnato dai segretari generali delle Forze Armate, ha deposto una corona sulla tomba del Milite Ignoto, mentre un reggimento rendeva gli onori militari e la banda dei Carabinieri intonava l’inno di Mameli. Lapidi in onore di caduti vengono scoperte a Cavalleggeri e al Salario.
Né sono mancate le manifestazioni popolari. Ne ricordiamo qualcuna, come i comizi che si sono conclusi con balli e trattenimenti tenutisi a cura dell’Anpi nelle sue varie sezioni. Quella dell’Esquilino, in particolare, ha offerto un pranzo nella trattoria Osvaldo a 50 bambini poveri con il contributo degli abbacchiari di Piazza Vittorio.
Anche i giovani organizzano manifestazioni: quelli della Fgci (la federazione giovanile comunista) di Val Melaina una conferenza e una serata danzante pro “Pattuglia”, quelli del quartiere Latino-Metronio fanno festa in sezione, mentre la Fgci del Prenestino va in gita a Tivoli.
A cura di Franco Leggeri-
– Ricerca Storica Campi profughi in Sabina-
A cura di Franco Leggeri- Isa Folliero
per ANPI Sabina/-a bibliografica –
NOTE
Unica celebrazione nazionale dell’anniversario della Liberazione, “Il Messaggero”, 23 aprile 1950, p.1.
128.506 morti 29.398 feriti: “Il Messaggero”, 25 aprile 1946, p.1
A. R., Quando il popolo balla per le strade, “l’Unità” 27 aprile 1946, p.2.
25 aprile ’45 – 25 aprile ’49, l’“Unità”, 25 aprile 1949, p.1.
Popolo e partigiani rivivranno domani lo spirito dell’eroica insurrezione d’aprile, “l’Unità”, 24 aprile 1948, p.4.
25 aprile ’45 – 25 aprile ’49, “l’Unità”, 25 aprile 1949, p.1.
Solenne celebrazione unitaria della gloriosa insurrezione d’aprile, “l’ Unità”, 23 aprile 1950, p. 1.
Mario Vinciguerra, 25 aprile, “Il Messaggero”, 25 aprile 1950, p.1.
Oggi solenne rievocazione del V anniversario della Liberazione, “Il Messaggero”, 25 aprile 1950, p.1.
Sav., Rivendichiamo la nostra parte col rosso vivo del sangue versato dai partigiani e dai soldati, “Il Giornale d’Italia”, 26 aprile 1950, p. 1.
Pietro Secchia: Vittoria di popolo, 25 aprile, p.1
Arturo Colombi, L’Italia esalta il patrimonio della Resistenza fondamento e garanzia della Repubblica Democratica, “l’Unità”, 25 aprile 1950, p. 1.
Con un solenne impegno unitario si è chiuso il Convegno di Venezia, “l’ Unità”, 25 aprile 1950, p. 1.
La celebrazione ufficiale a Roma, “l’Unità”, 25 aprile 1950, p. 1.
Oggi solenne rievocazione, cit., 25 aprile 1950, p.1.
L’annuale della Liberazione celebrato solennemente in tutta Italia, “Il Messaggero”, 26 aprile 1950, p.1.
ROMA -Al Museo Storico della Fanteria di Roma il Pittore, ceramista, scultore, il catalano Joan Miró, riconosciuto tra gli artisti più rivoluzionari del XX secolo, sarà protagonista della mostra intitolata Miró – Il costruttore di sogni, al Museo Storico della Fanteria di Roma dal 14 settembre al 23 febbraio 2025. Il progetto, dal carattere antologico, prodotto da Navigare Srl con il patrocinio di Ambasciata di Spagna in Italia; Instituto Cervantes di Roma; Regione Lazio e di Città di Roma, e a cura di Achille Bonito Oliva, Maïthé Vallès-Bled e Vincenzo Sanfo, si compone di una selezione di 140 opere rappresentative dell’arte di Miró, del suo rivoluzionario linguaggio e delle sperimentazioni che hanno caratterizzato circa 60 anni della sua lunga esistenza (1893-1983), lasciando una impronta indelebile nell’arte e nella cultura del nostro tempo. Con una raccolta di opere realizzate tra il 1924 e il 1981, la mostra renderà omaggio alla singolarità del grande artista e alla sua straordinaria attitudine alla libertà, alla sperimentazione e all’ indipendenza da ogni dogma artistico, sociale e culturale. Poco conosciute al grande pubblico, poiché appartenenti a collezionisti privati italiani e francesi, le opere in esposizione saranno presentate in un percorso diviso in 8 aree tematiche: Litografie; Manifesti; Poesia; Ceramiche; Derrière le Miroir; Pittura; Musica; Miró e i suoi amici, ognuna delle quali riferita alle passioni e agli attraversamenti dell’arte di Miró. In particolare, tra le opere che saranno esposte, spiccano numerose litografie curate da stampatori e incisori di eccellenza come Fernand Mourlot, al quale si deve la perfetta e ineguagliabile resa di colore nel procedimento di stampa delle preziose opere grafiche. Saranno presenti, inoltre, anche alcuni esemplari di ceramiche dipinte a mano e le tavole litografiche disegnate per accompagnare i versi di Parler Seul del poeta dadaista Tristan Tzara (1950), oltre ai bellissimi bozzetti per la messa in scena di L’Uccello Luce (1981) di Silvano Bussotti, realizzati in occasione della Biennale di Venezia. L’esposizione sarà arricchita anche da una piccola sezione intitolata Miró e i suoi amici comprendente una decina di opere di Man Ray, Picasso, Dalí, e fotografie di Cohen e Bertrand, oltre che libri e documenti dei poeti Breton, Éluard, Chair, Tzara per evidenziare le diverse connessioni di Miró con il mondo dell’arte e della cultura del tempo. La mostra intende porre all’attenzione del visitatore, in particolare, tre aspetti della creatività artistica del genio catalano nato a Barcellona: la rivoluzione del linguaggio artistico ‒ portato da uno spazio introspettivo a un equilibrio tra astratto e figurativo, tale da realizzare un principio di impossibilità, in cui l’arte supera ogni tipo di confine; la dimensione onirica e lirica ‒ permeata dalla sfrenata libertà di una sensibilità tradotta in colore, materia e segni laddove la razionalità, in un contesto storico in cui le dittature politiche segneranno alcuni dei momenti più bui per la Spagna e per il resto del mondo, tace; e, infine, la tenace capacità di resistenza, in cui la joie de vivre e il fervore espressivo si realizzano in un linguaggio a sé stante, nella dimensione inafferrabile e primitiva dell’io più profondo. Miró – Il costruttore di sogni è una iniziativa culturale di Difesa Servizi S.p.A., co-prodotta da Art Book Web e Diffusione Cultura Srl.
Dal 14 Settembre 2024 al 23 Febbraio 2025
Roma
Luogo: Museo storico della Fanteria
Indirizzo: P.zza Santa Croce in Gerusalemme 7
Orari: dal lunedì al venerdì dalle ore 9:30 alle ore 19:30 Sabato, domenica e festivi dalle ore 9:30 alle ore 20:30 Ultimo ingresso 30 minuti prima dell’orario di chiusura
Costo del biglietto: Intero: 15,00€ – Weekend e festivi Intero: 13,00€ – Feriali Ridotto in biglietteria: 10,00€ – Tutti i giorni: giovani fino ai 14 anni, giornalisti con tesserino, gruppi oltre 10 pax, universitari, convenzioni, over 65, diversamente abili e accompagnatori, personale delle Forze Armate Ridotto scuole: 5,00€ Biglietto Open: 16,00€ – Salta la fila Gratuito: bambini fino ai 5 anni L’audioguida ufficiale è Navibook ed è inclusa nel costo del biglietto
Biografia di Joan Miró -(Barcellona, 1893 – Palma di Maiorca, 1983) è stato uno degli autori più importanti di tutto il Novecento e ha dedicato la sua carriera a una continua sperimentazione artistica. La sua vicenda è stata spesso accostata all’avanguardia surrealista, di cui fece parte dal 1924 al 1929. Tuttavia, Miró si distaccò dal movimento dopo pochi anni, a causa del rigido schematismo imposto dal teorico più importante del sodalizio: André Robert Breton (Tinchebray, 1896 – Parigi, 1966). L’imposizione di uno stile era in netta contrapposizione con la continua sperimentazione sia in ambito tecnico che stilistico di Joan.
L’immaginario artistico di Joan Miró è stato alimentato da influenze di vario genere, a partire da quelle più antiche, per esempio le pitture rupestri primitive, le opere africane e quelle cattoliche catalane. Tra i suoi modelli compaiono anche le pitture dei grandi maestri nordici del XV secolo, come Hieronymus Bosch (’s-Hertogenbosch, 1453 – 1516) e le opere più moderne dell’espressionista Edvard Munch (Løten, 1863 – Oslo, 1944). Eppure, le sue due più grandi fonti di ispirazione furono le opere e le teorie dei suoi compagni surrealisti e quelle del grande maestro Pablo Picasso(Malaga, 1881 – Mougins, 1973). Joan utilizzò questi modelli per creare il suo stile, caratterizzato da un forte spiritualismo e un’incessante ricerca di un linguaggio universalmente comprensibile.
La vita di Joan Miró
Joan Miró i Ferrà nacque a Barcellona dal matrimonio tra l’orefice Miquel Miró Adzerias e Dolores Ferrà i Oromí. Dopo una breve parantesi come impiegato di un ufficio, Miró si iscrisse all’Accademia privata di Francisco Galí (Barcellona, 1880 – 1965) a Barcellona. Quest’ultimo era un maestro innovativo, che aiutò Miró a elaborare i principi base della sua pittura, quali la percezione intuitiva delle forme e una straordinaria sensibilità.
In seguito, Joan si iscrisse alla Libera Accademia di Disegno del Cercle Artístic de Sant Lluc di Barcellona. Nella città catalana, Miró ebbe modo di conoscere altri giovani artisti e le opere di alcuni dei più grandi maestri europei. Una delle occasioni più importanti fu la mostra organizzata a Barcellona nel 1916 dal gallerista francese Ambroise Vollard (Saint-Denis, 1866 – Versailles, 1939), dove furono esposti alcuni dei capolavori di Vincent van Gogh (Zundert, 1853 – Auvers-sur-Oise, 1890) e dell’avanguardia espressionista dei Fauves. Durante la mostra, Il giovane Joan rimase impressionato dall’accentuata espressività delle opere. Sempre in questi anni, Miró entrò in contatto con l’avanguardia artistica Dada, della quale ammirava la volontà di rompere con la tradizione e di avviare una ricerca artistica in continuo mutamento.
Nel 1919 Joan Miró si trasferì per la prima volta a Parigi, dove scoprì un ambiente a metà tra l’innovazione e la tradizione. Infatti, nella capitale francese il giovane catalano passava le giornate a discutere con Pablo Picasso e a studiare i capolavori antichi del Louvre.
L’incontro più importante del soggiorno parigino fu quello con l’avanguardia surrealista e i suoi esponenti. Il rapporto tra il surrealismo e Miró fu molto particolare, perché l’artista catalano non aderì mai completamente al movimento, ma vi rimase sempre affiancato e in parte autonomo. Tra i capisaldi del movimento Joan si appropriò di quello dell’automatismo psichico, ovvero la trascrizione in pittura dei propri pensieri, senza il filtro della ragione. Nel 1925 Joan Miró partecipò alla sua prima mostra surrealista alla Galleria Pierra, che riscontrò un notevole successo.
Tuttavia, a seguito di una serie di scontri ideologici, nel 1929 Miró decise di uscire dal movimento surrealista, anche se non se ne distaccò mai completamente almeno dal punto di vista ideologico.
Il 12 ottobre 1929 Joan Miró sposò Pilar Juncosa a Palma de Maiorca e i due si stabilirono a Parigi, dove l’artista avviò un’importante fase di sperimentazione tecnica. Infatti, in questi anni Joan diede vita a numerosi collage e costruzioni, con le quali avviò l’“assassinio della pittura”, come segno di ribellione nei confronti delle tecniche pittoriche tradizionali. Per “assassinio della pittura” Miró intendeva la volontà di andare oltre la tecnica tradizionale della pittura a olio, per ricerca nuovi metodi di ricerca, in risposta alle esigenze contemporanee.
I primi anni Trenta furono molto fortunati per l’artista catalano, dato che diede alla luce sua figlia María Dolores ed espose in varie gallerie di tutto il mondo, ottenendo un riconoscimento internazionale.
Questo periodo rigoglioso della pittura di Miró venne acquetato dalla situazione storico-politico degli ultimi anni Trenta. In questo periodo, Joan presagiva la sensazione che qualcosa di terribile stesse per accadere e le sue paure si realizzarono nel 1929, quando si instaurò la dittatura di Francisco Franco (Ferrol, 1892 – Madrid, 1975). Il forte turbamento influenzò anche la sua arte, che si vestì di un crudo realismo dai toni acidi, definito dai critici “tragico”, dal quale scaturirono opere inquietanti e cupe.
La guerra lo portò sempre più lontano dalla realtà, spingendolo verso un’evasione dalla quotidianità. Questo senso di estraniazione e il suo continuo sperimentalismo confluirono nella serie delle Costellazioni, che il pittore e storico Roland Algernon Penrose (Londra, 1900 – Chiddingly, 1984) definì “uno degli episodi più brillanti della sua carriera”. Durante la realizzazione di queste composizioni Miró ritornò in Spagna nel 1941, a Montroig, dove poté affinare il suo stile, improntato alla creazione di un linguaggio universale e comune.
A partire dal 1944 Joan Miró iniziò ad approcciarsi a una nuova tecnica artistica, la ceramica, con la quale realizzò le prime in sculture nel 1946. Il catalano aveva già eseguito le costruzioni, ma con questo nuovo materiale ebbe modo di realizzare delle sculture monumentali, caratterizzata da una semplicità formale tipica delle opere primitiviste.
Tra il 1947 e il 1948 Miró si recò per la prima volta negli Stati Uniti dove conobbe il celebre pittore Paul Jackson Pollock (Cody, 1912 – Long Island, 1956), inventore del dripping, e il mercante d’arte Aimé Maeght (Hazebrouck, 1906 – 1981, Saint-Laurent-du-Var), che si iniziò a occupare della vendita delle opere di Miró in Europa.
Tra il 1956 e il 1958 Joan realizzò i due murales in ceramica per la sede centrale dell’Unesco a Parigi, rappresentanti uno il sole, l’altro la luna. Per le due pareti Miró trasse ispirazione dal Park Güell di Antoni Gaudí i Cornet (Reus, 1852 – Barcellona, 1926) a Barcellona e le pitture rupestri della Grotta di Altamira. Per la realizzazione dei murales, dopo un primo progetto fallimentare con delle piastrelle di maiolica, l’artista catalano scelse di adagiare delle piastrelle irregolari per creare uno sfondo, sul quale dipingere le immagini con una scopa di foglie di palma. L’operazione fu molto complicata, ma il risultato finale venne acclamato sia dal grande pubblico che dalle istituzioni, al punto che Miró ricevette il Guggenheim International Award.
Nell’ultima parte della sua vita Joan Miró continuò a dedicarsi alla sperimentazione, passando da una tecnica artistica all’altra. Per esempio, a partire dal 1966 si dedicò alla realizzazione di sculture in bronzo, per le quali ricavava i materiali da fondere da oggetti di scarto, così da poter unire una delle tecniche artistiche più antiche e nobili con l’umiltà di oggetti inutili.
Oltre alle sculture bronzee, l’artista si confrontò con materiali insoliti e iniziò a bruciare o lacerare le tele prime di dipingerle, dimostrando una grande tenacia anche a settantatré anni.
Nel 1968 Joan ricevette la laurea honoris causa dall’Harvard University di Cambridge e furono organizzate numerose mostre per omaggiarlo. Infine, nel 1975 venne inaugurata la Fundació Joan Miró a Barcellona, dove furono raccolti oltre diecimila pezzi. L’artista catalano morì nel 1983 a Palma de Mallorca.
Stile e capolavori di Joan Miró
La formazione di Joan Miró fu caratterizzata dallo studio delle opere d’arte della sua terra d’origine, di quelle dei primitivi, ma anche dei grandi capolavori degli artisti contemporanei.
Durante una prima fase compresa tra il 1917 e il 1923, Joan si dedicò alla realizzazione di opere dal carattere descrittivo e ingenuo. In queste tele è presente il forte rapporto tra l’artista e la storia della sua terra natia, la Catalogna, che da secoli rivendicava l’indipendenza nei confronti della Spagna. I paesaggi catalani e i suoi abitanti diventano i protagonisti delle sue opere e la dimensione popolare si fonde con quella poetica e politica. Lo stile è calligrafico, a tratti perfino descrittivo, come nel caso dell’opera L’Orto e l’asino (1918). In questo dipinto Miró rappresenta un paesaggio tipico delle campagne catalane, in cui i colori caldi e familiari della sua patria si fondono con un immaginario cubista. Infatti, il cielo viene scomposto in varie fasce cromatiche e la disposizione geometrica dei campi dà vita a un mosaico composito e innaturale. Inoltre, Miró sembra preannunciare il mondo favolistico e onirico che poi si scatenerà con l’adesione all’avanguardia surrealista.
Intorno al 1924 Joan Miró si avvicinò all’avanguardia surrealista, che condizionò per sempre il suo stile. Da questo momento le sue opere si colorarono di immagini policrome e fantasiose, in cui i soggetti catalani vennero sostituiti da creature carnevalesche e vivaci. Il manifesto artistico di questa fase è riscontrabile nel dipinto Il Carnevale di Arlecchino (1924). La tela fu realizzata in una fase di estrema povertà della vita di Miró, che lo costrinse a soffrire la fame. Stando ai racconti del pittore la fame e l’isolamento nel suo studio gli causarono numerose allucinazioni, che il pittore cercava di immortalare nelle sue opere, come nel caso del Carnevale di Arlecchino. Nell’opera è rappresentato un interno in cui sono raffigurati numerosissime creature polimorfe, con l’accompagnamento di alcune note musicali. Tra i vari elementi compare anche la scala, uno dei soggetti più ricorrenti nell’immaginario di Miró, che simboleggia la continua sperimentazione artistica. Il protagonista dell’opera è Arlecchino, un personaggio comico tappezzato di colori diversi, che ama fare scherzi. In realtà si tratta dell’autoritratto metaforico dell’autore, che si raffigura come un giocoso padrone di casa pronto ad andarsene dalla festa da lui stesso organizzata, perché annoiato da un’invenzione ormai priva di nuovi spunti creativi.
Nella fase successiva alla parziale adesione al movimento surrealista, Miró studiò delle nuove forme di rappresentazione, per andare oltre i modelli consolidati. La pittura di questa fase si svuotò dell’elemento figurativo, lasciando ampio spazio a sfondi monocromatici e a figure stilizzate, talvolta accompagnate da scritte. Uno dei più grandi capolavori di questo periodo fu il Ritratto di Madame K. (1924), in cui il dato figurativo sembra scomporsi e stilizzarsi.
Il periodo seguente la scomposizione dei soggetti pittorici fu quello della sperimentazione delle opere polimateriche, composte di materiali inusuali. Si trattava di composizioni realizzate con oggetti in grado di riecheggiare un determinato soggetto mediante una serie di allusioni sensoriali o metaforiche. Per esempio, nella serie delle Ballerine spagnole non compaiono mai figure o silhouette che richiamano le danzatrici. Tuttavia, l’essenza delle ballerine è suggerita da elementi delle composizioni, come la piccola immagine di una scarpetta ricavata da un giornale o una leggerissima piuma.
Dopo una prima fase di turbamento, dovuta alle vicende belliche che scossero tutta Europa, Joan Miró riuscì a ritrovare uno stato di quiete, che lo portò all’esecuzione della serie delle Costellazioni. Si tratta di ventitré tempere su carta, realizzate tra il 1940 e il 1941, in cui l’artista dialoga con i corpi celesti, che fin da bambino lo appassionarono. In mezzo alle rappresentazioni varie costellazioni compaiono alcuni dei soggetti tipici dell’immaginario di Miró, come gli arabeschi, le donne, le note musicali, gli uccelli e le scale. Tra le ventitré opere è degna di nota una delle ultime tempere eseguite da Joan: L’Uccello meraviglioso rivela l’ignoto a una coppia di amanti. In questo capolavoro l’artista collega le varie figure tramite una linea sottilissima, che accentua il collegamento intrinseco tra ogni immagine, comprese quelle all’apparenza meno importanti.
Alla fine della sua carriera, Miró rimase affascinato dalla cultura giapponese, che conobbe mediante delle mostre realizzate a Tokyo e a Kyoto. In particolare, ciò che impressionò Joan fu la scoperta dell’estrema vicinanza tra la sua poetica e l’haiku (dei brevi componimenti giapponesi dal significato molto profondo). Un parallelismo tra queste poesie e la sua arte è riscontrabile nel dipinto L’oro dell’azzurro (1967), in cui una grande macchia blu viene equilibrata da altre nere più piccole, su un luminoso sfondo dorato. In questa opera la scoperta della cultura giapponese si fonde con alcuni dei simboli tipici dell’arte di Miró, come le costellazioni e la sua passione per la musica.
Joan Miró fu uno degli artisti europei più importanti del Novecento e dedicò la sua vita alla sperimentazione di nuove tecniche e alla ricerca di un linguaggio universale, immediatamente comprensibile da tutti.
Fonte della Biografia Finestre sull’Arte è una testata giornalistica che si occupa di arte antica e contemporanea. Il giornale, nato nel 2017, ha origine dall’omonimo progetto divulgativo che nel 2015 ha ricevuto il Premio Silvia Dell’Orso come miglior progetto italiano di divulgazione storico-artistica. Oggi, Finestre sull’Arte è una delle riviste più seguite del settore, e alla versione online abbina, dal 2019, anche un trimestrale cartaceo. Finestre sull’Arte è edita da Danae Project S.R.L.. Per scrivere alla redazione: posta AT finestresullarte.info.
Roma- SottoSopra Art Studio proroga la mostra:” Mediterraneo e Donna”-
Roma-SottoSopra Art Studio è lieto di annunciare la proroga della mostra “Mediterraneo e Donna”, che resterà aperta al pubblico fino al 5 ottobre 2024, dando così l’opportunità a un numero maggiore di visitatori di immergersi in questo emozionante viaggio artistico.
La mostra esplora le tradizioni mediterranee e la figura femminile attraverso l’opera di dodici artisti contemporanei di grande talento: Annamaria Iodice, Emiliano Esposto, Esme Sbragia, Federica Cipriani, Ganga Art (Daniele Gangarossa), Loli (Lobat Mirsadeghi), Marco Curatolo, MoniKart (Monica Roganti), Patrizia Barone, Pika (Yasnier Rivera Farrés), Rosanna Cerutti, SerGiotto (Sergio Viscardi)
L’esposizione è articolata in cinque aree tematiche che esplorano la cultura, la società, le esperienze quotidiane, la moda e l’ambiente mediterraneo, con un’attenzione speciale alla figura femminile e al suo ruolo storico e contemporaneo.
Ogni artista porta una visione unica, contribuendo a costruire un mosaico di storie e immagini che celebrano la ricchezza culturale e sociale del Mediterraneo e della donna.
Artisti in mostra:
– Annamaria Iodice: Materiali ecocompatibili incontrano la raffinatezza dell’arte orafa.
– Emiliano Esposto: Pennellate che evocano la fragilità dell’animo umano.
– Esme Sbragia: Innovativi collage digitali che trasportano in mondi futuristici.
– Federica Cipriani: Esplosione di colore e fantasia per celebrare la forza femminile.
– Ganga Art (Daniele Gangarossa): Innovazione attraverso pixel e codici.
– Loli (Lobat Mirsadeghi): Visioni simboliche che invitano alla riflessione.
– Marco Curatolo: Ritratti che narrano storie umane profonde.
– MoniKart (Monica Roganti): Opere che riflettono una visione personale e intensa della realtà
– Patrizia Barone: La tradizione sartoriale rivive nei suoi tessuti.
– Pika (Yasnier Rivera Farrés): Colori caraibici che danzano sulla tela.
– Rosanna Cerutti: Esplora le profondità dell’universo femminile.
– SerGiotto (Sergio Viscardi): Arte poliedrica che fonde pittura, cinema e musica.
Cogliete l’occasione per visitare “Mediterraneo e Donna” in questo periodo esteso, immergendovi nelle narrazioni visive che queste opere propongono.
Per ulteriori informazioni e dettagli sulla mostra, potete contattarci all’indirizzo
e-mail: sottosopraartstudio@hotmail.com o al numero 351 757 2311.
Informazioni, orari e prezzi
Mostra: “Mediterraneo e Donna”
Luogo: SottoSopra Art Studio, Via Ardea 10, Roma, Zona San Giovanni
Nuove Date: Dal 14 settembre al 5 ottobre 2024
Vernissage: 14 settembre 2024, ore 18:00
Pasolini à Matera-Photos de Domenico Notarangelo–Exposition à l’IIC Paris-
Pasolini a Matera-À partir du 23 septembre et jusqu’au 31 octobre, découvrez la nouvelle exposition de l’Institut culturel italien, 50 rue de Varenne, 75007. Elle s’intitule Domenico Notarangelo : Pasolini a Matera. Son fils, Peppe Notarangelo, commissaire de l’exposition, nous en parle et nous apprend à mieux connaître les rapports de son père, Mimì, avec Pasolini.
L’exposition présente trente-cinq remarquables clichés du regretté Domenico Notarangelo, décédé en 2016, provenant du tournage du film Il Vangelo secondo Matteo (L’Évangile selon saint Matthieu) réalisé à Matera par Pasolini en 1964.
Ces images proviennent de l’ Archivio di Domenico Notarangelo a Matera (environ 100 000 photos presque exclusivement en noir et blanc), un patrimoine d’une incomparable richesse pour la Lucania, un témoignage historique et humain de cette terre et de son évolution au cours du 20e siècle.
Le vernissage, auquel il convient de vous inscrire ICI, aura lieu lundi 23 septembre à partir de 18h en présence de son fils Giuseppe Notarangelo, commissaire de l’exposition, Ines Silvia Nenna (Associazione Pasolini) et Roberto Chiesi (Cineteca Bologna). L’exposition présente également des œuvres de Giuseppe Palumbo, Valentina Mir et Silvio Cadelo.
A suivre à 19h30 la projection du célèbre film L’Évangile selon saint Matthieu en version restaurée (Italie, 1964, 138′, VOSTF)
Peppe Notarangelo, commissaire de l’exposition, fils de Mimì Notarangelo, et désormais gardien de ce patrimoine, a eu l’amabilité et l’amitié de transmettre à Altritaliani le texte qui ouvre le catalogue de l’exposition et de nous envoyer quelques-une des photographies que vous pourrez retrouver à l’Institut. Bonne lecture!
Domenico Notarangelo. Mimì.
Sono passati sessant’anni da quando Pier Paolo Pasolini ha regalato a noi tutti questa straordinaria opera d’arte cinematografica che è Il Vangelo secondo Matteo. Un film importante per la città di Matera. Un film importante anche per mio padre Domenico, che di Pasolini fu collaboratore, fonte di stimoli ed anche amico. In fondo erano due comunisti, uno più giovane e a quel tempo ancora “ortodosso”, qual era mio padre, l’altro di otto anni più vecchio, già icona di un comunismo moderno, evangelico. Insieme resero la città di Matera ed i suoi abitanti protagonisti di quella che è “la storia più grande che sia mai accaduta”, per dirla con le parole di Pasolini.
Pasolini volle anche Domenico Notarangelo, insieme ad Alfonso Gatto, Natalina Ginzburg, Enzo Siciliano, Giorgio Agamben, Mario Socrate, sua madre Susanna Colussi, l’amata cugina Graziella Chiarcossi e altri non attori, ma persone prese dal popolo, per dare volto ai personaggi. A Mimì toccò fare il centurione che ordina al Cireneo di portare « quella croce », quando Gesù cade stremato.
Fu nei momenti di pausa sul set che Mimì approfittò, col permesso del “maestro”, per scattare queste fotografie. Immagini in bianconero di quei giorni dove il sole “ferocemente antico” rendeva tutto magico e solenne. Solenne e magico come il momento in cui Pier Paolo e il suo cristo rivoluzionario, il diciannovenne rivoluzionario antifranchista Enrique Irazoqui, si appoggiarono a quel muretto per riposare, meditare. Mimì fermò quell’istante in uno scatto. E in quello scatto c’è tutto. C’è la forza intellettuale di Pasolini che contempla i Sassi, c’è la figura del Cristo che esprime tutta la severità che gli appartiene, ci sono i sassi di Matera che lì erano da millenni e che lì, per altri millenni, resteranno. È probabilmente la fotografia più importante per Matera. La fotografia che più la rappresenta. Sicuramente la più bella. Pura poesia.
Domenico Notarangelo è stato una figura fisiologicamente coinvolta nel quarantennio di passaggio tra società rurale e modernità. Da giornalista corrispondente dalla Basilicata del giornale fondato da Antonio Gramsci, L’Unità, cominciò da subito a completare i suoi articoli con fotografie degli avvenimenti e dei personaggi scattate da lui stesso. Appartenendo anch’egli, figlio di contadini pugliesi, a quel Popolo, a quei ritmi dell’esistenza, riuscì a cogliere sempre l’anima di quegli eventi, di quelle persone. Le sue fotografie raccontavano e raccontano molto più di ogni didascalia o trattato letterario la nuda verità su quelle storie, su quei santi contadini, come li chiamava lui, che seguivano le processioni e i riti devozionali così come lottavano per la terra e per la giustizia negli scioperi e nelle manifestazioni politiche.
L’esperienza con Pasolini per il Vangelo, l’incontro col maestro, cambiò i connotati del suo credo comunista. La forte critica di Pasolini su quello che stava succedendo a Matera a proposito della deportazione degli abitanti in nuovi rioni popolari, fu uno degli argomenti di contrasto tra I due. Notarangelo sosteneva la giustezza e la necessità di quell’intervento, mentre Pasolini lo criticava fortemente. Diceva “A Matera state commettendo un crimine contro l’umanità”. Secondo Pasolini il governo De Gasperi, per risolvere il problema della miseria che Palmiro Togliatti aveva denunciato come “vergogna nazionale”, stava cancellando la storia millenaria di un popolo e di una città straordinaria, la città che lui scelse come Gerusalemme per raccontare la storia del suo Cristo.
Dell’antica Matera restarono solo i muri e le grotte che, dopo essere stati dimenticati e lasciati in abbandono per decenni, proprio grazie al cinema, sono di recente tornati al centro dell’interesse.
A Matera probabilmente è nata la civiltà. Matera è una delle città più antiche al mondo. È un luogo di scoperta e di ricerca scientifica, è un’opera d’arte costruita dal popolo attraverso i millenni, è bellezza creata dall’uomo per l’uomo, per la vita, per il progresso, forse proprio quel progresso che era nella mente di Pasolini, mentre contempla i Sassi nello scatto di Mimì.
Michèle Gesbert est née à Genève. Après des études de langues et secrétariat de direction elle s’installe à Paris dans les années ’70 et travaille à l’Ambassade de Suisse (culture, presse et communication). Suit une expérience associative auprès d’enfants en difficulté de langage et parole. Plus tard elle attrape le virus de l’Italie, sa langue et sa/ses culture(s). Contrairement au covid c’est un virus bienfaisant qu’elle souhaite partager et transmettre. Membre-fondatrice et présidente d’Altritaliani depuis 2009. Coordinatrice et animatrice du site.
Trent’anni dalla scomparsa del grande attore e sembra ieri…
Sembra ieri…«Eh! Si, ho chiamato. Ho chiamato perchè je vuleva sapè cumm’è stu fatto che a me mi stanno succerenno disgrazie una appriess’a n’ata! Je nun pozz’ campà ‘cchiù!», scriveva Massimo Troisi nel suoDialogo con Dio.
«[…]”Non fornicare”… che significa non fornicare? Tu saje ca je aggio fornicato senza sapè? No, je penzave ‘e furmiche! Eh! Penzave ‘e furmiche! […]».
Trent’anni fa ci lasciava Massimo Troisi, l’attore del sorriso e dei sentimenti. Nato a San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli, il 19 febbraio 1953, cominciò la sua carriera con gli amici del gruppo «I Saraceni», divenuto poi «La Smorfia», Lello Arena ed Enzo Decaro.
Un successo inatteso che lanciò Troisi verso l’esordio al cinema con «Ricomincio da tre» (1981), che ne consacrò il suo successo da attore e regista, regalandogli subito due David di Donatello, tre nastri d’argento e due Globi d’oro. Fu da allora che si dedicò esclusivamente al cinema, interpretandone 12, cinque dei quali diretti da lui stesso.
Un artista, Troisi, capace di portare il dialetto napoletano fuori dai confini territoriali e di renderlo comprensibile a tutte e tutti, grazie alla sua mimica, alla sua ironia, alla sua arguzia, e alla sua infinita dolcezza. Che emerge con forza nel suo ultimo capolavoro, Il Postino.
Nelle rappresentazioni di Troisi abbondano anche i riferimenti del suo retroterra religioso. Come non ricordare della Smorfia: La Natività, La fine del mondo, Angelo e Diavolo, Il Dialogo Con Dio o San Gennaro…
«A casa nostra i santi son stati sempre presenze vive. Venivano rispettati come amici di famiglia. Massimo era colpito dal fatto che mia madre pregava in continuazione san Giuseppe. “Stava in buoni rapporti” con lui… Proprio come dice nello sketch di san Gennaro…», scrive Rosaria Troisi nel libro, Oltre il respiro (Iacobelli), sorella dell’attore.
I problemi cardiaci che hanno condizionato la vita, sin dall’infanzia, del piccolo Massimo non gli hanno impedito di vivere una vita appieno, di condividerla con una moltitudine di persone all’insegna del sarcasmo, ironico, foriero di una timida e spiccata empatia : «Quando tornammo dall’America io stessa non mi capacitavo di come Massimo fosse riuscito a superare l’intervento. E lui mi rispose: “È stata la mano di Dio”. Compresi allora quanto aveva pregato», scrisse ancora la sorella Rosaria nel libro.
Una mano, quella di Dio, condivisa con tanti amici artisti, giornalisti, calciatori. Da Pino Daniele a Renzo Arbore, da Gianni Minà al suo amico Maradona che capitanava la squadra vicina al suo fragile cuore.
Cosa ci resta oggi di Troisi? Non ci resta che piangere di nostalgia profonda, consapevoli dell’eredità che ci ha consegnato. Oggi le televisioni italiane renderanno omaggio, a un grande uomo, a un grande attore; al Pulcinella (se lo intendiamo come l’uomo che pur conscio dei problemi è sempre riuscito a venirne fuori con un sorriso) senza maschera e che, con semplicità, ironia, e tanta arguzia, ha saputo incantare e far emozionare l’Italia intera.
Chissà cosa si staranno dicendo ora lui e Dio? Beh… non lo sapremo mai, ma siamo in grado di immaginare la scena. Questa è già una preziosa eredità.
Articolo di di Gian Mario Gillio –Fonte Riforma.it, Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.
Principale esponente della nuova comicità napoletana nata agli albori degli anni 1970 e soprannominato «il comico dei sentimenti»[1] o il «Pulcinella senza maschera»,[2].
Formatosi sulle tavole del palcoscenico e naturale erede designato di Eduardo e Totò,[3][4] fu accostato anche a Buster Keaton e Woody Allen.[5][6] Cominciò la sua carriera assieme agli inossidabili amici del gruppo I Saraceni, divenuto La Smorfia,Lello Arena ed Enzo Decaro. Il successo del trio, inatteso e immediato, consentì al giovane Troisi di esordire al cinema con Ricomincio da tre (1981), il film che ne decretò il successo sia come attore che come regista. Dall’inizio degli anni ottanta si dedicò esclusivamente al cinema, interpretando 12 film, 5 dei quali diretti da lui stesso.[7]
Adoperò uno stile personale che esaltava una capacità espressiva verbale, mimica e gestuale con la quale combinava ruoli prettamente comici a quelli più riflessivi.
Troisi indicò al cinema italiano una via per un’escursione rivitalizzante con in più uno sguardo attento alla società italiana e alla Napoli successive al terremoto del 1980, alle nuove ideologie, al femminismo, all’autoironia crescente e all’affermazione della soggettività individualista. Con lui nacque il nuovo tipo napoletano dell’antieroe, vittima dei tempi moderni, personaggio fragile[8] che riflette tuttora i dubbi e le preoccupazioni delle nuove generazioni.[9][10]
Occasionalmente si distinse anche al di fuori della recitazione, lasciando altri contributi: scrisse infatti ‘O ssaje comme fa ‘o core, poesia messa in musica dall’amico Pino Daniele, un’allusione tanto alle patologie al cuore (comuni a Troisi e Daniele) quanto al romanticismo.[11]
Flaminia Leggeri Fotoreportage-“Lourdes in attimo infinito”
La giovanissima fotografa Flaminia Leggeri, ha realizzato un Fotoreportage ”il Santuario di Lourdes” in un set difficilissimo e super fotografato :”il Santuario di Lourdes” . Cosa si poteva scoprire di non ancora fotografato ? Flaminia ha cercato nel Santuario di Lourdes i particolari , ha portando la fotocamera nel silenzio dei luoghi “ovvi” ,ma nella “controra”, e ha puntato l’obiettivo e fotografato e cercato di interpretare , quasi dialogare , con i 39 Ritratti e i 52 “gemmaux” cosi belli e fortemente sottovalutati nella immensa e sotterranea Basilica San Pio X. –
I “gemmaux” e i ritratti sono stati ,per la giovane Flaminia ,un laboratorio di interpretazione, analisi e dialogo con i colori che attraggono fortemente. Le figure dei “gemmaux” meritano attenzione emanano spiritualità. Credo che Flaminia Leggeri abbia cercato “la carne” dello spirito nei colori e nelle figure cosi mimetizzate , sfuggevoli, ma presenti, silenziose, ma “parole” concrete per il pellegrino .Credo che la giovane fotografa abbia saputo , con capacità istintiva, raccontare e rappresentare questa bellezza che si può ammirare nella Basilica progettata dall’’architetto Pierre Vago e l’ingegnere Eugène Freyssinet, inventore del cemento precompresso
Notizie sulla Basilica sotterranea di San PioX. di Lourdes
Consacrata nel 1958, la basilica sotterranea di San Pio Le sue dimensioni molto grandi (una forma ovale di 201 m di lunghezza per 81 di larghezza) permettono di ospitare fino a 25.000 persone su una superficie di 12.000 m². Questo, preservando i corridoi di traffico.
Ha la forma dello scafo di una nave rovesciata, il fatto che sia sotterraneo non pregiudica il paesaggio del santuario. L’architetto Pierre Vago e l’ingegnere Eugène Freyssinet, inventore del cemento precompresso, hanno infatti utilizzato il cemento integrando cavi metallici tesi nelle zone di trazione per sostenere i carichi ed evitare pilastri che avrebbero compromesso la visibilità. Il progetto è stato completato in tempi record.
Dal punto di vista ornamentale, la basilica conta 39 dipinti raffiguranti santi e una cinquantina di gemmaux. Lourdes ha una collezione di gemme molto importante. Gemmail è stato inventato dal pittore Jean Crotti negli anni ’30 in collaborazione con Roger Malherbe-Navarre. Nel 1939, Jean Crotti creò la parola gemmail unendo i termini gemma e smalto. René Margotton ne ha realizzato uno sul tema delle apparizioni nella basilica di Saint-Pie-X di Lourdes, dove sono stati eseguiti 20 brani tra il 1989 e il 1993.
La basilica di S. Pio X a Lourdes. Struttura e architettura
La Basilica sotterranea San Pio X ha una superficie di circa 12000 m² . La sua pianta forma un ovale di 201 metri per 81 metri. Questa basilica, che ha una capienza massima di 25000 persone, è stata consacrata il 25 marzo 1958 per il centenario delle Apparizioni dal futuro Papa Giovanni XXIII. E’ ornata da 39 ritratti che rappresentano diversi santi e beati, nonché da 52 gemmaux (quadri in cristalli speciali e illuminati).La basilica di San Pio X (in francese: basilique Saint-Pie X), anche conosciuta anche con il nome di basilica sotterranea, è una chiesa di Lourdes, in Francia situata all’interno del santuario di Nostra Signora di Lourdes. Consacrata nel 1958, appartiene alla diocesi di Tarbes e Lourdes; ha la dignità di basilica minore.
CASTELNUOVO DI FARFA – Palazzo Eredi Salustri Galli
Franco Leggeri Fotoreportage -Castelnuovo di Farfa -Il Palazzo (Edificio del XVI secolo) ora appertine alla famiglia Salustri Galli da quando verso la metà del 1800 Angelo Galli lo acquisto. Il palazzo era proprietà della famiglia dei Marchesi Simonetti che per diversi secoli amministrò le terre di proprietà dell’abbazia benedettina di Farfa, comprese tra il torrente Farfa, il Fabaris di Ovidio, e il piccolo Riana.L’edificio si compone di nuclei edilizi diversi, edificati probabilmente a partire dal XVI secolo, ma l’intervento più consistente è databile alla metà del ‘700. In quegli anni, inoltre, furono decorati gli ambienti interni con affreschi di grande pregio artistico. Tra le numerose decorazioni compaiono, oltre a vedute dei palazzi di famiglia, anche eleganti ritratti di aristocratici, carrozze paludate, popolani e passanti ritratti con vivace naturalezza; nelle sopra porte, sicuramente sono da ammirare si trovano i così detti “capricci”, una combinazione di elementi architettonici o naturali non presenti nella realtà, composta in modo del tutto immaginario. Bellissimi sono anche i giardini all’italiana all’interno della proprietà.
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.