Armando Lostaglio- Giuseppe Tornatore “Il Collezionista di Baci” cinematografici
Il collezionista di baci. Ediz. illustrata di Giuseppe Tornatore Mondadori Electa 2014
Un libro sul bacio cinematografico. Un regalo per la San Valentino. Ciascuno di noi ha nel fondo del proprio intimo cassetto il bacio più bello, quello che al cinema ha visto da ragazzo, che lo ha ammaliato e forse turbato. Nel 2014, il regista premio Oscar Giuseppe Tornatore ne ha fatto un libro prezioso, un volume fotografico per raccontare il bacio cinematografico attraverso le suggestioni che proiettavano i manifesti dei film. Vere e proprie opere d’arte pittorica.
Questo libro – pubblicato da Mondadori Electa, 215 pagine – ha un pregio particolare, oltre a quello di farci rivivere scene famose di film che fanno parte della storia del secolo scorso: restituisce dignità a quegli artisti che dipingevano i manifesti, pittori come Anselmo Ballester, Alfredo Capitani, Luigi Martinati. “E come Casaro – sottolinea Tornatore – che è stato quello che ha portato più a lungo questa tradizione della cartellonistica pittorica, ma ci sono stati degli artisti, dei pittori che per arrotondare facevano i manifesti per il cinema. Era un’arte particolare, i manifesti erano bellissimi.”
Il regista siciliano, ideatore dell’indimenticabile sequenza finale di “Nuovo Cinema Paradiso” dedicata proprio al bacio, che il parroco don Adelfio tagliava perché li giudicava scabrosi, ha selezionato e commentato più di duecento manifesti originali che coprono un arco temporale di circa un secolo. Si tratta di immagini provenienti dalla collezione di Filippo Lo Medico, il quale – aggiunge ancora Tornatore – “ha dedicato tutta la sua vita alla gestione di sale cinematografiche ed ha collezionato 60 anni di cartellonistica cinematografica. Quando vide “Nuovo cinema Paradiso” manifestò l’idea di fare una raccolta di baci nei manifesti e oggi, a distanza di 25 anni, il sogno si realizza”. Il libro ripercorre dunque su un’unica traiettoria un arco temporale che va dal 1926, col bacio tra Rodolfo Valentino e Vilma Banky nel film “Il figlio dello sceicco”, fino al 2005 con “Cinderella man” e il bacio tra Russell Crowe e Renee Zellweger.
E come non ricordare la locandina dell’indimenticabile bacio tra Clark Gable e Vivien Leigh di “Via col vento” (del 1939) e de “La dolce vita” (del 1960) fra Marcello Mastroianni e Anita Ekberg nella mitica Fontana di Trevi? Ed ancora quello tra Audrey Hepburn e George Peppard in “Colazione da Tiffany”; sublime quello tra Marcello Mastroianni e Sophia Loren in “Una giornata particolare” di Ettore Scola; vigoroso e reale quello tra Jack Nicholson e Jessica Lange in “Il postino suona sempre due volte”; e, più vicino a noi nel tempo, il bacio quasi innocente tra Leonardo Di Caprio e Kate Winslet del “Titanic”; e quello della coppia (allora anche nella vita) Nicole Kidman e Tom Cruise per l’ultimo film di Kubrick “Eyes wide shut”.
Ma il bacio preferito di Tornatore qual è? “Ne ricordo tanti, ma se dovessi scegliere non ho dubbi: è quello fra Tyron Power e Kim Novak in “Incantesimo”, perché con questo film fu inaugurato il Supercinema di Bagheria che era a poche centinaia di metri da casa mia. Lì sono entrato per la prima volta a vedere un film, lì sono ritornato da solo e da ragazzo, sempre in quella sala ho lavorato come proiezionista ».
Una testimonianza toccante che profuma di amore verso il cinema; il bacio che ha segnato la nostra passione rimarrà quello fra il pugile Rocky Graziano/Paul Newman e Norma/Pier Angeli (l’italiana Annamaria Pierangeli), diretti nel 1956 da Robert Wise in “Lassù qualcuno mi ama”, il primo film della personale folgorazione verso quest’arte.
Armando Lostaglio
Nota biografica di ARMANDO LOSTAGLIO iscritto all’Ordine dei Giornalisti di Basilicata; fondatore del CineClub Vittorio De Sica – Cinit di Rionero in Vulture nel 1994 con oltre 150 iscritti; promotore di altri cinecircoli Cinit, e di mostre di cinema per scuole, carceri, centri anziani; autore di testi di cinema: Sequenze (La Nuova del Sud, 2006); Schermi Riflessi (EditricErmes, 2011); autore dei docufilm: Albe dentro l’imbrunire (2012); Il genio contro – Guy Debord e il cinema nell’avangardia (2013); La strada meno battura – a cavallo sulla Via Herculia (2014); Il cinema e il Blues (2016); Il cinema e il brigantaggio (2017). Collaboratore di riviste e giornali: La Nuova del Sud, e web Altritaliani (Parigi), Cabiria, Francavillainforma; Tg7 Basilicata.
Il collezionista di baci. Ediz. illustrata di Giuseppe Tornatore Mondadori Electa 2014
-Giulia Ananìa L’AMORE È UN ACCOLLO Poesie (quasi) romantiche parole cantate da
: romane come la lingua universale che fu di Pier Paolo Pasolini e di Gabriella Ferri–
-Editore -Red Star Press- ROMA-
Poesie Erotiche e ironiche, tenere e al tempo sferzanti, innamorate persino nella disillusione e dolci anche quando piangono e, nel sorridere, riflettono, commuovono e feriscono…L’AMORE È UN ACCOLLO Così sono le parole cantate da Giulia Ananìa: romane come la lingua universale che fu di Pier Paolo Pasolini e di Gabriella Ferri, stradaiole per vocazione girovaga di un’autrice dalle radici capaci di estendersi da Trastevere a Bombay; e, come uno scalpello, capaci di cesellare in un tempo via via crudele e indifferente quegli attimi di assoluto stupore a cui si dà il nome di Poesia.
-Editore -Red Star Press- ROMA-
Quella della cooperativa editoriale Red Star Press è la storia di un piccolo gruppo di lavoratrici e lavoratori che, dopo aver prestato a lungo il proprio braccio e la propria mente all’industria editoriale, prendono la decisione di fare una cosa diversa: creare loro stessi, e senza padroni, una casa editrice in grado di dare il giusto spazio ai temi relativi alla storia e alla memoria del movimento operaio. Correva l’anno 2012 e, nel mese di aprile, vedeva la luce il primo titolo con la stella in copertina.
Si trattava de “Il libretto rosso della Resistenza”, destinato a inaugurare la collana “I libretti rossi”, pensata per offrire in chiave divulgativa i testi dei giganti del pensiero politico rivoluzionario e in modo sintetico quelli che sono stati i grandi momenti di riscossa popolare. Insieme ai “Libretti rossi”, nel giro di pochi mesi arrivano in libreria e negli infoshop di movimento i volumi della collana “Unaltrastoria” e “Tutte le strade”: libri concepiti per durare nel tempo, concentrandosi, rispettivamente, sulla storia delle grandi lotte di liberazione e, in modo meno convenzionale, su generi come il reportage, la biografia, il memoir, il fumetto, la narrativa e la poesia, per tradurre con la carta e con l’inchiostro quelle che sono le aspirazioni di cambiamento provenienti da ogni tempo e da ogni paese. Con gli anni, a questa programmazione, si sono affiancati i contenuti ospitati nelle collane “Le Fionde” (saggistica politica), “Barrio Chino” (urbanistica, geografia sociale e antropologia urbana) e, dedicata ai bambini e alle bambine, la nuova collana “Red Star Kidz”: materiale che, fedeli alla nostra vocazione “stradaiola”, abbiamo avuto l’occasione di diffondere nel corso dei principali appuntamenti dedicati ai libri in giro per l’Italia. costruendo un punto di riferimento orgogliosamente antifascista, antisessista e antirazzista agli ingranaggi collettivi della memoria.
Ci sono altri temi particolarmente cari alla Red Star Press. La musica, la controcultura e lo sport popolare – un campo rispetto al quale, dalla Red Star, nasce l’etichetta Hellnation Libri – e poi l’arte contemporanea e ipercontemporanea, di cui, in modo sistematico, si occupa l’altra etichetta della cooperativa: Bizzarro Books.
Nella sede di viale di Tor Marancia 76, a Roma, in ogni caso, la Red Star Press non si occupa solo di libri. Dalla serigrafia, infatti, escono le t-shirt ispirate alle pubblicazioni e fedeli alla stessa linea editoriale: pensiamo ciò che siamo e stampiamo ciò che pensiamo; e ciò che siamo lo indossiamo! O, convinti che muri puliti possano solo significare popoli muti, lo appendiamo: come accade con le grafiche dedicate ai grandi personaggi della storia popolare.
Questa, in sintesi, è la storia della Red Star Press. E identici sono i motivi che ispirano il suo lavoro. Affinché l’editoria torni a dare spazio ai sogni. In attesa di assaltare il cielo.
Red Star Press
Viale di Tor Marancia 76
Roma, Italia
CAP 00147
«Giulia mi sembrava quella che ho spesso cercato e non ho mai trovato» (Carlo Verdone)
Giulia Ananìa
Erotiche e ironiche, tenere e al tempo sferzanti, innamorate persino nella disillusione e dolci anche quando piangono e, nel sorridere, riflettono, commuovono e feriscono… Così sono le parole cantate da Giulia Ananìa: romane come la lingua universale che fu di Pier Paolo Pasolini e di Gabriella Ferri, stradaiole per vocazione girovaga di un’autrice dalle radici capaci di estendersi da Trastevere a Bombay; e, come uno scalpello, capaci di cesellare in un tempo via via crudele e indifferente quegli attimi di assoluto stupore a cui si dà il nome di Poesia.
Com’è che te chiami stavolta?
Qual è il tuo nome d’arte?
Marta? Federico? Carlotta?
Vabbè è inutile che te cerchi un nome
te chiami Amore-
Giulia Ananìa
Introduzione di Carlo Verdone-Postfazione di Irene Ranaldi
Edizioni Red Star Press Viale di Tor Marancia 76 Roma, Italia CAP 00147
Fara in Sabina -La seconda settimana del Festival FLIPT del Teatro Potlach
Fara in Sabina -Il grande festival FLIPT – Festival Laboratorio Interculturale di Pratiche Teatrali del Teatro Potlach di Fara Sabina ha avuto inizio il 26 giugno e prosegue fino al 7 luglio nella sua sessione internazionale.
Il Festival è sostenuto dalla Regione Lazio e dalla Fondazione Varrone, e che ha il patrocinio della Provincia di Rieti e del Comune di Fara Sabina.
La prima settimana di Festival ha visto succedersi numerosi spettacoli internazionali di altissima qualità, e la seconda settimana di festival non è da meno.
Pino Di Buduo, direttore artistico del Teatro Potlach
Ecco tutti i prossimi appuntamenti:
Lunedì 1 luglio alle 18:00 presso il Teatro Potlach
La compagnia polaccaTeatr Brama porta in scena lo spettacolo “Voices”, dove la principale forma di espressione è il canto, trasportando lo spettatore in diversi mondi emotivi. Uno spettacolo in cui gli spettatori potranno perdersi tra le polifonie meravigliose di paesi lontani, grazie ai 6 attori/musicisti in scena.
E poi alle ore 21:00 presso il Teatro Potlach
La compagnia brasiliana Estelar de Teatro si esibirà con lo spettacolo “Tarsila o il vaccino antropofagico”. Poesia, musica e videoproiezioni delle immagini del pittore brasiliano Tarsila do Amaral, in uno spettacolo-utopia e manifesto artistico alla ricerca di nuove immagini. Con l’attrice Viviane Dias.
Martedì 2 luglio altri due appuntamenti per il FLIPT:
Alle ore 18:00 lo spettacolo “La lingua dei fiori”, della compagnia italiana Teatro Nucleo, animerà la passeggiata del Belvedere di Fara in Sabina. In scena sette attori, per uno spettacolo che vuole indagare con gli strumenti della poesia, del canto, dell’immagine, la vita ribelle e silenziosa del mondo vegetale: nell’indifferenza generale, i fiori organizzano la loro lenta ma inesorabile rivoluzione fatta di bellezza, profumo, incanto. Lo spettacolo è gratuito e non è necessaria la prenotazione.
Alle ore 21:00 al Teatro Potlach una coproduzione tra “Kamigata-mai Monokai”, la compagnia di Keiin Yoshimura dal Giappone, e Residui Teatro dalla Spagna, con lo spettacolo “White Bird”. L’opera si basa su un antico racconto tradizionale giapponese, interpretato con diverse tecniche del teatro e della danza tradizionali giapponesi (teatro Noh, Kyogen e Kamigata-mai) in aggiunta a tecniche del teatro fisico e della Commedia Dell’Arte.
Mercoledì 3 luglio continuano gli spettacoli:
Alle ore 18.00 sarà presentato “La mia vita nell’arte” della compagnia brasiliana Estelar de Teatro presso il Teatro Potlach. Lo spettacolo condivide i paradossi di un regista pedagogo nel XXI secolo – un mondo digitale – che cerca ispirazione dalle lezioni di K. Stanislávski nei suoi luoghi di utopia per nutrire un teatro del futuro.
Alle ore 21:00, presso il giardino del Teatro Potlach, ci sarà lo spettacolo “caMARá” della compagnia tedesca antagon theaterAKTion. Due uomini vagano tra le onde, danzando con le stelle. Benedikt Müller e Lucas Tanajura del gruppo antagon Theater AKTion utilizzano teatro, danza, acrobazie, musica strumentale e canto per creare un viaggio intimo iniziato con la domanda: “Cosa succede quando perdiamo tutte le certezze e ci tuffiamo nell’ignoto? Dove ci porterà il nostro viaggio quando lasciamo la terraferma e ci arrendiamo alle forze della natura?” Uno spettacolo da non perdere
Giovedì 4luglio un’altra ricca giornata:
Alle ore 18:00 ci sarà, presso il Teatro Potlach, lo spettacolo “Home” della giovane compagnia ucraina“Maysternya 55”. Lo spettacolo esplora artisticamente il concetto di casa e come cambia nel tempo e durante la guerra. Il collettivo, composto da ucraini sparsi per il mondo a causa della guerra in Ucraina, riflette su due concetti di casa: quello originale e quello attuale.
Alle ore 21:00 uno spettacolo in coproduzione tra il Centro Anziani “Insieme” di Fara Sabina APS, il Teatro Potlach, e l’assessorato ai Servizi Sociali del comune di Fara in Sabina. “Le radici del futuro” è il titolo dell’evento che avrà come protagonista il Monumento ai Caduti di Fara in Sabina che prenderà vita nuova con luci, proiezioni e installazioni visive. Alla fine del percorso artistico allestito sul monte, sarà possibile assistere a un filmato che racconta, attraverso la voce di chi ha il ricordo del passato e delle tradizioni, la storia dei mutamenti della vita nei borghi, per trasmetterla alle nuove generazioni. E a seguire… una sorpresa dal vivo, per permettere un contatto tra le generazioni, tra il passato e il presente!
Il 6 e 7 luglio l’appuntamento imperdibile con lo storico spettacolo del Teatro Potlach “Città invisibili”. Gli oltre 100 artisti Italiani ed internazionali che hanno partecipato a queste dodici giornate di Festival invaderanno il centro storico di Fara in Sabina con performance, teatro, danza, musica e molto altro!
Per info e prenotazioni scrivere al numero del Teatro Potlach: 3517954176
Teatro Potlach -Via Santa Maria in Castello n.28 | Fara in Sabina (RI)
Angelo Sommaruga articolo scritto per la Rivista PAN N°2 del 1934-
Giosuè Carducci nasce il 27 luglio 1835 a Valdicastello, vicino Lucca, e fino al 1839 vive immerso nel meraviglioso paesaggio toscano della Maremma. Nella sua esperienza personale, questi anni in Toscana rivestono un ruolo fondamentale per la formazione della sua sensibilità: l’immagine di una natura incontaminata, energica e vitale accompagnerà tutta la sua produzione poetica. Dopo i primi studi, nel 1853 viene ammesso alla Scuola Normale Superiore di Pisa dove uscirà, laureato in Filologia, nel 1856.
Giosuè CARDUCCI
Passando da Pisa a Firenze, negli anni successivi all’Università, partecipa agli incontri della società “Amici Pedanti” che si batteva per un immediato ritorno al classicismo della letteratura contro la modernità e le nuove idee del Romanticismo, un dibattito molto sentito in Italia all’epoca in quanto ogni intellettuale e letterato del tempo si schierava – e lottava – a favore o contro il classicismo in contrasto con le idee romantiche. Sua la frase: «Colui che potendo esprimere un concetto in dieci parole ne usa dodici, io lo ritengo capace delle peggiori azioni.» Arrivano anni duri, però, per il giovane Carducci. Suo fratello muore suicida e presto anche il padre passa a miglior vita lasciando Carducci responsabile per la madre e per l’altro fratello. Sono comunque anni di intensa attività editoriale, non si da per vinto, cura varie edizioni di classici italiani e, negli stessi anni, sposa Elvira Menicucci da cui ebbe quattro figli. Nel 1859 cade il Granducato di Toscana, evento questo che suscita in lui un grande entusiasmo in vista dei moti risorgimentali, e fino agli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia insegnerà prima in un liceo di Pistoia poi all’Università di Bologna, dove vive a partire dal 1860. In questo periodo sale in lui una crescente delusione verso la nuova classe dirigente dello Stato Unitario – è soprattutto insofferente verso la mancata liberazione di Roma – e comincia ad appoggiare ideali repubblicani e giacobini fino ad un aspro anticlericalismo, tutti atteggiamenti questi che lo metteranno in cattiva luce davanti al governo ufficiale che arriverà addirittura a sospenderlo dall’insegnamento. Il 1870 si apre per Giosuè Carducci con altri gravi lutti: perde la madre e uno dei figli avuti nel primo matrimonio. Si accompagna però a questo dolore un grande successo come poeta, pubblica una raccolta di poesie e comincia una nuova relazione amorosa con una donna intellettuale entrata in contatto con lui, inizialmente, attraverso scambi epistolari: Carolina Cristofori Piva. Intanto il suo atteggiamento giacobino si affievolisce gradualmente e nel 1876 viene candidato come democratico alle elezioni parlamentari. Pian piano comincia ad accettare il ruolo dei monarchici Savoia come garanti dell’Unità italiana e, dopo l’incontro con la regina Margherita a Bologna, nel novembre del 1878, fu tanto grande per lui il fascino esercitato dalla donna che scrisse un’ode Alla regina d’Italia avviandosi così, definitivamente, verso gli ideali monarchici. Non solo: Giosuè Carducci diventa il vate dell’Italia umbertina e viene nominato, nel 1890, senatore del Regno. Gli ultimi anni continuano ad essere caratterizzati da una febbrile attività editoriale e poetica consacrando la sua posizione di poeta ufficiale dell’Italia monarchica. Vince il premio Nobel per la letteratura nel 1904 e a pochissimi anni da questo meritato successo muore a Bologna, per una broncopolmonite, il 16 febbraio del 1907.
Curiosità
Giosuè Carducci così descriveva se stesso: «Sono superbo, iracondo, villano, soperchiatore, fazioso, demagogo, anarchico, amico insomma del disordine ridotto a sistema; e mi è forza fare il cittadino quieto e da bene.» Era notoriamente amante del buon cibo e del vino, organizzava mangiate con gli amici che iniziavano la mattina e terminavano la sera e pare che la sua collaborazione con la rivista “Cronaca Bizantina” venisse pagata con barili di Vernaccia!
Lo stile di Carducci
Un nuovo tipo di Classicismo da opporre al RomanticismoIn Italia, nonostante la diffusione di alcune delle idee romantiche circolanti in Europa nel corso dell’Ottocento, il classicismo non si è mai spento: l’educazione scolastica lo mantiene in vita e l’esempio di poeti come Monti, Foscolo e Leopardi garantiscono degli esempi autorevoli e dei modelli a cui rifarsi soprattutto per imitare il linguaggio aulico e latineggiante. A dispetto di questo, però, il classicismo ha assunto un aspetto stantio e chiuso: il mondo latino è divenuto solo un repertorio di figure a cui attingere e un linguaggio da imitare in modo sterile. Carducci invece ripropone un classicismo vitale ed energico che viene ad imporsi nella cultura italiana come un modello elevato di comunicazione poetica che si mescola con un grande bisogno di realismo. La poesia deve, attraverso un linguaggio e tematiche riprese dal mondo greco e latino, raccontare la realtà contemporanea senza introdurre elementi surreali o inquietanti come quelli del romanticismo.
Fonte- Studenti-Mondadori Media S.p.A. – Via Gian Battista Vico 42 –
CARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINACARDUCCI e la BIZANTINABiblioteca DEA SABINA- IL CARDUCCI E LA BIZANTINA -RIVISTA PAN FEBBRAIO 1934 19
La Leggenda della Fondazione-La Scuola Medica Salernitana è considerata la più antica ed importante Istituzione medica medioevale dell’Occidente per l’insegnamento e l’esercizio della Medicina, che ha innovato profondamente nei principi, staccandoli dagli influssi religiosi. Ha unito i principi della scienza medica dell’Occidente e dell’Oriente; ha accolto le donne, sia come studenti che come docenti; ha teorizzato che le malattie si possono prevenire, mantenendo in salute il corpo, attraverso l’adozione di precise regole igieniche, di una corretta dieta alimentare ed un sano regime di vita. Molto probabilmente è nata nel IX secolo ed ha avuto il massimo splendore nei secoli XI-XIII, diventando famosa in tutta l’Europa.
SCUOL A MEDICA SALERNITANA-
Da molti studiosi è considerata la prima vera Università, che ha formato molte generazioni di medici, famosi in tutta l’Europa fino al XIV secolo,quando,lentamente, inizia la sua decadenza.
Esiste la seguente Leggenda sulla fondazione della Scuola Medica Salernitana:
Un pellegrino greco, di nome Pontus (o Areteo), proveniente da Alessandria d’Egitto,dove ha perso tutti i suoi familiari, arriva a Salerno e si rifugia per la notte sotto gli archi dell’antico acquedotto dell’Arce. Essendo scoppiato un temporale, si ripara nello stesso luogo un altro viandante:è il latino Salernus (o Antonio), che è ferito ad un braccio. Il greco Pontus gli si avvicina per osservare come sta medicando la sua ferita. Intanto arrivano altri due viandanti, l’ebreo Helinus (o Isacco), che viene da Betania, e l’arabo Abdela (o Abdul) originario di Aleppo (Siria), che sono amici. Anche costoro si interessano alle medicazioni della ferita che sta praticando Salernus, al quale tutti cercano di dare dei consigli. Così,,i quattro scoprono che tutti praticano l’arte della Medicina. Diventano amici e decidono di creare un sodalizio, costituendo una Scuola (Schola) Medica per mettere in comune e divulgare le loro specifiche conoscenze sanitarie, allo scopo di curare e guarire i malati.
Altre Leggende
Oltre alla Leggenda della Fondazione, ci sono altre leggende che attestano la bravura dei Medici della Scuola. Vediamone alcune.
Leggenda del Povero Enrico
Una delle leggende più celebri è la cosiddetta Leggenda del Povero Enrico, tramandata dai menestrelli tedeschi medievali e riscoperta nell’Ottocento.
Secondo la leggenda,il Principe Enrico di Germania, un giovane splendido e forte, fidanzato con la giovane Principessa Elsie, è colpito dalla lebbra e comincia a deperire rapidamente, tanto che i sudditi, vedendolo ormai destinato a morte certa, lo ribattezzano “il Povero Enrico”. Il Principe, una notte sogno il diavolo che gli suggerisce di andare a farsi curare dai medici salernitani,ma gli dice anche che sarebbe guarito solo se avesse fatto un bagno nel sangue di una giovane vergine,che fosse morta volontariamente per lui. La Principessa Elsie si offre immediatamente per il sacrificio, ma Enrico lo rifiuta, preferendo ascoltare il parere dei medici salernitani. Pertanto,Enrico, con la sua Corte,va a Salerno. Però, prima di andare alla Scuola Medica, si reca nella Cattedrale per pregare sulla tomba di S. Matteo, dove ha una visione mistica e miracolosamente guarisce. Sposa quindi Elsie sull’altare di S. Matteo.
SCUOL A MEDICA SALERNITANA-
Leggenda di Roberto e Sibilla
Molto nota è anche la Leggenda di Roberto di Normandia e di Sibilla da Conversano.
Il Re Roberto di Normandia, durante la Crociata, è colpito da una freccia avvelenata e le sue condizioni appaiono subito gravi. Pertanto, decide di ritornare in Inghilterra. Durante il viaggio,si ferma a Salerno per consultare i Medici della Scuola, i quali gli dicono che l’unico modo per salvare la vita è quello di succhiargli via il veleno dalla ferita, ma colui che l’avrebbe fatto sarebbe morto. Roberto rifiuta l’intervento di tutti, preferendo morire, ma durante la notte sua moglie Sibilla da Conversano gli succhia il veleno e poi muore.
Questa leggenda è raffigurata in una miniatura sul frontespizio del Canone di Avicenna, in cui si vede Roberto con la sua Corte che, alle porte della città di Salerno, saluta e ringrazia i medici, mentre sullo sfondo le navi stanno partendo;sulla sinistra, altri quattro medici si occupano della Regina Sibilla,riconoscibile dalla Corona sulla testa, che è avvizzita dal veleno.
LA STORIA
Nella storia della Scuola Medica si distinguono tre periodi:
IX-X secolo: le origini, di cui si hanno scarse notizie;
XI-XIII secolo: il massimo splendore;
XIV-XVI secolo: la decadenza
Primo Periodo: IX-X secolo (le origini)
Le origini della ScuolaMedica sembra che risalgano al IX secolo, ma di questo periodo esiste una scarsa documentazione. In particolare, si sa poco della natura, laica o monastica, dei medici che ne fanno parte e non è certo che la Scuola avesse già un’organizzazione.
Nel X° secolo, Salerno è una città molto famosa,non solo per il suo clima salubre, ma anche per la bravura dei suoi medici. Di essi si racconta che «erano privi di cultura letteraria, ma erano forniti di grande esperienza e di un talento innato». Infatti in questo periodo la natura degli insegnamenti medici è essenzialmente pratica e le nozioni sono tramandate oralmente.
Secondo periodo: XI-XIII secolo (il massimo splendore)
Nel XI secolo,la fama della Scuola Medica si diffonde in tutta l’Europa.
La posizione geografica di Salerno ha avuto sicuramente un ruolo molto importante nella diffusione della fama della Scuola Medica. Infatti, la città, con il suo porto ubicato al centro del Mediterraneo, subisce e rielabora gli influssi della cultura greco-bizantina ed araba.
Attraverso il commercio marittimo, arrivano i libri di scienza sanitaria di Avicenna ed Averroè.
A Salerno arriva anche il medico cartaginese Costantino l’Africano che vi si ferma per diversi anni e traduce in latino dal greco e dall’arabo molti testi di Medicina: gli Aphorisma e i Prognostica di Ippocrate; i Tegni ed i Megategni di Galeno; il Kitāb-al-malikī (ossia Liber Regius, o Pantegni) di Ali ibn Abbas (Haliy Abbas); il Viaticum di Al- Jazzar; il Liber divisionum e il Liber experimentorum di Rhazes (Razī); il Liber dietorum, il Liber urinarium e il Liber febrium di Isacco da Toledo.
Si riscoprono così le opere classiche di Medicina, conservate nei monasteri, ma dimenticate.
In questo periodo, la ScuolaMedica di Salerno si sviluppa fino a raggiungere il massimo splendore tra il XII ed il XIII secolo:la città ottiene il titolo di Hippocratica Civitas (Città di Ippocrate), di cui ancora oggi si fregia.
Giungono alla Schola Salerni persone provenienti da tutta Europa, sia malati che sperano di essere guariti, sia studenti che vogliono apprendere l’arte della Medicina. Il prestigio dei medici di Salerno è ampiamente testimoniato dalle cronache dell’epoca e dai numerosi manoscritti conservati nelle maggiori biblioteche europee.
Nel 1231 l’Imperatore Federico II sancisce ufficialmente il prestigio della Scuola Medica Salernitana, attraverso la Costituzione di Melfi, nella quale si stabilisce che la professione di medico può essere esercita solo da persone che hanno conseguito il diploma rilasciato dalla Schola Salerni.
Terzo periodo: XIV-XIX secolo (la decadenza)
Con la costituzione e lo sviluppo dell’Università di Napoli, la ScuolaMedica Salernitana incomincia a perdere la sua importanza. Con il passare del tempo, infatti, il suo prestigio è lentamente oscurato da quello delle nuove Università, in particolare Montpellier in Francia,Padova e Bologna in Italia. Comunque, la Schola Salerni rimane attiva ancora per alcuni secoli fino alla soppressione, il 29 novembre 1811, da parte del Re Gioacchino Murat, in occasione della riorganizzazione dell’Istruzione pubblica nel Regno di Napoli. Però, le “Cattedre di Medicina e Diritto” della Scuola Medica Salernitana continuano ad essere operative ,nel “Convitto nazionale Tasso” di Salerno, ancora per un cinquantennio, fino alla loro soppressione definitiva nel 1861,da parte Ministro dell’Istruzione del Regno d’Italia,Francesco De Sanctis.
I PRINCIPI INNOVATIVI
IL SINCRETISMO
SCUOL A MEDICA SALERNITANA-
Uno dei Principi fondamentali della Scuola Medica Salernitana è il sincretismo, ricordato nella Leggenda della fondazione da parte dei quattro medici. Infatti, le basi teoriche della Scuola si fondano sul “sistema degli umori” elaborato da Ippocrate e da Galeno, ma la tradizione medica greco-latina è completata dalle nozioni provenienti dalle culture ebraica ed araba. La Scuola Ha quindi unito i principi della scienza medica dell’Occidente e dell’Oriente.
La posizione geografica di Salerno ha avuto sicuramente un ruolo molto importante nella diffusione della fama della Scuola. Infatti, la città, con il suo porto ubicato al centro del Mediterraneo, subisce e rielabora gli influssi della cultura greco-bizantina ed araba. Attraverso il commercio marittimo, arrivano a Salerno i libri di Medicina di Avicenna ed Averroè.
IL LAICISMO
Un altro principio importante praticato nella Scuola è il laicismo. Infatti, fino ad allora,la pratica e l’insegnamento della Medicina è appannaggio dei Monaci e degli Ecclesiastici, che ne tramandano oralmente l’insegnamento. Inoltre, gli influssi religiosi sono molto forti, tanto da ritenere che sia inutile “curare il corpo”,dato che la salvezza riguarda solo l’anima. Pertanto, si accetta passivamente la morte, come manifestazione del destino dell’uomo e della volontà divina.
La Scuola Medica Salernitana, invece, innova profondamente i principi dell’insegnamento della Medicina,staccandoli dagli influssi religiosi. In particolare, elabora la teoria che le malattie possono e devono essere curate e che,addirittura, si possono prevenire, cercando di mantenere la salute del corpo, attraverso l’adozione di precise regole igieniche,di una corretta dieta alimentare ed un sano regime di vita.
La Scuola, in questo modo, dà origine alla cultura della Prevenzione delle malattie, che pertanto non devono essere più accettate passivamente.
La Scuola, inoltre, elabora concetti vicini alla moderna psicosomatica, consigliando,oltre al buon mangiare, anche il riposo e l’allegria. La “cura del corpo”è quindi fondamentale per il benessere fisico. Con il tempo, questi nuovi insegnamenti, considerati rivoluzionari ed in parte eretici, si affermano sempre di più, tanto che il Concilio di Reims proibisce ai religiosi l’esercizio della Medicina.
L’ACCOGLIENZA DELLE DONNE COME STUDENTI E COME DOCENTI
Altra importante innovazione della ScuolaMedica Salernitana,è l’accettazione delle donne ,sia come studenti che come docenti. Pertanto, è di particolare importanza, dal punto di vista culturale,il ruolo svolto dalle donne sia nell’esercizio che nell’insegnamento della Medicina, in cui hanno introdotto molte innovazioni, soprattutto nella Ostetricia.
Le donne che operano ed insegnano nella Scuola sono conosciute con l’appellativo di Mulieres Salernitanae, le più famose delle quali sono Trotula de Ruggiero, vissuta nell’XI secolo,Abella Salernitana, Rebecca Guarna, Costanza Calenda e Maria Incarnata, vissute nel XIV secolo.
In particolare, Trotula de Ruggero diventa una famosa ostetrica e scrive il De mulierum passionibus in, ante e post partum, in cui elabora importanti principi di Ostetricia e dà istruzioni per le partorienti. Scrive anche un famoso Trattato di cosmesi De ornatu mulierum. Trotula fa parte di una famiglia di medici famosi. Infatti sono importanti esponenti della Scuola sia suo marito, Giovanni Plateario,che i due figli Giovanni Plateario il Giovane e Matteo Plateario. In particolare, quest’ultimo,nel suo Trattato di fitoterapia De medicinis simplicibus, descrive oltre 500 piante, classificate in base alle loro proprietà medicamentose,ed informa sulla sofisticazione dei prodotti medicinali.
L’IMPORTANZA DELLA PRATICA
La Scuola Medica Salernitana, rappresenta inoltre un momento fondamentale nella storia della Medicina anche per le innovazioni che introduce nella metodica medica, che si basa fondamentalmente sulla Pratica e sull’esperienza maturata nella quotidiana attività di assistenza ai malati.
SCUOL A MEDICA SALERNITANA-
LO SVILUPPO DELLA FARMACOLOGIA
La Scuola, inoltre, con la traduzione dei testi arabi di Medicina,elabora una vasta cultura fitoterapica, sulle proprietà curative delle erbe, che porta allo sviluppo della Farmacologia,cioè l’arte di preparare i rimedi (medicamenti)per la cura delle malattie.
LO SVILUPPO DELLA CHIRURGIA
Nella ScuolaMedica Salernitana si sviluppa fin dal XII secolo una nuova pratica sanitaria: la Chirurgia, che per la prima volta, si eleva alla dignità di una vera e propria Scienza Medica.
Ruggero Frugardo scrive nel XIII secolo il primo Trattato di Chirurgia, che si diffonde rapidamente in tutta l’Europa.I suoi insegnamenti sono raccolti dal suo discepolo Guido d’Arezzo nel Trattato Chirurgia Magistri Rogerii, che è il testo ufficiale di Chirurgia fino alla fine del XIV secolo.
Nel settore della Chirurgia , ricordiamo anche Giovanni da Casamicciola, che inventa una particolare tecnica per la legatura dei vasi sanguigni,con un filo di seta.
Per apprendere le tecniche chirurgiche, arrivano a Salerno molti studenti stranieri, specialmente tedeschi.
LO SVILUPPO DELL’OCULISTICA
La Schola Salerni sviluppa anche l’Oculistica. Al riguardo, ricordiamo Benvenuto Grafeo che scrive il Trattato De arte probatissima oculorum, che ha una notevole diffusione in Europa.
IL CORSO DI STUDI
Il Corso di Studi (Curriculum studiorum) della Scuola Medica Salernitana è ben strutturato, per far apprendere allo studente sia i principi dell’Arte Sanitaria che la necessaria esperienza pratica per poter curare efficacemente le diverse malattie. Infatti, il Corso di Studi è costituito da:
3 anni di Logica;
5 anni di Medicina (studio dei Trattati, dell’Anatomia, con dissezione di cadaveri per studiare gli organi, esercitazioni pratiche );
Esame finale con il Maestro del Corso e con un Collegio di medici (l’Almo Collegio) che rilascia un attestato (Privilegio Dottorale), che deve essere convalidato dal Re.
Un anno di pratica presso un medico anziano, necessario per esercitare la professione.
Nella Scuola, oltre all’insegnamento della Medicina si tengono anche corsi di Filosofia,Teologia e Giurisprudenza . Per questo motivo, la Scuola è considerata da molti storici come la Prima Vera Università, anche se non è stata mai chiamata
SCUOL A MEDICA SALERNITANA-
“Università”.
LE MATERIE DI INSEGNAMENTO
Le materie di insegnamento nella Scuola Medica Salernitana ci sono note attraverso lo Statuto.
L’insegnamento della Medicina allora si distingue in Teoria e Pratica. La prima serve per far conoscere l’anatomia del corpo, con i vari organi e le loro funzioni. La seconda, invece, serve per apprendere le tecniche per curare le malattie e per conservare la salute.
Anche nella ScuolaMedica Salernitana si seguono, nell’insegnamento, i principi di Ippocrate e di Galeno. Le lezioni consistono essenzialmente nell’interpretazione dei loro testi.
Riguardo alla Filosofia, si insegnano i principi di Aristotele.
L’ALMO COLLEGIO MEDICO SALERNITANO
Il Collegio Medico è un Corpo accademico indipendente della Scuola, che deve sottoporre gli studenti, che hanno compiuto i prescritti anni di studio, a un rigoroso esame,necessario non solo per ottenere il “Dottorato” (la Laurea) per poter esercitare la professione medica, ma anche per poter insegnare.
Il primo provvedimento legislativo che convalida le prerogative del Collegio Medico,diretto da un Priore (Prior), dando il riconoscimento giuridico ai titoli accademici da esso rilasciati, è emanato dall’Imperatore Federico II nella Costituzione, emanata a Melfi nel 1231.
La cerimonia per il conferimento della Laurea (Privilegio Dottorale) si svolge in origine nella Chiesa di S. Pietro a Corte ed in seguito in quella di S. Matteo e nella Cappella di S. Caterina.
Il giuramento che deve prestare il neo laureato è rappresentativo dell’alta concezione morale della funzione del medico: infatti, da un lato giura di aiutare il malato povero, senza chiedere nulla, e contemporaneamente giura davanti a Dio e agli uomini di vivere onestamente e di conservare una severità di costumi. Invece, per poter esercitare la Farmacia, cioè l’arte di preparare i rimedi (medicamenti),si richiedono qualità morali molto elevate, onestà e illibatezza di costumi. Alla Scuola spetta quindi il grande merito di aver stabilito per la prima volta le norme che il Medico deve seguire nella cura del malato,da cui si evince la grande importanza che essi attribuivano alla “missione” del medico o del farmacista.
L’autenticità del Diploma di Laurea (Privilegio Dottorale),rilasciato dall’Almo Collegio Medico di Salerno, è attestata dal Notaio ed ha valore dovunque il laureato si presenta per esercitare la professione. Nei Privilegi Dottorali non solo è segnata la data in cui si è sostenuto l’esame, ma anche l’anno del Pontificato del Papa dato che il calendario civile varia secondo i diversi Stati.
I Diplomi inoltre hanno il sigillo in ceralacca dell’Almo Collegio Medico, di forma circolare, con al centro lo stemma della città di Salerno,rappresentato dal Patrono S. Matteo nell’atto di scrivere il Vangelo.
L’ORGANIZZAZIONE DELLA SCUOLA
Fino al Medioevo, l’insegnamento della Medicina è esercitato da singoli Medici, molti dei quali sono avviati all’Ars medica per tradizione di famiglia.
La Scuola Medica Salernitana, invece, all’inizio dell’XI secolo, è un Istituto con una propria organizzazione,costituita da Docenti con particolari meriti,di cui è responsabile il Praeses ( Preside), che è una figura diversa dal Prior (Priore), che è invece la suprema dignità dell’Almo Collegio, sorto più tardi, e che è eletto per merito oltre che per anzianità.
Nella Scuola Medica Salernitana si distinguono il medicus e il medicus et clericus , che segnano due periodi distinti della Schola Salerni.
Il medicus è il titolo attribuito alle origini della Scuola, in cui l’arte medica è basata essenzialmente sull’empirismo ed il medico ricorre a espedienti pratici per curare il malato.
Il medicus et clericus, invece, conosce profondamente la Medicina perchè ha studiato sui Trattati,scritti da eminenti scienziati, e perciò è un “dotto”.
LE SEDI DELLA SCUOLA
La ScholaSalerni ha avuto varie sedi, anche se al riguardo le notizie non sono suffragate da riscontri documentari. Le sedi d’insegnamento, in ordine cronologico e spesso in contemporaneità tra di loro, sono state: la Reggia di Arechi II o le sue adiacenze; la Cappella superiore e inferiore di S. Caterina; l’atrio e la scalinata marmorea del Duomo.
A causa dell’inagibilità della Cappella di S. Caterina, la sede della Scuola è diventata il Palazzo della Pretura, in via Trotula de Ruggiero. L’ultima sede della Scuola è stato invece l’ex Seminario Arcivescovile,nel Palazzo Copeta.
I DOCENTI DELLA SCUOLA
La Scuola Medica Salernitana ha avuto numerosi importanti docenti. Nell’XI secolo,nel suo periodo aureo, c’è Garioponto, di origine longobarda (forse era monaco), la cui opera più famosa è il Passionarius, un Trattato in 5 volumi ( con un appendice di altri 3 libri sulla febbre),in cui descrive le varie malattie, indicandone la cura. Garioponto è anche famoso per il fatto che, nel tradurre in latino i concetti medici formulati nella lingua greca, ha coniato dei termini che ancora oggi sono usati in Medicina come cauterizzare, cicatrizzare,polverizzare, gargarizzare.
Contemporanea di Garioponto,alla metà dell’XI secolo, c’è la la famosa donna medico Trotula de Ruggiero,che diventa Docente della Scuola e scrive il De mulierum passionibus in,ante e post partum, in cui elabora importanti principi di Ostetricia. Scrive anche un famoso Trattato di cosmesi De ornatu mulierum.
Nell’XI secolo c’è Alfano, I’Arcivescovo benedettino, di nobili origini longobarde, che scrive due importanti Trattati: De quattuor umoribus e De pulsibus.
Ricordiamo anche Romualdo di Guarna, un prelato, che è chiamato due volte al capezzale del Re di Sicilia Guglielmo I.
Nello stesso periodo, c’è il famoso medico cartaginese Costantino l’Africano, che traduce in latino molti Trattati di medicina in lingua greca ed araba.
Nella seconda metà del XII secolo, si distinguono: Maestro Salerno e Matteo Plateario junior . Maestro Salerno, nelle sue Tabulae Salernitanae e ne Il Compendium ( che forma con le Tabulae un Trattato di Terapia generale e di preparazione dei farmaci) classifica i rimedi (detti “semplici”) secondo le loro proprietà curative.
Matteo Plateario junior (uno dei figli di Trotula de Ruggiero e di Giovanni Plateario- anch’egli famoso medico-), nel suo Trattato di fitoterapia De medicinis simplicibus descrive oltre 500 piante, classificate in base alle loro proprietà medicamentose,ed informa sulla sofisticazione dei prodotti medicinali.
Nel XII secolo, ricordiamo anche Niccolò Salernitano, a cui si deve lo sviluppo della Farmacopea, con il suo Trattato Antidotarium, che l’Imperatore Federico II diffonde in tutta l’Europa.
Nel XIII secolo, ricordiamo Ruggero Frugardo, che è considerato il fondatore della moderna Chirurgia. I suoi insegnamenti sono raccolti dal suo discepolo Guido d’Arezzo nel Trattato Chirurgia Magistri Rogerii, che è il testo ufficiale di Chirurgia fino alla fine del XIV secolo.
Alcuni famosi medici salernitani partecipano ad operazioni belliche. Al riguardo, ricordiamo Bartolomeo da Vallona e Filippo Fundacario, che nel 1299 prestano servizio in Sicilia,nell’Esercito di Roberto d’Angiò, Duca di Calabria.
Alla fine del XIV secolo, opera il famoso medico Antonio Solimena, molto stimato dalla Regina di Napoli Giovanna II,e che è nominato Maestro Razionale della Magna Curia.
Purtroppo, molte opere scientifiche dei Maestri Salernitani sono andate perdute.
LA REGOLA SANITARIA SALERNITANA
I precetti della Scuola Medica Salernitana sono elencati nel Flos Medicinae Salerni, meglio noto come Regola Sanitaria Salernitana (Regimen Sanitatis Salernitanum), chiamato anche Lilium Medicinae.
La Regola è stata scritta in versi latini, probabilmente nei secoli XI-XII e quasi certamente è il risultato di un “lavoro collettivo”. E’ dedicato ad un “Re Britanno”( di Inghilterra) non meglio individuato.
Della Regola esistono numerose redazioni, anche molto diverse nel contenuto. In origine, i versi latini erano 363, ma in seguito ne sono stati aggiunti altri.
Il primo Capitolo della Regola è dedicato ai “rimedi generali” (De remediis generalibus), tra i quali ricordiamo l’opportunità, per la salute del corpo,di scacciare l’ira, di fare una cena frugale, di alzarsi dopo il pasto per fare del movimento e di non trattenere l’orina.
Nei successivi Capitoli, si danno suggerimenti per mantenere viva la mente, sul sonno ( da evitare, possibilmente, nel pomeriggio), sulla cena (che deve essere possibilmente “parca” e si deve fare solo se si è digerito il cibo mangiato in precedenza).
Altri Capitoli sono dedicati ai cibi, sia quelli “nutrienti” (buoni) per il corpo, sia quelli che devono essere evitati.Tra gli alimenti, il pane deve essere “ben cotto” e con “poco sale”.Riguardo alle carni, sono da preferire quelle di vitello, che “assai nutrisce”, di gallina e di volatili (tortora, storno,quaglia, merlo, pernice…) mentre quella di maiale deve essere bevuta con il vino affinché sia più facilmente digeribile. Anche il formaggio deve essere mangiato insieme con il vino. Ottimi alimenti sono il cervello di gallina e la lingua di mucca e l’uovo deve essere “fresco”.
Riguardo alle bevande, il vino non si deve bere bere in eccesso, con preferenza per quello rosso, la birra deve essere “fermentata bene”, “ben chiara” e si deve bere con sobrietà e l’acqua deve essere bevuta frequentemente mentre si mangia. E’ da evitare l’aceto.
Riguardo ai pesci, sono da preferire quelli “molli” e le anguille vanno mangiate insieme con abbondante vino.
Alcuni Capitoli sono dedicati ai vari tipi di latte ( di mucca, di capra, di giumenta, di cammella, ognuno con proprie proprietà medicamentose), al burro, al formaggio ( che è un’ottima vivanda , insieme con il pane, ma per coloro che hanno buona salute).
Altri Capitoli riguardano le proprietà dei vari tipi di frutta: la pera ( quella cotta fa bene allo stomaco), la ciliegia (che fa “ottimo sangue”), la prugna,la pesche,l’uva, i fichi,le nespole.
La Regola stabilisce anche le proprietà curative di molti tipi di verdure. Ad esempio,le rape fanno bene allo stomaco ed ai reni, l’anice e la menta fanno bene allo stomaco,il cavolo e la malva sono depurativi, la ruta fa bene agli occhi,la salvia e le cipolle hanno vari effetti salutari.
La Regola attribuisce molta importanza alla dieta (distribuendo i vari pasti durante la giornata e mangiando “cose buone”), tanto da essere considerata la “metà del medicar”. Ha quindi una chiara funzione nella prevenzione delle malattie.
Un Capitolo è dedicato ai rimedi contro i veleni (Contra venenum).
La Regola detta anche prescrizioni igieniche, come il lavarsi le mani, sia prima che dopo i pasti. Stabilisce anche dei rimedi per il miglioramento della vista e della voce roca, contro il mal di denti, i reumatismi, il mal di testa e per guarire le fistole.
Altri Capitoli sono dedicati all’esame delle ossa ( sono 200), dei denti ( sono 32) e delle vene ( sono 65) ed ai quattro “umori del corpo”(sangue, collera, flemma e atrabile) ed anche all’analisi dei caratteri umani (sanguigni,biliosi, flemmatici,ipocondriaci.
Alcuni capitoli riguardano le terapie, come il salasso ( che non deve essere fatto prima di 17 anni di età), di cui si stabiliscono le modalità ed i periodi migliori in cui effettuarlo (in primavera ed in estate si deve fare nella vena destra, mentre in autunno ed inverno nella vena sinistra) nonché gli effetti benefici sulla salute, con particolare riguardo al cuore (meglio se fatto in primavera), al fegato (meglio in estate),alle gambe (meglio in autunno) ed alla testa (meglio in inverno).
Venti di guerra corrono per l’Europa. Due conflitti violentissimi – quello russo-ucraino e quello israelo-palestinese – così vicini geograficamente e politicamente e una sconcertante assenza di iniziative per l’apertura di tavoli di pace.
La UE ha dimenticato le sue radici ideali, i suoi valori fondanti e accetta ormai il conflitto come soluzione dei problemi al posto della politica e della diplomazia. Speravamo fino a poco tempo fa in “un altro mondo possibile” e ci ritroviamo con l’affrancamento di ragionamenti su una guerra globale possibile, non escluso perfino l’uso del nucleare. Inquietanti dichiarazioni istituzionali sulla necessità di abituarsi all’eventualità di un coinvolgimento diretto in un conflitto allargato si accompagnano, sul piano geopolitico, a un sostanziale appoggio alla guerra a oltranza. Il concetto di “vittoria finale”, ormai dominante, ignora i costi umani, anche se di dimensioni spaventose come quelle che sono sotto i nostri occhi.
Bandiera della PACE
E oscura la definizione di pace come lungo e articolato processo in cui attraverso una mediazione si arriva a un compromesso soddisfacente per entrambe le parti, che evita centinaia di migliaia di vittime.
La corsa al riarmo è il primo effetto tangibile di questo orientamento politico e ideologico. Secondo il SISPRI (Stockholm International Peace Reseach Institute), il 2023 è stato l’anno del record storico della spesa militare globale: 2443 miliardi di dollari, con una crescita del 6,8% rispetto al 2022, pari a 200 miliardi di dollari, la spesa complessiva per l’aiuto allo sviluppo. In Europa la spesa militare nel 2023 è aumentata del 16%, il più alto incremento dalla Guerra Fredda.
Anche l’Italia è investita dalla deriva militarista: l’export di armi negli ultimi 10 anni è cresciuto dell’86% e nel 2023 risulta di circa 5,15 miliardi di Euro. Per il 2024 è previsto un aumento di oltre 1400 milionidi Euro, con 28,1 miliardi per i nuovi sistemi d’arma. Tra i destinatari dell’export la Francia, poi Ucraina, Stati Uniti e Arabia Saudita. Per l’Ucraina – ma anche per Israele, per il quale è continuato l’invio nei modi già esistenti – va sottolineato che l’esportazione in paesi in guerra è in contrasto con lo spirito della nostra Costituzione all’Art. 11, con la legge 185/90, con l’ATT (Arms Trade Treaty, Trattato sul commercio delle armi), in vigore dal 2014, e con la stessa posizione teorica della UE.
Il complesso militare-industriale-finanziario è il principale beneficiario, con una crescita esponenziale dei profitti: 3.976 miliardi di Euro le transazioni bancarie in Italia, secondo dati MEF. La Leonardo, la più grande impresa italiana produttrice di armi, nell’ultimo anno ha aumentato il valore delle sue azioni del 128%.
Allarmante è poi l’attacco alla Legge 185/90 che regola l’import/export di armi. Le modifiche già approvate in Senato riducono le informazioni quantitative e sulle tipologie di armi che l’Esecutivo è obbligato a trasmettere al Parlamento e addirittura eliminano l’obbligo della Relazione sui flussi finanziari verso le banche e quindi sull’interazione tra banche e aziende militari. Una gravissima perdita di trasparenza, tanto che per difendere la legge è stata attivata dalla Rete Italiana Pace e Disarmo (RIPD) la campagna “Basta favori ai mercanti di armi”.
Ma è sul piano culturale la deriva più grave. Negli ultimi anni l’educazione alla pace nella scuola non solo ha perso il suo ruolo centrale nelle linee formative, ma è contrastata. L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha documentato innumerevoli segnalazioni sulla diffusione della “visione militare” della scuola e della “cultura della sicurezza” e della “difesa della patria”: un’idea positiva diffusa delle armi, l’inserimento dei vari corpi militari e delle Forze dell’Ordine nei programmi di Orientamento e in percorsi didattici – fino ai marines di Sigonella come insegnanti di inglese! -, alternanza scuola/lavoro (PCTO) nelle caserme, con progetti formativi o servizio nella mensa ufficiali, partecipazione a eventi militari, momenti di familiarizzazione nelle caserme con armi anche pesanti e carri armati, perfino per bambini. Si è visto il ritorno all’alzabandiera.
L’auspicabile, e attualmente inesistente, reazione politica deve essere affiancata da una decisa azione dal basso. Arena di pace 24, sia pure con il grave limite dell’assenza di una dimensione ecumenica e interreligiosa, ha messo in evidenza, nella giornata dell’Incontro dei movimenti popolari, una forte vitalità dell’impegno, anche se frammentato.
E le fedi, spesso strumentalizzate per dare motivazioni ai conflitti, devono invece trovare un ruolo da protagoniste nella ripresa della costruzione di una cultura di pace, incoraggiando il dialogo e l’incontro sui valori comuni della solidarietà, della giustizia e di quella non violenza radicale che, come cristiani, ci ha insegnato in modo esemplare Martin Luther King.
Articolo di Cristina Mattiello –Fonte –Riforma.it Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.
Roma- l Teatro Tor Bella Monaca è parte del sistema Teatri in Comune di Roma Capitale Assessorato alla Cultura con il coordinamento gestionale di Zètema Progetto Cultura
Il TBM è già giunto a metà mese e prosegue la sua intensa programmazione. La settimana dall’11 al 16 giugno prevede rappresentazioni sia divertenti sia dai registri classici
Roma-Teatro Tor Bella Monaca
“Incontrando Brecht”, produzione Colorate Alchimie Teatrali, è in scena la sera di martedì 11 giugno. Teresa Polimei scrive la drammaturgia e dirige Marcello Albanesi, Giuliano Barboni, Francesco Marziliano, Teresa Polimei e Vincenzo Vicaro. Chi è più colpevole colui che svaligia una banca o colui che la fonda? C’è speranza di riscatto morale per l’uomo? Il danaro ed il consumismo sono gli unici valori possibili? Quale è la giusta diagnosi per i mali della società? Questi ed altri temi tipici del pensiero di Brecht, insieme ad una carrellata di personaggi la cui moralità è sempre in bilico, sono alla base di questo suggestivo spettacolo musicale. Lo spettacolo è unico ed originale e con ironia e leggerezza e con un essenziale filo conduttore attraversa le opere più famose del teatro brechtiano, proponendo al pubblico coinvolgimento emotivo.
Mercoledì 12 giugno è la volta di “Ladri, giullari e canzoni”, produzione Compagnia Teatro Finestra APS. Il testo di Dario Fo viene ripreso dalla regia di Ermanno Iencinella, il quale dirige Gianni Bernardo, Lidia Colabella, Adelaide Grimaldi, Monica Laurenzi, Dora Nevi, Paolo Suppa, Cartesio Salvatore Romano e Robert Sibu. L’anniversario della morte di Dario Fo (1926 – 2016) è stato l’occasione per riprendere la farsa “Non tutti i ladri vengono per nuocere” e le “Canzoni” utilizzate nei suoi lavori teatrali. Il tutto è stato fuso in uno spettacolo intitolato “Ladri, giullari e canzoni” che ha l’intento di far scoprire meccanismi teatrali, in questo caso comico-grotteschi, che ancora oggi, dopo più di cinquant’ anni, hanno la loro validità e freschezza. Le canzoni, riproposte con le musiche di Fiorenzo Carpi, sembrano attualissime per il loro contenuto. La pièce teatrale si snoda attraverso equivoci e sospetti, facendo il verso al teatro di Labiche e mettendo in risalto un ingranaggio comico perfetto.
Segue “Una lunga attesa”, produzione Alias APS, giovedì 13 giugno. Fabrizio Romagnoli scrive e dirige il testo interpretato da Carla Taglioni, Manuela Montanaro, Ilaria Antoniani e Francesca Sangiorgi. Quattro donne. Una stanza. Un tavolo. Una partita a carte. Amiche? Nemiche? Chissà forse solo sopravvivenza. Un susseguirsi di momenti comici e drammatici fino al limite del grottesco delineano il ritratto di quattro donne e della loro misteriosa vita. Ognuna ha plasmato e mutato il proprio passato, ed ora la quotidiana finzione è diventata la loro nuova realtà. Nell’incontrarsi ogni giorno per giocare a carte riconfermano, usando il ricatto psicologico, il potere e il dominio dell’una sull’altra. Una lunga attesa è un vero gioco al massacro. Accuse, illazioni, rivendicazioni, confessioni Le quattro donne inganneranno lo spettatore fino all’ultimo momento! La falsità come unica sopravvivenza di fronte all’evidente realtà, di fronte alla vita. Aiuto regia: Carlotta Sperati; Audio e luci: Paolo Vitale.
Roma-Teatro Tor Bella Monaca
La sera di venerdì 14 giugno è in programma “Due donne e un delitto”, Compagnia Linea di Confine APS, di Valentina Capecci. Roberto Belli dirige Sara Colelli ed Eleonora D’Achille. Recenti ricerche scientifiche hanno definitivamente dimostrato che capire cosa pensi davvero una donna è difficilissimo. Se poi le donne sono due, l’impresa è praticamente impossibile. Se inoltre le due donne sono ex amiche (a cui la vita ha riservato destini molto diversi) che si ritrovano per risolvere un mistero assai complicato che rischia di cambiare per sempre (e in peggio) le loro vite, allora l’ unica cosa che resta da fare è… RIDERE. Battute esilaranti, ritmo frenetico, colpi di scena ed una nostalgica e strepitosa colonna sonora sono gli elementi di questa esilarante commedia che si dipana fra suspance e ironia, tranelli e bugie, incomprensioni e dissapori, mettendo a dura prova il rapporto tra le due protagoniste fino all’ inatteso epilogo. Un giallo che non è solo “un giallo”, ma una scoperta, un incontro, uno scontro dell’universo femminile, delle sue diversità, delle sue meraviglie. Tecnico luci e audio:Renato Barabotti.
Il fine settimana, sabato 15 giugno, riserva invece “Giù con la vita”, produzione L’Officina Culturale APS. Gianluca Vitale scrive la drammaturgia e dirige e recita al fianco Alessandra Campo, Rodolfo Galati, Raffaele Giusto, Ondina Piazzano e Sabrina Testa. “Giù con la vita!” è una commedia tragicomica dove momenti surreali di inaspettata comicità si alternano a momenti di intensa drammaticità. Lo spettatore viene letteralmente strattonato con rapidi passaggi e capovolgimenti di campo emotivi e metateatrali oltre che con salti spazio-temporali legati ai ricordi e alla vita dei cinque protagonisti. Cinque personaggi, cinque vite, cinque storie che, per uno strano caso, si incontrano in cima a una scogliera con la stessa intenzione. Un poliziotto, un’imprenditrice, un regista famoso, una malata terminale e una madre disperata ai quali la vita ha voltato le spalle in modi diversi, beffardi e nel momento peggiore. Il loro racconto diventa un’unica storia fatta di confessioni reciproche, con il dramma sullo sfondo che testimonia l’amara realtà. Una situazione farsesca che sfocia a volte anche nel grottesco ma che fa emergere come il lavoro, la salute o più semplicemente il destino possano cambiarci letteralmente la vita. Preziosa la collaborazione del sindacato Assomil che si occupa anche della condizione lavorativa del personale in divisa e dei suicidi nelle forze di polizia.
Conclude la settimana “Grisù Giuseppe e Maria”, produzione Insieme per Caso APS, domenica 16 giugno. Lo spettacolo è scritto da Gianni Clementi ed è diretto da Angelo Grieco, il quale recita sul palco insieme a Patrizia Borgna, Antonella D’Onofrio, Elisabetta Giacobbe, Gianni Gliottone, Piergiorgio La Rosa e Giulia Tota. La commedia, ispirandosi alla tragedia della miniera di Marcinelle in Belgio dove nell’agosto del 1956 persero la vita più di 300 minatori di cui la maggior parte emigrati italiani, fa rivivere l’Italia degli anni Cinquanta, appena uscita dalla guerra, dove ancora regnava ingenuità associata all’ignoranza, dove la povertà portava a trasferirsi in Paesi più fertili portando con sé gli uomini, abbandonando le loro famiglie per un futuro migliore. La circostanza rappresentata riguarda una pia donna e sua sorella che rimangono entrambe incinte ed il parroco del paese, assistito da uno strambo sagrestano, deve intervenire per evitare lo scandalo.
In allegato, comunicato stampa con cortese richiesta di diffusione, e foto.
Resto a disposizione per qualsiasi informazione e accrediti stampa.
-Le Lettere per la pace in Việt Nam di Hồ Chí Minh –
-Anteo Edizioni-
Recensione del volume Lettere per la pace in Việt Nam (Anteo Edizioni, 2021),una raccolta di lettere scritte dal leader vietnamita Hồ Chí Minh tra il 1946 e il 1969, mentre il Việt Nam si trovava a dover fronteggiare le forze coloniali francesi prima e quelle imperialiste statunitensi poi.Articolo di Giulio Chinappi
Le Lettere per la pace in Việt Nam di Hồ Chí Minh – -Anteo Edizioni-
La figura di Hồ Chí Minh ha un enorme significato per la storia contemporanea del Việt Nam, difficilmente paragonabile a quella di un qualsiasi personaggio storico italiano occidentale. Il nome di Hồ Chí Minh ha infatti assunto un’importanza tale da poter essere di fatto identificato con il Việt Nam stesso. In “Lettere per la pace in Việt Nam” (Anteo Edizioni, 2021), una raccolta di ottantacinque lettere selezionate da Nguyễn Anh Minh e tradotte in italiano da Sandra Scagliotti e Trần Doãn Trang, abbiamo l’opportunità di ripercorrere l’incessante lotta di Hồ Chí Minh per la liberazione, la riunificazione e la pacificazione della sua patria, in oltre vent’anni nei quali il Việt Nam si è trovato a dover fronteggiare le forze coloniali francesi prima e quelle imperialiste statunitensi poi.
Tuttavia, la lotta di Hồ Chí Minh non ha riguardato solamente il Việt Nam, ma ha rappresentato un punto di riferimento per tutti i popoli del mondo oppressi dal colonialismo e dall’imperialismo delle potenze capitalistiche occidentali: “Il Presidente, combinando la forza del popolo con una peculiare contingenza storica, ha incarnato l’integrazione tra il vero patriottismo e il più fedele e trasparente internazionalismo dei lavoratori e della classe operaia; egli ha sempre pensato che la costruzione di una pace autentica a livello mondiale dovesse necessariamente fondarsi sul principio del rispetto dei diritti fondamentali di tutti i popoli e che, in seno alle relazioni internazionali, eguaglianza e democrazia dovessero costituire la necessaria alternativa alla guerra, per garantire a ogni nazione il diritto di decidere il proprio destino in base ai valori culturali nazionali, nel rispetto delle scelte di sviluppo di ogni Stato e senza alcuna interferenza negli affari interni delle altre nazioni” si legge nella prefazione della casa editrice vietnamita.
La rassegna delle lettere indirizzate ai leader, ai governi, alle assemblee nazionali, a presidenti, politici, militari, prigionieri e ai popoli di tutti i paesi del mondo si apre in un contesto nel quale, terminata la seconda guerra mondiale, la Francia stava tentando di rioccupare militarmente le sue ex colonie asiatiche, sebbene il Vietnam avesse dichiarato la propria indipendenza il 2 settembre 1945.
Nonostante i crimini commessi dai colonialisti francesi – poi reiterati in forme ancora più disumane dagli imperialisti statunitensi – Hồ Chí Minh ha sempre mantenuto la chiara distinzione tra l’operato dei governi e i popoli di quei paesi, come si evince già nella lettera indirizzata ai francesi d’Indocina nel 1946: “Noi non detestiamo il popolo francese. Anzi, ammiriamo questo grande popolo perché è stato il primo a divulgare i concetti di libertà, uguaglianza e fraternità, e perché è un popolo dedito alla cultura, alla scienza e alla civiltà. La nostra battaglia non volge contro il popolo francese, né contro i francesi leali e onesti, ma contro la crudele dominazione del colonialismo francese in Indocina”. Da queste parole di evince anche il retaggio culturale di Hồ Chí Minh, che, come molti leader rivoluzionari vietnamiti, aveva paradossalmente formato la propria coscienza politica grazie agli insegnamenti della scuola coloniale francese che esaltava i valori della rivoluzione del 1789. “Sapete bene che tale dominazione non offre alcun vantaggio alla Francia, né, tantomeno ai cittadini francesi. Tale dominazione arricchisce gli avidi colonialisti, ma infama la Francia” (p. 3).
Hồ Chí Minh manterrà sempre stretti contatti con le forze sociali progressiste in Francia, in particolare con il Partito Comunista Francese (PCF), ritenendo l’azione dello stesso un sostegno fondamentale alla causa vietnamita, come si evince dalla breve lettera inviata al segretario del PCF Maurice Thorez (p. 21). Una lettera molto più consistente è invece quella inviata il 22 settembre 1946 all’Unione delle donne francesi: “Voi, care Signore, amate il vostro paese e desiderate che sia indipendente e unito. Sono sicuro che, per difenderlo, sareste disposte a combattere contro chiunque cercasse di violarne l’indipendenza e l’unità” si legge nel testo. “Anche noi siamo così, amiamo il nostro paese e lo desideriamo indipendente e unito. Potete forse biasimarci perché abbiamo lottato contro coloro che hanno tentato di conquistare la nostra patria e dividere il nostro popolo? I francesi hanno subito il dolore dell’occupazione per quattro anni; quattro anni in cui hanno lottato con la resistenza e la guerriglia. I vietnamiti hanno subito il dolore dell’occupazione per oltre 80 anni, e, a loro volta, hanno lottato con la resistenza e combattuto con la guerriglia. Se i francesi che hanno partecipato alla resistenza sono considerati eroi, perché i guerriglieri vietnamiti dovrebbero essere considerati ladri e assassini?” (p. 22).
In un primo momento, Hồ Chí Minh si rivolge in alcune lettere al presidente statunitense Harry Truman per cercare sostegno nella sua lotta anticolonialista, dopo che lo stesso Truman aveva presentato i “12 punti” della politica estera statunitense, nei quali si indicava il diritto dei popoli all’indipendenza e all’autodeterminazione. Tuttavia, la cosiddetta “dottrina Truman” si rivelò ben presto uno strumento volto unicamente a evitare l’espansione del comunismo nel mondo, e le parole “indipendenza” e “autodeterminazione” solamente uno specchietto per le allodole per coprire le mire imperialiste di Washington.
Nonostante le grandi difficoltà e l’ostilità delle forze imperialiste mondiali, Hồ Chí Minh riaffermerà a più riprese la risolutezza del governo e del popolo vietnamita nella lotta per l’indipendenza e l’autodeterminazione: “Il colonialismo francese intende nuovamente occupare il nostro paese; questo è un fatto oramai chiaro e innegabile. Ora il popolo vietnamita si trova a un bivio: potrebbe arrendersi e piegarsi alla schiavitù oppure continuare a lottare fino alla fine, per riacquistare la libertà e l’indipendenza. No, il popolo vietnamita non si arrenderà! Non permetterà mai più ai francesi di tornare a dominarlo. No! Il popolo vietnamita non tornerà più schiavo. Il popolo vietnamita è disposto a morire piuttosto che rinunciare all’indipendenza e alla libertà” (p. 28). E ancora: “Mentre la Francia è forte materialmente, noi siamo mentalmente determinati alla vittoria e risolutamente decisi nel combattere per la nostra libertà” (p. 33).
A partire dal 1951, l’ostilità degli Stati Uniti nei confronti del Vietnam divenne sempre più evidente. La dottrina Truman aveva portato allo scoppio della guerra di Corea, e Washington covava già il piano di sostituirsi alla Francia come potenza egemone nella regione indocinese, qualora Parigi avesse fallito nel suo intento. “Lei, Presidente, erede di grandi leader come Washington, Lincoln e Roosevelt, parla spesso di pace e giustizia, ma nei Suoi atti concreti verso il Việt Nam, si mostra in totale divergenza da rettitudine e concordia” scrive Hồ Chí Minh in una nuova lettera rivolta a Truman, specificando che costui “ha ordito una cospirazione per trasformare il Sud vietnamita in una base militare, colonia degli Stati Uniti” (p. 62).
In una missiva successiva, il presidente vietnamita aggiunge, rivolgendosi al suo omologo statunitense: “Lei ha affermato che gli Stati Uniti non interferiscono negli affari interni degli altri paesi. Ogni anno, gli Stati Uniti spendono centinaia di milioni di dollari per introdurre spie nei paesi stranieri e concorrono con oltre duemila milioni di dollari ad armare i paesi filoamericani per prepararsi alla guerra: gli Stati Uniti posseggono 250 basi militari in diversi paesi. Non è forse questa un’interferenza?” (p. 64).
Il 7 maggio 1954, i vietnamiti sconfissero i francesi nella storica battaglia di Ðiện Biên Phủ, ponendo fine per sempre alle mire coloniali di Parigi in Asia. In quello stesso momento, gli Stati Uniti divennero il nemico numero uno del Vietnam: “Noi vietnamiti abbiamo versato il nostro sangue per rovesciare il regime coloniale francese; ma poi, l’imperialismo americano, con i suoi dollari e i suoi inganni ha plasmato nel Sud del Việt Nam un feroce governo dittatoriale fantoccio” si legge in una lettera rivolta a John F. Kennedy (p. 65).
In una lettera del 30 aprile 1966 rivolta al senatore statunitense Michael Joseph Mansfield, Hồ Chí Minh chiede retoricamente: “Secondo Lei, quando un gruppo di scellerati criminali venuto da lontano, attacca massicciamente un villaggio di contadini, a chi va la colpa dell’invasione? Agli abitanti del villaggio o ai criminali?” (p. 91). E continua affermando: “Che benefici potrà mai apportare al popolo americano una guerra così illogica? Decine di migliaia di giovani americani muoiono in campi di battaglia lontani da casa, lasciando decine e decine di vedove e orfani. Negli Stati Uniti le tasse stanno diventando più pesanti e il costo della vita aumenta sempre più. L’inflazione si aggrava. L’onore degli Stati Uniti è in gioco. Anche con altre migliaia di bombardieri e decine di migliaia di soldati, l’America è destinata a fallire” (p. 92).
Allo stesso tempo, Hồ Chí Minh curò particolarmente le relazioni con i leader e i partiti degli altri paesi socialisti, come si evince da una serie di lettere di questo tipo: “Noi tutti siamo altresì grati all’Unione Sovietica, alla Cina e agli altri paesi socialisti che hanno sostenuto il popolo vietnamita contro l’invasione imperialista americana, che lo hanno aiutato a proteggere l’indipendenza nazionale, a difendere l’avamposto del blocco socialista nel Sudest asiatico e a contribuire alla tutela della pace nel mondo” leggiamo nella missiva inviata al Partito Socialista Operaio Ungherese in occasione del suo IX Congresso (p. 102).
L’ultimo presidente statunitense con il quale Hồ Chí Minh ebbe a che fare fu Lyndon Johnson, al quale rivolse una dura lettera il 15 febbraio 1967: “Il Việt Nam dista migliaia di chilometri dall’America. Il popolo vietnamita non ha mai nemmeno sfiorato l’America. Ma, contrariamente all’impegno assunto nel 1954, dai suoi rappresentanti alla Conferenza di Ginevra, gli Stati Uniti non hanno mai smesso di intervenire in Việt Nam; con ininterrotte provocazioni e un continuo incremento della guerra d’invasione nel Sud, cercano di dividere in modo permanente il paese e trasformare il Sud in una nuova colonia, base militare statunitense. […] Nella Sua lettera, Presidente, Lei si dice addolorato per la situazione di sofferenza e distruzione in Việt Nam Vorrei porLe una domanda: chi ha causato crimini così atroci? L’esercito americano e le forze dei paesi vassalli dell’America! Questa è la riposta” (p. 107).
Chiudiamo questa nostra breve rassegna con la lettera inviata nel marzo del 1967 al popolo italiano, che certamente, soprattutto grazie all’azione del Partito Comunista Italiano, fu sempre tra i maggiori sostenitori della causa vietnamita: “Il popolo italiano, con entusiasmo e con ogni mezzo, ha sostenuto la nostra resistenza contro l’aggressione americana. Vogliamo esprimere i nostri più sinceri ringraziamenti agli amici italiani. Ci auguriamo che il popolo italiano possa ulteriormente rafforzare il suo sostegno alla nostra lotta e, a gran voce, chiedere che gli invasori statunitensi cessino totalmente i bombardamenti e ogni atto di violenza contro la Repubblica Democratica del Việt Nam” (p. 116).
Hồ Chí Minh scomparve il 2 settembre 1969, nello stesso giorno in cui, 24 anni prima, aveva dichiarato l’indipendenza della Repubblica Democratica del Việt Nam. Il fondatore del Việt Nam indipendente non riuscì dunque a vedere la vittoria che sarebbe giunta solamente nel 1975, quando gli imperialisti statunitensi furono definitivamente cacciati e il paese venne riunificato sotto la bandiera della Repubblica Socialista del Việt Nam.
Articolo di Giulio Chinappi
Fonte -Ass. La Città Futura Via dei Lucani 11, Roma | Direttore Responsabile Adriana Bernardeschi
LEONESSA (Rieti) quì è nato BIXIO CHERUBINI famosissimo Poeta e Compositore .
Vincitore del festival di Sanremo- con VOLA COLOMBA – Autore delle canzoni: MAMMA -Violino tzigano, Tango delle capinere-
BIXIO CHERUBINI-(Leonessa, 27 marzo 1899 – Milano, 14 dicembre 1987)-
BIXIO CHERUBINI Vincitore del I festival di Sanremo- con VOLA COLOMBA cantata da Nilla Pizzi- Autore della celebre canzone MAMMA cantata da BENIAMINO GIGLI–
BIXIO CHERUBINI è entrato nella storia della musica leggera italiana come autore di evergreen come Violino tzigano, Mamma, Tango delle capinere e Vola colomba.
Nel corso della sua carriera ha usato anche gli pseudonimi Liman, Carlo Alberto Liman, Pasquale Caliman, Stilos.
BIXIO CHERUBINI
-Biografia-
Figlio e nipote di due garibaldini (questa la causa del nome particolare), discendente del compositore Luigi Cherubini, dopo aver interrotto gli studi a Rieti per arruolarsi come volontario nella Prima guerra mondiale come pilota, iniziò a scrivere i primi testi al termine del conflitto, pubblicando una raccolta di poesie, Canti in grigioverde.
Nel 1919 si trasferisce a Roma per frequentare l’Università e lavorare alle Poste, ma in realtà si dedica alla musica leggera (contro il volere del padre, docente universitario, che lo vorrebbe laureato), iscrivendosi nel 1920 alla SIAE e scrivendo alcune canzoni, tra le quali riscuote particolare successo il brano Ciondolo d’oro, su musica di Guglielmetti: proprio per questo motivo Cherubini decide di abbandonare gli studi.
Nel 1927 si trasferisce a Milano, e in breve tempo consolida la sua carriera con altri brani di grande successo, spesso sulle musiche del Maestro Dino Rulli, quali Apaches, Mimì, Yvonne, Fox trot della nostalgia o del Maestro Alfredo Del Pelo, come Biondo corsaro (del 1924), e decide di fondare le edizioni musicali La Casa della Canzone.
Nel 1923 conosce a Roma il compositore napoletano Cesare Andrea Bixio, che gli viene presentato da Trilussa e con cui inizia una lunga e prolifica collaborazione già nel 1925 con le canzoni Siberiana, Nuvola e L’ultima java: negli anni successivi arriveranno i successi maggiori per la coppia, con brani come Tango delle capinere, La canzone dell’amore, Trotta cavallino, Violino tzigano, Lucciole vagabonde, La mia canzone al vento, Valzer dell’organino, Madonna fiorentina, Miniera, Signora fortuna e, soprattutto, Mamma, divenendo quindi, prima del secondo conflitto, il paroliere più importante per le canzoni di Gabrè, Silvana Fioresi, Oscar Carboni, Beniamino Gigli, il Trio Lescano, Luciano Virgili, Luciano Tajoli, Achille Togliani e Natalino Otto.
Raccoglie inoltre una delle più grosse collezioni italiane di dischi a 78 giri, con tutte le versioni incise delle sue canzoni ed altri, superando i 5000 pezzi: durante un bombardamento però questa collezione viene completamente distrutta.
Nel 1943 aderisce alla Resistenza, aggregandosi al comando partigiano di Val Marchirolo, nel Varesotto, per poi riprendere l’attività nel secondo dopoguerra.
Nel 1948 fondò l’UNCLA (Unione Nazionale Compositori Librettisti e Autori), della quale resterà presidente sino al 1987, anno della sua morte (causata da un edema polmonare). Fu inoltre autore di Spazzacamino, Quell’uccellin che vien dal mare e, insieme a Carlo Concina, di Vola colomba, brano con cui Nilla Pizzi vinse il Festival di Sanremo 1952.
Compose i testi di altri brani presentati alla manifestazione ligure, tra i quali conquistano la medaglia d’argento Campanaro (1953) ed Il torrente (1955), che Bixio firma con lo pseudonimo Carlo Alberto Liman (a volte citato come Pasquale Caliman) in quanto il regolamento dell’epoca impediva di partecipare alla gara con più di un pezzo, e in quell’edizione Bixio aveva già firmato ufficialmente la canzone Sentiero.
Nel 1974 scrive l’ultima canzone insieme a Cesare Andrea Bixio, Quando riascolterai questa canzone, incisa da Achille Togliani.
Nel 2009, in occasione del 110º anniversario della sua nascita, la sua città natale, Leonessa, gli ha dedicato una serie di iniziative per ricordarne la memoria.
Bixio Cherubini ha avuto quattro figlie: Graziella, Ornella, Gabriella e Fiorella (quest’ultima cantante con lo pseudonimo Fiorella Bini).
Leonessa (RI)- Casa natale di BIXIO CHERUBINILeonessa (RI)- BIXIO CHERUBINI
RIETI-Al via la mostra fotografica di Francesco Galli: ”Esplorazione visiva della Bassa Sabina”-
RIETI-Il 6 giugno verrà inaugurata presso l’OpenHub Lazio la mostra fotografica “Quando scorre l’acqua brucia la storia: Paesaggi lungo il torrente Farfa”, un progetto ideato e realizzato dal fotografo Francesco Galli. La mostra offre uno spaccato visivo dei comuni della Bassa Sabina, con immagini catturate tra l’autunno del 2008 e l’estate del 2009.
Le fotografie di Galli, realizzate interamente su pellicola e stampate con tecnica analogica ai sali d’argento, documentano il paesaggio e la trasformazione dei luoghi lungo il torrente Farfa. “Un paesaggio nasce dal sentimento per un luogo,” afferma Galli nei suoi appunti di lavoro, sottolineando come il rapporto tra la comunità e il territorio sia alla base della sua ricerca visiva.
La mostra, che si terrà presso l’OpenHub Lazio in Via Giuseppe Pennesi 2 a Rieti, sarà aperta al pubblico fino al 28 giugno con ingresso libero. Gli orari di apertura sono dal lunedì al venerdì, dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 18:00.
L’evento di inaugurazione, previsto per le ore 18:00 del 6 giugno, sarà accompagnato da un incontro pubblico intitolato “Dal territorio al paesaggio. I luoghi lungo il torrente Farfa nelle fotografie di Francesco Galli”. Durante l’incontro, esperti di vari settori discuteranno del rapporto tra territorio e rappresentazione visiva, tra cui Elisa Resegotti, paesaggista e curatrice d’arte, Gaetano Linardi, dottore forestale, e Pablo De Paola, ingegnere ambientale esperto del fiume Farfa.
Francesco Galli, nato a Viterbo nel 1967, è un fotografo e regista di documentari video con una lunga carriera alle spalle. Laureato in Architettura presso l’Università “La Sapienza” di Roma, Galli ha documentato eventi di cronaca, cultura e sport, nonché condotto ricerche etnografiche sulle tradizioni popolari. Negli anni Novanta si è affermato come fotografo di teatro, per poi dedicarsi alla fotografia d’architettura e di paesaggio, collaborando con importanti istituzioni e realizzando numerose mostre e documentari.
L’OpenHub Lazio, promotore della mostra, è un progetto finanziato dalla Regione Lazio e dal Fondo Sociale Europeo, volto a creare una rete di spazi di cultura, socialità e lavoro nel territorio regionale. Questo spazio mira a promuovere l’interazione e la crescita del capitale culturale e umano attraverso laboratori formativi, networking e opportunità di orientamento per tutte le generazioni.
Per maggiori informazioni sulla mostra e sugli eventi correlati, è possibile contattare l’ufficio stampa all’indirizzo email stampacondizioniavverse@gmail.com o chiamare il numero 329.9317192.
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