Roma- al Teatro Cometa Off va in scena CHILOMETRO_42
spettacolo scritto da Giovanni Bonacci e diretto e interpretato da Angela Ciaburri
Approda a Roma, al Teatro Cometa Off, dal 27 al 29 marzo, CHILOMETRO_42, spettacolo scritto da Giovanni Bonacci e diretto e interpretato da Angela Ciaburri, molto attiva non solo in teatro (CARROZZERIA ORFEO, TEATRO STABILE DI GENOVA), ma anche al cinema e in tv (tra gli ultimi lavori GOMORRA LA SERIE, YARA di Marco Tullio Giordana, GIRASOLI di CATRINEL MARLON, NOI e RESTA CON ME per Rai1 e altri progetti in uscita).
In “Chilometro 42” vengono raccontate le tappe fondamentali della vita di Kathrine Switzer, la prima donna nella storia ad aver corso una maratona ufficiale. La pièce è accompagnata dalla musica dal vivo di MUNENDO che, coniugando strumenti elettronici a quelli classici, sonorità degli anni ‘60 a possibilità ultra contemporanee, crea una colonna sonora in continuo dialogo con l’attrice. La storia di questo personaggio, che ha segnato profondamente il mondo dello sport e il rapporto di quest’ultimo con la società civile, avvia una riflessione in parole e musica su temi centrali quali l’inclusione, il riconoscimento e la parità dei diritti. La corsa, già̀ di per sé, contiene una serie di metafore che vale la pena raccontare: “corsa” come viaggio, misura di se stessi, avvicinamento al trascendentale. Nello spettacolo, infatti, si corre: partiture fisiche, che declinano, in tanti modi diversi, questo sport nei suoi aspetti più̀ tecnici e spettacolari. Ma, attraverso questo personaggio, che ha segnato profondamente il mondo dello sport ed il suo rapporto con la società̀ civile, l’obiettivo è quello di interrogarsi su temi ancora scottanti.. La corsa, più̀ che oggetto della messa in scena, diventa allegoria: la ricerca della propria identità̀ passando attraverso crepe, crisi e rotture. La pièce è strutturata lungo tre piani narrativi, nei quali si avvicendano diversi personaggi, interpretati dalla stessa attrice: Kathrine, la narratrice, e altri, coprotagonisti di una biografia romanzata, che fa del passaggio da registri brillanti a registri drammatici il suo punto di forza.
CHILOMETRO_42 nasce dalle connessioni create dal progetto SUPERFICIE di Matteo Santilli, e proseguirà la sua tournée al Festival Strabismi-Sezione Primavera il 29 maggio e dal 3 al 9 giugno al Fringe Festival di Milano. Il testo è stato finalista al premio Hystrio scritture di scena nel 2022.
ANGELA CIABURRI
Origini campane (1988), vive a Roma. Attrice, in «Chilometro_42» anche regista, molto attiva non solo in teatro (CARROZZERIA ORFEO, TEATRO STABILE DI GENOVA, TEATRO QUIRINO), ma anche al cinema e in tv (tra gli ultimi lavori GOMORRA LA SERIE, YARA di Marco Tullio Giordana, NOI per Rai1 e altri progetti in uscita nel 2024..
MUNENDO ( Armando Valletta )
Romano, inizia a studiare musica all’età di 5 anni. Nel 2007 compone i primi brani e si diploma in programmazione MIDI e fonia al Saint Louis College of Music. Si esibisce in vari locali della capitale in band, in duo e come one man band, avvalendosi di una loopstation. Anche cantautore, pubblica diversi singoli tra cui “Zanzare”, distribuito da Artist First. Dal 2021 collabora con Superficie
GIOVANNI BONACCI
Nato a Roma nel 1987, si avvicina al teatro come attore, ma poi si appassiona anche alla scrittura e gli viene, da subito, riconosciuto un grande talento come autore. Infatti, da diversi anni, contestualmente alle sue attività nell’ambito della recitazione (spettacoli, monologhi scritti e recitati, da lui stesso, progetti con le scuole) viene ingaggiato come dramaturg.
PROGETTO SUPERFICIE
CHILOMETRO_42 nasce dalle connessioni create da SUPERFICIE di Matteo Santilli. Un progetto che si focalizza sul mestiere dell’attore tramite interviste, serate di performance teatrali e produzione di spettacoli.
Il progetto SUPERFICIE pone il focus su tutti quei professionisti dello spettacolo che si distinguono per la qualità del loro lavoro all’interno di una sorta di “fascia di mezzo”, posizionata subito sotto il mondo delle STAR, ma decisamente al di sopra del mondo degli emergenti; : chiunque viva il proprio mestiere indipendentemente dall’essere un “nome”.
PROGETTO SUPERFICIE
presenta
CHILOMETRO _42
scritto da Giovanni Bonacci
diretto e interpretato da Angela Ciaburri
musica dal vivo di Munendo
in collaborazione con SUPERFICIE
DAL 27 AL 29 MARZO ORE 21
TEATRO COMETA OFF-ROMA
Da Mercoledì 27 a Venerdì 29 Marzo 2024 alle ore 21.00
Roma la nuova sede della galleria z2o Sara Zanin Gallery a Testaccio-
ROMA Quartiere Testaccio-La z2o Sara Zanin Gallery è lieta di annunciare l’apertura della sua nuova sede. Ad inaugurare il nuovo spazio è la mostra Contrappunti, un ‘group show’ che coinvolge tutti gli artisti della galleria, che si estenderà anche nello spazio z2o Project di via Baccio Pontelli 16, con l’intento di creare uno stretto dialogo tra i due luoghi.
Contrappunti riflette l’idea di armonia e diversità e si riferisce all’interazione tra melodie indipendenti che si intrecciano per creare una composizione armoniosa.
Il termine Contrappunto – puntum contra punctum – ha come proprietà quella di rappresentare il principio dualistico discusso nella Metafisica di Aristotele nel “vedere nei contrari il principio delle cose” e raggiungere l’equilibrio attraverso la contrapposizione di due elementi opposti.
La mostra
La mostra espone un’opera per ogni artista, in cui le diverse espressioni artistiche convergono e si sovrappongono, come armonie intrecciate in una sinfonia, tessendo un complesso ma elegante spartito visivo. Narrazioni introspettive e apparentemente silenti prendono forma attraverso l’uso dei libri e del ricamo, immagini sottili e fluttuanti indagano sull’adattabilità della natura e dell’umanità animando le sale della galleria e trasformando storie intime e personali in esperienze universali.
Le sale espositive, così, diventano luogo in cui il tempo si placa in un eterno movimento generato dalle diverse armonie dei lavori dei singoli artisti.
Le individuali concezioni estetico-artistiche, imponendosi con la loro materialità nel tempo presente, si propongono di sottolineare l’importanza del passato e della storia della galleria, e allo stesso tempo di far intravedere all’orizzonte direzioni future.
Contrappunti riflette l’idea di armonia e diversità e si riferisce all’interazione tra melodie indipendenti che si intrecciano per creare una composizione armoniosa. Il termine Contrappunto – puntum contra punctum – ha come proprietà quella di rappresentare il principio dualistico discusso nella Metafisica di Aristotele nel “vedere nei contrari il principio delle cose” e raggiungere l’equilibrio attraverso la contrapposizione di due elementi opposti.
La mostra espone un’opera per ogni artista, vista come summa del suo lavoro e in questo confronto le diverse espressioni artistiche convergono e si sovrappongono, come armonie intrecciate in una sinfonia, tessendo un complesso ma elegante spartito visivo. Le opere esposte – alcune delle quali realizzate per l’occasione – coniugano le molteplici esperienze estetiche individuali in un racconto policromo e trasversale, dove differenti approcci formali si fondono per formare un tutto armonioso, contribuendo alla struttura complessiva della mostra.
Narrazioni introspettive e apparentemente silenti prendono forma attraverso l’uso dei libri e del ricamo, immagini sottili e fluttuanti indagano sull’adattabilità della natura e dell’umanità animando le sale della galleria e trasformando storie intime e personali in esperienze universali.
Sguardi che rivendicano la soggettività femminile attraverso un linguaggio innovativo e personale o che cercano e scovano mirabilie nascoste creano una tensione emotiva e collocano lo spettatore in una dimensione sospesa.
Le sale espositive, così, diventano luogo in cui il tempo si placa in un eterno movimento generato dalle diverse armonie dei lavori dei singoli artisti. Le individuali concezioni estetico-artistiche, imponendosi con la loro materialità nel tempo presente, si propongono di sottolineare l’importanza del passato e della storia della galleria, e allo stesso tempo di far intravedere all’orizzonte direzioni future.
La mostra continua negli spazi di z2o Project, Via Baccio Pontelli 16, 00153 Roma Orari : martedì – sabato (o su appuntamento) | 12–19
z2o Project | solo su appuntamento Info: info@z2ogalleria.it | www.z2ogalleria.it Press office: Sara Zolla | press@sarazolla.com | T. + 39 346 8457982
La z2o Sara Zaninis pleased to announce the opening of its new venue in Rome, in via Alessandro Volta 34, on Saturday March 16th, 2024. The opening event is the exhibition Contrappunti, a group show involving all the artists of the gallery. The exhibition will continue in the spaces of z2o Project, in via Baccio Pontelli 16, aiming to create a close dialogue between the two locations.
The new gallery, characterized by an industrial atmosphere, is located in Testaccio, a lively neighbourhood with a rich cultural heritage and a long history linked to art. The space has been chosen after careful analysis, as z2o had long been searching for a larger and more functional venue capable of accommodating the research projects and site-specific installations that have always defined the gallery’s identity. The interior spaces, redesigned by the studio Bevilacqua Architects, have been renovated to enhance and preserve the artworks to the fullest.
Furthermore, the proximity of the main location to the z2o Project space, which will continue to host exhibitions and special projects, encourages creative synergy and ongoing dialogue between the two venues.
Contrappunti includes the works of all the represented artists and those with whom z2o has collaborated, and who have helped to define their identity since its inception: Evgeny Antufiev (1986), Mariella Bettineschi (1948), Silvia Camporesi (1973), Pier Paolo Calzolari (1943), Michele Guido (1976), Tomoe Hikita (1985), Anna Hulačová (1984), Kaarina Kaikkonen (1952), Krištof Kintera (1973), Giovanni Kronenberg (1974), Guglielmo Maggini (1992), Alexi Marshall (1995), Beatrice Meoni (1960), Hidetoshi Nagasawa (1940-2018), Ekaterina Panikanova (1975), Beatrice Pediconi (1972), Alfredo Pirri (1957), Nazzarena Poli Maramotti (1987), Fabrizio Prevedello (1972), Marta Roberti (1977), Cesare Tacchi (1940-2014), Michele Tocca (1983).
Contrappunti reflects the idea of harmony and diversity and refers to the interaction between independent melodies that intertwine to create a harmonious composition. The term Contrappunto – puntum contra punctum – has the property of representing the dualistic principle discussed in Aristotle’s Metaphysics in “seeing in the contrary the principle of things” and achieve balance through the juxtaposition of two opposing elements.
The exhibition displays one work for each artist, seen as the sum of their work, and in this comparison, the different artistic expressions converge and overlap, like intertwined harmonies in a symphony, weaving a complex yet elegant visual score. The exhibited works – some of which were created specifically for the occasion – combine the diverse individual aesthetic experiences into a polychromatic and transversal narrative, where different formal approaches merge to form a harmonious whole, contributing to the overall structure of the exhibition.
Introspective and seemingly silent narrative take shape using books and embroidery, subtle and fluctuating images explore the adaptability of nature and humanity, animating the gallery rooms and transforming intimate and personal stories into universal experiences. Gazes that assert female subjectivity through innovative and personal language or that seek and uncover hidden wonders create an emotional tension and place the viewer in a suspended dimension.The exhibition halls become a place where time settles into an eternal movement generated by the diverse harmonies of the works of individual artists. The individual aesthetic-artistic conceptions, asserting themselves with their materiality in the present time, aim to underline the importance of the past and the history of the gallery, and at the same time they offer glimpses of future directions on the horizon.
Dove : z2o Sara Zanin, Via Alessandro Volta 34, 00153 Roma
La mostra continua negli spazi di z2o Project, Via Baccio Pontelli 16, 00153 Roma Orari : martedì – sabato (o su appuntamento) | 12–19
z2o Project | solo su appuntamento Info: info@z2ogalleria.it | www.z2ogalleria.it Press office: Sara Zolla | press@sarazolla.com | T. + 39 346 8457982
Spettacolo su Dorothy Stang, la suora assassinata in Amazzonia
Lo spettacolo di Giuseppe Marchetti “Dorothy Stang. Io sono qui” liberamente ispirato a Martire dell’Amazzonia. La vita di suor Dorothy Stang di Roseanne Murphy, si terrà mercoledì 20 marzo 2024 alle ore 20.30 nel Complesso San Cristo, Via Piamarta 9 in Brescia. Sul palco la nota attrice bresciana Livia Castellini, video di Maurizio Pasetti e Mara Favero. L’iniziativa è promossa da Diocesi di Brescia – Ufficio per le missioni, Associazione Cuore Amico Fraternità e Missionari Saveriani in collaborazione con altri Enti tra cui la Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.
La lotta per la giustizia di suor Dorothy. Alcuni anni fa l’omicidio in Brasile, in piena foresta amazzonica, di una suora americana settantatreenne, Dorothy Stang, della congregazione delle Suore di Notre Dame di Namur, ha attirato per qualche giorno l’attenzione del mondo. Non si è trattato di un altro esempio di intolleranza religiosa, così frequente nel mondo missionario, ma di qualcosa di ben più profondo che è venuto a scuotere la coscienza di tutti. Chi era suor Dorothy? In Brasile, soprattutto in quelle regioni remote e inaccessibili all’estremo nord del Paese, era una presenza umile e solidale a fianco di contadini in cerca di terra. Era, per loro, presenza di Chiesa, quando nessuno era ancora arrivato; e punto di riferimento per tante famiglie costantemente in balia dei grandi interessi economici che con arroganza si contendevano ogni metro di foresta. Era diventata una voce per richiamare che la persona va difesa sempre, e che la terra e la foresta non vanno aggredite e devastate, ma rispettate, protette e amate perché patrimonio di tutti. Contrastò interessi importanti; venne messa a tacere in una triste, piovigginosa mattina del febbraio 2005.
Il 12 febbraio 2005 la notizia dell’assassinio di suor Dorothy Stang lasciò di sasso il Brasile intero. Molti brasiliani avevano cominciato da poco ad accorgersi delle battaglie portate avanti a 73 anni dalla piccola suora con la voce dolce e il sorriso luminoso. Quella mattina gli assassini incaricati di ucciderla l’avevano sorpresa da sola su un camion nel mezzo della foresta amazzonica. Aveva con sé la bibbia e alcuni documenti con delle istruzioni per il Sustainable Development Project (Pds), un progetto di sviluppo sostenibile che stava portando avanti con passione insieme alle consorelle della sua congregazione.
Com’era sua abitudine, suor Dorothy stava andando a fare visita ad alcune famiglie nella foresta, famiglie che sostenevano il Pds. Suor Dorothy aveva già ricevuto minacce di morte e quando i giovani armati l’avevano fermata si era subito resa conto di essere in pericolo. Aveva anche cercato di cominciare a parlare con gli assalitori. Aveva tentato di dissuaderli, riuscendo a leggere alcuni brani del Vangelo, dicendo che la sua arma era quel libro. Ma i soldi offerti per l’assassinio per quella gente valevano di più: sei colpi sparati a bruciapelo la fecero cadere a terra nel mezzo della foresta. Un temporale tropicale scoppiato subito dopo intrise del suo sangue la terra che lei tanto amava e che difendeva ogni giorno.
Così l’hanno trovata le famiglie che lei voleva andare a trovare: erano tutti sconvolti e piangevano. Il suo corpo senza vita era rimasto a terra fino a sera in attesa dell’arrivo della polizia mentre le persone della regione e le consorelle della congregazione si tenevano per mano, piangevano e pregavano. “Quel giorno l’Amazzonia ha perso un’amica, ma ha avuto il dono di un angelo” disse Felicio Pontes Jr., un giovane procuratore della Repubblica e collega di suor Dorothy nelle battaglie in difesa delle popolazioni della foresta.
Perché è stata uccisa suor Dorothy? Poteva essere considerata una minaccia? Una spiegazione per quest’assassinio l’ha fornita il procuratore Felicio Pontes in occasione del World Forum for Theology and Liberation tenutosi nel 2009 a Belem, il capoluogo dello Stato di Parà. Suor Dorothy è stata uccisa per via dello scontro in atto tra la vita degli abitanti dell’Amazzonia e l’economia dell’industria agricola. Nello Stato di Parà, che insieme a quello di Amazonas contiene la più vasta area di foresta amazzonica, è in corso una lotta violenta. Il Parà, secondo le affermazioni di Marina da Silva, ex ministro dell’Ambiente del Brasile, è più di ogni altra parte dell’Amazzonia la prima linea dalla “frontiera dei predatori”.
I nemici di questi “predatori” altri non sono che le popolazioni della foresta, che vivono perfettamente integrate nella natura, sulle rive degli innumerevoli fiumi, accanto a torrenti e laghetti. Gli abitanti piantano le loro colture e costruiscono i villaggi nelle radure. Non si tratta in questo caso d’indigeni che mantengono il proprio linguaggio e le proprie tradizioni, ma nella maggior parte dei casi di persone di diverse etnie o più semplicemente di abitanti dell’Amazzonia. Non hanno diritti sulla terra dei loro antenati: sono figli della terra.
I predatori sono il business dell’agricoltura con progetti che riguardano l’esportazione di legname da costruzione, minerali, carne e soia. I proprietari terrieri hanno il potere di segare gli alberi e avviare monocolture e allevamenti su vaste zone. Nell’economia globalizzata esportare significa guadagnare di più e accumulare ricchezze. L’industria agricola è per il Brasile la più grande fonte di esportazioni. Questo però sta accadendo a spese dell’ambiente e delle popolazioni che vivono nelle vaste regioni all’interno del paese. Suor Dorothy non è stata l’unica vittima dello scontro tra questi due opposti gruppi. In un’altra area della foresta è stato ucciso il sindacalista Chico Mendes. La stessa sorte è stata riservata al giovane sacerdote Josimo Tavares, responsabile della Commissione pastorale, e a suor Adelaide Molinari. Ma sono centinaia i rappresentanti di queste popolazioni uccisi.
Una lotta continua pervade la popolazione. Nelle aree dove lo Stato non è ancora riuscito a imporre la propria presenza e dove non esiste una politica in questioni di sicurezza, ma un alto tasso di corruzione istituzionale, le persone sono minacciate e costrette a lasciare le proprie case. Contadini violenti s’impossessano di terreni senza averne nessun diritto e ampliano con la forza i confini delle proprietà, così che può accadere che lo stesso appezzamento di terreno abbia tre o più proprietari.
Da un’altra parte sono gli stessi proprietari terrieri ad attrarre lavoratori dalle diverse regioni del Brasile. In questo modo si stanno incrementando anche nuove forme di schiavismo. La morte di Dorothy e prima ancora la sua vita missionaria e le sue brillanti iniziative, vanno analizzate e comprese all’interno di questo scenario difficile e violento.
Dorothy veniva dal nordest del Brasile, dove aveva lavorato insieme alle consorelle della congregazione di Notre Dame de Namur in mezzo ai poveri del paese. Lei per i brasiliani era un po’ come una Madre Teresa di Calcutta. E’ diventata cittadina brasiliana per dedicarsi in modo più intenso alle persone. Vedendo però che le popolazioni dell’area del nord-est di Maranhão stavano migrando verso le regioni amazzoniche del Parà, decise in accordo e insieme alle consorelle di trasferirsi per seguire gli emigranti.
Dopo aver viaggiato in diverse regioni del Parà subendo persecuzioni insieme alle popolazioni locali, le suore si sono stabilite ad Anapu, nella ‘terra di mezzo’, il suolo pubblico – poiché appartiene allo Stato – a circa 400 miglia da Belem. Sono arrivate in un paese di foreste e di conflitti su invito del vescovo della diocesi di Altamira, Erwin Kräutler. Lui e altri tre vescovi sono stati esplicitamente minacciati di morte insieme a più di 200 altre persone. Con il sostegno del vescovo e in collaborazione con l’Istituto nazionale per l’insediamento e le riforme agrarie, suor Dorothy è riuscita a rinnovare il suolo pubblico attraverso il suo progetto di sviluppo sostenibile. Il progetto punta a destinare alla coltivazione il 20 per cento del terreno e di mantenere intatto il 50 per cento della foresta, rimboschendo la regione con alberi locali che producono frutti. L’attuazione di questi progetti favorisce anche il sostegno della società civile, di organi dello Stato e del governo nazionale, di università, movimenti sociali e programmi pastorali. E comincia a dare risultati e speranza.
Ma poi è cominciato lo scontro: alcuni contadini hanno preso possesso della terra con la violenza, hanno falsificato documenti e costretto gli abitanti ad andarsene. Si sono trovati di fronte a una resistenza organizzata e articolata messa in atto dalle persone attraverso battaglie giuridiche nella capitale dello Stato. E a quel punto hanno deciso di eliminare suor Dorothy: si sono messi d’accordo per pagare una cifra notevole a un intermediario, che a sua volta si è rivolto a dei giovani banditi ai quali ha venduto la vita di suor Dorothy per 50 real (circa 20 dollari americani).
Durante la cerimonia funebre svoltasi ad Anapu, una delle consorelle ha detto alla presenza del ministro dell’Ambiente del Brasile, di due vescovi e di tutte le altre persone: “Non siamo qui per seppellire suor Dorothy, la piantiamo nel terreno”. In effetti, il suo nome significa “dono del Signore” e lei è un dono per la foresta amazzonica e per la gente che ci vive. Il suo seme non ha smesso di produrre frutti: le sue battaglie per l’integrazione tra la foresta e il suo popolo si sono allargate a tutto il Brasile. Nello Stato del Parà è stato creato il ‘Comitato Dorothy’ per lavorare insieme con altre persone di buona volontà: avvocati, religiosi, politici, accademici e molti giovani. Il Comitato Dorothy si muove su vari fronti: far crescere la consapevolezza, produrre progetti e sostegno di azioni a favore della foresta e delle popolazioni. Sono in molti, dunque, a portare avanti i sogni di suor Dorothy.
Un grande successo è stato ottenuto estendendo le linee guida del progetto di sviluppo sostenibile a tutti i nativi del Brasile attraverso l’intervento diretto del ministro dell’Ambiente: l’80% della selva è ora tutelato per legge attraverso l’amministrazione della foresta e le regole valgono per tutto il paese. Questo è un enorme risultato, grande quanto tutto il Brasile; ed è nato da suor Dorothy, tenace e piena d’amore fino alla fine, anche nei confronti dei suoi assassini.
Suor Dorothy, così come accaduto per Oscar Romero, è stata assassinata non “per odio verso la fede cattolica” ma “per odio verso la giustizia”, quella desiderata da Dio. Per aver pagato i due banditi che hanno assassinato Suor Dorothy Stang l’allevatore di bovini Vitalmiro Bastos sta scontando 30 anni di prigione. (synod.va – 2024)
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ROMA-L’urlo dell’africanita’ al Teatro di Villa Lazzaroni-
Roma-Secondo appuntamento della Rassegna MARTEDI’ MUSICA al Teatro di Villa Lazzaroni il 19 marzo alle ore 20,30 con L’URLO DELL’AFRICANITA’ di e con Lisa Manara e Aldo Betto.
Un itinerario di viaggio che attracca alle banchine di svariati Paesi, inondati dalle musiche viscerali che parlano la lingua e la cultura della gente che li vive. Dal jazz del Sudafrica, ci si avvia alla scoperta delle morne capoverdiane, si balla sopra i ritmi ipnotici nordafricani e si arriva poi a sondare il terreno del groviglio delle influenze della musica afroamericana, sempre sfruttando la forma canzone, che nei concerti viene portata ad una dimensione più istintiva e libera. Un canovaccio musicale che si appella alle grandi voci di Miriam Makeba, Nina Simone, Cesaria Evora, Fatoumata Diawara, Abbey Lincoln rievocate dalla splendida ed espressiva voce di Lisa Manara, accompagnata da musicisti del calibro di: Aldo Betto, Federico Squassabia, Paolo Rubboli e Fabio Mazzini. Il concerto può essere in Duo (voce e chitarra), Trio (voce, tastiere/basso sinth e batteria) o Quartet (voce, chitarra, batteria e tastiere/basso).
Dalla partecipazione a The Voice a vocalist di Gianni Morandi nel Tour D’Amore D’Autore per due stagioni, per arrivare ad aprire il concerto di Fabio Concato. Suona pianoforte e chitarra e nel suo curriculum tantissimi concerti e collaborazioni con artisti importanti: Quintorigo, Tommy Emmanuel, Eric Sardinas, Diunna Greenleaf…
Nel 2011 partecipa al Talent: “The Voice” of Italy, nella squadra di Riccardo Cocciante e sempre nel 2011 vince il concorso “Donne Jazz & Blues”, che le permette di partecipare ad un workshop sulla voce presso la Venice Voice Academy di Los Angeles.
Nel 2018 viene scelta per il ruolo di vocalist nel Tour di Gianni Morandi “D’Amore D’Autore”.
Dopo la data zero di Jesolo (VE), per due stagioni, insieme all’Eterno Ragazzo, ha calcato il palco dei più importanti palazzetti e teatri d’Italia, cantando tra l’altro all’Arena di Verona e al Teatro Antico di Taormina.
Prossimi appuntamenti:
– martedì 9 aprile Tutta Colpa di James Dean di e con Forlenzo
– martedì 16 aprile Portrait of Ennio. The Jazz side of Ennio Morricone di e con Patrizio Destriere Quartet
L’URLO DELL’AFRICANITA’
Lisa Manara
con Aldo Betto
Biblioteca DEA SABINAGiorgio Amendola- Intervista sull’antifascismo
a cura di P. Melograni- nuova edizione con prefazione di P. Melograni
Editori Laterza-Bari
SINOSSI
“Errata. Ma non solo quella dei comunisti. L’analisi della situazione italiana nel ’21 fatta da tutti i gruppi dirigenti socialisti era errata. Anche Turati, su cosa puntava? Puntava su un risanamento della borghesia, del gruppo dirigente della borghesia; puntava su una vittoria di Giolitti, su un ritorno al buon governo: qualche cosa che non soltanto non era accettabile dal movimento operaio, ma che era anche utopistico, perché ormai la borghesia aveva altri disegni, lo sono pronto ad accettare una critica che riguarda gli errori di prospettiva allora commessi dai comunisti; ma allargo questa critica a tutti i socialisti. Nessuno comprese questa critica a tutti i socialisti. Nessuno comprese che cosa era il fascismo, l’originalità di questo movimento di massa.” In questo libro-intervista Giorgio Amendola fa un’analisi originale e spregiudicata dell’antifascismo, per coglierne meriti storici e debolezze politiche e culturali.
L’AUTORE-
Giorgio Amendola (Roma, 1907-1980), politico di rango, storico protagonista della lotta al fascismo e della edificazione della nuova Italia nata dalla Resistenza, è stato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, prima nel governo Parri e poi nel primo governo De Gasperi, e deputato al Parlamento nelle fila del Partito comunista italiano.
RECENSIONE DEI LETTORI
Sono più che mai convinto che sia necessario in questi anni tornare a leggere di antifascismo: anche e soprattutto in mezzo a questa pandemia, che è percepita da molti come una versione adeguata al mondo globalizzato di una guerra mondiale. E anche solo l’idea di una guerra mondiale (lasciando da parte per un momento le decine di migliaia di vittime innocenti che le guerre mietono, pandemie incluse) evoca nella mia testa sinistri fantasmi, dal punto di vista politico.
Naturalmente non era solo questa la ragione che mi ha spinto ad aprire una intervista ad un vecchio partigiano di 45 anni fa; ci può stare l’amor di simmetria (se esiste una intervista sul fascismo ed una intervista sul capitalismo, perchè non ci deve essere una intervista sull’antifascismo?), ci può stare anche un approfondimento sia pur blando di quello che è accaduto negli anni dal 1919 al 1925, stimolato anche e soprattutto da quella inquietante e bellissima lettura (che consiglio a tutti) di “M”, di Scurati.
Che uomo Giorgio Amendola! Nessuno, forse nemmeno Sandro Pertini, è capace di impersonare il mondo della resistenza come lui. A 19 anni perde il padre, spezzato in due dalle bastonate delle squadracce mussoliniane: giura una vendetta così feroce che neppure 50 anni dopo, ai tempi di questa intervista, è del tutto compiuta. Il capo partigiano che ordinò l’attentato di via Rasella non si accontenta di contribuire a distruggere il fascismo ma vuole anche garantirsi che i colpi della storia non gli diano la possibilità di tornare. E lo fa anche con questa semplice, lineare, chiara, affilata disamina di 20 anni di esilio, clandestinità e lotta dura.
Quello che fa specie è che in politica Amendola è stato in realtà un moderato. Figlio di un democratico di matrice liberale, è ideologicamente molto più vicino a Giustizia e Libertà ed al partito d’Azione che al comunismo (al quale mi sembra aderisca perchè la forza rivoluzionaria dei rossi meglio si addice alla sua vendetta). Si legge tra le pagine di questo libro l’ammirazione per Emilio Lussu, Carlo Levi, Aldo Garosci, Piero Gobetti, i fratelli Rosselli e tante altre grandi personalità di primo piano lottarono nel nome di un progetto purtroppo senza futuro.
Anche negli anni settanta Amendola era uomo di Berlinguer. Un uomo la cui idea politica estremamente pragmatica ed aperta all’autocritica, per nulla ideologicizzata su assiomi marxisti (mentre Amendola scriveva questo libro al povero Karl saranno fischiate le orecchie) rendeva adatto al compromesso storico, alla lotta contro le BR partendo da un partito di sinistra, al servizio dello stato in generale. Ne emerge una grande statura istituzionale, che fa capire in modo chiaro e tutto cose cosa voglia dire essere al servizio della democrazia, e questo fattore è una delle ragioni che rendono grande questo libro.
Ma il fascismo? Come è stato possibile che sia accaduto quello che è accaduto? La parte dell’intervista relativa agli anni venti è secondo me la più interessante in assoluto, anche perchè si ritrovano le risposte a tutte le domande che “M” aveva sollevato. L’autocritica, direi quasi l’attacco al PCI ed alle forze democratiche di quegli anni è di una onestà disarmante.
Mussolini ha potuto prendere il potere perchè le altre forze non hanno capito i tempi. I liberali sono rimasti legati alla rassegnazione di Benedetto Croce, che predicava non di attaccare il fascismo ma di prepararsi alla sua caduta, vista come inevitabile (ci sono voluti vent’anni di dittatura e settecentomila morti, ma tant’è). I comunisti ed i socialisti avevano davvero molta carne al fuoco in tempi in cui Lenin e la sua URSS sconvolgevano il mondo: si sono molto più preoccupati del socialismo reale che dell’ Italia, che in quei tempi col socialismo reale non aveva nulla a che vedere.
Alla ricerca di strategie, e nello sforzo di correre dietro al pensiero marxista che improvvisamente sembrava diventato vincente, i politici di sinistra hanno pensato troppo ed agito poco. Agito poco anche in nome di quel determinismo ottocentesco che ha colpito i liberali di cui sopra, laddove nell’epoca delle avanguardie e delle guerre mondiali davvero il mondo dell’ Ottocento era qualcosa di pericolosamente obsoleto.
Il troppo pensiero divide, ed infatti la nascita del PCI in quegli anni spacca in due la sinistra in un momento in cui avrebbe dovuto essere più unita che mai. Il marxismo feroce ha reso deterministi i comunisti dell’epoca. Li ha resi passivi, certi dell’inevitabilità di una rivoluzione che era tutto meno che inevitabile, come la storia ha dimostrato. Li ha resi certi che il popolo era pronto a rivoltarsi, senza tenere conto che le masse contadine uscite distrutte dal macello della prima guerra mondiale non volevano affatto la rivoluzione. Volevano quella parte di bottino che era stata loro promessa, e che prontamente i fasci di combattimento hanno sventolato davanti al loro naso. Li ha resi ideologicamente chiusi nei confronti di quella parte di forze interventiste più moderate, consegnando di fatto il concetto di patria alla destra (cosa vera ancora oggi!). Li ha resi insensibili nei confronti di un distacco delle generazioni giovanili dalla politica attiva, con la conseguenza che queste ultime sono andate alla ricerca del salvatore della patria, del capo carismatico al quale delegare tutto, di una azione feroce che permettesse di sfogare la disillusione della guerra e del dopoguerra.
Di come il radicalismo ideologico comunista abbia allontanato l’antifascismo di sinistra da quella potente forza antifascista che era il voto cattolico facente capo a Don Luigi Sturzo, è cosa così banale che forse non vale la pena di parlarne. Con ben altro pragmatismo e cinismo politico si muoverà Mussolini, una volta preso il potere.
In alcuni passaggi sembra davvero che si stia parlando di oggi. L’avvento del populismo, i disastri sociali ed economici causati dalla pandemia, la disaffezione alla politica attiva e l’incapacità di formarsi delle idee sono quelli di allora. Così come l’incapacità di certa sinistra non solo di unirsi, ma anche di guardare alle necessità primarie (l’appellativo di radical-chic, come tutte le esagerazioni, ha un fondo di verità) della gente impoverita ed incattivita. Bisogna davvero tenere sul comodino libri come questo, consapevoli delle inevitabili differenze, per capire certi rischi.
Poi ci sono le lotte clandestine contro il fascismo al potere, la debolezza e le strategie dei partiti in esilio, la sofferta formazione di una nuova democrazia, di cui la guerra partigiana (della quale Amendola parla assai poco qui) è stata la necessaria incubatrice: non è dal punto di vista militare che la resistenza è stata importante. Lo è stata perchè ha reso possibile la formazione di una nuova classe dirigente. Terrò a fianco questo libro, quando aprirò la prima pagina degli altri due capitoli di “M”.
Ma anche quando verrà il momento di nuove elezioni politiche. Secondo me bisognerà ricordarsi di verificare l’atteggiamento che terranno i nuovi candidati nei confronti di certi temi.
Nel frattempo 5 stelle. Secche, pulite, brillanti.
Fino alla metà del XX secolo, dipinti, sculture, libri, illustrazioni hanno creato un immaginario collettivo trasmettendo un unico messaggio: la preistoria è una questione di uomini. Ma non ci sono prove che gli uomini primitivi fossero cacciatori, creatori di armi e utensili, nonché artisti di dipinti rupestri mentre le donne si occupassero solo dei figli e di tenere in ordine la grotta. L’archeologia è una scienza giovane, che risale al XIX secolo, ed è stata sviluppata da studiosi di genere maschile che erano inclini a proiettare gli stereotipi di quel tempo sul loro oggetto di studio, costruendo un modello di famiglia preistorica che imita quello della famiglia occidentale dell’Ottocento: nucleare, monogama e patriarcale, con l’idea che le donne non abbiano avuto alcun ruolo nell’evoluzione tecnica e culturale dell’umanità. Escludendo metà della popolazione, la visione del comportamento nelle società preistoriche è stata distorta per più di un secolo e mezzo. Nell’ultimo decennio, però, lo sviluppo dell’archeologia di genere, delle nuove tecniche di analisi dei reperti e le recenti scoperte di fossili umani ci hanno permesso di sfidare i numerosi pregiudizi sulle donne preistoriche, che erano in realtà meno sottomesse e più inventive di quanto si è creduto fino a oggi. Con La preistoria è donna, Marylène Patou-Mathis decostruisce i paradigmi all’origine di questo ostracismo e ci permette di aprire nuove prospettive nell’approccio scientifico verso lo studio delle società preistoriche. Pone inoltre le basi per una diversa storia delle donne, libera da stereotipi, non più dominata e scritta solo da uomini.
L’Autore- Marylène Patou-Mathisè una storica francese specializzata nel comportamento dei Neanderthal. Direttrice del Centro Nazionale di Ricerca Scientifica, lavora nel dipartimento Uomo e Ambiente del Museo di Storia Naturale. Nota a livello internazionale per le sue ricerche, ha scritto numerosi libri di saggistica. La preistoria è donna è il suo primo libro a essere pubblicato in Italia, in corso di traduzione in 7 Paesi.
ROMA al Teatro Ambra Jovinelli va in scena “Iliade – il gioco degli dei”-
Dal 13 sino al 24 marzo, al Teatro Ambra Jovinelli, Alessio Boni insieme agli storici compagni di avventure teatrali Roberto Aldorasi, Francesco Niccolini e Marcello Prayer, firma dopo I Duellanti e Don Chisciotte, la drammaturgia di Iliade – il gioco degli dei, per specchiarsi nei miti più antichi della poesia occidentale e nella guerra di tutte le guerre. Interpreti della piéce saranno Alessio Boni, Iaia Forte, Haroun Fall, Jun Ichikawa, Francesco Meoni, Elena Nico, Marcello Prayer ed Elena Vanni.
Iliade canta di un mondo in cui l’etica del successo non lascia spazio alla giustizia e gli uomini non decidono nulla, ma sono agiti dagli dèi in una lunga e terribile guerra senza vincitori né vinti. La coscienza e la scelta non sono ancora cose che riguardano gli umani: la civiltà dovrà attendere l’età della Tragedia per conoscere la responsabilità personale e tutto il peso della libertà da quegli dèi che sono causa di tutto ma non hanno colpa di nulla.
In quel mondo arcaico dominato dalla forza, dal Fato ineluttabile e da dèi capricciosi non è difficile specchiarci e riconoscere il nostro: le nostre vite dominate dalla paura, dal desiderio di ricchezza, dall’ossessione del nemico, dai giochi di potere e da tutte le forze distruttive che ci sprofondano nell’irrazionale e rendono possibile la guerra. Ci sono tutti i semi del tramonto del nostro Occidente in Iliade che, come accade con la grande poesia, contiene anche il suo opposto: la responsabilità e la libertà di scegliere e di dire no all’orrore.
A dieci anni dalla nascita, dopo I Duellanti e Don Chisciotte, il Quadrivio, formato da Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Francesco Niccolini e Marcello Prayer, riscrive e mette in scena l’Iliade per specchiarsi nei miti più antichi della poesia occidentale e nella guerra di tutte le guerre.
Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Marcello Prayer
Spettacolo realizzato in occasione di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023
Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo
in coproduzione con
Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo – Fondazione Teatro della Toscana – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
presentano
ALESSIO BONI IAIA FORTE
in
I L I A D E
“IL GIOCO DEGLI DEI”
UNO SPETTACOLO DEL QUADRIVIO
testo di FRANCESCO NICCOLINI
liberamente ispirato all’Iliade di Omero
drammaturgia di Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Francesco Niccolini e Marcello Prayer
con (in o.a.)
HAROUN FALL – JUN ICHIKAWA – FRANCESCO MEONI
ELENA NICO – MARCELLO PRAYER – ELENA VANNI
scene Massimo Troncanetti
costumi Francesco Esposito
disegno luci Davide Scognamiglio
musiche Francesco Forni
creature e oggetti di scena
Alberto Favretto – Marta Montevecchi – Raquel Silva
Orario:
dal martedì al sabato ore 21:00
venerdì 15, mercoledì 20 e giovedì 21 marzo ore 19:30
domenica ore 17:00
Contatti:
Botteghino 06 83082620 – 06 83082884
Giugno dal lunedì al sabato ore 10.00-19.00
Luglio: dal lunedì al venerdì ore 10.00 – 19.00
Dal 5 agosto al 3 settembre compresi chiuso.
Dal 4 settembre fino ad inizio spettacoli: dal lunedì al sabato ore 10.00-19.00
Orario invernale: dal martedì al sabato ore 10.00 – 19.00 e la domenica ore 14.00-16.00 – lunedì chiuso
-“Poesia in forma di rosa” di Pier Paolo Pasolini-
–“La Guinea”–“Poesia in forma di rosa” di Pier Paolo Pasolini-Copia Anastatica da NUOVI ARGOMENTI N° doppio 59/60 -Luglio-Dicembre 1978-Pier Paolo Pasolini -Carlo Maria Ossola: Scrittore, poeta, autore e regista cinematografico e teatrale italiano (Bologna 1922 – Ostia, Roma, 1975). Dopo aver seguito nell’infanzia gli spostamenti del padre, ufficiale di carriera, compì gli studî a Bologna, dove si laureò nel 1945 con una tesi su Pascoli. Nel 1943 si trasferì nel paese materno di Casarsa della Delizia, in Friuli, con la madre e il fratello minore Guido, morto poi nella lotta di resistenza (il padre, fatto prigioniero in Africa, sarebbe tornato alla fine del 1945), e vi rimase fino al genn. 1950, quando, per sfuggire allo scandalo provocato dalla pubblica denuncia della sua omosessualità, si stabilì con la madre a Roma. Da questo momento la sua vicenda biografica coincide appieno con la tumultuosa attività dello scrittore, del regista e dell’intellettuale impegnato a testimoniare e a difendere, spesso anche in sede giudiziaria, la propria radicale diversità, fino alla morte per assassinio, avvenuta la notte tra il 1° e il 2 nov. 1975 all’idroscalo di Ostia.
Biblioteca DEA SABINA –“La Guinea”, in “Poesia in forma di rosa” di Pier Paolo Pasolini-
Alle volte è dentro di noi qualcosa (che tu sai bene, perché è la poesia) qualcosa di buio in cui si fa luminosa
la vita: un pianto interno, una nostalgia gonfia di asciutte, pure lacrime. Camminando per questa poverissima via
di Casarola, destinata al buio, agli acri crepuscoli dei cristiani inverni, ecco farsi, in quel pianto, sacri
i più comuni, i più inutili, i più inermi aspetti della vita: quattro case di pietra di montagna, con gli interni
neri di sterile miseria – una frase sola sospesa nella triste aria, secco odore di stalla, sulla base
del gelo mai estinto – e, onoraria, timida, l’estate: l’estate, con i corpi sublimi dei castagni, qui fitti, là rari,
disposti sulle chine – come storpi o giganti – dalla sola Bellezza. Ah bosco, deterso dentro, sotto i forti
profili del fogliame, che si spezzano, riprendono il motivo d’una pittura rustica ma raffinata – il Garutti? il Collezza?
Non Correggio, forse: ma di certo il gusto del dolce e grande manierismo che tocca col suo capriccio dolcemente robusto
le radici della vita vivente: ed è realismo… Sotto i caldi castagni, poi, nel vuoto che vi si scava in mezzo, come un crisma,
odora una pioggia cotta al sole, poco: un ricordo della disorientata infanzia. E, lì in fondo, il muricciolo remoto
del cimitero. So che per te speranza è non volerne, speranza: avere solo questa cuccia per le mille sere che avanzano
allontanando quella sera, che a loro, per fortuna, così dolcemente somiglia. Una cuccia nel tuo Appennino d’oro.
La Guinea… polvere pugliese o poltiglia padana, riconoscibile a una fantasia così attaccata alla terra, alla famiglia,
com’è la tua, e com’è anche la mia: li ho visti, nel Kenia, quei colori senza mezza tinta, senza ironia,
viola, verdi, verdazzurri, azzurri, ori, ma non profusi, anzi, scarsi, avari, accesi qua e là, tra vuoti e odori
inesplicabili, sopra polveri d’alveari roventi… Il viola è una piccola sottana, il verde è una striscia sui dorsali
neri d’una vecchia, il verdazzurro una strana forma di frutto, sopra una cassetta, l’azzurro, qualche foglia di savana
intrecciata, l’oro una maglietta di un ragazzo nero dal grembo potente. Altro colpo di pollice ha la Bellezza:
modella altri zigomi, si risente in altre fronti, disegna altre nuche. Ma la Bellezza è Bellezza, e non mente:
qui è rinata tra anime ricciute e camuse, tra pelli dolci come seta, e membra stupendamente cresciute.
Il mare è fermo e colorato come creta: con case bianche, e palme: «tinte forti da tavolozza cubista», come dice un poeta
africano. E la notte! Sensi distorti da ogni nostro dolce costume, occorrono, per cogliere i folli decorsi
che accadono, come pestilenze, a queste lune. Perduti dietro metropoli di capanne in uno spiazzo tra palme nere come piume,
alberi di garofano, di cannella – e canne uguali alle nostrane, quelle sparse intorno a ogni umano abitato – come tre zanne,
tre strumenti suonati quasi dal fuoco di un forno inestinguibile, da gote nere sotto le falde dei cappelli flosci presenti a ogni sbornia –
urlavano sempre le stesse note di leopardi feriti, una melodia che non so dire: araba? o americana? o arcaici e bastardi
resti di una musica, il cui lento morire è il veloce morire dell’Africa? Questo terzetto era al centro, scurrile
e religioso: neri-fetenti come capri i tre suonatori, schiena contro schiena, stretti, perché, intorno, in due sacri
cerchi di pochi metri, rigirava una piena di migliaia di corpi. Nel cerchio interno erano donne, a girare, addossate, appena
sussultanti nella loro danza. All’esterno i maschi, tutti giovani, coi calzoni di tela leggera, che, intorno a quel perno
di trombe, stranamente calmi, buoni, giravano scuotendo appena spalle e anche: ma ogni tanto, con fame di leoni,
le gambe larghe, il grembo in avanti, si agitavano come in un atto di coito con gli occhi al cielo. Al fianco
le donne, vesti celesti sopra i neri cuoi delle pelli sudate, gli occhi bassi, giravano covando millenaria gioia…
Ah, non potrò più resistere ai ricatti dell’operazione che non ha uguale, credo, a fare dei miei pensieri, dei miei atti,
altro da ciò che sono: a trasformare alle radici la mia povera persona: è, caro Attilio, il patto industriale.
Nulla gli può resistere: non vedi come suona debole la difesa degli amici laici o comunisti contro la più vile cronaca?
L’intelligenza non avrà mai peso, mai, nel giudizio di questa pubblica opinione. Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai
da una dei milioni d’anime della nostra nazione, un giudizio netto, interamente indignato: irreale è ogni idea, irreale ogni passione,
di questo popolo ormai dissociato da secoli, la cui soave saggezza gli serve a vivere, non l’ha mai liberato.
Mostrare la mia faccia, la mia magrezza – alzare la mia sola, puerile voce – non ha più senso: la viltà avvezza
a vedere morire nel modo più atroce gli altri, con la più strana indifferenza. Io muoio, ed anche questo mi nuoce.
Nulla è insignificante alla potenza industriale! La debolezza dell’agnello viene calcolata ormai più senza
fatica nei suoi pretesti da un cervello che distrugge ciò che deve distruggere: nulla da fare, mio incerto fratello…
Mi si richiede un coraggio che sfugge del tutto al reale, appartiene ad altra storia; mi si vuole spelacchiato leone che rugge
contro i servi o contro le astrazioni della potenza sfruttatrice: ah, ma non sono sport le mie passioni,
la mia ingenua rabbia non è competitrice. Non c’è proporzione tra una nuova massa predestinata e un vecchio io che dice
le sue ragioni a rischio della sua carcassa. Non è il dovere che mi trattiene a cercare un mondo che fu nostro nella classica
forza dell’elegia! nell’allusione a un fatale essere uomini in proporzioni umane! La Grecia, Roma, i piccoli centri immortali…
annette Dei di milioni di guadi, percepisce l’odore dell’umidità dei quaranta gradi sopra zero immobili nelle coste, Mogadiscio
e le buganvillee di Nairobi, gli odori bradi delle bestiacce scomposte in un selvatico galoppo, per gli sventrati, i radi
orizzonti pervasi d’un funebre stallatico; la quantità, l’immensità che pesa inutilmente nel mondo, i cui prati bruciati
o marci d’acqua, sono una distesa priva di possibile poesia, rozza cosa restata lì, ai primordi, senza attesa,
sotto un sole meccanico che, annosa e appena nata, essa subisce come infinità. Ne nasce un bestiale colore rosa
dove il sesso paesano che ognuno ha disegnato in calzoni di allegro cotone, in gonne comprate negli stores indiani,
con soli occhiuti e cerchi di pavone, come un’isola galleggia in un oceano ronzante ancora per un’esplosione
recente e sprofondata dentro le maree… Fiori tutti d’un colore, di cotone, occhiuti e cerchiati popolano le Guinee
galleggiando nel tanfo d’un’uccisione, nella carne delle estati sempre feroce a divorare cibi cui la notte impone
le tinte equatoriali della morte precoce, il blu e il viola e la polvere orrenda, la libertà, che partorisce il popolo con voce
famigliare, e, in realtà, tremenda, il nero dei villaggi, il nero dei porti coloniali, il nero degli hotels, il nero delle tende…
E… alba pratalia, alba pratalia, alba pratalia… I prati bianchi! Così mi risveglio, il mattino, in Italia,
con questa idea dei millenni stanchi bollata nel cervello: i bianchi prati del Comune… della Diocesi… dei Banchi
toscani o cisalpini… quelli rievocati nel latino del duro, dolce Salimbene… Il mondo che sta in un testo, gli Stati
racchiusi in un muro di cinta – le vene dei fiumi che sono poco più che rogge, specchianti tra gaggìe supreme
– i ruderi, consumati da rustiche piogge e liturgici soli, alla cui luce l’Europa è così piccola, non poggia
che sulla ragione dell’uomo, e conduce una vita fatta per sé, per l’abitudine, per le sue classicità sparute.
Non si sfugge, lo so. La Negritudine è in questi prati bianchi, tra i covoni dei mezzadri, nella solitudine
delle piazzette, nel patrimonio dei grandi stili – della nostra storia. La Negritudine, dico, che sarà ragione.
Ma qui a Casarola splende un sole che morendo ritira la sua luce, certa allusione ad un finito amore.
Pier Paolo Pasolini
da “Poesia in forma di rosa (1961-64)”, Milano, Garzanti, 1964
Fonte -Enciclopedia TRECCANI-Pier Paolo Pasolini -Carlo Maria Ossola: Scrittore, poeta, autore e regista cinematografico e teatrale italiano (Bologna 1922 – Ostia, Roma, 1975). Dopo aver seguito nell’infanzia gli spostamenti del padre, ufficiale di carriera, compì gli studî a Bologna, dove si laureò nel 1945 con una tesi su Pascoli. Nel 1943 si trasferì nel paese materno di Casarsa della Delizia, in Friuli, con la madre e il fratello minore Guido, morto poi nella lotta di resistenza (il padre, fatto prigioniero in Africa, sarebbe tornato alla fine del 1945), e vi rimase fino al genn. 1950, quando, per sfuggire allo scandalo provocato dalla pubblica denuncia della sua omosessualità, si stabilì con la madre a Roma. Da questo momento la sua vicenda biografica coincide appieno con la tumultuosa attività dello scrittore, del regista e dell’intellettuale impegnato a testimoniare e a difendere, spesso anche in sede giudiziaria, la propria radicale diversità, fino alla morte per assassinio, avvenuta la notte tra il 1° e il 2 nov. 1975 all’idroscalo di Ostia.
Fin dagli esordî in friulano, che comprendono Poesie a Casarsa (1942) e La meglio gioventù (1954; poi ripreso con intenti diversi e notevole incremento di testi: La nuova gioventù, 1975), ben oltre la nozione ermetica di poesia pura, il giovane P. puntava alla scoperta di una lingua intatta, che fosse quasi un equivalente letterario del suo religioso desiderio di purezza (fonderà così nel 1945 l’Academiuta di lenga furlana). Il suo interesse per la poesia dialettale trovò espressione in due importanti antologie: Poesia dialettaledelNovecento (in collab. con M. Dell’Arco, 1952) e Canzoniere italiano. Antologia della poesia popolare (1955; poi, in versione ridotta: La poesia popolare italiana, 1960); mentre il suo talento di critico letterario, affascinato più dai modelli della critica stilistica (Auerbach, Spitzer, Contini) che dal sociologismo marxista d’ispirazione gramsciana, si esplicò in una serie di interventi sulla letteratura contemporanea, e soprattutto sulla poesia, che sarebbero confluiti in Passione e ideologia (1960). Gli anni Cinquanta furono gli anni della sua completa affermazione letteraria. La sua prima notevole raccolta di poesie in lingua, Le ceneri di Gramsci (1957), sembra chiudere definitivamente una stagione della poesia italiana. L’ansia profetica dell’Usignolo della chiesa cattolica (pubbl. nel 1958, ma composto prima del trasferimento a Roma) si sarebbe riproposta, dopo la parentesi decisiva delle Ceneri, nei termini mutati di un’ininterrotta controversia (La religione del mio tempo, 1961; Poesia in forma di rosa, 1964; Trasumanar e organizzar, 1971). P. fondava, intanto, insieme a F. Leonetti e R. Roversi, Officina, la rivista della polemica antinovecentesca; era anche diventato condirettore di Nuovi argomenti, rivista fondata nel 1953 da A. Moravia e A. Carocci. E aveva dovuto affrontare difficoltà molto più gravi dopo la pubblicazione dei suoi due romanzi d’ambientazione romana: Ragazzi di vita (1955), per il quale dovette subire un processo per oscenità, e Una vita violenta (1959), che era stato accolto freddamente tanto dalla critica marxista quanto dai giovani critici della neoavanguardia. Ma la vocazione di P., già insofferente dei limiti di un genere letterario, si era orientata verso altri mezzi d’espressione: il cinema (v. oltre), del quale si sarebbe poi occupato anche in veste di teorico, il teatro (Orgia, 1968; Affabulazione, 1969; Calderón, 1973) e il giornalismo (soprattutto, dal 1973, le collaborazioni al Corriere della sera, poi raccolte con altre in Scritti corsari, 1975). In ritardo rispetto alla data di composizione, erano intanto apparsi il romanzo Il sogno di una cosa (1962) e le prose narrative di Alì dagli occhi azzurri (1965), oltre a vari scritti minori. Postume, in ordine sparso, sono uscite raccolte di scritti giornalistici (Lettere luterane, 1976; Le belle bandiere, 1977; Il caos, 1979), di critica letteraria (Descrizioni di descrizioni, 1979; Il portico della morte, 1988), opere narrative (La divina mimesis, 1975; Amado mio, 1982; Petrolio, 1992, romanzo incompiuto che riassume e porta a livello di quasi insostenibile incandescenza tutti i temi dello scrittore), nonché le raccolte complete dei suoi testi teatrali (Teatro, 1988) e poetici (Bestemmia. Tutte le poesie, 1993). Diversi scritti appartenenti alla fervida stagione friulana del poeta sono stati raccolti dal cugino N. Naldini in Un paese di temporali e di primule (1993) e in Romàns (1994); per sua cura sono anche apparse le Lettere 1940-1954 (1986) e le Lettere 1955-1975 (1988). Tutte le opere di P. sono state raccolte nell’edizione diretta da W. Siti (10 tomi, 1998-2003).
Nel cinema P. operò a partire dal 1954, come sceneggiatore (con M. Soldati, La donna del fiume; con F. Fellini, Le notti di Cabiria; con M. Bolognini, Marisa la civetta, Giovani mariti, La notte brava, Il bell’Antonio, La giornata balorda; e, fra i tanti, con B. Bertolucci, La commare secca, autore anche del soggetto). P. dapprima trasferì i frutti della sua ricerca narrativa (Accattone, 1961; Mamma Roma, 1962; La ricotta, episodio del film collettivo Ro.Go.Pa.G., 1963, condannato per vilipendio alla religione di stato), reinventando un linguaggio cinematografico autonomo di alta qualità figurativa (P. era stato allievo di R. Longhi a Bologna). Il linguaggio di P. approdò a risultati più compiuti ne Il Vangelo secondo Matteo (1964), in cui l’armonica fusione del cinema con la letteratura, la pittura e la musica diede l’avvio a quel “cinema di poesia” di cui P. doveva essere in Italia uno dei più convincenti teorici (Il cinema di poesia, 1965; Osservazioni sul piano sequenza, 1967; Empirismo eretico, 1972). Su questa linea, i film che seguirono, soprattutto Edipo re (1967), Teorema (1968) e Medea (1969), accesi da un realismo visionario che, nonostante scarti e manifeste libertà, sorregge poi anche gl’impegni drammatici e linguistici dei film della “trilogia della vita” (o, come altri l’hanno definita, “dell’Eros”), partiti alla riscoperta del sesso attraverso una rilettura delle fonti della grande favolistica mondiale: Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972), Il fiore delle Mille e una Notte (1974). L’ultimo film, uscito postumo, Salò o le 120 giornate di Sodoma (1976), luttuosa metafora del potere e interpretazione in chiave provocatoria del libro omonimo di Sade. Non vanno dimenticati Che cosa sono le nuvole? (dal film collettivo Capriccio all’italiana, 1968) e Porcile (1969). Rimane un grande esempio del cinema d’inchiesta Comizi d’amore (1965), indagine sulla sessualità nell’Italia dei primi anni Sessanta, condotta da P. insieme a Moravia e Musatti. Esemplare parabola della storia d’Italia, dalla predicazione francescana ai funerali di Togliatti, è Uccellacci e uccellini (1966), ultima “legenda aurea” della civiltà italiana.
Pasolini e il Novecento. – L’edizione delle Opere di Pasolini colloca la sua opera tra i classici del secondo Novecento. E a ragione, poiché solo Pasolini (come D’Annunzio e più di Pirandello) ha sperimentato tutti i generi della creazione del 20° secolo: romanzo e novella, teatro e cinema, critica letteraria e saggistica politica, e non meno la poesia. Già questa semplice ragione di “generi” crea un singolare accostamento: D’Annunzio, Pirandello, Pasolini, un essere nel proprio tempo, nel quale la retorica – strumento dell’argomentare, del persuadere, dell’insegnare, leva essenziale di ogni “passione e ideologia” – è esibita, non velata, non nascosta, non lenita da strumenti di “sordina”. Sì che non pare ardito oggi dire che Pasolini è stato per l’ultimo Novecento il rovesciamento speculare di quello che fu D’Annunzio all’ouverture del 20° secolo: là fu la parola chiamata a colmare le lacune del tempo, parola di gloria (e di lusso vitale dell’io), qui la parola della negazione, dell’abiezione, dei margini prossimi al niente: “i segni del desiderio di morire, / le occhiaie del vile, / il mento del debole, / … / le scarpe dello statale, / il culo del soldato semplice, / la calvizie del disadattato, / la schiena del condannato a morte” (Il dolore dei poeti, da Poesie marxiste, 1964-65). L’Italia repubblicana trova così oggi due emblemi nobili della propria identità: da una parte Calvino, la ragione e l’utopia, la trasparenza e la levità, l’Italia dell’Ariosto e di Galileo; dall’altra Pasolini, l’Italia di Jacopone e di Belli, di Gioacchino da Fiore e di Gadda: stracci e apocalissi. Una civiltà magmatica – il dialetto friulano e Dante, i tragici greci e gli Evangeli, il sottoproletariato e la Nuova Guinea – ma non più e soltanto latina: Pasolini sa partire da Alba pratalia, alba pratalia delle nostre origini e arrivare alla lugubre Nuova Preistoria che viviamo, alla profezia degli ultimi: “La Negritudine, dico, che sarà ragione”. In certo modo – come lucidamente hanno osservato Calvino e Barthes per l’utopia di Fourier – il profetismo pasoliniano si sbilancia oltre la rasserenata compiutezza delle ideologie: supera ogni finalismo della storia prevedendo la fine della storia, e intanto della propria. Nessun altro poeta come Pasolini ha messo in scena, costantemente provandola e riprovandola in parole come sarà nei fatti, la propria morte: “Stesura in ‘cursus’ di linguaggio ‘gergale’ corrente, dell’antefatto: Fiumicino, il vecchio castello e una prima idea vera della morte: […] – sono come un gatto bruciato vivo, / Pestato dal copertone di un autotreno” (Una disperata vitalità). Un Pasolini che incarna in sé, come scriverà, il destino di Cassandra: “Basti pensare a una figura come quella di Cassandra, che prevede, anzi vede fisicamente la propria morte” (Nota per l’ambientazione dell’Orestiade in Africa). Una lettura della storia dell’Italia unita, tutta incentrata sulle identità popolari: il cristianesimo e il marxismo; il pensiero laico-liberale, stendardo della borghesia, non fu mai una vera alternativa, ma parve a Pasolini la continuazione del Potere, non la plenitudine della Verità: “Quelli di voi che possiedono un cuore / votato alla maledetta lucidità, / vadano nei laboratori, nelle scuole, / a ricordare che nulla in questi anni ha / mutato la qualità del conoscere, eterno pretesto, / forma utile e dolce del Potere, NON MAI VERITÀ. // […] Vadano, tanto per cominciare, dai Crespi, dagli Agnelli, / dai Valletta, dai potenti delle Società / che hanno portato l’Europa sulle rive del Po: // è giunta per ognuno di loro l’ora che non ha / proporzione con quanto ebbe e quanto odiò” (Vittoria). Erano gli anni di Barbiana e tra poco di Lettera a una professoressa, l’utopia di un’eguaglianza fatta non per accumulo (produzione e consumo: la vagheggiata affluent society), ma per condivisione dell’essenziale: l’Italia di Pasolini e don Milani, Danilo Dolci e padre Turoldo, e anche – sia non indebito il paragone – dei papi veneti del Concilio, papi degli umili. Quella via, via di parola e di pane, di poveri e giustizia, fu l’orizzonte scomodo di Pier Paolo Pasolini: “Ma nei rifiuti del mondo, nasce / un nuovo mondo […] / la loro speranza nel non avere speranza” (La religione del mio tempo, 4). Quella vita che non ha nient’altro, per sostenerla, che il suo consumarla, sacro deserto della fame, della manna, ove si attraversa – come Mosè, come Edipo – il miraggio, “sospinti dalla violenza del suo assillo”. Così Pasolini ci ha rinnovato la biblica coscienza del sacro: quella coscienza – di Frazer e Cumont, di Caillois e di Deonna, ma anche di Bresson e di Tarkovskij – che “ciò che è sacro si conserva accanto alla sua nuova forma sconsacrata” (Medea).
Roma-In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua che ricorre il prossimo 22 marzo, la Sovrintendenza Capitolina propone diversi appuntamenti per scoprire e approfondire la conoscenza del patrimonio culturale di Roma legato al tema dell’acqua, anche con traduzione in Lingua dei Segni Italiana. L’iniziativa è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Servizi museali a cura di Zètema Progetto Cultura.
Due gli appuntamenti nei musei: al Museo della Repubblica Roma e memoria garibaldina è protagonista l’insolita figura di un Garibaldi marinaio, mentre al Museo Barracco si illustra lo stretto legame dell’acqua con il culto divino.
Non mancano le proposte di itinerari alla scoperta di luoghi quali le pendici del Celio con le sue antiche leggende sulle ninfe dell’acqua, e i Trofei di Mario, presso i quali saranno svelati segreti e curiosità sul funzionamento della distribuzione idrica nell’antica Roma. A Fontana di Trevi un accesso eccezionale ai locali tecnici in collaborazione con ACEA offre l’opportunità di conoscere le attività necessarie alla sua manutenzione.
Da Piazza della Minerva parte un itinerario dedicato alla scoperta delle numerose lapidi idrometriche che ricordano l’altezza raggiunta dal Tevere in occasione delle esondazioni che la Città Eterna ha subito nel corso dei secoli; il Ninfeo degli Annibaldi riporta allo splendore delle dimore aristocratiche dell’antica Roma e una passeggiata tra Piazza Navona e Piazza Farnese si snoda tra luoghi di giochi e divertimenti popolari, tra fontane monumentali e storie di navi e laghi artificiali.
IL TRIONFO DELL’ACQUA: IL NINFEO ALL’ESQUILINO
Ore 10.00, 60′, 10 persone
Trofei di Mario – Piazza Vittorio Emanuele (ingresso lato Via Carlo Alberto del giardino Nicola Callipari)
A cura di Letizia Silvestri
Il ninfeo di Alessandro Severo, conosciuto oggi con il nome di “trofei di Mario”, era un castello di distribuzione dell’acqua agli edifici imperiali, ai privati cittadini che ne facevano richiesta e alle fontane pubbliche.
UN MARINAIO DI NOME GARIBALDI
Ore 11.00, 90′, 15 persone
Museo della Repubblica Roma e memoria garibaldina
A cura di Mara Minasi e le volontarie del servizio civile universale
Pochi sanno che Giuseppe Garibaldi prima di essere l’eroico condottiero fautore dell’Unità d’Italia, è stato un abile marinaio. In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua scopriamo insieme le rotte navali che hanno portato in giro per il mondo il giovane Garibaldi.
Visita con LIS
IL TEVERE INQUIETO. 800 ANNI DI INONDAZIONI
Ore 12.00, 90′, 20 persone
Piazza della Minerva (davanti alla facciata della chiesa)
A cura di Alessia Cervelli e Anna Maria Petrosino
Una visita alla scoperta delle numerose lapidi idrometriche che, apposte sui prospetti degli edifici, ricordano l’altezza raggiunta dal Tevere in occasione delle catastrofiche esondazioni che la Città Eterna ha subito nel corso dei secoli.
Visita con LIS
L’ACQUA DEGLI UOMINI E L’ACQUA DEGLI DÈI NELLA GRECIA ANTICA
14.45, 60′, 25 persone
Museo di scultura antica Giovanni Barracco
A cura di Anna Maria Rossetti
Fondamentale elemento di vita, l’acqua è protagonista non solo nei mille usi delle necessità quotidiane, ma anche nel culto alle divinità. Una presenza così predominante, da essere considerata come dotata di potere sacro e perfino divinizzata.
Visita con LIS
L’ACQUA È UNA DEA
Ore 15.00, 60′, 25 persone
Piazza di Porta Capena (angolo viale Aventino, lato F.A.O)
A cura di Sovrintendenza Capitolina con Zètema Progetto Cultura
L’acqua era percepita dai romani come una vera e propria presenza divina… Lungo le pendici del Celio, gli autori antichi collocano un bosco, il lucus Camenarum, abitato dalle Camene, ninfe delle acque sorgive e dalla ninfa Egeria.
120 LITRI D’ACQUA AL SECONDO. LA GESTIONE SOSTENIBILE DI FONTANA DI TREVI
Ore 15.00, 120′ (due visite da 60 minuti), 14 persone per visita
Via della Stamperia (di fronte al civico n. 1)
A cura della Sovrintendenza Capitolina con Zètema Progetto Cultura e ACEA
In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua si propone una visita alla fontana di Trevi per conoscere le attività necessarie alla sua manutenzione e per accedere, in via eccezionale, ai due locali tecnici sul retro della fontana.
IL NINFEO DEGLI ANNIBALDI
Ore 15.15 e 16.15, 60′, 8 persone per visita
Via degli Annibaldi (angolo Via del Fagutale)
A cura di Carla Termini
Il ricco ninfeo appartenne ad una ricca dimora aristocratica ed è databile tra la fine della repubblica e l’età di Augusto.
Visita delle 16.15 accompagnata da LIS
GIOCHI D’ACQUA TRA PIAZZA NAVONA E PIAZZA FARNESE
Ore 16.00, 60′, 25 persone
Piazza Navona (presso la fontana del Moro)
A cura di Sovrintendenza Capitolina con Zètema Progetto Cultura
Una passeggiata tra Piazza Navona e Piazza Farnese, luoghi di giochi e divertimenti popolari, dove l’acqua è stata, ed è, indiscussa protagonista tra fontane monumentali e storie di navi, laghi artificiali e cacce al toro.
La traduzione in Lingua dei segni italiana-LIS è realizzata grazie alla collaborazione del Dipartimento Politiche Sociali e Salute (Direzione Servizi alla Persona) e della Cooperativa sociale onlus Segni di Integrazione – Lazio. Prenotazione allo 060608 (tutti i giorni ore 9.00-19.00).
Le persone sorde possono prenotare anche tramite il servizio multimediale gratuito CGS Comunicazione Globale per Sordi di Roma Capitale collegandosi al sito https://cgs.veasyt.com/ (lunedì-venerdì 8.30-18.30; sabato 8.30-13.30).
ROMA-Galleria GARD e l’Associazione culturale Soqquadro
presentano la III edizione della mostra denominata
“LUCE OMBRA SEGNO & MATERIA” –
Roma-La Galleria GARD e l’Associazione culturale Soqquadro presentano la III edizione della mostra denominata “LUCE OMBRA SEGNO & MATERIA”, esposizione collettiva di Arte Contemporanea, che ospiterà le opere di tredici artisti: Alessandra Degni e Simona Sarti – Frida Di Luia – Marco Gerani – Ligustro – Sonia Mazzoli – Francesca Mollicone – Alessandra Morricone – Marisa Muzi – Piero Rogai – Roberto Saglietto Mariana Pinte – Raffaella Tommasi – Rodolfo Violo, molto diversi tra loro per genere , stile e tecniche utilizzate nell’esecuzione delle opere , uniti dal tema trattato. Saranno presentate opere pittoriche, interattive e sculture mobili, che rispecchiano il concetto di luce, ombra segno e materia, non solo riscontrato al momento della visione dell’opera stessa, in alcuni casi quasi impercettibile, ma ampliato dal gioco di luci radenti che con, tecniche particolari di rilievi, sottolineano il concetto di luce ed ombra, che, con il segno e la materia, anche alternativa a quella tradizionale, saranno le protagoniste. La luce e l’ombra nella realizzazione delle opere d’arte sottolineano con forza la narrazione artistica, così come la scelta del segno e della materia utilizzate. Una luce radente o un’ombra sottolineata, così come una luce diffusa e un’ombra accennata, cambiano profondamente non solo l’estetica dell’opera ma il significato profondo. Allo stesso modo la scelta di un colore o di una precisa materia rendono, e possono modificare, con forza la narrazione che l’artista vuole imprimere al suo lavoro.
Anche in questa esposizione ci sarà la filosofia/ formula, ideata da Sonia Mazzoli direttore Artistico della Gard denominata ” SI – No – FORSE” che dà la facoltà al cliente di fare un’offerta economica di contrattazione rivolta ad una o più opere, offerte che potranno ricevere tre risposte: Si – No oppure Forse.
Artisti selezionati – brevi biografie:
DESART2 Alessandra Degni: Agù è il suo pseudonimo, in questo caso, nome d’arte scelto con cura rievocativa di un NOI condiviso intimamente. La sua formazione artistica inizia all’Istituto d’Arte Silvio D’Amico di Roma specializzandosi successivamente in Storia dell’Arte, Comunicazione, Marketing e Grafica Pubblicitaria. Attenta osservatrice, da sempre ha applicato questa sua qualità in campi diversi: progettazione e formazione, coordinamento, grafica, ma soprattutto comunicazione e scrittura creativa. Dal 2017 si interessa anche di tematiche riguardanti le Pari Opportunità collaborando a vari progetti dedicati a individuare la violenza, riconoscerla e sostenere chi la subisce: NonÈnormale, Facciamocisentire, CpoNazionale RFI. La sintesi, da sempre è un punto fondamentale di partenza per centrare gli argomenti per poi farli sviluppare nel corso dei suoi interventi con metodologie formative che privilegiano la creatività e la sperimentazione, così come la parola a cui bisogna attribuire sempre il giusto valore per trasmetterne l’esatta sfumatura e intensità.
Questa peculiarità, insieme alla fluidità e velocità nell’approcciarsi e nello sviluppare molteplici argomenti l’ha portata a impegnarsi in esperienze lavorative anche riguardanti la pubblicità, quindi il valore dell’immagine, ma soprattutto della parola che, ancora una volta, nella relazione con l’arte visiva trova nuovi approcci e interpretazioni dell’esperienza estetica. La sua ispirazione creativa trae spunto dalle opere d’arte per “mostrare e raccontare”. Ha partecipato a mostre presso spazi pubblici e privati. Le sue opere fanno parte di collezioni. Scrive testi espografici di complemento alle mostre favorendo l’interazione tra linguaggio e immagini, solleticando la curiosità e l’immaginario del visitatore.
Frida Di Luia pseudonimo FridArt) nasce a Malaga in Spagna il 24 Agosto 1971. Il suo percorso creativo nasce nei primi anni ’90 creando abiti di scena per l’animazione delle discoteche. Conosce molti artisti nelle mostre d’arte che si svolgevano presso” Libreria Romana” in Via dei Prefetti, di proprietà dei genitori. Frequenta un corso di rilegatura e tecniche di restauro di libri antichi. Si diletta ad acquerellare stampe antiche. Si appassiona all’arte moderna attraverso i volumi d’arte che sfoglia presso la propria libreria. Crea oggetti con vari materiali, quali c’era d’api, cernit, fimo, pasta di sale, gioielli, candele e soprammobili utilizzando anche materiali di riciclo. Da una decina di anni ad oggi usa varie tecniche pittoriche e si specializza nella Fluid Art che la soddisfano pienamente e si definisce outsider artist. Collabora spesso con la GARD Galleria Arte Roma Design data la grande amicizia con la socia fondatrice Sonia Mazzoli.
Marco Gerani: Nato a Roma nel 1965, comincia a dipingere nel 1985. Ha frequentato corsi privati tenuti da maestri d’arte figurativa e approfondisce la tecnica di base, acquisendo pratica ed esperienza con il colore. Sviluppa un segno pulito e deciso che inizialmente lo porta ad esprimersi con uno stile figurativo, successivamente i suoi riferimenti subiscono una connotazione sempre più distaccata dalla figurazione, divenendo astratti. Pur non tralasciando il filo discorsivo del segno netto come confine dello spazio riflessivo, il colore domina il campo visivo dando forma e sostanza all’emozione. Ha esposto in diverse mostre collettive e personali a Roma e in Umbria, espone in permanenza in una galleria del centro di Umbertide.
Sonia Mazzoli: Nasce a Roma il 30 dicembre del 67, inizia il suo percorso creativo giovanissima manipolando argilla in un ambiente familiare molto creativo che assieme al gusto del creare dal nulla le dà la spinta iniziale. Comincia realizzando gioielli per poi proseguire le sue sperimentazioni con disparati materiali come pietre dure, cartapesta, con una spiccata predilezione per il riciclo. Le sue principali fonti di approvvigionamento sono le discariche e la mania di conservare sempre tutto! Consegue il Diploma di Maestro d’Arte al Silvio D’Amico di Roma e frequenta l’Accademia di Belle Arti di Roma sez. Scenografia. Nel 95 è socia fondatrice di GARD Galleria Arte Roma Design.
Pier Luigi Rogai: detto Piero: nasce a Roma il 20 02 1948. Alle elementari incontra una maestra fantastica che con tutta la classe sia maschi che femmine gli fa provare la manipolazione di tanti materiali come stoffa cucito ma anche traforo sul legno pirografia su pelle ecc. (la straordinarietà è che siamo nella seconda metà degli anni 50). Negli anni 70 si dedica ai piccoli falsi in scatole di svedesi. Nel 1975 in una mostra a Torino scopre Calder e da allora sperimenta la catartica esperienza degli equilibri fluttuanti.
Ligustro: Giovanni Berio: in arte Ligustro, noto in Giappone come l’ultimo incisore del Periodo Edo “Un Geniale stampatore di Ukiyo-e di Genova è la reincarnazione di Hokusai.” (Imperia 1924 – 2015 ). Dal 1986 si era dedicato esclusivamente allo studio della xilografia policroma giapponese e delle sue tecniche Nishiki-E in uso nel Periodo Edo realizzandone la stampa a mano sulle preziose carte prodotte in Giappone ancora con antichi metodi artigianali e utilizzando molteplici colori che possono raggiungere il numero di 800. Questi ultimi si ottengono mediante la composizione di diverse polveri e foglie di argento e di oro, polveri di perle di fiume, frammenti micacei, conchiglie di ostriche macinate (in giapponese gofun), terre colorate ed altri procedimenti da lui inventati.
La tecnica nishiki-e riscoperta ed utilizzata da Ligustro è una tecnica molto complicata che richiede centinaia e centinaia di passaggi per la stampa; infatti, per ogni stampa possono essere necessari anche oltre 100 legni incisi specifici per ogni particolare e per ogni colore e ogni opera viene incisa su carta pregiata giapponese, come detto prima. Ogni opera è una copia unica e normalmente Ligustro ha prodotto 4 copie per ogni stampa con colori e su carte diverse. È conosciuto e stimato in tutto il mondo, in particolare da studiosi giapponesi, inglesi, francesi ed italiani. In data 9 maggio 2015 si è svolta, presso la sala convegni della Biblioteca Civica Leonardo Lagorio di Imperia, con il patrocinio della Fondazione Italia Giappone e della Fondazione Mario Novaro, l’apertura della sala dedicata al Maestro Giovanni Berio in arte LIGUSTRO quale traguardo successivo dopo l’importante donazione (5000 legni incisi, corrispondenza, calligrafie giapponesi, libri ed opere d’arte personali e di altri autori, l’archivio completo di una vita artistica) del Maestro alla Città di Imperia. La sala è fruibile pubblicamente, come punto di riferimento di eccellenza, per consultare tutto il materiale donato per approfondimenti personali ed eventi divulgativi.
Molte sue opere sono anche esposte al Museo Chiossone di Genova ed in altri importanti Musei, Istituzioni e Fondazioni. Ligustro dal suo amato Giappone, racchiuso nel piccolo studio di Imperia Oneglia, ha lasciato straordinarie idee da intuire e fantastiche opere da ammirare. In diverse occasioni Ligustro, con le sue stampe, i surimono, gli e-goyomi, i mitate, gli ex libris, gli haiku e con il kaimei (cambio di nome) ha contribuito a rafforzare i legami tra Italia e Giappone. In tutte le preziose opere, si possono notare i principali temi della produzione artistica del Maestro Ligustro quali la profondità, la luce, la bellezza femminile, la vita, la felicità, l’amicizia, la famiglia e la sua armonia, l’educazione, la cultura, la natura ed un mondo migliore.
Francesca Mollicone: Pittrice e performer, nasce a Roma il 29 novembre 1982. Ha vissuto sin dalla più giovane età a stretto contatto con l’arte, affondando le proprie radici nell’attività artigianale di ebanisteria della propria famiglia. Il suo percorso di formazione artistica inizia all’ Istituto d’Arte ISA Roma 1 e si esplica con le prime esposizioni del 1999/2000. Negli anni successivi prosegue con profitto l’attività di studio nel campo della pittura, presso l’Accademia di Belle Arti di Roma dove si diploma con il massimo dei voti nel 2005.
Molte sono le partecipazioni ad esposizioni ed eventi nazionali ed internazionali, alcuni dei quali organizzati personalmente, dove non mancano collaborazioni con singoli artisti ed associazioni. La crescita in una città come Roma, in cui l’arte diffusa ha ricoperto una parte fondamentale della sua formazione, traspare ancora integra anche in opere che apparentemente sembrano allontanarsi dal concetto figurativo. Una crescita che trova il fulcro dell’attività artistica, nel concetto di una trasmissione della creatività che sia stimolante allo stesso modo sia per l’artista che per il fruitore dell’opera. Colori speciali, luci, performance di body painting… Ogni mezzo è ammesso ed ammissibile per creare un filo d’unione tra l’opera e l’osservatore: questa è la filosofia dell’artista che ci regala il suo punto di vista.
Alessandra Morricone: Nata a Roma il 14/06/1961, figlia d’arte, in età giovanissima esegue un dipinto olio su tela, dal titolo “Colori” che viene scelto dal padre come copertina e titolo di un disco da lui composto, 1978 LP Colori ( E.M.). Frequenta un corso di decorazione su ceramica e porcellana in età adolescenziale per 6 anni, riprende la ceramica in età adulta specializzandosi nella lavorazione della ceramica a colombine e al tornio. Approfondisce gli studi in arte e spettacolo nel Triennio DAMS dell’Università Roma Tre, conseguendo il diploma nel luglio 2016. Nel 2015 inizia a frequentare le lezioni di pittura nella scuola di Kristien de Neve e partecipa nel 2016 alla mostra con titolo Vanitas vanitatum nella Case Romane del Celio, organizzato da Kristien de Neve, dove presenta un remake di un quadro di George de la Tour, dando un buon contributo all ‘evento. Medico Specializzato in Dermatologia, Nefrologia e in Estetica.
Marisa Muzi: Nasce a Roma dove vive e lavora alternando esposizioni tra Lucca – Sulmona e Pettorano sul Gizio (AQ). Fino ai 30 anni vive tra gli artisti di Villa Strohl Fern, frequenta gli studi d’Arte dei suoi insegnanti Marina Haas Palloni e Kristen De Neve. Per Marisa Muzi dipingere è l’essenza della vita, affronta dei temi che sono anche il suo percorso di vita , ed ecco tartarughe, bicchieri, volatili, elefanti ed orme, bambù, scimmie e cammelli non per altro donne, fiori e paesaggi, questi temi la portano ad usare diversi materiali, la carta smeriglio e il cemento negli elefanti, stoffe e carte per i bicchieri, garze scaiola per arrivare a materiali di estremo recupero, come avvolgere un quadro con del cellofan nelle ” Donne scienziato” e usare cristalli di bicchieri rotti per i suoi ” Bambù”. Le sue passioni sono la Pittura, lo Yoga e la Poesia. Le sue opere sono in collezioni private in Italia e all’estero.
Roberto Saglietto¬: Maturità classica; laurea in economia politica; master in International management; laurea in conservazione dei beni culturali. Per undici anni occupato nel mondo della finanza internazionale come broker nel campo del mercato azionario e degli strumenti derivati, con base a Parigi, Copenaghen e Amsterdam. L’avvicinamento alla pittura avviene all’inizio degli anni 2000, con la contestuale presa di distanze dal settore finanziario, oramai ritenuto incompatibile con il percorso di vita e la maturazione di una diversa sensibilità. La produzione artistica, da subito, tende all’astrazione, senza però abbandonare, almeno inizialmente, i riferimenti figurativi: è il periodo dei ‘paesaggi urbani’. Successivamente la pittura si distacca dai riferimenti visuali oggettivi e fluisce in composizioni aniconiche, la cui esecuzione spesso si struttura di sovrapposizioni pittoriche, ove gli strati e i motivi di sfondo ritornano o riecheggiano attraverso aperture o trasparenze. Sono anni di esclusiva produzione artistica, che non lascia spazio ad esposizioni, se non in forma strettamente privata. La produzione degli ultimi anni ha privilegiato la dialettica fra linee e strati pittorici che si alternano nel ruolo di sfondo e di copertura, dove l’astrazione, viene a toccare, a livello inconscio, la figurazione. Questa pittura vede, poi, nell’ultimo anno, una ulteriore evoluzione verso composizioni che stimolano le ricostruzioni di immagini secondo i modelli percettivi di ciascun osservatore.
Mariana Pinte: Nasce in Romania nel 62, da sempre amante dell’Arte e degli animali, frequenta dopo gli studi primari e secondari il Liceo Artistico e in seguito si iscrive all’Accademia di Belle Arti, che non termina, perché indirizzata per cultura familiare al matrimonio e al lavoro. Questa sfrenata passione per il disegno e l’arte del bello in genere, le resta radicata nel profondo. In tutti questi anni, di tanto in tanto dipinge per il solo gusto di farlo. Dopo anni di matrimonio e due figlioli, si separa e approda a Roma come badante, qui in seguito conosce un italiano e si sposa, diventando cittadina italiana e rumena. Durante la pandemia si trova in Romania per una visita ai familiari, suo marito a Roma viene colpito da un infarto fulminante. Al rientro in Italia dal lockdown si trova in una situazione di disagio e attraversa un anno estremamente burrascoso. A maggio 2023 avviene un incontro fatale al Parco della Resistenza, Mariana conosce Sonia, Direttore Artistico della Gard, anche lei ha una passione sfrenata per gli animali e per l’Arte, ha due Alani Athena e Birillo, Mariana se ne innamora e comincia un’amicizia di reciproco aiuto. Mariana frequentando la Galleria ricomincia a disegnare e appena le nascono dei lavori li gira a Sonia che ne vede subito il potenziale e decide di inserirla nell’esposizione Artemisia presentando, per la prima volta in assoluto le opere di Mariana al pubblico.
DESART2 Simona Sarti: Artista, Direttrice Artistica e performer, ha ideato centinaia tra mostre installazioni e rassegne creando una sincronia tra le diverse discipline. Ha riqualificato luoghi, partecipa a Biennali in Italia ed all’estero. Segue una ricerca sulla espressione artistica con l’utilizzo di molteplici materiali e tecniche. Le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private. È presente su pubblicazioni, riviste, e testi sull’arte contemporanea. Ha scritto commenti critici di presentazione di artisti e di esposizioni e rubriche sull’arte. Nell’anno 2007 le viene insignito dall’Istituto per le relazioni Diplomatiche il titolo Honoris Causa in “Bachelor of Arts”. Nel 2015 è stata premiata con la Nike di Samotracia. Nel 2017 riceve la targa per la cittadinanza artistica onoraria da parte del Comune di Tolfa. Il 7 febbraio 2020, presso il Consiglio Regionale del Lazio, il Comitato del Gran Premio Internazionale di Venezia del Leone d’Oro che dal 1947 premia le arti e l’imprenditoria, gli ha consegnato la prestigiosa pergamena – RICONOSCIMENTO SPECIALE PER MERITI ARTISTICI. Rilascia interviste televisive, radiofoniche e per giornali. Parla della sua arte come qualcosa che porta oltre lo spazio, in quanto sostiene che il tempo e lo spazio sono dimensionalità che l’artista può dilatare.
Raffaella Tommasi: Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Roma nel 1990. Inizia a lavorare all’Arte Visiva, dal 1995 realizza i suoi primi mosaici utilizzando materiali di scarto, un po’ perché affascinata dal recupero di materiali diversi e dalla filosofia di rendere nuova vita a tutto ciò che non viene più utilizzato, trasformando una tecnica antica e tradizionale come il mosaico, in un’applicazione artistica decisamente attuale. Dal 1999 collabora inoltre all’insegnamento del mosaico nella Casa di Reclusione di Rebibbia e in diversi centri diurni per ragazzi speciali.
Rodolfo Violo: Architetto ed urbanista, nato a Roma il 23 luglio 1946.
Dopo aver compiuto gli studi nel liceo classico M. Massimo, si è laureato, con lode, nel 1970 nella facoltà di architettura di Roma avendo come insegnanti Bruno Zevi, Paolo Portoghesi, Carlo Chiarini, Saul Greco, Ludovico Quaroni, Giuseppe Perugini, Ciro Cicconcelli, Salvatore Dierna, Enzo Bacigalupi, Giulio Risecco, Piergiorgio Badaloni. Nel 1976 vinse il concorso di assegnista presso il Ministero della Pubblica Istruzione. Dal 1984 è stato ricercatore confermato nella disciplina della progettazione architettonica nel dipartimento di progettazione architettonica e urbana.
Ha svolto attività tutoriale nella facoltà di architettura di Roma ove ha avuto affidati negli ultimi anni i seguenti insegnamenti: “Composizione Architettonica” – “Progettazione Architettonica” – “Caratteri distributivi e costruttivi degli edifici” – “Teorie e tecniche della progettazione architettonica” – “Laboratorio II di Progettazione Architettonica” – “Architettura del Paesaggio e dei Giardini” – “Progettazione Architettonica e Ambientale” – “Progettazione del paesaggio”. Oltre all’attività di ricerca didattico–scientifica, ha svolto una intensa attività professionale di progettazione e pianificazione e di consulenza per conto delle pubbliche Amministrazioni: Regione – Provincia – Comuni – Enti Privati.
Si segnalano in particolare la redazione dei Piani Territoriali Paesistici di Roma e del Sistema Ambientale del Quadro di riferimento Territoriale per la Regione Lazio. È stato consulente della Soprintendenza per i Beni e le attività culturali ed il Paesaggio di Roma.
Cenni Storici
GARD Galleria Arte Roma Design: Nasce nel 1995, con la funzione di editore, promotore, produttore e distributore di Arte e Design Autoprodotto. Nel tempo le sono stati riconosciuti contenuti di particolare creatività e fantasia sia da Istituzioni Pubbliche sia dai media che hanno seguito sempre con grande interesse l’evoluzione della Galleria diventata un importante punto nevralgico per gli artisti emergenti, un punto di raccordo e sperimentazione. Negli anni, numerosi personaggi del mondo della pittura, del design, della poesia, del teatro e del cinema, si sono avvicinati alla Galleria collaborando con il suo staff in numerose iniziative.
Dal 1997 GARD sceglie come ubicazione uno spazio di 600 mq. tra il Gazometro e la Piramide Cestia, ex zona industriale del vecchio porto fluviale di Roma; spazio multifunzionale che si presta periodicamente per esposizioni ed eventi di arte, design e cultura, affiancando attività di promozione a laboratori creativi dedicati alla manualità, dedicando una specifica attenzione alla sperimentazione di nuovi linguaggi artistici e all’utilizzo di materiali di recupero e riciclo. Il 20 ottobre 2011 la Galleria viene coinvolta nell’alluvione di Roma ed è costretta a chiudere. Ci vogliono tre anni per poter bonificare e riqualificare i locali, tamponare e far fronte ai molti danni, viene fatto un progetto e un intervento di riduzione spazi e nuova destinazione d’uso di alcune aree. GARD, ha saputo tuttavia far fronte, specie in questi ultimi anni, agli innumerevoli problemi insorti con la solita volontà e grinta che l’hanno sempre contraddistinta. Oggi GARD collabora assiduamente con l’Associazione Culturale Soqquadro, ha uno spazio espositivo di 250 mq, continua ad organizzare esposizioni e sinergie con diverse realtà artistiche, in Italia e all’estero.
Soqquadro è un’associazione culturale che nasce nell’ottobre del 2000 e da allora ad oggi ha realizzato più di 150 mostre in spazi pubblici e privati, in Italia e all’Estero, collaborando con circa 500 artisti, pittori, scultori, fotografi, video artisti, performer, designer.
Ufficio Stampa – Marina Zatta
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