Professore Nicola Cabibbo e la riabilitazione di Galileo.
Articolo dell’Ingegnere Andrea Natile.
In qualità di presidente della Pontificia Accademia delle scienze, che ha il compito di consigliare il pontefice su tutte le tematiche scientifiche, Nicola Cabibbo ha più volte avuto l’occasione di esprimere le sue opinioni sul rapporto fra fede e scienza. E’ intervenuto nel complesso dibattito fra teoria dell’evoluzione e interpretazione letterale del testo biblico per sottolineare la posizione della Chiesa cattolica in merito.
Durante la sua permanenza all’accademia, e sotto il pontificato di papa Giovanni Paolo II, sono avvenute sia la definitiva riabilitazione di Galileo Galilei, sia la sostanziale ammissione che la teoria dell’evoluzione non è in contrasto con la dottrina cattolica.
A chi manifestava contro l’insegnamento della teoria di Darwin nelle scuole e la presenza nei libri di testo della teoria dell’evoluzione rispose:
«Oggi tra gli scienziati cattolici è chiarissimo che si può benissimo credere nell’evoluzionismo e nella Creazione. Dire il contrario è come sostenere che la Terra è piatta o il Sole si muove perché così diceva la Bibbia.»
(Nicola Cabibbo)
Nicola Cabibbo Roma, 10 aprile 1935 è stato un importante fisico italiano, maestro, tra gli altri del recente premio Nobel, Giorgio Parisi.
I suoi studi sull’interazione debole, nati per spiegare il comportamento delle particelle strane, ha portato all’introduzione nella fisica delle particelle dell’angolo di Cabibbo.
Si laurea in fisica nel 1958 con una tesi sul decadimento dei muoni e le interazioni deboli e diviene subito ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare prima a Roma e poi ai laboratori nazionali di Frascati.
Ricercatore al CERN di Ginevra, nel 1963, pubblica l’articolo che lo renderà famoso nella comunità scientifica. Propone l’introduzione dell’angolo di Cabibbo per spiegare i cambiamenti di sapore dei quark durante le interazioni deboli. Questo articolo, nel 2006, è stato valutato come la pubblicazione più citata di tutti i tempi.
Nel 1966 alla Sapienza di Roma ottiene la cattedra di fisica teorica per poi diventare professore ordinario di fisica delle particelle elementari.
Continua i suoi periodi di studio e insegnamento all’estero: è componente dell’Institute for Advanced Study di Princeton, visiting professor alle università di Parigi, New York, Syracuse, ed è nuovamente al CERN dal 2003 al 2004.
Il suo impegno non solo accademico, gli ha visto ricoprire importanti incarichi istituzionali; è stato presidente dell’INFN, e presidente dell’ENEA, socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei, e membro della National Academy of Sciences degli Stati Uniti d’America.
Dal 9 giugno 1986 è stato membro e dal 1993 presidente della Pontificia Accademia delle Scienze
Nicola Cabibbo, che da lungo tempo soffriva di una malattia tumorale, è morto la sera del 16 agosto 2010 all’Ospedale Fatebenefratelli di Roma.
Giorgio Parisi, lo cita con affetto durante il discorso di ringraziamento per il conferimento del premio Nobel per la fisica 2021.
E’ passata un po’ d’acqua sotto i ponti dai tempi in cui il Cardinale Bellarmino disse a Galileo che non era prudente esprimere certe eresie. Anche la Chiesa deve adeguarsi.
ANTONIO GRAMSCI, Quaderni del carcere, 1948/51: “Basta vivere da uomini, cioè cercare di spiegare a se stessi il perché delle azioni proprie e altrui, tenere gli occhi aperti, curiosi su tutto e tutti, sforzarsi di capire; ogni giorno di più l’organismo di cui siamo parte, penetrare la vita con tutte le nostre forze di consapevolezza, di passione, dì volontà; non addormentarsi, non impigrire mai; dare alla vita il suo giusto valore in modo da essere pronti, secondo le necessità, a difenderla o a sacrificarla. La cultura non ha altro significato”.
Biblioteca DEA SABINA-Associazione CORNELIA ANTIQUA
ROMA-Municipio XIII- Sito Archeologico MASSA GALLESINA
Fotoreportage di Franco Leggeri
MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE lavori anno 2009
Roma- 29 giugno 2018-Municipio XIII-MASSIMINA-MASSA GALLESINA-CASAL SELCE-
Fotoreportage di Franco Leggeri
PREMESSA-L’area fu oggetto di lavori d’indagini archeologiche preventive nel 2009, quando si era ipotizzato che in questa zona dovesse essere edificato lo Stadio della Roma.
Le foto allegate sono relative ai lavori del 2009 e alla situazione di oggi marzo 2017.Tutte le foto sono di Franco Leggeri.
Associazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali.Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo !Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com– Cell-3930705272–
Breve e sintetica storia del sito Archeologico MASSA GALLESINA a cura di Franco Leggeri.
Il territorio in esame è conformato come un vasto altopiano dalla superficie ondulata e in leggera pendenza , in cui i fossi e i torrenti hanno inciso i depositi sedimentari e vulcanici. Tutto il sistema idrografico fa capo al RIO GALERIA che scorre nell’omonima valle. I principali affluenti del Rio Galeria sono il Fosso della Questione in riva sinistra e dal Fosso della Selce in riva destra.
MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE Foto lavori anno 2009Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –
A)-L’insediamento storico area MASSA GALLESINA-
Tutte le foto sono di Franco Leggeri.
Dal punto di vista archeologico l’area in esame presenta siti databili dalla preistoria fino all’età medievale. La presenza umana è attestata già dal Paleolitico. Tutta l’area fu colonizzata dagli Etruschi che controllavano il corso d’acqua chiamato Careia ( da cui deriva il nome Rio Galeria), in epoca romana la zona , attraversata dalla via Cornelia, fu scarsamente popolata.
In età medievale successivamente alla crisi che travolse l’assetto territoriale tardoantico fra il V e VII secolo, seguì una fase di rinascita e riorganizzazione databile fra l’VIII e X secolo nella creazione delle domuscultae papali. In questa zona, infatti, nell’VIII secolo Papa Adriano realizzo la sua domusculta, una grande masseria per rifornire di frumento la Città di Roma; successivamente ; il sito fu trasformato da Papa Gregorio VII che vi fece costruire un Castello adibito a Villa e Fortilizio, oggi perduto. Fu soprattutto il dinamismo economico dei secoli XII-XIII ad incrementare la nascita di numerose aziende agricole (denominate casalia), tra le quali il Nibby ricorda la tenuta di Massa Gallesina, confinante con le tenute di Selce e Maglianella.
MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE lavori anno 2009Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –
Massa Gallesina è una tenuta fuori delle porte San Pancrazio e Cavaleggeri a sinistra della via Aurelia , la quale appartiene a San Rocco e al principe Massimi, e va unita coll’altro fondo detto Pedica Maglianella. Comprende rubbia 147 (1)e confina con le tenute di Pedica Maglianella Sant’Ambrogio, Fontignano, Casale della Morte, Massimilla, Castel di Guido, Casal Selce e Maglianella. La tenuta è divisa nei quarti di Pedica Maglianella, Casale, Ara e Monte Rotondo. Il suo nome attuale è di origine incerta, ma forse una parte di essa , se non tutta, fu compresa nei feudi denominati nel secolo VIII Gratiniano, Rosario, Canneolo e Casale Mimilliarolo esistenti , secondo Cencio Camerario, presso la via Aurelia a 5 miglia distante da Roma, circostanza che col sito della tenuta di Massa Gallesina si accorda.
(1)una rubbia equivale a 18884 mq, ovvero quasi due ettari.
C) CATASTO ANNONARIO –Roma 1783- Agrimensori: PIETRO PAOLO e ANGELO QUALEATI,LUIGI CLERICI,GIOVANNI MEDIANTE,DOMENICO CAPPELLETTI e FILIPPO PEROTTI.
Area Archeologica-MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE.
Nel Catasto annonario pubblicato in Roma nel 1803 dal titolo MEMORIE, LEGGI, ED OSSERVAZIONI SULLE CAMPAGNE E SULL’ANNONA DI ROMA (Parte Prima)
Autore -Nicola Maria Nicolaj.
Le tenute di MASSIMILLA, MASSA GALLESINA e PEDICA MAGLIANELLA. Per queste tenute come anche per le altre appresso, passa la celebre via Aurelia . Di questa via fa menzione Cicerone nell’Orazione contro Catilina, il quale per questa strada partì da Roma per congiungersi in Toscana con Manlio. Cicerone additava questa strada agli altri congiurati, perché sortissero dall’agitata Città. “ Unum etiam nunc concedam:exeant, procifiscatur, ne patiantur desiderio sui Catilinam misere tabascere. Demonstrabo ier; Aurelia via profectur est:si accelerare volent, ad vesperam consequetur.” Furono anche nella via Aurelia gli ORTI di GALBA (Lorium) , ove fu anche sepolto questo Imperatore. Dei vari tratti e diramazioni della via Aurelia o piuttosto delle molte strade , quale più, quale meno antica, chiamate con questo nome , si possono vedere gli antiquarj. Non men celebre è la via Aurelia pe’ i Cimiteri de’ SS.Martiri. Presso questa strada si enuncia quella de’ SS. Processo e Martiniano i quali in occasione del martirio de’ SS. Apostoli Pietro e Paolo, convertiti e condotti al supplizio nella via Aurelia, accompagnati e scortati dalle illustre femmina Lucina, furono poi in una possessione di lei sepolti. Ma il loro Cimitero si confonde forse con quello di Sant’Agata. Più vicino a Roma si ammira tuttora il Cimitero di San Calepodio, ove fu sepolto San Calisto Papa, San Pancrazio e poi anche il Pontefice San Giulio e per questo una parte di Cimitero si trova anche nominato di San giulio. Grande è la sua ampiezza sotto diverse Tenute e Vigne; è scavato molti piedi sotto terra nel tufo con moltissimi giri larghi , ed alti quanto un uomo vi possa comodamente camminare . Da ogni parte vi sono sepolture . Vi sono alcuni cunicoli , in uno dei quali sorge una vena di limpidissima acqua, la quale nei tempi delle persecuzioni ai Cristiani che quivi stavano nascosti e vi facevano le loro orazioni, veglie ed altre sacre funzioni, doveva servire non tanto per bere , quanto per uso del Battesimo: onde ancora oggi quest’acqua si ha in gran devozione. Sopra questo Cimitero è la Chiesa di San Pancrazio edificata da San Simmaco Papa, e parte anche della Villa Pamphilj la quale Villa è inclusa la Tenuta.
MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE Foto lavori anno 2009
D) MASSA GALESINA-PEDICA MAGLIANELLA- Di pertinenza della Veneranda Chiesa di San Rocco e del Signor Marchese Massimi delle Colonne. Queste due tenute anche se una volta fra di loro erano separate e distinte formano ora un solo Corpo ed una sola Tenuta confinante con le Tenute della Pedica Maglianella del Venerando Monastero di Sant’Ambrogio, di Fontignano, di Casal della Morte, di Massimilla, di Castel di guido, della Selce dei SS. Domenico e Sisto e della Maglianella del Venerabile Capitolo di Sant’Angelo in Pescheria.
E) Tenuta e CASAL di SELCE-Il Casale prende il nome dall’originario proprietario Andre de Silice, che nel 1227 lo vendette alla Basilica di San Pietro. Successivamente , il CASALE SILICIS fu affidato e ceduto più volte. Attualmente si compone di una serie di piccoli fabbricati , notevolmente rimodernati, che non recano tracce visibili di costruzioni medievali. In un disegno de Catasto Alessandrino il Casale Silicis è rafficurato come composto da due piccoli edifici fiancheggiati da altrettante torrette , una delle quali aveva tre piani. Casal Selce costituiva, quasi certamente, una delle vedette preposte alla sorveglianza del Castello di MALAGROTTA.
Le foto allegate sono relative ai lavori del 2009 e alla situazione di oggi marzo 2017.Tutte le foto sono di Franco Leggeri.
MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE Foto lavori anno 2009MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE Foto lavori anno 2009MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE Foto lavori anno 2009MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE Foto lavori anno 2009MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE Foto lavori anno 2009MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE Foto lavori anno 2009MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE Foto lavori anno 2009MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE Foto lavori anno 2009MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE Foto lavori anno 2009MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE Foto lavori anno 2009Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Foto Sito Archeologico marzo 2017 –MASSIMINA – MASSA GALLESINA (via Monachina-via Fosso della Questione)-CASAL SELCE –Associazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali.Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo !Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com– Cell-3930705272–
Nella Cappella delle reliquie si conserva gelosamente una Spina della Corona di Nostro Signore, recata a Farfa al tempo delle Crociate e tenuta sempre in grande considerazione.
Intorno a questo insigne cimelio della Passione si ricorda questo episodio.
Nel 1482 Alfonso, duca di Calabria, figlio di Ferrante, re di Napoli, avendo accampato il suo esercito nei prati di Granica, visitò l’Abbazia farfense. Fu mostrata al duca, assieme alle altre reliquie, anche la sacra Spina; il discorso cadde su altre Spine della stessa corona conservate in vari luoghi; allora Alfonso mostrò una di queste Spine che egli portava sempre addosso, fu messa a confronto con quella di Farfa e si vide che era differente.
Il duca, turbato da questo fatto, propose che fosse sperimentato, per mezzo della prova del fuoco, quale delle due e quella autentica. Fu acceso un fuoco nell’atrio della basilica e alla presenza di tutti i monaci, dello stato maggiore del duca Alfonso ed altri ecclesiastici , il duca getto per primo , tra le fiamme, la sua reliquia che brucio subito, quindi fu gettata alle fiamme la reliquia farfense che il fuoco “non ardì toccare”. La reliquia farfense fu gettata più volte tra le fiamme e il prodigio si rinnovò sempre. Dinanzi a questo fatto prodigioso il duca cadde in ginocchio e bacio il sacro cimelio e subito dopo lo riconsegnò , con devozione, al Priore raccomandandogli di custodire la sacra Spina con devozione e con miglio cautela.
Fonte-l’Abbazia di Farfa di D. Ippolito Boccolini –
L’Imperiale Abbazia di Farfa di Card. Ildefonso Schuster (Vaticano 1921)
Le foto sono di Franco Leggeri-
Abbazia di FARFAAbbazia di FARFAAbbazia di FARFAAbbazia di FARFAAbbazia di FARFAAbbazia di FARFA
In Italia, Anna Achmatova è conosciuta, da quei pochi che la conoscono, più che altro per via dei bellissimi ritratti realizzati da Kuzma Petrov-Vodkin, Amedeo Modigliani, Jurij Annenkov, Nathan Al’tman – forse il dipinto più celebre, esposto al Museo di Stato di San Pietroburgo –, Olga Kardovskaja, opere che godono di un nuovo rinascimento grazie alla forza capillare dei mezzi di comunicazione sociale della nostra epoca.
Assai meno conosciuti sono i versi della Achmatova – il materiale per il quale dovrebbe essere principalmente famosa – a causa delle scarse pubblicazioni attualmente in commercio nel nostro Paese. Digitando il nome del poeta – come preferiva farsi chiamare –, infatti, si trovano appena due sillogi Einaudi abbastanza datate e una manciata di raccolte pubblicate negli ultimi anni da qualche illuminato medio editore.
A coprire, in parte, questo vuoto ci ha pensato Paolo Nori, saggista e studioso di letteratura russa, che in Vi avverto che vivo per l’ultima volta (Mondadori) racconta la vita inquieta e infelice e incantevole di Anna Achmatova, intrecciando le sorprendenti vicende della poeta russa con il suo vissuto personale.
Sorprendenti fin dalla più tenera età. Nata a Bol’šoj Fontan, nei pressi di Odessa, nel 1889 da Andrej Gorenko, Anna Achmatova fu “costretta” a cambiare il cognome perché il padre non voleva che lo disonorasse con un’attività equivoca come la poesia; secondo Iosif Brodskij, suo discepolo, Anna realizzò con la scelta dello pseudonimo Achmatova – preso da un’ava, una principessa tartara discendente di Gengis Khān – “il suo primo verso di successo”.
Tra i più grandi poeti di tutti i tempi, la Achmatova era amante della lirica italiana – da Dante, autentico poeta del cuore, a Leopardi – e di quella pittoresca lingua che l’amico e collega Osip Mandel’štam definiva “la più dadaista delle lingue romanze”.
Donna fragile di salute – soffrì di tisi per buona parte della sua esistenza – ma di grande temperamento e carisma, Anna Achmatova ha rivestito perfettamente il ruolo tragico del poeta. Moglie dello sventurato poeta Nikolaj Gumilëv, fucilato nel 1921 come nemico del popolo per le sue idee controrivoluzionarie, la vita della Achmatova è stata distinta da continui scontri e repressioni da parte del regime di Stalin, dalla critica e dagli altri scrittori e intellettuali del suo tempo perché “rappresentante di una poesia priva di idee e estranea al popolo”.
Scomunicata dal Piccolo Padre georgiano, la Achmatova vide i suoi componimenti proibiti circolare clandestinamente per il territorio dell’URSS, copiati a mano (il famoso fenomeno dei samizdat), battuti a macchina o imparati a memoria e tramandati per via orale. Su tutti Requiem, nato tra il ’35 e il ’40, nel periodo segnato dal terrore delle Grandi Purghe in cui la Achmatova si trasformò in icona di resistenza, trascorrendo intere giornate, per lunghissimi mesi, in fila, assieme a tantissime altre madri, le donne dalle “labbra bluastre”, fuori dal famigerato carcere delle Croci di Leningrado, in attesa di avere notizie del figlio Lev – il delfino dato alla luce algida di Pietroburgo nell’autunno del ’12, pochi mesi dopo la pubblicazione della prima raccolta di poesie dal titolo Sera – arrestato in quanto erede di una sì scomoda madre.
Citando ancora Brodskij, parlare della vita di una persona è sempre un’attività delicata, difficoltosa quanto “per un gatto cercare di prendersi la coda”. E così Paolo Nori alterna gli episodi della vita della grande poeta della cosiddetta Età d’argento della letteratura russa ai suoi: dai ricordi della nonna agli studi alla biblioteca Lenin di Mosca nella Russia post perestrojka, glasnost e disfacimento del sogno sovietico, passando per la cronaca e la febbre antirussa dei nostri giorni, per le crociate volte ad appendere testa in giù tutto quello che può essere ricondotto alla Russia di oggi e di ieri.
I temi legati alla stretta attualità aleggiano per tutto il volume e Nori li affronta con sguardo lucido e profonda afflizione, ma con la certezza che se la letteratura russa ha resistito alla Rivoluzione, al terrore sovietico, alla guerra e ai gulag, non si piegherà certamente dinanzi all’arroganza dei burocrati e benpensanti d’Occidente: “La letteratura è più forte di qualsiasi censura e di qualsiasi dittatura”.
Ovviamente, poi, impossibile da immaginare per chi è solito leggere l’autore emiliano, non manca un pensiero per l’amato Velimir Chlebnikov, poeta di punta del futurismo russo – quello della “crosta di pane”, del “ditale di latte”, del cielo e delle nuvole, per intenderci – e per tal ragione, se vogliamo, anche rivale della Achmatova, in gioventù di tendenza acmeista, movimento dalla incerta foggia di cui era leader il marito Gumilëv.
Aggiungendo ai suoi versi una espressività e un aspetto abbaglianti – slanciata, col celebre naso aquilino e la frangia scura, simboli della sua bellezza classica, d’altre epoche – e financo la sua spiritualità, la Achmatova emerse presto su tutti.
“Era una di quelle donne che, quando sono presenti in una sala, sembra che non ci sia altro, solo lei.”
Un’altra icona della poesia russa del primo Novecento, Aleksandr Blok, scrisse che l’autrice era in possesso di “una bellezza terrificante”.
In Vi avverto che vivo per l’ultima volta Paolo Nori ci accompagna in ogni angolo e in ogni piega della parabola artistica ed esistenziale di Anna di tutte le Russie – soprannome imperiale costruitole dalla collega, poeta anche lei, Marina Cvetaeva.
Dalla giovinezza a Carskoe Selo alle amicizie con i più grandi scrittori del suo tempo – Majakovskij, Pasternak, Bulgakov –, dalla casa leningradese sul lungofiume Fontanka, la Fontannyi dom – oggi Museo Achmatova –, al ricetto di Taškent durante la Guerra patriottica, raggiungendo anche l’Italia con quel viaggio del 1964, due anni prima di morire, in Sicilia per ricevere il premio Etna-Taormina.
Un ritorno agrodolce in quell’Italia baciata dal boom economico che agli occhi grigi di Anna Achmatova pareva però oramai irrimediabilmente compromessa, corrotta culturalmente. In quell’ultimo soggiorno italiano la poeta non avvertì quella avidità di cultura ancora presente in Russia, ma percepì con dispiacere che per gli italiani – i discendenti diretti di Dante, Petrarca e Boccaccio – la poesia era soltanto un aspetto di secondo piano, ben lungi da quanto poteva essere ancora centrale nella vita dei sovietici del tempo.
Qui si potrebbe aprire un altro capitolo, ma si andrebbe, forse, drammaticamente fuori tema. Dopo essersi immerso nel passaggio in terra e nel mito di Fëdor Dostoevskij con Sanguina ancora – entrato nella cinquina del Campiello 2021 –, Paolo Nori fonde la sua vita con quella della grande autrice russa, riportandoci il ritratto di una donna irrequieta, talvolta altera in certe fasi della vita, attitudine da interpretare più come umano strumento di autodifesa dinanzi alle tante offese ricevute.
Oltre alla fucilazione del primo marito e all’incarcerazione del figlio, nella vita di Anna Achmatova si annoverano altre dolorose tappe: la morte di tre fratelli in circa quindici anni, quella degli amici Modigliani e Mandel’štam, le angosce e le fughe del periodo del cosiddetto “comunismo di guerra” post-rivoluzione e della Seconda guerra mondiale, l’esclusione dall’Unione degli scrittori per la sua intollerabile poesia da “mezza suora e mezza prostituta”, il susseguente ostracismo e bavaglio, i matrimoni sbagliati, il rapporto disastroso col figlio negli ultimi anni di vita. Snodi di una esistenza meravigliosamente infelice; la vita intensa di un poeta, una persona buona e cattiva, come un po’ tutti noi.
Attraverso il vissuto di Anna Achmatova, Paolo Nori, con la sua prosa semplice e divertente e coinvolgente, ci fa riflettere su una civiltà e un modo di pensare e interpretare la vita che a noi, per quanto vogliamo sforzarci, restano comunque conosciuti per metà. Vi avverto che vivo per l’ultima volta è un libro sul rapporto tra gli achmatoviani e la loro poeta favorita e per tutti gli appassionati di letteratura russa e del popolo russo, quella “gente con delle teste che non le mangiano neanche i maiali”.
Anna Achmatova
Breve Biografia diAnna Andreevna Achmatova pseudonimo di Anna Andreevna Gorenko (Bol’soj Fontan, 23 giugno 1889 – Mosca, 5 marzo 1966) è stata una poetessa russa; non amava l’appellativo di poetessa, perciò preferiva farsi definire poeta, al maschile.
«Lascio la casa bianca e il muto giardino. / Deserta e luminosa mi sarà la vita»
Figlia di Andreij Antonovich Gorenko, funzionario pubblico, e di Inna Erazmovna Stogova, entrambi di nobile famiglia, fu moglie dal 1910 al 1918 di Nikolaj Gumilëv, dal quale ebbe il figlio Lev. Fece parte della Corporazione dei poeti, un gruppo acmeista fondato e guidato dal marito. Compose la prima opera, “La sera”, nel 1912, alla quale seguì “Il rosario” nel 1914, caratterizzate entrambe da un’intima delicatezza. “Lo stormo bianco” (1917), “Piantaggine” (1921), “Anno Domini MCMXXI”(1922) sono raccolte di versi ispirate dal nostalgico ricordo dell’esperienza biografica, che spesso assumono quasi la cadenza di una preghiera.
Dopo la fucilazione del primo marito, Nikolaj, nel 1921, seguì una lunga pausa indotta dalla censura, che la poetessa ruppe nel 1940 con “Il salice” e “Da sei libri”, raccolte dalle quali emerge un dolore derivato dalla costante ricerca della bontà degli uomini. Il figlio Lev fu imprigionato fra il 1935 e il 1940 nel periodo delle grandi purghe staliniane.
Espulsa dall’Unione degli Scrittori Sovietici nel 1946 con l’accusa di estetismo e di disimpegno politico, riuscì tuttavia ad essere riabilitata nel 1955, pubblicando nel 1962 un’opera alla quale lavorava già dal 1942, il “Poema senza eroe”, un nostalgico ricordo del passato russo, rielaborato attraverso la drammaticità che la nuova visione della Storia comporta, e attraverso una trasfigurazione dello Spazio e del Tempo in una concezione di puro fine.
Sulla sua poetica ebbe molta influenza la conoscenza delle opere di Dante Alighieri, come anche testimonia il filosofo Vladimir Kantor: «Quando chiesero ad Anna Achmatova, la matriarca della poesia russa, “Lei ha letto Dante?”, con il suo tono da grande regina della poesia rispose: “Non faccio altro che leggere Dante”».
(Da poco uscita ne’ Lo Specchio Mondadori una raccolta antologica delle poesie di Michael Longley, a cura di Piero Boitani e Paolo Febbraro, con un saggio introduttivo di Piero Boitani, traduzioni di Paolo Febbraro, Piero Boitani e Marco Sonzogni. Proponiamo un estratto dell’introduzione e una selezione di poesie a cura di Piero Boitani.)
Il maestro del lume di candela (il “Maître à la chandelle”) è un pittore barocco che molti hanno identificato con Trophime Bigot (1579-1650), provenzale attivo per una decina d’anni anche a Roma, autore di tele di stile così diverso da essere stato persino sdoppiato, un artista più anziano e uno più giovane. E che a Roma è invece identificato, sulla base di documenti relativi al pagamento, con un “maestro Jacomo”, al secolo Giacomo Massa. Il modo di dipingere di Trophime-Jacomo cambia considerevolmente, apparendo più tradizionale in Provenza, assai più aperto alla nuova maniera caravaggesca nella capitale pontificia, ma sua caratteristica costante è quella di presentare una scena, o una figura, immerse nell’oscurità, e tuttavia illuminate, dentro per così dire il buio, da una luce che talvolta viene emanata appunto da una candela fisicamente presente nella tela. La luce della candela, di per sé non forte, possiede però nella fitta oscurità potenza tale da fare del quadro una ostensione: una rivelazione vera e propria. Michael Longley ha descritto molto bene il fenomeno in una lirica brevissima intitolata “Poem” della sua raccolta “The Candlelight Master”, del 2020, nella quale dichiara di essere lui stesso il maestro del lume di candela:
I am the candlelight master
Striking a match in the shadows.
A smoky wick, then radiance.
I am the candlelight master.
Sono il maestro del lume di candela
che fra le ombre accende un fiammifero.
Dallo stoppino fumo, poi fulgore.
Sono il maestro del lume di candela.
La concisione estrema, alla quale Longley si avvicina sempre di più negli ultimi due decenni, non consente allusioni al mistero dell’identità del maestro pittore, ma serve a far esplodere la luce «fra le ombre» (il plurale contenendo in inglese anche un accenno all’aldilà), in una radiance che è fulgore irraggiante, claritas radiosa. «Striking a match», letteralmente “lo sfregare un fiammifero”, è il gesto semplice e minimo di una creazione che ha per oggetto la luce e i volti e le cose che essa rivela, e il breve calore che il fuoco produce. Nel presentarsi come il maestro del lume di candela, Longley si mostra come il poietes umano: forte, diretto, immediato, ma anche coscientemente caduco come appunto una candela e la sua luce.
Piero Boitani
***
ANTICLEIA
Se alla roccia dove confluiscono i fragorosi fiumi, l’Acheronte,
il Piriflegetonte e il Cocito, affluente dello Stige, scavi
una fossa larga, lunga e fonda un cubito, dalle nocche al gomito,
e vi sacrifichi un montone e una pecora nera, piegando loro il capo verso le
tenebre esterne mentre tu volgi la fronte all’acqua,
tante di quelle anime anemiche dei morti ti si affolleranno attorno che dovrai
tenerle lontano dal sangue con la baionetta,
ma tra questi zombi a un tratto riconoscerai tua madre,
e se, dopo averle dato del sangue da bere e parlato di casa,
tre volte ti farai avanti per abbracciarla, per tre volte
come un’ombra o un’idea lei ti svanirà tra le braccia
e le chiederai perché evita di toccarti e lacrime verserai
perché ecco qua tua madre e perfino quaggiù nell’Ade
un abbraccio tremante sarebbe a entrambi di conforto,
ti spiegherà lei che i tendini non legano più la sua carne
alle ossa, che il fuoco irresistibile ha tutto demolito,
che l’anima prende il volo come un sogno e fluttua nel cielo,
che questo è quel che accade agli esseri umani quando muoiono?
ARGOS
Di separazioni ce n’erano state altre, così numerose
che Argo, il cane che attese Odisseo per vent’anni,
ha continuato ad aspettarlo, trascurato sul mucchio di letame
davanti la nostra porta, pieno di pulci, più morto che vivo,
lui che un tempo inseguiva capre selvatiche e caprioli; il cane
preferito, di razza pura, un fenomeno a cogliere l’usta,
che ancor oggi agita la coda e tiene le orecchie basse
sforzandosi di farsi più vicino alla voce che riconosce
e muore nello sforzo; finché anche noi come Odisseo
piangiamo per il cane Argo e per tutti gli altri cani,
per le retate di criceti e il panico dei ratti albini
e la deportazione di un canarino di nome Pepiček.
CAMPFIRES
Tutta la notte fuochi crepitanti tennero alto il morale
mentre nella terra di nessuno sonnecchiavano e sui campi di battaglia.
(Notti miti – non un alito, costellazioni in cielo
splendenti attorno a una luna abbagliante –
quando in alto una radura nell’aria svela
spazio sconfinato, e tutte le stelle appaiono
e illuminano le cime dei colli, le valli, i promontori e le punte
come Tonakeera e Allaran dove la marea
volge verso Killary, dove i salmoni lasciano il mare,
dove il pastore sorride sul suo campo lucente.
Tanti fuochi brillavano davanti a Ilio
tra il fiume e le navi: mille fuochi, e attorno
a ciascuno cinquanta uomini riposavano nella luce
delle fiamme.) I cavalli attendevano l’alba
muovendosi accanto ai carri, masticando orzo e avena lucente.
L’UOVO DEL LUCHERINO
Considera l’uovo del lucherino,
finemente screziato – macchie
e trattini – lilla, pallida ruggine
rossiccia, spruzzi di sangue
sparsi su un bianco verdastro –
tramonto a finis terrae – insomma
considera l’uovo del lucherino.
PROSEGUENDO AMERGIN
Sono la trota che si dilegua
fra le pietre di guado.
Sono la giovane anguilla
che indugia sotto il ponticello.
Sono il leprotto che mangiucchia
presso la siepe di fucsia.
Sono l’ermellino che danza
attorno al masso erratico.
Sono la matassa di lana
che vento e filo spinato ingarbugliano.
Sono il fango e lo sputo
che edificano il nido della rondine.
Sono il canto del saltimpalo,
sasso che percuote il sasso.
Sono il corvo aereo
che ha l’occhio in quello dell’agnello.
Sono il chiurlo notturno
che zufola nella canna fumaria.
Sono il pipistrello
che dimora tra costellazioni.
Sono la goccia di pioggia che racchiude
lino di fata oppure Samolus.
Sono il bocciolo di ninfea
e l’autunnale orchidea Spirantes.
Sono il temporale che penetra
nel buco della serratura.
Sono il chicco di grandine annerito
che il camino torna in acqua.
Sono la tana della lontra
e il covo del tasso nelle dune.
Sono il tasso che nell’alta marea
annega fra i detriti galleggianti.
Sono la lontra che muore
in cima al tumulo funebre.
IL MODELLINO DI AMELIA
I
Nel suo modellino del sistema solare
la mia cosmologa settenne
lega a uno spiedino da barbecue
con filo fusibile i pianeti, bottoni:
Venere, un bottone d’avorio,
Mercurio argento accanto al sole,
per Giove madreperla,
rosso e verde per Marte e la Terra,
per gli anelli di Saturno uno scovolino:
sicché nell’oscurità esterna
accanto alla cucina i suoi occhi castani
rappresentano Urano e Nettuno.
II
Amelia, nel filo non hai aggiunto Plutone
alla tua scultura del sistema solare:
minuscolo e remoto, un mondo gelido
di gelidi monti e neve di metano,
la danza di cinque lune sconosciute al sole,
il regno del dio dell’aldilà –
è lì, bambina mia, che andremo quando moriamo.
STELLE BAGNATE
Ho destato – al di là delle pietre di guado
sulla marea di luna piena – l’immaginazione –
guarda solo – costellazioni momentanee –
stelle bagnate fra i piedi – fosforescenza –
ardore dell’acqua del mare.
La storia della rivista «Nuovi Argomenti»
1953-1964
Alberto Carocci e Alberto Moravia fondano «Nuovi Argomenti». «L’idea», ricorderà Moravia, «era quella di creare una rivista di sinistra come “Temps Modernes” di Sartre, la quale avrebbe avuto un’attenzione per la realtà italiana di tipo oggettivo e non lirico». Il bimestrale ha la sua redazione in via dei Due Macelli 47 (segretario di redazione: Giovanni Carocci) e viene stampato presso l’Istituto Grafico Tiberino di Roma.
Il primo numero (marzo-aprile 1953) porta in sommario una Inchiesta sull’arte e il comunismo con interventi di Moravia, Lukacs, Solmi e Chiaromonte, ma anche racconti di Franco Lucentini e Rocco Scotellaro e un saggio di Franco Fortini.
Dal 1953 al 1964, sui 71 numeri che compongono la prima serie di Nuovi Argomenti scrivono, tra gli altri, Arbasino, Bassani, Bianciardi, Bobbio, Calvino (che pubblica La nuvola di Smog e il Diario americano) Cassola, Ginzburg, Fenoglio, Maraini, Montale, Morante, Ortese, Ottieri, Piovene, Pratolini, Raboni, Rea, Vittorini, Zolla.
Sul n. 10 del 1954 esce l’Inchiesta su Orgosolo di Franco Cagnetta; quest’ultimo – assieme ai direttori Carocci e Moravia – verrà denunciato dall’allora Ministro dell’Interno Mario Scelba per «reato di vilipendio delle forze armate» e «pubblicazione di notizie atte a turbare l’ordine pubblico», e la rivista venne sequestrata. Nel 1956, sul n. 17-18, Moravia pubblica alcuni capitoli inediti del suo romanzo La ciociara e la rivista per la prima volta apre alla poesia con Le ceneri di Gramsci di Pier Paolo Pasolini. Sul n. 20 (maggio-giugno 1956) trovano spazio 9 domande sullo stalinismo, con un’intervista a Palmiro Togliatti. È una formula che verrà replicata spesso, con le 9 domande sul romanzo (n. 37 del 1959, con scritti di Bassani, Calvino, Cassola, Montale, Morante, Moravia, Pasolini, Piovene, Solmi e Zolla), le 7 domande sulla poesia (n. 55-56 del 1962, con interventi di Baldacci, Bertolucci, Caproni, Devoto, Forti, Legnetti, Luzi, Montale, Paglierini, Pasolini, Pedio, Pignotti, Roversi, Sereni, Siciliano, Solmi, Vivaldi e Zolla) e le 10 domande su «neocapitalismo e letteratura» (n. 67-68 del 1964, con articoli di Arbasino, Baldini, Chiaramonte, Contessi, Cusatelli, Eco, Guglielmi, Leonetti, Moravia, Ottieri, Pasolini, Raboni, Rosso, Roversi, Siciliano, Saccà, Vittorini).
1966-1980
Nel gennaio del 1966 esce il primo numero della seconda serie – trimestrale – pubblicata da Garzanti. Ai due fondatori si è aggiunto nella direzione Pier Paolo Pasolini. Segretario di redazione è Enzo Siciliano che nel 1972, alla morte di Carocci, sostituisce quest’ultimo come direttore. Siciliano può considerarsi colui che su «Nuovi Argomenti» pratica la saggistica letteraria più compiuta, con attenzione, anche nella rivisitazione dei classici, alla sensibilità civile, ai rapporti della letteratura con la storia. Sulla rivista aveva esordito nel 1962, rispondendo al questionario sulla poesia e, due anni dopo, a quello su neocapitalismo e letteratura. Ma la caratteristica della sua presenza è data dal dittico intitolato L’anima contro la storia, due saggi su Bassani e su Elsa Morante che, dal 1966, vedono iniziare la sua presenza sempre più continua.
La seconda serie dura per 66 numeri e chiude nel 1980, segnando un percorso dove il fatto letterario tende sempre più a prendere il posto della discussione politica. Come un ciclone, nella seconda serie sta il nome di Pier Paolo Pasolini. Si può dire che la seconda serie di «Nuovi Argomenti» sia la serie di Pasolini, come la prima stagione della rivista era stata quella di Moravia, come la terza a quarta serie saranno soprattutto segnate da Siciliano. Pasolini dirige la rivista con una vitalità che tende a rompere i margini, assecondando una serie di collaborazioni dei cui autori il tempo perderà le tracce; ma tra i nomi rimasti, per esempio, ci sono Dario Bellezza, Franco Cordelli, Antonio Debenedetti, Dacia Maraini (che esordì nella prima serie, ma trovò nella seconda una vena di interesse civile), Giorgio Montefoschi, Vincenzo Pardini, Renzo Paris. A partire dal n. 10 della seconda serie (aprile-maggio 1968), Pasolini accantona discussioni di linguistica, cinema e poesia e irrompe con forza nel fascicolo della rivista. A sua firma compaiono sei interventi (Il PCI ai giovani!, Una risposta a Siciliano, Anche Marcuse adulatore, Aneddotica dell’integrazione a sinistra, Ah, Italia disunita!, e infine, come notizia da ultim’ora, Hanno sparato a Bob Kennedy). L’ultima firma è posta a 1951 nell’ultimo numero del 1975, che si sovrappone alla tragica notte all’Idroscalo di Ostia.
Nel primo numero dell’anno seguente, l’Omaggio a Pasolini coprirà la quasi totalità del fascicolo. Attilio Bertolucci affianca Moravia e Siciliano nella direzione. Redattori della rivista, dal 1974, sono Dario Bellezza e Piero Gelli. Nel 1978, Bellezza appare come segretario di redazione, con Gelli e Franco Cordelli come redattori. Tra gli autori invitati a collaborare alla rivista, Celati, Cerami, Consolo, Cucchi, Elkann, Giudici, Magrelli, Magris, Malerba, Montefoschi, Rosselli, Scialoja, Sereni, Siti, Spaziani, Zanzotto. Si pubblicano scritti di Octavio Paz, Julio Cortazar, Roland Barthes, Michail Bulgakov, Henry Michaux, José Lezama Lima, Michail Bachtin, Boris Pasternak, Joseph Brodskij.
1982-1994
«Scrivere di politica: portare o costringere gli scrittori a occuparsi di quei fatti che assediano da vicino l’esistenza quotidiana, e che ci appaiono indecifrabili, lugubremente enigmatici. Con questa ambizione si apre la terza serie di “Nuovi Argomenti”», scrive Enzo Siciliano nell’editoriale del numero di gennaio-marzo 1982 intitolato La letteratura delle cose, inaugurando i cinquanta numeri della terza serie pubblicati da Mondadori. Direttori sono Moravia, Siciliano e Leonardo Sciascia. Il collegio di direzione è composto da Dario Bellezza, Giulio Bollati, Franco Cordelli, Enzo Golino, Carlo Gregoretti, Leonardo Mondadori, Massimo Piattelli Palmarini, Lucio Villari. Nel 1984 entra a farne parte Edoardo Albinati, nel 1986 Leopoldo Fabiani. Dal 1988 Sandro Veronesi è segretario di redazione. Lo stesso anno Antonio Debenedetti entra nel collegio di direzione. Nell’89 ci sono anche Bruno Guerri, Rasy, Tondelli, Montefoschi, Elkann e Guarini e Giorgio Caproni affianca per breve tempo i direttori della rivista, fino alla sua morte che avverrà l’anno seguente.
Nel 1990, il n. 33 di «Nuovi Argomenti» (con una copertina di Mario Schifano) rende omaggio aLeonardo Sciascia, appena scomparso. Francesca Sanvitale diventa direttore accanto Moravia e Siciliano. Quest’ultimo, dall’anno seguente, avvia regolarmente la pubblicazione di un suo “diario” come editoriale della rivista. Sempre nel 1990, alla morte di Alberto Moravia, accanto a Siciliano e alla Sanvitale arrivano alla direzione Furio Colombo e Raffaele La Capria, con Dacia Maraini e Franco Cordelli in veste di vicedirettori. La rivista pubblica scritti di Bufalino, Eco, Ferrara, Mafai, Manganelli, Parazzoli, Scalfari, Tabucchi, Tobino, Vattimo, Villari, Viola, Zeichen e prosegue nella sua vocazione al talent-scouting aprendo alla collaborazione di giovani autori tra cui Abbate, Affinati, Albinati, Busi, Carbone, Colasanti, Covito, Lodoli, Mazzucco, Onofri, Picca, Tamaro, Tondelli, Trevi, Valduga, Veronesi, oltre a pubblicare scrittori stranieri quali Borges, Brodkey, Carver, Chatwin, Doctorow, Grossman, Kundera, Lowry, McEwan, McInerey, Oates, Perec, Updike, Walcott, Wolfe, Yeoshua. Nel 1993, per decisione di Enzo Siciliano e Sandro Veronesi, sul numero 48 (ottobre-dicembre) viene pubblicato il racconto lungo La baracca di Andrea Carraro, da cui successivamente lo scrittore romano trarrà il romanzo Il branco.
1994-1997
Nel 1994 la rivista cambia casa per la quarta volta. L’editore è Giunti che pubblicherà 12 fascicoli. La direzione, già dall’ultimo numero della serie Mondadori (n. 50), è composta da Dacia Maraini, Raffaele La Capria, Furio Colombo e Enzo Siciliano (direttore responsabile). Della redazione sono entrati a far parte Eraldo Affinati, Antonella Anedda, Luca Archibugi, Rocco Carbone, Massimo Onofri, Aurelio Picca, Emanuele Trevi. Al collegio di direzione si aggiungono Vincenzo Pardini, Giovanni Raboni, Nico Orengo, Sapo Matteucci, Giorgio Ficara. Segretario di redazione è Simone Caltabellota. Caporedattore Arnaldo Colasanti.
«Nuovi Argomenti» si conferma palestra per i giovani critici scrittori e poeti che in molti casi parteciperanno poi direttamente alla sua redazione: Scarpellini, Manica, Martini, Gibellini, Susani, Giartosio, Galaverni, Tripodo, De Bernardinis. Nel 1994 esordisce Niccolò Ammaniti, nel 1997 Alessandro Piperno. Sulla rivista trovano spazio Luca Doninelli, Antonio Riccardi, Claudio Piersanti, Enzo Fileno Carabba, Giulio Mozzi, Giuseppe Montesano, Antonio Franchini, Maurizio Maggiani. Vengono pubblicati Paul Auster, Don DeLillo e Seamus Heaney. Il formato non è più in ottavo ma diventa quello di un libro tascabile (sull’esempio della «Paris Review»).
1998-oggi
Dal 1998 «Nuovi Argomenti» torna ad essere stampata da Mondadori. Il primo numero della quinta serie è intitolato Terrore e terrorismo. Arnaldo Colasanti diventa direttore con Colombo, Maraini, La Capria e Siciliano (che è sempre il direttore responsabile). Lorenzo Pavolini è caporedattore. Alla redazione partecipano anche Andrea Salerno e Massimiliano Capati; collaborano Abeni, Guerneri, Tarquini, Santi. Sulle pagine della rivista continuano a passare scrittori e vita politica: Pascale, Fois, Riccarelli, Raimo, Ferracuti, Lagioia, Armitage, Strand, Hughes, Annunziata, De Angelis, Veltroni, Riotta, Moresco, Asor Rosa, Mari, Pascale, Guglielmi, Cortellessa, Voltolini.
Il n. 21 (gennaio-marzo 2003) festeggia una data importante e si chiama appunto Abbiamo 50 anni– Prologo. Seguiranno Abbiamo 50 anni – Atto Primo, Abbiamo 50 anni – Atto Secondo e Abbiamo avuto 50 anni. A partire dal numero di luglio-settembre 2003 inizia l’assidua collaborazione di Alessandro Piperno che firma un pezzo dal titolo Lettera aperta a Enzo Siciliano sul caso Philip Roth. Mario Desiati viene chiamato da Siciliano per svolgere le funzioni di segretario di redazione, in cui entrano Carlo Carabba, Leonardo Colombati, Helena Janeczeck e Roberto Saviano.
Per la rivista si apre una nuova stagione, suggellata nel 1994 dall’uscita del n. 28, Italville, e un anno dopo dal n. 30, Atlantide – Luoghi e personaggi sommersi, due numeri in cui intervengono molti dei più promettenti giovani autori del panorama italiano, tra cui Leonardo Colombati, Mario Desiati, Giuseppe Genna, Nicola Lagioia, Francesco Pacifico, Massimiliano Parente, Valeria Parrella, Tommaso Pincio, Alessandro Piperno, Flavio Santi, Roberto Saviano, Wu Ming 1.
Il 9 giugno 2006 muore Enzo Siciliano. Il n. 35 di «Nuovi Argomenti» gli rende omaggio con un numero speciale, Officina Siciliano, in cui lo ricordano tra gli altri Alberto Arbasino, Bernardo Bertolucci, Franco Buffoni, Arnaldo Colsanti, Franco Cordelli, Alain Elkann, Miriam Mafai, Valerio Magrelli, Raffaele Manica, Dacia Maraini, Vincenzo Pardini, Elisabetta Rasy, Giorgio van Straten. Quest’ultimo, assieme a Raffaele Manica, entra nella direzione affiancando Colasanti, Colombo e La Capria. Direttore responsabile diventa Dacia Maraini.
Nel gennaio 2009 Carlo Carabba diventa coordinatore della redazione. Gli succederanno Francesco Pacifico, Marco Cubeddu e Francesca Ferrandi.
Dal 2019 la direzione è composta da Colombati, La Capria, Manica, Maraini e van Straten.
Martha Argerich puoi conoscerla attraverso la sua biografia scritta da Olivier Bellamy: un libro interessante, intrigante e ricco di aneddoti, corredato di cronologia, premi, galleria fotografica, repertorio, discografia e videografia, documentari, indici dei nomi, delle etichette, delle opere citate, dei musicisti, dei cantanti, dei cori, dei luoghi, delle orchestre e degli ensemble che hanno collaborato con la grande pianista argentina.
MARTHA ARGERICH
Olivier Bellamy
MARTHA ARGERICH- L’enfant et les sortilèges-
Presentazione di Carlo Piccardi
pagine XII+356 – formato cm. 17×24 – illustrato
Collana “Personaggi della Musica”, 19 – euro 25,00
Genio del pianoforte”, “miracolo della natura”, “ciclone argentino”, o ancora “leonessa della tastiera”: non mancano certo le definizioni per evocare la dirompente personalità di Martha Argerich. Nata nel 1941, la leggendaria pianista argentina, applaudita sulle scene internazionali da decenni, affascina per la potenza delle sue esecuzioni e per il mistero della sua personalità. Il suo temperamento indomabile, il carattere libero e indipendente ne fanno un personaggio davvero atipico nel mondo della musica classica. In una narrazione costellata di aneddoti inediti e di sorprendenti rivelazioni, Olivier Bellamy dipana le fila di una vita ricca di eventi e di sviluppi imprevedibili: dall’infanzia in Argentina, quand’era bambina prodigio a Buenos Aires, passando per gli studi di perfezionamento dapprima a Vienna con Friedrich Gulda e quindi ad Arezzo e Moncalieri con Arturo Benedetti Michelangeli, per arrivare alle decisive affermazioni del Premio Busoni di Bolzano e del Concorso di Ginevra e all’apoteosi dello “Chopin” di Varsavia, fino agli anni più recenti, caratterizzati anche da momenti di profonda crisi, da rinunce ai concerti e ancora da trionfali ritorni… Di città in città (Buenos Aires, Vienna, Bolzano, Amburgo, New York, Ginevra, Bruxelles, Londra, Rio de Janeiro, Mosca…), attraverso i suoi colleghi musicisti, gli amori, le amicizie, il libro delinea il ritratto intimo di un’artista dalla profonda umanità.
MARTHA ARGERICH
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Nuova edizione per il volume di Marcella Olschki “Terza liceo 1939” che verrà presentato sabato 26 novembre alle ore 16 nella Sala consiliare del Palazzo del Vicario a Pescia, in piazza Mazzini. All’evento intervengono Simonetta Soldani dell’Università di Firenze, Andrea Lottini dell’Associazione ‘9cento, Daniele Olschki della Casa Editrice Leo S. Olschki. Coordina Laura Melosi, ISL Storia e Storie al femminile.
Marcella Olschki “Terza liceo 1939”
–DESCRIZIONE- La storia – Siamo alla fine degli anni ‘30 in una classe di liceo classico che si prepara alla maturità. Tra versioni di greco e latino, l’Armani Bertoli che non azzecca un’interrogazione nonostante i suggerimenti dei compagni, l’Ausili che concentra la sua attenzione di sognatore su ciò che accade oltre la finestra e le ridicole iniziative del Regime, che in qualche caso sono un ottimo alleato per fare forca, Marcella Olschki osserva da protagonista felice la sua piccola comunità, i cui eventi potrebbero essere quelli di qualsiasi terza liceo di ogni tempo, se non che… uno scherzo causa un processo per oltraggio al professore fascista con l’ulteriore rischio di un cognome perseguibile dalle leggi razziali. Questa terza liceo racconta ancora quegli anni bui.
Antonio Fogazzaro: Le Poesie, Baldini, Milano, 1908, pp. 431–432.Antonio Fogazzaro: Le Poesie, Baldini, Milano, 1908, pp. 431–432.
A COLORO CHE MI AMANO.
Ne l’ora in che si affaccian caute ed escono
Da i nascondigli de la casa l’ombre
E s’incontran, si mescon circonfuse
Ai morenti chiaror de le finestre,
Ne la dimora solitaria un vecchio,
Pascendo sè de le tristezze sue,
Pensa gli anni lontani, l’imminente
Ultima sera e, sospirati invano
I dì che più non tornano, sospira
Invano i dì che non vedrà, sospira
Una parte di sè gittar vivente
Ne l’avvenir, almeno un disïoso
Guardo che si lontani e parli ancora
Quando l’occhio sia chiuso, una infocata
Stilla di pianto almen che ancor non resti,
Che ancor non geli. Va pensando i cori
In che più fida ed ogni più diletta
Cosa cui giunger la memoria sua:
Capelli sacri di chi amò e scomparve
Ne la morte, gioielli, antiche tele
Antonio Fogazzaro: Le Poesie, Baldini, Milano, 1908,Antonio Fogazzaro-PREGHIERA-DEL-MARINAIOAntonio FogazzaroAntonio Fogazzaro
Il 25 marzo del 1842 nasceva a Vicenza, Antonio Fogazzaro (Vicenza, 25 marzo 1842 – Vicenza, 7 marzo 1911) è stato uno scrittore e poeta italiano.
Antonio Fogazzaro: Le Poesie, Baldini, Milano, 1908,Antonio Fogazzaro-Catalogo delle Opere
La prima donna Premio Nobel , in Fisica, nel 1903 insieme a suo marito Pierre e a Henri Becquerel, diventando la prima donna della storia ad avere ottenuto questo riconoscimento; il secondo Premio Nobel arrivò nel 1911, questa volta in chimica.
Marie Curie dedicò la sua vita alla scienza e le sue ricerche le valsero due Premi Nobel. Vinse il primo, in Fisica, nel 1903 insieme a suo marito Pierre e a Henri Becquerel, diventando la prima donna della storia ad avere ottenuto questo riconoscimento; il secondo arrivò nel 1911, questa volta in chimica.
«Nella vita non c’è niente da temere, solo da capire». Senza dubbio queste parole definiscono il carattere ostinato e combattivo di Marie Curie, una grande scienziata e una donna che viene ricordata come una persona sobria, riflessiva e con in volto un’espressione severa.
Marie Curie
Breve biografia di Maria Sklodowska, conosciuta anche come Marie Curie, nacque a Varsavia (Polonia) il 7 novembre 1867.Figlia di un insegnante di scuola superiore, iniziò gli studi con il padre proseguendoli a Varsavia ed infine all’Università della Sorbona di Parigi, conseguendo le lauree in chimica e in fisica.
A Parigi conobbe Pierre Curie, scienziato già noto ed insegnante alla Sorbona, e lo sposò nel 1895. Nel 1897 nacque la prima figlia Irène, e nel dicembre del 1904 la seconda, Eve. I coniugi Curie, lavorando insieme, scoprirono nei sali di torio proprietà radioattive simili a quelle che poco prima aveva scoperto H. Becquerel nei sali di uranio. Dopo anni di studi arrivarono ad isolare due nuovi elementi radioattivi: il polonio, così chiamato in onore delle origini di Marie, e il radio.
Marito e moglie non brevettarono il metodo di estrazione: volevano che tutti potessero produrre liberamente il radio per il bene dell’umanità poichè si era scoperto che il nuovo elemento era in grado di combattere il cancro. Insieme al marito Pierre Curie ed a Antoine Henri Becquerel, Maria Sklodowska-Curie ricevette – prima donna della storia – il premio Nobel per la fisica nel 1903. Otto anni dopo, nel 1911, fu insignita di un altro premio Nobel, questa volta per la chimica.
Dopo la tragica morte del marito avvenuta nel 1906, Marie Curie continuò a lavorare nel suo laboratorio, venne chiamata alla cattedra alla Sorbonne e riuscì a isolare il polonio puro e il radio puro. Marie Curie morì il 4 luglio del 1934 di anemia perniciosa in conseguenza della lunga esposizione alle sostanze radioattive.
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