Carla Buranello ha lavorato per molti anni come dirigente presso un’azienda internazionale. Lasciato il lavoro, e ritornata padrona del proprio tempo, ha deciso di dedicarsi agli interessi da lungo tempo trascurati iniziando, per pura passione, a tradurre, soprattutto poesie di autori inglesi e americani. Tramite internet, si è messa in contatto con la poetessa angloamericana Anne Stevenson, iniziando una corrispondenza trasformatasi presto in amicizia.
È la casa dove andrò per morire.
PENELOPE
E così rimasi a casa. Sola.
A filare il filo bianco dei giorni,
il filo nero delle notti,
a tessere la tela grigia della mia solitudine.
In me si aprivano territori
popolati da mostri e da paure,
incantesimi di maghe, senza scopo,
seduzioni di ninfe, del tutto inutili,
richiami di sirene, inascoltati.
Io, moglie di eroe per usucapione,
fedele per definizione,
morirò inesplorata.
*
LA CASA NUOVA
È la casa dove andrò per morire
l’occaso, il mio occidente,
la sceglierò con cura, la renderò perfetta,
sarà ampia, luminosa e ben disposta,
avrà spazio e scaffali sul muro
per collocare presente passato e futuro.
All’orizzonte della mia cucina
potrò avvistare l’Oriente e la Cina
senza muovermi dalla finestra
porcellane e sete nella mia testa.
Darò una festa il primo giorno
per festeggiare il non ritorno
siete invitati tutti quanti
mi raccomando … guanti bianchi!
*
LUMACHINA
Lumachina bellissima
amabile sorpresa
su questa verde grumosa
foglia di ortaggio
che condividiamo per cena
nitida e matematica
morbida carne d’ostrica
in convolvolo di lucida scaglia
tu non sai nulla
della spirale logaritmica (1)
non te ne cale
della sezione aurea
di Fibonacci
tu te ne stropicci
lenta e implacabile
attraversi le età
con te porti te stessa
e ogni tua proprietà
in equilibrio fragile
tra il caso e la necessità
(1) il guscio della chiocciola (al pari di altri fenomeni del mondo naturale, quali la disposizione dei semi di girasole e delle squame dell’ananas, o la spaziatura delle foglie lungo uno stelo) presenta uno schema riconducibile a quello della sezione aurea e dei numeri di Fibonacci. L’elemento comune di questi fenomeni è rappresentato dalla spirale logaritmica detta anche “spirale aurea”, attraverso la quale lo sviluppo armonico della forma è legato alla necessità degli esseri viventi di accrescere “secondo natura” in maniera ottimale e meno dispendiosa possibile.
*
NOVELLA SPOSA
Tu mi hai fatto comprare un orologio
per prima cosa
novella sposa
tu mi hai fatto comprare un orologio
e ti sei insediato nel quadrante
hai preso a scandire le mie ore
che prima battevano presso il cuore
eccomi qua
avvinta ad una molla
che ora mi tira
e ora mi sgrolla
e non mi lascia
strettamente mi fascia
mi strozza
mi strizza la gargozza
sputo a fatica
negli ultimi sobbalzi
ore minuti
secondi vuoti
con le lancette mi percuoti
mi frusti
esulti
è straordinario
muoio
in perfetto orario!
*
COMICA FINALE
Ho il cuore vecchio questa sera,
un vecchio cuore
che indossa un parrucchino di parole,
un’assurda dentiera di metafore,
ha le labbra tinte con sangue non suo
e finge un trasporto che non c’è.
Volteggia, piroetta, ammicca,
si esibisce su un liso tappeto
di vocaboli,
si inchina,
vuole gli applausi, il meschino.
Scivola su un accento sdrucciolo,
batte la testa su un sostantivo,
è trafelato, suda,
non sa cosa dire,
non sa come dire.
Cola il cerone delle rime
e il rimmel degli artifici
gli appiccica gli occhi.
Boccheggia,
sta per piangere,
ma una vecchia solerte
-la badante di Euterpe-
lo prende sottobraccio
e passo passo lo accompagna
verso la parola: FINECarla Buranello
Biografia di Carla Buranello è nata a Venezia, dove ha studiato, (laureandosi presso l’Università Ca’ Foscari in Lingue e Letterature Straniere Facoltà di Anglo-Americano), e dove vive tuttora.Ha lavorato per molti anni come dirigente presso un’azienda internazionale. Lasciato il lavoro, e ritornata padrona del proprio tempo, ha deciso di dedicarsi agli interessi da lungo tempo trascurati iniziando, per pura passione, a tradurre, soprattutto poesie di autori inglesi e americani. Tramite internet, si è messa in contatto con la poetessa angloamericana Anne Stevenson, iniziando una corrispondenza trasformatasi presto in amicizia. Ne è nata la prima edizione italiana di una selezione di poesie di Stevenson, pubblicata nel 2018 dall’editore Interno Poesia. Ha tradotto anche un libro inglese di racconti ispirati alla scienza, non ancora pubblicato. Dall’amore per il linguaggio poetico, e dalla profonda vicinanza con esso che il tradurre determina, è nato anche il desiderio di cimentarsi nella scrittura. E in alcuni casi di tradurre in inglese le sue stesse poesie. Non ha mai pubblicato nulla, ma ha accettato con piacere di affidare alcuni suoi versi a Margutte.-
– RivistaCOLLETTIVO R–POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
Rivista Collettivo R-La casa editrice venne fondata nel dicembre 1970 su inizativa di Luca Rosi, Ubaldo Bardi e Franco Manescalchi all’interno del movimento dell’underground culturale ed editoriale fiorentino in stretto collegamento con l’associazionismo politico culturale e ricreativo (Arci, Circoli culturali, Case del popolo, partiti della sinistra storica, sindacati e movimento studentesco). Lo scopo era di collegare la contestazione politica con orizzonti culturali più ampi attraverso la proposta della riflessione di scrittori e poeti, in particolare italiani e latinoamericani, poco noti al grande pubblico. L’iniziativa si concretizzò nella pubblicazione della rivista «Collettivo R», un nome derivato dalle unioni spontanee di quegli anni e una lettera simbolica R ad indicare un triplice richiamo: Resistenza, Ricerca, Rivoluzione.
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
La rivista mosse i suoi primi passi come “rivista al ciclostile” e visse nei luoghi di cui si volle fare icona e portavoce. Si interessò e propose accanto alla poesia anche lavori grafici, critiche letterarie, racconti. A fianco della rivista uscirono le serie dei “Quaderni” con raccolte poetiche contemporanee. Nel 1980 fu pubblicata L’utopia consumata: Antologia 1970-1980 che riassume le iniziative e le proposte del primo decennio di esperienza di “poesia militante”. Nel 1981 con la Casa della Cultura e il Consiglio di Quartiere 7 diede vita al Centro Due Arti di documentazione poetica e grafica e affiancò all’attività editoriale la produzione di spettacoli culturali, recital poetici e incontri di divulgazione nelle scuole. Tradusse, pubblicò e introdusse in Italia numerosi poeti latinoamericani in collaborazione con le cattedre di ispanistica delle università di Firenze, Siena e Venezia, tra questi ricordiamo Ernesto Cardenal padre trappista e ministro della cultura del Nicaragua rivoluzionario. Il primo maggio del 1994 Luca Rosi, Franco Varano e Paolo Tassi diedero vita all’attuale configurazione societaria l’Associazione culturale Athaualpa finalizzata al perseguimento di soli obiettivi culturali con il sostegno e l’impegno pratico di numerosi soci che dedicano gratuitamente la loro attività professionale alla realizzazione delle edizioni. La Rivista Collettivo R mosse i suoi primi passi come “rivista al ciclostile” e visse nei luoghi di cui si volle fare icona e portavoce. Si interessò e propose accanto alla poesia anche lavori grafici, critiche letterarie, racconti. A fianco della rivista uscirono le serie dei “Quaderni” con raccolte poetiche contemporanee. Nel 1980 fu pubblicata L’utopia consumata: Antologia 1970-1980 che riassume le iniziative e le proposte del primo decennio di esperienza di “poesia militante”. Nel 1981 con la Casa della Cultura e il Consiglio di Quartiere 7 diede vita al Centro Due Arti di documentazione poetica e grafica e affiancò all’attività editoriale la produzione di spettacoli culturali, recital poetici e incontri di divulgazione nelle scuole. Tradusse, pubblicò e introdusse in Italia numerosi poeti latinoamericani in collaborazione con le cattedre di ispanistica delle università di Firenze, Siena e Venezia, tra questi ricordiamo Ernesto Cardenal padre trappista e ministro della cultura del Nicaragua rivoluzionario. Il primo maggio del 1994 Luca Rosi, Franco Varano e Paolo Tassi diedero vita all’attuale configurazione societaria l’Associazione culturale Athaualpa finalizzata al perseguimento di soli obiettivi culturali con il sostegno e l’impegno pratico di numerosi soci che dedicano gratuitamente la loro attività professionale alla realizzazione delle edizioni. IN RICORDO DI LUCA ROSI direttore della rivista di poesia “COLLETTIVO R- ATAHUALPA” Sabato 21 settembre u.s. è morto Luca Rosi. Quanti l’abbiamo conosciuto abbiamo perso non solo il poeta, ma l’amico leale e sensibile, sempre vicino nei problemi di vita quotidiana; tutti noi dopo la sua morte siamo orfani di qualcosa,sentiamo la sua assenza come un vuoto e siamo affranti, questo vuoto era la sua dolcezza nei rapporti con tutti e il suo impegno tenace, di una persona forte e resistente moralmente, con la sua orientazione a portare a termine impegni di traduzione dei testi della rivista, di redazione dei “quaderni” di poesia o della preparazione dei diversi numeri della rivista. In questo impegno in cui si riconosceva pienamente e attraverso esso comunicava con tutti noi ed era felice quando inviava la rivista e spesso aggiungeva in un foglio allegato un caro saluto. Luca, con me, che abito a Roma, spesso era presente con una telefonata o con una lettera. Qualche volta veniva a Roma per i suoi impegni nel sindacato dell’editoria,ed era un’occasione di incontro e di riflessione, ugualmente avveniva nei miei ritorni a Firenze, anche dopo la conclusione del periodo universitario. Luca era nato settanta quattro anni fa. L’ho incontrato la prima volta a Firenze, nella sua abitazione, per una riunione della redazione della rivista “Collettivo R”, fondata da Franco Manescalchi insieme allo stesso Luca. Quella sera, ricordo ci fossero Silvano Guarducci, Ubaldo Bardi e Paolo Tassi. Ero stato invitato, dopo aver scritto una lettera alla redazione in seguito alla presa visione di uno dei primi numeri che era arrivato alla redazione dei “Quaderni Calabresi” di Vibo Valentia. Siamo nei primi anni ’70, molto ricchi di fermenti culturali, e io ero alla ricerca di un percorso personale, che coniugasse politica e poesia. Allora mi sembrò – e fu poi così – di averlo trovato nella rivista fiorentina e nel gruppo di persone che l’animava. Quando i rapporti redazionali divennero più frequenti con Luca, si andava formando anche una sincera amicizia, che col tempo si è consolidata, diventando molto preziosa. Io lo apprezzavo molto e gli volevo bene, e lui non mancava di farmi sentire il suo affetto e la sua stima, giudicando positivamente non solo i miei primi testi poetici per la rivista, ma spesso mi incoraggiava tantissimo a continuare a scrivere durante i miei periodi di dubbi e di insicurezza nel trovare un mio percorso. Io intanto scorgevo in lui (anche in Franco e Silvano e Paolo) l’unione tra intelligenza e sforzo morale: cioè l’attenzione che riversava verso la storia coniugata con la poesia. Lui , figlio di emigranti italiani in Venezuela, ritornato in Italia per studiare all’Università, aveva cominciato con l’interesse per i problemi degli studenti stranieri in Italia, con la redazione di un giornale degli studenti immigrati. Nel frattempo aveva avviato con la scrittura di testi poetici una comprensione del mondo e della sua storia. Penso alle prime due raccolte: “TERRA CALCINATA” E “AMORE SENZA TEMPO”. Per la prima volta ho cominciato a sentire da lui ( e da Franco) l’espressione caratterizzante: la poesia comepoesia della tensione. Essa era il risultato di riflessioni sul giusto rapporto morale con il mondo di quella storia che allora era divisa tra oppressione e movimenti di rivolta e rivoluzione. In quella concezione della poesia mi sembrava abitasse qualcosa di spirituale unito al politico. Luca era così, racchiudeva l’uno e l’altro. Lo spirituale mi sembrava basato su ciò che chiamiamo scelta, responsabilità, disponibilità all’apertura al mondo della storia. Così era fatto il suo mondo di poeta e di intellettuale, di poeta-intellettuale. Lui proponeva una poesia fatta con la passione della politica e con una tensione spirituale verso le singole persone oltre che per i fatti storico-collettivi. In Luca era molto presente anche l’orizzonte esistenziale, credo per dare un senso maggiore alla storia e alla vita stessa. Luca, già nei primi numeri della rivista “Collettivo R” individuava il ruolo del poeta come politico, con una sensibilità e una “tensione” verso le classi sfruttate e oppresse. Lui pensava possibile una <<lunga marcia>> in cui i poeti avrebbero lasciato da parte le ambizioni piccolo-borghesi, ogni prestigio personale per identificarsi con i problemi storici dell’oppressione. Luca è stato un innovatore : attraverso i testi classici del marxismo, denunciava nei primi scritti l’alienazione del lavoro intellettuale nell’industria, tra cui quello del poeta, che avrebbe perso l’aureola, e proponeva l’uscita dall’editoria tradizionale, con l’esoeditoria e il ciclostile e la diffusione a braccio della poesia tra gli strati popolari (case del popolo, scuole, ecc), collegandosi con le forze sociali che agivano a livello di massa. Così individuava il ruolo del poeta come ruolo politico in senso lato, con una tensione verso le classi oppresse. La Sua presenza alle feste dell’Unità, in alcune scuole, presso le Case del Popolo, e altri luoghi pubblici era determinante e necessaria: lui non riservava le sue energie che a questa attività di pedagogo, di amante della poesia, per far altresì innamorare gli altri. Una sua grande gioia era quella di poter invitare in questi incontri il poeta Cardenal o Rafael Alberti, o di tradurre dallo spagnolo moltissimi poeti latino-americani, per poterli far conoscere ai lettori italiani, cominciando dall’ antologia collettivamente tradotta: “Poeti a Cuba”. Il suo amore intenso per la poesia lo portava spesso a organizzare cene di sottoscrizione per continuare la pubblicazione della rivista, o a passare giorni interi a correggere le bozze di più di 50 libri di poesia di altrettanti autori, o a interessarsi alla redazione dell’antologia “L’Utopia Consumata” (o Anti-Antologia),o a curare periodicamente e con assiduità la corrispondenza con i poeti della rivista , o a tener testa ai diversi progetti culturali, relativi alla fondazione del Centro Eielson per la conoscenza della poesia latino-americana, o alla fondazione dell’Associazione culturale “ATAHUALPA, o alla edizione della nuova serie della rivista a cominciare dal 2006, o a preparare presso la biblioteca Marucelliana di Firenze la mostra di tutti i materiali di “COLLETTIVO R” e i diversi incontri di presentazione di libri per il quarantesimo anniversario della rivista.In questo suo impegno tenace era sempre sostenuto da una famiglia molto generose e a lui vicina: dalla moglie Felis, dalle figlie e dai nipoti, a cui ha saputo trasmettere con molto affetto il valore della poesia. Ecco, quando prendiamo in mano o pensiamo un numero della rivista o uno dei libri editati da Colletttivo R, pensiamo a Luca, al suo grande amore perché la poesia giungesse a tantissimi, perciò pensiamo a Lui come poeta, intellettuale e pedagogo. Oraquesto suo mondo apparentemente trascorso vivrà nel futuro, nella misura in cui noi lo ricordiamo riproponendolo. (Luca un grazie infinito da parte mia e a nome anche di coloro che ti hanno conosciuto attraverso la Rivista). COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991- COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
Elsa Morante fin da giovanissima iniziò a scrivere racconti e poesie. Dopo aver completato gli studi, lasciò la famiglia, mantenendosi dando lezioni di greco e latino. I suoi primi racconti sono stati pubblicati su riviste come Il Corriere dei Piccoli, I diritti della scuola e Oggi, alcuni di essi pubblicati con lo pseudonimo di Antonio Carrera.
Da: Alibi -Longanesi, 1958- Da: Il mondo salvato dai ragazzini e altri poemi-Einaudi, 1968-
Da: Alibi -Longanesi, 1958-
ALIBI
Solo chi ama conosce. Povero chi non ama! Come a sguardi inconsacrati le ostie sante, comuni e spoglie sono per lui le mille vite. Solo a chi ama il Diverso accende i suoi splendori e gli si apre la casa dei due misteri: il mistero doloroso e il mistero gaudioso.
Io t’amo. Beato l’istante che mi sono innamorata di te.
Qual è il tuo nome? Simile al firmamento esso muta con l’ora. Sei tu Giulietta? o sei Teodora? ti chiami Artù? o Niso ti chiami? Il nome a te serve solo per giocare, come una bautta. Vorrei chiamarti: Fedele; ma non ti somiglia.
La tua grazia tramuta in un vanto lo scandalo che ti cinge. Tu sei l’ape e sei la rosa. Tu sei la sorte che fa i colori alle ali e i riccioli ai capelli. La tua riverenza è graziosa come l’arcobaleno.
Sono i tuoi giorni un prato lucente dove t’incontri con gli angeli fraterni: il santo, adulto Chirone, l’innocente Sileno, e i fanciulli dai piedi di capra, e le fanciulle-delfino dalle fredde armature. La sera, alla tua povera cameretta ritorni e miri il tuo destino tramato di figure, l’oscuro compagno dormiente dal corpo tatuato.
Tu eri il paggio favorito alla corte d’Oriente, tu eri l’astro gemello figlio di Leda, eri il più bel marinaio sulla nave fenicia, eri Alessandro il glorioso nella sua tenda regale. Tu eri l’incarcerato a cui si fan servi gli sbirri. Eri il compagno prode, la grazia del campo, su cui piange come una madre il nemico che gli chiude gli occhi. Tu eri la dogaressa che scioglie al sole i capelli purpurei, sull’alto terrazzo, fra duomi e stendardi. Eri la prima ballerina del lago dei cigni, eri Briseide, la schiava dal volto di rose. Tu eri la santa che cantava, nascosta nel coro, con una dolce voce di contralto. Eri la principessa cinese dal piede infantile: il Figlio del Cielo la vide, e s’innamorò.
Come un diamante è il tuo palazzo che in ogni stanza ha un tesoro e tutte le finestre accese. La tua dimora è un’arnia fatata: narcisi lontani ti mandano i loro mieli. Per le tue feste, da lontani evi giungono luci, come al firmamento. Ma tu in esilio vai, solo e scontento. Il mio ragazzo non ha casa né paese.
Elsa Morante
La bella trama, adorata dal mio cuore, a te è una gabbia amara. E in tua salvezza non verrà mai la sposa regina del labirinto. Per il sapore strano del bene e del male la tua bocca è troppo scontrosa. Tu sei la fiaba estrema. O fiore di giacinto cento corimbi d’un unico solitario fiore!
La folla aureovestita del tuo bel gioco di specchi a te è deserto e impostura. Ma dove vai? che mai cerchi? invano, gatta-fanciulla, il passaggio d’Edipo sul tuo cammino aspetti. O favolosa domanda, al tuo delirio non v’è risposta umana. Riposa un poco vicino a chi t’ama angelo mio.
Quando mi sei vicino, non più che un fanciullo m’appari. Le mie braccia rinchiuse bastano a farti nido e per dormire un lettuccio ti basta. Ma quando sei lontano, immane per me diventi. Il tuo corpo è grande come l’Asia, il tuo respiro è grande come le maree. Sperdi i miei neri futili giorni come l’uragano la sabbia nera. Corro gridando i tuoi diversi nomi lungo il sordo golfo della morte.
Riposa un poco vicino a chi t’ama.
Lascia ch’io ti riguardi. La mia stanza percorri spavaldo come un galante che passa in una strage di cuori. Allo specchio ti miri i lunghi cigli ridi come un fantino volato al traguardo. O figlio mio diletto, rosa notturna! Povero come il gatto dei vicoli napoletani come il mendico e il povero borsaiolo, e in eleganza sorpassi duchi e sovrani risplendi come gemma di miniera cambi diadema ogni sera ti vesti d’oro come gli autunni.
Elsa Morante
Passa la cacciatrice lunare coi suoi bianchi alani…
Dormi. La notte che all’infanzia ci riporta e come belva difende i suoi diletti dalle offese del giorno, distende su noi la sua tenda istoriata. I tuoi colori, o fanciullesco mattino, tu ripiegasti. Nella funerea dimora, anche di te mi scordo.
Il tuo cuore che batte è tutto il tempo. Tu sei la notte nera.
Il tuo corpo materno è il mio riposo.
(1955)
Elsa Morante
MINNA LA SIAMESE
Ho una bestiola, una gatta: il suo nome è Minna.
Ciò ch’io le metto nel piatto, essa mangia, e ciò che lemetto nella scodella, beve.
Sulle ginocchia mi viene, mi guarda, e poi dorme, tale che mi dimentico d’averla. Ma se poi, memore, a nome la chiamo, nel sonno un orecchio le trema: ombrato dal suo nome è il suo sonno.
Se penso a quanto di secoli e cose noi due livide, spaùro. Per me spaùro: ch’essa di ciò nulla sa. Ma se la vedo con un filo scherzare, se miro l’iridi sue celesti, l’allegria mi riprende.
I giorni di festa, che gli uomini tutti fan festa, di lei pietà mi viene, che non distingue i giorni. Perché celebri anch’essa, a pranzo le do un pesciolino; né la causa essa intende: pur beata lo mangia.
Il cielo, per armarla, unghie le ha dato, e denti: ma lei, tanto è gentile, sol per gioco li adopra. Pietà mi viene al pensiero che, se pur la uccidessi, processo io non ne avrei, né inferno, né prigione.
Tanto mi bacia, a volte, che d’esserle cara io m’illudo, ma so che un’altra padrona, o me, per lei fa uguale. Mi segue, sì da illudermi che tutto io sia per lei, ma so che la mia morte non potrebbe sfiorarla…
(1941)
Elsa Morante
AMULETO
Quando tu passi, e mi chiami, assente son io. Per lunghe ore ti aspetto, e tu, distratto, voli altrove. Ma tanto, il mezzano serafico del nostro amore, il sultano dello zenit che muove sul quadrante le sfere con le dita infingarde e sante, ha già segnato l’istante del nostro convegno. Molli si volgono i miei giorni a quella imperiosa stagione. Candida e glaciale essa risplende alta salendo, come fuoco. Ah, nostra incantevole stanza! Che importa a me, infido spirito, dei tuoi diversi pensieri? Il presagio inchina già la fronte all’annuncio. Sorte e amore ti congiungono a me.
(1945)
LETTERA
Tutto quel che t’appartiene, o che da te proviene, è ricco d’una grazia favolosa: perfino i tuoi amanti, perfino le mie lagrime. L’invidia mia riveste d’incanti straordinari i miei rivali: essi vanno per vie negate ai mortali, hanno cuore sapiente, cortesia d’angeli. E le lagrime che mi fai piangere sono il mio bel diadema, se l’amara mia stagione s’adorna del tuo sorriso.
Stupisco se ripenso che avevo tanti desideri e tanti voti da non sapere quale scegliere. Ormai, se cade una stella a mezzo agosto, se nel tramonto marino balena il raggio verde, se a cena ho una primizia nella stagione nuova, o m’inchino alla santa campana dell’Elevazione, non ho che un voto solo: il tuo nome, il tuo nome, o parola che m’apri la porta del paradiso.
Nel mio cuore vanesio, da che vi regni tu, le antiche leggi del mondo son tutte rovesciate: l’orgoglio si compiace d’umiliarsi a te, la vanità si nasconde davanti alla tua gloria, la voglia si tramuta in timido pudore, la mia sconfitta esulta della tua vittoria, la ricchezza è beata di farsi, per te, povera, e peccato e perdono, ansia e riposo, sbocciano in un fiore unico, una grande rosa doppia.
Ma la frase celeste, che la mia mente ascolta, io ridirti non so, non c’è nota o parola. Ti dirò: tu sei tutto il mio bene, ad ogni ora questa grazia di amarti m’è dolce compagnia. Potesse il mio affetto consolarti come mi consola, o tu che sei la sola confidenza mia!
Elsa Morante
(1946)
CANTO PER IL GATTO ALVARO
Tra le mie braccia è il tuo nido, o pigro, o focoso genio, o lucente, o mio futile! Mezzogiorni e tenebre son tue magioni, e ti trasformi di colomba in gufo, e dalle tombe voli alle regioni dei fumi. Quando ogni luce è spenta, accendi al nero le tue pupille, o doppiero del mio dormiveglia, e s’incrina la tregua solenne, ardono effimere mille torce, tigri infantili s’inseguono nei dolci deliri. Poi riposi le fatue lampade che saranno al mattino il vanto del mio davanzale, il fior gemello occhibello. E t’ero uguale! Uguale! Ricordi, tu, arrogante mestizia? Di foglie tetro e sfolgorante, un giardino abitammo insieme, tra il popolo barbaro del Paradiso. Fu per me l’esilio, ma la camera tua là rimane, e nella mia terrestre fugace passi giocante pellegrino. Perché mi concedi il tuo favore, o selvaggio? Mentre i tuoi pari, gli animali celesti gustan le folli indolenze, le antelucane feste di guerre e cacce senza cuori, perché tu qui con me? Perenne, tu, libero, ingenuo, e io tre cose ho in sorte: prigione peccato e morte. Tra lune e soli, tra lucenti spini, erbe e chimere saltano le immortali giovani fiere, i galanti fratelli dai bei nomi: Ricciuto, Atropo, Viola, Fior di Passione, Palomba, nel fastoso uragano del primo giorno… E tu? Per amor mio?
AVVENTURA
per Luchino Visconti
Hai tu un cuore? La leggenda vuole che tu non l’abbia. Al vedermi, che per te mi consumo d’amore, tutti mi dicono: «Ah, pazza, mangiata dalle streghe, rosa dalle fole, soldato d’imprese disperate, marinaio senza veli né remi, dove t’avventuri? in quali deserti di sabbia, dietro Morgane, e fuochi fatui, e larve canzonatrici tu vuoi spegnere la tua sete nella solitaria morte! Ah, chi ti gettò questa rete, povero pesciolino?» Così dice la gente; ma lasciamo che dica! A chi di te mi sparla, nemica io mi giurai. Per te, mio santo capriccio, volto divino, senz’armi e senza bussola sono partita. Non v’è riposo alla speranza mai. A difficili amori io nacqui. Come una rosa in un giardino d’Africa o d’Asia assai lontano, come una bandiera alzata in cima a una nave pirata, come uno scudo d’argento appeso in un barbaro tempio, difficile splende il tuo cuore il tuo frivolo, indolente cuore, l’eroico, femmineo tuo cuore. il tuo regale, intatto cuore, il cuore dell’amore mio. Io credo nel tuo cuore! Le caverne terrestri son tutte una gioielleria. Funerea primavera per le mie feste vanesie, l’ametista viola e l’agata lunare e i diamanti simili a rose cangianti e il topazio vetrino, il topazio d’oro. Hanno i cristalli aloni e code di fuoco, mille comete e lune per la mia notte. M’offron conchiglie i golfi, e giochi oceanici, e il cielo boreale riposi e meditazioni. Dolcezze ha l’aranceto, come salive d’amore, e l’Asia graziose belve, mie tenere schiave. Le Maestà dei re conversazioni m’accordano, e al mio comando s’accendono circhi e teatri. Ma alla conquista io partii d’un frutto aspro. Il tuo cuore: altro frutto non voglio mordere. Non voglio i doni terrestri, al mio potere mi nego. Il solo mio volere è questa impresa! Alla conquista d’un frutto amaro andai. Le cose amare sono le più care. Segreta, lo so, è la stanza del prezioso cuore ch’io cerco. Lungo e incerto il viaggio fino al nido di questa civetta-fenice. Inesperta son io, compagno né guida non ho, ma giungerò alla camera felice del mio bell’idolo. Addio, dunque, parenti, amici, addio! Prima bisogna guadare il lago stagnante della paura, e i Grandi Orgogli oltrepassare, fastosa catena di rupi. Snidare bisogna l’invidia che s’imbosca e i mostri di gelosia mettere in fuga, (ah, San Michele e San Giorgio, datemi il vostro scudo!) per notti occhiute, selve purpuree, dove incontrare potrò centauri e ippogrifi, e bere il magico sangue dei narcisi. Si levan poi le triplici mura di Sodoma intorno a campo straniero dalle sette torri merlate. Incantare dovrò i guardiani, riscattare le spose comprate, e a lungo errerò per corti e fughe di scale, fra un popolo d’echi e d’inganni fino alla cara porta, che reca la scritta crudele: Indietro, o pellegrina. Non riceve. Ah, fossi alato usignolo, foss’io centaura, ah, sirena foss’io, foss’io Medoro o Niso, che forse a te più amico sarebbe il nome mio, grazioso cuore! Invece, Lisa è il mio nome, nacque nell’ora amara del meriggio, nel segno del Leone, un giorno di festa cristiana. Fui semplice ragazza, madrina a me fu una gatta, e alla conquista partii d’un dolce cuore. Or che mi presentai, siimi cortese, o amore. Di che temi, o selvatico? d’esser preso al laccio? Ah, no, dell’amara pampa la figlia io non sono. D’esser trafitto? Io non ho coltello, né pungiglione. Né son io sbirra, per gettarti in carcere, né fata, per averti compagno notte e giorno, mutato in corvo, dentro gabbietta d’oro. Ah, dall’impresa non giudicarmi eroe! Leggera è la mia mente più del fuoco, più che un riccio dei tuoi fulvi capelli. Per la mia pena, per il tuo vinto amore, con te soltanto un poco giocare io voglio come una foglia scherza con l’ombra e il sole, o una ragazza col suo gatto rosso. E poi ti dirò addio. Tu dirai: Lisa! supplicherai: Lisa! Ah, Lisa! Lisa! chiamerai. Ma io ti dirò addio.
Elsa Morante
Da: Il mondo salvato dai ragazzini e altri poemi (Einaudi, 1968)
ADDIO
Dal luogo illune del tuo silenzio mi riscuote ogni giorno l’urlo del mattino. O notte celeste senza resurrezione perdonami se torno ancora a queste voci. Io premo l’orecchio sulla terra a un’eco assurda dei battiti sepolti. Dietro la belva in fuga irraggiungibile mi butto sulla traccia del sangue. Voglio salvarti dalla strage che ti ruba e riportarti nel tuo lettuccio a dormire. Ma tu vergognoso delle tue ferite mascheri i cammini della tua tana. Io fingo e rido in un ballo disperato per distrarti dall’orrenda mestizia ma i tuoi occhi scolorati di sotto le palpebre non ammiccano più ai miei trucchi d’amore. Alla ricerca dei tuoi colori del tuo sorriso io corro le città lungo una pista confusa. Ogni ragazzo che passa è una morgana. Io credo di riconoscerti, per un momento. E mendicando rincorro lo sventolio di un ciufietto o una maglietta rossa che scantona… Ma tu rintanato nel tuo freddo nascondiglio disprezzi la mia commedia miserabile. Buffone inutile io deliro per le vie dove ogni fiato vivente ti rinnega. Poi, la sera, rovescio sulla soglia deserta un carniere di piume insanguinate. E chiedo una tenerezza al buio della stanza, almeno una decadenza della memoria, la senilità, l’equivoco del tempo volgare che medica ogni dolore… Ma la tua morte cresce ogni giorno. E in questa piena che monta io vado e mi riavvento in corsa dirotta, per un segno, un punto nella tua direzione. O nido irraggiungibile e caro, non c’è passo terrestre che mi porti a te. Forse fuori dai giorni e dai luoghi? La tua morte è una voce di sirena. Forse attraverso una perdizione? o vna grazia? o in quale veleno? in quale droga? forse nella ragione? forse nel sonno? La tua morte è una voce di sirena. Voglia di un sonno che pare una tua dolcezza ma è stata già l’impostura dove ti ho perso! La tua morte è una voce di sirena che vorebbe sviarmi da te nelle sue fosse. Forse, io devo accettare tutte le norme del campo: ogni degradazione, ogni pazienza. Non posso scavalcare questa rete spinata mentre al tuo grido innocente non c’è risposta. La tua morte è una luce accecante nella notte, è una risata oscena nel cielo del mattino. Io sono condannata al tempo e ai luoghi finché lo scandalo si consumi su di me. Io devo, qui, trescare e patteggiare con la belva per rubarle il segreto del mio tesoro. O pudore d’una infanzia uccisa, perdonami questa indecenza di sopravvivere. Tu sei partito credendo di giocare alla fuga. Era per fare il bravo, la tua smorfia d’addio. Al solito! Che poi ti bandisci nella tua stanzuccia minaccioso dietro le porte sbarrate come un gran capitano nel suo forte supremo. Guai per l’audace che si arrischi all’assedio! Ma ti conosco. Che invece se nessuno si arrischia ti strazi, e piangi nella tua rabbia infantile perché non c’è amore al mondo e ti lasciano solo. Ma stavolta, la tua porta fu sbattuta dagli uragani. Le piogge entrarono nel vano abbandonato e una fanghiglia come sangue ha imbrattato i muri. Quando eri vivo, la tua stanza era la stella del quartiere, ricercata da tutti. E adesso tutti ne rifuggono, come fosse appestata. Il mio piede incíampa nella tua camiciola che nessuno ha più raccolto da terra. Sul terrazzo devastato dagli inverni, le piante sono morte. Perfino i ladri hanno schifato questo tuo feudo estremo dove infatti c’era poco di valore, da rubare! Ritagliàti dalle riviste, i ritratti dei tuoi eroi adornano ancora le pareti: Gautarna il Sublime, il barbuto Fidel, Billie Holiday la suicida. In un angolo, c’è ancora la scodella della tua gatta. Una cravattina rossa pende nell’armadio. Alla partenza, ti caricasti dei tuoi beni principali: il canestro con la gatta e il fonografo a valigia. «Il resto dei bagagli, speditelo per via mare». Trecento volte quella nave ha ripercorso quel mare e i tuoi tesori sono dispersi, e io sono qui, vivente. Anche se vivo tremila anni, e se corro tutti i mari, non posso più raggiungerti per riportarti indietro. Lo so che tu credevi di giocare all’addio. Era una braveria, la tua smorfia… Ma contro una scommessa impaziente di ragazzo è un’altra lunga agonia la posta che qui si chiede. La ladra delle notti è una cammella cieca e folle che gira per Sahara incantati, fuori d’ogni pista. L’itinerario è lunatico, non c’è destinazione. Le sabbie disfanno le tracce dei suoi furti. Le sue pupille bianche fanno crescere miraggi dai corpi lacerati che lei semina per le sabbie. E i miraggi si spostano a distanze moltiplicate irraggiungibili nei loro campi solitari. Amputati dai corpi, si disperdono separati senza rimedio, eterne mutilazioni. Nessun miraggio può incontrare un altro miraggio. Non ci sono che solitudini, dopo il furto dei corpi.
…
Elsa Morante
A P. P. P.
In nessun posto
E così, tu – come si dice – hai tagliato la corda. In realtà, tu eri – come si dice – un disadattato e alla fine te ne sei persuaso anche se da sempre lo eri stato: Un disadattato. I vecchi ti compativano dietro le spalle pure se ti chiedevano la firma per i loro proclami e i “giovani” ti sputavano in faccia perché fascisti come i loro baffi: (già, tu glielo avevi detto, però avevi sbagliato in un punto: questi sono più fascisti dei loro baffi) ti sputavano in faccia, ma ovviamente anche loro ti chiedevano la propaganda per i loro volantini e i soldi per le loro squadrette.
E tu non ti negavi, sempre ti davi e ti davi E loro pigliavano e poi: “lui dà” – bisbigliavano nei loro pettegolezzi – “per amore di se stesso”. Viva, viva chi ama se stesso e gli altri ama come se stesso. Loro odiano gli altri come se stessi e in tale giustizia magari si credono di fondare una rivoluzione. Loro ti rinfacciavano la tua diversità dicendo con questo: l’omosessualità. Difatti, loro usano il corpo delle femmine come gli pare. Liberi di usarlo come gli pare. Il corpo delle femmine è carne d’uso ma il corpo dei maschi esige rispetto. E come no!
Questa è la loro morale. Se una femminella di strada avesse assassinato uno dei loro non la giustificherebbero perché immatura. Ma in verità in verità in verità quello per cui tu stesso ti credevi un diverso non era la tua vera diversità. La tua vera diversità era la poesia.
È quella l’ultima ragione del loro odio perché i poeti sono il sale della terra e loro vogliono la terra insipida. In realtà, LORO sono contro-natura. E tu sei natura: Poesia cioè natura. E così, tu adesso hai tagliato la corda. Non ti curi più dei giornali– [la] preghiera del mattino – con le crisi di governo e i cali della lira, e decretoni e decretini e leggi e leggione. Io spero che un’ultima sola grazia terrena ti resti ancora – per poco – ossia ridere e sorridere. Che tu di là dove sei– ma per poco ancora – di là, dal Nessun Posto dove ti trovi ora di passaggio – che tu sorrida e rida dei loro profitti e speculazioni e rendite accumulate e fughe dei capitali e tasse evase e delle loro carriere ecc. Che tu possa riderne e sorriderne per un attimo prima di tornartene al Paradiso.
Tu eri un povero E andavi sull’Alfa come ci vanno i poveri per farne sfoggio tra i tuoi compaesani: i poveri, nei tuoi begli abitucci da provinciale ultima moda come i bambini che ostentano di essere più ricchi degli altri per bisogno d’amore degli altri. Tu in realtà questo bramavi: di essere uguale agli altri, e invece non lo eri. DIVERSO, ma perché?
Perché eri un poeta. E questo loro non ti perdonano: d’essere un poeta. Ma tu ridi[ne]. Lasciagli i loro giornali e mezzi di massa e vattene con le tue poesie solitarie al Paradiso. Offri il tuo libro di poesie al guardiano del Paradiso e vedi come s’apre davanti a te la porta d’oro Pier Paolo, amico mio.
(1976)
Breve Biografia di ELSA MORANTE
Elsa Morante
ELSA MORANTE – nata a Roma il 18 agosto del 1912 – morì a Roma il 25 novembre 1985– la maggiore di quattro figli, figlia di Francesco Lo Monaco e Irma Poggibonsi. Elsa è cresciuta credendo che il secondo marito di sua madre, Augusto Morante, fosse suo padre. Nel 1922 a famiglia si trasferì a Monteverde Nuovo dove Elsa Morante fin da giovanissima iniziò a scrivere racconti e poesie. Dopo aver completato gli studi, lasciò la famiglia, mantenendosi dando lezioni di greco e latino. I suoi primi racconti sono stati pubblicati su riviste come Il Corriere dei Piccoli, I diritti della scuola e Oggi, alcuni di essi pubblicati con lo pseudonimo di Antonio Carrera.Grazie al pittore Capogrossi, nel 1936 conosce Alberto Moravia il grande scrittore romano, autore tra gli altri de Gli indifferenti e La noia. Il matrimonio della Morante con Alberto Moravia, oppositore del governo fascista di Mussolini, la mise in contatto con i maggiori scrittori e intellettuali italiani dell’epoca, tra cui Umberto Saba e Pier Paolo Pasolini. Le sue raccolte di poesia sono Alibi (Longanesi 1958, Garzanti 1988, Einaudi 2004) e Il mondo salvato dai ragazzini e altri poemi (Einaudi, 1968, 2006, 2012). I suoi romanzi: Menzogna e sortilegio (1948), L’isola di Arturo (1957), La storia (1974), Aracoeli (1982). Numerosi i racconti e gli scritti vari, saggi e interventi. È uno dei maggiori narratori italiani. Menzogna e sortilegio viene pubblicato nel 1948 vincendo il premio Viareggio, con L’Isola di Arturo Elsa Morante divenne la prima donna a vincere il Premio Strega.
Lorenzo Braccesi – Arrivano i barbari. Le guerre persiane tra poesia e memoria
Lorenzo Braccesi .Arrivano i barbari-Le guerre persiane tra poesia e memoria
Descrizione del libro di Lorenzo Braccesi “Nella memoria collettiva degli antichi e nella memoria riflessa dei moderni le guerre persiane più ancora che sulla vittoria ateniese di Maratona si concentrano soprattutto sui grandi conflitti panellenici combattuti, nel 480 a.C., alle Termopili e a Salamina, cioè sugli eventi della seconda guerra persiana, che hanno per corollario gli scontri di Platea e di Micale nellanno successivo. Ed è per questa ragione considerata anche la documentazione in nostro possesso che in questo libro ci concentreremo sulla narrazione e sulla celebrazione, in esaltanti scritture poetiche, delle epiche gesta della confederazione ellenica contro la soverchiante armata di terra e di mare approntata dal Gran Re Serse per asservire le comunità greche che gli si opponevano.
Le testimonianze letterarie che ci accompagneranno nellindagine rimandano a testi poetici noti e meno noti, dagli epitaffi di Simonide o a Simonide attribuiti ai Persiani di Eschilo, dallomonimo dramma di Timoteo all’Alessandra di Licofrone. Scritture epiche o liriche cui altre vanno aggiunte non meno suggestive per carica emotiva, seppure pervenuteci in forma anonima, come le profezie di marca delfica e le commemorazioni su pietra. Le gesta ivi ricordate, o pubblicamente celebrate per edificazione della posterità, hanno per protagonisti gli Spartani alle Termopili e gli Ateniesi a Salamina, mentre scarse sono le testimonianze relative ad altre genti che pure combatterono al loro fianco.
Il principale problema che, in corso dopera, si è presentato allautore è quello delle traduzioni da proporre al lettore. Quelle a sua disposizione erano fin troppo dissimili tra loro per stilemi di scrittura, per epoca di composizione e per adozione di rese espressive. Ciò che lautore voleva, non lha trovato, giacché cercava traduzioni con un qualche andamento ritmico che le distinguesse dalla prosa, e tra loro non troppo disomogenee. E così è ricorso a una propria rivisitazione dei luoghi poetici analizzati nel libro, alternando nella fatica due tra i più discorsivi versi della metrica italiana: lendecasillabo e il settenario.
I testi presi in considerazione hanno rivelato la perenne vitalità di alcuni temi celebrativi o le insospettate, seppure talora inconsapevoli, radici classiche di alcune note canzoni patriottiche che tutti abbiamo nellorecchio. Ragione che ha spinto non solo ad approfondire la ricerca, ma addirittura a dedicargli la seconda parte del libro, dove si spiega al lettore come il tema risorgimentale della vittoria dei vinti risalga alla celebrazione delle Termopili, come sempre alla memoria delle Termopili si ispiri la celebrazione risorgimentale dei trecento immolatisi a Sapri o dei partigiani ricordati nelle parole di uno sventurato cantautore ligure, come linno garibaldino si scopron le tombe abbia un precedente in un epigramma greco, come la costruzione simbolica della idra straniera riconduca allarmata di Serse, come, infine, la triplice associazione del fiore della morte e della libertà, che rivive nella più celebre canzone della Resistenza, abbia essa pure una radice antica. A lato del paradigma terrestre dei caduti alle Termopili cè quello della vittoria marinara di Salamina, il quale con la modernità ha certamente minori connessioni di carattere popolare, ma, al pari della memoria della battaglia di Micale, più intense strumentalizzazioni di connotazione propagandistica, come ad esempio la sovrapposizione di immagine tra Temistocle e Nelson, o lequiparazione tra Persiani e Turchi, entrambi nemici e antagonisti della civiltà dellOccidente, o la spericolata politicizzazione di giovinezza, giovinezza alle origini un semplice e innocuo canto goliardico.
Queste, talora inaspettate, proiezioni dellantico, ospitate nella seconda parte del libro, hanno per riferimento la poesia e più spesso la versificazione italiana, che, per operare una scelta, abbiamo limitato a campioni selezionati nellambito della produzione letteraria dellOttocento, non escludendo presentandosi il caso qualche incursione nel secolo successivo. Non cè però scelta che non conosca eccezioni. Le nostre si limitano alla pagina di tre poeti stranieri: Hölderlin, Kavafis e Pound. I primi perché i loro componimenti su Salamina e sulle Termopili sono imprescindibili per lintelligenza di due temi guida di questa ricerca, e nel caso di Hölderlin perché, negli autori successivi, la sua scrittura poetica è fonte di ispirazione e di imitazione talora confusa con la stessa parola dellantico. Il terzo, Pound, giacché un suo solo singolo verso, seppure suggerito da unideologia distorta, sintetizza in forma mirabile lintera problematica alla base delle nostre pagine.
Ovviamente ogni selezione di materiale ha i suoi limiti, o poteva essere in altre direzioni orientata, ma questo è il condizionamento strutturale di qualsiasi scelta. Chi scrive ne avverte tutto il peso.”
Lorenzo Braccesi è stato professore ordinario di Storia greca nelle Università di Torino, Venezia e Padova.
Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI” -copia anastatica della Rivista PAN n°3 -1934
Il Pittore Arturo TOSI
Arturo Tosi (Busto Arsizio, 25 luglio 1871 – Milano, gennaio 1956). Studia alla Scuola Libera di Nudo a Brera e poi, per due anni, con Adolfo Ferraguti-Visconti, formandosi nel clima della Scapigliatura sulle opere di Ottavio Ranzoni e Tranquillo Cremona. Nel 1891 esordisce alla Permanente di Milano. Nel 1909 partecipa, per la prima volta, alla Biennale di Venezia nella quale sarà presente fino al 1954; nel 1911, espone a Monaco di Baviera ed è presente all’Esposizione Internazionale di Roma. La conoscenza dell’opera di Cézanne, del 1920, lo indirizza verso la pittura del paesaggio en plein air. Nel 1924 partecipa a Bruxelles alla mostra L’Art ltalien au Cercle Artistique, nel 1925 è tra i fondatori della corrente artistica “Novecento”, partecipando alle mostre della Permanente a Milano nel 1926 e nel 1929. Nel 1926 espone a Brighton, nel 1927 a Zurigo, Lipsia, Amsterdam e Ginevra, nel 1929 a Berlino e a Parigi, nel 1930 a Basilea, Buenos Aires e Berna, nel 1931 a Stoccolma, Baltimora e Monaco, nel 1933 a Stoccarda, Kassel, Colonia, Berlino, Dresda e Vienna. Dal 1928, alla Permanente di Milano, è membro del comitato d’onore. Nel 1931 ottiene il premio della fondazione Crespi alla I Quadriennale di Roma e, a Parigi, il Grand Prix della pittura dove torna nel 1937, per partecipare all’Esposizione mondiale. Nel 1951 il Comune di Milano gli dedica una mostra antologica premiandolo con una medaglia d’oro. Alla sua morte, la Biennale di Venezia gli dedica una mostra commemorativa, esponendo sessanta opere.
Arturo TOSI, Pittore-Rivista PAN -1934Arturo TOSI, Pittore-Rivista PAN -1934 Articolo di Ugo OJETTI- Arturo TOSI Pittore-
Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI”
Biografia di
Ugo Ojetti
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Ugo Ojetti,Figlio della spoletina Veronica Carosi e del noto architetto Raffaello Ojetti, personalità di vastissima cultura, consegue la laurea in giurisprudenza e, insieme, esordisce come poeta (Paesaggi, 1892). È attratto dalla carriera diplomatica, ma si realizza professionalmente nel giornalismo politico. Nel 1894 stringe rapporti con il quotidiano nazionalista La Tribuna, per il quale scrive i suoi primi servizi da inviato estero, dall’Egitto.
Nel 1895 diventa immediatamente famoso con il suo primo libro, Alla scoperta dei letterati, serie di ritratti di scrittori celebri dell’epoca[1] redatti in forma di interviste, genere all’epoca ancora in stato embrionale. Scritto con uno stile che si pone fra la critica ed il reportage, il testo viene considerato, e come tale fa discutere, un momento di analisi profonda del movimento letterario dell’epoca. L’anno seguente Ojetti tiene a Venezia la conferenza “L’avvenire della letteratura in Italia”, che suscita un vasto numero di commenti in tutto il Paese.
I suoi articoli diventano molto richiesti: scrive per Il Marzocco (1896-1899), Il Giornale di Roma, Fanfulla della domenica e La Stampa. La critica d’arte occupa la maggior parte della sua produzione. Nel 1898 inizia la collaborazione con il Corriere della Sera, che si protrae fino alla morte.[2]
Tra il 1901 e il 1902 è inviato a Parigi per il Giornale d’Italia; dal 1904 al 1909 collabora a L’Illustrazione Italiana: tiene una rubrica intitolata “Accanto alla vita”, che poi rinomina “I capricci del conte Ottavio” (“conte Ottavio” è lo pseudonimo con cui firma i suoi pezzi sul settimanale). Nel 1905 si sposa con Fernanda Gobba e prende domicilio a Firenze; dal matrimonio tre anni dopo nasce la figlia Paola. Dal 1914 abiterà stabilmente nella vicina Fiesole. Invece trova nella villa paterna di Santa Marinella (Roma), soprannominata “Il Dado”, il luogo ideale in cui riposarsi, trascorrere le sue vacanze e scrivere le sue opere.
Partecipa come volontario alla prima guerra mondiale. All’inizio della guerra riceve l’incarico specifico di proteggere dai bombardamenti aerei le opere d’arte di Venezia. Nel marzo 1918 fu nominato “Regio Commissario per la propaganda sul nemico”. Fu incaricato di scrivere il testo del volantino, stampato in 350 000 copie in italiano e in tedesco, che fu lanciato il 9 agosto, dai cieli di Vienna dalla squadriglia comandata da Gabriele D’Annunzio.[3]
Nel 1920 fonda la sua rivista d’arte, Dedalo (Milano, 1920-1933), dove si occupa di storia dell’arte antica e moderna. Dall’impostazione della rivista dimostra una sensibilità e un modo di accostarsi all’arte e di divulgarla diversi dai canoni del tempo. La rivista diventa subito occasione d’incontro tra critici, intellettuali, artisti come Bernard Berenson, Matteo Marangoni, Piero Jahier, Antonio Maraini, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Pietro Toesca, Lionello Venturi e Roberto Longhi. L’idea di base della rivista è che l’opera d’arte abbia valore di testimonianza visibile della storia e delle civiltà più di ogni altra fonte. Nel 1921 avvia una rubrica sul Corriere utilizzando lo pseudonimo “Tantalo”. Tiene la rubrica ininterrottamente fino al 1939.
Sul finire del decennio inaugura una nuova rivista, Pegaso (Firenze, 1929-1933). Infine, lancia la rivista letteraria Pan, fondata sulle ceneri della precedente esperienza fiorentina. Tra il 1925 e il 1926 collabora anche a La Fiera Letteraria. Tra il 1926 ed il 1927 è direttore del Corriere della Sera.
È tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925 ed è nominato Accademico d’Italia nel 1930. Fa parte fino al 1933 del consiglio d’amministrazione dell’Enciclopedia Italiana. Ojetti organizza numerose mostre d’arte e dà vita ad importanti iniziative editoriali, come Le più belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi per l’editrice Treves e I Classici italiani per la Rizzoli. Sul significato dell’architettura nelle arti ebbe a dire:
«l’architettura è nata per essere fondamento, guida, giustificazione e controllo, ideale e pratico, d’ogni altra arte figurativa»
La finestra di Ojetti a villa Il Salviatino con una targa che lo ricorda
Collaborò anche con il cinema: nel 1939 firmò l’adattamento per la prima edizione sonora de I promessi sposi, che costituì la base della sceneggiatura per il film del 1941 di Mario Camerini.
Aderì alla Repubblica Sociale Italiana[4]; dopo la liberazione di Roma, nel 1944, fu radiato dall’Ordine dei giornalisti. Passò gli ultimi anni nella sua villa Il Salviatino, a Fiesole, dove morì nel 1946.
Antonio Gramsci scrisse che « la codardia intellettuale dell’uomo supera ogni misura normale ». Indro Montanelli lo ricordò sul: « È un dimenticato, Ojetti, come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: Barzini, per il grande reportage; Mussolini (non trasalire!), quello dell’Avanti! e del primo Popolo d’Italia, per l’editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l’articolo di arte e di cultura ».
Opere
Letteratura
Paesaggi (1892)
Alla scoperta dei letterati: colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga (Milano, 1895); ristampa xerografica, a cura di Pietro Pancrazi, Firenze, Le Monnier, 1967.
Scrittori che si confessano (1926),
Ad Atene per Ugo Foscolo. Discorso pronunciato ad Atene per il centenario della morte, Milano, Fratelli Treves Editori, 1928.
Profondo conoscitore ed appassionato studioso d’arte, Ugo Ojetti ha pubblicato sull’argomento diversi importanti libri:
L’esposizione di Milano (1906),
Ritratti d’artisti italiani (in due volumi, 1911 e 1923),
Il martirio dei monumenti, 1918
I nani tra le colonne, Milano, Fratelli Treves Editori, 1920
Raffaello e altre leggi (1921),
La pittura italiana del Seicento e del Settecento (1924),
Il ritratto italiano dal 1500 al 1800 (1927),
Tintoretto, Canova, Fattori (1928),
Atlante di storia dell’arte italiana, con Luigi Dami (due volumi, 1925 e 1934),
Paolo Veronese, Milano, Fratelli Treves Editori, 1928,
La pittura italiana dell’Ottocento (1929),
Bello e brutto, Milano, Treves, 1930
Ottocento, Novecento e via dicendo (Mondadori, 1936),
Più vivi dei vivi (Mondadori, 1938).
In Italia, l’arte ha da essere italiana?, Milano, Mondadori, 1942.
Romanzi
L’onesta viltà (Roma, 1897),
Il vecchio, Milano, 1898
Il gioco dell’amore, Milano, 1899
Le vie del peccato (Baldini e Castoldi, Milano, 1902),
Il cavallo di Troia, 1904
Mimì e la gloria (Treves, 1908),
Mio figlio ferroviere (Treves, 1922).
Racconti
Senza Dio, 1894
Mimì e la gloria, 1908
Donne, uomini e burattini, Milano, Treves, 1912
L’amore e suo figlio, Milano, Treves, 1913
Teatro
Un Garofano (1902)
U. Ojetti-Renato Simoni, Il matrimonio di Casanova: commedia in quattro atti (1910)
Reportages
L’America vittoriosa (Treves, 1899),
L’Albania (Treves, 1902); nuova edizione, con cartina originale “La Grande Albania”, in Ugo Ojetti, Olimpia Gargano (a cura di), L’Albania, Milano, Ledizioni, 2017.
L’America e l’avvenire (1905).
Raccolte di articoli
Articoli scritti fra il 1904 e il 1908 per L’Illustrazione Italiana: I capricci del conte Ottavio (due voll., usciti rispettivamente nel 1908 e nel 1910)
Articoli per il Corriere della Sera: Cose viste (7 voll.: I. 1921-1927; II. 1928-1943). L’opera è stata anche tradotta in lingua inglese.
Memorie e taccuini
Confidenze di pazzi e savi sui tempi che corrono, Milano, Treves, 1921.
Vita vissuta, a cura di Arturo Stanghellini, Milano, Mondadori, 1942.
I Taccuini 1914-1943, a cura di Fernanda e Paola Ojetti, Firenze, Sansoni, 1954. [edizione censurata, con molti passi espunti]
Ricordi di un ragazzo romano. Note di un viaggio fra la vita e la morte, Milano, 1958.
I taccuini (1914-1943), a cura di Luigi Mascheroni, prefazione di Bruno Pischedda, Torino, Aragno, 2019, ISBN 978-88-841-9989-8.
Aforismi
Ojetti è celebre anche per i suoi aforismi, massime e pensieri, molti dei quali sono raccolti nei 352 paragrafi di Sessanta, volumetto scritto dall’autore nel 1931 per i suoi sessant’anni e pubblicato nel 1937 da Mondadori.
Lettere
Venti lettere, Milano, Treves, 1931.
Lettere alla moglie (1915-1919), a cura di Fernanda Ojetti, Firenze, Sansoni, 1964.
Intitolazioni
Presso il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi si è tenuta una mostra dedicata alle fotografia scattate per la rivista e che costituiscono il Fondo Ojetti.[7]
Lorenzo Benadusi, Il «Corriere della Sera» di Luigi Albertini, Roma, Aracne, 2012. Pag. 180.
Vittorio Martinelli, La guerra di d’Annunzio. Da porta e dandy a eroe di guerra e “comandante”, Gasparri, Udine, 2001, p. 98 e 265.
Renzo De Felice, Mussolini l’alleato, vol. II “La guerra civile (1943-1945)”, Einaudi, Torino, 1997, p. 112n
A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, p. 158.
Indro Montanelli, Il vero Ojetti da prendere a modello, Il Corriere della Sera del 13 novembre 2000
M. Tamassia (a cura di), Spigolature dal fondo Ojetti. Immagini dalla rivista “Dedalo”, Livorno, Sillabe, 2008.
Bibliografia
Ugo Ojetti, Una settimana in Abruzzo nell’anno 1907, a cura di Antonio Carrannante, Cerchio, Polla, 1999
Bruno Pischedda (a cura di), La critica letteraria e il «Corriere della Sera», Fondazione Corriere della Sera, 2011, Vol. I,
Laura Cerasi, Ugo Ojetti, « Dizionario Biografico degli Italiani », vol. 79, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2013
Angelo Gatti, “Caporetto”, Il Mulino, Bologna 1964.
Breve biografia dell’Artista TOSI Arturo
Arturo Tosi (Busto Arsizio, 25 luglio 1871 – Milano, gennaio 1956). Studia alla Scuola Libera di Nudo a Brera e poi, per due anni, con Adolfo Ferraguti-Visconti, formandosi nel clima della Scapigliatura sulle opere di Ottavio Ranzoni e Tranquillo Cremona. Nel 1891 esordisce alla Permanente di Milano. Nel 1909 partecipa, per la prima volta, alla Biennale di Venezia nella quale sarà presente fino al 1954; nel 1911, espone a Monaco di Baviera ed è presente all’Esposizione Internazionale di Roma. La conoscenza dell’opera di Cézanne, del 1920, lo indirizza verso la pittura del paesaggio en plein air. Nel 1924 partecipa a Bruxelles alla mostra L’Art ltalien au Cercle Artistique, nel 1925 è tra i fondatori della corrente artistica “Novecento”, partecipando alle mostre della Permanente a Milano nel 1926 e nel 1929. Nel 1926 espone a Brighton, nel 1927 a Zurigo, Lipsia, Amsterdam e Ginevra, nel 1929 a Berlino e a Parigi, nel 1930 a Basilea, Buenos Aires e Berna, nel 1931 a Stoccolma, Baltimora e Monaco, nel 1933 a Stoccarda, Kassel, Colonia, Berlino, Dresda e Vienna. Dal 1928, alla Permanente di Milano, è membro del comitato d’onore. Nel 1931 ottiene il premio della fondazione Crespi alla I Quadriennale di Roma e, a Parigi, il Grand Prix della pittura dove torna nel 1937, per partecipare all’Esposizione mondiale. Nel 1951 il Comune di Milano gli dedica una mostra antologica premiandolo con una medaglia d’oro. Alla sua morte, la Biennale di Venezia gli dedica una mostra commemorativa, esponendo sessanta opere.
Biblioteca DEA SABINA- Arturo TOSI, Pittore-Rivista PAN n°3 -1934
Corrado Govoni esordì giovanissimo, già nel 1903, pubblicando a sue spese due raccolte di versi intitolati Le fiale e Armonie in grigio et in silenzio, presso la casa editrice Lumachi di Firenze, nelle quali prevalgono i toni crepuscolari. Dopo la pubblicazione de Le fiale, si dedicò soprattutto all’attività di scrittore collaborando alle riviste Poesia, Lacerba, e Riviera Ligure diretta da Mario Novaro.
Punta secca-
Sei magra e lunga
eppure hai tanta forza plastica
nel corpo gentile
che se abbandoni i gomiti sul pozzo
o contro il muro
del cortile
il bel corpo rovescio
serrati gli occhi
strette le labbra sciolti i ginocchi
con quell’uncino di riccio
nel mezzo della fronte e ad un capriccio
improvviso ti distacchi
t’impenni e via saetti come da fionda
su quegli alti tuoi tacchi
di stella che nel sole
quasi non ti si vede
più tanto sei bionda;
si può giurar per certo
che tu con quel tuo premer duro
un incavo hai aperto
nel docile marmo e nel muro.
Attacchi d’ali strappate
ti palpitan le reni;
così sottile e senza seni
li hai tutti nei ginocchi.
Ma l’orchidea tu l’hai negli occhi.
Paesi-
Esplodon le simpatiche campane
d’un bianco campanile, sopra tetti
grigi: donne, con rossi fazzoletti,
cavano da un rotondo forno il pane.
Ammazzano un maiale nella neve,
tra un gruppo di bambini affascinati
dal sangue, che, con gli occhi spalancati,
aspetta la crudele agonia breve .
Gettano i galli vittoriosi squilli.
I buoi escono dai fienili neri;
si spargono su l’argine tranquilli,
scendono a bere, gravi, acqua d’argento.
Nei campi, rosei, bianchi, i cimiteri
sperano in mezzo al verde del frumento.
– Ne la corte – Tre stracci ad asciugare-
– Ne la corte – Tre stracci ad asciugare
sul muricciuolo accanto il rosmarino.
Una scala seduta. Un alveare
vedovo, su cui giuoca il mio micino.
Un orciuolo che ha sede sul pozzale
di marmo scanalato da le funi.
Dei cocci gialli. un vaso vuoto. Un fiale
che ha vomitato. Dei fogliami bruni.
– Su le finestre – Un pettine sdentato
con due capelli come dei pistilli.
Un astuccio per cipria. Uno sventrato
guancialino di seta per gli spilli.
Una scatola di belletto. Un guanto
mencio. Un grande garofano appassito.
Una cicca. Una pagina in un canto
piegata, da chissà mai quale dito!
– Per l’aria – La docile campana
d’un convento di suore di clausura.
Una lunga monotonia di zana.
Un gallo. Una leggera incrinatura
di vento. Due rosse ventarole
cifrate. Delle nubi bianche. Un treno.
Un odore acutissimo di viole.
Un odore acutissimo di fieno.
Contro corrente come bionde trote -
Contro corrente come bionde trote
fendevano la calca cittadina
due fanciulle insolenti di bellezza.
Curiosando strusciarono i musini
di maliziosa cipria qua a un acquario
di lusso di dormenti onde ravvolte
di stoffe per murene ed aragoste,
più in là a un brillante altar di calzature,
spume di cardi rossi per pianelle
di Cenerentola, lustrini e argenti
per taccuini da ballo. Scantonarono
a un tratto e una si chinò nascosta
dall’inquieta compagna ad allacciarsi
la giarrettiera a mezza coscia ignuda.
Le succhiò la corrente cittadina.
Vedo sempre la strada illuminata
da quel fulgore di carne di donna
nel marmo della pioggia settembrina.
Siepe-
All’odore crudele
che viene dalle spine della siepe
il tuo sangue amareggia l’amore,
e ti diventan gli occhi
una luce cattiva pigiata.
Sulla tua statua che cammina
aprendo una nuova strada nel vento
invano battono le mie parole
come gocce di rugiada da me scossa.
Prego l’erba dell’argine ti venga incontro
con la lampada avvelenata del gigaro
per far soffrire la tua bocca rossa.
“Bisognerà rendere giustizia al vecchio Govoni…Govoni c’incantava con la sua mercanzia venduta a buon prezzo e in una baracca suburbana. Il bambino e il vecchio trovavano sempre qualcosa che nessun altro aveva mai portato e che avevano desiderato per un anno intero. Verrà, pensavano, il signor Govoni con la sua bancarella”. (Leonardo Sinisgalli, L’età della luna)–
Corrado Govoni
Biografia di Corrado Govoni (Copparo, 29 ottobre 1884 – Lido dei Pini – Anzio, 20 ottobre 1965) è stato un poeta italiano.Dopo una prima esperienza crepuscolare aderì al futurismo, staccandosene in seguito per tentare la prosa e il teatro. Govoni nacque a Tamara, una frazione del comune di Copparo, da una famiglia di agricoltori benestanti, e senza compiere studi regolari iniziò a lavorare nell’azienda familiare. Esordì giovanissimo, già nel 1903, pubblicando a sue spese due raccolte di versi intitolati Le fiale e Armonie in grigio et in silenzio, presso la casa editrice Lumachi di Firenze, nelle quali prevalgono i toni crepuscolari. Dopo la pubblicazione de Le fiale, si dedicò soprattutto all’attività di scrittore collaborando alle riviste Poesia, Lacerba, e Riviera Ligure diretta da Mario Novaro. Le raccolte che seguirono nel 1905 e 1907, Fuochi d’artificio e Gli aborti, segnano l’inizio del suo accostarsi al futurismo. Dopo il trasferimento a Milano, capitale dell’avanguardia, strinse rapporti con Marinetti e aderì con entusiasmo al movimento. Ma non fu un’adesione vera e propria: nonostante qualche concessione al gusto futurista nelle successive raccolte, Poesie elettriche del 1911 e Rarefazioni e parole in libertà del 1915, egli stesso definì tale adesione “un gioco”, e la sua poesia restò essenzialmente ispirata alla natura e alla vita dei sensi. Nel frattempo si era sposato con una donna di nome Teresa, dalla quale avrebbe avuto tre figli: Aladino, Ariele e Mario. Ne L’inaugurazione della primavera, del 1915, il rapporto fra sensi e cose si fa particolarmente evidente, e il poeta supera anche il crepuscolarismo di maniera per attingere a un crepuscolarismo intimo, personale. Dal 1916 divenne collaboratore della rivista napoletana Diana che fu una delle prime ad aprirsi all’esperienza ermetica. Nello stesso anno, ritornato a Ferrara, fu costretto a vendere i suoi poderi e a dedicarsi ai mestieri più vari. Il primo periodo govoniano si conclude con l’antologia da lui curata e intitolata Parole scelte, pubblicata a Ferrara da Taddei nel 1920. Nel 1919 si era trasferito a Roma, dove, dopo la rivoluzione fascista, ottenne un impiego al Ministero della Cultura popolare. Per qualche anno fu vicedirettore della sezione del libro alla SIAE, poi segretario del Sindacato Nazionale Scrittori e Autori. Sono questi gli anni delle sue migliori opere narrative. Grato al fascismo per l’opportunità di lavoro, scrisse un poemetto in lode a Mussolini, ciò nonostante il figlio Aladino fu fucilato dai tedeschi alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. Nacque quindi Aladino (1946): un Govoni diverso, sconvolto dalla tragedia, che esprime il suo dolore con toni duri e talora violenti. Nel dopoguerra lo scrittore si trovò in precarie condizioni economiche e dopo un periodo di disoccupazione accettò un impiego presso un ministero come protocollista, trascorrendo la sua vita tra la capitale e Marina di Tor San Lorenzo. Negli ultimi anni della sua vita Govoni diresse la rivista Il sestante letterario da Lido dei Pini, presso Roma, dove dimorava. Qui, segnato da una malattia agli occhi che lo aveva quasi condotto alla cecità, si spense nel 1965.Fonte- Wikipedia
DESCRIZIONE del libro di Piero Rattalino-Sergej Prokofiev–Se si scorre il catalogo delle opere di Prokofiev si capisce subito quanto vasti fossero i suoi interessi di creatore: opere, musiche di scena, sinfonie, concerti, lavori sinfonico-corali, da camera, solistici. Nessun grande compositore del Novecento, e nemmeno dell’Ottocento, presenta una così ampia sventagliata di generi trattati o, meglio, nessuno ha lasciato tracce profonde in ogni campo della musica. Per trovare un altro Prokofiev bisogna risalire al Settecento e imbattersi in Mozart. Sia Mozart sia Prokofiev sono innanzitutto drammaturghi e in ogni fase della loro attività compongono opere liriche. Ma, al contrario di un Verdi o di un Wagner, non concentrano nel teatro tutto il loro impegno creativo. I tempi di Prokofiev non sono in verità i tempi di Mozart. Il pubblico del Settecento “consuma” almeno al 90% musica contemporanea e chiede al compositore novità e novità, il pubblico del Novecento è soprattutto consumatore di musica stagionata e chiede all’interprete ciò che l’avido dente del tempo non ha potuto sgretolare. Perciò Prokofiev, peraltro fecondissimo creatore, compone molto meno di Mozart. Però è “mozartiano” di spirito e si misura anche in un campo, la musica da film, che per ragioni anagrafiche non compariva nel cosmo mozartiano. Possiamo d’altra parte dar per certo che, se fosse stato al servizio di un principe-arcivescovo, Prokofiev avrebbe scritto musica sacra in quantità. Musicisti, entrambi, intus et in cute. Entrambi, ben consci del loro genio, arroganti in quanto uomini. Tormentati entrambi in vita, entrambi indomabili, entrambi, in senso lato, libertini di spirito. Di Mozart sappiamo ormai tutto quel che era possibile sapere. Di Prokofiev non ancora. Ma è compito imprescindibile del XXI secolo studiarlo e capirlo.
Andrea Zanzotto racconta la poesia di Beppe Salvia. Fazi Editore-
In occasione della giornata mondiale della poesia, vi presentiamo un documento inedito di Andrea Zanzotto , tratto dalla “Pagina Culturale” della Radio Della Svizzera Italiana del 16 giugno 1988, in cui Andrea Zanzotto si sofferma sul volume postumo di Beppe Salvia, Cuore, che ha per sottotitolo Cieli celesti.
È di straordinario interesse la collezione che si è inaugurata a Roma con l’editore Rotundo, perché ci presenta i migliori poeti giovani – veramente giovani anche per il salto qualitativo che fanno verso nuove forme – che hanno trovato il loro primo punto di incontro nelle riviste semi-clandestine “Braci” e “Prato pagano”, che si pubblicano a Roma.
Si è parlato di “scuola romana” di poesia: direi che questi autori ne rappresentino una frazione abbastanza inquietante e lontana da quella che era la classificazione della scuola romana, gravitante, mettiamo, intorno a nomi come Dario Bellezza o simili. Certo la ricchezza e l’intensità dell’esperienza in questi autori è innegabile ed anche la straordinaria profondità dell’impegno poetico.
Di Beppe Salvia bisogna dire che purtroppo ha scelto, scelto è una parola sciocca, si è tolto la vita insomma, a 31 anni. È stato un grande dolore per tutti quando si è saputo che era scomparso. In questo libricino viene data la sintesi della poesia di Beppe Salvia che si è fatta subito notare per una straordinaria limpidezza dello spalancarsi di una potenza e di un’unità lirica. Tutto resta preso come in un abbraccio di una sconcertante luce che da una parte sorregge e dall’altra però crea un inquietante sfondo di allontanamento.
II titolo data a questa sua raccolta, “Cuore”, è volutamente provocatorio, in un certo senso. Non so se sia stato dato dai redattori che hanno curato questa pubblicazione postuma, o se Salvia avesse già ordinato queste carte con un titolo simile.
Il fatto è che la sua poesia, che ha una luce di giovinezza e di alba e nello stesso tempo qualcosa appunto di terribilmente teso verso lontananze imprendibili, lascia una parola lacerata fra gli uomini e la volontà di riprendere contatto con il “cuore” del mondo. Un tema che si potrebbe dire romantico in fondo, ma non è così perché si potrebbe avvicinare la poesia di Salvia persino alle tormentate e oltranzistiche indicazioni dell’ermetismo di Calogero, il grande poeta scomparso parecchi anni fa, anch’egli in modo tragico.
C’è comunque nella poesia di Salvia una ricchezza anche di momenti veramente liberatori come in questa poesia:
Viva le lunghe ore della scuola il banco celeste come il cielo serviva a non guardare la lavagna. Viva le povere ore di malinconia viva quel tuo mugugno viva la veste bianca e le bugie viva la deserta tutta di occhi bioccoli lanugine di giugno
Ma la parte realmente preponderante, che è quella con una forte tensione tragica, viene data in componimenti più lunghi che spesso hanno la caratteristica di sonetti o pseudo-sonetti, e poi hanno delle variazioni numerose interno agli stessi temi: una specie di ribuii, una specie di tumulto di variazioni.
La mia cultura è poca e la mente fioca non ho conosciuto regole e leggi e nessuno dell’ordine dell’universo m’ha insegnato ad amare la sua natura grande e umile. Ho offeso con la mia stupidità la legge della vita, l’infinita innocenza della sua crudeltà. Adesso ho un cuore nobile ma la mia carne è pietra
Così, con poesie tutte di livello molto alto, di una piena consapevolezza del valore della parola lirica e direi al di là della lirica stessa sullo sfondo della tragicità, si caratterizza l’opera del compianto Beppe Salvia, sui quale certamente ci si augura che si debba puntare l’attenzione dei critici.
Profilo storico-linguistico della poesia galego-portoghese medievale
Viella Libreria Editrice-ROMA
SINOSSI del libro di Simone Marcenaro-La lingua dei trobadores-Viella Editrice- Che cos’è il galego-portoghese? La lingua dei poeti, dagli ultimi anni del XII secolo fino alla metà del Trecento, è la stessa usata per le opere in prosa o nei documenti giuridici e notarili? Quali sono le sue principali caratteristiche? Il manuale prova a rispondere a queste domande, seguendo un’impostazione didattica rivolta anzitutto agli studenti di Filologia romanza e Letteratura portoghese che si misurino per la prima volta con questa affascinante tradizione letteraria. Il volume si divide in due parti: nella prima si propongono i lineamenti di grammatica storica della lingua galega, soffermandosi in particolare sul rapporto che la lega al portoghese e prestando attenzione alle prime attestazioni scritte. La seconda parte affronta invece la lingua dei trobadores, offrendone una descrizione il più possibile esaustiva che prenda in esame – per la prima volta in un manuale di questo genere – le variazioni grafiche, fonetiche e morfologiche inferibili esclusivamente dall’analisi diretta dei canzonieri.
INDICE
Avvertenze
Introduzione
Cenni di storia della lingua e grammatica storica
Breve profilo di storia della lingua galega dalle origini al XII secolo
I primi documenti del galego-portoghese (sec. XII-XIII)
Galego e portoghese dal XIII secolo
La nascita della poesia trobadorica (sec. XII-XIV)
Lineamenti di grammatica storica: fonetica
1. Vocalismo tonico
2. Vocalismo atono
3. Dittonghi e iato
4. Nasalizzazione
5. Consonantismo
5.1. In posizione iniziale; 5.5.2. In posizione intervocalica; 5.5.3. In posizione finale; 5.5.4. I principali nessi consonantici; 5.5.5. L’azione di iod e di wau ; 5.5.6. La lenizione.
6. Altri cambi fonetici
6.1. Assimilazione e dissimilazione; 5.6.2. Cambi per sottrazione: aferesi, sincope, apocope; 5.6.3. Cambi per addizione: protesi, epentesi, epitesi; 5.6.4. Cambi per trasposizione: metatesi e spostamento dell’accento.
Lineamenti di grammatica storica: morfosintassi
1. Sostantivi e aggettivi
1.1. Derivazione da casi diversi dall’accusativo; 6.1.2. La sparizione del neutro; 6.1.3. Classi sostantivali; 6.1.4. La formazione del plurale; 6.1.5. L’aggettivo.
8.1. Generalità; 6.8.2. Tema del presente; 6.8.3. Tema del perfetto; 6.8.4. Futuro e condizionale; 6.8.5. Infinito e participio; 6.8.6. Il passivo; 6.8.7. Verbi irregolari.
I canzonieri galego-portoghesi
I manoscritti: tra grafia e fonetica
1. Panoramica sui principali fenomeni grafematici
2. Alcune particolarità fonetiche
2.1. Alternanza di vocali toniche e atone; 7.2.2. Nasalizzazione e denasalizzazione; 7.2.3. Casi di conservazione di -l e -n-; 7.2.4. Nasali e laterali palatali; 7.2.5. Fenomeni di fonetica sintattica; 7.2.6. Epitesi di -e.
Particolarità morfosintattiche
1. Sostantivi e aggettivi
1.1. Affissazione; 8.1.2. Castiglianismi, provenzalismi e oitanismi; 8.1.3. Hapax e nomi composti.
2. Pronomi
2.1. Forme toniche e atone; 8.2.2. Possessivi; 8.2.3. Dimostrativi e indefiniti.
3. Articoli
4. Preposizioni
5. Congiunzioni
6. Verbi
6.1. Particolarità nel tema del presente; 8.6.2. Particolarità nel tema del perfetto; 8.6.3. Particolarità del futuro e del condizionale; 8.6.4. Tempi composti; 8.6.5. Affissazione; 8.6.6. Incoativi; 8.6.7. Castiglianismi e forestierismi; 8.6.8. Tavole dei verbi più importanti
7. Avverbi
7.1. Principali avverbi; 8.7.2. Locuzioni avverbiali; 8.7.3. Avverbi pronominali.
Bibliografia
L’Autore-Simone Marcenaro-Ha conseguito il Dottorato di ricerca presso la Scuola di Dottorato europeo in Filologia romanza dell’Università di Siena.Si è occupato di lirica satirica galegoportoghese, in una prospettiva comparatistica con la poesia trobadorica occitana. Ha curato l’antologia di testi con traduzione a fronte e commento Canti di scherno e maldicenza e sta lavorando con Pilar Lorenzo Gradín all’edizione critica del trobador portoghese Roi Queimado.
Viella Libreria Editrice
Via delle Alpi 32 – 00198 Roma Tel. 06.8417758 – Fax 06.85353960
Breve biografia di Francesco Scarabicchi è nato nel 1951 ad Ancona, dove è scomparso nel 2021. Ha pubblicato le raccolte di poesia: La porta murata (prefazione di Franco Scataglini, Residenza, 1982), Il viale d’inverno (l’Obliquo, 1989), Il prato bianco (l’Obliquo, 1997), Il cancello 1980-1999 (peQuod, 2001), L’esperienza della neve (Donzelli, 2003), Il segreto (l’Obliquo, 2007), Frammenti dei dodici mesi (con foto di Giorgio Cutini, l’Obliquo, 2010), L’ora felice (Donzelli, 2010), Nevicata (con acqueforti di Nicola Montanari, Liberilibri, 2013), Con ogni mio saper e diligentia – Stanze per Lorenzo Lotto (Liberilibri, 2013), Il prato bianco (Einaudi, 2017) e traduzioni da Machado e García Lorca: Non domandarmi nulla (Marcos y Marcos, 2015).
Biglietto di settembre Questa pioggia che senti
giovane lungo i muri
picchia, se fai silenzio,
ai nostri vetri,
bagna inferriate e foglie,
crolla dalle grondaie,
allaga il buio,
cancella ponti e polvere
e scompare.
Prologo Sanguina a me di fianco l’ora bianca,
ospita un altro inverno, non capisce
come ancora si ostini, in tanta neve,
a rassegnarsi al mondo, al suo crudele
volgere in niente il niente, dileguando
oltre il vuoto dei giorni, in un addio
di bisbigli caduti nella luce.
2 Della perduta vita non so niente,
ché sempre se ne va per chissà dove,
resa o voltata a un angolo del giorno,
mesi che può la notte cancellare
sulla soglia gelata del mattino.
Non c’è altro che adesso e adesso ancora:
se appena lo pronunci si dissolve
in un adesso che non è più niente.
Siamo quest’oggi chiaro che si spegne,
luce che lascia gli occhi con dolcezza,
uomini che di spalle vanno piano,
seguito della storia, sogno, nube,
ombre che di ogni età fanno silenzio,
onde che si cancellano nel mare.
Luci distanti Il muschio è quell’odore che non muta
la sua antica infantile identità,
come se fosse sempre ovunque Ortona,
nel silenzio notturno che qui scende,
camera d’un albergo di provincia,
luci distanti che dai vetri vedo,
se appena un po’ m’accosto dopo cena.
Cadrà sempre la neve in ogni tempo,
sarà bianca com’era, fresca e intatta,
nasceranno bambini dai suoi fiocchi
come piccoli uomini che vanno
al paese incantato inesistente
che ciascuno conosce, se rammenta
l’albero dai bei doni illuminato.
Questa luce che tocca Questa luce che tocca
ottobre e il mondo
calma scomparirà
da sé in silenzio
nella sera del tempo
e questa nebbia
bianca sulla città
lascerà intatto
tutto il vuoto dell’epoca,
il ritratto di ogni cosa che, ferma,
a voce spenta,
niente saprà di noi
come l’odore
della notte di vento
e pioggia dura
che sui nomi e le case
cade invano.
*
Una lampada
Nelle giornate limpide
non vedi
i vetri delle case
dietro ai quali
brilla ancora
una lampada.
*
L’ombra degli oleandri
Dai vetri di un albergo,
verso sera,
torna soltanto adesso
-superstite d’allora-
l’ombra degli oleandri.
*
Nel fondo
Il poco più di notte
che si attarda
sul manto delle more
non tradisce
quel che di te non dici,
gli anni muti
scivolati nel fondo,
in lontananza.
*
Ci vorrà
Ci vorrà
tutto il tempo necessario
prima che possa anch’io
fare a meno di me
senza voltarmi,
andando,
per lasciare.
*
L’orma leggera
Chi, come te, cortese,
mi sovviene
lascia l’orma leggera
e si allontana,
come fanno le nuvole,
tacendo.
*
Dove cade la pioggia
Dove cade la pioggia,
c’è la luce di ottobre
che finisce.
*
Sesto preludio
Come discreta e intatta
alla quiete d’un mese
a sé m’attrasse
l’ora del pomeriggio
di pietre e vie infinite
e un vento d’aria
a sponda d’ancoraggio
dove il vento finisce,
nell’eterna stagione
d’alba ferma,
immobile sui rami
e sulle cose.
Francesco Scarabicchi
*
Settimo preludio
Tu sola sei venuta
a quel suo stanco
passo di notte bianco,
a quell’estrema luce
d’altra sponda
di chi piano allontana
sé dal nome
e anche se chiamato
non risponde.
*
Sui gradini del mondo
(Un’epigrafe)
Guarda la notte
che non si dirada
sui gradini del mondo,
tu che siedi
dove più forte è il vento
di ogni strada:
questo il presente
della storia, il lutto
reso ai dove del niente,
la contrada
dei passi che si perdono,
il delitto
nel silenzio dei nomi
quando avara
è la virtù del sogno
che condanna
gli uomini al loro nulla,
a una memoria
di volti senza voce,
a un’ombra bianca;
altro non chiedi,
nella luce che tocca
la morte che non vedi
e che ti affianca,
se la pietà, nel freddo,
non ti parla,
se vivere è soltanto
quel che devi.
Francesco Scarabicchi
Partita
2 Essere d’ogni tempo
alla sua soglia,
luce a marzo, d’inverno,
nel cammino
che cancella il pudore
delle impronte.
Non somigliarmi,
non avere, con me, niente in comune,
lascia che sia, ogni volta,
l’imprecisa dolcezza di un saluto
a condurre i tuoi passi
e quel tremore trepido che guarda
il niente per cui è dato consegnarsi.
*
Porto in salvo dal freddo le parole,
curo l’ombra dell’erba, la coltivo
alla luce notturna delle aiuole,
custodisco la casa dove vivo,
dico piano il tuo nome, lo conservo
per l’inverno che viene, come un lume.
*
Così dunque si muore
tra bisbigli
che non sai afferrare.
*
E dopo?
Dopo semplicemente,
la vana solitudine del sogno.
*
Viene
l’aria dell’anno
dal giardino:
cosa avrà in serbo
il giovane gennaio
col suo gelo?
Francesco Scarabicchi
Breve biografia di Francesco Scarabicchi è nato nel 1951 ad Ancona, dove è scomparso nel 2021. Ha pubblicato le raccolte di poesia: La porta murata (prefazione di Franco Scataglini, Residenza, 1982), Il viale d’inverno (l’Obliquo, 1989), Il prato bianco (l’Obliquo, 1997), Il cancello 1980-1999 (peQuod, 2001), L’esperienza della neve (Donzelli, 2003), Il segreto (l’Obliquo, 2007), Frammenti dei dodici mesi (con foto di Giorgio Cutini, l’Obliquo, 2010), L’ora felice (Donzelli, 2010), Nevicata (con acqueforti di Nicola Montanari, Liberilibri, 2013), Con ogni mio saper e diligentia – Stanze per Lorenzo Lotto (Liberilibri, 2013), Il prato bianco (Einaudi, 2017) e traduzioni da Machado e García Lorca: Non domandarmi nulla (Marcos y Marcos, 2015).
Fonte Poesie-Il sito www.italian-poetry.org funziona correntemente dal 2000. Era nato l’anno precedente, dopo una serie di incontri e di confronti con la Poetry Society americana, ai cui criteri di severa selezione si ispira, antologizzando la poesia italiana moderna e contemporanea dagli inizi del Novecento fino ai giorni nostri, a partire dai poeti nati nei primi anni del XX secolo e attivi nei decenni successivi.
Il comitato fondatore, con i rappresentanti del circuito internazionale della poesia, era composto da Alberto Bevilacqua, Tobias Burghardt, Ernesto Calzavara, Casimiro De Brito, Luciano Erba, Alfredo Giuliani, Giuliano Gramigna, Mario Luzi, Elio Pagliarani, Umberto Piersanti, Giovanni Raboni, Paolo Ruffilli, Edoardo Sanguineti, Mark Strand.
Il sito ha totalizzato più di 14 milioni di visualizzazioni nei primi quindici anni di vita ed è indicizzato quale primo risultato di Google per “poesia italiana”.
Il nuovo logo del sito, introdotto nel 2014, all’insegna di Montale, Quasimodo e Ungaretti, rimanda simbolicamente alla grande avventura della poesia italiana contemporanea dal principio del Novecento fino ad oggi.
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