
Associazione Culturale DEA SABINA

Chiara Colombini-Storia passionale della guerra partigiana-Editori Laterza-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Chiara Colombini-Storia passionale della guerra partigiana-
Editori Laterza-Bari
DESCRIZIONE del libro di Chiara Colombini -Storia passionale della guerra partigiana-A partire dall’8 settembre 1943 fino all’aprile del 1945 migliaia di giovani e meno giovani abbandonarono la loro vita abituale, presero le armi e si gettarono in un’avventura che stravolte la loro esistenza.
Perché lo fecero? Quali furono i sentimenti e le passioni che li spinsero ad un passo del genere e li sostennero in quei venti mesi?
Amore e odio, speranza e vendetta, dolore e felicità: osservare le passioni della resistenza ‘in diretta’ significa avvicinarsi a quella esperienza in modo quasi viscerale ed eliminare le distorsioni prospettiche che inducono a giudicare le scelte di allora con il metro del nostro presente.
Amore e odio, speranza e vendetta, dolore e felicità: osservare le passioni della Resistenza ‘in diretta’ significa avvicinarsi a quella esperienza in modo quasi viscerale ed eliminare le distorsioni prodotte dal passare del tempo.
Le passioni e i sentimenti, lo sappiamo, hanno un ruolo fondamentale nelle nostre vite. Ci fanno compiere scelte improvvise, ci fanno gioire e soffrire. Alimentano un fuoco che non può essere spento. Passioni e sentimenti certamente mossero le donne e gli uomini che scelsero la strada della ribellione e della Resistenza durante la guerra. Possiamo comprenderle davvero noi che viviamo un altro tempo e un’altra storia? È quanto prova a fare Chiara Colombini, cogliendo, attraverso diari, lettere e carteggi, queste passioni ‘in diretta’, nel loro erompere durante quei venti mesi, tenendo sullo sfondo ciò che solo lo svolgersi della storia ha permesso di razionalizzare. In un tempo condizionato dall’eccezionalità che deriva dall’intreccio tra guerra totale, occupazione e guerra civile, i partigiani si innamorano, coltivano ambizioni, si accendono di entusiasmo o si arrovellano nell’insoddisfazione. Una condizione in cui, oltre alla vita, è in gioco ciò che si è scelto di essere. E, a quasi ottant’anni di distanza, emerge intatto il fascino di quell’esperienza così centrale per la storia di questo paese, la sua dimensione di profonda umanità, il prezzo pagato da uomini e donne direttamente nelle loro esistenze, il loro lascito.
L’Autrice
Chiara Colombini, storica, è ricercatrice presso l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti”.Ha curato, tra l’altro, Resistenza e autobiografia della nazione. Uso pubblico, rappresentazione, memoria (con Aldo Agosti, Edizioni SEB27 2012) e gli Scritti politici. Tra giellismo e azionismo (1932-1947) di Vittorio Foa (con Andrea Ricciardi, Bollati Boringhieri 2010) ed è autrice di Giustizia e Libertà in Langa. La Resistenza della III e della X Divisione GL (Eataly Editore 2015).
Jean-Yves Tadié-Proust e la società- Carocci editore -Biblioteca DEA SABINA
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Jean-Yves Tadié-Proust e la società-
-Carocci editore -Roma
DESCRIZIONE-Il mondo interiore di Marcel Proust – la sua sensibilità, le sue passioni e le sue idiosincrasie – è ben noto; meno note sono invece le tematiche che fanno della Recherche anche un’opera di sociologia, di geografia e di storia. Spesso descritto a torto come il nostalgico cantore di un mondo ormai tramontato, nelle pagine di questo libro, a firma di uno dei massimi studiosi dello scrittore francese, Proust si rivela un uomo immerso nella sua epoca. Osservatore attento dell’attualità, interviene senza esitazione nei principali dibattiti – il genocidio armeno, l’affaire Dreyfus, la separazione tra Stato e Chiesa – e dimostra grande interesse per i progressi tecnici. D’altro canto, la vita di Proust ha coinciso con il periodo d’oro della Terza Repubblica – la cosiddetta Belle Époque – e con le scaturigini del mondo contemporaneo, consentendogli di assistere al passaggio da una società di corte a una dominata dalle élite, mentre sullo sfondo rimaneva perlopiù immutato un popolo, quello francese, carico di una storia millenaria. Proprio come sulla facciata gotica della chiesa immaginaria di Saint-André-des-Champs sono raffigurate tutte le classi sociali del Medioevo, nella Recherche ci viene offerto uno spaccato della società francese a cavallo tra Otto e Novecento, osservata con le lenti del sociologo e trasfigurata con gli occhi del poeta.
L’Autore Jean-Yves Tadié-Professore emerito di Letteratura francese alla Sorbona, ha diretto la nuova edizione critica della Recherche per la “Bibliothèque de la Pléiade” (Gallimard, 1987-89). A Proust ha dedicato un’importante biografia (Gallimard, 1996; trad. it. Mondadori, 2° ed. 2022) e numerosi saggi.
Poesie di Carla Buranello-Biblioteca DEA SABINA
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Poesie di Carla Buranello-
Carla Buranello ha lavorato per molti anni come dirigente presso un’azienda internazionale. Lasciato il lavoro, e ritornata padrona del proprio tempo, ha deciso di dedicarsi agli interessi da lungo tempo trascurati iniziando, per pura passione, a tradurre, soprattutto poesie di autori inglesi e americani. Tramite internet, si è messa in contatto con la poetessa angloamericana Anne Stevenson, iniziando una corrispondenza trasformatasi presto in amicizia.
A filare il filo bianco dei giorni,
il filo nero delle notti,
a tessere la tela grigia della mia solitudine.
popolati da mostri e da paure,
incantesimi di maghe, senza scopo,
seduzioni di ninfe, del tutto inutili,
richiami di sirene, inascoltati.
Io, moglie di eroe per usucapione,
fedele per definizione,
morirò inesplorata.
l’occaso, il mio occidente,
la sceglierò con cura, la renderò perfetta,
avrà spazio e scaffali sul muro
per collocare presente passato e futuro.
potrò avvistare l’Oriente e la Cina
senza muovermi dalla finestra
porcellane e sete nella mia testa.
per festeggiare il non ritorno
siete invitati tutti quanti
mi raccomando … guanti bianchi!
amabile sorpresa
su questa verde grumosa
foglia di ortaggio
che condividiamo per cena
nitida e matematica
morbida carne d’ostrica
in convolvolo di lucida scaglia
tu non sai nulla
della spirale logaritmica (1)
non te ne cale
della sezione aurea
di Fibonacci
tu te ne stropicci
lenta e implacabile
attraversi le età
con te porti te stessa
e ogni tua proprietà
in equilibrio fragile
tra il caso e la necessità
per prima cosa
novella sposa
tu mi hai fatto comprare un orologio
e ti sei insediato nel quadrante
hai preso a scandire le mie ore
che prima battevano presso il cuore
eccomi qua
avvinta ad una molla
che ora mi tira
e ora mi sgrolla
e non mi lascia
strettamente mi fascia
mi strozza
mi strizza la gargozza
sputo a fatica
negli ultimi sobbalzi
ore minuti
secondi vuoti
con le lancette mi percuoti
mi frusti
esulti
è straordinario
muoio
in perfetto orario!
un vecchio cuore
che indossa un parrucchino di parole,
un’assurda dentiera di metafore,
ha le labbra tinte con sangue non suo
e finge un trasporto che non c’è.
Volteggia, piroetta, ammicca,
si esibisce su un liso tappeto
di vocaboli,
si inchina,
vuole gli applausi, il meschino.
Scivola su un accento sdrucciolo,
batte la testa su un sostantivo,
è trafelato, suda,
non sa cosa dire,
non sa come dire.
Cola il cerone delle rime
e il rimmel degli artifici
gli appiccica gli occhi.
Boccheggia,
sta per piangere,
ma una vecchia solerte
-la badante di Euterpe-
lo prende sottobraccio
e passo passo lo accompagna
verso la parola:
FINE
Rivista COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
– Rivista COLLETTIVO R–POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
Rivista Collettivo R-La casa editrice venne fondata nel dicembre 1970 su inizativa di Luca Rosi, Ubaldo Bardi e Franco Manescalchi all’interno del movimento dell’underground culturale ed editoriale fiorentino in stretto collegamento con l’associazionismo politico culturale e ricreativo (Arci, Circoli culturali, Case del popolo, partiti della sinistra storica, sindacati e movimento studentesco). Lo scopo era di collegare la contestazione politica con orizzonti culturali più ampi attraverso la proposta della riflessione di scrittori e poeti, in particolare italiani e latinoamericani, poco noti al grande pubblico. L’iniziativa si concretizzò nella pubblicazione della rivista «Collettivo R», un nome derivato dalle unioni spontanee di quegli anni e una lettera simbolica R ad indicare un triplice richiamo: Resistenza, Ricerca, Rivoluzione.
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
La Rivista Collettivo R mosse i suoi primi passi come “rivista al ciclostile” e visse nei luoghi di cui si volle fare icona e portavoce. Si interessò e propose accanto alla poesia anche lavori grafici, critiche letterarie, racconti. A fianco della rivista uscirono le serie dei “Quaderni” con raccolte poetiche contemporanee. Nel 1980 fu pubblicata L’utopia consumata: Antologia 1970-1980 che riassume le iniziative e le proposte del primo decennio di esperienza di “poesia militante”. Nel 1981 con la Casa della Cultura e il Consiglio di Quartiere 7 diede vita al Centro Due Arti di documentazione poetica e grafica e affiancò all’attività editoriale la produzione di spettacoli culturali, recital poetici e incontri di divulgazione nelle scuole. Tradusse, pubblicò e introdusse in Italia numerosi poeti latinoamericani in collaborazione con le cattedre di ispanistica delle università di Firenze, Siena e Venezia, tra questi ricordiamo Ernesto Cardenal padre trappista e ministro della cultura del Nicaragua rivoluzionario. Il primo maggio del 1994 Luca Rosi, Franco Varano e Paolo Tassi diedero vita all’attuale configurazione societaria l’Associazione culturale Athaualpa finalizzata al perseguimento di soli obiettivi culturali con il sostegno e l’impegno pratico di numerosi soci che dedicano gratuitamente la loro attività professionale alla realizzazione delle edizioni.
IN RICORDO DI LUCA ROSI direttore della rivista di poesia “COLLETTIVO R- ATAHUALPA”
Sabato 21 settembre u.s. è morto Luca Rosi. Quanti l’abbiamo conosciuto abbiamo perso non solo il poeta, ma l’amico leale e sensibile, sempre vicino nei problemi di vita quotidiana; tutti noi dopo la sua morte siamo orfani di qualcosa,sentiamo la sua assenza come un vuoto e siamo affranti, questo vuoto era la sua dolcezza nei rapporti con tutti e il suo impegno tenace, di una persona forte e resistente moralmente, con la sua orientazione a portare a termine impegni di traduzione dei testi della rivista, di redazione dei “quaderni” di poesia o della preparazione dei diversi numeri della rivista. In questo impegno in cui si riconosceva pienamente e attraverso esso comunicava con tutti noi ed era felice quando inviava la rivista e spesso aggiungeva in un foglio allegato un caro saluto. Luca, con me, che abito a Roma, spesso era presente con una telefonata o con una lettera. Qualche volta veniva a Roma per i suoi impegni nel sindacato dell’editoria,ed era un’occasione di incontro e di riflessione, ugualmente avveniva nei miei ritorni a Firenze, anche dopo la conclusione del periodo universitario.
Luca era nato settanta quattro anni fa. L’ho incontrato la prima volta a Firenze, nella sua abitazione, per una riunione della redazione della rivista “Collettivo R”, fondata da Franco Manescalchi insieme allo stesso Luca. Quella sera, ricordo ci fossero Silvano Guarducci, Ubaldo Bardi e Paolo Tassi. Ero stato invitato, dopo aver scritto una lettera alla redazione in seguito alla presa visione di uno dei primi numeri che era arrivato alla redazione dei “Quaderni Calabresi” di Vibo Valentia. Siamo nei primi anni ’70, molto ricchi di fermenti culturali, e io ero alla ricerca di un percorso personale, che coniugasse politica e poesia. Allora mi sembrò – e fu poi così – di averlo trovato nella rivista fiorentina e nel gruppo di persone che l’animava.
Quando i rapporti redazionali divennero più frequenti con Luca, si andava formando anche una sincera amicizia, che col tempo si è consolidata, diventando molto preziosa. Io lo apprezzavo molto e gli volevo bene, e lui non mancava di farmi sentire il suo affetto e la sua stima, giudicando positivamente non solo i miei primi testi poetici per la rivista, ma spesso mi incoraggiava tantissimo a continuare a scrivere durante i miei periodi di dubbi e di insicurezza nel trovare un mio percorso. Io intanto scorgevo in lui (anche in Franco e Silvano e Paolo) l’unione tra intelligenza e sforzo morale: cioè l’attenzione che riversava verso la storia coniugata con la poesia. Lui , figlio di emigranti italiani in Venezuela, ritornato in Italia per studiare all’Università, aveva cominciato con l’interesse per i problemi degli studenti stranieri in Italia, con la redazione di un giornale degli studenti immigrati. Nel frattempo aveva avviato con la scrittura di testi poetici una comprensione del mondo e della sua storia. Penso alle prime due raccolte: “TERRA CALCINATA” E “AMORE SENZA TEMPO”. Per la prima volta ho cominciato a sentire da lui ( e da Franco) l’espressione caratterizzante: la poesia come poesia della tensione. Essa era il risultato di riflessioni sul giusto rapporto morale con il mondo di quella storia che allora era divisa tra oppressione e movimenti di rivolta e rivoluzione. In quella concezione della poesia mi sembrava abitasse qualcosa di spirituale unito al politico. Luca era così, racchiudeva l’uno e l’altro. Lo spirituale mi sembrava basato su ciò che chiamiamo scelta, responsabilità, disponibilità all’apertura al mondo della storia. Così era fatto il suo mondo di poeta e di intellettuale, di poeta-intellettuale. Lui proponeva una poesia fatta con la passione della politica e con una tensione spirituale verso le singole persone oltre che per i fatti storico-collettivi. In Luca era molto presente anche l’orizzonte esistenziale, credo per dare un senso maggiore alla storia e alla vita stessa. Luca, già nei primi numeri della rivista “Collettivo R” individuava il ruolo del poeta come politico, con una sensibilità e una “tensione” verso le classi sfruttate e oppresse. Lui pensava possibile una <<lunga marcia>> in cui i poeti avrebbero lasciato da parte le ambizioni piccolo-borghesi, ogni prestigio personale per identificarsi con i problemi storici dell’oppressione. Luca è stato un innovatore : attraverso i testi classici del marxismo, denunciava nei primi scritti l’alienazione del lavoro intellettuale nell’industria, tra cui quello del poeta, che avrebbe perso l’aureola, e proponeva l’uscita dall’editoria tradizionale, con l’esoeditoria e il ciclostile e la diffusione a braccio della poesia tra gli strati popolari (case del popolo, scuole, ecc), collegandosi con le forze sociali che agivano a livello di massa. Così individuava il ruolo del poeta come ruolo politico in senso lato, con una tensione verso le classi oppresse. La Sua presenza alle feste dell’Unità, in alcune scuole, presso le Case del Popolo, e altri luoghi pubblici era determinante e necessaria: lui non riservava le sue energie che a questa attività di pedagogo, di amante della poesia, per far altresì innamorare gli altri. Una sua grande gioia era quella di poter invitare in questi incontri il poeta Cardenal o Rafael Alberti, o di tradurre dallo spagnolo moltissimi poeti latino-americani, per poterli far conoscere ai lettori italiani, cominciando dall’ antologia collettivamente tradotta: “Poeti a Cuba”. Il suo amore intenso per la poesia lo portava spesso a organizzare cene di sottoscrizione per continuare la pubblicazione della rivista, o a passare giorni interi a correggere le bozze di più di 50 libri di poesia di altrettanti autori, o a interessarsi alla redazione dell’antologia “L’Utopia Consumata” (o Anti-Antologia),o a curare periodicamente e con assiduità la corrispondenza con i poeti della rivista , o a tener testa ai diversi progetti culturali, relativi alla fondazione del Centro Eielson per la conoscenza della poesia latino-americana, o alla fondazione dell’Associazione culturale “ATAHUALPA, o alla edizione della nuova serie della rivista a cominciare dal 2006, o a preparare presso la biblioteca Marucelliana di Firenze la mostra di tutti i materiali di “COLLETTIVO R” e i diversi incontri di presentazione di libri per il quarantesimo anniversario della rivista.In questo suo impegno tenace era sempre sostenuto da una famiglia molto generose e a lui vicina: dalla moglie Felis, dalle figlie e dai nipoti, a cui ha saputo trasmettere con molto affetto il valore della poesia. Ecco, quando prendiamo in mano o pensiamo un numero della rivista o uno dei libri editati da Colletttivo R, pensiamo a Luca, al suo grande amore perché la poesia giungesse a tantissimi, perciò pensiamo a Lui come poeta, intellettuale e pedagogo. Ora questo suo mondo apparentemente trascorso vivrà nel futuro, nella misura in cui noi lo ricordiamo riproponendolo. (Luca un grazie infinito da parte mia e a nome anche di coloro che ti hanno conosciuto attraverso la Rivista).
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
COLLETTIVO R-POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
Elsa Morante- Poesie -Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Elsa Morante Poesie
Elsa Morante fin da giovanissima iniziò a scrivere racconti e poesie. Dopo aver completato gli studi, lasciò la famiglia, mantenendosi dando lezioni di greco e latino. I suoi primi racconti sono stati pubblicati su riviste come Il Corriere dei Piccoli, I diritti della scuola e Oggi, alcuni di essi pubblicati con lo pseudonimo di Antonio Carrera.
Da: Alibi -Longanesi, 1958- Da: Il mondo salvato dai ragazzini e altri poemi-Einaudi, 1968-
Da: Alibi -Longanesi, 1958-
ALIBI
Solo chi ama conosce. Povero chi non ama!
Come a sguardi inconsacrati le ostie sante,
comuni e spoglie sono per lui le mille vite.
Solo a chi ama il Diverso accende i suoi splendori
e gli si apre la casa dei due misteri:
il mistero doloroso e il mistero gaudioso.
Io t’amo. Beato l’istante
che mi sono innamorata di te.
Qual è il tuo nome? Simile al firmamento
esso muta con l’ora. Sei tu Giulietta? o sei Teodora?
ti chiami Artù? o Niso ti chiami? Il nome
a te serve solo per giocare, come una bautta.
Vorrei chiamarti: Fedele; ma non ti somiglia.
La tua grazia tramuta
in un vanto lo scandalo che ti cinge.
Tu sei l’ape e sei la rosa.
Tu sei la sorte che fa i colori alle ali
e i riccioli ai capelli.
La tua riverenza è graziosa come l’arcobaleno.
Sono i tuoi giorni un prato lucente
dove t’incontri con gli angeli fraterni:
il santo, adulto Chirone,
l’innocente Sileno, e i fanciulli dai piedi di capra,
e le fanciulle-delfino dalle fredde armature.
La sera, alla tua povera cameretta ritorni
e miri il tuo destino tramato di figure,
l’oscuro compagno dormiente
dal corpo tatuato.
Tu eri il paggio favorito alla corte d’Oriente,
tu eri l’astro gemello figlio di Leda,
eri il più bel marinaio sulla nave fenicia,
eri Alessandro il glorioso nella sua tenda regale.
Tu eri l’incarcerato a cui si fan servi gli sbirri.
Eri il compagno prode, la grazia del campo,
su cui piange come una madre
il nemico che gli chiude gli occhi.
Tu eri la dogaressa che scioglie al sole i capelli
purpurei, sull’alto terrazzo, fra duomi e stendardi.
Eri la prima ballerina del lago dei cigni,
eri Briseide, la schiava dal volto di rose.
Tu eri la santa che cantava, nascosta nel coro,
con una dolce voce di contralto.
Eri la principessa cinese dal piede infantile:
il Figlio del Cielo la vide, e s’innamorò.
Come un diamante è il tuo palazzo
che in ogni stanza ha un tesoro
e tutte le finestre accese.
La tua dimora è un’arnia fatata:
narcisi lontani ti mandano i loro mieli.
Per le tue feste, da lontani evi
giungono luci, come al firmamento.
Ma tu in esilio vai, solo e scontento.
Il mio ragazzo non ha casa
né paese.
La bella trama, adorata dal mio cuore,
a te è una gabbia amara.
E in tua salvezza non verrà mai la sposa
regina del labirinto.
Per il sapore strano del bene e del male
la tua bocca è troppo scontrosa.
Tu sei la fiaba estrema. O fiore di giacinto
cento corimbi d’un unico solitario fiore!
La folla aureovestita del tuo bel gioco di specchi
a te è deserto e impostura.
Ma dove vai? che mai cerchi? invano, gatta-fanciulla,
il passaggio d’Edipo sul tuo cammino aspetti.
O favolosa domanda, al tuo delirio
non v’è risposta umana.
Riposa un poco vicino a chi t’ama
angelo mio.
Quando mi sei vicino, non più che un fanciullo m’appari.
Le mie braccia rinchiuse bastano a farti nido
e per dormire un lettuccio ti basta.
Ma quando sei lontano, immane per me diventi.
Il tuo corpo è grande come l’Asia, il tuo respiro
è grande come le maree.
Sperdi i miei neri futili giorni
come l’uragano la sabbia nera.
Corro gridando i tuoi diversi nomi
lungo il sordo golfo della morte.
Riposa un poco vicino a chi t’ama.
Lascia ch’io ti riguardi. La mia stanza percorri spavaldo
come un galante che passa
in una strage di cuori.
Allo specchio ti miri i lunghi cigli
ridi come un fantino volato al traguardo.
O figlio mio diletto, rosa notturna!
Povero come il gatto dei vicoli napoletani
come il mendico e il povero borsaiolo,
e in eleganza sorpassi duchi e sovrani
risplendi come gemma di miniera
cambi diadema ogni sera
ti vesti d’oro come gli autunni.
Passa la cacciatrice lunare coi suoi bianchi alani…
Dormi.
La notte che all’infanzia ci riporta
e come belva difende i suoi diletti
dalle offese del giorno, distende su noi
la sua tenda istoriata.
I tuoi colori, o fanciullesco mattino,
tu ripiegasti.
Nella funerea dimora, anche di te mi scordo.
Il tuo cuore che batte è tutto il tempo.
Tu sei la notte nera.
Il tuo corpo materno è il mio riposo.
(1955)
MINNA LA SIAMESE
Ho una bestiola, una gatta: il suo nome è Minna.
Ciò ch’io le metto nel piatto, essa mangia,
e ciò che lemetto nella scodella, beve.
Sulle ginocchia mi viene, mi guarda, e poi dorme,
tale che mi dimentico d’averla. Ma se poi,
memore, a nome la chiamo, nel sonno un orecchio
le trema: ombrato dal suo nome è il suo sonno.
Se penso a quanto di secoli e cose noi due livide,
spaùro. Per me spaùro: ch’essa di ciò nulla sa.
Ma se la vedo con un filo scherzare, se miro
l’iridi sue celesti, l’allegria mi riprende.
I giorni di festa, che gli uomini tutti fan festa,
di lei pietà mi viene, che non distingue i giorni.
Perché celebri anch’essa, a pranzo le do un pesciolino;
né la causa essa intende: pur beata lo mangia.
Il cielo, per armarla, unghie le ha dato, e denti:
ma lei, tanto è gentile, sol per gioco li adopra.
Pietà mi viene al pensiero che, se pur la uccidessi,
processo io non ne avrei, né inferno, né prigione.
Tanto mi bacia, a volte, che d’esserle cara io m’illudo,
ma so che un’altra padrona, o me, per lei fa uguale.
Mi segue, sì da illudermi che tutto io sia per lei,
ma so che la mia morte non potrebbe sfiorarla…
(1941)
AMULETO
Quando tu passi, e mi chiami,
assente son io.
Per lunghe ore ti aspetto,
e tu, distratto, voli altrove.
Ma tanto, il mezzano serafico
del nostro amore,
il sultano dello zenit
che muove sul quadrante le sfere
con le dita infingarde e sante,
ha già segnato l’istante
del nostro convegno.
Molli si volgono i miei giorni
a quella imperiosa stagione.
Candida e glaciale essa risplende
alta salendo, come fuoco.
Ah, nostra incantevole stanza!
Che importa a me, infido spirito,
dei tuoi diversi pensieri?
Il presagio inchina già la fronte
all’annuncio. Sorte e amore
ti congiungono a me.
(1945)
LETTERA
Tutto quel che t’appartiene, o che da te proviene,
è ricco d’una grazia favolosa:
perfino i tuoi amanti, perfino le mie lagrime.
L’invidia mia riveste d’incanti straordinari
i miei rivali: essi vanno per vie negate ai mortali,
hanno cuore sapiente, cortesia d’angeli.
E le lagrime che mi fai piangere sono il mio bel diadema,
se l’amara mia stagione s’adorna del tuo sorriso.
Stupisco se ripenso che avevo tanti desideri
e tanti voti da non sapere quale scegliere.
Ormai, se cade una stella a mezzo agosto,
se nel tramonto marino balena il raggio verde,
se a cena ho una primizia nella stagione nuova,
o m’inchino alla santa campana dell’Elevazione,
non ho che un voto solo: il tuo nome, il tuo nome,
o parola che m’apri la porta del paradiso.
Nel mio cuore vanesio, da che vi regni tu,
le antiche leggi del mondo son tutte rovesciate:
l’orgoglio si compiace d’umiliarsi a te,
la vanità si nasconde davanti alla tua gloria,
la voglia si tramuta in timido pudore,
la mia sconfitta esulta della tua vittoria,
la ricchezza è beata di farsi, per te, povera,
e peccato e perdono, ansia e riposo,
sbocciano in un fiore unico, una grande rosa doppia.
Ma la frase celeste, che la mia mente ascolta,
io ridirti non so, non c’è nota o parola.
Ti dirò: tu sei tutto il mio bene, ad ogni ora
questa grazia di amarti m’è dolce compagnia.
Potesse il mio affetto consolarti come mi consola,
o tu che sei la sola confidenza mia!
(1946)
CANTO PER IL GATTO ALVARO
Tra le mie braccia è il tuo nido,
o pigro, o focoso genio, o lucente,
o mio futile! Mezzogiorni e tenebre
son tue magioni, e ti trasformi
di colomba in gufo, e dalle tombe
voli alle regioni dei fumi.
Quando ogni luce è spenta, accendi al nero
le tue pupille, o doppiero
del mio dormiveglia, e s’incrina
la tregua solenne, ardono effimere
mille torce, tigri infantili
s’inseguono nei dolci deliri.
Poi riposi le fatue lampade
che saranno al mattino il vanto
del mio davanzale, il fior gemello
occhibello. E t’ero uguale!
Uguale! Ricordi, tu,
arrogante mestizia? Di foglie
tetro e sfolgorante, un giardino
abitammo insieme, tra il popolo
barbaro del Paradiso. Fu per me l’esilio,
ma la camera tua là rimane,
e nella mia terrestre fugace passi
giocante pellegrino. Perché mi concedi
il tuo favore, o selvaggio?
Mentre i tuoi pari, gli animali celesti
gustan le folli indolenze, le antelucane feste
di guerre e cacce senza cuori, perché
tu qui con me? Perenne, tu, libero, ingenuo,
e io tre cose ho in sorte:
prigione peccato e morte.
Tra lune e soli, tra lucenti spini, erbe e chimere
saltano le immortali giovani fiere,
i galanti fratelli dai bei nomi: Ricciuto,
Atropo, Viola, Fior di Passione, Palomba,
nel fastoso uragano del primo giorno…
E tu? Per amor mio?
AVVENTURA
per Luchino Visconti
Hai tu un cuore? La leggenda vuole che tu non l’abbia.
Al vedermi, che per te mi consumo d’amore,
tutti mi dicono: «Ah, pazza, mangiata dalle streghe, rosa dalle fole,
soldato d’imprese disperate, marinaio senza veli né remi,
dove t’avventuri? in quali deserti di sabbia,
dietro Morgane, e fuochi fatui, e larve canzonatrici
tu vuoi spegnere la tua sete nella solitaria morte!
Ah, chi ti gettò questa rete, povero pesciolino?»
Così dice la gente; ma lasciamo che dica!
A chi di te mi sparla, nemica io mi giurai.
Per te, mio santo capriccio, volto divino,
senz’armi e senza bussola sono partita.
Non v’è riposo alla speranza mai.
A difficili amori io nacqui.
Come una rosa in un giardino
d’Africa o d’Asia assai lontano,
come una bandiera alzata
in cima a una nave pirata,
come uno scudo d’argento
appeso in un barbaro tempio,
difficile splende il tuo cuore
il tuo frivolo, indolente cuore,
l’eroico, femmineo tuo cuore.
il tuo regale, intatto cuore,
il cuore dell’amore mio.
Io credo nel tuo cuore!
Le caverne terrestri son tutte una gioielleria.
Funerea primavera per le mie feste vanesie,
l’ametista viola e l’agata lunare
e i diamanti simili a rose cangianti
e il topazio vetrino, il topazio d’oro.
Hanno i cristalli aloni e code di fuoco,
mille comete e lune per la mia notte.
M’offron conchiglie i golfi, e giochi oceanici,
e il cielo boreale riposi e meditazioni.
Dolcezze ha l’aranceto, come salive d’amore,
e l’Asia graziose belve, mie tenere schiave.
Le Maestà dei re conversazioni m’accordano,
e al mio comando s’accendono circhi e teatri.
Ma alla conquista io partii d’un frutto aspro.
Il tuo cuore: altro frutto non voglio mordere.
Non voglio i doni terrestri, al mio potere mi nego.
Il solo mio volere è questa impresa!
Alla conquista d’un frutto amaro andai.
Le cose amare sono le più care.
Segreta, lo so, è la stanza del prezioso cuore ch’io cerco.
Lungo e incerto il viaggio fino al nido
di questa civetta-fenice.
Inesperta son io,
compagno né guida non ho,
ma giungerò alla camera felice
del mio bell’idolo.
Addio, dunque, parenti, amici, addio!
Prima bisogna guadare il lago stagnante
della paura,
e i Grandi Orgogli oltrepassare,
fastosa catena di rupi.
Snidare bisogna l’invidia che s’imbosca
e i mostri di gelosia mettere in fuga,
(ah, San Michele e San Giorgio, datemi il vostro scudo!)
per notti occhiute, selve purpuree,
dove incontrare potrò centauri e ippogrifi,
e bere il magico sangue dei narcisi.
Si levan poi le triplici mura di Sodoma
intorno a campo straniero
dalle sette torri merlate.
Incantare dovrò i guardiani,
riscattare le spose comprate,
e a lungo errerò per corti e fughe di scale,
fra un popolo d’echi e d’inganni
fino alla cara porta, che reca la scritta crudele:
Indietro, o pellegrina. Non riceve.
Ah, fossi alato usignolo, foss’io centaura,
ah, sirena foss’io,
foss’io Medoro o Niso,
che forse a te più amico
sarebbe il nome mio, grazioso cuore!
Invece, Lisa è il mio nome, nacque nell’ora amara
del meriggio, nel segno del Leone,
un giorno di festa cristiana.
Fui semplice ragazza,
madrina a me fu una gatta,
e alla conquista partii d’un dolce cuore.
Or che mi presentai, siimi cortese, o amore.
Di che temi, o selvatico? d’esser preso al laccio?
Ah, no, dell’amara pampa la figlia io non sono.
D’esser trafitto? Io non ho coltello, né pungiglione.
Né son io sbirra, per gettarti in carcere,
né fata, per averti compagno notte e giorno,
mutato in corvo, dentro gabbietta d’oro.
Ah, dall’impresa non giudicarmi eroe!
Leggera è la mia mente più del fuoco,
più che un riccio dei tuoi fulvi capelli.
Per la mia pena, per il tuo vinto amore,
con te soltanto un poco giocare io voglio
come una foglia scherza con l’ombra e il sole,
o una ragazza col suo gatto rosso.
E poi ti dirò addio.
Tu dirai: Lisa! supplicherai: Lisa!
Ah, Lisa! Lisa! chiamerai. Ma io
ti dirò addio.
Da: Il mondo salvato dai ragazzini e altri poemi (Einaudi, 1968)
ADDIO
Dal luogo illune del tuo silenzio
mi riscuote ogni giorno l’urlo del mattino.
O notte celeste senza resurrezione
perdonami se torno ancora a queste voci.
Io premo l’orecchio sulla terra
a un’eco assurda dei battiti sepolti.
Dietro la belva in fuga irraggiungibile
mi butto sulla traccia del sangue.
Voglio salvarti dalla strage che ti ruba
e riportarti nel tuo lettuccio a dormire.
Ma tu vergognoso delle tue ferite
mascheri i cammini della tua tana.
Io fingo e rido in un ballo disperato
per distrarti dall’orrenda mestizia
ma i tuoi occhi scolorati di sotto le palpebre
non ammiccano più ai miei trucchi d’amore.
Alla ricerca dei tuoi colori del tuo sorriso
io corro le città lungo una pista confusa.
Ogni ragazzo che passa è una morgana.
Io credo di riconoscerti, per un momento.
E mendicando rincorro lo sventolio di un ciufietto
o una maglietta rossa che scantona…
Ma tu rintanato nel tuo freddo nascondiglio
disprezzi la mia commedia miserabile.
Buffone inutile io deliro per le vie
dove ogni fiato vivente ti rinnega.
Poi, la sera, rovescio sulla soglia deserta
un carniere di piume insanguinate.
E chiedo una tenerezza al buio della stanza,
almeno una decadenza della memoria,
la senilità, l’equivoco del tempo volgare
che medica ogni dolore…
Ma la tua morte cresce ogni giorno.
E in questa piena che monta io vado e mi riavvento
in corsa dirotta, per un segno,
un punto nella tua direzione.
O nido irraggiungibile e caro,
non c’è passo terrestre che mi porti a te.
Forse fuori dai giorni e dai luoghi?
La tua morte è una voce di sirena.
Forse attraverso una perdizione? o vna grazia?
o in quale veleno? in quale droga?
forse nella ragione? forse nel sonno?
La tua morte è una voce di sirena.
Voglia di un sonno che pare una tua dolcezza
ma è stata già l’impostura dove ti ho perso!
La tua morte è una voce di sirena
che vorebbe sviarmi da te nelle sue fosse.
Forse, io devo accettare tutte le norme del campo:
ogni degradazione, ogni pazienza.
Non posso scavalcare questa rete spinata
mentre al tuo grido innocente non c’è risposta.
La tua morte è una luce accecante nella notte,
è una risata oscena nel cielo del mattino.
Io sono condannata al tempo e ai luoghi
finché lo scandalo si consumi su di me.
Io devo, qui, trescare e patteggiare con la belva
per rubarle il segreto del mio tesoro.
O pudore d’una infanzia uccisa,
perdonami questa indecenza di sopravvivere.
Tu sei partito credendo di giocare alla fuga.
Era per fare il bravo, la tua smorfia d’addio.
Al solito! Che poi ti bandisci nella tua stanzuccia
minaccioso dietro le porte sbarrate
come un gran capitano nel suo forte supremo.
Guai per l’audace che si arrischi all’assedio!
Ma ti conosco. Che invece se nessuno si arrischia
ti strazi, e piangi nella tua rabbia infantile
perché non c’è amore al mondo e ti lasciano solo.
Ma stavolta, la tua porta fu sbattuta dagli uragani.
Le piogge entrarono nel vano abbandonato
e una fanghiglia come sangue ha imbrattato i muri.
Quando eri vivo, la tua stanza era la stella del quartiere,
ricercata da tutti. E adesso
tutti ne rifuggono, come fosse appestata.
Il mio piede incíampa nella tua camiciola
che nessuno ha più raccolto da terra. Sul terrazzo
devastato dagli inverni, le piante sono morte.
Perfino i ladri hanno schifato questo tuo feudo estremo
dove infatti c’era poco di valore, da rubare!
Ritagliàti dalle riviste, i ritratti dei tuoi eroi
adornano ancora le pareti: Gautarna il Sublime,
il barbuto Fidel, Billie Holiday la suicida.
In un angolo, c’è ancora la scodella della tua gatta.
Una cravattina rossa pende nell’armadio.
Alla partenza, ti caricasti dei tuoi beni principali:
il canestro con la gatta e il fonografo a valigia.
«Il resto dei bagagli, speditelo per via mare».
Trecento volte quella nave ha ripercorso quel mare
e i tuoi tesori sono dispersi, e io sono qui, vivente.
Anche se vivo tremila anni, e se corro tutti i mari,
non posso più raggiungerti per riportarti indietro.
Lo so che tu credevi di giocare all’addio.
Era una braveria, la tua smorfia…
Ma contro una scommessa impaziente di ragazzo
è un’altra lunga agonia la posta che qui si chiede.
La ladra delle notti è una cammella cieca e folle
che gira per Sahara incantati, fuori d’ogni pista.
L’itinerario è lunatico, non c’è destinazione.
Le sabbie disfanno le tracce dei suoi furti.
Le sue pupille bianche fanno crescere miraggi
dai corpi lacerati che lei semina per le sabbie.
E i miraggi si spostano a distanze moltiplicate
irraggiungibili nei loro campi solitari.
Amputati dai corpi, si disperdono separati
senza rimedio, eterne mutilazioni.
Nessun miraggio può incontrare un altro miraggio.
Non ci sono che solitudini, dopo il furto dei corpi.
…
A P. P. P.
In nessun posto
E così,
tu – come si dice – hai tagliato la corda.
In realtà, tu eri – come si dice – un disadattato
e alla fine te ne sei persuaso
anche se da sempre lo eri stato: Un disadattato.
I vecchi ti compativano dietro le spalle
pure se ti chiedevano la firma per i loro proclami
e i “giovani” ti sputavano in faccia
perché fascisti come i loro baffi:
(già, tu glielo avevi detto, però
avevi sbagliato in un punto:
questi sono più fascisti dei loro baffi)
ti sputavano in faccia, ma ovviamente anche loro
ti chiedevano la propaganda per i loro volantini
e i soldi per le loro squadrette.
E tu non ti negavi, sempre ti davi e ti davi
E loro pigliavano e poi: “lui dà” – bisbigliavano nei loro pettegolezzi –
“per amore di se stesso”. Viva, viva
chi ama se stesso e gli altri ama come se stesso.
Loro odiano gli altri come se stessi
e in tale giustizia magari si credono
di fondare una rivoluzione.
Loro ti rinfacciavano la tua diversità
dicendo con questo: l’omosessualità.
Difatti, loro usano il corpo delle femmine
come gli pare. Liberi di usarlo come gli pare.
Il corpo delle femmine è carne d’uso
ma il corpo dei maschi esige rispetto. E come no!
Questa è la loro morale. Se una femminella di strada
avesse assassinato uno dei loro
non la giustificherebbero perché immatura.
Ma in verità in verità in verità
quello per cui tu stesso ti credevi un diverso
non era la tua vera diversità.
La tua vera diversità era la poesia.
È quella l’ultima ragione del loro odio
perché i poeti sono il sale della terra
e loro vogliono la terra insipida.
In realtà, LORO sono contro-natura.
E tu sei natura: Poesia cioè natura.
E così, tu adesso hai tagliato la corda.
Non ti curi più dei giornali– [la] preghiera del mattino – con le crisi di governo
e i cali della lira, e decretoni e decretini
e leggi e leggione. Io spero
che un’ultima sola grazia terrena ti resti ancora – per poco –
ossia ridere e sorridere. Che tu di là dove sei– ma per poco ancora – di là, dal Nessun Posto
dove ti trovi ora di passaggio –
che tu sorrida e rida dei loro profitti e speculazioni e rendite accumulate
e fughe dei capitali e tasse evase
e delle loro carriere ecc. Che tu possa riderne e sorriderne per un attimo
prima di tornartene
al Paradiso.
Tu eri un povero
E andavi sull’Alfa come ci vanno i poveri
per farne sfoggio tra i tuoi compaesani: i poveri,
nei tuoi begli abitucci da provinciale ultima moda
come i bambini che ostentano di essere più ricchi degli altri
per bisogno d’amore degli altri.
Tu in realtà questo bramavi: di essere uguale agli altri,
e invece non lo eri. DIVERSO, ma perché?
Perché eri un poeta.
E questo loro non ti perdonano: d’essere un poeta.
Ma tu ridi[ne].
Lasciagli i loro giornali e mezzi di massa
e vattene con le tue poesie solitarie
al Paradiso.
Offri il tuo libro di poesie al guardiano del Paradiso
e vedi come s’apre davanti a te
la porta d’oro
Pier Paolo, amico mio.
(1976)
Breve Biografia di ELSA MORANTE
ELSA MORANTE – nata a Roma il 18 agosto del 1912 – morì a Roma il 25 novembre 1985– la maggiore di quattro figli, figlia di Francesco Lo Monaco e Irma Poggibonsi. Elsa è cresciuta credendo che il secondo marito di sua madre, Augusto Morante, fosse suo padre. Nel 1922 a famiglia si trasferì a Monteverde Nuovo dove Elsa Morante fin da giovanissima iniziò a scrivere racconti e poesie. Dopo aver completato gli studi, lasciò la famiglia, mantenendosi dando lezioni di greco e latino. I suoi primi racconti sono stati pubblicati su riviste come Il Corriere dei Piccoli, I diritti della scuola e Oggi, alcuni di essi pubblicati con lo pseudonimo di Antonio Carrera.Grazie al pittore Capogrossi, nel 1936 conosce Alberto Moravia il grande scrittore romano, autore tra gli altri de Gli indifferenti e La noia. Il matrimonio della Morante con Alberto Moravia, oppositore del governo fascista di Mussolini, la mise in contatto con i maggiori scrittori e intellettuali italiani dell’epoca, tra cui Umberto Saba e Pier Paolo Pasolini. Le sue raccolte di poesia sono Alibi (Longanesi 1958, Garzanti 1988, Einaudi 2004) e Il mondo salvato dai ragazzini e altri poemi (Einaudi, 1968, 2006, 2012). I suoi romanzi: Menzogna e sortilegio (1948), L’isola di Arturo (1957), La storia (1974), Aracoeli (1982). Numerosi i racconti e gli scritti vari, saggi e interventi. È uno dei maggiori narratori italiani. Menzogna e sortilegio viene pubblicato nel 1948 vincendo il premio Viareggio, con L’Isola di Arturo Elsa Morante divenne la prima donna a vincere il Premio Strega.
Lorenzo Braccesi – Arrivano i barbari- Le guerre persiane tra poesia e memoria-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Lorenzo Braccesi .Arrivano i barbari-Le guerre persiane tra poesia e memoria
Descrizione del libro di Lorenzo Braccesi “Nella memoria collettiva degli antichi e nella memoria riflessa dei moderni le guerre persiane più ancora che sulla vittoria ateniese di Maratona si concentrano soprattutto sui grandi conflitti panellenici combattuti, nel 480 a.C., alle Termopili e a Salamina, cioè sugli eventi della seconda guerra persiana, che hanno per corollario gli scontri di Platea e di Micale nellanno successivo. Ed è per questa ragione considerata anche la documentazione in nostro possesso che in questo libro ci concentreremo sulla narrazione e sulla celebrazione, in esaltanti scritture poetiche, delle epiche gesta della confederazione ellenica contro la soverchiante armata di terra e di mare approntata dal Gran Re Serse per asservire le comunità greche che gli si opponevano.
Le testimonianze letterarie che ci accompagneranno nellindagine rimandano a testi poetici noti e meno noti, dagli epitaffi di Simonide o a Simonide attribuiti ai Persiani di Eschilo, dallomonimo dramma di Timoteo all’Alessandra di Licofrone. Scritture epiche o liriche cui altre vanno aggiunte non meno suggestive per carica emotiva, seppure pervenuteci in forma anonima, come le profezie di marca delfica e le commemorazioni su pietra. Le gesta ivi ricordate, o pubblicamente celebrate per edificazione della posterità, hanno per protagonisti gli Spartani alle Termopili e gli Ateniesi a Salamina, mentre scarse sono le testimonianze relative ad altre genti che pure combatterono al loro fianco.
Il principale problema che, in corso dopera, si è presentato allautore è quello delle traduzioni da proporre al lettore. Quelle a sua disposizione erano fin troppo dissimili tra loro per stilemi di scrittura, per epoca di composizione e per adozione di rese espressive. Ciò che lautore voleva, non lha trovato, giacché cercava traduzioni con un qualche andamento ritmico che le distinguesse dalla prosa, e tra loro non troppo disomogenee. E così è ricorso a una propria rivisitazione dei luoghi poetici analizzati nel libro, alternando nella fatica due tra i più discorsivi versi della metrica italiana: lendecasillabo e il settenario.
I testi presi in considerazione hanno rivelato la perenne vitalità di alcuni temi celebrativi o le insospettate, seppure talora inconsapevoli, radici classiche di alcune note canzoni patriottiche che tutti abbiamo nellorecchio. Ragione che ha spinto non solo ad approfondire la ricerca, ma addirittura a dedicargli la seconda parte del libro, dove si spiega al lettore come il tema risorgimentale della vittoria dei vinti risalga alla celebrazione delle Termopili, come sempre alla memoria delle Termopili si ispiri la celebrazione risorgimentale dei trecento immolatisi a Sapri o dei partigiani ricordati nelle parole di uno sventurato cantautore ligure, come linno garibaldino si scopron le tombe abbia un precedente in un epigramma greco, come la costruzione simbolica della idra straniera riconduca allarmata di Serse, come, infine, la triplice associazione del fiore della morte e della libertà, che rivive nella più celebre canzone della Resistenza, abbia essa pure una radice antica. A lato del paradigma terrestre dei caduti alle Termopili cè quello della vittoria marinara di Salamina, il quale con la modernità ha certamente minori connessioni di carattere popolare, ma, al pari della memoria della battaglia di Micale, più intense strumentalizzazioni di connotazione propagandistica, come ad esempio la sovrapposizione di immagine tra Temistocle e Nelson, o lequiparazione tra Persiani e Turchi, entrambi nemici e antagonisti della civiltà dellOccidente, o la spericolata politicizzazione di giovinezza, giovinezza alle origini un semplice e innocuo canto goliardico.
Queste, talora inaspettate, proiezioni dellantico, ospitate nella seconda parte del libro, hanno per riferimento la poesia e più spesso la versificazione italiana, che, per operare una scelta, abbiamo limitato a campioni selezionati nellambito della produzione letteraria dellOttocento, non escludendo presentandosi il caso qualche incursione nel secolo successivo. Non cè però scelta che non conosca eccezioni. Le nostre si limitano alla pagina di tre poeti stranieri: Hölderlin, Kavafis e Pound. I primi perché i loro componimenti su Salamina e sulle Termopili sono imprescindibili per lintelligenza di due temi guida di questa ricerca, e nel caso di Hölderlin perché, negli autori successivi, la sua scrittura poetica è fonte di ispirazione e di imitazione talora confusa con la stessa parola dellantico. Il terzo, Pound, giacché un suo solo singolo verso, seppure suggerito da unideologia distorta, sintetizza in forma mirabile lintera problematica alla base delle nostre pagine.
Ovviamente ogni selezione di materiale ha i suoi limiti, o poteva essere in altre direzioni orientata, ma questo è il condizionamento strutturale di qualsiasi scelta. Chi scrive ne avverte tutto il peso.”
Lorenzo Braccesi è stato professore ordinario di Storia greca nelle Università di Torino, Venezia e Padova.
Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI” -copia anastatica della Rivista PAN n°3 -1934-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Articolo di Ugo OJETTI: “Il Pittore Arturo TOSI” -copia anastatica della Rivista PAN n°3 -1934
Arturo Tosi (Busto Arsizio, 25 luglio 1871 – Milano, gennaio 1956). Studia alla Scuola Libera di Nudo a Brera e poi, per due anni, con Adolfo Ferraguti-Visconti, formandosi nel clima della Scapigliatura sulle opere di Ottavio Ranzoni e Tranquillo Cremona. Nel 1891 esordisce alla Permanente di Milano. Nel 1909 partecipa, per la prima volta, alla Biennale di Venezia nella quale sarà presente fino al 1954; nel 1911, espone a Monaco di Baviera ed è presente all’Esposizione Internazionale di Roma. La conoscenza dell’opera di Cézanne, del 1920, lo indirizza verso la pittura del paesaggio en plein air. Nel 1924 partecipa a Bruxelles alla mostra L’Art ltalien au Cercle Artistique, nel 1925 è tra i fondatori della corrente artistica “Novecento”, partecipando alle mostre della Permanente a Milano nel 1926 e nel 1929. Nel 1926 espone a Brighton, nel 1927 a Zurigo, Lipsia, Amsterdam e Ginevra, nel 1929 a Berlino e a Parigi, nel 1930 a Basilea, Buenos Aires e Berna, nel 1931 a Stoccolma, Baltimora e Monaco, nel 1933 a Stoccarda, Kassel, Colonia, Berlino, Dresda e Vienna. Dal 1928, alla Permanente di Milano, è membro del comitato d’onore. Nel 1931 ottiene il premio della fondazione Crespi alla I Quadriennale di Roma e, a Parigi, il Grand Prix della pittura dove torna nel 1937, per partecipare all’Esposizione mondiale. Nel 1951 il Comune di Milano gli dedica una mostra antologica premiandolo con una medaglia d’oro. Alla sua morte, la Biennale di Venezia gli dedica una mostra commemorativa, esponendo sessanta opere.
Articolo di Ugo OJETTI- Arturo TOSI Pittore-
Biografia di
–
Ugo Ojetti,Figlio della spoletina Veronica Carosi e del noto architetto Raffaello Ojetti, personalità di vastissima cultura, consegue la laurea in giurisprudenza e, insieme, esordisce come poeta (Paesaggi, 1892). È attratto dalla carriera diplomatica, ma si realizza professionalmente nel giornalismo politico. Nel 1894 stringe rapporti con il quotidiano nazionalista La Tribuna, per il quale scrive i suoi primi servizi da inviato estero, dall’Egitto.
Nel 1895 diventa immediatamente famoso con il suo primo libro, Alla scoperta dei letterati, serie di ritratti di scrittori celebri dell’epoca[1] redatti in forma di interviste, genere all’epoca ancora in stato embrionale. Scritto con uno stile che si pone fra la critica ed il reportage, il testo viene considerato, e come tale fa discutere, un momento di analisi profonda del movimento letterario dell’epoca. L’anno seguente Ojetti tiene a Venezia la conferenza “L’avvenire della letteratura in Italia”, che suscita un vasto numero di commenti in tutto il Paese.
I suoi articoli diventano molto richiesti: scrive per Il Marzocco (1896-1899), Il Giornale di Roma, Fanfulla della domenica e La Stampa. La critica d’arte occupa la maggior parte della sua produzione. Nel 1898 inizia la collaborazione con il Corriere della Sera, che si protrae fino alla morte.[2]
Tra il 1901 e il 1902 è inviato a Parigi per il Giornale d’Italia; dal 1904 al 1909 collabora a L’Illustrazione Italiana: tiene una rubrica intitolata “Accanto alla vita”, che poi rinomina “I capricci del conte Ottavio” (“conte Ottavio” è lo pseudonimo con cui firma i suoi pezzi sul settimanale). Nel 1905 si sposa con Fernanda Gobba e prende domicilio a Firenze; dal matrimonio tre anni dopo nasce la figlia Paola. Dal 1914 abiterà stabilmente nella vicina Fiesole. Invece trova nella villa paterna di Santa Marinella (Roma), soprannominata “Il Dado”, il luogo ideale in cui riposarsi, trascorrere le sue vacanze e scrivere le sue opere.
Partecipa come volontario alla prima guerra mondiale. All’inizio della guerra riceve l’incarico specifico di proteggere dai bombardamenti aerei le opere d’arte di Venezia. Nel marzo 1918 fu nominato “Regio Commissario per la propaganda sul nemico”. Fu incaricato di scrivere il testo del volantino, stampato in 350 000 copie in italiano e in tedesco, che fu lanciato il 9 agosto, dai cieli di Vienna dalla squadriglia comandata da Gabriele D’Annunzio.[3]
Nel 1920 fonda la sua rivista d’arte, Dedalo (Milano, 1920-1933), dove si occupa di storia dell’arte antica e moderna. Dall’impostazione della rivista dimostra una sensibilità e un modo di accostarsi all’arte e di divulgarla diversi dai canoni del tempo. La rivista diventa subito occasione d’incontro tra critici, intellettuali, artisti come Bernard Berenson, Matteo Marangoni, Piero Jahier, Antonio Maraini, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Pietro Toesca, Lionello Venturi e Roberto Longhi. L’idea di base della rivista è che l’opera d’arte abbia valore di testimonianza visibile della storia e delle civiltà più di ogni altra fonte. Nel 1921 avvia una rubrica sul Corriere utilizzando lo pseudonimo “Tantalo”. Tiene la rubrica ininterrottamente fino al 1939.
Sul finire del decennio inaugura una nuova rivista, Pegaso (Firenze, 1929-1933). Infine, lancia la rivista letteraria Pan, fondata sulle ceneri della precedente esperienza fiorentina. Tra il 1925 e il 1926 collabora anche a La Fiera Letteraria. Tra il 1926 ed il 1927 è direttore del Corriere della Sera.
È tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925 ed è nominato Accademico d’Italia nel 1930. Fa parte fino al 1933 del consiglio d’amministrazione dell’Enciclopedia Italiana. Ojetti organizza numerose mostre d’arte e dà vita ad importanti iniziative editoriali, come Le più belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi per l’editrice Treves e I Classici italiani per la Rizzoli. Sul significato dell’architettura nelle arti ebbe a dire:
«l’architettura è nata per essere fondamento, guida, giustificazione e controllo, ideale e pratico, d’ogni altra arte figurativa» |
La finestra di Ojetti a villa Il Salviatino con una targa che lo ricorda
Collaborò anche con il cinema: nel 1939 firmò l’adattamento per la prima edizione sonora de I promessi sposi, che costituì la base della sceneggiatura per il film del 1941 di Mario Camerini.
Aderì alla Repubblica Sociale Italiana[4]; dopo la liberazione di Roma, nel 1944, fu radiato dall’Ordine dei giornalisti. Passò gli ultimi anni nella sua villa Il Salviatino, a Fiesole, dove morì nel 1946.
Antonio Gramsci scrisse che « la codardia intellettuale dell’uomo supera ogni misura normale ». Indro Montanelli lo ricordò sul: « È un dimenticato, Ojetti, come in questo Paese lo sono quasi tutti coloro che valgono. Se io dirigessi una scuola di giornalismo, renderei obbligatori per i miei allievi i testi di tre Maestri: Barzini, per il grande reportage; Mussolini (non trasalire!), quello dell’Avanti! e del primo Popolo d’Italia, per l’editoriale politico; e Ojetti, per il ritratto e l’articolo di arte e di cultura ».
Opere
Letteratura
- Paesaggi (1892)
- Alla scoperta dei letterati: colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga (Milano, 1895); ristampa xerografica, a cura di Pietro Pancrazi, Firenze, Le Monnier, 1967.
- Scrittori che si confessano (1926),
- Ad Atene per Ugo Foscolo. Discorso pronunciato ad Atene per il centenario della morte, Milano, Fratelli Treves Editori, 1928.
- D’Annunzio. Amico · Maestro · Soldato, Firenze, Sansoni, 1957.
Storia e critica d’arte
Profondo conoscitore ed appassionato studioso d’arte, Ugo Ojetti ha pubblicato sull’argomento diversi importanti libri:
- L’esposizione di Milano (1906),
- Ritratti d’artisti italiani (in due volumi, 1911 e 1923),
- Il martirio dei monumenti, 1918
- I nani tra le colonne, Milano, Fratelli Treves Editori, 1920
- Raffaello e altre leggi (1921),
- La pittura italiana del Seicento e del Settecento (1924),
- Il ritratto italiano dal 1500 al 1800 (1927),
- Tintoretto, Canova, Fattori (1928),
- Atlante di storia dell’arte italiana, con Luigi Dami (due volumi, 1925 e 1934),
- Paolo Veronese, Milano, Fratelli Treves Editori, 1928,
- La pittura italiana dell’Ottocento (1929),
- Bello e brutto, Milano, Treves, 1930
- Ottocento, Novecento e via dicendo (Mondadori, 1936),
- Più vivi dei vivi (Mondadori, 1938).
- In Italia, l’arte ha da essere italiana?, Milano, Mondadori, 1942.
Romanzi
- L’onesta viltà (Roma, 1897),
- Il vecchio, Milano, 1898
- Il gioco dell’amore, Milano, 1899
- Le vie del peccato (Baldini e Castoldi, Milano, 1902),
- Il cavallo di Troia, 1904
- Mimì e la gloria (Treves, 1908),
- Mio figlio ferroviere (Treves, 1922).
Racconti
- Senza Dio, 1894
- Mimì e la gloria, 1908
- Donne, uomini e burattini, Milano, Treves, 1912
- L’amore e suo figlio, Milano, Treves, 1913
Teatro
- Un Garofano (1902)
- U. Ojetti-Renato Simoni, Il matrimonio di Casanova: commedia in quattro atti (1910)
Reportages
- L’America vittoriosa (Treves, 1899),
- L’Albania (Treves, 1902); nuova edizione, con cartina originale “La Grande Albania”, in Ugo Ojetti, Olimpia Gargano (a cura di), L’Albania, Milano, Ledizioni, 2017.
- L’America e l’avvenire (1905).
Raccolte di articoli
- Articoli scritti fra il 1904 e il 1908 per L’Illustrazione Italiana: I capricci del conte Ottavio (due voll., usciti rispettivamente nel 1908 e nel 1910)
- Articoli per il Corriere della Sera: Cose viste (7 voll.: I. 1921-1927; II. 1928-1943). L’opera è stata anche tradotta in lingua inglese.
Memorie e taccuini
- Confidenze di pazzi e savi sui tempi che corrono, Milano, Treves, 1921.
- Vita vissuta, a cura di Arturo Stanghellini, Milano, Mondadori, 1942.
- I Taccuini 1914-1943, a cura di Fernanda e Paola Ojetti, Firenze, Sansoni, 1954. [edizione censurata, con molti passi espunti]
- Ricordi di un ragazzo romano. Note di un viaggio fra la vita e la morte, Milano, 1958.
- I taccuini (1914-1943), a cura di Luigi Mascheroni, prefazione di Bruno Pischedda, Torino, Aragno, 2019, ISBN 978-88-841-9989-8.
Aforismi
Ojetti è celebre anche per i suoi aforismi, massime e pensieri, molti dei quali sono raccolti nei 352 paragrafi di Sessanta, volumetto scritto dall’autore nel 1931 per i suoi sessant’anni e pubblicato nel 1937 da Mondadori.
Lettere
- Venti lettere, Milano, Treves, 1931.
- Lettere alla moglie (1915-1919), a cura di Fernanda Ojetti, Firenze, Sansoni, 1964.
Intitolazioni
Presso il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi si è tenuta una mostra dedicata alle fotografia scattate per la rivista e che costituiscono il Fondo Ojetti.[7]
Note
- Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Leoy, Verga, Praga, De Roberto, Cantù, Butti, De Amicis, Pascoli, Marradi, Antona-Traversi, Martini, Capuana, Pascarella, Bonghi, Graf, Scarfoglio, Serao, Colautti, Bracco, Gallina, Giacosa, D’Annunzio.
- Lorenzo Benadusi, Il «Corriere della Sera» di Luigi Albertini, Roma, Aracne, 2012. Pag. 180.
- Vittorio Martinelli, La guerra di d’Annunzio. Da porta e dandy a eroe di guerra e “comandante”, Gasparri, Udine, 2001, p. 98 e 265.
- Renzo De Felice, Mussolini l’alleato, vol. II “La guerra civile (1943-1945)”, Einaudi, Torino, 1997, p. 112n
- A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, p. 158.
- Indro Montanelli, Il vero Ojetti da prendere a modello, Il Corriere della Sera del 13 novembre 2000
- M. Tamassia (a cura di), Spigolature dal fondo Ojetti. Immagini dalla rivista “Dedalo”, Livorno, Sillabe, 2008.
Bibliografia
- Ugo Ojetti, Una settimana in Abruzzo nell’anno 1907, a cura di Antonio Carrannante, Cerchio, Polla, 1999
- Bruno Pischedda (a cura di), La critica letteraria e il «Corriere della Sera», Fondazione Corriere della Sera, 2011, Vol. I,
- Laura Cerasi, Ugo Ojetti, « Dizionario Biografico degli Italiani », vol. 79, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2013
- Angelo Gatti, “Caporetto”, Il Mulino, Bologna 1964.
Breve biografia dell’Artista TOSI Arturo
Arturo Tosi (Busto Arsizio, 25 luglio 1871 – Milano, gennaio 1956). Studia alla Scuola Libera di Nudo a Brera e poi, per due anni, con Adolfo Ferraguti-Visconti, formandosi nel clima della Scapigliatura sulle opere di Ottavio Ranzoni e Tranquillo Cremona. Nel 1891 esordisce alla Permanente di Milano. Nel 1909 partecipa, per la prima volta, alla Biennale di Venezia nella quale sarà presente fino al 1954; nel 1911, espone a Monaco di Baviera ed è presente all’Esposizione Internazionale di Roma. La conoscenza dell’opera di Cézanne, del 1920, lo indirizza verso la pittura del paesaggio en plein air. Nel 1924 partecipa a Bruxelles alla mostra L’Art ltalien au Cercle Artistique, nel 1925 è tra i fondatori della corrente artistica “Novecento”, partecipando alle mostre della Permanente a Milano nel 1926 e nel 1929. Nel 1926 espone a Brighton, nel 1927 a Zurigo, Lipsia, Amsterdam e Ginevra, nel 1929 a Berlino e a Parigi, nel 1930 a Basilea, Buenos Aires e Berna, nel 1931 a Stoccolma, Baltimora e Monaco, nel 1933 a Stoccarda, Kassel, Colonia, Berlino, Dresda e Vienna. Dal 1928, alla Permanente di Milano, è membro del comitato d’onore. Nel 1931 ottiene il premio della fondazione Crespi alla I Quadriennale di Roma e, a Parigi, il Grand Prix della pittura dove torna nel 1937, per partecipare all’Esposizione mondiale. Nel 1951 il Comune di Milano gli dedica una mostra antologica premiandolo con una medaglia d’oro. Alla sua morte, la Biennale di Venezia gli dedica una mostra commemorativa, esponendo sessanta opere.
Corrado Govoni-Poesie-Editore Mondadori-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Biografia di Corrado Govoni (Copparo, 29 ottobre 1884 – Lido dei Pini – Anzio, 20 ottobre 1965) è stato un poeta italiano. Dopo una prima esperienza crepuscolare aderì al futurismo, staccandosene in seguito per tentare la prosa e il teatro. Govoni nacque a Tamara, una frazione del comune di Copparo, da una famiglia di agricoltori benestanti, e senza compiere studi regolari iniziò a lavorare nell’azienda familiare. Esordì giovanissimo, già nel 1903, pubblicando a sue spese due raccolte di versi intitolati Le fiale e Armonie in grigio et in silenzio, presso la casa editrice Lumachi di Firenze, nelle quali prevalgono i toni crepuscolari. Dopo la pubblicazione de Le fiale, si dedicò soprattutto all’attività di scrittore collaborando alle riviste Poesia, Lacerba, e Riviera Ligure diretta da Mario Novaro. Le raccolte che seguirono nel 1905 e 1907, Fuochi d’artificio e Gli aborti, segnano l’inizio del suo accostarsi al futurismo. Dopo il trasferimento a Milano, capitale dell’avanguardia, strinse rapporti con Marinetti e aderì con entusiasmo al movimento. Ma non fu un’adesione vera e propria: nonostante qualche concessione al gusto futurista nelle successive raccolte, Poesie elettriche del 1911 e Rarefazioni e parole in libertà del 1915, egli stesso definì tale adesione “un gioco”, e la sua poesia restò essenzialmente ispirata alla natura e alla vita dei sensi. Nel frattempo si era sposato con una donna di nome Teresa, dalla quale avrebbe avuto tre figli: Aladino, Ariele e Mario. Ne L’inaugurazione della primavera, del 1915, il rapporto fra sensi e cose si fa particolarmente evidente, e il poeta supera anche il crepuscolarismo di maniera per attingere a un crepuscolarismo intimo, personale. Dal 1916 divenne collaboratore della rivista napoletana Diana che fu una delle prime ad aprirsi all’esperienza ermetica. Nello stesso anno, ritornato a Ferrara, fu costretto a vendere i suoi poderi e a dedicarsi ai mestieri più vari. Il primo periodo govoniano si conclude con l’antologia da lui curata e intitolata Parole scelte, pubblicata a Ferrara da Taddei nel 1920. Nel 1919 si era trasferito a Roma, dove, dopo la rivoluzione fascista, ottenne un impiego al Ministero della Cultura popolare. Per qualche anno fu vicedirettore della sezione del libro alla SIAE, poi segretario del Sindacato Nazionale Scrittori e Autori. Sono questi gli anni delle sue migliori opere narrative. Grato al fascismo per l’opportunità di lavoro, scrisse un poemetto in lode a Mussolini, ciò nonostante il figlio Aladino fu fucilato dai tedeschi alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. Nacque quindi Aladino (1946): un Govoni diverso, sconvolto dalla tragedia, che esprime il suo dolore con toni duri e talora violenti. Nel dopoguerra lo scrittore si trovò in precarie condizioni economiche e dopo un periodo di disoccupazione accettò un impiego presso un ministero come protocollista, trascorrendo la sua vita tra la capitale e Marina di Tor San Lorenzo. Negli ultimi anni della sua vita Govoni diresse la rivista Il sestante letterario da Lido dei Pini, presso Roma, dove dimorava. Qui, segnato da una malattia agli occhi che lo aveva quasi condotto alla cecità, si spense nel 1965.Fonte- Wikipedia
Piero Rattalino-Sergej Prokofiev- La vita, la poetica, lo stile -Zecchini Editore- Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Piero Rattalino-Sergej ProkofievVarese
DESCRIZIONE del libro di Piero Rattalino-Sergej Prokofiev–Se si scorre il catalogo delle opere di Prokofiev si capisce subito quanto vasti fossero i suoi interessi di creatore: opere, musiche di scena, sinfonie, concerti, lavori sinfonico-corali, da camera, solistici. Nessun grande compositore del Novecento, e nemmeno dell’Ottocento, presenta una così ampia sventagliata di generi trattati o, meglio, nessuno ha lasciato tracce profonde in ogni campo della musica. Per trovare un altro Prokofiev bisogna risalire al Settecento e imbattersi in Mozart. Sia Mozart sia Prokofiev sono innanzitutto drammaturghi e in ogni fase della loro attività compongono opere liriche. Ma, al contrario di un Verdi o di un Wagner, non concentrano nel teatro tutto il loro impegno creativo. I tempi di Prokofiev non sono in verità i tempi di Mozart. Il pubblico del Settecento “consuma” almeno al 90% musica contemporanea e chiede al compositore novità e novità, il pubblico del Novecento è soprattutto consumatore di musica stagionata e chiede all’interprete ciò che l’avido dente del tempo non ha potuto sgretolare. Perciò Prokofiev, peraltro fecondissimo creatore, compone molto meno di Mozart. Però è “mozartiano” di spirito e si misura anche in un campo, la musica da film, che per ragioni anagrafiche non compariva nel cosmo mozartiano. Possiamo d’altra parte dar per certo che, se fosse stato al servizio di un principe-arcivescovo, Prokofiev avrebbe scritto musica sacra in quantità. Musicisti, entrambi, intus et in cute. Entrambi, ben consci del loro genio, arroganti in quanto uomini. Tormentati entrambi in vita, entrambi indomabili, entrambi, in senso lato, libertini di spirito. Di Mozart sappiamo ormai tutto quel che era possibile sapere. Di Prokofiev non ancora. Ma è compito imprescindibile del XXI secolo studiarlo e capirlo.