
Premi Letterari

Denise Levertov-Poesie da Collected Poems-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Denise Levertov-Poesie da Collected Poems
traduzione di Paola Splendore
Denise Levertov (1923-1997)-Nata e cresciuta in Inghilterra, ma trasferita negli Stati Uniti nel 1947, Denise Levertov (1923- 1997) è una voce importante del canone poetico nordamericano del ventesimo secolo, e tuttavia ancora non ben conosciuta in Italia. Il corpus completo della sua opera è stato raccolto nel 2013 in un volume di oltre mille pagine, Collected Poems (a cura di P. A. Lacey e A. Dewey per New Directions), consentendo per la prima volta uno sguardo complessivo sulla molteplicità delle forme e dei registri poetici impiegati, da quello autobiografico-confessionale a quello di ispirazione etica e religiosa, dalla poesia di impegno e testimonianza civile alla riflessione sul lavoro poetico.Le poesie proposte, tratte da due raccolte degli anni ottanta del Novecento, accentuano un motivo profondo e pervasivo di tutta la sua opera : l’osservazione, l’ascolto, l’empatia con il mondo naturale – animali, alberi, montagne, laghi – creature viventi e senzienti, a volte trasfigurate in senso antropomorfico e metapoetico, la cui esistenza è spesso minacciata dall’opera di distruzione dell’uomo. Motivo, o assillo, che diventa dominante negli ultimi anni della vita di Levertov, in coincidenza con il suo trasferimento a Seattle, dove vive in prossimità del lago Washington e del gigantesco vulcano Rainier, presenza viva e misteriosa di molte sue poesie.
Creare la pace
Una voce dal buio gridò,
“I poeti devono donarci
immaginazione di pace, per scacciare la violenta, consueta
immaginazione del disastro. Pace, non solo
l’assenza di guerra”.
Ma la pace, come una poesia,
non esiste prima di esserci,
non si può immaginare prima che sia creata,
non si può conoscere se non
nelle parole di cui è fatta,
grammatica di giustizia,
sintassi di mutuo soccorso.
Un’ impressione,
la vaga intuizione di un ritmo, è tutto quello che abbiamo
finché non cominciamo a pronunciarne le metafore,
a scoprirle mentre parliamo.
Un verso di pace potrebbe forse
nascere
se riformuliamo la frase della nostra esistenza,
cancelliamo la sua riaffermazione di profitto e potere,
mettiamo in discussione i nostri bisogni, ci prendiamo
lunghe pause . . .
Un ritmo di pace potrebbe forse reggersi
su quel fulcro diverso; la pace, una presenza,
un campo di forza più intenso della guerra,
potrebbe allora palpitare,
strofa dopo strofa nel mondo,
ogni gesto di vita
una sua parola, ogni parola
un fremito di luce – facce
del cristallo che si va formando.
da Collected Poems, New Directions, 2013
traduzione di Paola Splendore
Toccare il centro
“Sono un paesaggio” dice lui
“un paesaggio e una persona che cammina in quel paesaggio.
Ci sono dirupi spaventosi qui,
e pianure appagate dalla loro
bruna monotonia. Ma soprattutto
ci sono foibe, luoghi
di terrore improvviso, di corto diametro
e infida profondità”.
“Lo so”, dice lei. “Quando vado
a passeggiare dentro me, come capita
un bel pomeriggio, senza pensarci,
presto o tardi arrivo dove falasco
e mucchi di fiori bianchi, ruta forse,
segnano la palude, e so che lì
ci sono pantani che possono tirarti
giù, farti affondare nel fango gorgogliante”.
“Avevamo un vecchio cane, dice lui, quand’ero ragazzo”,
un buon cane, socievole. Ma aveva una ferita
sulla testa, se ti capitava
di toccarla appena, saltava su con un guaito
e ti azzannava. Diede un morso a un bambino,
e dovettero portarlo dal veterinario e abbatterlo”.
“Nessuno sa dove si trova” dice lei,
“e nessuno la tocca neppure per sbaglio.
È dentro il mio paesaggio, e io sola, mentre avanzo
ansiosa nella vita, tra le mie colline,
dormendo sul muschio verde dei miei boschi,
inavvertitamente la tocco,
e mi avvento contro me stessa -“
“oppure mi fermo
appena in tempo”.
“Sì, impariamo a farlo.
Non è di paura, ma di dolore che parliamo:
quei punti dentro noi, come la testa ferita del tuo cane,
feriti per sempre, che il tempo
mai lenisce, mai.”
Zeroing In
“I am a landscape,” he said,
“a landscape and a person walking in that landscape.
There are daunting cliffs there,
And plains glad in their way
Of brown monotony. But especially
There are sinkholes, places
Of sudden terror, of small circumference
And malevolent depths.”
“I know,” she said. “When I set forth
To walk in myself, as it might be
On a fine afternoon, forgetting,
Sooner or later I come to where sedge
And clumps of white flowers, rue perhaps,
Mark the bogland, and I know
There are quagmires there that can pull you
Down, and sink you in bubbling mud.”
“We had an old dog,” he told her, “when I was a boy,
A good dog, friendly. But there was an injured spot
On his head, if you happened
Just to touch it he’d jump up yelping
And bite you. He bit a young child,
They had to take him to the vet’s and destroy him.”
“No one knows where it is,” she said,
“and even by accident no one touches it:
It’s inside my landscape, and only I, making my way
Preoccupied through my life, crossing my hills,
Sleeping on green moss of my own woods,
I myself without warning touch it,
And leap up at myself”
“or flinch back
Just in time.”
“Yes, we learn that
It’s not terror, it’s pain we’re talking about:
Those places in us, like your dog’s bruised head,
That are bruised forever, that time
Never assuages, never.”
*
Presagio
Basta con questi rami, questa luce.
Il cielo, anche se azzurro, mi intralcia.
Da quando ho cominciato a capire
di avere altro da fare,
non so più stare dietro al ritmo
dei giorni col passo agile degli altri inverni.
L’albero svettante,
quello che l’alba tingeva d’oro
è stato abbattuto – quel fervore di uccelli e cherubini
soffocato. La siccità ha scurito
più di una foglia verde.
Da quando
so che un altro desiderio ha cominciato
a proiettare i suoi lacci fuori di me
in un luogo ignoto, mi protendo
in un silenzio quasi presente,
inafferrabile tra i battiti del cuore.
Intimation
I am impatient with these branches, this light.
The sky, however blue, intrudes.
Because I’ve begun to see
there is something else I must do,
I can’t quite catch the rhythm
of days I moved well to in other winters.
The steeple tree
was cut down, the one that daybreak
used to gild – that fervor of birds and cherubim
subdued. Drought has dulled
many a green blade.
Because
I know a different need has begun
to cast its lines out from me into
a place unknown, I reach
for a silence almost present,
elusive among my heartbeats.
*
Due montagne
“Avvertire l’aura di una cosa che guardiamo significa
dotarla della capacità di rispondere al nostro sguardo.”
Walter Benjamin
Per un mese (un attimo)
ho vissuto accanto a due montagne.
Una era solo un bastione
di roccia pallida. ‘Una facciata di roccia’ si dice
senza pensare a un’espressione o a un volto –
un’astrazione.
Ma si dice anche
‘un uomo dal volto di pietra’, oppure ‘si è chiusa
in un silenzio di pietra.’ Questa montagna,
avesse avuto occhi, avrebbe sempre guardato
oltre o attraverso; la bocca, ne avesse avuta
una, avrebbe stretto le labbra sottili,
implacabile, senza concedere niente, proprio niente.
L’altra montagna emanava
un silenzio tutto diverso.
Può essere che (da me non avvertita)
cantasse, addirittura.
Burroni, foreste, nudi picchi di roccia, obliqui, fuori centro,
in un elegante cono acuto o corno, avevano l’aria
di provare piacere, piacere di esistere.
Questa la guardavo e riguardavo
senza trovare
un modo per convincerla a incontrare il mio sguardo.
Dovetti accettare la sua totale indifferenza,
la mia totale insignificanza,
essere
inconoscibile per la montagna
come un ago di pino o di abete
sui suoi lontani pendii, per me.
Two Mountains
“To perceive the aura of an object we look at means to invest it
with the ability to look at us in return.”
Walter Benjamin
For a month (a minute)
I lived in sight of two mountains.
One was a sheer bastion
of pale rock. ‘A rockface’, one says,
without thought of features, expression –
it’s an abstract term.
But one says, too,
‘a stony-faced man’, or ‘she maintained
a stony silence.’ This mountain,
had it had eyes, would have looked always
past one or through one; its mouth,
if it had one, would purse thin lips,
implacable, ceding nothing, nothing at all.
The other mountain gave forth
a quite different silence.
Even (beyond my range of hearing)
it may have been singing.
Ravines, forests, bare rock that peaked, off-center
in a sharp and elegant cone or horn, had an air
of pleasure, pleasure in being.
At this one I looked and looked
but could devise
no ruse to coax it to meet my gaze.
I had to accept its complete indifference,
my own complete insignificance,
my self
unknowable to the mountain
as a single needle of spruce or fir
on its distant slopes, to me.
Denise Levertov (1923-1997)-Nata e cresciuta in Inghilterra, ma trasferita negli Stati Uniti nel 1947, Denise Levertov (1923- 1997) è una voce importante del canone poetico nordamericano del ventesimo secolo, e tuttavia ancora non ben conosciuta in Italia. Il corpus completo della sua opera è stato raccolto nel 2013 in un volume di oltre mille pagine, Collected Poems (a cura di P. A. Lacey e A. Dewey per New Directions), consentendo per la prima volta uno sguardo complessivo sulla molteplicità delle forme e dei registri poetici impiegati, da quello autobiografico-confessionale a quello di ispirazione etica e religiosa, dalla poesia di impegno e testimonianza civile alla riflessione sul lavoro poetico.Le poesie proposte, tratte da due raccolte degli anni ottanta del Novecento, accentuano un motivo profondo e pervasivo di tutta la sua opera : l’osservazione, l’ascolto, l’empatia con il mondo naturale – animali, alberi, montagne, laghi – creature viventi e senzienti, a volte trasfigurate in senso antropomorfico e metapoetico, la cui esistenza è spesso minacciata dall’opera di distruzione dell’uomo. Motivo, o assillo, che diventa dominante negli ultimi anni della vita di Levertov, in coincidenza con il suo trasferimento a Seattle, dove vive in prossimità del lago Washington e del gigantesco vulcano Rainier, presenza viva e misteriosa di molte sue poesie.
Paola Splendore ha insegnato Letteratura inglese all’Università Orientale di Napoli e all’Università di Roma Tre, occupandosi in prevalenza di letterature post-coloniali e di letteratura migrante. Tra le sue aree di studio vi è anche la rappresentazione letteraria della violenza nella narrativa scritta da donne. Ha pubblicato saggi sull’opera di scrittori indiani, sudafricani e caraibici, oltre ad aver curato le edizioni italiane di opere di Virginia Woolf, del filosofo Raymond Williams e del premio Nobel J.M. Coetzee. Per Donzelli ha tradotto poesie di Sujata Bhatt (Il colore della solitudine, 2005), Ingrid de Kok (Mappe del corpo, 2008), Karen Press (Pietre per le mie tasche, 2012) e Moniza Alvi (Un mondo diviso, 2014); ha inoltre curato con Jane Wilkinson l’antologia di poesia sudafricana Isole galleggianti (2011) e tradotto una raccolta di poesie di Jo Shapcott (Della mutabilità, 2015). Dal 2016 a oggi ha coordinato il gruppo di traduttrici di un poemetto di Philip Schultz (Erranti senza ali) e ha curato le edizioni italiane di sillogi poetiche di Hardi Choman (La crudeltà ci colse di sorpresa, 2017), Philip Schultz (Il dio della solitudine, 2018) e Ruth Padel (Variazioni Beethoven, 2021).
ORTONA-Concorso Francesco Paolo Tosti 2024 -Vince il soprano Alessia Panza-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
ORTONA-Concorso Francesco Paolo Tosti 2024 -Vince il soprano Alessia Panza-
Ortona, 02 dicembre 2024 – Il soprano Alessia Panza, è la vincitrice della settima edizione del Concorso di canto Francesco Paolo Tosti. Ha conquistato anche il premio del Japan Tosti Institute.
La giuria del concorso, presieduta da Nazzareno Carusi (pianista e consigliere di amministrazione del Teatro e della Filarmonica della Scala) e composta da Carlo Fontana (presidente di Impresa Cultura Italia e già sovrintendente del Teatro alla Scala, Kaveh Daneshmand (musicista e fondatore di Toret Artist Management), Michele Gamba (direttore d’orchestra e pianista), Paola Leolini (soprano, docente di canto), Alberto Mattioli (critico musicale) ha poi assegnato il secondo posto a Romina Cicoli (soprano anche lei) e il terzo al baritono Shogo Mori. Il premio giovane “Francesco Samvitale” è andato a Simone Fenotti, il premio migliore aria d’opera a Kim Jihye, mezzosoprano. Non è stato assegnato il primo premio per i pianisti; al secondo posto si è classificato Carlo Martiniello e al terzo Kim Jihye.
Due giorni di selezioni, poi le semifinali e la grande serata finale hanno nuovamente trasformato Ortona nella capitale della musica vocale da camera, più conosciuta come romanza, di cui Tosti è stato autore sublime.
Un concorso particolare, per le alte qualità che vengono richieste nell’interpretazione di un repertorio complesso, che ha però avuto il riscontro di un’importante partecipazione sia da parte degli artisti che del pubblico.
“Una grande occasione anche per l’Abruzzo – sottolinea Remo Di Martino, presidente dell’Istituto Nazionale Tostiano di Ortona – che torna a celebrare uno dei suoi figli più illustri. Noi non siamo solo custodi della memoria di una figura artistica eccezionale, ma siamo i testimoni quotidiani della sua attualità. La qualità dei partecipanti al concorso di quest’anno, che torna dopo la sosta forzata del periodo di emergenza sanitaria, conferma che la musica vocale da camera è un patrimonio condiviso con la grande cultura internazionale. Abbiamo avuto concorrenti arrivati da Cina, Armenia, Grecia, Giappone, Cina Popolare, Russia, Sud Corea e Repubblica Ceca, oltre che da molte regioni italiane, tutti artisti che si sono confrontati con un repertorio che richiede solide doti interpretative. Sono giovani che hanno talento, studiano e coltivano un sogno e che ad Ortona hanno trovato l’opportunità di farsi ascoltare da una giuria molto qualificata. All’Istituto Tostiano resta l’orgoglio di aver lavorato in questi mesi per restituire all’Abruzzo un appuntamento di altissimo livello internazionale, che guarda al futuro, con quella fiducia che solo l’amore per l’arte può dare”.
“Spero che la bellissima finale di ieri sera – afferma il maestro Roberto Rupo, vicepresidente dell’Istituto Tostiano – sia l’inizio del rilancio di un’istituzione come l’Istituto Nazionale Tostiano che la città e chi l’amministra (e l’amministrerà) dovrebbe considerare un bene comune da preservare, un gioiello di famiglia del quale essere orgogliosi. Grazie alla prestigiosa giuria guidata dal Mº Nazzareno Carusi al quale va la più profonda riconoscenza mia e dell’istituzione che mi onoro di rappresentare”.
Torrevecchia Teatina – (CH), Grandissimo successo per la Prima Nazionale dell’Orchestra Poetica al MLA/Museo Lettera d’Amore-Biblioteca DEA SABINA
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Torrevecchia Teatina – (CH)
Grandissimo successo per la Prima Nazionale dell’Orchestra Poetica al MLA/Museo Lettera d’Amore-
Grandissimo successo per la Prima Nazionale dell’Orchestra Poetica al MLA/Museo Lettera d’Amore – Grandissimo successo e partecipazione di pubblico sabato 30 novembre al MLA/Museo Lettera d’Amore (Torrevecchia Teatina – CH), per la PRIMA NAZIONALE del progetto “Orchestra Poetica – la nostra musica è cuore di parole” direzione a cura di Beniamino Cardines. Ospite d’onore della serata lo scrittore Remo Rapino che ha intrattenuto il pubblico magistralmente in conversazione con Massimo Pamio e Beniamino Cardines.
La serata, come ha illustrato la dott.ssa Antonella Crudo della Sovraintendenza alle Belle Arti, è stata inserita nell’ambito del Piano di Valorizzazione del Ministero della Cultura 2024.
In collaborazione con il “Premio Lettera d’Amore”, sono state orchestrate alcune “Lettere d’amore e altre parole dal cuore”, lettere scritte da: Remo Rapino (Premio Campiello 2020), Beniamino Cardines (Premio Autore dell’Anno 2023), Paolo Cirulli, Silvia Di Lorenzo, Omar D’Anastasio, Rodolfo Palermo, Giorgio Gazzolo, Nicola Dragani, Lorella Santeusanio. Accompagnamento al contrabbasso a cura di Luigi Blasioli.
Orchestra Poetica con: Beniamino Cardines, Rosamaria Binni, Franca Berardi, Maria Gabriella Ciaffarini, Manuela Di Dalmazi, Sandra De Felice, Antonella Caggiano, Giulia Madonna, Lucia Magistro, Mara Motta, Annarita Pasquinelli, Caterina Franchetta, Francesca Di Giuseppe, Antonella D’Arrezzo, Maria Grazia Genova, Alessandro Palomba, Alessio Scancella, Patrizia Splendiani. Coordinamento: Annarita Pasquinelli Michetti. Supervisor: Masimo Pamio e Giuseppina Verdoliva. Regia/direzione artistica: Beniamino Cardines.Un progetto che vuole portare la voce della poesia nella vita di tutti i giorni come forma d’arte e linguaggio dialogante. A formare l’Orchestra Poetica un nucleo di poeti e poetesse pluripremiati in concorsi nazionali e apprezzati in tutt’Italia, ovvero alcune delle voci più interessanti della poesia abruzzese contemporanea.
Massimo Pamio, ideatore e direttore MLA: “Da oltre 20 anni riceviamo lettere d’amore da tutte le parti del mondo, questo vuol dire che c’è ancora chi vive l’amore e chi scrive l’amore. Il MLA/Museo Lettera d’Amore a Torrevecchia Teatina, è la piccola grande casa di questo progetto unico al mondo e molto apprezzato dai turisti internazionali che arrivano da noi alla ricerca della meraviglia che solo l’amore può suscitare. Il nostro archivio continua crescere di giorno in giorno come anche i molti riconoscimenti istituzionali che fanno di questo progetto un fiore all’occhiello della cultura.”
Beniamino Cardines, direttore artistico Orchestra Poetica: “La letteratura ci aiuta a costruire un mondo e la comprensione del mondo. Ciò che leggiamo diventa nostro patrimonio personale, una sorta di sistema immunitario parallelo. Senza la letteratura ci troveremmo di fronte a una regressione antropologica. L’Orchestra Poetica è un progetto innovativo, ideato per dare ulteriore slancio alla promozione della letteratura, oggi. Proponiamo delle parole da ascoltare, parole che si muovono nella coralità dei suoni e delle voci, dell’espressività. Un progetto performativo sulla letteratura che nasce oggi per restituire un cuore a molte parole sprecate.”
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Luca Tommasi –Poesie Inedite pubblicate dalla Rivista Atelier-Biblioteca DEA SABINA
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Luca Tommasi –Poesie Inedite-
Rivista Atelier-Fotografia di Lena Leander Kaschnig
Luca Tommasi (Bari, 1991) è Architetto e Dottore di ricerca in Composizione Architettonica e Urbana. Cura l’identità visiva della libreria Millelibri – Poesia & altri mondi. Ha pubblicato una raccolta di haiku e piccole tirature di libri d’arte.
molti i semi molti i fiori morto il bel canto
il culto continua ma fuori dalla finestra
dentro le campane suonano in cella
aorta ferrata trasporto ver sacro
*
La notte come un telo
potrebb’esser ampio lenzuolo
e non l’avvicendarsi delle piccole ombricole
che nel suono si fanno uova nate
una macchina si è affranta sul marciapiede
di mattina l’asfalto è tutto specchio
un vecchietto aveva forse scritto
una carezza sul viso a una carcassa
sembrava come dire il rosso
a un uomo di fango.
*
Ocra essere un tubero
come l’oro dal terriccio
inavvicinabile quando vicino
alla morte e coi corni viola
senz’ossa diventare tutto frutto
oppure come faceva il nonno
a casa si chiama cucumarazzo
farsi cibo senza pelle e figli
superare acerbo la maturità, fresco.
*
COSÌ POTRÒ GUARDARTI LE FESSURE
Qualcuno avrebbe potuto mettere
i fiori nel vaso della ricotta
come a dire terra espungimi
mostra fuori l’approvvigionamento
non si va dove una casa è come la casa
la cintola ammira lo spazio cerimoniale
appunta il trionfo sopra l’omero
vittoria della vita rudimento.
*
Tra un po’ sarà finito
il tempo della calendula
la persiana rafferma un rettangolo spanciato
quadro urbano dell’agosto fatto acqua
il suono è lontano – lo si ascolta dalla schiena
la finestra è aperta, guarda al mezzo:
sarà smessa l’ora che noi
in un poco avemmo in dote.
Luca Tommasi (Bari, 1991) è Architetto e Dottore di ricerca in Composizione Architettonica e Urbana. Cura l’identità visiva della libreria Millelibri – Poesia & altri mondi. Ha pubblicato una raccolta di haiku e piccole tirature di libri d’arte.
La rivista «Atelier»
http://www.atelierpoesia.it
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi
Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online
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Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
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Direttore: Giovanna Rosadini
Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
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La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale e si occupa di letteratura contemporanea.
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Per tutte le comunicazioni e proposte per Atelier Online, sia di pubblicazione di inediti che di recensioni vi preghiamo di scrivere al seguente indirizzo mail di direzione: eleonorarimolo@gmail.com
Lettere a Pier Paolo Pasolini e altri inediti -A cura di Massimo Raffaeli-Biblioteca DEA SABINA
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Lettere a Pier Paolo Pasolini e altri inediti –
-A cura di Massimo Raffaeli-Giometti & Antonello
Quarta di copertina del libro lettere a Pier Paolo Pasolini-Sii generoso, ti prego, tu che sei marxista, con la mia gioia decadente. Per conto mio, non mi resta che augurarti nuovi linciaggi, nuovi processi, nuovi guai: che l’ingiustizia pubblica possa riconsegnarti, intatta, la tua «sognante vita interiore» (Kafka) e che tu abbia il tempo per ricordare di darmi quella sceneggiatura che mi hai promesso (perché è proprio ora). Con allegria,
Il libro sarà In libreria dal 6 dicembre 2024
Risvolto-del libro Lettere a P. P. Pasolini a cura di Massimo Ferretti- Nonostante i quasi quarant’anni trascorsi dalla sua pubblicazione, il volume delle Lettere a Pier Paolo Pasolini mantiene tuttora, a rileggerlo, la freschezza primitiva di un carteggio (tra i più compiuti e i più belli, oltretutto, dell’epistolario pasoliniano) dove prende corpo l’amicizia o anzi il vergiliato fra un autore di nativa vocazione socratica, che ha appena attinto la sua prima maturità, ed uno invece giovanissimo, l’adolescente segnato dalla malattia e da un’inquietudine perpetua come un personaggio di Thomas Mann. Nel loro rapporto breve e persino violento, dove ognuno pare oscuramente rivolgersi alla parte più introversa e lacerata dell’altro, si consuma uno straziante rito di reciproca cognizione di sé che si interrompe, deragliando, proprio nel momento dell’effettivo e rispettivo auto-riconoscimento. Poi entrambi vorranno prodigare a vicenda gli ossimori della amicizia appassionata e del susseguente disamore, quando colui che aveva detto nel ’55 al suo giovane e ignoto corrispondente «sei un mistero davvero appassionante» (poi per contrappasso, alla fine, «sei un fascista che vuole morire») si sentirà ritrarre da costui come un individuo «meravigliosamente affascinato dal solo bene del mondo: la corruzione».
Dal Poscritto alla nuova edizione di Massimo Raffaeli
Il libro sarà In libreria dal 6 dicembre 2024
— Giometti & Antonello-Corso Matteotti, 22-2462100 Macerata-tel +39(0)3334766150www.giometti-antonello.it
Pier Paolo Pasolini: riassunto della vita, le opere più importanti e il pensiero del poeta, regista e giornalista tra i maggiori artisti del Novecento. Pier Paolo Pasolini nacque nella città di Bologna nell’anno 1922 ed impiegò la maggior parte della sua adolescenza proprio nella sua città di origine, ottenendo la laurea in lettere all’università di Bologna. In seguito alla guerra, egli si trasferì nella regione del Friuli Venezia Giulia e successivamente nel 1949 si spostò a Roma dove occupò il resto della sua vita. Pasolini morì nella città di Roma. La sua attività di scrittore è stata particolare, egli è considerato una persona osservatrice riguardante il cambiamento che è avvenuto in Italia nel periodo dopo la guerra e le sue opere hano sempre fatto scaturire discussioni e contrasti.
Lo scrittore Pasolini può essere considerato uno dei maggiori e più significativi autori contemporanei poiché produsse molteplici raccolte letterarie poetiche, tra cui possiamo ricordare “Poesie a Casarsa” che rappresenta una raccolta di liriche composte in dialetto friulano; “La meglio gioventù”, “Le ceneri di Gramsci”, “Il canto popolare”.
Soprattutto le Poesie di Casarsa e La meglio gioventù sono invase da una corrente autobiografica in modo particolare. “Ragazzi di vita” suscitò in quegli anni molto scalpore in quanto l’argomento che venne trattato era l’omosessualità e la prostituzione maschile. Molti attacchi e polemiche nacquero all’uscita di questo romanzo che trattava per l’opinione pubblica un tema scandaloso.
L’opera dal titolo “La religione del mio tempo” rappresenta la sua controversia originale e personale contro ogni assioma e principio politico o religioso che venga a confinare le indipendenze importantissime dell’essere umano. La sua opera poetica e letteraria è particolarmente penetrata da una complicata capacità creativa artistica ed umana infatti vengono approfonditi temi quali la celebrazione del mondo originario, l’ambizione ad una visione storica e ragionevole della realtà e la necessità di adesione umana.
Nota opera letteraria di Pasolini è sicuramente “Trasumanar e organizzar” composta nel 1971, essa rappresenta una famosa raccolta di poesie e composizioni poetiche che si possono considerare delle testimonianze private e letterarie; vi sono dichiarazioni personali e linguistiche. L’opera “La nuova gioventù” rappresenta la seconda parte della “La meglio gioventù” ed essa riprende gli stessi argomenti poetici della composizione precedente confermandoli e modificandoli però in qualche modo nella forma.
Pier Paolo Pasolini che fu continuamente indirizzato verso una cultura letteraria di tipo sperimentale scrisse anche importanti opere di carattere più narrativo come “Ragazzi di vita”, “Una vita violenta” e “Il sogno di una cosa”. Quest’ultima opera è un romanzo alquanto immaturo ed inesperto di Pier Paolo Pasolini ma particolarmente incantevole, in cui l’autore rappresenta ed esprime le insufficienti e povere condizioni in cui vivono i contadini che risiedono nella regione italiana del Friuli Venezia Giulia negli anni successivi alla guerra.
Il poema dal titolo “Una vita violenta” invece possiede un’espressione ed una forma realistica, in cui la descrizione dinamica ed energica del mondo popolare e popolano che risiede nei villaggi e borghi della città di Roma e l’esposizione e l’enunciazione delle vicende e della storia personale e psicologica del personaggio principale del romanzo nella sua graduale presa di consapevolezza, si traspongono in scritti di sofferente e brusca partecipazione e trasporto poetico. Le opere di Pier Paolo Pasolini sono caratteristiche del periodo storico che fa parte della letteratura del Novecento con le sue peculiarità espressive e stilistiche. Egli può essere considerato infatti, a tutti gli effetti, uno dei principali e più importanti esponenti della letteratura italiana del Novecento.
David Maria Turoldo “il Resistente” a cura ANPI Franciacorta-Biblioteca DEA SABINA
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-David Maria Turoldo, il Resistente-
Articolo di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici
Il trattato dal titolo “David Maria Turoldo, il Resistente”, a cura di Guerino Dalola, in collaborazione con Donatella Rocco, Antonio Santini, Mino Facchetti, Pierino Massetti, Gian Franco Campodonico e di ANPI Franciacorta, consiste in un importante saggio autoprodotto con il patrocinio di vari enti e associazioni, tra cui la Città di Chiari, il Comune di Coccaglio, il Comune di Cologne, i Servi di Maria – provincia di Lombardia e Veneto e l’associazione Gervasio Pagani.
Padre David Maria Turoldo è un frate morto nel 1992. Su padre David Maria Turoldo, che fu poeta, filosofo, sacerdote, autore, traduttore, fondatore di riviste e giornali, sono stati pubblicati centinaia di libri e documenti, ma senza dare ampia notizia sulla sua partecipazione alla Resistenza del 1943-45 contro il nazifascismo. Padre David Maria Turoldo è stato un grande Resistente a Milano, ma era in contatto anche con la Resistenza bresciana, soprattutto nella zona della Franciacorta.
Secondo Turoldo la figura del Partigiano riveste certamente una eccezionale e fondamentale importanza, ma in uno specifico momento e in una determinata situazione. Invece, sempre secondo Turoldo, essere Resistente è una scelta di vita che non può verificarsi solo in un determinato tempo e in uno spazio contingente. La Resistenza, i Resistenti attuano un impegno quotidiano, da realizzarsi nel percorso di ogni giorno, senza distrazioni, nel corso di una intera esistenza. La liberazione autentica dell’umanità, oltre che dal nazifascismo e dalle dittature, richiede una militanza, una acribia nel tempo, un impegno molto più profondo sul piano culturale, relazionale, politico, sociale, familiare. L’impegno del Resistente non ha fine e scadenze, perché la libertà non si rinnova da sola, ma deve essere sempre riconquistata con l’impegno di ognuno di noi.
Infatti la Resistenza non è mai finita.
Turoldo non ha mai voluto schierarsi con nessun partito politico, perché, lui stesso spiegherà, la libertà, la costruzione di un mondo migliore, i diritti delle persone, la solidarietà, il progresso alternativo che non è tale se non è per tutti, il soccorso a chi vive nell’indigenza, a chi vive nelle difficoltà, a chi vive nel bisogno, il rispetto di tutte le fedi politiche e religiose, non sono istanze appartenenti all’uno o all’altro schieramento partitico, ma sono valori appartenenti alla nostra comune umanità.
Per il Resistente il vero campo di lotta è la normalità, la testimonianza, non solo con le parole, ma con esempi di vita.
Il Resistente non è solo antifascista.
La vera scelta del Resistente è un’alternativa totale, a favore di una società, di un contesto sociale, completamente diversi, per una nuova presente e futura umanità, perché la pace non è solo mancanza di guerra, ma è nonviolenza, è costruzione di convivenza solidale e fraterna.
Le esperienze di Turoldo furono molteplici come Partigiano in una delle vicende più importanti della sua vita: la Resistenza. Ma le fonti storiche non danno ricostruzione storiografica editata di ampio respiro di padre Turoldo per la sua attività nella lotta di Liberazione nazionale e per il contributo notevole che ha offerto nella ricostruzione morale e materiale del nostro Paese. “Una lacuna nella storia del pensiero democratico e antifascista di impronta cattolica alla quale bisognerebbe pensare di porre rimedio”, così scrive Aldo Aniasi, comandante partigiano, assessore e sindaco di Milano, deputato e ministro socialista e presidente della FIAP federazione italiana associazioni partigiane. Scrive sempre Aldo Aniasi, che come uomo della Resistenza padre Turoldo privilegiò sempre una scelta unitaria, lo spirito unitario della Resistenza, lo spirito dell’unità antifascista. Intrattenne rapporti con comunisti, socialisti, azionisti e incontrava personaggi come Eugenio Curiel, Rossana Rossanda e altri importanti dirigenti della sinistra.
Uno dei risultati più significativi dell’intero lavoro di confronto e dialogo realizzato nel convento di San Carlo a Milano per iniziativa di padre Turoldo e padre De Piaz è la nascita e la diffusione – soprattutto da parte di Teresio Olivelli, Claudio Sartori ed altri collaboratori bresciani – del giornale clandestino antifascista “Il ribelle”. Anche la predicazione in Duomo su incarico del Cardinale Schuster diventa espressione della Resistenza di padre Turoldo. Appena dopo la Liberazione del 25 Aprile 1945, saranno ventinove i Lager visitati da padre Turoldo alla ricerca di sopravvissuti e riuscirà a riportare in salvo a casa circa duecento prigionieri. Scrive Turoldo “Una sola possibilità affinché non si ripeta quanto è avvenuto: ricordare e capire, far ricordare e far capire… Così ho visto la sola Europa possibile, quella della solidarietà dei sopravvissuti”.
Scrive Ernesto Balducci “Il grande dono di David è di essere nato povero, in mezzo ai poveri, agli ultimi… David è rimasto un povero. I poveri sono fuori del perimetro della storia”.
In occasione degli appositi referendum, padre Turoldo vota contro l’abrogazione del divorzio e dell’aborto, perché i principi religiosi non possono essere imposti a chi non crede: la religione va spiegata e proposta, mai imposta con una legge. Nella primavera del 1978, padre Turoldo, insieme al confratello De Piaz, avvia una trattativa con le Brigate Rosse, per la liberazione di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. L’iniziativa a cui partecipa anche il vescovo di Ivrea monsignor Luigi Bettazzi, presidente di Pax Christi, viene bloccata dall’opposizione delle autorità ecclesiastiche.
La Corsia dei Servi e Nomadelfia furono le iniziative più care sia a Turoldo sia a padre De Piaz, basate su concetti di primaria importanza: tanto la fede che le scelte politiche diventano operative e efficaci solo nell’ambito di una cultura che permetta di uscire dall’inerzia di una fede accolta solo per tradizione e pregiudizio, per tentare invece una rigenerazione dalla vera cultura con maggior impulso possibile.
Invitato a un congresso sul disarmo nel febbraio 1978, Turoldo ebbe l’occasione di incontrare Carlo Cassola, che lo invitò al convegno nazionale della LDU- Lega per il Disarmo Unilaterale. Gli aderenti attuali della Lega per il Disarmo Unilaterale sotto la sigla “Disarmisti Esigenti” stanno lavorando all’interno della campagna ICAN – International Campaign to Abolish Nuclear Weapons e con molte altre associazioni del panorama italiano affiliate a ICAN, tra cui anche PeaceLink- Telematica per la Pace, alla ratifica del trattato ONU, il TPAN, per la proibizione delle armi nucleari, varato a New York a palazzo di vetro nel luglio 2017 da 122 nazioni e dalla società civile organizzata in ICAN.
ICAN grazie alla costituzione del trattato Onu per l’abolizione delle armi nucleari è stata insignita Premio Nobel per la Pace 2017.
E poi ricordiamo la Salmodia della Speranza che attraversa la drammatica esperienza dell’Europa prima e durante la Seconda Guerra Mondiale: il trionfo dei dittatori, il nazismo, il fascismo, il razzismo, i grandi massacri, i Lager, Hiroshima e Nagasaki, la Resistenza. Per una Chiesa che accoglie i diversi, gli emarginati, gli oppressi, gli ultimi, le vittime di cui tutti siamo parte nel contesto sociale, comunitario, culturale e nel mondo, nel terribile deserto della sopraffazione e della violenza dove tante voci chiedono libertà, giustizia e verità per tutti quegli innocenti che ancora nascono solo per morire.
Laura Tussi – PeaceLink, Campagna “Siamo tutti Premi Nobel per la Pace con ICAN”
Fabrizio Cracolici – ANPI sezione Emilio Bacio Capuzzo Nova Milanese (Monza e Brianza)
Biografia di David Maria Turoldo nasce il 22 novembre del 1916 a Coderno, in Friuli, nono di dieci fratelli. Nato come Giuseppe Turoldo, a tredici anni entra nel convento di Santa Maria al Cengio per far parte dei Servi di Maria, a Isola Vicentina, là dove si trova la sede del Triveneto della Casa di Formazione dell’Ordine Servita. È qui che trascorre l’anno di noviziato; dopo avere assunto il nome di fra’ David Maria, emette la professione religiosa il 2 agosto del 1935. Nell’ottobre del 1938 pronuncia i voti solenni a Vicenza.
Gli studi accademici
Intrapresi gli studi di teologia e di filosofia a Venezia, nell’estate del 1940 Turoldo viene ordinato presbitero nel santuario della Madonna di Monte Berico dall’arcivescovo di Vicenza ,monsignor Ferdinando Rodolfi. Nello stesso anno viene inviato a Milano, al convento di Santa Maria dei Servi in San Carlo al Corso.
Per circa un decennio si occupa di tenere la predicazione della domenica in Duomo, su invito dell’arcivescovo Ildefonso Schuster, mentre insieme con il suo confratello Camillo de Piaz, compagno di studi nell’Ordine dei Servi, si iscrive all’Università Cattolica di Milano. Qui David Maria Turoldo si laurea l’11 novembre del 1946 in filosofia con una tesi intitolata “La fatica della ragione – Contributo per un’ontologia dell’uomo”, con il professor Gustavo Bontadini. Quest’ultimo successivamente gli propone di diventare suo assistente presso la cattedra di Filosofia Teoretica. Anche Carlo Bo gli offre un ruolo come assistente, ma per l’Università di Urbino, cattedra di Letteratura.
Dopo aver collaborato in modo attivo con la resistenza antifascista in occasione dell’occupazione nazista di Milano, David Maria Turoldo dà vita al centro culturale Corsia dei Servi e sostiene il progetto del villaggio Nomadelfia fondato nell’ex campo di concentramento di Fossoli da don Zeno Saltini.
David Maria Turoldo negli anni ’50
Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta pubblica la raccolta di liriche “Io non ho mani”, con cui si aggiudica il Premio letterario Saint Vincent, e l’opera “Gli occhi miei lo vedranno”, proposta nella collana Lo Specchio di Mondadori.
Nel 1953 Turoldo è costretto a lasciare Milano, e si trasferisce prima in Austria e poi in Baviera, dove soggiorna presso i conventi dei Servi locali. Nel 1955 viene trasferito a Firenze, al convento della Santissima Annunziata, dove ha modo di conoscere il sindaco Giorgio La Pira e padre Ernesto Balducci.
Obbligato ad andare via anche dal capoluogo toscano, dopo un periodo di peregrinazioni lontano dall’Italia torna in patria e viene assegnato a Udine, al convento di Santa Maria delle Grazie. Nel frattempo si dedica alla realizzazione di un film, con la regia di Vito Pandolfi, intitolato “Gli ultimi” e tratto dal suo racconto Io non ero fanciullo. La pellicola, che rappresenta la povertà della vita rurale in Friuli, viene presentata nel 1963 ma non apprezzata dal pubblico locale, che la considera poco rispettosa.
Gli ultimi anni
In seguito Turoldo individua nell’antico Priorato cluniacense di Sant’Egidio in Fontanella un luogo in cui dare vita a un’esperienza religiosa comunitaria nuova, che coinvolga anche i laici: vi si insedia il 1° novembre del 1964, dopo aver ricevuto il consenso di Clemente Gaddi, il vescovo bergamasco.
Qui fa costruire una casa per l’ospitalità, che prende il nome di Casa di Emmaus in riferimento all’episodio biblico della cena di Emmaus, con Gesù che si manifesta ai discepoli dopo essere risorto.
Alla fine degli anni Ottanta David Maria Turoldo si ammala per un tumore al pancreas: muore all’età di 75 anni il 6 febbraio del 1992 a Milano, nella clinica San Pio X. I funerali vengono celebrati dal cardinale Carlo Maria Martini, che pochi mesi prima aveva assegnato a Turoldo il Premio Giuseppe Lazzati.
Poesie di Alejandra Pizarnik-Poetessa argentina – Rivista AVAMPOSTO-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Alejandra Pizarnik-Poetessa argentina –
dalla Rivista AVAMPOSTO
Alejandra Pizarnik nasce ad Avellaneda (Buenos Aires) il 29 aprile 1936,Poesie scelte dalla Rivista AVAMPOSTO in una famiglia di emigrati ebrei di origine russa. Assieme alla sorella maggiore Myriam compie i primi studi in una scuola ebraica, dove impara a leggere e a scrivere in yiddish. Durante l’adolescenza comincia a fare uso di anfetamine per curare i disturbi fisici di origine nervosa che la affliggono. A 18 anni si iscrive alla facoltà di Filosofia, poi a quella di Lettere e infine alla Scuola di giornalismo, ma non porta a termine gli studi. Dal 1960 al 1964 vive a Parigi. Muore a Buenos Aires nella notte tra il 24 e il 25 settembre 1972 per un’overdose di barbiturici.
Testi selezionati da La figlia dell’insonnia (trad. di C. Cinti, Crocetti, 2004)
Poesia
Tu scegli il luogo della ferita
dove dicemmo il nostro silenzio.
Tu fai della mia vita
questa cerimonia troppo pura.
Anelli di cenere
a Cristina Campo
Stanno le mie voci al canto
perché non cantino loro,
i grigiamente imbavagliati nell’alba,
i camuffati da uccello desolato nella pioggia.
C’è, nell’attesa,
una voce di lillà che si spezza.
E c’è, quando si fa giorno,
una scissione del sole in piccoli soli neri.
E quando è notte, sempre,
una tribù di parole mutilate
cerca asilo nella mia gola,
perché non cantino loro,
i funesti, i padroni del silenzio.
La notte
Della notte so poco
ma di me la notte sembra sapere,
e più ancora, mi assiste come se mi amasse,
mi ammanta di stelle la coscienza.
Forse la notte è la vita e il sole la morte.
Forse la notte è nulla
e nulla le nostre congetture
e nulla gli esseri che la vivono.
Forse le parole sono l’unica cosa che esiste
nel vuoto enorme dei secoli
che ci graffiano l’anima coi ricordi.
Ma la notte conosce la miseria
che succhia il sangue e le idee.
Scaglia l’odio, la notte, sui nostri sguardi
che sa pieni di interessi, di incontri mancati.
Ma accade che la notte, ne senta il pianto nelle ossa.
Delira la sua lacrima immensa
e grida che qualcosa è partito per sempre.
Un giorno torneremo a esistere.
Le opere e le notti
per riconoscere nella sete il mio emblema
per significare l’unico sogno
per non aggrapparmi di nuovo all’amore
sono stata tutta un’offerta
un puro errare
di lupa nel bosco
nella notte dei corpi
per dire la parola innocente
Presenza
la tua voce
in questo non potersene uscire le cose
dal mio sguardo
mi spossessano
fanno di me un vascello in un fiume di pietre
se non è la tua voce
pioggia sola nel mio silenzio di febbri
tu mi liberi gli occhi
e per favore
parlami
sempre.
Gli occhi aperti
Qualcuno misura singhiozzando
l’estensione dell’alba.
Qualcuno pugnala il cuscino
in cerca del suo impossibile
spazio di quiete.
Questa notte, in questo mondo
a Martha Isabel Moya
questa notte in questo mondo
le parole del sogno dell’infanzia della morte
non è mai questo che si vuol dire
la lingua materna castra
la lingua è un organo di conoscenza
del fallimento di ogni poesia
castrata dalla sua stessa lingua
che è l’organo della ri-creazione
del ri-conoscimento
ma non della resurrezione
di qualcosa in forma di negazione
del mio orizzonte di maldoror col suo cane
e niente è promessa
tra il dicibile
che equivale a mentire
(tutto ciò che si può dire è menzogna)
il resto è silenzio
solo che il silenzio non esiste
no
le parole
non fanno l’amore
fanno l’assenza
se dico acqua berrò?
se dico pane mangerò?
questa notte in questo mondo
straordinario il silenzio di questa notte
con l’anima succede che non si vede
con la mente succede che non si vede
con lo spirito succede che non si vede
da dove viene questa cospirazione d’invisibilità?
nessuna parola è visibile
ombre
spazi viscosi dove si occulta
la pietra della follia
neri corridoi
li ho percorsi tutti
oh fermati un altro po’ tra di noi!
la mia persona è ferita
la mia prima persona singolare
scrivo come chi alza un coltello nel buio
scrivo come dico
la sincerità assoluta sarebbe sempre
l’impossibile
oh fermati un altro po’ tra di noi!
lo sfacelo delle parole
che sloggiano il palazzo del linguaggio
la conoscenza tra le gambe
che cosa hai fatto del dono del sesso?
oh miei morti
li ho mangiati mi sono strozzata
non ne posso più di non poterne più
parole camuffate
tutto scivola
verso la nera liquefazione
e il cane di maldoror
questa notte in questo mondo
dove tutto è possibile
tranne
la poesia
parlo
sapendo che non si tratta di ciò
sempre non si tratta di ciò
oh aiutami a scrivere la poesia più prescindibile
quella che non serva nemmeno
a essere inservibile
aiutami a scrivere parole
in questa notte in questo mondo
***
La poesia che non dico,
quella che non merito.
Paura di essere due
sulla via dello specchio:
qualcuno che dorme in me
mi mangia e mi beve.
***
no, la verità non è la musica
io, triste attesa di una parola
qual è il nome che cerco
e che cosa cerco?
non il nome della deità
non il nome dei nomi
ma i nomi precisi e preziosi
dei miei desideri nascosti
qualcosa in me mi punisce
da tutte le mie vite:
– Ti abbiamo dato tutto il necessario perché comprendessi
e hai preferito l’attesa,
come se tutto ti annunciasse la poesia
(quella che non scriverai mai perché è un giardino inaccessibile– sono solo venuta a vedere il giardino –)
Alejandra Pizarnik nasce ad Avellaneda (Buenos Aires) il 29 aprile 1936, in una famiglia di emigrati ebrei di origine russa. Assieme alla sorella maggiore Myriam compie i primi studi in una scuola ebraica, dove impara a leggere e a scrivere in yiddish. Durante l’adolescenza comincia a fare uso di anfetamine per curare i disturbi fisici di origine nervosa che la affliggono. A 18 anni si iscrive alla facoltà di Filosofia, poi a quella di Lettere e infine alla Scuola di giornalismo, ma non porta a termine gli studi. Dal 1960 al 1964 vive a Parigi. Muore a Buenos Aires nella notte tra il 24 e il 25 settembre 1972 per un’overdose di barbiturici.
Testi selezionati da La figlia dell’insonnia (trad. di C. Cinti, Crocetti, 2004)
Fonte-RIVISTA AVAMPOSTO
«Avamposto» è uno spazio di ricerca, articolato in rubriche di approfondimento, che si propone di realizzare un dialogo vivo rivolto allo studio della poesia attraverso un approccio multidisciplinare, nella consapevolezza che una pluralità di prospettive sia maggiormente capace di restituirne la valenza, senza mai sfociare in atteggiamenti statici e gerarchizzanti. Ma «Avamposto» è anche un luogo di riflessione sulla crisi del linguaggio. L’obiettivo è interrogarne le ragioni, opponendo alla tirannia dell’immediatezza – e alla sciatteria con la quale viene spesso liquidata l’esperienza del verso – un’etica dello scavo e dello sforzo (nella parola, per la parola). Tramite l’esaltazione della lentezza e del diritto alla diversità, la rivista intende suggerire un’alternativa al ritmo fagocitante e all’omologazione culturale (e linguistica) del presente, promuovendo la scoperta di autori dimenticati o ritenuti, forse a torto, marginali, provando a rileggere poeti noti (talvolta prigionieri di luoghi comuni) e a vedere cosa si muove al di là della frontiera del già detto, per accogliere voci nuove con la curiosità e l’amore che questo tempo non riesce più a esprimere.
CONTATTI
RIVISTA AVAMPOSTO
Via Lupardini 4, 89121 Reggio Calabria (c/o Sergio Bertolino)
avampostopoesia@gmail.com
Poesie di Anna Maria Carpi-Poetessa e Scrittrice-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Anna Maria Carpi-Poetessa e Scrittrice-
Anna Maria Carpi, di famiglia tosco-emiliano-irlandese, vive a Milano. Ha insegnato letteratura tedesca all’Università di Macerata Marche e a Ca’Foscari a Venezia. E’ autrice di saggi, racconti e romanzi (fra cui Vita di Kleist, Mondadori 2005, Rowohlt 2011, e Uomini ultimo atto, 2016) e traduttrice della lirica tedesca (Nietzsche, Rilke, Benn, Bernhard, Gruenbein e a.), premio Ministero dei beni culturali (2011) e Città di S.Elpidio (2015), premio Carducci (2015). Nella poesia esordisce con A morte Talleyrand (1993, premio Pisa 1993), cui seguono Compagni corpi (2004, 22005), E tu fra i due chi sei (2007), L’asso nella neve (2011, 2 edizioni), Quando avrò tempo (2013) e L’animato porto (2016). Da Hanser (Monaco 2015) è uscita l’antologia con testo a fronte Entweder bist du unsterblich e da Marcosymarcos, Milano 2016, il complessivo E io che ancora parlo. Sue poesie sono apparse su “Oktjabr’ (Mosca,1998), “Akzente“(Monaco 2001 e 2011), e di recente su “Ulisse”, “Nuovi argomenti”, “Le parole e le cose”.
STORNI nell’aria / la poesia alle elementari
STORNI nell’aria,
migrano questi figli dell’autunno,
una mano gigante li ha lanciati
su in cielo. Sbandano, ritornano,
nel loro giubilo d’essere nessuno,
i bimbi del creato.
Tutti via, poi il gioco ricomincia,
il gioco in alto, al freddo, senza tempo.
Non c’è gioco per noi, noi giù nel tempo
per le vie del quartiere.
Foglie, una cosa sola, solo qualche fruscio,
un giacere comune, ultimi battiti,
poi una terrea quiete.
LAGHI E LAGHI
LAGHI E LAGHI senza l’altra sponda,
boschi d’inverno fragili schiomati
come teste di vecchio e poi la neve
e lacrime di ghiaccio alle tettoie.
Le poche case accenti circonflessi.
Un piccolo nel mio scompartimento
fa merenda e gioca con l’orsetto
con davanti la madre
che guarda fuori e il padre col giornale,
tutto è fidato e tutto è famigliare.
Essere lui, poter ricominciare.
In casa al video o in tavola o per strada
In casa al video o in tavola o per strada
o in metrò o in qualche ufficio o alla stazione
non so dov’ero ieri e cos’ho fatto
né stamattina fino a un’ora fa,
non so più quando ho visto i miei amici
se erano loro
cosa ci siamo detti.
Ci vediamo di furia
solo per dire: non ci siamo persi,
poi è il sollievo di un “anche questa è fatta”.
Dove sei, gioia? Dove sei, speranza?
Il mio cuore ha l’accesso stretto
l mio cuore ha l’accesso stretto
il sangue non ci passa facilmente
o rigurgita o rimane dentro,
così gli altri non sanno
che passione ho per loro
che potrei
fermare anche gli ignoti per la strada
e dirgli
tutto quello che ho dentro e non mi passa –
e sarebbe la grazia.
Una vita sola? Io so che ce n’è un’altra:
sarà come stasera,
questo caffè dentro la stazione
e la pioggia che lucida il piazzale
e il vai e vieni di colori e di ombrelli.
Caldo e voci all’interno –
tu cosa bevi? e tu? Sempre lo stesso?
Salute!
Salute a te, e dimmi come stai.
Tu mi ascolti la faccia tra le mani
e io ti ascolto con i cinque sensi
e questa sera non andiamo a casa.
Quel che diciamo – cose da niente,
ma ritorna il candore
e la voglia di ridere
e una giovane smania di consacrazioni.
Anna Maria Carpi (Milano, 1939), inedito
IL MARE
qui sotto la casa: ascolta,
ha come mani e dita,
sembra scartino e incartino – che cosa?
un messaggio, un regalo?
Di tanto in tanto un tonfo ed un singulto
e sullo scoglio l’onda
schiuma e si spande, poi ritorna indietro.
Che ci voleva dire?
Che è per lei la sponda?
Il senso è al largo, e intanto cala il buio,
e verso terra in fretta con un ultimo
volo prima di notte
anche i gabbiani cercano un rifugio.
10
E DALL’OCEANO irrompe a Gibilterra
ed è già nel Tirreno
e già nel Golfo.
Dal Golfo all’isola è una sola ondata,
è già qui sotto casa
a schiumar sugli scogli,
sembra un’immensa veste agitata dal vento
balze ricami e frange
su un pudore primario della terra.
E tutta notte è un andirivieni
di flutti e sfasci,
e io in ascolto a finestre aperte
fra la veglia e il sonno
rapita da quest’essere-nonessere,
dal fraterno disciogliersi fra loro
di slanci tonfi e vuoti.
11
DALLA GAIA PIAZZETTA coi negozi
che vendono di tutto alla rinfusa,
moda smart e bijoux,
scende in curva una strada che va al mare:
all’angolo un cartello con la freccia
traffico consentito
ECCETTO AI BUS, AI CAMION, ALLE MOTO.
Ma le moto
coi minorenni in sella
curvano giù beate lampeggiando,
e spariscono in fondo
con un urlo di gioia i trasgressori.
Il vigile? E’ là al bar, che si fa un drink.
E anche qui per vicoli e stradine
per vetrine e per muri i manifesti
dell’eclatante, del trionfo umano.
Il contagio è arrivato all’innocente:
vende frutta e verdura nel paese
in un suo bugigattolo,
con fuori un suo cartello,
in stampatello dice
HERE THE GLOBAL PRIMIZIA.
Viva la vita, mai fu così grande.
Anna Maria Carpi è nata nel 1939 a Milano, da madre emiliana e padre di origine irlandese. Ha studiato lingue e letterature straniere alla Statale di Milano. Ha vissuto a più riprese a Bonn, a Berlino e a Mosca. Ha insegnato letteratura tedesca all’ Università di Macerata (1968-80) e alla Ca’ Foscari di Venezia (1980-2009) e dal 2001 insegna traduzione letteraria dal tedesco alla Statale di Milano. Vive a Milano. È autrice di un diario inedito di 15.000 pagine e di studi su Kleist, Mann, Handke e sulla poesia tedesca del ‘900. Nel 1993 ha vinto il Premio Nazionale Letterario Pisa per la Poesia.[1] La traduzione di A metà partita di D. Grubein le ha meritato il Premio Monselice nel 2000.[2] Per le sue traduzioni dalla poesia tedesca (Friedrich Nietzsche lirico, Benn, Paul Celan, Enzensberger, H.Mueller, Gruenbein, Krueger) ha avuto nel 2012 il Premio nazionale per la traduzione. Nel settembre 2015 ha ricevuto il Premio Città di Sant’Elpidio a mare, per la miglior traduzione italiana della poesia straniera, È membro delle giurie del Premio Monselice e del Premio internazionale Wuerth di Stoccarda e dal 2013 dell’Akademie der Sprache und der Dichtung di Darmstadt. Nel 2014 ha ricevuto il Premio Carducci alla carriera.
Opere
Poesia
- A morte Talleyrand, Udine, Campanotto, 1993
- Compagni corpi. Tutte le poesie 1992-2002, Milano, Scheiwiller, 2004
- E tu fra i due chi sei, Milano, Scheiwiller, 2007
- L’asso nella neve. Poesie 1990-2010, Massa, Transeuropa, 2011, (prima e seconda edizione)
- Quando avrò tempo. Poesie 2010-12, Massa, Transeuropa, 2013
- Entweder bin ich unsterblich, Monaco, Edition Lyrik Kabinett bei Hanser, 2015, traduzione di Piero Salabé, Postfazione di Durs Grünbein
- L’animato porto, Milano, La Vita Felice, 2015
- E io che intanto parlo. Poesie 1990-2015, Milano, Marcos y Marcos, 2016
- Né io né tu né voi, Milano, La Vita Felice, 2018
- Doroghie drughie, Pietroburgo, edizione Aleteija, 2018, traduzione di T.Stamova
- E non si sa a chi chiedere, Milano, Marcos y Marcos, 2020
- L’aria è una, Torino, Einaudi, 2022
Romanzi
- Racconto di gioia e di nebbia, Milano, Il Saggiatore, 1995
- E sarai per sempre giovane, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, (trad tedesca: Forever young, Rowohlt, Reinbek 1997)
- Il principe scarlatto, Milano, La Tartaruga, 2002
- Un inquieto batter d’ali. Vita di H.v.Kleist , Milano, Mondadori, 2005 ( *Kleist. Ein Leben, Berlino, Insel, 2011)
- Il mio nome era un altro. Due bambini dell’Est , Roma, Perrone, 2013
Racconti
- Tagtraeume, in “Zukunft? Zukunft (6 autrici sul “futuro”)”, Gehrke, Tuebingen, 2000
- Piccola Anna, Querini-Stampalia, Venezia 2007
- Uomini ultimo atto, Moretti & Vitali, Bergamo 2015
Poesie di Giovanna Cinieri -Estratto da “Piccola stregheria” -Rivista L’Altrove-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
-Giovanna Cinieri-Estratto da “Piccola stregheria”
-Rivista L’Altrove-
Biblioteca DEA SABINA-L’AUTRICE–Giovanna Cinieri, poeta e scrittrice, è nata a Taranto e ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Bologna. È stata semifinalista al Premio Calvino racconti nel 2021 e nel 2022 e ha vinto il premio della critica sezione racconti al Premio Inedito Colline di Torino.
Questo tempo di correre
a notte chiara di neve
l’ho fatto,
e stare qui dentro marzo
neutrale agli elementi, all’orario che conta
meglio i minuti rimanenti e gli sputi
che la tua faccia a bassa frequenza
mi schiva,
fa del respiro un fischio che porta i cani
dritti a casa: eccoli
abbandonati tutti, nonostante
padrona rimanga dall’alto
una luce.
in me accetti di morire:
ti serve essere due
dove c’è tutto e polvere
e un pezzetto di Dio ti riguarda,
così dritto
che è un proiettile.
e poi hai la fine ad occhi aperti, tu
disperato di grazia,
perché insieme dura
la vita.
Amore che mi hai dato il coltello
il pane col burro di fumo e piangevi
è in fiamme il comodino
mi hai detto di notte, seduto
tremando la sedia
del più bel velluto
non hai scritto la voce
risalita in gola col bastone
amore che mi hai fatto
nero
l’occhio celeste
hai messo la voglia
caduta
aspettandomi fuori da scuola
nell’auto storpia
la lama spalma, hai promesso
non taglia
ho cose nel sangue anche ora
a Luna Park spento
hai girato la Ruota
hai fatto il fantasma e gli specchi, la bara
conoscevi il mio nome
hai strappato il vestito viola che avevo
mancandomi molto
alla comunione con Dio
sporcato il tavolo sceso in cantina
parlato ai nemici di me
lavata in giardino
amore che mi hai dato resurrezioni
di marmo
la carne è del sangue, solo suo
hai mangiato dal seno
pregandomi
non dirlo a nessuno
che ero io che ti entravo di nascosto.
Ti piace guardare la notte che ho negli occhi
dove ti inginocchi, ai miei piedi sporchi parli
anche a me piace cercare le ossa degli avi tra i
tuoi denti.
fare molecole dai capelli
oppure niente
coperta dai fantasmi del futuro.
e così i miei discendenti stanno dritti,
negli spazi rotti di linguaggi
nei secoli gli attimi incontabili.
smettere è un continuo
ti dico che mi serve.
mi dai teoriche
dimensioni subatomiche
dici a me che vuoi prendere
dici a me che vuoi molecole
se cadessero fuochi e fosse
irreversibile
procedere in disfatta
su questa terra classica
a conferma delle leggi
già da anni inaccettabili
mangeremmo l’armamento
con i nuclei nella bocca.
Rivista- L’Altrove
“La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”. (Federico García Lorca) Con questo presupposto, L’Altrove intende ripercorrere insieme a voi la storia della poesia fino ai giorni nostri.
Si propone, inoltre, di restituire alla poesia quel ruolo di supremazia che ultimamente ha perso e, allo stesso tempo, di farla conoscere ad un pubblico sempre più vasto.
Troverete, infatti, qui tutto quello che riguarda la poesia: eventi, poesie scelte, appuntamenti di reading, interviste ai poeti, concorsi di poesia, uno spazio dedicato ai giovani autori e tanto altro.
Noi de L’Altrove crediamo che la poesia possa ancora portare chi legge a sperimentare nuove emozioni. Per questo ci auguriamo che possiate riscoprirvi amanti e non semplici seguaci di una così grande arte.
Dalila e Daniela, le fondatrici.
Per informazioni: laltrovepoet@outlook.it