Breve biografia di Silvia Molesini, nata a Bussolengo (Vr) il 14 luglio 1966, vive e lavora come psicoterapeuta a Costermano. Ha pubblicato le raccolte Nuova noia (Ibiskos ed. 1987), L’indivia (Campanotto ed. 2001), Il corpo recitato (I figli belli ed. 2004), Lezioni di vuoto (Liberodiscrivere ed. 2006). Ha partecipato al romanzo a rete Rifrazioni scomposte su corpo 12 e, per circa due anni, membro fondatore, al progetto Karpòs. È presente in diverse antologie e in qualche rivista letteraria (Le voci della luna, Filling Station, L’ortica, Critère, Niedergasse) ed è stata segnalata in concorsi di poesia (nel 2008 : con Esanimando al Premio Montano e al premio Mazzacurati/Russo con Cahiér corpo piccolo ).
Nell’ora candida
sparano; è la mezzanotte
battezzo di fuoco nella candida
ora dell’arrivo della
linea della tua fronte, con gli occhi
scuri da fare spavento tu
maledici tutti
come si fa coi santi
per una cosa sparente continua.
Ed io ti immagino lungamente
contando i giorni che non ci sono,
i giorni insomma, le spille,
le cose adatte e loro
vengono ad assistere. Allora
diventi incandescente
lì dove ti incunei – spargi
una luce leggera
*
Lungo la linea fissa di un pensiero risorge muore
e che le linee si flettono così:
la immensità tattile declina
nel lontano da qui che è dove porge
le miliardi di anime e
– lungo la linea fissa anche la mia
che ha tutta la misera corrotta
nella miseria accesa in questo
eroe scomparente malinteso –
ti guarda con gli occhi glauchi e
lascia che il tuo grande cuore muoia,
lo bagna svelta del suo pianto finito
lungo una linea fissa risorgente
*
una crosta nell’angolo del pavimento
tra
i pavé disgiunti e arrotola
in riflessione rossa molto poco
immagine due te due tre volte
suona alla porta uno monco
tra
le due linee intersecanti
non va aprire alla luce che ruota
e comunque rivelata procede senza vedere fin quando incontra
l’ultimo dei suoi processi minori impegnato in più lotte untuose
*
Francesca a Venezia
due testeleone in oro color che balla
riprese in ottobre al filo della gondola:
si va per San Servolo Incident’acqua
malvestie della cenere dell’incendio
e curvate per passare sotto la Salute
enqualmentre brilla una città sola
la testa di Francesca nei beccheggi
scende
attenti
Breve biografia di Silvia Molesini, nata a Bussolengo (Vr) il 14 luglio 1966, vive e lavora come psicoterapeuta a Costermano. Ha pubblicato le raccolte Nuova noia (Ibiskos ed. 1987), L’indivia (Campanotto ed. 2001), Il corpo recitato (I figli belli ed. 2004), Lezioni di vuoto (Liberodiscrivere ed. 2006). Ha partecipato al romanzo a rete Rifrazioni scomposte su corpo 12 e, per circa due anni, membro fondatore, al progetto Karpòs. È presente in diverse antologie e in qualche rivista letteraria (Le voci della luna, Filling Station, L’ortica, Critère, Niedergasse) ed è stata segnalata in concorsi di poesia (nel 2008 : con Esanimando al Premio Montano e al premio Mazzacurati/Russo con Cahiér corpo piccolo ).
Biblioteca DEA SABINA
-La rivista «Atelier»-
http://www.atelierpoesia.it
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
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Biografia di Gioconda Belli (Managua 1948) poetessa nicaraguense di origine italiana. Il bisnonno, un agrimensore della provincia di Biella, lavorava nei cantieri del canale di Panama. Nel 1970 comincia a pubblicare le sue poesie ed entra nel Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale. Minacciata dagli sgherri di Somoza fugge in Costa Rica nel 1976, ma due anni dopo ritorna in Nicaragua per combattere. Con la vittoria del Fronte entra nel governo e vi resta fino al 1994, quando lascia la politica per divergenze col partito.
Il suo primo romanzo, La donna abitata (1989), a un tempo storico e autobiografico, conosce un successo planetario. Autrice di una ventina di libri – romanzi, poesia, racconti per bambini – riceve innumerevoli riconoscimenti in patria, nelle Americhe e in Europa. La Francia le ha conferito il titolo di Chevalier des Arts et des Lettres.
Dio mi fece donna
E Dio mi fece donna, con capelli lunghi, occhi, naso e bocca di donna. Con curve e pieghe e dolci avvallamenti e mi ha scavato dentro, mi ha reso fabbrica di esseri umani. Ha intessuto delicatamente i miei nervi e bilanciato con cura il numero dei miei ormoni. Ha composto il mio sangue e lo ha iniettato in me perché irrigasse tutto il mio corpo; nacquero così le idee, i sogni, l’istinto Tutto quel che ha creato soavemente a colpi di mantice e di trapano d’amore, le mille e una cosa che mi fanno donna ogni giorno per cui mi alzo orgogliosa tutte le mattine e benedico il mio sesso.
Eros è l’acqua
Tra le tue gambe il mare mi mostra strane scogliere coralline
rocce superbe coralli magnifici contro la mia grotta di conchiglie madreperlata
tu mollusco di sale segui la corrente l’acqua scarsa scopre le pinne mare nella notte con lune sommerse il tuo ondeggiare brusco il mio pulsare di spugna i cavalli minuscoli fluttuanti fra i gemiti aggrovigliati in lunghi pistilli di medusa
Amore tra delfini a balzi ti tuffi sul mio fianco leggero ti accolgo in silenzio ti guardo tra bollicine le tue risa cerco con la bocca spuma leggerezza dall’acqua ossigeno dalla tua
vegetazione di clorofilla
dagli occhi argentati fluisce il lungo sguardo finale ed emergiamo da corpo acquatico siamo di nuovo carne una donna e un uomo tra le rocce.
io sono la tua indomita gazzella
io sono la tua indomita gazzella, il tuono che rompe la luce sul tuo petto Io sono il vento sfrenato sulla montagna e il fulgore intenso del fuoco dell’ocote. Io scaldo le tue notti, accendendo vulcani nelle mie mani, bagnandoti gli occhi col fumo dei miei crateri. Io sono arrivata fino a te vestita di pioggia e di ricordi, ridendo la risata immutabile degli anni. Io sono l’inesplorata strada, la chiarezza che rompe la tenebra. Io metto stelle tra la tua pelle e la mia e ti percorro completamente, sentiero dopo sentiero, scalzando il mio amore, denudando la mia paura. Io sono un nome che canta e si innamora dall’altro lato della luna, sono il prolungamento del tuo sorriso e del tuo corpo. Io sono qualcosa che cresce, qualcosa che ride e piange. Io, quella che ti ama
Il tuo ricordo mi avvolge come una coperta
Il tuo ricordo mi avvolge come una coperta proteggendomi dal freddo, splende col mio corpo nel silenzio bagnato di questa sera in cui ti scrivo, nella quale non posso far altro che pensarti e pronunciare il tuo nome in segreto, dentro la mia bocca avvolgendolo nel recinto dei miei denti mordendolo fino a consumarne le lettere, fino a consumarlo tanto il nome tuo che mi ha accompagnato, per tornare a farlo rivivere cullandomi da me con la tua voce e i tuoi occhi, dondolandomi in questo tempo senza ore nel quale ti desidero in cui amo ogni minuto che è rimasto impresso nella mia memoria per sempre.
Io sono un nome che canta e si innamora
Io sono un nome che canta e si innamora dall’altro lato della luna, sono il prolungamento del tuo sorriso e del tuo corpo. Io sono qualcosa che cresce, qualcosa che ride e piange. Io, quella che ti ama.
Emilia Vetere nasce nel 1997 a Roma e qui trascorre la sua vita. Frequenta il liceo classico, ma sceglie in seguito di approfondire la propria passione per le arti visive diplomandosi come truccatrice e scoprendo così gli effetti speciali. Colline (Ensemble, 2018) è la sua prima pubblicazione.
Binomio
Ci attira sopra ogni cosa
la cosa che più reprimiamo
E, così, l’uomo
divora la donna,
E, così, il popolo
adora il tiranno.
Così vai cercando
l’accento straniero
di quel bel ragazzo
che ti terrorizza,
Ti forzi a far odio
del tuo desiderio;
Ti sembra che io
dica il giusto o il vero?
La tigre e il cervo
La tigre procede a testa alta
nel tropico che la vede padrona
di ogni foglia, di ogni sfumatura.
Non perdona, ma non compie passo falso
di abuso, di violenza verso gli altri,
Nessuna; si compiace, anzi
di essere la sola a poter aiutare.
Non prova amore:
Non ha vera forza
All’infuori del sentirsi superiore.
–
Oltre al confine del tropico
la tigre cercava una preda,
Presa dalla solitudine
di una vittoria ormai invisibile.
Lei desiderava amare,
davvero,
Una creatura migliore,
Senza mai aver imparato ad amare
sé stessa, ciò
che la rendeva uguale.
Ma nella foresta
di forme diverse,
Di diverse leggi,
diverse realtà,
Volere solo vincere
significava reggere
Un metro diverso
dal braccio di ferro.
Chi si misura solo con la forza
non sa mai cosa l’aspetta.
Chi non ha forza
se non nel confronto
Nasconde la più grande debolezza.
Disarmata, ascoltavo morire
anche il grido
Di una grinta spenta in eterno:
Erano le lacrime di una tigre
di fronte alla grazia del cervo.
Non sapro’ mai più
Non ho mai chiesto più
da certi sogni
che mi lasciassero stare.
Quando la guardia è bassa
e non so interpretarli,
le sale buie e accumuli
di oggetti più che inutili.
Non ho mai chiesto più
dalla mia mente
di non caderci ancora.
Se è più facile perdersi,
ben più che ritrovarsi,
Io non saprò mai più dove mi trovo.
Termini
Definisci i Termini
delle mie notti instabili
E di giornate sature,
svuotate in un flacone.
Non c’è altra direzione che
sappia dare ai miei passi,
Tu, strada, Termini nella stazione.
Ragazze, amici, occupazioni e amore
languono sul filo della spada
Che rende ognuno dei miei sogni inerme,
atrofizzato tra le vie di Termini.
Non amare la tigre
nessuno vuole stare
Con qualcuno di così eccezionale
ed egocentrico.
C’è stato un tempo
in cui morivo ogni giorno
di devozione;
Ora un silenzio
in cui ascoltare
cadere la cenere.
Non amare la tigre
la cui rabbia non ama,
Che non ammira e non ha mire
se non quella di
arrivare prima.
Sotto al suo morso muore
la sfida di ogni creatura;
Non amare la tigre
che o ti ama
o ti divora.
A colori
Però l’uomo ha sempre visto a colori,
e uguale è il grido di ognuno che muore.
A cosa, a chi sentirsi superiori?
A ere passate e culture presenti?
Cose superate, o semplicemente
Rotte sconosciute dei venti.
Invece di far luce
sappiamo nascondere
e, invece di conoscere,
soltanto giudicare.
Invece di esplorare
ogni strada in quanto nuova
sappiamo solo chiuderci
a ogni alternativa.
Emilia Vetere
Nei campi urbani
Le porte automatiche dell’Inverno
fuori dalla stazione; ciò che prima
ha condito la mia vita, vita mia
Non ne hai lasciato nulla.
Sarà più Primavera?
Nei campi urbani della Tiburtina
la gente loda il respiro dell’aria
“Finalmente verde”, e i palazzi
sghignazzano a braccetto, in lontananza.
La vittoria del freddo
incalza, noncurante,
E io che vago, senza più una meta,
Scrivo;
Il blu del buio
mi si addensa addosso.
Sfrigolano le logoranti
frustrazioni altrui
ingoiate dalla città, Roma mia,
che ne ridi.
Poesie tratte dalla raccolta Colline (Ensemble, 2018) di Emilia Vetere
Termini
Definisci i Termini delle mie notti instabili E di giornate sature, svuotate in un flacone. Non c’è altra direzione che sappia dare ai miei passi, Tu, strada, Termini nella stazione.
Ragazze, amici, occupazioni e amore languono sul filo della spada Che rende ognuno dei miei sogni inerme, atrofizzato tra le vie di Termini.
***
Alchimia del terrore
Dimmi
se devo morire
nel nome di una convinzione e
di mazzi di pezzi di carta,
Dimmi se non ti riguarda,
Se la paura negli occhi
non era la tua
e i pianti e i gridi
non chiamavano te.
Non è solo un luogo,
non è solo un giorno
in un punto del mondo.
Dimmi, ancora, quante bocche
stanno sputando sentenze
gelate, volendo ignorare
Che è qualcosa di più grande, un velo
che ci avvolge uno a uno,
sotto lo stesso cielo.
***
In un giorno felice
Non all’altezza di ciò che mi gira in testa: Questo.
Una dei tanti nessuno tra i miei schemi inerti.
Nulla che sia più piacevole, ormai. Non più lo speziato sentore di trasgressione nel divertimento, Non ancora un premio al mio (forse) talento.
Ma in un giorno felice non avrò mai detto questo.
Difficile, no, impossibile, volevo dire, Stabilire – o provarci soltanto l’altalenante andamento dell’alto e l’abisso.
Il fulcro della mia leva, l’ultimo, unico punto che ho fisso È il disequilibrio.
Fossi una fenice, avrei finito presto anche la cenere da cui rinascere;
Ma in un giorno felice, io non avrò mai detto questo.
Robert Creeley (Arlington, Massachusetts, 21 maggio 1926 – Odessa, Texas, 2 aprile 2005) Poeta statunitense, tra i maggiori esponenti della lirica postmoderna. Viaggiò in Europa e Asia vivendo per quarant’anni in Giappone, dove apprese la filosofia buddhista e lo zen. È spesso accostato ai poeti della Black Mountain, pur essendone lontano stilisticamente.
LE PIETRE
Cercando di pensare
ad una via d’uscita,
le pietre del pensiero
che spostano,
lanciate
in acqua,
molte altre cose.
Così la vita
è acqua, anche l’amore
ha una sostanza
simile.
Mancando
l’acqua una domenica
mattina Dio
non provvederà –
che sia mia moglie,
il suo calore
disteso
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al mio fianco, che sia questo
senso di calda
umidità la condizione
di ogni fioritura?
Lascia cadere
la pietra,
pensa bene, pensa
bene di me.
Robert Creeley
LA FINESTRA
La posizione esiste
dove la metti, dove si trova,
hai tu, per esempio,
quella grossa cisterna là,
argentata, con la chiesa bianca a fianco,
hai tu spostato tutto questo
e a quale scopo? Com’è pesante
il mondo monotono
con ogni cosa al suo posto.
Un uomo passa, una macchina accanto
nella strada che termina,
una foglia
gialla
sul punto di cadere.
Tutto
cade
al suo posto.
Il mio volto è pesante
a questa vista. Sento
l’occhio che si spezza.
Robert Creeley
PASSEGGIANDO
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Nella mia testa
passeggio, ma non sono
nella mia testa, dove si
può passeggiare
senza pensarlo, è forse
la strada stessa qualcosa
di più che veduto. Credo
potrebbe essere, sentire
come la sentono i miei piedi,
proseguire e alla fine
raggiungere, adagio,
uno scopo della mia intenzione.
IL LIMITE
Non posso
andare avanti
o indietro.
Sono preso
nel tempo
come limite.
Quello che pensiamo
pensiamo –
per nessun altro motivo
pensiamo se non per
pensare soltanto –
ciascuno per sé.
IL MECCANISMO
Se dovessimo cadere ora
alle nostre ostinate ginocchia
e sprofondare nel sonno, io
affondato nelle tue, allora
cosa ci terrebbe uniti
se non un peso
senza consistenza. Credi tu
nell’amore, e quanto.
Robert Creeley
“TENGO PER ME QUESTE MISURE…”
Tengo per me queste misure
che ho care,
di giorno in giorno le pietre
accumulano posizione.
Non esiste niente
se non ciò che il pensiero rende
meno tangibile. La mente,
per quanto veloce, rimane
indietro, vi sostituisce
come pietre semplici lapidi
solo per tornare
fiduciosa là dove
non può più. Tutto
oblia. La mia mente sprofonda.
Tengo tra le mani questo peso
è l’unico modo di descriverlo.
VARIAZIONI
L’amore esiste solo
così com’è l’amore. Questi
sensi ricreano
la loro definizione – una mano
trattiene in sé
ogni ragione. Gli occhi
hanno visto tanta bellezza
che si chiudono.
Ma prosegui. Così la voce
ancora, questi sensi ricreano
lo stato singolare provato
e provato ancora.
Ascolto. Ascolto
la mente che si chiude, la voce
che prosegue oltre,
le mani dischiuse.
Tenaci tengono
così strette soltanto se stesse,
sterili prese
di tale sensazione.
Ascolta, là dove
gli echi sono più
intensi, più luminosi,
sensazioni di suono
che si svelano e si celano
non più soltanto di amore, l’intenzione della mente,
la visione degli occhi, le mani che si stringono –
spezzati in echi, questi sensi ricreano
la loro definizione. Sento che la mente
si chiude.
Robert Creeley
QUALCHE POSTO
L’ho risolto, ho trovato
nella vita un centro
e me lo sono assicurato.
È la casa,
gli alberi al di là,
una vista limitata la racchiude.
Il tempo
la raggiunge
solo come in forma di vento, un breve
soffocato respiro. E se
la vita non lo raggiungesse?
Quando dovesse accadere
qualcosa, me l’ero assicurata,
proprio io, proprio,
insistendo.
Non c’è nulla che io sia,
nulla che non sia. Un luogo
in mezzo, io esisto. Sono
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più del pensiero, meno
del pensiero. Una casa
con venti ma una distanza
– qualcosa di sciolto al vento,
la sensazione del tempo come di quella esistenza,
sentieri verso le luci che lui ha abbandonato.
PAROLE
Sei sempre
con me,
non esiste
un luogo
separato. Ma se
nel luogo
tormentato
non posso parlare,
non solo indulgenza
o timore
ma una lingua
guasta
da ciò che gusta –
Esiste una memoria
di acqua,
di cibo quando uno ha fame.
Un giorno
e non sarà questo
allora dirò
parole
come chiari, bellissimi
filtri di cenere,
come polvere
da un luogo inesistente.
UNA PREGHIERA
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Benedici
una cosa piccola
ma infinita
e quieta.
Vi sono sensi
che creano un oggetto
col loro semplice sentirlo.
10 poesie di Robert Creeley tratte da “Parole” (dal libro “Per amore”, edizione italiana di Mondadori, 1971, traduzione di Perla Cacciaguerra, introduzione di Agostino Lombardo)
VALENTINA PER TE
*
Da dove, fino dove
il pensiero da fare –
Da dove, per dove
persino i significati ora mentono
Come, dove
queste speranze di riconciliare il cielo –
Anche la strada cambia
senza di te, anche il giorno.
Robert Creeley
Robert Creeley (Arlington, Massachusetts, 21 maggio 1926 – Odessa, Texas, 2 aprile 2005) Poeta statunitense, tra i maggiori esponenti della lirica postmoderna. Viaggiò in Europa e Asia vivendo per quarant’anni in Giappone, dove apprese la filosofia buddhista e lo zen. È spesso accostato ai poeti della Black Mountain, pur essendone lontano stilisticamente.
Poesie di William Stanley Merwin ,Poeta statunitense
ESERCIZIO
*
Prima dimentica che ore sono
per un’ora
fallo regolarmente ogni giorno
poi dimentica che giorno della settimana è
fallo regolarmente per una settimana
poi dimentica in che paese ti trovi
e esercitati a farlo in compagnia
per una settimana
poi fai entrambe le cose contemporaneamente
per una settimana
con il minor numero di pause possibile
il prossimo passo è dimenticare come aggiungere
o sottrarre
l’ordine non fa differenza
puoi variarlo
dopo una settimana
entrambi ti aiuteranno in seguito
a dimenticare come contare
dimentica come contare
a partire dalla tua età
inizia dal conto alla rovescia
inizia dai numeri pari
inizia dai numeri romani
inizia dalle frazioni di numeri romani
inizia dal vecchio calendario
passando al vecchio alfabeto
continuando con l’alfabeto
finché tutto non sarà di nuovo continuo
prosegui a dimenticare gli elementi
comincia dall’acqua
procedi con la terra
finisci con il fuoco
dimentica il fuoco
—————————————————–
Breve biografia di William Stanley Merwin (1927-2019)-
Poeta statunitense, autore di oltre trenta libri di poesia, traduzioni e prosa. Sostenitore del movimento contro la guerra, si distingueva per lo stile delle sue narrazioni caratterizzate con maestria unica dall’uso del discorso indiretto e assenza di punteggiatura. Vinse il Pulitzer nel 1971 e nel 2009.
Denise Levertov (1923-1997)-Nata e cresciuta in Inghilterra, ma trasferita negli Stati Uniti nel 1947, Denise Levertov (1923- 1997) è una voce importante del canone poetico nordamericano del ventesimo secolo, e tuttavia ancora non ben conosciuta in Italia. Il corpus completo della sua opera è stato raccolto nel 2013 in un volume di oltre mille pagine, Collected Poems (a cura di P. A. Lacey e A. Dewey per New Directions), consentendo per la prima volta uno sguardo complessivo sulla molteplicità delle forme e dei registri poetici impiegati, da quello autobiografico-confessionale a quello di ispirazione etica e religiosa, dalla poesia di impegno e testimonianza civile alla riflessione sul lavoro poetico.Le poesie proposte, tratte da due raccolte degli anni ottanta del Novecento, accentuano un motivo profondo e pervasivo di tutta la sua opera : l’osservazione, l’ascolto, l’empatia con il mondo naturale – animali, alberi, montagne, laghi – creature viventi e senzienti, a volte trasfigurate in senso antropomorfico e metapoetico, la cui esistenza è spesso minacciata dall’opera di distruzione dell’uomo. Motivo, o assillo, che diventa dominante negli ultimi anni della vita di Levertov, in coincidenza con il suo trasferimento a Seattle, dove vive in prossimità del lago Washington e del gigantesco vulcano Rainier, presenza viva e misteriosa di molte sue poesie.
Creare la pace Una voce dal buio gridò, “I poeti devono donarci immaginazione di pace, per scacciare la violenta, consueta immaginazione del disastro. Pace, non solo l’assenza di guerra”. Ma la pace, come una poesia, non esiste prima di esserci, non si può immaginare prima che sia creata, non si può conoscere se non nelle parole di cui è fatta, grammatica di giustizia, sintassi di mutuo soccorso. Un’ impressione, la vaga intuizione di un ritmo, è tutto quello che abbiamo finché non cominciamo a pronunciarne le metafore, a scoprirle mentre parliamo. Un verso di pace potrebbe forse nascere se riformuliamo la frase della nostra esistenza, cancelliamo la sua riaffermazione di profitto e potere, mettiamo in discussione i nostri bisogni, ci prendiamo lunghe pause . . . Un ritmo di pace potrebbe forse reggersi su quel fulcro diverso; la pace, una presenza, un campo di forza più intenso della guerra, potrebbe allora palpitare, strofa dopo strofa nel mondo, ogni gesto di vita una sua parola, ogni parola un fremito di luce – facce del cristallo che si va formando.
Denise Levertov
da Collected Poems, New Directions, 2013
traduzione di Paola Splendore
Toccare il centro
“Sono un paesaggio” dice lui
“un paesaggio e una persona che cammina in quel paesaggio.
Ci sono dirupi spaventosi qui,
e pianure appagate dalla loro
bruna monotonia. Ma soprattutto
ci sono foibe, luoghi
di terrore improvviso, di corto diametro
e infida profondità”.
“Lo so”, dice lei. “Quando vado
a passeggiare dentro me, come capita
un bel pomeriggio, senza pensarci,
presto o tardi arrivo dove falasco
e mucchi di fiori bianchi, ruta forse,
segnano la palude, e so che lì
ci sono pantani che possono tirarti
giù, farti affondare nel fango gorgogliante”.
“Avevamo un vecchio cane, dice lui, quand’ero ragazzo”,
un buon cane, socievole. Ma aveva una ferita
sulla testa, se ti capitava
di toccarla appena, saltava su con un guaito
e ti azzannava. Diede un morso a un bambino,
e dovettero portarlo dal veterinario e abbatterlo”.
“Nessuno sa dove si trova” dice lei,
“e nessuno la tocca neppure per sbaglio.
È dentro il mio paesaggio, e io sola, mentre avanzo
ansiosa nella vita, tra le mie colline,
dormendo sul muschio verde dei miei boschi,
inavvertitamente la tocco,
e mi avvento contro me stessa -“
“oppure mi fermo
appena in tempo”.
“Sì, impariamo a farlo.
Non è di paura, ma di dolore che parliamo:
quei punti dentro noi, come la testa ferita del tuo cane,
feriti per sempre, che il tempo
mai lenisce, mai.”
Zeroing In
“I am a landscape,” he said,
“a landscape and a person walking in that landscape.
There are daunting cliffs there,
And plains glad in their way
Of brown monotony. But especially
There are sinkholes, places
Of sudden terror, of small circumference
And malevolent depths.”
“I know,” she said. “When I set forth
To walk in myself, as it might be
On a fine afternoon, forgetting,
Sooner or later I come to where sedge
And clumps of white flowers, rue perhaps,
Mark the bogland, and I know
There are quagmires there that can pull you
Down, and sink you in bubbling mud.”
“We had an old dog,” he told her, “when I was a boy,
A good dog, friendly. But there was an injured spot
On his head, if you happened
Just to touch it he’d jump up yelping
And bite you. He bit a young child,
They had to take him to the vet’s and destroy him.”
“No one knows where it is,” she said,
“and even by accident no one touches it:
It’s inside my landscape, and only I, making my way
Preoccupied through my life, crossing my hills,
Sleeping on green moss of my own woods,
I myself without warning touch it,
And leap up at myself”
“or flinch back
Just in time.”
“Yes, we learn that
It’s not terror, it’s pain we’re talking about:
Those places in us, like your dog’s bruised head,
That are bruised forever, that time
Never assuages, never.”
*
Presagio
Basta con questi rami, questa luce.
Il cielo, anche se azzurro, mi intralcia.
Da quando ho cominciato a capire
di avere altro da fare,
non so più stare dietro al ritmo
dei giorni col passo agile degli altri inverni.
L’albero svettante,
quello che l’alba tingeva d’oro
è stato abbattuto – quel fervore di uccelli e cherubini
soffocato. La siccità ha scurito
più di una foglia verde.
Da quando
so che un altro desiderio ha cominciato
a proiettare i suoi lacci fuori di me
in un luogo ignoto, mi protendo
in un silenzio quasi presente,
inafferrabile tra i battiti del cuore.
Denise Levertov
Intimation
I am impatient with these branches, this light.
The sky, however blue, intrudes.
Because I’ve begun to see
there is something else I must do,
I can’t quite catch the rhythm
of days I moved well to in other winters.
The steeple tree
was cut down, the one that daybreak
used to gild – that fervor of birds and cherubim
subdued. Drought has dulled
many a green blade.
Because
I know a different need has begun
to cast its lines out from me into
a place unknown, I reach
for a silence almost present,
elusive among my heartbeats.
*
Due montagne
“Avvertire l’aura di una cosa che guardiamo significa dotarla della capacità di rispondere al nostro sguardo.”
Walter Benjamin
Per un mese (un attimo)
ho vissuto accanto a due montagne.
Una era solo un bastione
di roccia pallida. ‘Una facciata di roccia’ si dice
senza pensare a un’espressione o a un volto –
un’astrazione.
Ma si dice anche
‘un uomo dal volto di pietra’, oppure ‘si è chiusa
in un silenzio di pietra.’ Questa montagna,
avesse avuto occhi, avrebbe sempre guardato
oltre o attraverso; la bocca, ne avesse avuta
una, avrebbe stretto le labbra sottili,
implacabile, senza concedere niente, proprio niente.
L’altra montagna emanava
un silenzio tutto diverso.
Può essere che (da me non avvertita)
cantasse, addirittura.
Burroni, foreste, nudi picchi di roccia, obliqui, fuori centro,
in un elegante cono acuto o corno, avevano l’aria
di provare piacere, piacere di esistere.
Questa la guardavo e riguardavo
senza trovare
un modo per convincerla a incontrare il mio sguardo.
Dovetti accettare la sua totale indifferenza,
la mia totale insignificanza,
essere
inconoscibile per la montagna
come un ago di pino o di abete
sui suoi lontani pendii, per me.
Denise Levertov
Two Mountains
“To perceive the aura of an object we look at means to invest it with the ability to look at us in return.”
Walter Benjamin
For a month (a minute)
I lived in sight of two mountains.
One was a sheer bastion
of pale rock. ‘A rockface’, one says,
without thought of features, expression –
it’s an abstract term.
But one says, too,
‘a stony-faced man’, or ‘she maintained
a stony silence.’ This mountain,
had it had eyes, would have looked always
past one or through one; its mouth,
if it had one, would purse thin lips,
implacable, ceding nothing, nothing at all.
The other mountain gave forth
a quite different silence.
Even (beyond my range of hearing)
it may have been singing.
Ravines, forests, bare rock that peaked, off-center
in a sharp and elegant cone or horn, had an air
of pleasure, pleasure in being.
At this one I looked and looked
but could devise
no ruse to coax it to meet my gaze.
I had to accept its complete indifference,
my own complete insignificance,
my self
unknowable to the mountain
as a single needle of spruce or fir
on its distant slopes, to me.
Denise Levertov
Denise Levertov (1923-1997)-Nata e cresciuta in Inghilterra, ma trasferita negli Stati Uniti nel 1947, Denise Levertov (1923- 1997) è una voce importante del canone poetico nordamericano del ventesimo secolo, e tuttavia ancora non ben conosciuta in Italia. Il corpus completo della sua opera è stato raccolto nel 2013 in un volume di oltre mille pagine, Collected Poems (a cura di P. A. Lacey e A. Dewey per New Directions), consentendo per la prima volta uno sguardo complessivo sulla molteplicità delle forme e dei registri poetici impiegati, da quello autobiografico-confessionale a quello di ispirazione etica e religiosa, dalla poesia di impegno e testimonianza civile alla riflessione sul lavoro poetico.Le poesie proposte, tratte da due raccolte degli anni ottanta del Novecento, accentuano un motivo profondo e pervasivo di tutta la sua opera : l’osservazione, l’ascolto, l’empatia con il mondo naturale – animali, alberi, montagne, laghi – creature viventi e senzienti, a volte trasfigurate in senso antropomorfico e metapoetico, la cui esistenza è spesso minacciata dall’opera di distruzione dell’uomo. Motivo, o assillo, che diventa dominante negli ultimi anni della vita di Levertov, in coincidenza con il suo trasferimento a Seattle, dove vive in prossimità del lago Washington e del gigantesco vulcano Rainier, presenza viva e misteriosa di molte sue poesie.
Paola Splendore
Paola Splendoreha insegnato Letteratura inglese all’Università Orientale di Napoli e all’Università di Roma Tre, occupandosi in prevalenza di letterature post-coloniali e di letteratura migrante. Tra le sue aree di studio vi è anche la rappresentazione letteraria della violenza nella narrativa scritta da donne. Ha pubblicato saggi sull’opera di scrittori indiani, sudafricani e caraibici, oltre ad aver curato le edizioni italiane di opere di Virginia Woolf, del filosofo Raymond Williams e del premio Nobel J.M. Coetzee. Per Donzelli ha tradotto poesie di Sujata Bhatt (Il colore della solitudine, 2005), Ingrid de Kok (Mappe del corpo, 2008), Karen Press (Pietre per le mie tasche, 2012) e Moniza Alvi (Un mondo diviso, 2014); ha inoltre curato con Jane Wilkinson l’antologia di poesia sudafricana Isole galleggianti (2011) e tradotto una raccolta di poesie di Jo Shapcott (Della mutabilità, 2015). Dal 2016 a oggi ha coordinato il gruppo di traduttrici di un poemetto di Philip Schultz (Erranti senza ali) e ha curato le edizioni italiane di sillogi poetiche di Hardi Choman (La crudeltà ci colse di sorpresa, 2017), Philip Schultz (Il dio della solitudine, 2018) e Ruth Padel (Variazioni Beethoven, 2021).
Breve biografia di Alice Walker ha vinto il Pulitzer Prize e l’American Book Award per il romanzo The Color Purple (Colore di porpora). Altri suoi romanzi sono: Now Is the Time to Open Your Heart (È questo il momento di aprire il tuo cuore), By the Light of My Father’s Smile (Nella luce del sorriso paterno), Possessing the Secret of Joy ( Per possedere il segreto della gioia) e In the Temple of My Familiar (Nel tempio del mio familiare). È autore di tre volumi di racconti, tre libri di saggi, altri sei volumi di poesia, tra i quali A (Una poesia percorse il mio braccio) oltre a vari libri per i giovani. Nata a Eatonton, Georgia, tuttora abita nel lato nord della California. Poesie scelte da Revolutionary Petunias (Petunie revoluzionarie), di Alice Walker; A Harvest Book, Harcourt Brace & Company, San Diego, New York, London,1972; e da Absolute Trust in the Goodness of the Earth (Fiducia assoluta nella bontà della terra), Random House Trade Paperbacks, 2004.
Prima di lasciare il palco
Prima di lasciare il palco
Canterò l’unica canzone
Che davvero dovevo cantare.
È la canzone
IO SONO.
Sì: Io sono Io
&
Tu.
NOI SIAMO.
Amo Noi con ogni goccia
del nostro sangue
ogni atomo delle nostre cellule
le nostre particelle ondeggianti
-imperterrite bandiere del nostro Essere-
Né qua né là.
Traduzione di Rocio Bolanos
Nuovo viso
Ho imparato a non preoccuparmi dell’amore
ma di onorare le sue visite
con tutto il mio cuore.
Esaminare i cupi misteri
del sangue
con mente allegra e
leggera,
conoscere il flusso delle emozioni
sciolte e veloci
come l’acqua.
La fonte sembra
qualche inesauribile
sorgente
all’interno della nostra doppia
o triplice essenza;
il nuovo viso che io
rivolgo a te
nessuno al mondo
l’ha visto
ancora.
Breve biografia di Alice Walker ha vinto il Pulitzer Prize e l’American Book Award per il romanzo The Color Purple (Colore di porpora). Altri suoi romanzi sono: Now Is the Time to Open Your Heart (È questo il momento di aprire il tuo cuore), By the Light of My Father’s Smile (Nella luce del sorriso paterno), Possessing the Secret of Joy ( Per possedere il segreto della gioia) e In the Temple of My Familiar (Nel tempio del mio familiare). È autore di tre volumi di racconti, tre libri di saggi, altri sei volumi di poesia, tra i quali A (Una poesia percorse il mio braccio) oltre a vari libri per i giovani. Nata a Eatonton, Georgia, tuttora abita nel lato nord della California. Poesie scelte da Revolutionary Petunias (Petunie revoluzionarie), di Alice Walker; A Harvest Book, Harcourt Brace & Company, San Diego, New York, London,1972; e da Absolute Trust in the Goodness of the Earth (Fiducia assoluta nella bontà della terra), Random House Trade Paperbacks, 2004.
Grandissimo successo per la Prima Nazionale dell’Orchestra Poetica al MLA/Museo Lettera d’Amore-
Grandissimo successo per la Prima Nazionaledell’Orchestra Poeticaal MLA/Museo Lettera d’Amore – Grandissimo successo e partecipazione di pubblico sabato 30 novembre al MLA/Museo Lettera d’Amore (Torrevecchia Teatina – CH), per la PRIMA NAZIONALE del progetto “Orchestra Poetica – la nostra musica è cuore di parole” direzione a cura di Beniamino Cardines. Ospite d’onore della serata lo scrittore Remo Rapino che ha intrattenuto il pubblico magistralmente in conversazione con Massimo Pamio e Beniamino Cardines.
La serata, come ha illustrato la dott.ssa Antonella Crudo della Sovraintendenza alle Belle Arti, è stata inserita nell’ambito del Piano di Valorizzazione del Ministero della Cultura 2024.
In collaborazione con il “Premio Lettera d’Amore”, sono state orchestrate alcune “Lettere d’amore e altre parole dal cuore”, lettere scritte da: Remo Rapino (Premio Campiello 2020), Beniamino Cardines (Premio Autore dell’Anno 2023), Paolo Cirulli, Silvia Di Lorenzo, Omar D’Anastasio, Rodolfo Palermo, Giorgio Gazzolo, Nicola Dragani, Lorella Santeusanio. Accompagnamento al contrabbasso a cura di Luigi Blasioli.
Orchestra Poetica con: Beniamino Cardines, Rosamaria Binni, Franca Berardi, Maria Gabriella Ciaffarini, Manuela Di Dalmazi, Sandra De Felice, Antonella Caggiano, Giulia Madonna, Lucia Magistro, Mara Motta, Annarita Pasquinelli, Caterina Franchetta, Francesca Di Giuseppe, Antonella D’Arrezzo, Maria Grazia Genova, Alessandro Palomba, Alessio Scancella, Patrizia Splendiani. Coordinamento: Annarita Pasquinelli Michetti. Supervisor: Masimo Pamio e Giuseppina Verdoliva. Regia/direzione artistica: Beniamino Cardines.Un progetto che vuole portare la voce della poesia nella vita di tutti i giorni come forma d’arte e linguaggio dialogante. A formare l’Orchestra Poetica un nucleo di poeti e poetesse pluripremiati in concorsi nazionali e apprezzati in tutt’Italia, ovvero alcune delle voci più interessanti della poesia abruzzese contemporanea.
Torrevecchia Teatina – (CH)-Orchestra-Poetica-
Massimo Pamio, ideatore e direttore MLA: “Da oltre 20 anni riceviamo lettere d’amore da tutte le parti del mondo, questo vuol dire che c’è ancora chi vive l’amore e chi scrive l’amore. Il MLA/Museo Lettera d’Amore a Torrevecchia Teatina, è la piccola grande casa di questo progetto unico al mondo e molto apprezzato dai turisti internazionali che arrivano da noi alla ricerca della meraviglia che solo l’amore può suscitare. Il nostro archivio continua crescere di giorno in giorno come anche i molti riconoscimenti istituzionali che fanno di questo progetto un fiore all’occhiello della cultura.”
Beniamino Cardines, direttore artistico Orchestra Poetica: “La letteratura ci aiuta a costruire un mondo e la comprensione del mondo. Ciò che leggiamo diventa nostro patrimonio personale, una sorta di sistema immunitario parallelo. Senza la letteratura ci troveremmo di fronte a una regressione antropologica. L’Orchestra Poetica è un progetto innovativo, ideato per dare ulteriore slancio alla promozione della letteratura, oggi. Proponiamo delle parole da ascoltare, parole che si muovono nella coralità dei suoni e delle voci, dell’espressività. Un progetto performativo sulla letteratura che nasce oggi per restituire un cuore a molte parole sprecate.”
La Notizia.net è un quotidiano di informazione libera, imparziale ed indipendente che la nostra Redazione realizza senza condizionamenti di alcun tipo perché editore della testata è l’Associazione culturale “La Nuova Italia”, che opera senza fini di lucro con l’unico obiettivo della promozione della nostra Nazione, sostenuta dall’attenzione con cui ci seguono i nostri affezionati lettori, che ringraziamo di cuore per la loro vicinanza. La Notizia.net è il giornale online con notizie di attualità, cronaca, politica, bellezza, salute, cultura e sport. Il direttore responsabile della testata giornalistica è Lucia Mosca, con direttore editoriale Franco Leggeri.
Rivista Atelier-Fotografia di Lena Leander Kaschnig
Luca Tommasi (Bari, 1991) è Architetto e Dottore di ricerca in Composizione Architettonica e Urbana. Cura l’identità visiva della libreria Millelibri – Poesia & altri mondi. Ha pubblicato una raccolta di haiku e piccole tirature di libri d’arte.
molti i semi molti i fiori morto il bel canto il culto continua ma fuori dalla finestra dentro le campane suonano in cella aorta ferrata trasporto ver sacro
*
La notte come un telo potrebb’esser ampio lenzuolo e non l’avvicendarsi delle piccole ombricole che nel suono si fanno uova nate
una macchina si è affranta sul marciapiede di mattina l’asfalto è tutto specchio
un vecchietto aveva forse scritto una carezza sul viso a una carcassa sembrava come dire il rosso a un uomo di fango.
*
Ocra essere un tubero come l’oro dal terriccio inavvicinabile quando vicino alla morte e coi corni viola senz’ossa diventare tutto frutto oppure come faceva il nonno a casa si chiama cucumarazzo farsi cibo senza pelle e figli superare acerbo la maturità, fresco.
*
COSÌ POTRÒ GUARDARTI LE FESSURE
Qualcuno avrebbe potuto mettere i fiori nel vaso della ricotta come a dire terra espungimi mostra fuori l’approvvigionamento
non si va dove una casa è come la casa la cintola ammira lo spazio cerimoniale appunta il trionfo sopra l’omero vittoria della vita rudimento.
*
Tra un po’ sarà finito il tempo della calendula la persiana rafferma un rettangolo spanciato quadro urbano dell’agosto fatto acqua il suono è lontano – lo si ascolta dalla schiena la finestra è aperta, guarda al mezzo: sarà smessa l’ora che noi in un poco avemmo in dote.
Luca Tommasi (Bari, 1991) è Architetto e Dottore di ricerca in Composizione Architettonica e Urbana. Cura l’identità visiva della libreria Millelibri – Poesia & altri mondi. Ha pubblicato una raccolta di haiku e piccole tirature di libri d’arte.
La rivista «Atelier»ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
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La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale e si occupa di letteratura contemporanea.
direzioneatelierpoesiaonline@gmail.com
Per tutte le comunicazioni e proposte per Atelier Online, sia di pubblicazione di inediti che di recensioni vi preghiamo di scrivere al seguente indirizzo mail di direzione: eleonorarimolo@gmail.com
Alejandra Pizarnik nasce ad Avellaneda (Buenos Aires) il 29 aprile 1936,Poesie scelte dalla Rivista AVAMPOSTO in una famiglia di emigrati ebrei di origine russa. Assieme alla sorella maggiore Myriam compie i primi studi in una scuola ebraica, dove impara a leggere e a scrivere in yiddish. Durante l’adolescenza comincia a fare uso di anfetamine per curare i disturbi fisici di origine nervosa che la affliggono. A 18 anni si iscrive alla facoltà di Filosofia, poi a quella di Lettere e infine alla Scuola di giornalismo, ma non porta a termine gli studi. Dal 1960 al 1964 vive a Parigi. Muore a Buenos Aires nella notte tra il 24 e il 25 settembre 1972 per un’overdose di barbiturici.
Testi selezionati da La figlia dell’insonnia (trad. di C. Cinti, Crocetti, 2004)
Poesia
Tu scegli il luogo della ferita
dove dicemmo il nostro silenzio.
Tu fai della mia vita
questa cerimonia troppo pura.
Anelli di cenere
a Cristina Campo
Stanno le mie voci al canto
perché non cantino loro,
i grigiamente imbavagliati nell’alba,
i camuffati da uccello desolato nella pioggia.
C’è, nell’attesa,
una voce di lillà che si spezza.
E c’è, quando si fa giorno,
una scissione del sole in piccoli soli neri.
E quando è notte, sempre,
una tribù di parole mutilate
cerca asilo nella mia gola,
perché non cantino loro,
i funesti, i padroni del silenzio.
La notte
Della notte so poco
ma di me la notte sembra sapere,
e più ancora, mi assiste come se mi amasse,
mi ammanta di stelle la coscienza.
Forse la notte è la vita e il sole la morte.
Forse la notte è nulla
e nulla le nostre congetture
e nulla gli esseri che la vivono.
Forse le parole sono l’unica cosa che esiste
nel vuoto enorme dei secoli
che ci graffiano l’anima coi ricordi.
Ma la notte conosce la miseria
che succhia il sangue e le idee.
Scaglia l’odio, la notte, sui nostri sguardi
che sa pieni di interessi, di incontri mancati.
Ma accade che la notte, ne senta il pianto nelle ossa.
Delira la sua lacrima immensa
e grida che qualcosa è partito per sempre.
Un giorno torneremo a esistere.
Le opere e le notti
per riconoscere nella sete il mio emblema
per significare l’unico sogno
per non aggrapparmi di nuovo all’amore
sono stata tutta un’offerta
un puro errare
di lupa nel bosco
nella notte dei corpi
per dire la parola innocente
Presenza
la tua voce
in questo non potersene uscire le cose
dal mio sguardo
mi spossessano
fanno di me un vascello in un fiume di pietre
se non è la tua voce
pioggia sola nel mio silenzio di febbri
tu mi liberi gli occhi
e per favore
parlami
sempre.
ALEJANDRA PIZARNIK
Gli occhi aperti
Qualcuno misura singhiozzando
l’estensione dell’alba.
Qualcuno pugnala il cuscino
in cerca del suo impossibile
spazio di quiete.
Questa notte, in questo mondo
a Martha Isabel Moya
questa notte in questo mondo
le parole del sogno dell’infanzia della morte
non è mai questo che si vuol dire
la lingua materna castra
la lingua è un organo di conoscenza
del fallimento di ogni poesia
castrata dalla sua stessa lingua
che è l’organo della ri-creazione
del ri-conoscimento
ma non della resurrezione
di qualcosa in forma di negazione
del mio orizzonte di maldoror col suo cane
e niente è promessa
tra il dicibile
che equivale a mentire
(tutto ciò che si può dire è menzogna)
il resto è silenzio
solo che il silenzio non esiste
no
le parole
non fanno l’amore
fanno l’assenza
se dico acqua berrò?
se dico pane mangerò?
questa notte in questo mondo
straordinario il silenzio di questa notte
con l’anima succede che non si vede
con la mente succede che non si vede
con lo spirito succede che non si vede
da dove viene questa cospirazione d’invisibilità?
nessuna parola è visibile
ombre
spazi viscosi dove si occulta
la pietra della follia
neri corridoi
li ho percorsi tutti
oh fermati un altro po’ tra di noi!
la mia persona è ferita
la mia prima persona singolare
scrivo come chi alza un coltello nel buio
scrivo come dico
la sincerità assoluta sarebbe sempre
l’impossibile
oh fermati un altro po’ tra di noi!
lo sfacelo delle parole
che sloggiano il palazzo del linguaggio
la conoscenza tra le gambe
che cosa hai fatto del dono del sesso?
oh miei morti
li ho mangiati mi sono strozzata
non ne posso più di non poterne più
parole camuffate
tutto scivola
verso la nera liquefazione
e il cane di maldoror
questa notte in questo mondo
dove tutto è possibile
tranne
la poesia
parlo
sapendo che non si tratta di ciò
sempre non si tratta di ciò
oh aiutami a scrivere la poesia più prescindibile
quella che non serva nemmeno
a essere inservibile
aiutami a scrivere parole
in questa notte in questo mondo
***
La poesia che non dico,
quella che non merito.
Paura di essere due
sulla via dello specchio:
qualcuno che dorme in me
mi mangia e mi beve.
***
no, la verità non è la musica
io, triste attesa di una parola
qual è il nome che cerco
e che cosa cerco?
non il nome della deità
non il nome dei nomi
ma i nomi precisi e preziosi
dei miei desideri nascosti
qualcosa in me mi punisce
da tutte le mie vite:
– Ti abbiamo dato tutto il necessario perché comprendessi
e hai preferito l’attesa,
come se tutto ti annunciasse la poesia
(quella che non scriverai mai perché è un giardino inaccessibile– sono solo venuta a vedere il giardino –)
ALEJANDRA PIZARNIK
Alejandra Pizarnik nasce ad Avellaneda (Buenos Aires) il 29 aprile 1936, in una famiglia di emigrati ebrei di origine russa. Assieme alla sorella maggiore Myriam compie i primi studi in una scuola ebraica, dove impara a leggere e a scrivere in yiddish. Durante l’adolescenza comincia a fare uso di anfetamine per curare i disturbi fisici di origine nervosa che la affliggono. A 18 anni si iscrive alla facoltà di Filosofia, poi a quella di Lettere e infine alla Scuola di giornalismo, ma non porta a termine gli studi. Dal 1960 al 1964 vive a Parigi. Muore a Buenos Aires nella notte tra il 24 e il 25 settembre 1972 per un’overdose di barbiturici.
Testi selezionati da La figlia dell’insonnia (trad. di C. Cinti, Crocetti, 2004)
Fonte-RIVISTA AVAMPOSTO
«Avamposto» è uno spazio di ricerca, articolato in rubriche di approfondimento, che si propone di realizzare un dialogo vivo rivolto allo studio della poesia attraverso un approccio multidisciplinare, nella consapevolezza che una pluralità di prospettive sia maggiormente capace di restituirne la valenza, senza mai sfociare in atteggiamenti statici e gerarchizzanti. Ma «Avamposto» è anche un luogo di riflessione sulla crisi del linguaggio. L’obiettivo è interrogarne le ragioni, opponendo alla tirannia dell’immediatezza – e alla sciatteria con la quale viene spesso liquidata l’esperienza del verso – un’etica dello scavo e dello sforzo (nella parola, per la parola). Tramite l’esaltazione della lentezza e del diritto alla diversità, la rivista intende suggerire un’alternativa al ritmo fagocitante e all’omologazione culturale (e linguistica) del presente, promuovendo la scoperta di autori dimenticati o ritenuti, forse a torto, marginali, provando a rileggere poeti noti (talvolta prigionieri di luoghi comuni) e a vedere cosa si muove al di là della frontiera del già detto, per accogliere voci nuove con la curiosità e l’amore che questo tempo non riesce più a esprimere.
CONTATTI
RIVISTA AVAMPOSTO
Via Lupardini 4, 89121 Reggio Calabria (c/o Sergio Bertolino)
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