Articolo di Michela Ponzani,la Resistenza delle donnedi ieri e di oggi, per continuare a essere libere-
Articolo di Michela Ponzani,storica, autrice e conduttrice televisiva-Si avvicina il 25 aprile e a dispetto del linguaggio bellico utilizzato nell’ultimo anno di pandemia (cominciò l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri quando disse che il Covid aveva fatto più morti in Lombardia che i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale), forse vale la pena ricordare che la Resistenza non è stata solo un affare maschile-militare.
Si avvicina il 25 aprile e a dispetto del linguaggio bellico utilizzato nell’ultimo anno di pandemia (cominciò l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri quando disse che il Covid aveva fatto più morti in Lombardia che i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale), forse vale la pena ricordare che la Resistenza non è stata solo un affare maschile-militare.
Bersagli strategici dei nazisti e dei militi della Repubblica sociale, sono le donne a scontare con maggiore crudeltà una strategia terroristica fatta di stragi e rastrellamenti, di incendi a paesi e villaggi; di fucilazioni e torture sui corpi dei prigionieri politici.
Ma nella disperata lotta per la sopravvivenza, le donne decidono di non essere più vittime. E si ribellano a quella cultura di guerra che usa lo stupro come arma per umiliare il nemico sconfitto, riducendo il corpo femminile a bottino e preda degli eserciti (occupanti o liberatori).
Le memorie taciute delle donne raccontano storie di coraggio e di rivolta. E come ho ricordato in Guerra alle donne (Einaudi), ciò vale soprattutto per gli stupri di massa, compiuti dalle truppe marocchine e algerine nella primavera-estate del 1944 e le violenze subite dalle donne costrette a prostituirsi nei campi bordello, costruiti dall’esercito tedesco dietro la linea Gotica. Veri e propri tabù nella memoria nazionale e nel senso comune dell’Italia del dopoguerra.
La lotta partigiana delle donne è quindi una guerra di liberazione anzitutto contro la criminale violenza nazifascista; ma è anche una scelta di libertà. Una guerra privata, combattuta per l’emancipazione dalle discriminazioni e da ogni forma di subalternità sociale e culturale. Per le donne, la Resistenza è un atto di disobbedienza radicale; uno strappo definitivo con la società patriarcale, la liberazione dall’educazione fascista improntata al rispetto delle gerarchie fuori e dentro le mura domestiche, che le condanna ad essere la “pietra fondamentale della casa, la sposa e la madre esemplare”. Che non permette d’iscriversi alle facoltà scientifiche e considera irrazionale la mente femminile, perché “il genio è maschio”.
Ma perché oggi una ragazza dovrebbe appassionarsi a vicende che hanno più 70 anni?
Al di là di discorsi ingessati o retorico-celebrativi, forse la risposta sta nel fatto che quelle storie – con le emozioni, le paure, i tormenti che segnano la scelta partigiana, dolorosa e carica di responsabilità – continuano a parlare al nostro presente.
Perché se oggi il destino delle donne non è più quello di stare a casa e di lasciare tutto il mondo agli uomini, è grazie alle ragazze che hanno combattuto la dittatura fascista, rinunciando alla spensieratezza della gioventù.
E che nel dopoguerra hanno continuato a battersi, affrontando discriminazioni insopportabili.
“Donna partigiana, donna puttana” si sentì dire Carla Capponi medaglia d’oro al valor militare, durante un dibattito alla Camera da alcuni deputati della destra postfascista, con tanto di inequivocabili gesti osceni. E Marisa Rodano (che ha da poco festeggiato i 100 anni) ha raccontato che “negli anni ’50 le carceri erano piene di adultere”. Il marito poteva spedire la moglie in galera, se questa aveva una relazione con un altro uomo.
Fortissime erano poi le disparità nella sfera domestica e professionale: le donne non potevano divorziare o interrompere una gravidanza, né diventare giudici o poliziotte perché troppo fragili.
Persino ucciderle non era così grave: la legge, concedeva le attenuanti se un uomo, per ragioni di onore, uccideva la moglie, la sorella o la figlia (il delitto d’onore sarà abrogato solo nel 1981). Altre norme permettevano di picchiare la moglie per correggerne il carattere e giustificavano lo stupro se seguito da un matrimonio riparatore (solo nel 1996 diverrà reato contro la persona e non contro la morale). Le ragazze della Resistenza lasciano dunque il testimone alle generazioni future. Non scorderò mai quella studentessa di liceo che trovò il coraggio di parlare delle violenze subite in famiglia, dopo aver letto il diario di una partigiana. Le venne il desiderio di diventare una donna libera (disse proprio così). Grazie al movimento #MeToo, abbiamo squarciato il velo d’ipocrisia sugli abusi e le molestie sessuali (non solo nel mondo dello spettacolo) e abbiamo più coraggio nel denunciare gesti e parole di offesa, urlate o allusive. E possiamo dichiarare, senza il timore di essere considerate pazze o esagerate, di non sopportare più allusioni sessuali non richieste (in ufficio, a un colloquio di lavoro o all’università), o di vederci sminuite nella nostra professione; come quando la dottoressa che ti visita in ospedale viene definita signorina.
Ma l’emergenza Covid-19, che ci ha rintanate in casa, ha visto aumentare i femminicidi. Perché quando si è fragili e abbandonate a una vita di isolamento e degrado, è proprio la famiglia a trasformarsi in un’orrenda prigione. E ci arrivano come macigni le notizie di uomini che odiano e ammazzano le donne: “buoni padri di famiglia” che uccidono per “troppo amore”; uomini “per bene” travolti da un raptus perché “lei voleva lasciarlo”. E allora festeggiamo questo 25 aprile con le parole che Marisa Ombra, staffetta nelle brigate Garibaldi ha dedicato a tutte noi. “Siate partigiane, per essere libere sempre”.
*Storica, autrice e conduttrice televisiva di programmi culturali per Rai Storia, è tornata da pochi giorni in libreria con una nuova edizione di Guerra alle donne. Partigiane, vittime di stupro, “amanti del nemico” (1940-45) (Einaudi, pp. 384, € 14,00)
Maram al-Masri -(Lattakia Siria 2 agosto 1962)-Le donne come me, non sanno parlare; la parola le rimane di attraverso in gola come una lisca che preferiscono inghiottire. Le donne come me sanno soltanto piangere a lacrime restie che improvvisamente rompono e sgorgano come una vena tagliata. Le donne come me sopportano gli schiaffi senza osare renderli. Tremano di rabbia e la reprimono. Come leoni in gabbia le donne come me sognano la libertà …
( Versi tratti da Anime scalze, Maram Al- Masri, Multimedia Edizioni / Casa della poesia.)
Maram al-Masri
-M’infiamma il desiderio.
M’infiamma il desiderio.
E brillano i miei occhi.
Sistemo la morale nel primo cassetto che trovo,
mi muto in demonio,
e bendo gli occhi dei miei angeli
per un bacio.
-Dormi profondamente-
Dormi profondamente
e non ti preoccupare
per la mia insonnia,
lasciami sognare un po’
di strade alberate
e di vaste dune,
dove possa galoppare
sui miei cavalli bramosi,
io,
la donna che dovrà essere
buona
e ragionevole
domattina.
Ho osservato il mio specchio
Ho osservato il mio specchio
e vi ho visto
una donna
pienamente soddisfatta
con gli occhi brillanti
d’una squisita malizia.
L’ho invidiata
Abbiamo volti
che portiamo sulle spalle
sulle carte d’identità
nelle foto ricordo
Maram al-Masri
Abbiamo volti
Abbiamo volti
che strappiamo conserviamo
nascondiamo riveliamo
ai quali ci abituiamo che rinneghiamo
che amiamo
e odiamo
Abbiamo volti
che conosciamo…
diciamo: li conosciamo?
-Che follia-
Che follia!
Il mio cuore ogni volta che sente bussare
apre la porta.
-Uno straniero mi guarda-
Uno straniero mi guarda,
uno straniero mi parla,
sorrido ad uno straniero,
parlo ad uno straniero,
m’ascolta uno straniero,
davanti
alle sue pene
pulite e bianche
piango,
sulla solitudine che unisce
gli stranieri.
-La donna che guarda dalla finestra-
La donna che guarda dalla finestra
vorrebbe avere delle lunghe braccia
per prendere il mondo
il suo Nord e il suo Sud
il suo Est e il suo Ovest
nel suo grembo
come una tenera madre
vorrebbe avere grandi mani
per carezzare i suoi capelli
scrivere delle poesie
per alleviare la sua pena.
-Desideravo-
Desideravo
che le tue labbra sfiorassero
il mio collo,
per chiudere gli occhi
e assaporare
la magia di quel
momento
proibito.
-Io e la mia felicità-
Io e la mia felicità
aspettiamo
le vibrazioni dei tuoi passi.
-Sei molto diverso dagli altri-
Sei molto diverso dagli altri.
Il tuo segno distintivo:
il mio bacio
sulla
tua bocca.
-Sono la ladra dei dolci-
Sono la ladra dei dolci
esposti nel tuo negozio
le mie dita sono appiccicaticce
e non sono riuscita
a metterne uno solo
in bocca.
-Questa sera-
Questa sera
un uomo uscirà
in cerca
di una preda
per soddisfare il segreto dei suoi desideri.
Questa sera
una donna uscirà
in cerca
di un uomo che la renderà
la padrona del suo giaciglio.
Questa sera
la preda e il predatore si incontreranno
e si compenetreranno
e forse…
forse
si scambieranno i ruoli.
-Sul letto-
Sul letto
una macchia rossa
inumidita dalle lacrime del vergine desiderio.
Ama per la prima volta
e si immerge nell´acqua eterna della vita
quel sudore
caldo
e i suoi strani effluvi
che emanano da due corpi
che festeggiano la morte del desiderio.
-Specchio-
Mi sono guardata allo specchio
e ho visto
una donna
pienamente soddisfatta,
dallo sguardo radioso
e squisita malizia.
-Tristezza-
Sola
non le permetto
di farmi visita.
Volteggia intorno a me
la caccio via.
Eccola
simile a una mosca nera
simile a una orribile mosca nera
vola qui, ronza di là
per atterrare sul profondo del mio cuore.
Tristezza
una mucca impazzita
rumina
l´erba e il fieno
della mia estasi.
-Verso di lui-
Si è diretta verso di lui
per offrirgli
i suoi pori
e le sue unghie
decorate da ciliegie
che ha divorato
avidamente.
Se ne è andata
con il cestino del suo cuore
svuotato.
-Filo di luce-
Lo guardai
attraverso un filo di luce
che filtrava
dalla finestra della mia misericordia.
Il corpo affaticato
disteso accanto a me
affamato come me.
Gli ho fatto cenno
di avvicinarsi
ma ha rifiutato.
Glielo ho ordinato
ma ha disobbedito.
L’ho obbligato
si è avvicinato tremante dalla paura
di toccare
un altro corpo.
-L’Amore-
Lo voglio,
caldo
e profondo
che mi dia vertigine;
altrimenti, non ti avvicinare.
Che parta
dal mignolo della mia mano,
per finire alla punta dei miei piedi,
passando
per i miei monti,
le mie valli e le mie gole
e catturi
la mia anima.
– Aspetto,e cosa aspetto ?-
Aspetto,
e cosa aspetto ?
Un uomo carico di fiori
e di parole dolci.
Un uomo
che mi guardi e mi veda.
Che mi parli e m’ascolti.
un uomo che pianga
per me.
Provo pietà per lui
e l’amo.
-Impediscimi-
Impediscimi, mio saggio marito,
Impediscimi, mio saggio marito,
di issarmi sui tacchi della mia femminilità,
perché all’angolo
mi aspetta un giovane
-Lei mi apre-
Lei mi apre
le sue ampie porte.
Mi chiama
e mi spinge a lanciarmi
nel suo spazio
e come un uccello
davanti alla porta aperta della gabbia
non oso.
-Delitto-
Che
meraviglioso delitto
ho commesso?
Ho goduto
di un corpo
che mi ha donato
un fiume inebriante
e una ribellione di vita.
-Anime scalze-
Le ho viste.
Loro,
i loro volti dai lividi celati.
Loro,
gli ematomi nascosti tra le cosce,
Loro,
i loro sogni rapiti, le loro parole azzittite
Loro,
i loro sorrisi affaticati.
Le ho viste
tutte
passare nella strada
anime scalze,
che si guardano dietro,
temendo di essere seguite
dai piedi della tempesta,
ladre di luna
attraversano,
camuffate da donne normali.
Nessuno le può riconoscere
tranne quelle
che sono come loro.
-Vieni, vieni-
Vieni, vieni
ho preparato la tavola del mio ventre
il giardino delle mie cosce dai frutti maturi
le mie cosce calde e felici
succose di nettare di desiderio.
Ma
prepara la tua bocca affinché io possa mangiare.
Vieni, vieni
ben temperato è il mio vino sacro
che ti darà il godimento
di una donna
matura d’amore.
Maram al-Masri
– Mi ha detto che sarebbe venuta-
Mi ha detto che sarebbe venuta
quando?
non lo so
tuttavia lei verrà, è sicuro
ma prima
bisognerà che mi tolga
lo sfavillio degli occhi
la freschezza della pelle
la pienezza dei seni
l’umido dei passi
la lucentezza dei capelli.
Dovrà privarmi
della voglia di correre
di danzare
di scoprire le braccia
di guardarmi nello specchio.
Le servirà far morire il mio desiderio
il desiderio di baciare
di fare l’amore.
– È venuta tutta intera-
È venuta tutta intera,
con l’odore del suo letto
e della sua cucina,
con i baci di suo marito
nascosti sotto la camicetta,
con il suo sperma
ancora caldo
nel ventre.
È venuta,
con la sua storia e i suoi sogni,
le sue rughe,
e il suo sorriso screpolato,
con la peluria che si tesse
sul bordo delle sue guance,
con i resti delle loro colazioni
appiccicati ai denti.
È venuta con tutti i miei dolori,
la donna che vive con il mio uomo.
-Che dispiacere-
Che dispiacere
per ogni parola d’amore
che voleva dichiararsi
e che fu seppellita viva.
Che dolore
in gola.
-Aspetto dietro la tua porta-
Aspetto
dietro la tua porta,
non aizzarmi contro i tuoi cani rabbiosi
perchè mi caccino.
I tuoi cani
che ho visto nascere,
che ho nutrito,
che ho carezzato,
che si sono dimenticati
che li abbracciavo
e che nascondevano la loro testa
nel mio grembo.
Ah,gli ingrati!
Ogni volta
che apro la mia valigia,
ne esce polvere.
– Madame Chevrot-
Età : 75 anni Professione : ex stiratrice
È da molto
che non vedo Madame Chevrot,
la donna che di solito
incontravo nella strada principale.
Mi sorrideva
e il suo sorriso mi costringeva a fermarmi,
anche se avevo fretta,
per parlare del tempo,
della sua bellezza di un tempo
e degli uomini che l’hanno amata.
Madame Chevrot è piccola,
un naso grosso come una melanzana
e pochi denti
rotti e neri,
Lei giura con fierezza, che sono veri.
Elegante, per quanto l’età lo permetta.
Truccata, tanto che le cascano le palpebre …
Al nostro ultimo incontro
mi ha raccontato
di aver conosciuto un uomo
nella sala da ballo
dove stava imparando la salsa.
Lui avrebbe tanto voluto vivere con lei …
Ma lei?
Lei esitava,
divisa tra rinunciare alla sua libertà
e rinunciare al suo russare,
perché, mi diceva,
è tutto quello che lui può offrirle
la notte.
– Grazie a tutti quelli che.-
Grazie a tutti quelli
che mi hanno amato
e a tutti quelli che mi hanno detestato
a quelli che mi hanno abbandonato
e a quelli che ho abbandonato
Ogni volta mi hanno ridato fuoco
e riacceso in me il desiderio
Ci sono quelli che ho dimenticato
e quelli che non dimenticherò mai
Non mi hanno impedito
d’avventurarmi
ogni volta
ad amare di nuovo.
Maram al-Masri
Maram al-Masri -(Lattakia Siria 2 agosto 1962)-Le donne come me, non sanno parlare; la parola le Maram al-Masri rimane di attraverso in gola come una lisca che preferiscono inghiottire. Le donne come me sanno soltanto piangere a lacrime restie che improvvisamente rompono e sgorgano come una vena tagliata. Le donne come me sopportano gli schiaffi senza osare renderli. Tremano di rabbia e la reprimono. Come leoni in gabbia le donne come me sognano la libertà …
( Versi tratti da Anime scalze, Maram Al- Masri, Multimedia Edizioni / Casa della poesia.)
Maram al-Masri – Vive suoi primi vent’anni nella città portuale siriana di Lattakia, vicina all’isola di Cipro. Dopo gli studi a Damasco e in Inghilterra, è costretta a lasciare la sua terra d’origine insieme a suo marito perché oppositrice del regime di Assad.
Si trasferisce con lui a Parigi dove vive dal 1982. A seguito della fine del suo matrimonio, l’ex marito ritorna in Siria portando con sé anche il figlio di soli diciotto mesi. A Maram Al Masri per tredici anni viene proibito di vederlo.
Maram esordisce a Damasco dove pubblica “Ti minaccio con una colomba bianca”, presso la casa editrice del Ministero dell’ Educazione. Dopo un lungo periodo di silenzio, nel 1997 ritorna alla poesia con “Ciliegia rossa su piastrelle bianche”, pubblicato a Tunisi dalle Edizioni L’Oro del Tempo nel 1997, e salutato con entusiasmo dalla critica dei paesi arabi. Nel 1998 riceve il premio del Forum culturale libanese in Francia, al quale partecipò il poeta libanese Adonis.
Nella raccolta Anime Scalze la poetessa dedica la sua opera alle donne vittime di violenza in Francia e nel mondo, a quelle “anime scalze”, alle donne che non sono mai state amate.
Nel 2000 Al Manar Edizioni pubblica a Beirut la terza raccolta Ti guardo e nel 2002 viene pubblicata in Spagna la prima traduzione di Ciliegie rosse su piastrelle bianche. Le sue opere cominciano ad essere tradotte in molte lingue. L’edizione spagnola di Ti guardo resta per quattro settimane tra i primi dieci libri di poesia più venduti. Maram al-Masri ha partecipato a numerosi festival internazionali di poesia in tutto il mondo e per Casa della poesia nel 2004 a “Il cammino delle comete” e a “Sidaja”, nel 2005 a “Napolipoesia nel Parco” e agli “Incontri di Sarajevo”. Nel 2007 e nel 2009 ha preso parte a “VersoSud”, Reggio Calabria. Nel 2017 ha ricevuto il Premio Casa della poesia – Regina Coppola.
Bibliografia
PUBBLICAZIONI:
1984 “Ti minaccio con una colomba bianca”, Ministero dell’ Educazione, Damasco.
1997, “Ciliegia rossa su piastrelle bianche”, Edizioni L’Oro del Tempo, Tunisi. Questo libro è stato tradotto in spagnolo, in francese, in corso e in inglese (Gran Bretagna e Stati Uniti). Molte sue poesie sono state tradotte e pubblicate in riviste, in spagnolo, francese, inglese, tedesco, italiano, corso e turco.
2000, “Ti guardo”: è stato pubblicato originariamente a Beirut (e poi in Francia e in Spagna); è stato pubblicato nell’agosto del 2009 da Multimedia Edizioni (traduzione dall’arabo di Marianna Salvioli).
2011, “Les âmes aux pieds nus”: è stato pubblicato in Francia da Le Temps des Cerises, e in Italia col titolo “Anime scalze” nel 2011 dalla Multimedia Edizioni / Casa della poesia che nel 2014 dà alle stampe “Arriva nuda la libertà” (traduzione dall’arabo di Bianca Carlino). Nel 2018 con la traduzione di Raffaella Marzano viene pubblicato “La donna con la valigia rossa”, racconto illustrato dall’artista salernitana Ida Mainenti.
La sua poesia è inserita nel volume “Non ho peccato abbastanza. Antologie di poetesse arabe contemporanee” (Mondadori, 2007).
Maram Al-Masri Nella Siria martoriata c’è una città che si chiama Lattakia. Una città di mare, vicina all’isola di Cipro: lì il 2 Agosto del 1962 è nata Maram Al-Masri e lì ha vissuto i suoi primi vent’anni. Studia a Damasco, poi in Inghilterra. Si sposa giovanissima e con il marito è costretta a fuggire a Parigi, in quanto oppositrice del regime di Assad.
Lì ho sepolto mio padre il giorno in cui ho deciso di partire con una sola valigia colma di sogni senza memoria… e la sua fotografia.
Quando il suo matrimonio finisce il marito ritorna in Siria portando con sé il figlio che Maram non vedrà per i successivi tredici anni. A Lattakia, oggi presa di mira dall’ISIS, vive ancora tutta la sua famiglia.
Maram esordisce a Damasco nel 1984 con Ti minaccio con una colomba bianca; poi, dopo un lungo periodo di silenzio, pubblica nel 1997 la raccolta di poesie Ciliegia rossa su piastrelle bianche. Ti guardo viene invece pubblicato a Beirut nel 2000.
Nella raccolta Anime scalze del 2011 Maram dedica i suoi versi a tutte le donne vittime di violenza, alle profughe, alle donne sommerse. La sua scrittura diventa quasi fotografia, è come vederle queste donne: i loro lividi, i loro sogni rapiti, le parole che non possono dire, i sorrisi stanchi:
Le ho viste tutte passare in strada / anime scalze, / che si guardano dietro, / temendo di essere seguite / dai piedi della tempesta, / ladre di luna / attraversano, / camuffate da donne normali. / Nessuno le può riconoscere / tranne quelle / che somigliano a loro.
La poesia di Maram è un inno alla bellezza che sopravvive al di là degli orrori, della guerra, della violenza nelle piccole cose.
Oggi il dolore di Maram è quello del suo popolo, decimato in pochi anni. I siriani da venti milioni sono diventati undici milioni. Quelli che hanno deciso di restare nella loro terra affrontano ogni giorno fame, prigione e torture da parte del regime, e le bombe dell’ISIS. A loro Maram dedica la raccolta di poesie Arriva nuda la libertà del 2014:
La Siria per me… è una donna violentata tutte le notti da un vecchio mostro / violata / imprigionata / costretta a sposarsi. / La Siria per me / è l’umanità afflitta / è una bella donna che canta l’inno della Libertà / ma le tagliano la gola. / È l’arcobaleno del popolo / che si staglierà dopo i fulmini e le tempeste.
I versi di Maram sono un omaggio a coloro che hanno perso la vita sotto le bombe o che sono morti sotto le torture del regime. Sono “figli della libertà”, indossano abiti usati di stoffa ruvida, sono scalzi o hanno scarpe troppo grandi. I figli dei figli della libertà giocano con brandelli di pneumatici, con i sassi, con i resti degli ordigni esplosi. Nessuno ha più la forza di raccontare loro una favola, ascoltano solo “il frastuono della paura e del freddo / sui marciapiedi / davanti alle porte delle loro case distrutte / negli accampamenti / o / nelle tombe.”
Ha un sogno Maram: diventare un uccello dalle grandi ali e sorvolare finalmente la sua nazione liberata da guerra e violenza, risorta dalle rovine.
Un esilio è paragonabile ad un albero privato delle radici. Una migrante come me / […] / non attecchisce da nessuna parte. / Senza patria / viene da ogni orizzonte, / portata dalle ali del vento.
Lontana dalla sua terra, la voce di Maram grida forte il proprio dissenso. I suoi versi diventano atti civili di resistenza al regime, richiesta di rispetto dei diritti umani. La sua poesia vola dalla Francia alla Siria, dall’Occidente all’Oriente: inno di giustizia e di libertà sia per i siriani che hanno deciso di restare sia per quelli che, in cammino per le strade del mondo, cercano pace e accoglienza.
Nel 2020 è stato tradotto in italiano dalla casa editrice Medinova il suo libro autobiografico “Le Rapt” con il titolo “La lontananza”.
Fonti, risorse bibliografiche, siti su Maram Al-Masri
POESIA CURDA in ricordo di Asia Ramazan Antar, eroina curda morta a 20 anni per difendere la Siria dall’Isis.
Pubblichiamo questa Poesia per onorare una giovane guerrigliera curda ,di 20anni, morta in combattimento. Questa è la poesia che Asia Ramazan Antar ha inviato, come testamento e lettera di addio alla madre . La poesia si conclude con queste parole :” Se non torno, la mia anima sarà parola …per tutti i poeti.” Noi, Poeti della Sabina, vogliamo testimoniare la memoria della giovane guerrigliera e onorare il messaggio che ha inviato a tutti i Poeti del mondo. La Poesia e gli Eroi non hanno confini.Giovane Asia Ramazan Antar riposa serena nel paradiso degli Eroi e canta le tue poesie alle stelle e alla luna quando si accendono la sera .
POESIA CURDA in ricordo di Asia Ramazan Antar, eroina curda morta a 20 anni per difendere la Siria dall’Isis.
“Accanto ai tanti avvenimenti che ha vissuto per lo più da protagonista, Carla mostra ferma e autonoma capacità di giudizio e cattura il lettore con la freschezza del suo periodare. Fin dalle prime pagine. Esperienze di vita è davvero un libro bello e altamente educativo. Ci sono dei passaggi illuminanti perché non solo costituiscono il felice spaccato di un’epoca e dei suoi mutamenti, ma pure sintetizzano le qualità di una donna coerente e coraggiosa”
Breve biografia di Carla Calcatelli, nata a Corinaldo, nel dopoguerra è una militante politica del Partito Socialista, poi parte per Torino dove diventa una sindacalista che nella Cgil lotta per migliorare l’ambiente di lavoro e per i diritti delle donne.
VENTURA EDIZIONI Via A. da Brescia 15/a – 60019 -Senigallia (An) – Tel: + 3358444132 – Email: info@venturaedizioni.it
Poesie inedite per Roberto Volponi – edito da Interlinea–
La storia della toccante amicizia amorosa fra Alda Merini e Roberto Volponi, figlio dello scrittore Paolo, nata nelle serate trascorse al bar milanese Chimera, rifugio di poeti e sognatori come Tondelli, Busi, Raboni e Lamarque.
Poesie che parlano di amore e morte, amicizia e dolore, che rivivono grazie a un lavoro di interpretazione dei dattiloscritti dell’autrice, composti su una macchina per scrivere dai tasti e nastro rovinati.
Un’inedita Alda Merini riemerge nei testi ritrovati di “Di parlarti non ho coraggio”, curati da Ambrogio Borsani ed editi da Interlinea, in libreria dal 28 ottobre, con anteprima al festival internazionale di poesia civile di Vercelli sabato 9 novembre alla libreria Mondadori di Vercelli alle ore 12.
Le poesie inedite della raccolta celebrano la storia di un’amicizia insolita tra la poetessa dei Navigli e il giovane Roberto Volponi, figlio dello scrittore Paolo, nata nelle serate trascorse fino alle due a conversare nel bar libreria Chimera di Milano, rifugio di poeti e sognatori, da Tondelli a Busi, da Raboni a Lamarque.
«Lui era affascinato dalla vicenda umana e letteraria della poetessa e soprattutto dalla sua libertà lessicale nel raccontarla» ricorda nella premessa il curatore Borsani, amico della Merini ed egli stesso frequentatore del Chimera: «mentre lei vedeva in lui un ragazzo appassionato, curioso, tenero, con una fede ostinata nelle utopie e una sorprendente partecipazione agli abissi delle umane vicende».
Dopo la morte improvvisa del giovane Volponi in un incidente aereo nel 1989, Merini donò alla famiglia il gruppo di poesie di straordinaria intensità rimaste ignote fino a oggi anche per problemi filologici oggi risolti, ricordo della stima e dell’affetto profondo tra i due: «Purissima ambizione la mia / che tocco le tue vesti / colme di ingegno e poi / ti lasciarono andare le mie mani / come avessero avuto la maggiore / folgorazione. In vita eri sì bello / che ogni profilo tuo pieno di vento / diventava commiato di parola».
I testi sono stati dattiloscritti dall’autrice con una macchina per scrivere con tasti dissestati e nastro scarico di inchiostro (tanto che in sostituzione del nastro spesso usava anche fogli di carta carbone) e pertanto la trascrizione ha dovuto interpretare le molte lettere digitate erroneamente.
Di parlarti non ho coraggio. Poesie inedite per Roberto Volponi «Io di parlarti non ho coraggio, / né nominarti come solo amore»: un inedito sorprendente che la poetessa dei navigli ha composto su una macchina per scrivere dai tasti e nastro rovinati per ricordare l’amico Roberto Volponi, il figlio dello scrittore Paolo morto giovane in un incidente aereo. Sono testi che parlano di amore e morte, amicizia e dolore, con le illuminazioni di Alda Merini tanto amate dai suoi lettori. Come ricorda Ambrogio Borsani, amico di entrambi, frequentati al bar milanese Chimera con Tondelli, Busi, Consolo, Raboni e molti altri, è la testimonianza di una stagione unica da cui sono nate queste poesie che meritano di trovare «un posto nella vasta e variegata geografia poetica della Merini: la storia di un’amicizia insolita vissuta in un luogo rifugio di poeti e sognatori». Scrive lei: «Eri sì puro come una medaglia, / ed io medaglia che mi sono sfatta / brillo appena di luce sul tuo cuore».
Biografi di Alda Merini è nata a Milano nel 1931. Ha avuto riconoscimenti importanti alle sue prime raccolte, tra La presenza di Orfeo (1953) e Tu sei Pietro (1961). Sono seguiti vent’anni di silenzio per la drammatica esperienza dell’ospedale psichiatrico. Il suo capolavoro, La Terra Santa, uscì nel 1983 accolto da una sostanziale indifferenza. Nel 1986 raccontò l’esperienza del manicomio in L’altra verità. Diario di una diversa. Grazie a Giovanni Raboni riemerse all’attenzione del pubblico con Delirio amoroso, prose liriche del 1989. Nel 1993 vinse il premio Librex-Montale. Con Ballate non pagate (1995) vinse il premio Viareggio. La prima antologia, Fiore di poesia, curata da Maria Corti, uscì per Einaudi nel 1998 creando un caso editoriale. Iniziò una vasta produzione di plaquette e libri sparsi tra decine di editori. Nell’ultimo periodo scrisse diversi libri segnati da una vena di misticismo, come Francesco. Canto di una creatura (2007), e tra le ultime raccolte per Einaudi troviamo Superba è la notte (2000). Si spense all’Ospedale San Paolo di Milano il primo novembre del 2009. Il suono dell’ombra (2018) è la più ampia raccolta della sua produzione in prosa e poesia negli “Oscar” Mondadori. Interlinea ha già pubblicato di lei Più della poesia, due conversazioni con Paolo Taggi, che per primo la portò in tv, un libro-verità con dvd in cui lei si racconta come mai aveva fatto prima (link alla scheda del libro).
Di parlarti non ho coraggio- di Alda Merini, a cura di Ambrogio Borsani ed edito da Interlinea, sarà presentato in anteprima sabato 9 novembre al festival di poesia civile di Vercelli
A cura di Ambrogio Borsani, pp. 64, 12 euro
In libreria dal 28 novembre
Ordinabile sul nostro sito senza spese di spedizione fino al 31 ottobre.
Bell Hooks è morta, fu l’ispiratrice del femminismo “radicale”e intersezionale.
Bell Hooks –Gloria Jean Watkins (Hopkinsville, 25 settembre 1952 – Berea, 15 dicembre 2021) -Nata a Hopkinsville, in Kentucky, Stato segregazionista, figlia di un bidello scolastico e di una donna di servizio, frequenta una scuola per soli neri fino a fine anni Sessanta, quando il Kentucky finalmente recepisce pienamente la direttiva della sentenza del 1954 Brown v. Board of Education.-
Per celebrare le opere della scrittrice femminista, scomparsa il 15 dicembre 2021 a 69 anni, pubblichiamo un estratto del suo “Insegnare a trasgredire” (Meltemi edizioni)
Bell Hooks
Il 15 dicembre è morta la scrittrice e intellettuale bell hooks, punto di riferimento del pensiero femminista. Per sé e le sue opere scelse uno pseudonimo da usare rigorosamente con le lettere minuscole perché fosse data più importanza alle sue idee che al suo nome. Per ricordarla e celebrarla, oggi ancora di più, pubblichiamo un estratto del suo “Insegnare a trasgredire. L’educazione come pratica della libertà”, pubblicato da Meltemi nel 2020.
“Estasi. Insegnare e apprendere senza limiti
In una splendida giornata estiva del Maine, sono ruzzolata da una collina e mi sono rotta il polso in maniera grave. Mentre stavo seduta in terra attanagliata da un dolore lancinante, più intenso di qualsiasi altro avessi mai provato in vita mia, un’immagine mi attraversò la mente. Ero io, ragazzina, che ruzzolavo da un’altra collina. In entrambi i casi, la causa della mia caduta era il tentativo di superare i miei limiti. Da bambina era il limite della paura. Da adulta, era il limite della stanchezza, direi persino dell’esaurimento fisico. Ero giunta a Skowhegan per tenere una conferenza nell’ambito di un programma estivo di studi artistici. Alcuni studenti non bianchi mi avevano confidato che raramente il loro lavoro veniva preso in considerazione da studiosi e artisti di colore. Anche se mi sentivo stanca e nauseata, volevo supportare il loro lavoro e i loro bisogni, così mi svegliai al mattino presto per salire sulla collina e visitare gli atelier.
Un tempo Skowhegan era una fattoria funzionante, mentre ora i vecchi granai erano stati convertiti in atelier. Quello che stavo lasciando, dopo un’intensa discussione con alcuni giovani artisti neri, maschi e femmine, portava a un pascolo di mucche. Seduta dolorante in fondo alla collina, vidi nel volto dell’artista nera di cui avevo cercato di raggiungere la porta dell’atelier una delusione incredibile. Quando venne ad aiutarmi espresse preoccupazione, eppure quello che percepii era un altro sentimento. Aveva davvero bisogno di parlare del suo lavoro con qualcuno di cui potersi fidare, che non l’avrebbe affrontato con pregiudizio razzista, sessista o classista, qualcuno il cui intelletto e la cui visione sentiva di rispettare. Quando penso alla mia vita da studente, ricordo vividamente i volti, i gesti e i modi di essere di tutti i diversi insegnanti che mi hanno educato e guidato, che mi hanno offerto l’opportunità di provare gioia nell’apprendimento, che hanno reso la classe un luogo di pensiero critico, che hanno reso lo scambio di informazioni e idee una sorta di estasi. Senza la capacità di pensare criticamente a noi stessi e alle nostre vite, nessuno di noi è in grado di andare avanti, cambiare, crescere, indipendentemente dalla classe, dalla razza, dal genere o dalla posizione sociale di una persona. Nella nostra società, che è fondamentalmente anti-intellettuale, non viene incoraggiato il pensiero critico. La pedagogia impegnata è stata essenziale per il mio sviluppo come intellettuale e insegnante, perché il cuore di questo approccio all’apprendimento è il pensiero critico. Negli ambiti di apprendimento in cui studenti e insegnanti celebrano la propria capacità di pensare in modo critico e di impegnarsi nelle prassi pedagogiche si manifestano le condizioni di un’apertura radicale.
La scelta di andare controcorrente, di sfidare lo status quo, ha spesso conseguenze negative. E questo è parte di ciò che rende tale scelta politicamente non neutra. Nei college e nelle università, l’insegnamento è spesso il meno apprezzato dei nostri numerosi compiti professionali. Idealmente, l’educazione dovrebbe essere tale per cui la necessità di diversi metodi e stili di insegnamento venga considerata importante, incoraggiata, vista come essenziale per l’apprendimento. Durante la mia carriera di insegnante i miei corsi sono stati troppo frequentati per essere efficaci quanto potevano essere. Nel corso del tempo, ho compreso che la pressione dei dipartimenti volta a spingere i docenti “popolari” ad accettare classi più grandi è anche un modo per minare la pedagogia impegnata. Una strategia utile che ho utilizzato è stata quella di incontrare ogni studente delle mie lezioni, anche se solo per breve tempo. Piuttosto che sedermi nel mio ufficio per ore ad aspettare che i singoli studenti scegliessero di incontrarmi o che i problemi si manifestassero, ho preferito programmare pranzi con gli studenti.
La pedagogia impegnata (in una delle sue molte varianti) è davvero l’unico tipo di insegnamento che genera realmente eccitazione in classe, che consente agli studenti e ai docenti di provare la gioia di apprendere.
Questa evidenza si è manifestata nuovamente durante il mio viaggio al pronto soccorso, dopo essere caduta da quella collina. Ho discusso così intensamente delle mie idee con i due studenti che mi stavano portando di corsa in ospedale, che ho dimenticato il dolore che stavo provando. È questa passione per le idee, per il pensiero critico e per lo scambio dialogico che voglio celebrare in classe, che desidero condividere con gli studenti.
È stata la reciproca interazione tra il pensare, lo scrivere e il condividere idee come intellettuale e insegnante che ha dato vita a ogni intuizione presente nel mio lavoro. La mia devozione a tale interazione mi costringe a insegnare in contesti accademici, nonostante la loro difficoltà.
Quando ho letto Strangers in Paradise: Academics from the Working Class, sono rimasta colpita dall’intensa amarezza espressa nelle singole narrazioni. Questa amarezza non mi era sconosciuta. Ho capito cosa intendeva Jane Ellen Wilson quando ha dichiarato: “Conquistare un alto livello di istruzione ha rappresentato per me un processo di perdita di fede”. Ho provato in particolare quell’amarezza nei confronti dei colleghi accademici. Emergeva dalla mia convinzione che così tanti di loro avessero tradito volentieri la promessa di comunione intellettuale e apertura radicale che credo siano il cuore e l’anima dell’apprendimento. Quando sono andata oltre quei sentimenti per focalizzare la mia attenzione sull’aula, l’unico posto nell’accademia in cui avrei potuto avere il massimo impatto, sono diventati meno intensi. Sono diventata più appassionata nel mio impegno per l’arte dell’insegnamento. Viaggio al fianco degli studenti mentre vivono la loro vita al di là della nostra esperienza in aula. In molti modi, continuo a insegnare loro, anche se loro diventano più capaci di insegnare a me. La lezione importante che impariamo insieme, la lezione che ci consente di muoverci insieme all’interno e oltre l’aula, è quella dell’impegno reciproco. Non potrei mai dire di non avere idea del modo in cui gli studenti rispondono alla mia pedagogia; mi danno un feedback costante.
Agli studenti non piace sempre studiare con me. Spesso si sentono sfidati dai miei corsi, e questo li destabilizza molto. Affrontare questo aspetto si è rivelato particolarmente difficile all’inizio della mia carriera di insegnante, perché volevo essere apprezzata e ammirata. Sono stati necessari tempo ed esperienza per capire che i vantaggi della pedagogia impegnata potevano non emergere nella durata di un corso. Fortunatamente, ho insegnato a molti studenti che si sono presi il tempo di ricontattarmi e condividere con me l’impatto del nostro comune lavoro sulla loro vita. E così il mio lavoro di insegnante ottiene riconoscimenti continui, non solo quelli che mi sono stati elargiti, ma anche quelli derivanti dalle scelte professionali degli studenti, dai loro modi di essere.
Ho iniziato questa raccolta di saggi confessando di non aver voluto diventare un’insegnante. Dopo vent’anni di insegnamento, posso affermare di essere spesso più felice in classe, più vicina al Nirvana qui che nella maggior parte delle mie esperienze di vita. In un recente numero di Tricycle, una rivista sul pensiero buddista, Pema Chodron parla dei modi in cui gli insegnanti diventano modelli di vita, descrivendo coloro che più hanno toccato il suo spirito:
[…] i miei modelli erano persone che uscivano dagli schemi convenzionali e che erano veramente in grado di fermare i miei pensieri, aprirmi la mente e liberarla, anche solo per un momento, dal modo convenzionale e abituale di guardare alle cose… Quando ci si prepara per davvero all’impermanenza, alla realtà dell’esistenza umana, si vive sul filo del rasoio e bisogna abituarsi a una realtà di cambiamenti continui. Nulla è certo ed eterno, e non sappiamo cosa accadrà. I miei insegnanti mi hanno sempre spinta ad andare oltre…
Leggendo quel passaggio ho avvertito un’intensa sintonia, poiché in tutti gli aspetti della mia vita ho cercato insegnanti capaci di sfidarmi ad andare oltre ciò che avrei potuto scegliere per me stessa, e attraverso quella sfida mi hanno permesso di sperimentare uno spazio di apertura radicale nel quale sono veramente libera di scegliere, in grado di imparare e crescere senza limitazioni. L’accademia non è il paradiso. Ma l’apprendimento è il luogo in cui è possibile creare il paradiso. L’aula, con tutti i suoi limiti, rimane un luogo di possibilità. In quel campo di possibilità abbiamo l’opportunità di lavorare per la libertà, di chiedere a noi stessi e ai nostri compagni un’apertura di mente e cuore che ci consenta di affrontare la realtà anche mentre immaginiamo collettivamente dei modi di oltrepassare i confini, di trasgredire. Questa è l’educazione come pratica della libertà”.
Fonte il Fatto Quotidiano di F. Q. | 16 Dicembre 2021
Wanda Osiris | Dal registro alla Storia-Archivio di Stato-
Wanda Osiris
Wanda Osiris – all’anagrafe Anna Menzio – nacque a Roma il 3 giugno 1905, da Giuseppe, palafreniere del re, e Adele Pandolfi.
Il suo precoce interesse per lo spettacolo la portò al debutto nel 1923, come soubrette presso il cinemateatro Eden di Milano, dove diede inizio alla sua scalata verso il successo. Divenne presto una figura iconica, con la sua pelle artificiosamente ocra, il trucco marcato, i capelli ossigenati, piume, paillettes, tacchi e fiumi di profumo Arpège, sempre rivestita di sfarzo e sensualità.
Atto di nascita di Wanda Osiris
Il primo vero trionfo fu agli inizi degli anni Trenta, all’Excelsior di Milano, accanto a Totò ne Il piccolo cafè. Con l’avvento della notorietà vennero coniati anche i suoi soprannomi, la Wandissima e la Divina, che solo il fascismo tenterà di contenere, italianizzando il suo nome d’arte in “Vanda Osiri”.
Lavorò a fianco di grandi personaggi del tempo, come Carlo Dapporto, Macario, Nino Taranto, Walter Chiari, Renato Rascel e molti altri. Ma soprattutto le sue riviste divennero famose per le eccentriche scenografie e le enormi scalinate che scendeva con grazia e disinvoltura, sempre attorniata da un ampio corpo di ballo che sceglieva lei stessa.
Fra i suoi maggiori successi si ricordano: Tutte donne (1939), Che succede a Copacabana? (1943), Grand Hotel (1948), Made in Italy (1953) e Festival (1954), a cui si affiancano canzoni di grande risonanza, come Sentimental (1949) e Ti parlerò d’amor (1944).
Tuttavia, l’avvento della televisione contribuì pian piano a sfumare il mito di Wanda, complice anche la diffusione di un nuovo prototipo di bellezza e di fare varietà. Eppure, ancora oggi Wanda Osiris incarna l’emblema della soubrette italiana della prima metà del Novecento e per questo riconosciuta dal grande pubblico come la prima vera diva nazionale.
Morì a Milano nel 1994, all’età di 89 anni.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1905
È stata la prima Diva dello spettacolo leggero italiano. I suoi spettacoli erano caratterizzati dallo sfarzo; amava discendere scale hollywoodiane attorniata da giovani ballerini che sceglieva lei stessa. Per lei vennero coniati gli appellativi di Wandissima e di Divina. Le interpretazioni canore molto personali, il trucco tipicamente ocra, i capelli ossigenati, le piume, i tacchi, le paillettes, i fiumi di profumo Arpège, le rose e i ricchi costumi (ideati e realizzati da Folco Lazzeroni Brunelleschi), divennero caratteristici. Registrata allo stato civile come Anna Menzio, nacque a Roma il 3 giugno 1905 nella casa di Via Quirinale 16, figlia di Adele Pandolfi e del marito Giuseppe Menzio, palafreniere del Re presente a Monza nel momento dell’assassinio di Umberto I.
Wanda Osiris
Lasciata la famiglia e abbandonati gli studi di violino per seguire la passione teatrale, arrivò a Milano dove debuttò nel 1923 al cinema Eden.
Durante il fascismo, in ottemperanza alle direttive emanate da Achille Starace per conto del governo, le fu imposto di italianizzare il nome d’arte, che divenne Vanda Osiri. Nel 1937 fu scritturata da Macario per mettere in scena la rivista Piroscafo giallo. Nel 1938 è in Aria di festa, dove appare in una gabbia d’oro. A Milano nel 1940 uscì da un astuccio di profumo in Tutte donne; a Roma nel 1944 recitò per la prima volta con Carlo Dapporto, in Che succede a Copacabana, nel 1945 in L’isola delle sirene e La donna e il diavolo.
Dopo la fine della guerra, tornò a Milano e sempre con Dapporto divenne la regina del gran varietà. Nel 1946 entrò a far parte della compagnia teatrale di Garinei e Giovannini.
Nel 1948, Al Grand Hotel, sorprese il pubblico in un’opera teatrale al massimo sfarzo e lusso. Conobbe Gianni Agus con il quale ebbe una lunga relazione professionale. Sul finire degli anni quaranta, la Osiris diventò la regina incontrastata dei salotti e al Teatro Lirico le sue apparizioni erano degne dei botteghini della Scala. Nel 1951 lavorò in Gran baraonda con il Quartetto Cetra, Turco, Dorian Gray e Alberto Sordi.
Wanda Osiris
Nel 1954 ritornò con Macario in Made in Italy, mentre nel 1955 in Festival, diretto da Luchino Visconti, non ottenne il successo sperato. L’anno dopo, nella rivista La granduchessa e i camerieri (tra gli attori compariva anche Gino Bramieri) inciampò nell’abito di crinoline: si temette la fine della sua carriera, ma dopo cinque giorni la Divina calcò di nuovo la scena. Ugualmente, il successo si spense rapidamente con il tramonto del varietà, progressivamente soppiantato dalla nascente commedia musicale, e l’affermarsi impetuoso di un modello di soubrette del tutto nuovo (impersonato da figure come Delia Scala, Lauretta Masiero, Marisa del Frate) e al radicale rinnovamento di stile portato avanti dalla “ditta” Garinei e Giovannini in accordo con l’evoluzione dei gusti del pubblico.[2]
Nel 1963 in una riedizione di Buonanotte Bettina, interpretò la parte della suocera a fianco di Walter Chiari e Alida Chelli, poi con la concorrenza della televisione e la decadenza del varietà, il suo percorso teatrale si interruppe. Recitò in prosa negli anni settanta: la sua parte più celebre fu in Nerone è morto? di Hubay nel 1974, con la regia di Aldo Trionfo.
Accudita dalla figlia Ludovica Rivolta in Locatelli, detta Cicci (1928-2013), e dalla nipote Fiorenza, Wanda Osiris morì a Milano nel 1994, all’età di 89 anni, a causa di un edema polmonare. È tumulata al Cimitero monumentale di Milano, non lontano dalla tomba di Gino Bramieri.[3]
Vita privata
Nel 1928, dalla relazione con Osvaldo Rivolta, nasce la figlia Ludovica, detta Cicci.
Matilde Juva Branca -Bella come una dea, elegante come una diva
Articolo di Anselmo Pagani
Bella come una dea, elegante come una diva-La cantante lirica Matilde Juva Branca ci osserva con una punta di distaccata alterigia, consapevole del proprio fascino.
Indossa un prezioso abito di seta nera, dal quale fuoriescono i candidi pizzi che ne orlano la camicia in corrispondenza del petto e delle maniche.
“Ritratto di Matilde Juva Branca”, di Francesco Hayez, 1851, G.A.M., Milano
Nella mano sinistra impugna un guanto di pelle foderata che fa da pendant con quello che le ricopre la destra, in una posizione che ricorda un famoso capolavoro rinascimentale, “l’Uomo col guanto” di Tiziano.
La sua figura slanciata e sensuale è esaltata al vitino che, stretto nel busto rigido tipico di quegli anni, ne esalta il generoso décolleté trasformandola in un’icona della femminilità, accresciuta dai lunghi capelli neri arricciati all’ultima moda.
Figlia del facoltoso mercante e mecenate Paolo Branca, insieme alle sorelle Matilde animò uno dei più prestigiosi e attivi salotti culturali della Milano di metà Ottocento.
Il celebre ritrattista Francesco Hayez così ci presenta, in un dipinto realizzato nel 1851, una delle più note “star” dell’epoca, una Signora che fece letteralmente perdere la testa a tanti uomini, inclusi politici quali il Conte di Cavour e compositori del calibro di Donizetti e Rossini, che le dedicarono alcune arie.
Peccato però che le loro recondite speranze siano andate deluse, perché Matilde fu sempre un esempio di perfetta moralità e fedeltà coniugale, restando fedele al marito Giovanni Juva, che per immortalarne la bellezza commissionò quest’opera ad uno dei più famosi e ben pagati artisti dell’epoca.
Rimasto di proprietà della famiglia sino al 1893, quando fu donato al Comune di Milano, è strano che un simile capolavoro non abbia inizialmente ottenuto il meritato apprezzamento, dovendo attendere fino alla Biennale di Venezia del 1922 per conoscere la giusta fortuna.
Accompagna questo scritto il “Ritratto di Matilde Juva Branca”, di Francesco Hayez, 1851, G.A.M., Milano
Luciana Frezzaè nata nel 1926 a Roma, dove è scomparsa nel 1992. I suoi libri di poesia sono: Cefalù ed altre poesie (Sciascia, 1958), La farfalla e la rosa (Feltrinelli, 1962), Cara Milano (Neri Pozza, 1967), Tempo di speranza (Neri Pozza, 1971), La tartaruga magica (Florida, 1984), Ventiquattro pezzi facili (Cominiana, 1988), Parabola sub (Empiria, 1990), Agenda (All’insegna del pesce d’oro, Scheiwiller, 1994, postuma), Comunione col Fuoco. Tutte le poesie (Editori Internazionali Riuniti, 2013, postuma). Figura nell’antologia Donne in poesia (a cura di B.M. Frabotta, Savelli, 1976). Ha tradotto le poesie di Mallarmé, Laforgue, Nouveau, Verlaine, Baudelaire, Apollinaire, Proust.
Luciana Frezza
Anni venti
Frantumata la coppia di levrieri
in amore le teste congiunte
come mani in preghiera o l’una
sull’altra affannosa
babele di carezze
guizzo unico il fianco
nell’irrimediabile
stretta del bianco
friabile bisquit.
Che ne farò
Che ne farò di Alma
ritta in shorts
statuaria cotta di soli
serica senza una scalfitura
della vita riguardosa
di lei ritta con due foglie
di alloro due sole tra le dita
della folta spalliera
farfalle vive per il pesce
che farò di lei ferma
che dà la Buonasera
tarocco entrato nel gioco?
(Vittoria apuana, Agosto 1991)
Luciana Frezza
Alziamo i calici
Non crederli gigli appassiti
mi conforta anzi scintillanti
ancora i tuoi bicchieri alzati
voglia di gioia negata
impuntatura librata
per forza propria ape e fiore nell’aria
dove ancora salgono e il brutto
muso di lutto pret a porter che detestavi cade
come buccia dal frutto.
Spezzatura d’inverno
-Come invogliano
i fiori-
la vecchia signora con vista
annebbiata trascina
dolcemente il carrello
vogliosa della
nostalgia di quella
voglia più che dei fiori
che non fatica
hanno voluto me.
Bisenso
Il rogo ardente di Mosè era quasi
certamente un pozzo di petrolio
il petrolio è il prelievo
dai buchi dell’anima per farne poesia
il petrolio è pericolo
il petrolio è vicinissimo a Dio
da un capo della storia
ora dall’altro.
Felicità raggiunta si cammina
a Marisa Di Jorio
Qui il sogno lustra il pelo
uscito di clandestinità
muovendosi fa accadere pensieri
che si siedono ingombrando
il lungomare è ancora
un feudo sterminato che aspetta il suo signore
l’investitura cucita
alle spalle fluttuando
ombra in lungo di tulle
senza bagaglio sorpassa
verso il fondo apparizione.
(Vittoria Apuana, Agosto 1991)
Svendita
Arroccata pettinessa a filettature dorate
la specchiera a ciocche trafitte dall’alto spillone
a conchiglia comò di ragazza il primo cassetto
celò lettere e voglie gli altri matassine di seta
ravvolte in velina d’ore vuote e matasse
di lana o sogno trasmesso come un gene nell’impianto
di quel comò giustamente perché pieno di cose vane
nulla avesti, madre, o quasi, o altro.
La perfezione a Vittorio Sereni
Nei party sull’erba
seminata di lustrini
pioggia recente o ventagli d’irrigazione
si possono comporre versi
nel padiglione di un orecchio
da sciogliere in riso
tintinnante col ghiaccio dei bicchieri
Ce n’è cose belle al mondo disse il sorriso
eppur muovendosi occhio
qua e là in perlustrazione
socchiuso affilato
sulla trama del tappeto sfumato
di sera dove l’errore
raccomandato
se è vera e quale
l’immunità promessa
da quel nonnulla di sbagliato se vale
anche per una qualche eternità.
Negativi
I contenitori di mistero anche se sono tuoi amici
li prenderesti volentieri a sberle
con sicumera apprendono festoni di frasi
ti addobbano di assurdità un locale estraneo
dove tempo dopo allo specchio dell’uscita
scoprì che hai fatto l’alba a ballare
circolano in borghese non esercitano
perché esercitano continuamente
hanno i loro guai non sono apostoli
gl’interessati li seguono come gatti di strada
rimuginando Non sa quello che dice il maledetto
e intanto imparano a memoria le frasi
le vecchie leggi di fisica scritte in corsivo
e il gabinetto degli esperimenti sempre in disuso
e in quel turbinio di palle da giocoliere
intercettano a volo la biglia che li riguarda
se piovono pugni sanno che è per farli rinvenire
mentre ignoravano di essere svenuti
se vengono afferrati e fatti passeggiare tutta la notte
con tazze di caffè e discorsi ripetitivi e insensati
è perché hanno voluto morire e possono riprovarci
ma prima di tradurre quel gergo bisogna obbedirgli.
Self-service
Raramente si coglie la seconda occasione
anzi è la riconferma che non si poté non si volle
il bene era lampante ma c’era nell’inerzia
di lasciarlo sparire un piacere misto al dolore
e piacere e dolore sono lo strascico ornato
il ricordo della veste con cui si presentò la prima
la seconda occasione trabocca di meraviglia
e un senso di fatalità approfondisce la gioia
eppure esterrefatti ci si astiene dal gesto
per prenderla un’identica pania lo impedisce
anzi il nuovo strato stendendosi sull’antico
prolifera infrenabile di nuovi no senza più chance
Vecchi distici a Rosa “Bien loin d’ici”
Il mio nome inciso tra spini
su una pala di ficodindia stilla nel sole
la campanula turchina mostra il cuore
dagli occhi umidi delle ragazze fugate
la gaggia spogliata di tutti i suoi zecchini
vive la lunga bugia degli anni luce
la polla è un occhio verde che aspetta di nuovo
una mano che smuova l’argilla del suo fondo
i cori a bocca chiusa degli uliveti
incagliati in secche di silenzio
i sismografi della pace sono guasti
la capra bianca ha sradicato il paletto
la Morte lancia coccole dal cipresso
senza colpire il canto della fontana
la mano del bambino è di marmo
la nutrice è più piccola del suo fazzoletto
Fonte-Il sito www.italian-poetry.orgfunziona correntemente dal 2000. Era nato l’anno precedente, dopo una serie di incontri e di confronti con la Poetry Society americana, ai cui criteri di severa selezione si ispira, antologizzando la poesia italiana moderna e contemporanea dagli inizi del Novecento fino ai giorni nostri, a partire dai poeti nati nei primi anni del XX secolo e attivi nei decenni successivi. Il comitato fondatore, con i rappresentanti del circuito internazionale della poesia, era composto da Alberto Bevilacqua, Tobias Burghardt, Ernesto Calzavara, Casimiro De Brito, Luciano Erba, Alfredo Giuliani, Giuliano Gramigna, Mario Luzi, Elio Pagliarani, Umberto Piersanti, Giovanni Raboni, Paolo Ruffilli, Edoardo Sanguineti, Mark Strand. Il sito ha totalizzato più di 14 milioni di visualizzazioni nei primi quindici anni di vita ed è indicizzato quale primo risultato di Google per “poesia italiana”. Il nuovo logo del sito, introdotto nel 2014, all’insegna di Montale, Quasimodo e Ungaretti, rimanda simbolicamente alla grande avventura della poesia italiana contemporanea dal principio del Novecento fino ad oggi.
Luciana Frezza
Luciana Frezza (Roma, 1926 – Roma, 1992)<<Traduttrice di caratura superiore e abile poetessa dai risvolti sperimentali e modernisti. La sua penna, così lieve ma incisiva al tempo stesso, oggi più che mai risulta necessaria e attuale, sebbene siano passati trent’anni dalla sua scomparsa.>>
*Giudizio su Luciana Frezza (Roma, 1926 – Roma, 1992) formulato dal critico Antonio Bux, curatore della riedizione dell’ultima opera della poetessa capitolina, ‘Parabola sub’, pubblicata nel 2022 da Graphe e prefata dal compianto Walter Pedullà, insigne italianista scomparso l’altro ieri.
Laureatasi in Lettere a soli vent’anni con una tesi su Eugenio Montale, discussa con Giuseppe Ungaretti, l’autrice romana esordì con la sua prima raccolta, ‘Cefalù e altre poesie’, nel 1958, quando era già un’affermata traduttrice per conto di importanti editori come Feltrinelli, Lerici, Einaudi, Rizzoli e Mondadori.
“È diventata una poetessa -chiarisce la critica Roberta Barbi- anche a furia di interpretare, per tradurli, gli splendidi versi dei poeti francesi della corrente simbolista dell’Ottocento; lo è diventata perché aveva dentro il sacro fuoco della composizione e della scrittura.”
Lei stessa diceva della sua duplice attività letteraria: “È una sfida che mobilita la creatività e altre virtù come la pazienza e la vigilanza. Il pericolo cui bisogna prestare una costante attenzione è costituito dalle possibili intrusioni dell’Io: occorre tenerlo fuori ma non eliminarlo del tutto”.
Spiega ancora la succitata Roberta Barbi: “La sua ars poetica ha le radici ben ancorate nella poesia italiana di ’800 e ’900, ma presto spicca il volo verso il surrealismo e il simbolismo francese. La sua matrice resta legata a temi intimi come quelli dell’infanzia, alle figure della famiglia, ai luoghi dell’anima come Roma, Milano o la Sicilia delle sue origini: attraverso la riflessione, spesso dolorosa quando personale, sulle relazioni interpersonali riesce anche a recuperare i miti archetipici ai quali far risalire indietro la ragione di ogni sofferenza. Nel suo linguaggio sempre misurato, mai violento, spesso allusivo e sempre eversivo, il fil rouge della sua poesia è certamente la ricerca del significato della vita.”
Affetta dalla cecità e da una profonda depressione, la poetessa che aveva cercato tutta la vita nei suoi versi il senso dell’esistenza, morirà tragicamente il 30 giugno 1992, all’età di 66 anni.
Luciana Frezza
NATALE 19… (Luciana Frezza)
Le sere vicine al Natale
nella città che si chiude
i bimbi vestiti di rosso
le donne nelle sciarpe
percorrono vie di presepe,
tra selve di abeti inchiodati
tra file di fanali
– è come se anche questo Natale
fosse passato –
saliamo
gli anni e non resta
a poco a poco
che questa mano che sfiori.
NOSTALGIA
Chissà in quale
canneto di carta o verde
fantasma errante coorte
falciata alla radice
al di là di quali porte
nell’andito scuro di botteghe
in disuso dietro quale
muro di eluso rione
giace il piccolo corpo
di Amore dopo l’ordita
esecuzione.
ALLA POESIA
Docile ti seguirò
sussurrante ruscello
che porti la mia immagine fonda
nei cieli più rari
dove il vento appena sparte vapori
di canapa bionda
o quando l’acqua flagella
nei luoghi ove cose morte
marmi sepolti da foglie
contorte da una gelida lava
vivono vita che scorre
col fragore d’una celeste cascata;
o fra stagioni sorelle
che chiamano le più lontane.
Luciana Frezza
Luciana Frezza
Uno sguardo alla poetica di Luciana Frezza-L’autore: Giorgio Podestà
Vi sono incontri e verità che nascono sotto il segno duplice dell’acqua e del fuoco. Fiammate che, in un istante, lambiscono il cielo. Onde che, con un solo lungo sospiro, raggiungono le rive più lontane, lasciando sulla sabbia frammenti apparentemente indecifrabili. Relitti di antichi naufragi, raccolti nelle profondità più buie e restituiti faticosamente alla luce del sole. Non tanto resti o vestigia di antichi imperi ormai sepolti e dimenticati, ma istanti di vita comune, lontane memorie, ricordi familiari. Un mondo, lo sappiamo bene, costantemente minacciato dall’oblio. Dall’annullamento. Spesso questo spontaneo dono del mare non è però sufficiente. Non ci basta rastrellare giorno e notte la spiaggia. Le onde si ritirano, ma le rive ci appaiono tristemente vuote. Quasi lunari. Solamente la mano del poeta può trarre, allora, da quelle acque fonde e nere la verità: piccola o grande che sia. Soltanto lui può stringerla in pugno, riportarla il più rapidamente possibile in superficie prima che sia troppo tardi. Va da sé che un atto tanto temerario implichi un vertiginoso tuffo all’indietro. Un’immersione ogni volta pericolosa e totalizzante. Un gesto che, invariabilmente, porta con sé un altissimo prezzo da pagare e Luciana Frezza, il mare, con le sue insondabili profondità, i suoi abissi spettrali, le sue insidiose correnti a cui è quasi impossibile resistere, lo ha affrontato innumerevoli volte. A partire da quel suo esordio sul finire degli anni ‘50, quando apparve la silloge poetica Cefalù e altre poesie. Poesie che rivelano subito un talento senza incrinature, una perfetta conoscenza della metrica latina, un movimento che sembra distendersi quasi marino sulla pagina. Nelle pupille di chi legge. Nelle orecchie di chi sa ascoltare. Versi di una grazia fatta di pieni e di vuoti su cui l’anima fluttua. Soffre. Allarga con puntualità il proprio irregolare respiro. Batte, come una farfalla, le ali. Raccolta dopo raccolta, tuttavia, il linguaggio, le immagini di Luciana Frezza si sono come elegantemente raccolte in un’oscurità luminosa. In simboli e miti che dipanano, nello stesso preciso istante, luce e tenebre. Acqua e fuoco. Estate e inverno. La prova più alta di questo ermetismo ora acqueo, ora sotterraneo l’abbiamo forse nell’ultima, suggestiva opera pubblicata in vita dalla poetessa: Parabola sub. Un viaggio periglioso negli abissi. Uno sprofondamento fino alle cave senza nome del tempo. Un mondo ctonio da cui bisogna tentare però di risalire velocemente, portando alla luce del giorno, alla superficie incerta della vita, la visione eterna (o forse solo salvifica) della Poeta. L’autore: Giorgio Podestà-
L’autore: Giorgio Podestà, nato in Emilia, si occupa di moda, traduzioni e interpretariato. Dopo la laurea in Lettere Moderne e un diploma presso un istituto di moda e design, ha intrapreso la carriera di fashion blogger, interprete simultaneo e traduttore (tra gli scrittori tradotti in lingua inglese anche il Premio Strega Ferdinando Camon). Appassionato di letteratura italiana, inglese e americana del secolo scorso, ha sempre scritto poesie, annotandole su quadernini che conserva gelosamente. Con Graphe.it ha pubblicato la raccolta poetica “E fu il giorno in cui abbaiarono rose al tuo sguardo”, i saggi “Breve storia dei capelli rossi” e “Come echi sull’acqua. Note a margine di un lettore appassionato” e ha curato la traduzione del saggio “Cristianesimo e poesia” di Dana Gioia
Articolo di Sergio Paolo Ronchi-Cassia e la sua produzione letteraria integrale in prima edizione italiana-Omonima della seconda figlia di Giobbe, la giovane «colta e bellissima» Cassia portò il segno di essere stata scelta dall’imperatore bizantino Teofilo (829-842) fra le candidate a consorte. A lei, infatti, si rivolse con le parole: «Dalla donna sono derivati i mali». La replica fu: «Ma dalla donna sono venute fuori anche cose migliori». Teofilo passò oltre. Così, quella che fu l’unica poetessa bizantina dell’intero millennio, recitano le cronache coeve, «fondò un monastero e, presa la tonsura, condusse vita ascetica». Di lei, semisconosciuta, Città Nuova offre la prima versione italiana integrale delle opere*.
La produzione letteraria di Cassia comprende due generi: la poesia religiosa concentrata nei due principali libri liturgici della Chiesa orientale. Il primo, il Menaion, contiene i libri relativi a ogni singolo mese dell’anno: il secondo, il Triodion, l’ufficio per le dieci settimane precedenti la Pasqua. Il secondo genere, Sentenze, che – precisa il curatore Lucio Coco – «riguardano l’uomo e le false maschere che egli indossa dell’ipocrisia, della falsità, della menzogna, dell’invidia, che rivelano un mondo di passioni basse e abiette alle quali la donna oppone le ragioni della sincerità, della solidarietà e dell’amicizia, sentimento a cui dà la precedenza non solo nella sequenza delle massime, arrivando a scrivere che neppure “la ricchezza è utile, se non ha un amico”». Né mancano, in questo richiamarsi alla letteratura sentenziosa e gnomica (pertinente a precetti morali), «anche argomenti più intimi e personali come quello della solitudine che la donna ben descrive in passaggi molto brevi e intensi». L’immagine che ne emerge è «di una donna pragmatica, decisa e determinata», «che ha sofferto e [che] si è confrontata con le difficoltà della vita». Inoltre, le vengono attribuite anche le poesie del Tetraodion, comprese musica e parole; due canoni: per il Sabato santo e per il giorno dei morti. È un componimento fatto di odi o cantici biblici.
I suoi versi sono sottesi da profonda spiritualità e legati alla Scrittura. Viene celebrato Simeone lo Stilita (IV secolo), l’asceta che viveva nel deserto su colonne: «Da una buona radice/ un frutto buono è cresciuto,/ Simeone, santo dalla nascita,/ di grazia più che di latte sei stato nutrito;/ (…) sei divenuto la dimora di Cristo Dio/ e Salvatore delle nostre anime» (Menaion). Il tempo quaresimale viene aperto dalla parabola evangelica del fariseo e del pubblicano: «Dio Onnipotente, io so quanto è grande il potere il potere delle lacrime./ Esse ritrassero Ezechia dalle porte della morte [2 Re 20, 1-6],/ salvarono la peccatrice da anni di peccato [Lc 7, 36-50],/ giustificarono il pubblicano a differenza del fariseo [Lc 18, 9-14]./ Io ti prego di mettermi nel loro numero;/ abbi pietà di me »(Triodion). Nel canone per i morti: «O misericordioso, quando verrai nella gloria/ a giudicare con equità tutta la terra/ e separerai come, è scritto,/ i giusti dagli ingiusti, dai pace, o misericordioso, ai dipartiti/ e inseriscili con le pecore alla tua destra [Mt 25,33] (Tetraodion)».
Espressione della sapienza di Cassia, le Sentenze sono sempre pervase dalla fede e dalla fiducia in Dio. «Se ti trovi in difficoltà, non ti abbattere;/ assolutamente niente infatti potrebbe capitarci senza che Dio lo voglia». Parlano contro la stupidità e invitano a praticare l’intelligenza: «Cristo mi conceda di soffrire/ accanto ad uomini saggi e sapienti/piuttosto che gioire con irragionevoli stupidi»; «Meglio vivere con persone sagge/ che con ricchi stupidi e ignoranti». Altre sono dedicate alla figura del monaco in correlazione alle sue proprie scelte di vita: «Vita di monaco, più leggera di un uccello/ Monaco è una vita [passata] da solo/[…]./ Vita di monaco sempre in pace./[…]./ Monaco è lingua educata/[…]./ Vita di monaco a gloria di Dio solo».
*Cassia, Opere; introduzione, traduzione e note di Lucio Coco, Città Nuova, Roma 2022, pp. 116, e. 24,00.
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