Roma-Municipio XIII-19 luglio 2022-L’Associazione Cornelia Antiqua sta procedendo alla verifica dell’esistenza delle antiche Torri Segnaletiche ancora in essere così come furono disegnate nella ormai famosa mappa da Eufrosino della Volpaia nel 1547. Cornelia Antiqua procede anche alla verifica e confronto con le mappe del Catasto Alessandrino e con quelle più recenti edite dell’Istituto Geografico Militare(IGM).Dopo varie ricerche bibliografiche, noi dell’Associazione Cornelia Antiqua riteniamo di aver individuato quale potrebbe essere l’attuale posizione dell’antica Torre “La Selice”, rappresentata sulla carta topografica di Eufrosino della Volpaia. La Torre è situata a sinistra del Rio Galeria, da noi evidenziata con un cerchio rosso (Foto1).
In base alle nostre ricerche , sembrerebbe che la Torre sia quella che attualmente si trova nei pressi di via di Quarto S. Lucia (Roma-zona Casal Selce). La Torre , recentemente ristrutturata, si trova all’interno di una struttura religiosa , composta da vari edifici, di proprietà delle Suore di Carità di Nostra Signora del Buono e Perpetuo Soccorso. Noi dell’Associazione Cornelia Antiqua ,in data 17/luglio/22, abbiamo effettuato un sopralluogo. Attualmente la Torre, integra, è parte di un edificio realizzato successivamente. Le Suore, gentilmente, ci hanno ricevuto e scortato, sorprese e incuriosite, all’interno della Torre.
Si allegano le foto della Torre così come si presenta dopo il restauro con al suo fianco , com’era prima del restauro (Foto B/N)- La Torre, sembrerebbe non aver subito modifiche strutturali, ma avrebbe mantenuto le vecchie forme architettoniche così come si evince dal posizionamento immutato della finestra di forma rotonda(Oblò).Cornelia Antiqua vuole ringraziare per la collaborazione e l’accoglienza le Suore di Carità di Nostra Signora del Buono e Perpetuo Soccorso.
Articolo di Tatiana Concas- Associazione Cornelia Antiqua-
traduzione di Eleonora Tomassini-L’orma editore srl
«Ero convinta di aver scritto il miglior romanzo di tutti i tempi… Non badavo affatto alla mia età, d’altronde sono sempre stata vecchissima, fin da piccola.»Irmgard Keun Una scrittrice un tempo famosissima vive, fuma e beve in un piccolo appartamento alla periferia di Colonia. I suoi libri sono abitati da ragazze troppo libere e affamate di felicità per non spaventare un regime di maschi eternamente in divisa. Non a caso sono stati bruciati dai nazisti e mai più ristampati. Alla fine degli anni Settanta, però, i tempi sono maturi: Irmgard Keun viene riscoperta e un’intera nazione riprende a leggerla. Allora giornali, radio e televisioni cominciano a contendersela, chiedendole di raccontare la sua incredibile vita: i caffè letterari della Berlino degli anni Venti, l’immenso successo internazionale arriso ai suoi due primi romanzi, la persecuzione politica, le scorribande dell’esilio con il compagno Joseph Roth fino all’avventuroso ritorno in Germania sotto le bombe, dopo che si era diffusa la falsa notizia del suo suicidio. Non sono mai stata il mio tipo, pubblicato in patria nel 2022, racconta in nove interviste inedite la straordinaria storia di Irmgard Keun. Alternando modestia e sfacciataggine, nostalgia e gratitudine, questa originalissima e ironica autrice tedesca ripercorre l’avventura della propria esistenza con il ritmo incalzante di una mai sopita voglia di meravigliarsi.
Breve Biografia di Irmgard Keun (1905-1982) è stata una delle scrittrici più originali del suo tempo ed è al centro ormai da anni di una riscoperta da parte di critica e pubblico. Compagna di Joseph Roth, fu spinta alla scrittura da Alfred Döblin che ne ammirava la vivace intelligenza e l’umorismo fulminante. È autrice di sceneggiature, reportage e una dozzina di romanzi in cui ha raccontato le contraddizioni della società europea prima e durante la Seconda guerra mondiale, concentrandosi in particolare sulla condizione della donna. Le sue opere furono proibite dai nazisti; per tutta risposta l’autrice fece causa allo Stato per danni. All’inizio degli anni Trenta, i suoi Gilgi, una di noi (1931) e Doris, la ragazza misto seta (1932) trasformarono Keun in un caso letterario e la resero una celebrità internazionale. In esilio dopo la censura subita scrisse Una bambina da non frequentare (1936), Dopo mezzanotte (1937) e Kully, figlia di tutti i Paesi (1938).
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Maria Teresa Milano “21 Storie d’ Amore – La Bibbia come non te l’aspetti”-
Presentazione di Marinella Perroni- Illustrazioni di Alice Negri, Edizioni Sonda- Milano
DESCRIZIONE
L’ultimo libro di Maria Teresa Milano indaga il tema dell’amore la Bibbia che non ti aspetti«Sono un’ebraista di formazione accademica e laica – scrive di sè nell’introduzione di questo libro* Maria Teresa Milano – ho le radici nella filologia e nello studio della lingua e lungo gli anni mi sono aperta alla letteratura e alla tradizione interpretativa di ambito ebraico oltre ovviamente alla musica, che potrei definire la mia vita “altra”».
Della sua passione e dello studio per la Bibbia dice «Scopriamo che i personaggi biblici sono assolutamente imperfetti e proprio per questo veri. Amano, tradiscono, ci credono, sbagliano, gioiscono, soffrono, hanno coraggio o paura e il più delle volte fanno semplicemente quel che possono, proprio come noi. In una parola: vivono».
Di qui la sua considerazione: «La Bibbia è la più straordinaria biblioteca dell’esistenza». E anche lo scoprire che, come dice lo studioso Rav Jonathan Sacks, «La Bibbia è il primo testo dell’antichità a sostenere l’assoluta eguaglianza degli esseri umani e che l’umano è sempre all’insegna del numero due. In effetti, non vi è una sola vicenda che veda protagonista assoluto un uomo e nessuna impresa è compiuta senza una donna.(…) L’intento chiaro del testo è che la storia si fa insieme, uomini e donne, all’insegna dell’uguaglianza nella dignità e in una relazione di reciprocità.” Da queste premesse nascono le 21 storie d’amore (ma anche di amicizia, di sorellanza, di disparità e di condivisione, di coraggio e viltà, di fedeltà e tradimenti, di gioia e dolore ) sia nella Scrittura ebraica che nel Vangelo».
«Questo non è un testo di teologia o di esegesi stricto sensu- precisa l’autrice – e a me non interessa dimostrare alcuna teoria, ma semplicemente, a partire da una ricerca che ha occupato ormai oltre la metà dei miei anni, mi sono messa di fronte a quelle parole e mi sono fatta molte domande che, al netto delle competenze accademiche, restano le mie e nascono dal mio vissuto e dal mio modo di osservare il mondo. (…) Il testo evolve con noi e per poterlo abitare occorrono tempo, pazienza, consapevolezza della propria finitudine e un gran desiderio di conoscenza, anche di sè».
E inoltre : «Col tempo ho imparato a distinguere tra quel che è scritto e quel che è stato interpretato e trasmesso dalla tradizione e tengo a mente costantemente la regola di ogni buon filologo per cui “non bisogna mai far dire a un testo quel che il testo non intendeva dire”, nella profonda consapevolezza che la Bibbia non contiene dogmi, ma solo esperienze di vita e i livelli di letture sono infiniti; i suoi personaggi non sono modelli da seguire o da rifiutare, ma ‘pezzetti’ di noi, che ci fanno nascere domande importanti sul senso della vita, sulle relazioni e, per chi ne sente il bisogno, anche sul rapporto con Dio».
«Naturalezza e complessità», perciò, ha esordito Graziella Romano che presentava – mercoledì 7 febbraio in una sala stracolma della libreria Claudiana di Torino l’autrice e il testo – introdotti dal saluto della libraia Sara Platone e di cui è stata data una lettura di pagine scelte dall’attrice Nicoletta De Biasi.
Il tema dell’amore ci interroga sempre, dunque, e qui si tratta di un percorso inedito, fatto con “leggerezza”, secondo i temi fondamentali della libertà ( «che si vive come popolo, ma anche all’interno di una relazione») e della responsabilità, ma visti intrecciando letture le più varie, che vanno dai racconti non canonici , ai testi apocrifi e quelli gnostici ai Midrash a testi filosofici (e ci è inserito anche Woody Allen), alle poesie di ogni tempo, alle canzoni, e che sono illustrate con altrettanta colorata “leggerezza” dai disegni di un’altra donna , Alice Negri, a cui a sua volta «piace mischiare elementi vintage con elementi contemporanei».
«Non è una lettura femminile della Bibbia- precisa la studiosa- perché “maschio e femmina Dio li creò”. E le donne, che nella cultura ebraica sono presenti – come le matriarche – in altri ambienti sono state dimenticate». È anche un libro allegro, conclude, anche se magari ci sono storie drammatiche: «Lungi dall’essere un testo chiuso, la Bibbia è una forma incredibile di dialogo e in questo senso è un libro eterno, non perché contiene una verità immutabile, ma perchè sa interrogare chi legge rinnovandosi continuamente, senza chiudersi in un tempo e in uno spazio».
Maria Teresa Milano “21 Storie d’ Amore – La Bibbia come non te l’aspetti”- Presentazione di Marinella Perroni- Illustrazioni di Alice Negri, Edizioni Sonda, Milano,2023
Antonia Pozzi: la drammatica fine della Poetessa dell’Anima- Articolo di Giovanna Potenza
È strana, a volte, la vita. Se osserviamo dall’esterno, alcune persone sembrano insolitamente privilegiate e la loro esistenza fluisce serena, senza ostacoli, come un fiume che scorre inarrestabile. Eppure, talvolta, quel moto lento e inesorabile si interrompe bruscamente, magari per una casualità o per un intervento volontario, e noi restiamo attoniti e smarriti ad interrogarci sul perché. Cosa può aver spinto, a soli 26 anni, Antonia Pozzi a compiere il suo tragico gesto in una gelida giornata decembrina di tanti anni fa, quando sull’Europa si addensavano minacciose le nubi di guerra? Forse non sapremo mai se le ragioni del suo suicidio sono da ricercarsi in un oscuro “male di vivere”, oppure in un sentimento di disperazione fatale. Possiamo asserire con certezza però che il panorama letterario italiano ne risultò impoverito perché, come ebbe a commentare Dino Formaggio, un famoso filosofo legato da profonda amicizia con la donna: “la poesia di Antonia Pozzi rimane, più che mai oggi, una delle voci liriche più sofferte e più pure, più luminosamente illimpidite, della poesia lirica italiana di questo secolo“. Una voce isolata e solitaria, quella della Pozzi, a lungo poco nota, fino alla “riscoperta” da parte di Montale, che ne decretò la fama definitiva. Milanese, nata nel 1912 da una facoltosa famiglia alto-borghese (il padre era un noto avvocato, la madre, una nobildonna nipote di Tommaso Grossi, scrittore amico di Carlo Porta e del Manzoni), Antonia Pozzi studia al liceo classico “Manzoni”, nella sua città, e intreccia ben presto una relazione con il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, relazione fortemente avversata dai genitori, terminata nel 1933, con il trasferimento dell’insegnante a Roma. L’ambiente altolocato di appartenenza offre alla giovane molteplici stimoli culturali: la frequentazione di un circolo sociale esclusivo, un palco riservato alla Scala e – chance non comune all’epoca – la possibilità di viaggiare. Antonia suona il pianoforte, dipinge, si dedica alla fotografia, pratica il nuoto, il tennis, lo sci, l’equitazione. E’ una bionda bellezza esile e raffinata, con i bei capelli ondulati tagliati corti, stile Anni Trenta. Il mondo sembra spalancarsi dinanzi a lei, caleidoscopio rutilante di opportunità ed emozioni. Quando si iscrive alla facoltà di filologia dell’Università statale di Milano, nel 1930, sembra aprirsi per lei un nuovo capitolo, il più felice, della sua breve esistenza. Frequenta molti dei nomi più importanti del firmamento intellettuale milanese di quegli anni, da Vittorio Sereni ad Enzo Paci, da Luciano Anceschi a Remo Cantoni, ma nessuno avrà maggiore influenza su di lei del docente di estetica Antonio Banfi, con cui si laureerà nel 1935. Viaggia in Italia, Austria, Germania e Inghilterra, ma visita anche le periferie della sua città, un mondo per il quale prova compassione, sentendosi quasi in colpa per i suoi natali privilegiati. Non a caso preferisce all’elegante mondanità milanese la solitudine della vita immersa nella natura incontaminata di Pasturo, presso Lecco, dove si erge la settecentesca villa di famiglia. Antonia fa lunghe escursioni a piedi o in bicicletta, ama la selvaggia bellezza di quei paesaggi ricchi di picchi innevati, di torrenti e di crepacci. Trae fonte di ispirazione dalla natura, è il silenzio delle alture che la induce alla meditazione sulla finitezza umana. Scatta fotografie ai luoghi ed agli abitanti, colti nelle loro umili mansioni quotidiane. Solo in alcuni e brevi momenti la giovane riesce a sentirsi in pace con se stessa. Poi la Storia, con la sua urgenza, irrompe anche nel ritiro dorato di Antonia: è il 1938 e le leggi razziali fasciste colpiscono alcuni dei suoi amici più cari. La giovane scrive, amara, al Sereni: <<l’età delle parole è finita per sempre>>. Il male di vivere, di cui soffre da tempo, si acuisce. “Morte” è una parola dolorosamente ricorrente nei suoi versi. Pericolosamente ricorrente. E la morte, infine, si materializza e se la porta via il 3 dicembre 1938, quando Antonia decide di avvelenarsi con dei barbiturici nei prati antistanti l’abbazia cistercense di Chiaravalle. Il suo biglietto di addio ai genitori parla di un’invincibile “disperazione mortale”, ma la sua famiglia nega a lungo la circostanza del suicidio, per evitare lo scandalo. Le sue prime opere vengono pubblicate postume, dalla Mondadori, un anno dopo la sua morte, dopo essere state revisionate dal padre, che modifica soprattutto quelle dai contenuti amorosi. Ma, a dispetto delle manipolazioni subite, la produzione lirica della Pozzi affascina tuttora generazioni di lettori per la modernità e per la scarna essenzialità dei suoi versi soffusi di tristezza, debitori del crepuscolarismo e dell’espressionismo tedesco.
Dopo un lungo periodo di oblio, persino il cinema si è interessato ad Antonia e la sua vita è stata ricostruita nel cine-documentario della regista Marina Spada in “Poesia che mi guardi”, presentato fuori concorso alla 66ª Mostra del Cinema di Venezia, nel 2009. In occasione del centenario della sua nascita, i registi Sabrina Bonaiti e Marco Ongania hanno, poi, realizzato un film-documentario dal titolo “Il cielo in me. Vita irrimediabile di una poetessa” e nel 2016 è stato proiettato, al Cinema Mexico di Milano , un film sulla sua vita intitolato “Antonia” di Ferdinando Cito Filomarino. Oggi ella riposa nel cimitero di Pasturo, e la sua tomba è vegliata dal monumento funebre dello scultore Giannino Castiglioni, un “Cristo Giovane” che ha lo sguardo rivolto alla Grigna, alle amate montagne testimoni silenti e imperturbabili della “breve sosta” di Antonia nella nostra dimensione terrena.
Articolo di Giovanna Potenza , è una dottoressa di ricerca specializzata in Bioetica. Ha due lauree con lode, è autrice della monografia “Bioetica di inizio vita in Gran Bretagna” (Edizioni Accademiche Italiane, 2018) e ha vinto numerosi premi di narrativa. È uno spirito curioso del mondo che ama viaggiare e scrivere e che legge avidamente libri che riguardino il Rinascimento, l’Età Vittoriana, l’Arte e l’Antiquariato. Ha una casa ricca di oggetti antichi e di collezioni insolite, tra cui quella di fums up e di bambole d’epoca “Armand Marseille”.
Fonte- Vanilla Magazine-
VOCE DI DONNA 18 settembre 1937
Io nacqui sposa di te soldato.
So che a marce e a guerre
lunghe stagioni ti divelgon da me.
Curva sul focolare aduno bragi,
sopra il tuo letto ho disteso un vessillo –
ma se ti penso all’addiaccio
piove sul mio corpo autunnale
come su un bosco tagliato.
Quando balena il cielo di settembre
e pare un’arma gigantesca sui monti,
salvie rosse mi sbocciano sul cuore:
che tu mi chiami,
che tu mi usi
con la fiducia che dai alle cose,
come acqua che versi sulle mani
o lana che ti avvolgi intorno al petto.
Sono la scarna siepe del tuo orto
che sta muta a fiorire
sotto convogli di zingare stelle.
PRATI Milano, 31 dicembre 1931
Forse non è nemmeno vero
quel che a volte ti senti urlare in cuore:
che questa vita è,
dentro il tuo essere,
un nulla
e che ciò che chiamavi la luce
è un abbaglio,
l’abbaglio estremo
dei tuoi occhi malati –
e che ciò che fingevi la meta
è un sogno,
il sogno infame
della tua debolezza.
Forse la vita è davvero
quale la scopri nei giorni giovani:
un soffio eterno che cerca
di cielo in cielo
chissà che altezza.
Ma noi siamo come l’erba dei prati
che sente sopra sé passare il vento
e tutta canta nel vento
e sempre vive nel vento,
eppure non sa così crescere
da fermare quel volo supremo
né balzare su dalla terra
per annegarsi in lui.
INCANTESIMI 22 dicembre 1935
Alti orli ghiacciati
si disfecero al mondo.
Solcava
lenta e lieve la barca
laghi d’oro,
andando così noi nel sole
abbracciati.
Gracili reti bionde
imprigionavano l’ora.
E nacquero brividi;
crebbero
voci tristi;
fischiò
a sponda il dilacerarsi delle canne.
Belve chiare
guardarono dal folto
a lungo
il tramonto nell’acqua,
andando così verso l’ombra
io libera
e sola per sempre.
Lampi
Stanotte un sussultante cielo
malato di nuvole nere
acuisce a sprazzi vividi
il mio desiderio insonne
e lo fa duro e lucente
come una lama d’acciaio.
Margherita, 23 giugno 1929
Sfiducia
Tristezza di queste mie mani
troppo pesanti
per non aprire piaghe,
troppo leggére
per lasciare un’impronta –
tristezza di questa mia bocca
che dice le stesse
parole tue
– altre cose intendendo –
e questo è il modo
della più disperata
lontananza.
16 ottobre 1933ù
Pensiero
Avere due lunghe ali
d’ombra
e piegarle su questo tuo male;
essere ombra, pace
serale
intorno al tuo spento
sorriso.
maggio 1934
Convegno
Nell’aria della stanza
non te
guardo
ma già il ricordo del tuo viso
come mi nascerà
nel vuoto
ed i tuoi occhi
come si fermarono
ora – in lontani istanti –
sul mio volto.
29 maggio 1935
Brezza
Mi ritrovo
nell’aria che si leva
puntuale al meriggio
e volge foglie e rami
alla montagna.
Potessero così
sollevarsi
i miei pensieri un poco ogni giorno:
non credessi mai
spenti gli aneliti
nel mio cuore.
8 giugno 1935
Biografia di ANTONIA POZZI (Milano 1912-1938)-Quando Antonia Pozzi nasce è martedì 13 febbraio 1912: bionda, minuta, delicatissima, tanto da rischiare di non farcela a durare sulla scena del mondo; ma la vita ha le sue rivincite e … … Antonia cresce: è una bella bambina, come la ritraggono molte fotografie, dalle quali sembra trasudare tutto l’amore e la gioia dei genitori, l’avvocato Roberto Pozzi, originario di Laveno, e la contessa Lina, figlia del conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana e di Maria Gramignola, proprietari di una vasta tenuta terriera, detta La Zelata, a, Bereguardo. Il 3 marzo la piccola viene battezzata in San Babila ed eredita il nome del nonno, primo di una serie di nomi parentali (Rosa, Elisa, Maria,Giovanna, Emma), che indicherà per sempre la sua identità. Antonia cresce, dunque, in un ambiente colto e raffinato: il padre avvocato, già noto a Milano; la madre, educata nel Collegio Bianconi di Monza, conosce bene il francese e l’inglese e legge molto, soprattutto autori stranieri, suona il pianoforte e ama la musica classica, frequenta la Scala, dove poi la seguirà anche Antonia; ha mani particolarmente abili al disegno e al ricamo. Il nonno Antonio è persona coltissima, storico noto e apprezzato del Pavese, amante dell’arte, versato nel disegno e nell’acquerello. La nonna, Maria, vivacissima e sensibilissima, figlia di Elisa Grossi, a sua volta figlia del più famoso Tommaso, che Antonia chiamerà “Nena” e con la quale avrà fin da bambina un rapporto di tenerissimo affetto e di profonda intesa. Bisogna, poi, aggiungere la zia Ida, sorella del padre, maestra, che sarà la compagna di Antonia in molti suoi viaggi; le tre zie materne, presso le quali Antonia trascorrerà brevi periodi di vacanza tra l’infanzia e la prima adolescenza; la nonna paterna, Rosa, anch’essa maestra, che muore però quando Antonia è ancora bambina. Nel 1917 inizia per Antonia l’esperienza scolastica: l’assenza, tra i documenti, della pagella della prima elementare, fa supporre che la bimba frequenti come uditrice, non avendo ancora compiuto i sei anni, la scuola delle Suore Marcelline, di Piazzale Tommaseo, o venga preparata privatamente per essere poi ammessa alla seconda classe nella stessa scuola, come attesta la pagella; dalla terza elementare, invece, fino alla quinta frequenta una scuola statale di Via Ruffini. Si trova, così, nel 1922, non ancora undicenne, ad affrontare il ginnasio, presso il Liceo-ginnasio “Manzoni”, da dove, nel 1930, esce diplomata per avventurarsi negli studi universitari, alla Statale di Milano.
Gli anni del liceo segnano per sempre la vita di Antonia: in questi anni stringe intense e profonde relazioni amicali con Lucia Bozzied Elvira Gandini, le sorelle elettive, già in terza liceo quando lei si affaccia alla prima; incomincia a dedicarsi con assiduità alla poesia, ma, soprattutto, fa l’esperienza esaltante e al tempo stesso dolorosa dell’amore. È il 1927: Antonia frequenta la prima liceo ed è subito affascinata dal professore di greco e latino, Antonio Maria Cervi; non dal suo aspetto fisico, ché nulla ha di appariscente, ma dalla cultura eccezionale, dalla passione con cui insegna, dalla moralità che traspare dalle sue parole e dai suoi atti, dalla dedizione con cui segue i suoi allievi, per i quali non risparmia tempo ed ai quali elargisce libri perché possano ampliare e approfondire la loro cultura. La giovanissima allieva non fatica a scoprire dietro l’ardore e la serietà, nonché la severità del docente, molte affinità: l’amore per il sapere, per l’arte, per la cultura, per la poesia, per il bello, per il bene, è il suo stesso ideale; inoltre il professore, ha qualcosa negli occhi che parla di dolore profondo, anche se cerca di nasconderlo, e Antonia ha un animo troppo sensibile per non coglierlo: il fascino diventa ben presto amore e sarà un amore tanto intenso quanto tragico, perché ostacolato con tutti i mezzi dal padre e che vedrà la rinuncia alla “vita sognata” nel 1933, “non secondo il cuore, ma secondo il bene”, scriverà Antonia, riferendosi ad essa. In realtà questo amore resterà incancellabile dalla sua anima anche quando, forse per colmare il terribile vuoto, si illuderà di altri amori, di altri progetti , nella sua breve e tormentata vita.
Nel 1930 Antonia entra all’Università nella facoltà di lettere e filosofia; vi trova maestri illustri e nuove grandi amicizie: Vittorio Sereni, Remo Cantoni, Dino Formaggio, per citarne alcune; frequentando il Corso di Estetica, tenuto da Antonio Banfi, decide di laurearsi con lui e prepara la tesi sulla formazione letteraria di Flaubert, laureandosi con lode il 19 novembre 1935. In tutti questi anni di liceo e di università Antonia sembra condurre una vita normalissima, almeno per una giovane come lei, di rango alto-borghese, colta, piena di curiosità intelligente, desta ad ogni emozione che il bello o il tragico o l’umile suscitano nel suo spirito: l’amore per la montagna, coltivato fin dal 1918, quando ha incominciato a trascorrere le vacanze a Pasturo, paesino ai piedi della Grigna, la conduce spesso sulle rocce alpine, dove si avventura in molte passeggiate e anche in qualche scalata, vivendo esperienze intensissime, che si traducono in poesia o in pagine di prosa che mettono i brividi, per lo splendore della narrazione e delle immagini; nel 1931 è in Inghilterra, ufficialmente per apprendere bene l’inglese, mentre, vi è stata quasi costretta dal padre, che intendeva così allontanarla da Cervi; nel 1934 compie una crociera, visitando la Sicilia, la Grecia, l’Africa mediterranea e scoprendo, così, da vicino, quel mondo di civiltà tanto amato e studiato dal suo professore e il mondo ancora non condizionato dalla civiltà europea, dove la primitività fa rima, per lei, con umanità; fra il 1935 e il 1937 è in Austria e in Germania, per approfondire la conoscenza della lingua e della letteratura tedesca, che ha imparato ad amare all’Università, seguendo le lezioni di Vincenzo Errante, lingua che tanto l’affascina e che la porta a tradurre in italiano alcuni capitoli di “Lampioon”, di M. Hausmann. Intanto è divenuta “maestra” in fotografia: non tanto per un desiderio di apprenderne la tecnica, aridamente, quanto perché le cose, le persone, la natura hanno un loro sentimento nascosto che l’obiettivo deve cercare di cogliere, per dar loro quell’eternità che la realtà effimera del tempo non lascia neppure intravedere. Si vanno così componendo i suoi album, vere pagine di poesia in immagini. Questa normalità, si diceva, è, però, solamente parvenza. In realtà Antonia Pozzi vive dentro di sé un incessante dramma esistenziale, che nessuna attività riesce a placare: né l’insegnamento presso l’Istituto Tecnico Schiaparelli, iniziato nel ‘37 e ripreso nel ’38; né l’impegno sociale a favore dei poveri, in compagnia dell’amica Lucia; né il progetto di un romanzo sulla storia della Lombardia a partire dalla seconda metà dell’Ottocento; né la poesia, che rimane, con la fotografia, il luogo più vero della sua vocazione artistica. La mancanza di una fede, rispetto alla quale Antonia, pur avendo uno spirito profondamente religioso, rimase sempre sulla soglia, contribuisce all’epilogo: è il 3 dicembre del 1938.
Lo sguardo di Antonia Pozzi, che si era allargato quasi all’infinito, per cogliere l’essenza del mondo e della vita, si spegne per sempre mentre cala la notte con le sue ombre viola.
Onorina Dino
Biografia tratta da Antonia Pozzi. Nelle immagini l’anima: antologia fotografica, a cura di Ludovica Pellegatta e Onorina Dino, Ancora, Milano 2007
La Storia, il più celebre e discusso tra i romanzi di Elsa Morante
Descrizione
A questo romanzo (pensato e scritto in tre anni, dal 1971 al 1974) Elsa Morante consegna la massima esperienza della sua vita “dentro la Storia” quasi a spiegamento totale di tutte le sue precedenti esperienze narrative: da “L’isola di Arturo” a “Menzogna e sortilegio”. La Storia, che si svolge a Roma durante e dopo la seconda guerra mondiale, vorrebbe parlare in un linguaggio comune e accessibile a tutti.
RIASSUTO
A Roma, devastata dalla guerra, vive Ida Ramundo una maestra ebrea di trentasette anni, vedova e madre di Nino. Una sera di gennaio del 1941 Ida viene violentata da un soldato tedesco ubriaco. Frutto della violenza è Useppe, un bambino allegro e vivace.
Nel 1943 un bombardamento distrugge la casa di Ida che con i figli si trasferisce in un ricovero per sfollati a Pietralata. Tra stenti, disperazione e umana solidarietà trascorrono gli anni della guerra. Nino si arruola prima nelle camicie nere, poi partecipa alla lotta partigiana. Conosce l’ebreo e anarchico umanitario Davide Segre con cui ritorna a casa.
Nel 1945 alla fine del conflitto per Ida continuano le difficoltà e le sofferenze. Mentre Davide tenta l’inserimento con il lavoro in fabbrica al Nord, Nino non riesce a trovare una sua strada, si dà al contrabbando e resta ucciso in uno scontro con la polizia. Solo la presenza Useppe consente a Ida di superare il dolore. Anche Davide fallito il suo tentativo torna a Roma e diventa amico di Useppe.
Un giorno viene trovato morto nella baracca in cui vive, ucciso dalla droga. Intanto si manifesta l’epilessia, finora latente, di Useppe, di fronte alla quale Ida non può nulla. Una violenta crisi epilettica uccide il bambino. Ida non regge al dolore e perde la ragione. Ricoverata in manicomio muore nove anni più tardi.
Fonte: Wuz.it
Recensione del romanzo La Storia della scrittrice Elsa Morante,
con analisi precisa della storia e dei personaggi.
Articolo di Stefano Benucci
Questo non è un romanzo, è un mondo intero! C’è la grande letteratura, ci sono le drammatiche vicende di una famiglia romana negli anni del secondo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra, l’amore, la disperazione la miseria, la fame, il dramma, la tenerezza e c’è la storia di Roma e dell’Italia di quegli anni ed anche la storia del resto del mondo che viene velocemente spartito dalle grandi potenze. Si tratta di un romanzo di ben oltre mille pagine molto articolato e pieno di sfaccettature con decine e decine di personaggi difficile da descrivere in poche righe. Il corso narrativo del romanzo si dipana intorno a Ida, giovane vedova e maestra elementare, di origine ebrea, che vive a Roma con l’irrequieto figlio adolescente Nino (detto Ninnuzzo). Ida, nel 1941, viene violentata da un soldato tedesco. Da questo drammatico evento nasce il piccolo Giuseppe (detto Useppe). Sono tempi durissimi, l’occupazione tedesca, la deportazione degli ebrei, i primi bombardamenti, i rifugi di fortuna, la fame. Mai in nessun libro ho trovato una descrizione così coinvolgente di quello che succedeva in quei giorni. Mai ho letto una così efficace rappresentazione della disperazione, della solitudine, della forza di volontà di una madre che lotta contro ogni avversità per la vita di un figlio. Ninnuzzo è sempre fuori, chissà dove, prima camicia nera e avanguardista, poi partigiano e stalinista, poi contrabbandiere. La povera Ida attraversa gli anni più duri della nostra storia in modo drammatico. Mi fermo qui per non spoilerare ma devo dire anche che il romanzo è infarcito di decine di personaggi credibilissimi, alcuni appena accennati, altri ben definiti che aiutano a capire l’Italia di allora. Una citazione particolare per il piccolo Useppe, personaggio tenerissimo, che nella seconda parte del romanzo diventa protagonista assoluto alla scoperta delle miserie della Roma appena uscita dalla guerra, sempre scortato dalla gigantesca cagna Bella che stravede per lui. Un libro consigliatissimo. L’unica controindicazione è che dà un po’ di dipendenza e che appena finite le 1.300 pagine si prova un senso di vuoto ma del resto con i veri capolavori succede.
Celebrato libro come il massimo scrittore cinese del Novecento e fra i creatori della lingua scritta contemporanea, Lu Xun è il più rappresentativo fra gli uomini colti che si riconoscono nella rivoluzione popolare. La presente raccolta costituisce un condensato della sua estesa produzione saggistica (sedici volumi di saggi e discorsi) e comprende testi scritti fra il 1918 e il 1936, anno della sua morte. I testi si situano in un periodo di profonde trasformazioni: la modernizzazione della società, la nuova centralità politica delle masse contadine e l’avanzare della rivoluzione socialista. Legati al tempo e all’occasione quotidiana (il trasformarsi dell’istituzione familiare, una descrizione di Shangai, il teatro moderno, i costumi sessuali, l’avvento della fotografia…), fanno emergere le contraddizioni fra realtà privata e condizione storica, fra l’esigenza immediata di felicità e la lotta sanguinosa «per il futuro», fra tradizione e distruzione, tipicità cinese e dimensione universale. Non solo, dunque, questi scritti sono un viatico prezioso per comprendere l’evoluzione della Cina nel Novecento; nella loro acutezza, essi acquistano altresì un’ampiezza di significato che va oltre i confini di un paese e di un periodo determinato: è nella contraddittorietà della vita, nella miseria, nell’oscurità di un mondo che cambia, che si definisce il rapporto reale tra la modernità e la tradizione cinese, per cui questa può rimanere viva solo a misura che se ne distrugga il dominio, solo nel dare a sé e alle cose nuova forma.
Indice
«Salvae i bambini» di Edoarda Masi
Nota biografica
Nota biobibliografica
Nota sulla pronuncia
Tavola cronologica sulle dinastie cinesi
La mia opinione sulla castità – Come oggi essere padri – Che cosa accade dopo che Nora se ne è andata – Prima che arrivi il genio – Il crollo della pagoda di Leifeng – Fotografie – I nemici della poesia – Il proposito di sacrificarsi – Note scritte sotto la lampada – A proposito di «Di sua madre!» – Del guardar le cose a occhi aperti – Lo «studio dei classici» del quattordicesimo anno – Di come si debba rimandare il fair play – Rose senza fiori – Rose senza fiori II – In memoria della signorina Liu Hezhen – Rose senza fiori III – Cina muta – Breve saggio sulla faccia dei cinesi – La letteratura di un’epoca rivoluzionaria – Qualche chiacchiera sulla lettura – Risposta al signor Youheng – Come scrivere – Noterelle – Sulla classe intellettuale – Sulla torre – Divergenza di letteratura e politica – Letteratura e rivoluzione – Scambio di lettere – Opinioni sulla nuova letteratura di oggi – La non rivoluzionaria fretta di rivoluzione – Opinioni sulla Lega degli scrittori di sinistra – Lo stato attuale del mondo letterario nell’oscura Cina – Compiti e destino della «letteratura nazionalista» – Sul soggetto nella narrativa. Lettera – Evviva i «lavoratori intellettuali» – Ricordo per dimenticare – Dalla satira allo humour – Dal piede delle donne cinesi si induce che i cinesi mancano al giusto mezzo. E da ciò si induce che Confucio aveva una malattia – Come cominciai a scrivere racconti – Ode alla notte – Ragazze di Shanghai – Passeggiata in una sera d’autunno – Su due o tre cose cinesi – Su delle fotografie di bambino – Che strano! – Che strano! II – Chiacchiere di un profano sulla scrittura – Caratteri cinesi e latinizzazione – Confucio nella Cina moderna – Su Dostoevskij – A proposito del nostro movimento letterario oggi – Risposta a Xu Mouyong e sul fronte unito antigiapponese – «Anche questa è vita»… – Morte
Indice storico
Indice dei nomi non cinesi
L’autore Lu Xun
Lu Xun, pseudonimo di Zhou Shuren (Shaoxing, Zhejiang, 1881 – Shanghai, 1936) narratore e poeta, saggista e critico letterario, è considerato il padre della letteratura cinese contemporanea, il primo ad aver scritto un racconto (Il diario di un pazzo) in cinese moderno, attingendo largamente dalla lingua parlata. Tra le sue opere ricordiamo Alle armi (1923), Errare incerto (1926), Storie rivisitate (1935). Oltre alla Falsa libertà, Quodlibet ha pubblicato Erbe selvatiche (2003), una raccolta di brevi testi riconducibili al sanwen, uno dei numerosi sottogeneri della vastissima tradizione letteraria cinese, al confine tra la prosa e la lirica.
Quodlibet srl via Giuseppe e Bartolomeo Mozzi 23 62100 Macerata tel. +39 0733 26 49 65 / fax 0733 26 73 58
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Ilan Pappé-La prigione più grande del mondo-Storia dei territori occupati
Traduttore Michele Zurlo-Editore Fazi
DESCRIZIONE
Dopo la sua acclamata indagine sulla pulizia etnica della Palestina avvenuta negli anni Quaranta, il famoso storico israeliano Ilan Pappé rivolge l’attenzione all’annessione e all’occupazione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, esponendoci la prima critica globale relativa ai Territori Occupati palestinesi. Frutto di anni di ricerche, il nuovo lavoro di Pappé rappresenta probabilmente l’analisi più completa mai scritta sulla genesi dei Territori Occupati e sulla vita quotidiana all’interno di quella che l’autore definisce, appunto, «la prigione più grande del mondo». Pappé analizza la questione da molteplici punti di vista: attraverso l’analisi di materiali d’archivio recentemente declassificati, ricostruisce sotto una luce nuova le motivazioni e le strategie dei generali e dei politici israeliani – e lo stesso processo decisionale – che hanno gettato le basi dell’occupazione della Palestina; rivolgendo poi lo sguardo alle infrastrutture legali e burocratiche e ai meccanismi di sicurezza messi in atto dagli occupanti, rivela il modo in cui Israele è riuscito a imporre il suo controllo a oltre un milione di palestinesi; infine, attraverso i documenti delle ONG che lavorano sul campo e i resoconti di testimoni oculari, Pappé denuncia gli effetti brutalizzanti dell’occupazione, dall’abuso sistematico dei diritti umani e civili ai blocchi stradali, dagli arresti di massa alle perquisizioni domiciliari, dal trasferimento forzato degli abitanti autoctoni per far spazio ai coloni al famigerato muro che sta rapidamente trasformando anche la stessa Cisgiordania in una prigione a cielo aperto. Il libro di Pappé è al contempo un ritratto incisivo e commovente della quotidianità nei Territori Occupati e un accorato appello al mondo perché non chiuda gli occhi di fronte ai crimini contro l’umanità a cui è soggetta da più di settant’anni la popolazione indigena della Palestina.
«Pappé sostiene audacemente e in modo persuasivo di considerare i territori occupati come la “più grande prigione del mondo… Le conclusioni di Pappé non saranno accolte positivamente da tutti, ma questa storia dettagliata è rigorosamente supportata da fonti primarie». «Publishers Weekly»
«Ilan Pappé è lo storico più coraggioso, più rigoroso e più incisivo di Israele».
Se non avete ancora letto “Il Maestro e Margherita”, opera postuma di Michail Bulgakov, è venuto il momento di farlo! Rendetevi disponibili, prego, per una lettura intensa quanto sorprendente e assurda. Diversamente, nel caso lo aveste già letto, spero che le mie parole, qui, in questo confidenziale e prezioso spazio, vi rimandino alla sua rilettura. A me è capitato di riprenderlo tra le mani dopo vent’anni dalla prima volta, chiedendomi cosa, esattamente, avessi letto, giacché non era del tutto svanito il ricordo di essere stato letteralmente rapito dall’esposizione di quelle pagine, così ben lavorate da raccordarsi con il genio dei grandi maestri dello spirito russo. Tradotto e pubblicato da Einaudi, nel 1968, a vent’otto anni dalla morte dell’autore, il libro viene recensito sul “Corriere della Sera” da Eugenio Montale, che definisce il romanzo “un miracolo che ognuno deve salutare con commozione”.
Il poeta italiano scrive: “Un romanzo-poema o, se volete, uno show in cui intervengono numerosissimi personaggi, un libro in cui un realismo quasi crudele si fonde o si mescola col più alto dei possibili temi – quello della Passione – non poteva essere concepito e svolto che da un cervello poeticamente allucinato. È qui che il poco noto Bulgakov si congiunge con la più profonda tradizione letteraria della sua terra: la vena messianica, quella che troviamo in certe figure di Gogol’ e di Dostoesvkij e in quel pazzo di Dio che è il quasi immancabile comprimario di ogni grande melodramma russo.”
Cosa dovremmo sapere, dunque, di un’opera che quasi tutti gli esperti metterebbero nella lista dei migliori libri di sempre? Non possiamo ignorare, per esempio, che Bulgakov iniziò a scriverla nel 1928 e che ne distrusse la prima versione, lavorando in seguito a diverse altre, fino ad arrivare, aiutato dalla moglie Elena, a quella definitiva del 1940, portata al termine poco prima di lasciare questo mondo.
Il tema della distruzione del romanzo viene ripreso anche dalla testimonianza della storia d’amore tra il Maestro e Margherita, un punto di forza irrinunciabile dell’intera vicenda narrata, ma non il solo. Cosa ci fa, infatti, il Diavolo a Mosca, nelle vesti di Woland, accompagnato da personaggi memorabili, tra cui il maggiordomo stravagante, Korov’ev, e il clownesco gatto sovrappeso, Begemont? Certamente, insieme, daranno luogo a un esilarante e sconvolgente mulinello di accadimenti che vi terranno fermi alle pagine mediante un racconto che procede su due piani: in uno si narrano le vicende che si susseguono a Mosca, nell’altro si sviluppa il romanzo scritto dal Maestro, ambientato durante la Pasqua, ai tempi di Ponzio Pilato e Gesù.
E qui il tema tra il bene e il male si complica a tal punto che la stessa distinzione tra buoni e cattivi non è affatto netta. Satana appare quasi benevolo e si prende gioco della mediocrità e della vacuità delle persone. Mentre, Margherita, nella sua grazia e bellezza, mostra il suo lato oscuro e distruttivo. Quanto, a Ponzio Pilato, lavandosi le mani non dissolve la sua fragilità e la solitudine.
Il testo sfoglia con maestria elementi bizzarri e surreali, che si mescolano con la denuncia politica e sociale, con la religione, la giustizia, l’amore, l’illusione e il potere. E come ogni grande classico, il capolavoro di Bulgakov ci lascia alle nostre domande e riflessioni, magari aprendoci la strada a qualche dubbio, ma nella certezza di aver letto un’opera intramontabile e senza tempo, che avrà sempre qualcosa da insegnare a ogni nuova generazione.
I lettori di ogni epoca potranno considerare come difronte a tanta sofferenza e ai diritti negati, i protagonisti di questa grande opera letteraria abbiano ancora voglia di fare cose folli e innamorarsi del rischio. Margherita è desiderosa di vita e avventura e non è al corrente dei particolari del suo viaggio: sa solo che quando arriverà alla meta, potrà finalmente chiedere pace e redenzione per lei e per l’uomo che ama. Pertanto, la donna si lancia nuda, in volo, fluttuando come in un quadro di Chagall, sulla città di Mosca e i suoi dintorni, tra boschi e un paesaggio lacustre.
Les Éditions de la Découverte viennent de publier une étude, L’œuvre-vie d’Antonio Gramsci, que l’on peut considérer comme la plus complète et la plus actuelle en français sur la biographie et l’œuvre du philosophe italien Antonio Gramsci (1891-1937), l’un des penseurs majeurs et des plus convoqués du marxisme.Membre fondateur du Parti communiste italien, dont il fut un temps à la tête, il est emprisonné par le régime mussolinien de 1926 à sa mort. Les auteurs, Romain Descendre et Jean-Claude Zancarini, sont deux enseignants de l’École Normale Supérieure de Lyon, où ils animent depuis dix ans un séminaire d’études consacré à Gramsci et ses 33 Cahiers de prison. L’Œuvre-vie aborde les différentes phases de son action et de sa pensée – des années de formation en Sardaigne et à Turin jusqu’à sa mort le 27 avril 1937, en passant par ses activités de militant communiste et ses 11 années d’incarcération dans les geôles fascistes – en restituant leurs liens avec les grands événements de son temps : la révolution russe, les prises de position de l’Internationale communiste, la montée au pouvoir du fascisme en Italie, la situation européenne et mondiale de l’entre-deux-guerres. Grâce aux apports de la recherche italienne la plus actuelle, cette démarche historique s’ancre dans une lecture précise des textes – pour partie inédits en France –, qui permet de saisir le sens profond de ses écrits et toute l’originalité de son approche.
Analysant en détail la correspondance, les articles militants, puis les Cahiers de prison (I Quaderni) du révolutionnaire, cette biographie rend ainsi compte du processus d’élaboration de sa réflexion politique et philosophique, en en soulignant les leitmotive et en restituant « le rythme de sa pensée en développement ».
Au fur et à mesure que Gramsci progresse dans la rédaction des Cahiers, écrivent les auteurs, il comprend que la “philosophie de la praxis” a besoin d’outils conceptuels nouveaux, philosophiques et politiques à la fois, et il se charge de les inventer et de les faire évoluer au cours de son existence : «hégémonie», «guerre de position», «révolution passive», «classes subalternes». Autant de concepts qui demeurent utiles pour penser aujourd’hui encore notre propre monde «grand et terrible».
Evolena
LE LIVRE: L’œuvre-vie d’Antonio Gramsci, de Romain Descendre et Jean-Claude Zancarini Editions La Découverte
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