Franco Leggeri Fotoreportage “Il Giardino Antico” VILLA ROMANA delle COLONNACCE-
ROMA MUNICIPIO XIII- Castel di Guido-Franco Leggeri Fotoreportage “Il Giardino Antico” VILLA ROMANA delle COLONNACCE-I visitatori , anche a seguito delle varie manifestazioni organizzate dalla LIPU, ospiti del GAR nella Villa Romana delle Colonnacce, sono stati guidati dal mitico Archeologo Luca nel tour tra gli scavi archeologici. Durante la visita alla Villa Romana, molti partecipanti sono stati incuriositi dalla presenza di alcuni alberi con alla base un cartello con la descrizione dell’essenza tratta dalle Opere di Plinio. Gli alberi costituiscono una riproduzione di un”GIARDINO ANTICO” e si trovano in un angolo in fondo all’area archeologica. Ne elenco alcuni esemplari : CIPRESSO,LECCIO,FRASSINO e NOCCIOLO.
Questi alberi sono qui nella antica Villa Romana delle Colonnacce a testimoniare che, tra fine dell’età repubblicana e primi decenni dell’epoca imperiale, come si può anche leggere nelle Opere di Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane, Catone e Columella , il giardinaggio non è più considerato un’occupazione produttiva, ma anche attività svolta per piacere e diletto. Celebre il brano di Plinio il Vecchio: “I decoratori di giardini distinguono, nell’ambito del mirto coltivato, quello tarantino a foglia piccola, il nostrano a foglia larga, l’esastico a fogliame densissimo, con le foglie disposte a file di sei” ed ancora: “Esistono anche dei platani nani, che sono costretti artificialmente a rimanere di piccola altezza”.
CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”
CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”
ROMA MUNICIPIO XIII- Castel di Guido-I visitatori , anche a seguito delle varie manifestazioni organizzate dalla LIPU, ospiti del GAR nella Villa Romana delle Colonnacce, sono stati guidati dal mitico Archeologo Luca nel tour tra gli scavi archeologici. Durante la visita alla Villa Romana, molti partecipanti sono stati incuriositi dalla presenza di alcuni alberi con alla base un cartello con la descrizione dell’essenza tratta dalle Opere di Plinio. Gli alberi costituiscono una riproduzione di un”GIARDINO ANTICO” e si trovano in un angolo in fondo all’area archeologica. Ne elenco alcuni esemplari : CIPRESSO,LECCIO,FRASSINO e NOCCIOLO.
Questi alberi sono qui nella antica Villa Romana delle Colonnacce a testimoniare che, tra fine dell’età repubblicana e primi decenni dell’epoca imperiale, come si può anche leggere nelle Opere di Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane, Catone e Columella , il giardinaggio non è più considerato un’occupazione produttiva, ma anche attività svolta per piacere e diletto. Celebre il brano di Plinio il Vecchio: “I decoratori di giardini distinguono, nell’ambito del mirto coltivato, quello tarantino a foglia piccola, il nostrano a foglia larga, l’esastico a fogliame densissimo, con le foglie disposte a file di sei” ed ancora: “Esistono anche dei platani nani, che sono costretti artificialmente a rimanere di piccola altezza”.
Articolo e foto sono di Franco Leggeri per l’Associazione CORNELIA ANTIQUA-
CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”Associazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali. Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo ! Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com- Cell-3930705272-CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”Associazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali. Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo ! Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com- Cell-3930705272-CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico” IL Mitico LUCA-Archeologo e storico della Villa Romana delle ColonnacceCASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”Castel di Guido- – 22 aprile 2017-GAR- Sessione di scavo Villa Romana delle Colonnacce .Castel di Guido- – 22 aprile 2017-GAR- Sessione di scavo Villa Romana delle Colonnacce .Castel di Guido- – 22 aprile 2017-GAR- Sessione di scavo Villa Romana delle Colonnacce .
L’esordio poetico di Francesco Gallina: Medicinalia-Par Cinzia Demi-Marco Saya Edizioni
Francesco Gallina, classe 1992, laureato in Filologia moderna, docente di Lettere nelle scuole secondarie di secondo grado, è dottore di ricerca in Scienze filologico-letterarie, storico-filosofiche e artistiche presso l’Università degli Studi di Parma, dove si occupa prevalentemente della storia del genere novellistico e della fortuna dantesca in ambito letterario e figurativo. È autore di saggi di letteratura italiana, curatele e contributi su riviste scientifiche tra le quali: Studi e Problemi di Critica Testuale, Parole Rubate, Italianistica, Studi Pasoliniani, Griseldaonline, Campi Immaginabili, Oblio, Ricerche di S/Confine. Della sua produzione scientifica si menziona il recente «Speculando per sapienza». Vita, opere e poetica di Giovanni Gherardi da Prato (Rubbettino, 2022), volume monografico interamente dedicato all’intellettuale toscano. In ambito narrativo ha pubblicato racconti su quotidiani come la «Gazzetta di Parma» e antologie fra le quali Parma. I nuovi narratori raccontano la loro città (Diabasis, 2021).
Medicinalia, edito da Marco Saya Edizioni nel 2022, segna il suo esordio poetico: con questo lavoro Francesco Gallina ha vinto nello stesso anno il Premio Siae Under 35 nell’ambito del XXXIV Premio Letterario Camaiore – Francesco Belluomini, su giudizio della giuria composta dalla Presidente del Premio Rosanna Lupi e dal Presidente della Società italiana degli autori ed editori Giulio Rapetti Mogol.
Conosco Francesco Gallina per aver letto questa sua prima opera ed esserne rimasta colpita, come penso molti, per la particolarità del tema e l’assoluta scioltezza, ma anche complessità, con la quale lo tratta. Ho pensato di invitarlo alla rassegna Un thè con la poesia a Bologna, per l’appuntamento di giugno, per conoscerlo personalmente, per approfondire con lui le intenzioni del libro e per comprendere appieno questa sua esperienza, a mezza via tra la medicina e la poesia, che ci riporta indietro nel tempo, ricollegandosi ampiamente alla tradizione della Commedia dantesca.
Medicinalia
Francesco Gallina
Medicinalia è un titolo non proprio consueto per un libro di poesia, così come potrebbe far pensare il suo stesso contenuto. Eppure, a ben guardare, il nostro passato letterario è pieno di riferimenti a una tradizione che, su argomenti medici in poesia, affonda le sue radici addirittura nell’opera di Dante. E, certo, viene da chiedersi se Francesco Gallina, che per altro è anche dedito agli studi sul Poeta, non si sia ispirato in prima battuta proprio a lui per scrivere il suo lavoro. Dante, certamente, non era un medico ma sappiamo che a Firenze egli aveva scelto di iscriversi, tra le corporazioni, a quella dell’Arte dei medici e degli speziali, iscrizione che non è improbabile possa aver comportato il superamento di un esame non solo formale per verificare la capacità di esercitare il mestiere; sappiamo che ha avuto molti contatti con alcuni medici all’Università di Bologna, frequentando le lezioni di Taddeo Alderotti, professore di medicina, il quale a sua volta aveva legami con altri medici quali Fiduccio de’ Milotti e Mondino de’ Liuzzi; sappiamo che tra il 1304 e il 1306 Dante fu a Padova, dove frequentò Pietro D’Abano e, sicuramente, assistette alle dissezioni nel Teatro anatomico, le prime autorizzate dalla Chiesa… insomma molti indizi ci portano a credere che nella Commedia, in particolare nella cantica infernale, i riferimenti che confermano come Dante avesse una conoscenza di autori medici, e una grande capacità di descrivere le questioni inerenti agli argomenti da loro trattati, era considerevole, tanto da saperci restituire nella loro intensità e veridicità le pene inflitte ai dannati, le ambientazioni ospedaliere del tempo, il dolore fisico e psichico, le malattie dell’epoca come uno che ha davvero molta familiarità con la medicina.
Oltre a Dante, ovviamente, la schiera dei poeti che si sono cimentati in una scrittura che avesse come fondamento la medicina, e in specie la malattia, è lunga e se ne ritrovano tracce nella poesia classica e nella poesia contemporanea e ancora, come qualcuno sottolinea, in quella ipercontemporanea… Lo stesso Gallina apre il primo capitolo del libro o introduce alcune poesie con versi che ne dimostrano la frequentazione. Questi sono alcuni esempi: Ecco il bianco drappello che semina la pace/in punta di siringa (Margherita Guidacci, Iniezione serale); Splendido, certo, s’annuncia il continente profondo del cancro (Tiziano Rossi, Sotto cancro); Con non altri che te/è il colloquio (Vittorio Sereni, Via Scarlatti); Da che fatto fu poi il sangue brino,/ricominciò a dir: «Perché mi scerpi ?/non hai tu spirto di pietade alcuno ?» (Dante, Inferno)… e molti altri, non riportati, se ne potrebbero citare.
Resta da capire come sia stato sviluppato il tema e quale stile abbia scelto l’autore per i testi di questo libro che forse non ci sorprendono ma, di certo, non ci lasciano neanche indifferenti perché la malattia, la sofferenza, la partecipazione al dolore fanno parte della vita di tutti noi, rientrano nella nostra esperienza del quotidiano e non possiamo ignorarle. Tuttavia, l’approccio proposto da Gallina, di primo acchito, appare distaccato, e con il piglio quasi didascalico di chi descrive una realtà che, in fondo, sembra non appartenergli, egli si appresta a introdurci in stanze ben igienizzate, in sale operatorie illuminate da una luce neutrale, in resoconti clinici di mali, in elencazioni di organi più o meno vitali sottoposti a terapie, in sentimenti che non contemplano la compassione: tutto sembra non commuoverlo, come ci aspetteremo, tutto sembra raccontato con lucida perfezione come se visto in prima persona, ma attraverso un vetro, o uno specchio che ne riflette da lontano le immagini, le azioni, i volti, financo i pensieri: nessun coinvolgimento da parte del poeta, quasi nessun segno di quell’empatia che risulterebbe necessaria per affrontare l’argomento. Questo è quello che sembra. Ma noi non ci crediamo, e scandagliando bene le parole tra i versi dell’autore, ricominciamo a leggere per trovare quello che cerchiamo, quello che ci rende umani, quello che da sempre ci separa dal nulla, dal vuoto: il sentimento. Infatti, a ben guardare, ci imbattiamo – già dalle prime pagine – in alcuni versi che lasciano trapelare qualcosa di diverso da quella che è stata la prima impressione e che, se pure mimetizzata da un filo lieve d’ironia, soprattutto come vedremo più avanti, si apre nella prima sezione del libro alla presentazione di quella che è – o che vogliamo pensare sia -, in fondo, la dichiarazione di poetica di Francesco Gallina. Così scopriamo che la creazione dell’uomo nasce da un gesto d’amore: se qualcuno – il nome è un mistero -/non ci avesse messo l’impegno, la cura, un preistorico/storicissismo atto d’amore; che il pensiero sull’uomo porta alla considerazione che c’è qualcosa di più nel corpo umano, oltre agli organi che lo compongono: non è una macchina, l’Uomo/non è calcolo o matematica/non è certezza algoritmo equazione […] ma un magnetico puntino su tela/di Fénéon; che la razionalità sulla nostra esistenza dev’essere filtrata dalla bellezza e dell’arte, dimensione con cui convivere a pieno titolo: ché la vita è una questione di grafite,/roba fragile, fragile detrito//ma passata al filtro dell’arte/pulsa di nuovo colore.
Da qui il passaggio, quasi obbligatorio e di considerevole efficacia, ci conduce ai successivi capitoli, nei quali, come detto, attraverso una cifra stilistica forgiata da una lieve ironia che cattura al suo interno le figure retoriche tipiche della poesia, il ché ne denota l’ottima conoscenza, quali la metafora, l’allitterazione, l’iperbole, se pure rivisitate in chiave moderna, da qui, dicevamo, vengono poste al lettore – quasi inconsciamente – alcune domande basilari sulla funzionalità e intenzionalità delle scienze mediche, vengono rivisitate le storie degli esperimenti esperiti spesso senza alcuna etica professionale o umana, il tutto filtrato attraverso un percorso su alcune tipologie di malattie e la reazione ad esse da chi ne viene colpito (secondo capitolo: dal sentimento al sintomo), o addentrandosi nella dimensione ospedaliera vera e propria, con elencazione di mezzi e strumenti utilizzati, di patologie più gravi, di cure specifiche (terzo capitolo: minimo abbecedario ospedaliero).
E infine, arriviamo all’epilogo, ovvero all’ultima sezione del libro dove ci imbattiamo nella dimensione delle tematiche bioetiche anch’esse, in apparenza, trattate con distacco. Diciamo sempre in apparenza perché, non abbiamo nessuna convinzione in merito all’accennato atteggiamento del distacco: anche qui, infatti, come nella prima parte del libro ci sembra affiorare invece un sentimento, che potremmo definire quasi religioso di osservazione, cosparso di termini biblici ed evangelici, intriso di quella spiritualità che si porta necessariamente con sé il confronto tra la vita e la morte, tra il partire e il restare, tra la rianimazione e la resurrezione: corpo di pillola che si spezza come ostia/nella tua bocca, vecchio: nell’ora del vespro/la tua comunione contro l’ipertensione sono i versi che accompagnano questa visione liturgica dei gesti di cura; profondissima è la forza che separa/ “rianimazione” e “resurrezione” […] «alzati e cammina»/può diventare un protocollo umano,/troppo umano dove il miracolo di Lazzaro è il termine di paragone per il tentativo di rianimare un corpo da riportare in vita; si sfaldano come alghe le madri,/curve di nervi nelle camere ardenti//asciutta l’acquasantiera/ l’utero s’involve, secca dove l’elemento dell’acquasantiera asciutta si rapporta con l’utero seccato nel momento in cui la madre subisce la morte prematura del figlio… e gli esempi potrebbero continuare. Come parlare dunque di distacco, di assenza di coinvolgimento, di neutralità di fronte alle esperienze dolorose della vita, accorgendosi dell’uso di termini di paragone, metafore, similitudini di questa portata?
Per concludere possiamo solo dire che siamo grati a Francesco Gallina per averci condotto su questa strada dove ognuno vedrà sicuramente ciò che più gli è caro o vicino ma dove, inevitabile sarà il confrontarsi anche con questa prospettiva, molto meno laica di quanto si pensi.
Alcuni testi da: Medicinalia
L’atlante di Netter
se perdessi la strada che porta all’arteria
col dito potresti intercettare la sim
del sangue, risalire al pin
che ci tiene in vita, messo su carta
da Frank Netter in punta di matita,
ché la vita è una questione di grafite,
roba fragile, fragile detrito
ma passata al filtro dell’arte
pulsa di nuovo colore:
anche un tumore
acquista dignità, l’orrore
la rappresentazione del male
l’inferno senza girone
che incappi sfogliando l’Atlante
diventa il manifesto dell’iperreale
più vivo della carne
che ogni giorno ti carichi sulle spalle
***
La grafia del medico di famiglia
è una in gamba
la farmacista sotto casa
si dice abbia
avuto maestri illustri (Champollion,
Evans, Ventris), che persino
Dan Brown l’abbia chiamata
in consultazione privata
sulla decodifica di antichi alfabeti in codice
dunque, cari miei, nessuno stupore
se ha antenne per captare
la calligrafia e la sua mistica,
l’arzigogolo arabeggiante, l’esotico
ondeggiare dell’inchiostro
sulla stele di Rosetta
fresca di cartuccia
***
Il cuore
sono lontani i tempi in cui Magrelli
cantava di DNA di lucciole
innestati nelle fragole
oggi la musica è cambiata: la poesia
può permettersi solo un impoetico
cuore di porco, geneticamente
modificato, installato nel corpo
di un uomo, (in attesa che il cuore umano
palpiti un giorno nel costato di un porco
per permettere il passaggio di specie
forse già in atto, senza trapianto).
***
La risonanza magnetica
le bobine di gradiente
inglobano il corpo del piccolo Mircea,
lo risucchiano nel buco nero
di un solenoide: dentro
si gioca una guerra di acufeni,
frequenze acustiche all’impazzata,
onde magnetiche, picchi di martello
la testa di Mircea si apre a ombrello sul monitor:
vediamo il cervello e le radici
del tronco encefalico, vediamo
le cause dei suoi capogiri, la vertigine
cosmica, i suoi sogni in tomografia
***
La terapia intensiva
sotto la tonda plastica dei caschi
a ventilazione non invasiva
simile con simile qui è sepolto
inclinando oltre la parabola del mondo
raddrizzata sulla carreggiata l’anima
l’angelo intubatore, l’idraulico
celeste sotto lo scafandro, sillaba
alle valvole parole d’amore
la turbolenza dei flussi d’aria
è il soundtrack che tiene in vita chi da vita
sfugge
Cinzia Demi
Bologna, maggio 2023
Cinzia Demi
https://cinziademi.it/
Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino – LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.
Maram al-Masri -(Lattakia Siria 2 agosto 1962)-Le donne come me, non sanno parlare; la parola le rimane di attraverso in gola come una lisca che preferiscono inghiottire. Le donne come me sanno soltanto piangere a lacrime restie che improvvisamente rompono e sgorgano come una vena tagliata. Le donne come me sopportano gli schiaffi senza osare renderli. Tremano di rabbia e la reprimono. Come leoni in gabbia le donne come me sognano la libertà …
( Versi tratti da Anime scalze, Maram Al- Masri, Multimedia Edizioni / Casa della poesia.)
Maram al-Masri
-M’infiamma il desiderio.
M’infiamma il desiderio.
E brillano i miei occhi.
Sistemo la morale nel primo cassetto che trovo,
mi muto in demonio,
e bendo gli occhi dei miei angeli
per un bacio.
-Dormi profondamente-
Dormi profondamente
e non ti preoccupare
per la mia insonnia,
lasciami sognare un po’
di strade alberate
e di vaste dune,
dove possa galoppare
sui miei cavalli bramosi,
io,
la donna che dovrà essere
buona
e ragionevole
domattina.
Ho osservato il mio specchio
Ho osservato il mio specchio
e vi ho visto
una donna
pienamente soddisfatta
con gli occhi brillanti
d’una squisita malizia.
L’ho invidiata
Abbiamo volti
che portiamo sulle spalle
sulle carte d’identità
nelle foto ricordo
Maram al-Masri
Abbiamo volti
Abbiamo volti
che strappiamo conserviamo
nascondiamo riveliamo
ai quali ci abituiamo che rinneghiamo
che amiamo
e odiamo
Abbiamo volti
che conosciamo…
diciamo: li conosciamo?
-Che follia-
Che follia!
Il mio cuore ogni volta che sente bussare
apre la porta.
-Uno straniero mi guarda-
Uno straniero mi guarda,
uno straniero mi parla,
sorrido ad uno straniero,
parlo ad uno straniero,
m’ascolta uno straniero,
davanti
alle sue pene
pulite e bianche
piango,
sulla solitudine che unisce
gli stranieri.
-La donna che guarda dalla finestra-
La donna che guarda dalla finestra
vorrebbe avere delle lunghe braccia
per prendere il mondo
il suo Nord e il suo Sud
il suo Est e il suo Ovest
nel suo grembo
come una tenera madre
vorrebbe avere grandi mani
per carezzare i suoi capelli
scrivere delle poesie
per alleviare la sua pena.
-Desideravo-
Desideravo
che le tue labbra sfiorassero
il mio collo,
per chiudere gli occhi
e assaporare
la magia di quel
momento
proibito.
-Io e la mia felicità-
Io e la mia felicità
aspettiamo
le vibrazioni dei tuoi passi.
-Sei molto diverso dagli altri-
Sei molto diverso dagli altri.
Il tuo segno distintivo:
il mio bacio
sulla
tua bocca.
-Sono la ladra dei dolci-
Sono la ladra dei dolci
esposti nel tuo negozio
le mie dita sono appiccicaticce
e non sono riuscita
a metterne uno solo
in bocca.
-Questa sera-
Questa sera
un uomo uscirà
in cerca
di una preda
per soddisfare il segreto dei suoi desideri.
Questa sera
una donna uscirà
in cerca
di un uomo che la renderà
la padrona del suo giaciglio.
Questa sera
la preda e il predatore si incontreranno
e si compenetreranno
e forse…
forse
si scambieranno i ruoli.
-Sul letto-
Sul letto
una macchia rossa
inumidita dalle lacrime del vergine desiderio.
Ama per la prima volta
e si immerge nell´acqua eterna della vita
quel sudore
caldo
e i suoi strani effluvi
che emanano da due corpi
che festeggiano la morte del desiderio.
-Specchio-
Mi sono guardata allo specchio
e ho visto
una donna
pienamente soddisfatta,
dallo sguardo radioso
e squisita malizia.
-Tristezza-
Sola
non le permetto
di farmi visita.
Volteggia intorno a me
la caccio via.
Eccola
simile a una mosca nera
simile a una orribile mosca nera
vola qui, ronza di là
per atterrare sul profondo del mio cuore.
Tristezza
una mucca impazzita
rumina
l´erba e il fieno
della mia estasi.
-Verso di lui-
Si è diretta verso di lui
per offrirgli
i suoi pori
e le sue unghie
decorate da ciliegie
che ha divorato
avidamente.
Se ne è andata
con il cestino del suo cuore
svuotato.
-Filo di luce-
Lo guardai
attraverso un filo di luce
che filtrava
dalla finestra della mia misericordia.
Il corpo affaticato
disteso accanto a me
affamato come me.
Gli ho fatto cenno
di avvicinarsi
ma ha rifiutato.
Glielo ho ordinato
ma ha disobbedito.
L’ho obbligato
si è avvicinato tremante dalla paura
di toccare
un altro corpo.
-L’Amore-
Lo voglio,
caldo
e profondo
che mi dia vertigine;
altrimenti, non ti avvicinare.
Che parta
dal mignolo della mia mano,
per finire alla punta dei miei piedi,
passando
per i miei monti,
le mie valli e le mie gole
e catturi
la mia anima.
– Aspetto,e cosa aspetto ?-
Aspetto,
e cosa aspetto ?
Un uomo carico di fiori
e di parole dolci.
Un uomo
che mi guardi e mi veda.
Che mi parli e m’ascolti.
un uomo che pianga
per me.
Provo pietà per lui
e l’amo.
-Impediscimi-
Impediscimi, mio saggio marito,
Impediscimi, mio saggio marito,
di issarmi sui tacchi della mia femminilità,
perché all’angolo
mi aspetta un giovane
-Lei mi apre-
Lei mi apre
le sue ampie porte.
Mi chiama
e mi spinge a lanciarmi
nel suo spazio
e come un uccello
davanti alla porta aperta della gabbia
non oso.
-Delitto-
Che
meraviglioso delitto
ho commesso?
Ho goduto
di un corpo
che mi ha donato
un fiume inebriante
e una ribellione di vita.
-Anime scalze-
Le ho viste.
Loro,
i loro volti dai lividi celati.
Loro,
gli ematomi nascosti tra le cosce,
Loro,
i loro sogni rapiti, le loro parole azzittite
Loro,
i loro sorrisi affaticati.
Le ho viste
tutte
passare nella strada
anime scalze,
che si guardano dietro,
temendo di essere seguite
dai piedi della tempesta,
ladre di luna
attraversano,
camuffate da donne normali.
Nessuno le può riconoscere
tranne quelle
che sono come loro.
-Vieni, vieni-
Vieni, vieni
ho preparato la tavola del mio ventre
il giardino delle mie cosce dai frutti maturi
le mie cosce calde e felici
succose di nettare di desiderio.
Ma
prepara la tua bocca affinché io possa mangiare.
Vieni, vieni
ben temperato è il mio vino sacro
che ti darà il godimento
di una donna
matura d’amore.
Maram al-Masri
– Mi ha detto che sarebbe venuta-
Mi ha detto che sarebbe venuta
quando?
non lo so
tuttavia lei verrà, è sicuro
ma prima
bisognerà che mi tolga
lo sfavillio degli occhi
la freschezza della pelle
la pienezza dei seni
l’umido dei passi
la lucentezza dei capelli.
Dovrà privarmi
della voglia di correre
di danzare
di scoprire le braccia
di guardarmi nello specchio.
Le servirà far morire il mio desiderio
il desiderio di baciare
di fare l’amore.
– È venuta tutta intera-
È venuta tutta intera,
con l’odore del suo letto
e della sua cucina,
con i baci di suo marito
nascosti sotto la camicetta,
con il suo sperma
ancora caldo
nel ventre.
È venuta,
con la sua storia e i suoi sogni,
le sue rughe,
e il suo sorriso screpolato,
con la peluria che si tesse
sul bordo delle sue guance,
con i resti delle loro colazioni
appiccicati ai denti.
È venuta con tutti i miei dolori,
la donna che vive con il mio uomo.
-Che dispiacere-
Che dispiacere
per ogni parola d’amore
che voleva dichiararsi
e che fu seppellita viva.
Che dolore
in gola.
-Aspetto dietro la tua porta-
Aspetto
dietro la tua porta,
non aizzarmi contro i tuoi cani rabbiosi
perchè mi caccino.
I tuoi cani
che ho visto nascere,
che ho nutrito,
che ho carezzato,
che si sono dimenticati
che li abbracciavo
e che nascondevano la loro testa
nel mio grembo.
Ah,gli ingrati!
Ogni volta
che apro la mia valigia,
ne esce polvere.
– Madame Chevrot-
Età : 75 anni Professione : ex stiratrice
È da molto
che non vedo Madame Chevrot,
la donna che di solito
incontravo nella strada principale.
Mi sorrideva
e il suo sorriso mi costringeva a fermarmi,
anche se avevo fretta,
per parlare del tempo,
della sua bellezza di un tempo
e degli uomini che l’hanno amata.
Madame Chevrot è piccola,
un naso grosso come una melanzana
e pochi denti
rotti e neri,
Lei giura con fierezza, che sono veri.
Elegante, per quanto l’età lo permetta.
Truccata, tanto che le cascano le palpebre …
Al nostro ultimo incontro
mi ha raccontato
di aver conosciuto un uomo
nella sala da ballo
dove stava imparando la salsa.
Lui avrebbe tanto voluto vivere con lei …
Ma lei?
Lei esitava,
divisa tra rinunciare alla sua libertà
e rinunciare al suo russare,
perché, mi diceva,
è tutto quello che lui può offrirle
la notte.
– Grazie a tutti quelli che.-
Grazie a tutti quelli
che mi hanno amato
e a tutti quelli che mi hanno detestato
a quelli che mi hanno abbandonato
e a quelli che ho abbandonato
Ogni volta mi hanno ridato fuoco
e riacceso in me il desiderio
Ci sono quelli che ho dimenticato
e quelli che non dimenticherò mai
Non mi hanno impedito
d’avventurarmi
ogni volta
ad amare di nuovo.
Maram al-Masri
Maram al-Masri -(Lattakia Siria 2 agosto 1962)-Le donne come me, non sanno parlare; la parola le Maram al-Masri rimane di attraverso in gola come una lisca che preferiscono inghiottire. Le donne come me sanno soltanto piangere a lacrime restie che improvvisamente rompono e sgorgano come una vena tagliata. Le donne come me sopportano gli schiaffi senza osare renderli. Tremano di rabbia e la reprimono. Come leoni in gabbia le donne come me sognano la libertà …
( Versi tratti da Anime scalze, Maram Al- Masri, Multimedia Edizioni / Casa della poesia.)
Maram al-Masri – Vive suoi primi vent’anni nella città portuale siriana di Lattakia, vicina all’isola di Cipro. Dopo gli studi a Damasco e in Inghilterra, è costretta a lasciare la sua terra d’origine insieme a suo marito perché oppositrice del regime di Assad.
Si trasferisce con lui a Parigi dove vive dal 1982. A seguito della fine del suo matrimonio, l’ex marito ritorna in Siria portando con sé anche il figlio di soli diciotto mesi. A Maram Al Masri per tredici anni viene proibito di vederlo.
Maram esordisce a Damasco dove pubblica “Ti minaccio con una colomba bianca”, presso la casa editrice del Ministero dell’ Educazione. Dopo un lungo periodo di silenzio, nel 1997 ritorna alla poesia con “Ciliegia rossa su piastrelle bianche”, pubblicato a Tunisi dalle Edizioni L’Oro del Tempo nel 1997, e salutato con entusiasmo dalla critica dei paesi arabi. Nel 1998 riceve il premio del Forum culturale libanese in Francia, al quale partecipò il poeta libanese Adonis.
Nella raccolta Anime Scalze la poetessa dedica la sua opera alle donne vittime di violenza in Francia e nel mondo, a quelle “anime scalze”, alle donne che non sono mai state amate.
Nel 2000 Al Manar Edizioni pubblica a Beirut la terza raccolta Ti guardo e nel 2002 viene pubblicata in Spagna la prima traduzione di Ciliegie rosse su piastrelle bianche. Le sue opere cominciano ad essere tradotte in molte lingue. L’edizione spagnola di Ti guardo resta per quattro settimane tra i primi dieci libri di poesia più venduti. Maram al-Masri ha partecipato a numerosi festival internazionali di poesia in tutto il mondo e per Casa della poesia nel 2004 a “Il cammino delle comete” e a “Sidaja”, nel 2005 a “Napolipoesia nel Parco” e agli “Incontri di Sarajevo”. Nel 2007 e nel 2009 ha preso parte a “VersoSud”, Reggio Calabria. Nel 2017 ha ricevuto il Premio Casa della poesia – Regina Coppola.
Bibliografia
PUBBLICAZIONI:
1984 “Ti minaccio con una colomba bianca”, Ministero dell’ Educazione, Damasco.
1997, “Ciliegia rossa su piastrelle bianche”, Edizioni L’Oro del Tempo, Tunisi. Questo libro è stato tradotto in spagnolo, in francese, in corso e in inglese (Gran Bretagna e Stati Uniti). Molte sue poesie sono state tradotte e pubblicate in riviste, in spagnolo, francese, inglese, tedesco, italiano, corso e turco.
2000, “Ti guardo”: è stato pubblicato originariamente a Beirut (e poi in Francia e in Spagna); è stato pubblicato nell’agosto del 2009 da Multimedia Edizioni (traduzione dall’arabo di Marianna Salvioli).
2011, “Les âmes aux pieds nus”: è stato pubblicato in Francia da Le Temps des Cerises, e in Italia col titolo “Anime scalze” nel 2011 dalla Multimedia Edizioni / Casa della poesia che nel 2014 dà alle stampe “Arriva nuda la libertà” (traduzione dall’arabo di Bianca Carlino). Nel 2018 con la traduzione di Raffaella Marzano viene pubblicato “La donna con la valigia rossa”, racconto illustrato dall’artista salernitana Ida Mainenti.
La sua poesia è inserita nel volume “Non ho peccato abbastanza. Antologie di poetesse arabe contemporanee” (Mondadori, 2007).
Maram Al-Masri Nella Siria martoriata c’è una città che si chiama Lattakia. Una città di mare, vicina all’isola di Cipro: lì il 2 Agosto del 1962 è nata Maram Al-Masri e lì ha vissuto i suoi primi vent’anni. Studia a Damasco, poi in Inghilterra. Si sposa giovanissima e con il marito è costretta a fuggire a Parigi, in quanto oppositrice del regime di Assad.
Lì ho sepolto mio padre il giorno in cui ho deciso di partire con una sola valigia colma di sogni senza memoria… e la sua fotografia.
Quando il suo matrimonio finisce il marito ritorna in Siria portando con sé il figlio che Maram non vedrà per i successivi tredici anni. A Lattakia, oggi presa di mira dall’ISIS, vive ancora tutta la sua famiglia.
Maram esordisce a Damasco nel 1984 con Ti minaccio con una colomba bianca; poi, dopo un lungo periodo di silenzio, pubblica nel 1997 la raccolta di poesie Ciliegia rossa su piastrelle bianche. Ti guardo viene invece pubblicato a Beirut nel 2000.
Nella raccolta Anime scalze del 2011 Maram dedica i suoi versi a tutte le donne vittime di violenza, alle profughe, alle donne sommerse. La sua scrittura diventa quasi fotografia, è come vederle queste donne: i loro lividi, i loro sogni rapiti, le parole che non possono dire, i sorrisi stanchi:
Le ho viste tutte passare in strada / anime scalze, / che si guardano dietro, / temendo di essere seguite / dai piedi della tempesta, / ladre di luna / attraversano, / camuffate da donne normali. / Nessuno le può riconoscere / tranne quelle / che somigliano a loro.
La poesia di Maram è un inno alla bellezza che sopravvive al di là degli orrori, della guerra, della violenza nelle piccole cose.
Oggi il dolore di Maram è quello del suo popolo, decimato in pochi anni. I siriani da venti milioni sono diventati undici milioni. Quelli che hanno deciso di restare nella loro terra affrontano ogni giorno fame, prigione e torture da parte del regime, e le bombe dell’ISIS. A loro Maram dedica la raccolta di poesie Arriva nuda la libertà del 2014:
La Siria per me… è una donna violentata tutte le notti da un vecchio mostro / violata / imprigionata / costretta a sposarsi. / La Siria per me / è l’umanità afflitta / è una bella donna che canta l’inno della Libertà / ma le tagliano la gola. / È l’arcobaleno del popolo / che si staglierà dopo i fulmini e le tempeste.
I versi di Maram sono un omaggio a coloro che hanno perso la vita sotto le bombe o che sono morti sotto le torture del regime. Sono “figli della libertà”, indossano abiti usati di stoffa ruvida, sono scalzi o hanno scarpe troppo grandi. I figli dei figli della libertà giocano con brandelli di pneumatici, con i sassi, con i resti degli ordigni esplosi. Nessuno ha più la forza di raccontare loro una favola, ascoltano solo “il frastuono della paura e del freddo / sui marciapiedi / davanti alle porte delle loro case distrutte / negli accampamenti / o / nelle tombe.”
Ha un sogno Maram: diventare un uccello dalle grandi ali e sorvolare finalmente la sua nazione liberata da guerra e violenza, risorta dalle rovine.
Un esilio è paragonabile ad un albero privato delle radici. Una migrante come me / […] / non attecchisce da nessuna parte. / Senza patria / viene da ogni orizzonte, / portata dalle ali del vento.
Lontana dalla sua terra, la voce di Maram grida forte il proprio dissenso. I suoi versi diventano atti civili di resistenza al regime, richiesta di rispetto dei diritti umani. La sua poesia vola dalla Francia alla Siria, dall’Occidente all’Oriente: inno di giustizia e di libertà sia per i siriani che hanno deciso di restare sia per quelli che, in cammino per le strade del mondo, cercano pace e accoglienza.
Nel 2020 è stato tradotto in italiano dalla casa editrice Medinova il suo libro autobiografico “Le Rapt” con il titolo “La lontananza”.
Fonti, risorse bibliografiche, siti su Maram Al-Masri
Ugo Foscolo l’inquieto e la inattualità della rivoluzione-Articolo di Pierfranco Bruni saggista e antropologo-
Ugo Foscolo è Il Poeta che traccia il silenzio dei “Sepolcri” e la grecità di Zante nel canto sublime di un ulissismo dolorante. La rivoluzione e l’eresia.Ugo Foscolo- Un binomio che permette di leggere Ugo Foscolo tra il superamento della Ragione e la “rappresentazione” del rivoluzionario nella sua attualità. L’inquietudine dell’intellettuale moderno nell’eresia del rivoluzionario è un percorso fondamentale per comprendere l’agonia di un’epoca e la solitudine di un uomo.
Pierfranco Bruni
Articolo di Pierfranco Bruni -Il secolo che precede il decadentismo con alcuni autori assume una profonda visione tragica che anticipa il Novecento.
Ugo Foscolo e l’inattualità del rivoluzionario che recupera la tradizione. Un percorso che resta fondamentale in una età della ragione che in Foscolo ritrova la malinconia e il tempo tragico. Foscolo è la tradizione post medievale ma è anche il rivoluzionario che annuncia il romantico sentire la vita con la metafisica dell’anima. Infatti non si può prescindere da una osservazione che si apre alla modernità della letteratura attraverso il disegno della tradizione e della memoria: “L’arte non consiste nel rappresentare cose nuove, bensì nel rappresentare con novità”.
Ugo Foscolo. Il poeta che traccia il silenzio dei “Sepolcri” e la grecità di Zante nel canto sublime di un ulissismo dolorante. La rivoluzione e l’eresia. Un binomio che permette di leggere Ugo Foscolo tra il superamento della Ragione e la “rappresentazione” del rivoluzionario nella sua attualità. Ugo Foscolo. L’inquietudine dell’intellettuale moderno nell’eresia del rivoluzionario è un percorso fondamentale per comprende l’agonia di un’epoca e la solitudine di un uomo.
È uno dei temi centrali e riguarda anche il ruolo che ha svolto Foscolo a cominciare dall’ode “A Luigi Pallavicina” e all’ode “Bonaparte liberatore” passando attraverso “Dell’origine e dell’ufficio della letteratura” sino a toccare i suoi saggi su Petrarca, su Boccaccio, su Dante.
Ma è l’impegno del Foscolo che emerge dalle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” che diventa il fulcro intorno al quale ruota la visione post illuminista e prettamente romantica e risorgimentale oltre che rivoluzionaria nell’eresia. Su questi aspetti bisogna attentamente riflettere attraverso elementi filosofici, grazie ai quali si cerca di sottolineare come il Foscolo vada oltre l’Illuminismo e segna l’inizio di quella decadenza post rinascimentale sino a toccare l’estetica e l’inquietudine dannunziana.
Ugo FOSCOLO
Infatti il legame tra Foscolo e D’Annunzio è uno dei perni fondamentali. Così il suo raccordarsi costantemente con Dante: “Che Dante non amasse l’Italia, chi vorrà dirlo? Anch’ei fu costretto, come qualunque altro l’ha mai veracemente amata, o mai l’amerà, a flagellarla a sangue, e mostrarle tutta la sua nudità, sì che ne senta vergogna”. Così il suo itinerario intorno a Petrarca.
Petrarca viene vissuto come il poeta della lingua che rinnova in una modernità profonda: “Benché il Petrarca siasi studiato di ricoprire d’un bel velo la figura di Amore, che greci e romani poeti ebbero vaghezza di rappresentar nudo; questo velo è sì trasparente, che lascia tuttavia scernere le stesse forme. La distinzione ideale tra i due Amori derivò primamente dalle differenti cerimonie con cui gli antichi prestavano culto alla Venere Celeste, che presedeva a’ casti amori delle zittelle e delle maritate, ed alla Venere Terrestre, riconosciuta divinità tutelare delle galanterie delle donne più in voga a que’ tempi”.
La figura e l’opera di Ugo Foscolo, nato a Zante nel 1778 morto Turnham Green nel 1827 diventa il fulcro dell’inquieto decadentismo e dell’uomo completamente libero ed eretico che rompe gli schemi sia dell’Illuminismo che del Romanticismo e si intaglia nella modernità del cuore dell’uomo. Sull’inquieto della modernità si scava tra i testi di Foscolo ed emerge un Foscolo nostro contemporaneo, anticipatore della tragedia ‘nicciana’.
Un Ulisse in costante fuga e non in viaggio. Una fuga esistenziale, metafisica geografica. Ugo Foscolo è, infatti, un eretico rivoluzionario. Il dolore dell’inquietudine non è solo tra le sue pagine. È soprattutto nel sua vita di costante Ulisse in fuga che intreccia il senso e della tragedia e la tragedia della storia. La storia è nella lingua dei popoli.
Foscolo, come ebbe a dire De Sanctis, annuncia Leopardi. Lo dichiara sia sul piano delle realtà semantiche sia su un versante di una lingua considerata come vera metafisica di un vocabolario in il concetto di parola scava nel dimensione dei linguaggi: “Nel dare principio alla serie de’ discorsi intorno alla storia letteraria ed a’ poeti d’Italia, giudico cosa necessaria, quantunque forse non dilettevole, di premettere l’opinione mia su l’origine della poesia fra gli uomini.T utti i ragionamenti su la poesia in generale, e quindi tutti i giudizj intorno alle qualità ed ai gradi di merito di ogni poeta di tutte le età, e gl’infiniti canoni e teorie degli antichi retori e de’ moderni metafisici si sono sempre fondate su l’osservazione, «che l’uomo è animale essenzialmente imitatore, e l’origine della poesia manifestamente ed unicamente ritrovasi nella naturale tendenza che l’uomo ha di riprodurre ogni cosa per mezzo d’imitazioni.» Da questa osservazione, che realmente trovasi in Aristotile, sgorgò la conseguenza che gli fu attribuita, e commentata in mille volumi, «che la poesia non è che imitazione della natura, e che i poeti eccellenti sono soltanto quelli da’ quali la natura è fedelmente imitata.»”.
Ciò porta il viaggio foscoliano verso una eredità che è fortemente dentro la visione della filosofia dei linguaggi. Odi e Sonetti sono il sublime. I Sepolcri sono la memoria e l’attraversamento del senso di morte che resta nel presente. Jacopo Ortis è il personaggio del tragico nella melanconia.
Ugo FOSCOLO
Eliot nei suoi “Quattro quartetti” recita: “Noi moriamo con quelli che muoiono:/ecco, essi partono e noi andiamo con loro./Noi nasciamo con i morti:/ecco, essi tornano e ci portano con loro”. In Eliot vive Foscolo oltre Dante e il viaggio nel regno delle “stelle”. Perché Eliot è tempo e morte, come nel righello paudiano del viaggio: “Pentimenti sul passato, noja del presente, e timor del futuro; ecco la vita. La sola morte, a cui è commesso il sacro cangiamento delle cose, promette pace”.
Qui Ortis è necessità ma anche virtù. In Eliot e Foscolo è centrale il concetto virgiliano: “Stat sua cuique dies”. Come si vive attraversando l’Ecclesiaste. Ma è Leopardi che non smette di spingere Foscolo verso Eliot e in Eliot non c’è il Dante dell’esilio ma della perdita dell’esilio in profumo di pellegrinaggio. Il Leopardi di “Due cose belle ha il mondo: amore e morte”, ovvero di “Consalvo”. Il Leopardi annunciato da Foscolo è qui: “È purtroppo destino ineluttabile che il tempo distrugga ogni cosa nel suo fluire perenne”.
La metafisica dell’illusione si legge nella metafisica della nostalgia. In Foscolo è il nostos una “malattia” dell’anima che sanguina nei versi dedicati al fretello e nel suo guardare lo sguardo di Teresa che non ha però gli occhi di Beatrice, mentre la morte “incespica” nel ricordare.
Il ricordare è il viatico più potente di ogni destino. Ricordare è destino. Dimenticare è destino. Foscolo sa che il ricordare è l’ontologia che allontana ogni finzione. Il tragico si fa più scavante nella memoria e la morte diventa il vissuto nella vita che si cioncede al presente. Siamo Sepolcri che non smettiamo di avere sguardi. Le parole non possono essere cedute alla voce, ma agli occhi.
Il mio Foscolo è il “vizio” che mi “trascina” a Pavese. Dove l’oltre è soltanto il “gorgo muto”. Come Pavese, Foscolo resta l’inattuale di un contemporaneo che aveva ben compreso la malattia della modernità.
Tragico e inquieto diventano un “sapere dell’anima”. Foscolo era già dentro questo ironico e tragico esilio.
Pierfranco Bruni
Pierfranco Bruni è nato in Calabria.
Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, presidente del Centro Studi “Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.
Nel 2024 Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.
Per il Ministero della Cultura è attualmente:
presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;
Sopra le coltri elefantine delle aiuole
un cactus gotico fiorisce in teschi regali
e nelle cavità di malinconici organi,
nei metallici grappoli cannosi,
marciscono antiche melodie.
Palle di cannone, semi di guerra
ha disperso il vento.
Sopra ogni cosa svetta la notte,
e nel bosso di cupole sempre verdi
lo sventato imperatore in punta di piedi se ne va
ai giardini magici delle sue stòrte,
e nella bonaccia delle rosee serate
tintinna un fogliame vetroso,
che le dita degli alchimisti toccano
come vento.
Accecano i telescopi per orrore del cosmo;
e i fantastici occhi degli stellonauti
se li è bevuti la morte.
e intanto la luna ha deposto uova nelle nubi,
stelle nuove sono sgusciate a frotte come uccelli
che migrano da terre nericce
canticchiando la canzone dei destini umani,
ma nessuno c’è che li possa intendere.
Ascoltate le fanfare del silenzio,
su tappeti logori come sindoni di secoli
ci incamminiamo verso l’invisibile futuro
e Sua maestà la polvere
si adagia lieve sul trono vuoto.
Da: Vestita di luce, a cura di Sergio Corduas, Einaudi, Torino 1986, p. 23
Vi sono città che sembrano fatte per la poesia. Una di queste certamente è Praga. Fu uno dei centri artistici principali dell’epoca barocca, poi della mitteleuropa (oltre a Franz Kafka vi era nato qui anche Rainer Maria Rilke nel 1875). Nel 1918 divenne capitale della Cecoslovacchia. Allora Jaroslav Seifert aveva diciassette anni (era nato a Žižkov, un sobborgo operaio di Praga). A quel tempo aiutava il padre al suo negozio di quadri, unica fonte di sostentamento della famiglia, che però chiuse i battenti nel corso della guerra per via delle dure condizioni di vita imposte dal conflitto bellico. Si diplomò come privatista nel 1919 e già allora simpatizzava per la Rivoluzione Russa e per la causa del comunismo. Quell’anno cominciò a pubblicare su riviste e nel ’21 pubblicò la sua prima raccolta di poesia, La città in lacrime. Nello stesso anno si iscrisse al Partito comunista e cominciò a lavorare per la stampa di partito (scriveva sul quotidiano «Rude pravo», collaborava con la casa editrice di partito e fece parte della redazione di alcune riviste letterarie). Conobbe in questi anni František Halas, il quale si era da qualche anno trasferito da Brno. Anche quest’ultimo simpatizzava con la causa del comunismo, frequentava gli stessi ambienti di Seifert e pubblicò sulle riviste in cui quest’ultimo lavorava. Tra i due poeti nacque un’amicizia fraterna. Seifert fu tra i fondatori del gruppo di poeti e artisti del movimento Devětsil, fondato a Praga nel 1920 e attorno a cui si erano raccolti critici e poeti di primo piano (in seno a questo gruppo nacque nel 1924 il poetismo, un movimento artistico e poetico di fondamentale importanza nel ‘900 ceco e non solo, che propugnò e attuò un impetuoso rinnovamento nella scena letteraria sotto il segno delle avanguardie letterarie europee). Figura di primo piano di questo raggruppamento fu il critico Karel Teige, col quale nel 1924 Seifert fece un memorabile viaggio in Italia proprio nel momento in cui il fascismo stava prendendo il potere. Nel 1925 fu in Unione Sovietica e l’anno successivo pubblicò la raccolta L’usignolo canta male, nella quale si avverte il passaggio da una prima fase influenzata dalla poesia proletaria a una fase più matura sotto il segno delle avanguardie europee (surrealismo, dadaismo). Notevole e profetica per quanto riguarda i futuri destini dell’Europa è la poesia dal tono espressionista Il vecchio campo di battaglia (“Il sole gira l’ombra alle cose,/ la terra è incinta di morti./ Già si spacca, andiamo e balliamo/ in tondo!// È notte, è mattino e fra le nebbie fa giorno,/ avvolti in brandelli tutti dormono./ È il mantello di Arlecchino, la terra,/ una scacchiera sfondata,/ è l’Europa”). Nel 1929 Seifert firma un manifesto contro l’affermazione della linea stalinista all’interno del Partito Comunista cecoslovacco e per questo ne venne espulso. Proprio in quell’anno pubblicò la raccolta di poesia Il piccione viaggiatore nella quale compare la citata poesia dedicata alla sua città natale. L’allontanamento dal partito fu una svolta importante nella sua biografia intellettuale e artistica. A partire da questo momento guardò l’Unione Sovietica e la causa del comunismo mondiale in modo sempre più scettico e critico. Anche dal punto di vista formale le sue poesie cambiarono: si passò da forme metriche irregolari o assenti a metri più regolari e tradizionali mentre dal punto di vista stilistico il poeta gradualmente passò a un tono più intimista e lirico. Il soggetto della sua poesia a cui rimase fedele per tutta la sua vita, fu proprio Praga, città nella quale i suoi ricordi d’infanzia si intrecciano con i riferimenti al mito di una città nella quale l’arte e la storia avevano lasciato tracce indelebili. Con lo smembramento della Cecoslovacchia del ’39 e l’occupazione di Praga da parte delle truppe naziste prevalsero nella sua poesia gli accenti di indignazione civile. Nel 1948 si espresse chiaramente contro la “sovietizzazione” del suo paese (per questo fino al 1956 fu costretto al silenzio). Nel 1968, a seguito della sua posizione fortemente critica nei confronti dell’invasione sovietica del suo paese, fu di nuovo ridotto al silenzio (anche se le sue poesie circolavano sotto forma di samizdat). Il premio Nobel assegnato nel 1984 (due anni prima della sua morte) non giovò molto alla sua fama a livello mondiale. Forse proprio perché per tutta la sua vita rimase così fedele alla sua amata città.
Mario Vargas LLosa -Avventure della ragazza cattiva-
-Traduttore Glauco Felici-Einaudi Editore-
Mario Vergas LLosa Una vita trasformata in un inferno. Ma un inferno in cui c’è tutto: passione, gioia, amicizia, follia, disperazione, sesso, delirio.Nel 1950 il giovane Ricardo scopre di essere innamorato di una ragazza cattiva, una niña mala che lo fa impazzire con il suo charme ma gli dice sempre di no. Quando le loro strade si separano, Ricardo si trasferisce a Parigi. Ma anche qui la niña mala riappare, in una nuova versione: una militante del Mir in partenza per Cuba, dove verrà addestrata alla guerriglia. Da allora, nella vita di Ricardo, si alternano il lavoro di interprete e i tormenti che la ragazza cattiva gli infligge, in un crescendo che porterà il protagonista ad affrontare il suo vero sogno: scrivere. Un ritratto palpitante del mondo europeo e latinoamericano, dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, un’ispirata rievocazione condotta senza nostalgie ma con lucida intensità, sostenuta da una scrittura che si fa sempre piú limpida e rarefatta. Con protagonisti ed eventi reali e altri di fantasia, che insieme congiurano a creare l’affresco illuminante di un’intera stagione.
Dettagli
Autore:Mario Vargas LLosa
Traduttore:Glauco Felici
Editore:Einaudi
Collana:Super ET
Anno edizione e in commercio dal:27 gennaio 2014
Pagine:362 p.
EAN:9788806219390
Opere
Dopo una prima raccolta di racconti, Los jefes (1959), acquistò fama con il già citato La ciudad y los perros, raffigurazione crudamente realistica (in parte autobiografica) della vita nel collegio militare di Lima. Seguirono: La casa verde, romanzo di grande complessità strutturale ambientato in un postribolo della provincia peruviana; Los cachorros (1967; trad. it. 1978); Conversación en la catedral (1969; trad. it. 1971). Registri narrativi più ariosi e meno crudi e una sottesa interrogazione sulla scrittura e i rapporti tra realtà e finzione caratterizzano i successivi romanzi, in cui l’erotismo è spesso uno dei motivi dominanti: oltre a Pantaleón y las visitadoras, La tía Julia y el escribidor e El paraíso en la otra esquina, La guerra del fin del mundo (1981; trad. it. 1983); Historia de Mayta (1984; trad. it. 1985); ¿Quién mató a Palomino Molero? (1986; trad. it. 1987); El hablador (1987; trad. it. 1989); Elogio de la madrasta (1988; trad. it. 1990); Lituma en los Andes (1993; trad. it. 1995); Los cuadernos de don Rigoberto (1997; trad. it. 1997); La fiesta del Chivo (2000; trad. it. 2001); Travesuras de la niña mala (2006; trad. it. 2006), El sueño del celta (2010, trad. it. 2011). Ha scritto, inoltre, Diálogo de damas (2007), raccolta di componimenti poetici ispirati alle sculture di Manolo Valdés nell’aeroporto Barajas di Madrid. Notevole è anche la sua produzione di testi teatrali (La chunga, 1986, trad. it. 1987; El loco de los balcones, 1993; Ojos bonitos, cuadros feos,1996; Odiseo y Penélope, 2007; Al pie del Támesis, 2008) e di saggi (García Márquez: historia de un deicidio, 1971; La orgía perpetua: Flaubert y “Madama Bovary”, 1975, trad. it. 1986; Contra viento y marea, 1983; La utopía arcaica. José María Arguedas y las ficciones del indigenismo, 1996; Cartas a un joven novelista, 1997; El lenguaje de la pasión, 2001; Diario de Irak, 2003; La tentación de lo imposible, 2004; El viaje a la ficción, 2008). Nel 2009 è stata tradotta in italiano la raccolta di articoli Israel/Palestina. Paz o guerra santa (2006), in cui lo scrittore ripercorre non senza dubbi e contraddizioni le fasi cruciali della crisi mediorientale. Nel 2012 è uscito il suo primo testo dopo l’assegnazione del Nobel, il saggio La civilización del espectáculo (trad. it. 2013), in cui lo scrittore affronta il tema della difficoltà di elaborare modelli artistici e letterari creativi in un presente dominato dalla superficialità delle tecnologie di massa; del 2012 è anche la pubblicazione della monumentale opera in tre volumi Piedra de toque, che raccoglie gli articoli apparsi dal 1962 al 2012 su riviste e quotidiani latinoamericani. Tra le opere successive occorre citare i romanzi El héroe discreto (2013; trad. it. 2013) e Cinco esquinas (trad. it. Crocevia, 2016), thriller erotico-politico ambientato nel Perù degli anni di Fujimori. Nel febbraio 2017 è stato pubblicato in Italia a cura di B. Arpaia il volume Romanzi, primo della raccolta integrale della sua opera narrativa, cui hanno fatto seguito il saggio La llamada de la tribu (2018; trad. it. 2019) e il romanzo Tiempos recios (2019; trad. it. 2020), ambientato nel tormentato Guatemala degli anni Cinquanta. Della sua produzione più recente si citano anche: Encuentros con Mario Vargas Llosa (con J. Cruz Ruiz, 2017; trad. it. Davanti allo specchio. Conversazioni con Juan Cruz Ruiz, 2023); Medio siglo con Borges (2020; trad. it. 2022); La mirada quieta (de Pérez Galdós) (2022); Un bárbaro en París. Textos sobre la cultura francesa (2023); Le dedico mi silenzio (2023; trad. it. 2024). Nel 2025 è stato tradotto in Italia il saggio La orgía perpetua. Flaubert y Madame Bovary (1975), dedicato all’opera dello scrittore francese e, più in generale, alla passione per la narrativa.
Mario Vargas LiosaMario Vargas LiosaMario Vargas LiosaMario Vargas Liosa
Alessandro Moriconi – MATEMATICA E POESIA – Dalle addizioni all’identità di Eulero
Editore: Gruppo Albatros Il Filo
Descrizione del libro-Matematica e poesia sono due discipline apparentemente molto distanti ma che, a ben guardare, si nutrono delle stesse passioni: la sintesi a cui l’una è costretta e a cui sempre l’altra si appella, le regole alle quali la prima è per definizione sottoposta e a cui la seconda piace costringersi, ma anche le emozioni che generano in chi le frequenta da attore o da spettatore, e l’ambizione di rappresentare la realtà nella consapevolezza che non viene loro richiesto di essere vere. È l’idea di contaminazione tra due discipline dal volto così diverso che ha guidato Alessandro Moriconi nella composizione di questa raccolta di sonetti in romanesco che, celebrando il matrimonio tra matematica e poesia, rivisitano molti concetti della scienza dei numeri con l’efficacia del dialetto della Città Eterna. Un progetto audace quanto naturale, nato dal desiderio di un matematico-poeta di sottolineare quanto sia fantastica la razionalità della matematica e razionale la fantasia della poesia. Un libro da gustare con il cuore e con la mente.
Editore Gruppo Albatros Il Filo
Collana Nuove voci I saggi
Recensione
Alessandro Moriconi – MATEMATICA E POESIA
-Fonte –OnlineNew
Premessa. Odio la matematica, mi annoia la poesia. L’accostamento tra i due elementi? Curioso, un gioco intellettuale. Per carattere e mestiere non rifiuto a priori alcuna esperienza. E apro una parentesi personale. Stavo curiosando tra i libri della libreria che ho scelto di frequentare da anni, quando con la coda dell’occhio colgo l’avvicinarsi di una persona con un libro in mano. Ho la mente allenata, fotografa la copertina e contemporaneamente la rivedo assieme ad altre, tutte uguali, esposte in un corner. E’ tutto chiaro, il signore in questione è l’autore in persona. Mi vuole presentare il suo lavoro. Lo ascolto con educazione, poi lo anticipo e mi presento. L’argomento del libro in questa fase è prematuro, mi interessa l’approccio. E’ un gesto di coraggio, va recepito in modo positivo. Mi è già capitato. Sono già pronto a prescindere a prendere in carico l’opera e a sfidarne l’autore: se mi convince lo recensisco sul mio giornale. Nessuna valutazione preconcetta.E l’ opera “Matematica e Poesia” di Alessandro Moriconi, sicuramente originale, non è di mio interesse. Come ho già detto non mi fanno fremere i due elementi separati, l’accostamento voluto o fortuito mi lascia indifferente. Ma Moriconi non è un aspirante scrittore, è un matematico dell’Istituto di ingegneria del mare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Inm) e divulgatore scientifico. E questo accende il mio interesse. Scopriamo anche di avere conoscenze comuni. Ma non mi chiedete di leggere i sessanta “Sonetti matematici” contenute nel libro. Mi spiega che il libro è una raccolta di 60 sonetti in dialetto romanesco che trattano altrettanti argomenti matematici, ognuno dei quali è anticipato da un disegno e da un’introduzione tecnico-storica, che facilita la comprensione dei versi. Le regole usate sono quelle dettate dalla grammatica stilata dall’Accademia Romanesca, aggiunge (arabo per me), che sostanzialmente si ispira alla poesia del Trilussa. Onore al merito, all’impegno, alla fantasia. Lo scrittore è più interessante del libro. E probabilmente proprio per questo il libro va letto e tenuto su uno scaffale della libreria nello studio. Qualcuno lo noterà e lo sfoglierà incuriosito. Un bel successo. Moriconi è un matematico, dicevo, e da 35 anni svolge l’attività di divulgazione scientifica. Ma la passione per le discipline umanistiche lo porta a contaminazioni con altri mondi, a teatro e poesia. Il passo per approdare ai sonetti in romanesco è breve, ma il tentativo di avvicinare i due elementi di cui si parla resta forzato. Più interessante è quello che si può definire un “retrogusto” culturale. Lo scoprire che matematica e poesia hanno cose in comune, la sintesi, le regole, in qualche modo le emozioni (dal rabbioso rifiuto al piacere intellettuale), una concreta astrazione. Si può raccontare la matematica in versi ( in dialetto per di più)? Secondo l’autore è lecito e possibile Gli argomenti matematici trattati spaziano dalle semplici addizioni a concetti più complessi di geometria, di analisi matematica, di insiemistica o di statistica, senza dimenticare temi imprescindibili come ad esempio la filosofia che ha accompagnato per secoli i cosiddetti solidi Platonici. E non mancano alcuni elementi di logica matematica che avvicinano il lettore al concetto di paradosso, uno dei princìpi cardine del lavoro svolto dal più grande logico del Novecento Kurt Gödel. Scoprire la razionalità della matematica attraverso la comunicatività della poesia, è possibile. Provare per credere
Oggi ricorrere anche l’anniversario della scomparsa di un altro grande poeta del ‘900.
Attilio Bertolucci-Poeta italiano (San Lazzaro, Parma, 1911 – e morto a Roma il 14 giugno 2000). Allievo di R. Longhi, le sue opere poetiche (Sirio, 1929; Capanna indiana, 1951; Viaggio d’inverno, 1971) sono il risultato di una felice contaminazione tra eredità ermetica e capacità di tradurre ogni astratta eleganza in un discorso poetico naturale. Tra le sue opere principali occorre segnalare anche il romanzo in versi La camera da letto (I, 1984; II, 1988).
Attilio Bertolucci
Vita e opere
Ha insegnato storia dell’arte e poi ha svolto una intensa attività pubblicistica e di consulente editoriale. Ha diretto Nuovi argomenti. La sua produzione poetica è quasi tutta compresa nei due libri Capanna indiana e Viaggio d’inverno, pure preceduti da un esordio dall’accento inconfondibile come Sirio. L’elemento elegiaco ritorna nel già citato romanzo in versi La camera da letto: frutto di una lunga elaborazione, questo “romanzo famigliare” in versi è stato uno degli esiti più significativi della ricerca letteraria di Bertolucci. Il libro, svolgendo in forma poetica una materia squisitamente narrativa (la storia della famiglia B. e delle sue origini appenninico-padane), conferma non solo la sostanziale estraneità di B. alla tradizione della lirica pura, ma anche l’assoluta rilevanza del suo autonomo percorso nel panorama della poesia novecentesca. Dopo aver raccolto la sua produzione in un volume (Le poesie, 1990; 2ª ed. ampliata 1998), B. ha pubblicato, riunendo testi recenti e liriche di antica data, due nuovi libri di poesia, Verso le sorgenti del Cinghio (1993) e La lucertola di Casarola (1997), dai titoli suggestivamente evocativi di luoghi e paesaggi dell’infanzia. Non meno significativi, a illuminare la figura umana e intellettuale di B., altri volumi pubblicati nel corso degli anni Novanta: la raccolta di scritti saggistici Aritmie (1991); il carteggio con V. Sereni, Una lunga amicizia: lettere 1938-1982 (a cura di G. Palli Baroni, 1994); e All’improvviso ricordando (1997), un libro di “conversazioni” con P. Lagazzi. A cura dello stesso Lagazzi e di G. Palli Baroni è quindi apparso un volume di Opere (1997), comprendente poesie, traduzioni e saggi. La raccolta saggistica Ho rubato due versi a Baudelaire: prose e divagazioni (a cura di G. Palli Baroni, 2000), è apparsa poco prima della sua morte, mentre sono state pubblicate postume la raccolta di scritti La consolazione della pittura. Scritti sull’arte (a cura di S. Trasi, 2011), compiuta attestazione di un’apertura intellettuale scevra da ogni provincialismo, e l’antologia di testi e versi inediti Il fuoco e la cenere. Versi e prose dal tempo perduto (2014).
Fonte- Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani –
Attilio Bertolucci
Attilio Bertolucci
18 Novembre 1911 – 14 Giugno 2000
Oggi ricorrere anche l’anniversario della scomparsa di un altro grande poeta del ‘900.
Uccelli di passo
****
Le belle giornate se ne vanno rapide,
viene l’autunno.
Ma di questa dolcezza che riempie
l’aria del mezzogiorno ventilata
sull’ultimo sudore del volto,
di questo riposo dell’anno
ti ricorderai
e del suo quieto affanno?
Oh, fuggir via quando nel rosa eterno
della sera imminente
s’allontanano uccelli di passo
e portano sulle ali cangianti
l’estrema luce del giorno,
oh, fuggire ai paesi distanti
dove quiete finestre si chiudono
sui relitti del cielo.
****
La rosa bianca
Coglierò per te
l’ultima rosa del giardino,
la rosa bianca che fiorisce
nelle prime nebbie.
Le avide api l’hanno visitata
sino a ieri,
ma è ancora così dolce
che fa tremare.
E’ un ritratto di te a trent’anni,
un po’ smemorata, come tu sarai allora.
Attilio Bertolucci
Vento
Come un lupo è il vento
che cala dai monti al piano
corica nei campi il grano
ovunque passa è sgomento.
Fischia nei mattini chiari
illuminando case e orizzonti
sconvolge l’acqua nelle fonti
caccia gli uomini ai ripari.
Poi, stanco s’addormenta e uno stupore
prende le cose, come dopo l’amore.
Neve
Come pesa la neve su questi rami
come pesano gli anni sulle spalle che ami.
L’inverno è la stagione più cara,
nelle sue luci mi sei venuta incontro
da un sonno pomeridiano, un’amara
ciocca di capelli sugli occhi.
Gli anni della giovinezza sono anni lontani.
****
Le belle giornate se ne vanno rapide,
viene l’autunno.
Ma di questa dolcezza che riempie
l’aria del mezzogiorno ventilata
sull’ultimo sudore del volto,
di questo riposo dell’anno
ti ricorderai
e del suo quieto affanno?
Oh, fuggir via quando nel rosa eterno
della sera imminente
s’allontanano uccelli di passo
e portano sulle ali cangianti
l’estrema luce del giorno,
oh, fuggire ai paesi distanti
dove quiete finestre si chiudono
sui relitti del cielo.
****
Attilio Bertolucci
Assenza,
più acuta presenza.
Vago pensiero di te
vaghi ricordi
turbano l’ora calma
e il dolce sole.
Dolente il petto
ti porta,
come una pietra
“Ottobre”
Sporge dal muro di un giardino
La chioma gialla di un albero.
Ogni tanto lascia cadere una foglia
Sul marciapiede grigio e bagnato.
Estasi, un sole bianco fra le nubi
Appare, caldo e lontano, come un santo.
Muto è il giorno, muta sarà la notte
Simile ad un pesce nell’acqua.
leggera.
Nessuno:
Io sono solo Il fiume è grande e canta Chi c’è di là? Pesto gramigne bruciacchiate.
Tutte le ore sono uguali Per chi cammina Senza perché Presso l’acqua che canta.
Non una barca Solca i flutti grigi Che come giganti placati Passano davanti ai miei occhi Cantando. Nessuno.
Settembre
Chiaro cielo di settembre
illuminato e paziente
sugli alberi frondosi
sulle tegole rosse
fresca erba
su cui volano farfalle
come i pensieri d’amore
nei tuoi occhi
giorno che scorri
senza nostalgie
canoro giorno di settembre
che ti specchi nel mio calmo cuore.
Attilio Bertolucci
Gli anni
Le mattine dei nostri anni perduti,
i tavolini nell’ombra soleggiata dell’autunno,
i compagni che andavano e tornavano, i compagni
che non tornarono più, ho pensato ad essi lietamente.
Perchè questo giorno di settembre splende
così incantevole nelle vetrine in ore
simili a quelle d’allora, quelle d’allora
scorrono ormai in un pacifico tempo,
la folla è uguale sui marciapiedi dorati,
solo il grigio e il lilla
si mutano in verde e rosso per la moda,
il passo è quello lent Convalescente
Ancora vita il tuo dolce rumore
dopo giorni bui e muti riprende.
Porta il vento di maggio l’odore
del fieno, il cielo immobile splende.
Gli occhi stanchi colpisce di lontano
il rosso papavero in mezzo al tenero grano
o e gaio della provincia.
Attilio Bertolucci Poesie Fuochi in Novembre –
Sei stata la mia compagna di scuola
Sei stata mia compagna di scuola
ma hai un anno meno di me
abbiamo un bambino che va a scuola mi
sono innamorato di te…
Fingerò d’essere una tua scolara
che s’è innamorata di te
mi sono fatta una frangetta
per cenare fuori con te…
Cerchiamo una locanda piccina
nella città ma non c’è
inventiamola affacciata sul fiume
che allevò me e te…
Di acqua nel fiume che è nostro
ce n’è e non ce n’è…
Inventerò un nuovo mese
ricco d’acqua per te…
Che si rifletta in me
nei miei occhi
china dalla veranda inverdita
sull’acqua che somiglia la vita
rubandomi e restituendomi a te
Agosto, anno imprecisato
Sereno d’autunno
Non ricordavo un ottobre
così a lungo sereno,
la terra arata
pronta per la semina,
spartita da viti rossastre
molli come ghirlande.
Attilio Bertolucci
L’AMORE CONIUGALE
Ma se la pioggia cade
la camera s’oscura…
L’amore ancora dura
che le gocce più rade
la finestra più chiara
i tuoi occhi più neri
e oggi come ieri
come domani. Amara
sui tetti umidi brilla
la giornata nel sole
che si volge sulle viole
risorte stilla a stilla.
Questa lirica è tratta dalla sua raccolta “In un tempo incerto” pubblicata nel 1955 da Garzanti; ora in: Attilio Bertolucci, “Opere” a cura di Paolo Lagazzi, Mondadori 1997. Strofa unica di12 versi, 11 settenari e il penultimo ottonario. Perfetta la disposizione delle rime, incrociate: abba, cddc, effe.
“L’amore coniugale” è anche la raccolta di lettere che si sono scambiati il poeta Bertolucci e la moglie Ninetta, quando lei studiava lettere all’ università di Bologna e il poeta era a Parma. Il loro è stato un amore grandissimo, a cui il poeta fa riferimento in questi versi. La pioggia cade portando via il sole, è la bellissima metafora di un litigio, una incomprensione che ha generato il pianto dell’ amata “la pioggia cade la camera s’oscura”. Il chiarimento fa diradare le gocce/ lacrime di pioggia e ritorna la luce nella stanza, nulla ha oscurato l’amore che li lega, che durerà per sempre. La nuvola “amara” ha lasciato uno strato umido sui tetti, che stranamente “brilla” illuminato dal sole e le viole traggono beneficio, per la loro sete, dalla gocce che scendono dal tetto “stilla a stilla” sulle loro corolle. L’ amore vero resiste alla distanza, alle incomprensioni e alle intrusioni di terzi. Delicato e tenero il poeta, nel trasformare “un’ombra” in luce e colore . . . sole/ viole.
Vincenza Cerbone
Bruciano della gramigna nei campi,
un’allegra fiamma suscitano
e un fumo brontolone.
La bianca nebbia si rifugia
fra le gaggie,
ma il fumo lento si avvicina
non la lascia stare.
I ragazzi corrono corrono
al fuoco
con le mani nelle mani,
smemorati,
come se avessero bevuto
del vino.
Per lungo tempo si ricorderanno
con gioia
dei fuochi accesi in novembre
al limitare del campo.
Gustavo Zagrebelsky- Il diritto mite – Legge diritti giustizia-
Piccola Biblioteca Einaudi
DESCRIZIONE-Gustavo Zagrebelsky-Questa è la tesi: chi maneggia il diritto sa che ciò che è davvero fondamentale sta non nella Babele dei codici, delle leggi, dei regolamenti, ma nelle concezioni della giustizia, in cui il diritto è immerso. I giuristi consapevoli della funzione sociale del diritto non possono ignorare queste radici complicate della loro professione. Il «diritto mite» è una proposta di apertura culturale indirizzata a loro. Ripercorrendo la storia europea fino allo Stato costituzionale di oggi, il libro mostra come le norme di diritto non possano più essere espressione di interessi di parte né formule imposte e subite. L’autorità della legge, infatti, come mostrano tanti esempi in materie che toccano la vita di tutti, entra in contatto con i casi della vita, illuminati dai principî di libertà e di giustizia. L’applicazione della legge da parte dei giudici è oggi ben altro compito che quello di semplici «bocche della legge».
Gustavo ZagrebelskyGustavo Zagrebelsky
BIOGRAFIA del Prof.Gustavo Zagrebelsky-Nato a San Germano Chisone (To) il 1° giugno 1943. Laureato a Torino, Facoltà di Giurisprudenza, nel 1966, in diritto costituzionale, col professor Leopoldo Elia.
Collabora con alcuni dei più importanti quotidiani italiani (La Repubblica, La Stampa) ed è socio corrispondente dell’Accademia nazionale dei Lincei e socio nazionale dell’Accademia delle Scienze di Torino. Nel suo pensiero giuridico è rintracciabile una visione dualistica del diritto, diviso in lex e ius, concetti riconducibili ai lati formale e sostanziale del diritto[senza fonte]. Zagrebelsky afferma l’importanza della duplicità degli aspetti del diritto, evidenziando il pericolo derivante dall’acriticità di un diritto solo formale o solo sostanziale. Una visione dualistica che nello Stato attuale a suo avviso si è persa, a favore di un nichilismo giuridico.[7]
È autore di una pluriennale opera di analisi e di riproposizione di alcuni autori classici del pensiero giuridico novecentesco, come Piero Calamandrei, Costantino Mortati e Rudolf Smend.
Negli ultimi anni è ripetutamente intervenuto nel dibattito pubblico italiano, avversando le posizioni politiche e culturali dei cosiddetti atei devoti e in particolare sulla laicità dello Stato[non chiaro] e lo spirito concordatario: molti di questi saggi sono raccolti nel volume Contro l’etica della verità, pubblicato dall’editore Laterza.
Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, Torino, UTET, 1984.
Manuale di diritto costituzionale, vol. I, Le fonti del diritto, Torino, UTET, 1987.
La giustizia costituzionale, Bologna, Il Mulino, 1988.
Società, stato, costituzione: lezioni di dottrina dello stato degli anni acc. 1986-1987 e 1987-1988, a cura di Nicolò Zanon, Torino, Giappichelli, 1988.
Professore di diritto costituzionale e diritto costituzionale comparato alla Facoltà di Giurisprudenza e alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Sassari dal 1969 a 1975.
Professore di diritto costituzionale comparato alla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Torino dal 1975.
Professore di diritto costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dal 1980 al 1995.
Francesco Attardi – Lorenzo Casati, Ottorino Respighi. Un iceberg sinfonico-
Articolo di Antonio Castronuovo-Ottorino Respighi-Un iceberg sinfonico-Appassionato melomane, ho sempre voluto capire sul piano storico ed estetico quel che ascolto, e sono convinto che la Grande Musica, quella che dai vagiti medievali all’inoltrato Novecento erroneamente chiamiamo Classica – perché appunto non della sola classica si tratta, quella degli Haydn, Mozart e Beethoven – non si possa intendere senza conoscere la storia delle epoche in cui sgorgò, delle vite di chi la compose, della società che la portava in pubblico mediante allestimenti e interpretazioni.
Ottorino Respighi. Un iceberg sinfonico
Ne discende che bisogna leggere tanto, e non sempre soffrendo, come appunto mi è accaduto con un volume della stazza di un dizionario: Ottorino Respighi. Un iceberg sinfonico. Mille pagine dedicate a un compositore che più trascurato non si può, il Respighi nato nel 1879 nella Bologna dotta e grassa e scomparso a Roma nel 1936, capace di produrre nella sua pur breve vita un’opera di prodigiosa ampiezza e – come il volume dimostra – anche di sorprendente qualità e valore. Fu infatti, come il volume afferma, un «Mozart del Novecento», per musicalità, bellezza e solarità, qualità che lo rendono ben degno – come oggi si dice con indisponente terminologia – di riscoperta e rivalutazione. Diciamo che noi italiani dobbiamo proprio scoprirlo e valutarlo ex novo, non altri, visto che negli Stati Uniti Respighi ottenne in vita larga considerazione.
Il grosso lavoro saggistico è guidato da un preciso programma, che è poi anche una realtà inequivocabile: «La musica italiana, quella ‘vera’ per i pubblici di tutto il mondo – a parte il nostro Rinascimento e Barocco venerato dai cultori – è stata ed è rimasta quella operistica. Solo Respighi è riuscito ad infrangere ‘the glassceilinig’, il soffitto di cristallo e i pregiudizi che identificavano l’Italia come il regno esclusivo del melodramma. E a tutt’oggi egli resta l’unico sinfonista italiano conosciuto ed eseguito con grande successo all’estero, un ‘brand’ di italianità che suscita sempre stima e ammirazione» (p. 40).
Ottorino Respighi
Leggo questa appropriata osservazione nella prima sezione del volume, detta Ouverture. Ci attenderemmo che un’opera di analisi e ricerca come questa debba avvalersi di una introduzione storico-biografica robusta e di coerente struttura rettilinea, dall’inizio alla fine, dalle fondamenti generali alle conseguenze particolari. E invece Attardi – che la firma – ha compiuto un’operazione che all’inizio disorienta: un collage di frammenti che spaziano dalla biografia alla collocazione storica di Respighi, dai rapporti con gli altri pianeti della musica primo-novecentesca ai caratteri della critica sul compositore, senza un ordine apparente. Una sezione ampia e di lusingante lettura, come accade per le migliori prove di letteratura analogica. E non dico ‘letteratura’ a caso: Attardi sarà anche uomo di musica pratica (dirige orchestre e cura la pubblicazione di musiche del Novecento) ma sa scrivere, e saper scrivere non significa solo evitare i pataracchi sintattico-grammaticali cui la sciatteria del nuovo secolo ci sta abituando, significa anche rendere intrigante – e dunque incuriosente per il lettore – le pagine che si affidano alla stampa: non è da tutti.
Il volume in sé, il vasto lavoro musicologico compiuto dagli autori, consta di trentasei capitoli che analizzano le opere sinfoniche di Respighi, un settore della sua produzione di cui – mediante i ‘soliti’ poemi sinfonici Fontane, Pini e Feste di Roma, cui forse qualche raro ascoltatore aggrega Vetrate di chiesa e Trittico botticelliano – conosciamo solo la punta di un iceberg compositivo: una «montagna sommersa di cui vediamo solo la vetta», sbotta il libro. Perché appunto «lo studio delle partiture respighiane rivela a tutt’oggi tesori nascosti che farebbero la gioia dei pubblici e delle orchestre di tutto il mondo».
In musicologia, gli studi sono realizzati quasi sempre mediante pagine specialistiche faticose, anche noiose: la scienza si adagia perlopiù in saggi accademici, che servono al progresso degli studi e delle conoscenze ‘scientifiche’, fondate sull’omonimo metodo di analisi rigorosa e logico-razionale di dati verificabili e annunciati «in nota»: ogni affermazione è credibile se ha un riferimento, più o meno autorevole, in una rete infinita di saggi che rimandano dall’uno all’altro. Il metodo è sommamente utile, ma perseguirlo implica quasi sempre la bassa leggibilità e il mesto destino di archiviazione nelle biblioteche specialistiche. Ma ho detto appunto «perlopiù», non tutta la musicologia è così, e qui accade il miracolo: questo Respighi si legge gradevolmente.
Vi concorre il prodigo scialo di spazio che l’edizione ci dona, margini ariosi e larga interlinea (scelta d’impaginazione che di rado corre nelle pubblicazioni), ma agisce qualcosa di più rilevante: tutto è reso in maniera tale da attirare, non respingere. Il segreto? Una scrittura non ampollosa, elegante, luminosa sul piano di morfologia e sintassi, e infine – per usare un termine riassuntivo – limpida. E la chiarezza – va rammentato – è una proprietà relazionale, l’effetto dipende dalla relazione che si crea tra autore e lettore, che si accosta a un testo in maniera attiva, con i propri interessi e saperi: Attardi e Casati fanno ottimamente la loro parte relazionale invitando, non respingendo.
Consapevole di questo, non ho compiuto il gioco di capire a chi risalgono i diversi capitoli, se a un autore o all’altro. Agevolato dalla rapidità concessa dal nitore delle pagine ho solo famelicamente voluto sapere. E se pure si tende a cominciare da quel che un po’ si conosce – i capitoli sui celebri poemi sinfonici ‘romani’ di Respighi – la curiosità si sposta poi sul resto, semmai guidati proprio dalla citata relazionalità: essendo un ‘belfagoriano’ (non solo per attrazione machiavellica, anche per aver collaborato anni con la rivista «Belfagor») corro subito al capitolo dedicato alla Ouverture tratta dai temi principali dell’opera Belfagor. È un buon esempio di cosa sia questo libro: una sostanziosa sezione di descrizione musicologica, ma tutt’attorno una festa di colta intelligenza: i riferimenti all’arcidiavolo che scende in terra per capire se il matrimonio sia per l’uomo come l’inferno in terra, e sposandosi lo sperimenterà trovandosi immerso in cattiverie, inganni e un cumulo di debiti; legami con gli studi di Jung e cenni al dualismo; riferimenti alla storia della composizione e a come avvenne il transito da opera a Ouverture, che non fu composizione anteposta al melodramma, ma appunto cosa che, nata dopo, raccoglie i principali spunti motivici dell’opera, fino a ottenere un gioiello sinfonico.
Potrei continuare, ma porto l’attenzione sul capitolo dedicato a una meraviglia negligentemente trascurata del Novecento: Metamorphoseon XII Modi del 1930, superbo ciclo di dodici variazioni su un tema pentatonico (ah, l’ombra del mio adorato Bartók…) composto per i cinquant’anni della Boston Symphony Orchestra, capolavoro sepolto ma che il saggio definisce le «Goldberg sinfoniche», nate con la mediazione storica delle più celebi variazioni intercorse a partire da Bach: le Diabelli di Beethoven, quelle su tema di Haydn di Brahms e le Variazioni per orchestra op. 31 di Schönberg.
Per il gioco delle idee musicali che nascono da temi elementari e si combinano nelle maniere più disparate e complesse, il capitolo ha un terminale riferimento al Giuoco delle perle di vetro di Hermann Hesse, romanzo del 1931, contemporaneo dunque all’opera di Respighi. Ma è la conclusione a lusingarci: «Dopo l’analisi e l’ascolto dei Metamorphoseon, tesoro nascosto ai più sconosciuto, possiamo lasciarci alle spalle finalmente un secolo di false credenze, equivoci, conoscenza parziale, giudizi critici superficiali e mistificazioni ideologiche riguardo alla portata storica di questo Genio italiano e del suo incommensurabile universo musicale».
Mi piace in primo luogo che Genio sia scritto in maiuscolo: auspico che si cominci ad abbandonare – dopo decenni di ubriacatura – la sciatteria del totale livellamento di giudizio e si riconosca, anche con un minuscolo segno di rispetto qual è una maiuscola, che sono esistite – ed esisteranno – menti superiori, cui essere grati per le creazioni che concorrono alla bellezza della nostra vita. A parte ciò, io che non conoscevo Metamorphoseon mi sono disposto – ancorché non sia d’immediata accessibilità – ad ascoltare l’opera con attenzione, ottenendone un piacere originale e soddisfacente.
Ho ascoltato e compiuto il tragitto a rovescio: se da melomane desidero conoscere sul piano storico e analitico quel che ascolto, in questo caso è accaduto il contrario: ho voluto ascoltare quel che ho appreso da un libro. E questo in fondo dovrebbe essere il fine di un saggio musicologico: far conoscere, e proiettare dalle proprie pagine al mondo della musica reale. Quando ciò accade, un saggio centra il proprio obiettivo.
Francesco Attardi – Lorenzo Casati, Ottorino Respighi. Un iceberg sinfonico, Lucca, LIM, 2024.
Articolo di Antonio Castronuovo
Ottorino Respighi. Un iceberg sinfonico
Tra i compositori italiani solo Ottorino Respighi è riuscito ad infrangere “the glass ceiling”, il soffitto di cristallo dei pregiudizi che identificavano l’Italia come il regno esclusivo dell’opera, e il suo nome come sinfonista rimane un “brand” di italianità che suscita ancora stima e ammirazione, anche se limitato a pochi titoli come i Pini e le Fontane. Questo libro vuole portare alla luce il grande patrimonio sommerso di un imponente iceberg sinfonico, ignorato anche dai nostri critici, cercando di svelare le molte personalità del Respighi uomo e compositore, attraverso una quarantina di brani sinfonici ognuno dei quali ha una sua individualità e compiutezza da far impallidire le opere più note.
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