Roma al Teatro Lo Spazio torna in scena “LA FIGLIA DI KIOTO ZHANG”la black comedy scritta e diretta da Massimo Odierna-
al Teatro Lo Spazio torna in scena “LA FIGLIA DI KIOTO ZHANG”
Roma-Dal 29 aprile al 4 maggio, escluso il 1 maggio 2025, torna in scena al Teatro Lo Spazio di Roma, LA FIGLIA DI KIOTO ZHANG, la black comedy scritta e diretta da Massimo Odierna, che indaga con leggerezza, nichilismo ed un linguaggio politically incorrect la follia e l’alienazione dei nostri tempi. Ambientata in presente alterato ed indefinito, la pièce è abitata da personaggi estremi, ridicoli e violenti, lo spazio scenico è svuotato di qualsiasi elemento e l’intera struttura dello spettacolo è affidata alla perfomance degli attori.
Thomas vive alla giornata conoscendo donne e bevendo fiumi di alcol. Una sera, durante uno dei suoi appuntamenti viene avvicinato da Libero, suo ex compagno d’ avventure ai tempi degli scout.
Libero implora Thomas di aiutarlo a ritrovare la dolce Noa, una ragazzina di sedici anni della quale si è invaghito ma di cui si sono perse le tracce. Noa è la figlia di Kioto Zhang, il temibile capo delle guardie imperiali. Inizialmente Thomas allontanerà Libero ritenendo assurda la richiesta d’ aiuto, successivamente sarà lo stesso Thomas a sfruttare questa vicenda per riconquistare Amèlie, sua ex fidanzata, una ragazza che ama praticare la gentilezza empatizzando con i più deboli e pronta a salvare il mondo. Le vite di questi tre protagonisti convergeranno alla ricerca della giovane ragazza scomparsa. Protagonisti di questa assurda pièce anche un padre pederasta, una madre devota, una maga scorbutica, e poi Jasmine, Sharon, Tinetta, Clotide, Brooke ed un maestro spirituale.
Lo spettacolo ha ricevuto la menzione speciale della giuria all’idea originale al Festival InDivenire 2023.
Roma al Teatro Lo Spazio torna in scena “LA FIGLIA DI KIOTO LA FIGLIA DI KIOTO ZHANG Con Irene Ciani, Enoch Marrella, Francesco Petruzzelli, Federica Quartana, Giovanni Serratore, Sofia Taglioni
Teatro Lo Spazio -Nel cuore storico della capitale, uno spazio suggestivo dove confluiscono realtà ed identità contemporanee, che trovano una residenza per esprimere la loro creatività. Due sale prove, diverse possibilità di utilizzo dello spazio scenico, fanno di questo luogo, dopo oltre 10 anni, una realtà off che sente oggi il bisogno di ampliare le proprie potenzialità.
al Teatro Lo Spazio torna in scena “LA FIGLIA DI KIOTO ZHANG”
Indirizzo
Via Locri, 42/44
Orari
Per gli orari e le modalità di accesso rivolgersi ai contatti indicati.
Dal libro: Fotoreportage per raccontare Roma e la sua Campagna Romana
di Franco Leggeri.
La bellezza, la poesia e la “bioarchitettura” del Viale dei pini nella Campagna Romana. V.le del sito Archeologico Torre della BOTTACCIA-Brano e Fotoreportage tratto dalla Monografia “Torri Segnaletiche-Saracene della Campagna Romana “di Franco Leggeri.
L’ecologia è un concetto che fa parte della coscienza universale, di cui dobbiamo essere ogni giorno sempre più consapevoli. Il grande scienziato della natura e poeta Goethe riassume tale consapevolezza con queste parole: “Nulla si impara a conoscere, se non ciò che si ama, e più forte è l’amore tanto maggiore sarà la conoscenza”. Imparare a “godere” dello spazio naturale che ci circonda è uno strumento di straordinario valore per diffondere e sedimentare nell’agire una vera e propria cultura della sostenibilità. In tal senso, probabilmente la più spontanea e potente istanza pedagogica è proprio il paesaggio, capace di impartire una sua prima e fondamentale educazione implicita: il paesaggio è infatti come scrive , molto bene, nel suo saggio ”Paesaggio Educatore” il Regni R. “ maestro di una cultura dell’ascolto dell’armonia dell’uomo e del cosmo, propria di un ambiente come realtà da condividere e non solo come qualcosa a cui badare”(Ed.Armando -2009). L’ammirazione per lo splendore della natura è il motore che genera e, conseguentemente, moltiplica in ognuno di noi , sin dalla più giovane età, i sentimenti di affezione , rispetto e curiosità verso il patrimonio ambientale che ci circonda. D’altra parte tale affezione e desiderio di cura tutela non può che scaturire dalla conoscenza e dalla relazione . Ci è istintivamente estraneo ciò che non conosciamo, con cui non possiamo dialogare per assenza di codici condivisi e a cui non siamo socializzati . L’estraneità si supera a mio avviso, solo attraverso un flusso comunicativo e relazionare che deve essere continuamente alimentato e che dà luogo ad una empatia prodromica a comportamenti di cura , tutela e di salvaguardia . Per recuperare i “codici” che ci consentono , nell’ascolto, di comprendere il linguaggio della natura bisogna , infatti, conoscere quest’ultima, perché solo coltivando una conoscenza profonda e radicata , ma anche istintiva, di qualcosa possiamo affezionarci ad essa, amarla e far crescere in noi il desiderio spontaneo di difenderla e preservarla.
Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-
Campagna romana
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.-Con la locuzioneCampagna romana si indica la vasta pianura del Lazio, ondulata e intersecata da fossi o marrane, della provincia di Roma, che si estende nel territorio circostante l’intera area della città di Roma fino ad Anzio con il piano collinare prossimo, comprendente parte dell’Agro romano, fino al confine con l’Agro Pontino.
Il termine “Campagna” deriva dalla provincia di “Campania” istituita nel tardo impero in sostituzione della preesistente Regio I. Una paretimologia la fa derivare invece dal latinocampus (volgare “campagna” nel senso di area rurale). Va notato che “Campagna Romana” non è sinonimo di “Agro Romano“ – espressione, quest’ultima, utilizzata per indicare l’area di Campagna Romana nel distretto municipale di Roma.
Storia
Secondo Carocci e Vendittelli la struttura fondiaria e produttiva della Campagna Romana risale al tardo medioevo e si è conservata senza soluzione di continuo fino alla riforma agraria a metà del XX secolo.
Le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente favorirono il generale spopolamento delle campagne, compresa quella romana, e i grandi latifondi imperiali passarono nelle mani della Chiesa, che aveva ereditato le funzioni assistenziali e di governo già assolte dai funzionari imperiali, e le esercitava nei limiti del possibile.
A partire dall’VIII secolo le aziende agricole (villae rusticae) di epoca imperiale si trasformarono – dove sopravvissero – in domuscultae, entità residenziali e produttive autosufficienti e fortificate, dipendenti da una diocesi – o una chiesa, o un’abbazia – che deteneva la proprietà delle terre e le assegnava in enfiteusi ai contadini residenti. Questi spesso ne erano gli originali proprietari, ed avevano conferito la proprietà dei fondi alla Chiesa in cambio di un piccolo canone di affitto e dell’esenzione dalle tasse. Queste comunità godevano di completa autonomia, che implicava anche il diritto ad armarsi per autodifesa (da dove la costruzione di torri e torrette), e in alcuni casi giunsero anche a battere moneta.
Già dal X secolo, tuttavia, la feudalizzazione costrinse i contadini ad aggregarsi attorno ai castelli dei baroni ai quali veniva man mano attribuito il possesso – a vario titolo – di molte proprietà ecclesiastiche, e la coltivazione della pianura impaludata e malarica fu abbandonata, col tempo, quasi completamente. Là dove si continuava a coltivare, questi nuovi latifondi ormai deserti, nei quali sorgevano sparsi casali fortificati, furono destinati a colture estensive di cereali e a pascolo per l’allevamento di bestiame grande e piccolo. Il loro scarso panorama umano era costituito da pastori, bovari e cavallari, braccianti al tempo delle mietiture, briganti.
L’abbandono delle terre giunse a tal punto che con la conseguente scomparsa degli insediamenti urbani nel territorio circostante Roma attorno alle vie Appia e Latina, l’ex Latium Vetus, venne ripartito in “casali”, tenute agricole di centinaia di ettari dedicato all’allevamento di bestiame, soprattutto ovini, e alla coltivazione di cereali, a cui erano addetti lavoratori salariati spesso stagionali. Questi latifondi in età rinascimentale e moderna divennero proprietà delle famiglie legate al papato. A seguito dello spopolamento delle terre pianeggianti ritornate a pascolo, si aggravò il grave problema dell’impaludamento e della malaria.
Nel XVII secolo, dopo la redazione del Catasto Alessandrino[1], furono concessi ai contadini, ai piccoli proprietari e agli abitanti dei borghi l’uso civico dei terreni spopolati e abbandonati ed esenzioni fiscali (mentre venivano aggravate le imposizioni sui proprietari noncuranti), allo scopo di stimolare il ripopolamento di quelle campagne.
Nel XVIII e nel XIX secolo il paesaggio della Campagna romana, rappresentato da vaste aree pressoché disabitate dove spesso era possibile imbattersi nelle vestigia di imponenti costruzioni romane in rovina, divenne un luogo comune, un simbolo della tramontata grandezza di Roma, insieme con l’immagine del quotidiano pittoresco rappresentato dai briganti, dai pastori e dai popolani di Bartolomeo Pinelli e dei pittori europei del Grand Tour.
ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaFoto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaFoto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-ROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaROMA- Municipio XIII- Castel di Guido, Torre della BottacciaFoto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-Foto di Franco Leggeri- Campagna Romana Viale dei pini Torre della BOTTACCIA-
Articolo di Michela Ponzani,la Resistenza delle donnedi ieri e di oggi, per continuare a essere libere-
Articolo di Michela Ponzani,storica, autrice e conduttrice televisiva-Si avvicina il 25 aprile e a dispetto del linguaggio bellico utilizzato nell’ultimo anno di pandemia (cominciò l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri quando disse che il Covid aveva fatto più morti in Lombardia che i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale), forse vale la pena ricordare che la Resistenza non è stata solo un affare maschile-militare.
Si avvicina il 25 aprile e a dispetto del linguaggio bellico utilizzato nell’ultimo anno di pandemia (cominciò l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri quando disse che il Covid aveva fatto più morti in Lombardia che i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale), forse vale la pena ricordare che la Resistenza non è stata solo un affare maschile-militare.
Bersagli strategici dei nazisti e dei militi della Repubblica sociale, sono le donne a scontare con maggiore crudeltà una strategia terroristica fatta di stragi e rastrellamenti, di incendi a paesi e villaggi; di fucilazioni e torture sui corpi dei prigionieri politici.
Ma nella disperata lotta per la sopravvivenza, le donne decidono di non essere più vittime. E si ribellano a quella cultura di guerra che usa lo stupro come arma per umiliare il nemico sconfitto, riducendo il corpo femminile a bottino e preda degli eserciti (occupanti o liberatori).
Le memorie taciute delle donne raccontano storie di coraggio e di rivolta. E come ho ricordato in Guerra alle donne (Einaudi), ciò vale soprattutto per gli stupri di massa, compiuti dalle truppe marocchine e algerine nella primavera-estate del 1944 e le violenze subite dalle donne costrette a prostituirsi nei campi bordello, costruiti dall’esercito tedesco dietro la linea Gotica. Veri e propri tabù nella memoria nazionale e nel senso comune dell’Italia del dopoguerra.
La lotta partigiana delle donne è quindi una guerra di liberazione anzitutto contro la criminale violenza nazifascista; ma è anche una scelta di libertà. Una guerra privata, combattuta per l’emancipazione dalle discriminazioni e da ogni forma di subalternità sociale e culturale. Per le donne, la Resistenza è un atto di disobbedienza radicale; uno strappo definitivo con la società patriarcale, la liberazione dall’educazione fascista improntata al rispetto delle gerarchie fuori e dentro le mura domestiche, che le condanna ad essere la “pietra fondamentale della casa, la sposa e la madre esemplare”. Che non permette d’iscriversi alle facoltà scientifiche e considera irrazionale la mente femminile, perché “il genio è maschio”.
Ma perché oggi una ragazza dovrebbe appassionarsi a vicende che hanno più 70 anni?
Al di là di discorsi ingessati o retorico-celebrativi, forse la risposta sta nel fatto che quelle storie – con le emozioni, le paure, i tormenti che segnano la scelta partigiana, dolorosa e carica di responsabilità – continuano a parlare al nostro presente.
Perché se oggi il destino delle donne non è più quello di stare a casa e di lasciare tutto il mondo agli uomini, è grazie alle ragazze che hanno combattuto la dittatura fascista, rinunciando alla spensieratezza della gioventù.
E che nel dopoguerra hanno continuato a battersi, affrontando discriminazioni insopportabili.
“Donna partigiana, donna puttana” si sentì dire Carla Capponi medaglia d’oro al valor militare, durante un dibattito alla Camera da alcuni deputati della destra postfascista, con tanto di inequivocabili gesti osceni. E Marisa Rodano (che ha da poco festeggiato i 100 anni) ha raccontato che “negli anni ’50 le carceri erano piene di adultere”. Il marito poteva spedire la moglie in galera, se questa aveva una relazione con un altro uomo.
Fortissime erano poi le disparità nella sfera domestica e professionale: le donne non potevano divorziare o interrompere una gravidanza, né diventare giudici o poliziotte perché troppo fragili.
Persino ucciderle non era così grave: la legge, concedeva le attenuanti se un uomo, per ragioni di onore, uccideva la moglie, la sorella o la figlia (il delitto d’onore sarà abrogato solo nel 1981). Altre norme permettevano di picchiare la moglie per correggerne il carattere e giustificavano lo stupro se seguito da un matrimonio riparatore (solo nel 1996 diverrà reato contro la persona e non contro la morale). Le ragazze della Resistenza lasciano dunque il testimone alle generazioni future. Non scorderò mai quella studentessa di liceo che trovò il coraggio di parlare delle violenze subite in famiglia, dopo aver letto il diario di una partigiana. Le venne il desiderio di diventare una donna libera (disse proprio così). Grazie al movimento #MeToo, abbiamo squarciato il velo d’ipocrisia sugli abusi e le molestie sessuali (non solo nel mondo dello spettacolo) e abbiamo più coraggio nel denunciare gesti e parole di offesa, urlate o allusive. E possiamo dichiarare, senza il timore di essere considerate pazze o esagerate, di non sopportare più allusioni sessuali non richieste (in ufficio, a un colloquio di lavoro o all’università), o di vederci sminuite nella nostra professione; come quando la dottoressa che ti visita in ospedale viene definita signorina.
Ma l’emergenza Covid-19, che ci ha rintanate in casa, ha visto aumentare i femminicidi. Perché quando si è fragili e abbandonate a una vita di isolamento e degrado, è proprio la famiglia a trasformarsi in un’orrenda prigione. E ci arrivano come macigni le notizie di uomini che odiano e ammazzano le donne: “buoni padri di famiglia” che uccidono per “troppo amore”; uomini “per bene” travolti da un raptus perché “lei voleva lasciarlo”. E allora festeggiamo questo 25 aprile con le parole che Marisa Ombra, staffetta nelle brigate Garibaldi ha dedicato a tutte noi. “Siate partigiane, per essere libere sempre”.
*Storica, autrice e conduttrice televisiva di programmi culturali per Rai Storia, è tornata da pochi giorni in libreria con una nuova edizione di Guerra alle donne. Partigiane, vittime di stupro, “amanti del nemico” (1940-45) (Einaudi, pp. 384, € 14,00)
ArchaeoReporter-La morte di Papa Francesco Il suo pensiero sui beni artistici e culturali da salvare-Articolo di Angelo Cimarosti-
Articolo di Angelo Cimarosti-ArchaeoReporter–Con la morte di papa Francesco scompare una figura centrale non solo per la Chiesa ma anche per il mondo della cultura. .”il patrimonio storico, artistico e culturale, insieme al patrimonio naturale, è ugualmente minacciato…”, ricordava il pontefice”
La scomparsa del Santo Padre Francesco è un momento di preghiera per i fedeli e di raccoglimento per chi ha apprezzato il suo impegno e la sua voce anche al di fuori della Chiesa. ArchaeoReporter si unisce al ricordo per la sua figura di Pontefice e per la sua persona.
Il vero ruolo partecipativo dell’arte, dei beni culturali e dei musei
Nel 2019 il Papa scrisse un discorso, che poi diffuse invece per iscritto, in occasione dell’incontro con l’Associazione dei Musei Ecclesiastici Italiani, che riportiamo quasi integralmente, in particolare sottolineandone l’aspetto dei beni culturali visti come mezzo partecipativo e sulla necessità di comunicarli con un linguaggio adeguato.
“...Nell’Enciclica Laudato si’ ho ricordato che il patrimonio storico, artistico e culturale, insieme al patrimonio naturale, è ugualmente minacciato. Esso è parte dell’identità comune di un luogo e base per costruire una città abitabile. Bisogna integrare la storia, la cultura, l’architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l’identità originale, facendo dialogare il linguaggio tecnico con il linguaggio popolare. È la cultura intesa non solo come i monumenti del passato, ma specialmente nel suo senso vivo, dinamico e partecipativo (cfr n. 143). Per questo è fondamentale che il museo intrattenga buone relazioni con il territorio in cui è inserito, collaborando con le altre istituzioni analoghe. Si tratta di aiutare le persone a vivere insieme, a vivere bene insieme, a collaborare insieme. I musei ecclesiastici, per loro natura, sono chiamati a favorire l’incontro e il dialogo nella comunità territoriale. In questa prospettiva è normale collaborare con musei di altre comunità religiose. Le opere d’arte e la memoria di diverse tradizioni e stili di vita parlano di quella umanità che ci rende fratelli e sorelle.
Il museo concorre alla buona qualità della vita della gente, creando spazi aperti di relazione tra le persone, luoghi di vicinanza e occasioni per creare comunità. Nei grandi centri si propone come offerta culturale e di rappresentazione della storia di quel luogo. Nelle piccole città sostiene la consapevolezza di una identità che “fa sentire a casa”. Sempre e per tutti aiuta ad alzare lo sguardo sul bello. Gli spazi urbani e la vita delle persone hanno bisogno di musei che permettano di gustare questa bellezza come espressione della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco (cfr Laudato si’, 150).
So bene che per voi questo lavoro è una passione: passione per la cultura, la storia, l’arte, da conoscere e da salvaguardare; passione per la gente delle vostre terre, al cui servizio ponete la vostra professionalità. E anche passione per la Chiesa e la sua missione. I musei in cui operate rappresentano il volto della Chiesa, la sua fecondità artistica e artigianale, la sua vocazione a comunicare un messaggio che è Buona Notizia. Un messaggio non per pochi eletti, ma per tutti. Tutti hanno diritto alla cultura bella! Specie i più poveri e gli ultimi, che ne debbono godere come dono di Dio. I vostri musei sono luoghi ecclesiali e voi partecipate alla pastorale delle vostre comunità presentando la bellezza dei processi creativi umani intesi ad esprimere la Gloria di Dio. Per questo cooperate con i vari uffici diocesani, e anche con le parrocchie e con le scuole.
Mi congratulo con voi perché curate la vostra formazione, per garantire una preparazione generale aggiornata anche presso i centri di studio ecclesiastici, oltre alla preparazione specifica nei diversi settori di competenza. Penso ad esempio al corso svolto quest’anno nella Pontificia Università Gregoriana. Ma anche al lavoro capillare di informazione e di comunicazione dei musei attraverso i media, le giornate di formazione e i contributi a riviste specializzate. Incoraggio anche le iniziative che portate avanti insieme con gli archivi e le biblioteche, mettendo in sinergia le vostre professionalità e la vostra passione. Insieme a volte si va più adagio, ma sicuramente si va più lontano!
Molti di voi si dedicano al dialogo con gli artisti contemporanei, promuovendo incontri, realizzando mostre, formando le persone a linguaggi di oggi. È un lavoro di sapienza e di apertura, non sempre apprezzato; è un lavoro “di frontiera”, indispensabile per continuare il dialogo che la Chiesa sempre ha avuto con gli artisti. L’arte contemporanea recepisce i linguaggi a cui specialmente i giovani sono abituati. Non può mancare questa espressione e sensibilità nei nostri musei, attraverso la sapiente ricerca delle motivazioni, dei contenuti e delle relazioni. Nuove persone si possono avvicinare anche all’arte contemporanea sacra, che può essere luogo importante di confronto e di dialogo con la cultura di oggi…”.
Franco Leggeri Fotoreportage “Il Giardino Antico” VILLA ROMANA delle COLONNACCE-
ROMA MUNICIPIO XIII- Castel di Guido-Franco Leggeri Fotoreportage “Il Giardino Antico” VILLA ROMANA delle COLONNACCE-I visitatori , anche a seguito delle varie manifestazioni organizzate dalla LIPU, ospiti del GAR nella Villa Romana delle Colonnacce, sono stati guidati dal mitico Archeologo Luca nel tour tra gli scavi archeologici. Durante la visita alla Villa Romana, molti partecipanti sono stati incuriositi dalla presenza di alcuni alberi con alla base un cartello con la descrizione dell’essenza tratta dalle Opere di Plinio. Gli alberi costituiscono una riproduzione di un”GIARDINO ANTICO” e si trovano in un angolo in fondo all’area archeologica. Ne elenco alcuni esemplari : CIPRESSO,LECCIO,FRASSINO e NOCCIOLO.
Questi alberi sono qui nella antica Villa Romana delle Colonnacce a testimoniare che, tra fine dell’età repubblicana e primi decenni dell’epoca imperiale, come si può anche leggere nelle Opere di Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane, Catone e Columella , il giardinaggio non è più considerato un’occupazione produttiva, ma anche attività svolta per piacere e diletto. Celebre il brano di Plinio il Vecchio: “I decoratori di giardini distinguono, nell’ambito del mirto coltivato, quello tarantino a foglia piccola, il nostrano a foglia larga, l’esastico a fogliame densissimo, con le foglie disposte a file di sei” ed ancora: “Esistono anche dei platani nani, che sono costretti artificialmente a rimanere di piccola altezza”.
CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”
CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”
ROMA MUNICIPIO XIII- Castel di Guido-I visitatori , anche a seguito delle varie manifestazioni organizzate dalla LIPU, ospiti del GAR nella Villa Romana delle Colonnacce, sono stati guidati dal mitico Archeologo Luca nel tour tra gli scavi archeologici. Durante la visita alla Villa Romana, molti partecipanti sono stati incuriositi dalla presenza di alcuni alberi con alla base un cartello con la descrizione dell’essenza tratta dalle Opere di Plinio. Gli alberi costituiscono una riproduzione di un”GIARDINO ANTICO” e si trovano in un angolo in fondo all’area archeologica. Ne elenco alcuni esemplari : CIPRESSO,LECCIO,FRASSINO e NOCCIOLO.
Questi alberi sono qui nella antica Villa Romana delle Colonnacce a testimoniare che, tra fine dell’età repubblicana e primi decenni dell’epoca imperiale, come si può anche leggere nelle Opere di Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane, Catone e Columella , il giardinaggio non è più considerato un’occupazione produttiva, ma anche attività svolta per piacere e diletto. Celebre il brano di Plinio il Vecchio: “I decoratori di giardini distinguono, nell’ambito del mirto coltivato, quello tarantino a foglia piccola, il nostrano a foglia larga, l’esastico a fogliame densissimo, con le foglie disposte a file di sei” ed ancora: “Esistono anche dei platani nani, che sono costretti artificialmente a rimanere di piccola altezza”.
Articolo e foto sono di Franco Leggeri per l’Associazione CORNELIA ANTIQUA-
CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”Associazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali. Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo ! Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com- Cell-3930705272-CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”Associazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali. Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo ! Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com- Cell-3930705272-CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico” IL Mitico LUCA-Archeologo e storico della Villa Romana delle ColonnacceCASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”Castel di Guido- – 22 aprile 2017-GAR- Sessione di scavo Villa Romana delle Colonnacce .Castel di Guido- – 22 aprile 2017-GAR- Sessione di scavo Villa Romana delle Colonnacce .Castel di Guido- – 22 aprile 2017-GAR- Sessione di scavo Villa Romana delle Colonnacce .
-Roma, MunicipioXIII: il Castello della Porcareccia-
Roma, Municipio XIII -Franco Leggeri Fotoreportage- : il Castello della Porcareccia – Quartiere Casalotti. Fuori dal traffico della Via Boccea, in una discontinuità edilizia, c’è il Castello della Porcareccia, noto anche con il nome “Castello aureo”, che domina il suo borgo medievale. Il fortilizio, in posizione strategica, è costruito su di uno sperone roccioso. Anticamente vi era una torre di avvistamento, ora scomparsa. Il Castello nel corso dei secoli è stato, più volte, rimaneggiato e, rispetto alla costruzione originale, ora si vedono modifiche strutturali evidenti. Il toponimo deriva da “Porcaritia”.
Il Castello della Porcareccia-cortile interno
Nel passato questa era una località al centro di boschi di querce e, quindi , luogo più che mai adatto all’allevamento dei maiali. Il primo documento che parla del Castello è una lapide del 1002, che si trova nella Chiesa di Santa Lucia delle Quattro Porte ,dove si legge che un prete “romanus” dona la tenuta della Porcareccia ai canonici di Monte Brianzo. Nel 1192 Papa Celestino III dà la cura del fondo ai canonici di Via delle Botteghe Oscure. Il Papa Innocenzo III affidò una parte della tenuta all’Ordine Ospedaliero di Santo Spirito. La tenuta passò, dopo la crisi fondiaria del 1527, ai principi Massimo e nel 1700 ai Principi Borghese, quindi ai Salviati e ai principi Lancellotti, ora la proprietà del Castello è della Famiglia Giovenale che lo possiede dal 1932.
Il Castello della Porcareccia
Il portale d’ingresso è imponente e su di esso vi è lo stemma di Sisto IV. Prima di accedere al cortile interno, nel “tunnel”, in alto, si notano dei fori passanti sedi di una grata metallica che, alla bisogna, era calata per impedire assalti e irruzioni di nemici . Nel giardino interno del Castello vi è, in bella mostra, una stele commemorativa di un funzionario imperiale delle strade di Roma . La stele probabilmente era riversa in terra perché presenta evidenti segni di ruote di carro. Vicino vi è una lapide funeraria con incisi dei pavoni, antico simbolo di morte. Sono visibili altri reperti di epoca romana, come frammenti di capitelli e spezzoni di colonne. In bella mostra, montata alla rovescia, vi è una vecchia macina a mano per il grano, una simile è nel cortile della chiesa di Santa Maria di Galeria. Nel piazzale interno c’è la chiesetta di Santa Maria la cui costruzione risale al 1693.
Il Castello della Porcareccia
Ciò che colpisce nella chiesa è la bellezza dell’Altare realizzato in legno intagliato, come dice uno dei proprietari, il Sig. Pietro Giovenale:”l’Altare è stato costruito dai prigionieri austriaci della Grande Guerra che qui erano stati internati”. Nel 1909, giusto un secolo fa, in questa chiesa celebrava la Messa il giovane prete Don Angelo Roncalli, il futuro Papa Buono, Giovanni XXIII il quale veniva in questi luoghi per goderne la bellezze naturali e gustare ”la buona ricotta” della via Boccea che Gli veniva offerta dai pastori ; a ricordo di questa visite, all’interno della chiesa, per desiderio della Famiglia Giovenale, il Vescovo della Diocesi di Porto e Santa Rufina, Mons. Gino Reali, nel 2004 inaugurò una lapide. La tenuta della Porcareccia fu anche antesignana della “guerra delle quote latte”; Ci narra la storia che nel periodo di carestia si diede il massimo sviluppo all’allevamento dei suini per sfamare la popolazione di Roma, come si legge in una bolla di Papa Urbano V nel 1362 che decretava “libertà di pascolo ai suini in qualsiasi terreno e proprietà…”. Per segnalare la presenza degli animali furono messi dei campanelli alle loro orecchie e chiunque ne impediva il pascolo incorreva in pene severissime.
Articolo e Fotoreportage di Franco Leggeri
N.B. Le foto originali sono di Franco Leggeri- Fonte articolo: Autori Vari- Si Evidenzia e voglio ricordare che gli Alunni di Casalotti hanno realizzato un pregevole lavoro sulle origini e la Storia del Castello. L’Intervista con il Sig. Giovenale è di Franco Leggeri- Si chiarisce che l’articolo è solo una piccola sintesi ricavata da un lavoro molto più esaustivo e completo relativo al Medioevo e i sistemi difensivi della Campagna Romana – TORRI SARACENE-TORRI DI SEGNALAZIONI – Monografia e ricerca storica i biblioteca di Franco Leggeri pubblicazione a cura dell’Associazione DEA SABINA.
Il Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della Porcareccia
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025-
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025-Sabato Santo -Pasqua del Signore– Fotoreportage di Franco LEGGERI-citando il Poeta
Johann Wolfgang von Goethe che così dipinse la nostra Campagna Romana: “Armonia eterea, delle ombre chiare e azzurre, fuse nel vapore che tutto avvolge in una sinfonia di trasparenze lucenti”.
Poeta Johann Wolfgang von Goethe
Campagna Romana-Con la locuzioneCampagna romana si indica la vasta pianura del Lazio, ondulata e intersecata da fossi o marrane, della provincia di Roma, che si estende nel territorio circostante l’intera area della città di Roma fino ad Anzio con il piano collinare prossimo, comprendente parte dell’Agro romano, fino al confine con l’Agro Pontino.
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
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Etimologia
Il termine “Campagna” deriva dalla provincia di “Campania” istituita nel tardo impero in sostituzione della preesistente Regio I. Una paretimologia la fa derivare invece dal latinocampus (volgare “campagna” nel senso di area rurale). Va notato che “Campagna Romana” non è sinonimo di “Agro Romano“ – espressione, quest’ultima, utilizzata per indicare l’area di Campagna Romana nel distretto municipale di Roma.
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
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Storia
Secondo Carocci e Vendittelli la struttura fondiaria e produttiva della Campagna Romana risale al tardo medioevo e si è conservata senza soluzione di continuo fino alla riforma agraria a metà del XX secolo.
Le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente favorirono il generale spopolamento delle campagne, compresa quella romana, e i grandi latifondi imperiali passarono nelle mani della Chiesa, che aveva ereditato le funzioni assistenziali e di governo già assolte dai funzionari imperiali, e le esercitava nei limiti del possibile.
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
A partire dall’VIII secolo le aziende agricole (villae rusticae) di epoca imperiale si trasformarono – dove sopravvissero – in domuscultae, entità residenziali e produttive autosufficienti e fortificate, dipendenti da una diocesi – o una chiesa, o un’abbazia – che deteneva la proprietà delle terre e le assegnava in enfiteusi ai contadini residenti. Questi spesso ne erano gli originali proprietari, ed avevano conferito la proprietà dei fondi alla Chiesa in cambio di un piccolo canone di affitto e dell’esenzione dalle tasse. Queste comunità godevano di completa autonomia, che implicava anche il diritto ad armarsi per autodifesa (da dove la costruzione di torri e torrette), e in alcuni casi giunsero anche a battere moneta.
Già dal X secolo, tuttavia, la feudalizzazione costrinse i contadini ad aggregarsi attorno ai castelli dei baroni ai quali veniva man mano attribuito il possesso – a vario titolo – di molte proprietà ecclesiastiche, e la coltivazione della pianura impaludata e malarica fu abbandonata, col tempo, quasi completamente. Là dove si continuava a coltivare, questi nuovi latifondi ormai deserti, nei quali sorgevano sparsi casali fortificati, furono destinati a colture estensive di cereali e a pascolo per l’allevamento di bestiame grande e piccolo. Il loro scarso panorama umano era costituito da pastori, bovari e cavallari, braccianti al tempo delle mietiture, briganti.
L’abbandono delle terre giunse a tal punto che con la conseguente scomparsa degli insediamenti urbani nel territorio circostante Roma attorno alle vie Appia e Latina, l’ex Latium Vetus, venne ripartito in “casali”, tenute agricole di centinaia di ettari dedicato all’allevamento di bestiame, soprattutto ovini, e alla coltivazione di cereali, a cui erano addetti lavoratori salariati spesso stagionali. Questi latifondi in età rinascimentale e moderna divennero proprietà delle famiglie legate al papato. A seguito dello spopolamento delle terre pianeggianti ritornate a pascolo, si aggravò il grave problema dell’impaludamento e della malaria.
Nel XVII secolo, dopo la redazione del Catasto Alessandrino[1], furono concessi ai contadini, ai piccoli proprietari e agli abitanti dei borghi l’uso civico dei terreni spopolati e abbandonati ed esenzioni fiscali (mentre venivano aggravate le imposizioni sui proprietari noncuranti), allo scopo di stimolare il ripopolamento di quelle campagne.
Nel XVIII e nel XIX secolo il paesaggio della Campagna romana, rappresentato da vaste aree pressoché disabitate dove spesso era possibile imbattersi nelle vestigia di imponenti costruzioni romane in rovina, divenne un luogo comune, un simbolo della tramontata grandezza di Roma, insieme con l’immagine del quotidiano pittoresco rappresentato dai briganti, dai pastori e dai popolani di Bartolomeo Pinelli e dei pittori europei del Grand Tour.
Note
^ Il Catasto Alessandrino è un corpus di 426 mappe acquerellate voluto nel 1660 dal Presidente delle strade, regnante Alessandro VII, che dimostra lo stato delle proprietà fuori dalle Mura aureliane, organizzato secondo le direttrici delle strade consolari. Lo scopo era di assoggettare a contribuzione fiscale i proprietari dei terreni serviti dalle strade fuori le mura, per assicurarne la manutenzione. Il risultato, per noi moderni, è una rappresentazione fedelissima, minuziosa e pittoricamente assai interessante, della situazione dell’Agro romano al momento della sua stesura. Nelle piante vengono riportati anche costruzioni, monumenti, acque ecc., successivamente modificati e/o scomparsi, nonché informazioni sulle tenute. I documenti, conservati presso l’Archivio di Stato di Roma, sono stati digitalizzati e sono accessibili in rete, dietro autenticazione.
Roma-Una nuova settimana al Teatro Belli con Expo – Teatro Italiano Contemporaneo-
Roma-Una nuova settimana al Teatro Belli con Expo – Teatro Italiano Contemporaneo, Rassegna diffusa di drammaturgia italiana contemporanea, ideata da Società Per Attori, da Franco Clavari e Andrea Paolotti.
Dal 22 al 27 aprile Primavera scritto e diretto da Pietro Gattuso con Giovanni Andrei, Ugo Caprarella, Francesca Gregori, Piergiorgio Mazzarella, Chiara Onofri. Perché́ cerchiamo sempre di far credere ai nostri cari che va tutto bene? Per proteggerli? A volte sarebbe meglio la cruda verità piuttosto che aspettare e causare una catastrofe. Due ragazzi molto giovani, Luca e Francesca, sono giunti alla scelta estrema del suicidio. Lo spettacolo è un alternarsi di vicende legate alle loro vite e ai rispettivi rapporti con le uniche persone a loro care. Per Francesca il padre, Gianmarco, single, pronto a tutto pur di mantenere gli studi della figlia. Per Luca la sorella Cecilia, malata terminale che non ha ancora il coraggio di dirlo al fratello. Quando entrambi li abbandoneranno, Luca e Francesca non vedranno altra soluzione che cercare di “raggiungerli”. La loro conoscenza però farà nascere qualcosa. Amicizia? Amore? Altro? Grazie a questo incontro scopriranno una nuova speranza e, forse per la prima volta nella loro vita, qualcuno con cui condividere tutto.
Roma-Teatro Belli Piazza di Sant’Apollonia 11
EXPO – TEATRO ITALIANO CONTEMPORANEO
rassegna diffusa di drammaturgia italiana contemporanea
PRIMAVERA
scritto e diretto da Pietro Gattuso
con Giovanni Andrei, Ugo Caprarella, Francesca Gregori, Piergiorgio Mazzarella, Chiara Onofri
ll Teatro G. Belli è uno dei più antichi teatri romani.Ospitato in quella che fu la Chiesa del Monastero di Santa Apollonia (da cui il nome della piazza) il Teatro G. Belli era già attivo nella seconda metà dell’800. La storia di questo spazio è ricca di episodi curiosi. Nel periodo in cui era sede del Monastero era qui che avveniva la vestizione della statua della Madonna per la processione che si teneva (e si tiene tuttora) durante la Festa de’ Noantri. Successivamente è proprio qui che fu rinchiusa Lorenza Feliciani, la bella moglie di Cagliostro, da lei stessa accusato di stregoneria. Ed è sempre qui che molto, molto tempo prima, aveva vissuto, scomparso il suo grande amore, la Fornarina di Raffaello. In ogni caso, in quegli anni, esso aveva la precisa funzione di Refugium peccatorum, e la disciplina all’interno era molto severa. Il fatto è che, finito il periodo di pena, non risulta che Lorenza sia uscita dal monastero, e nemmeno che vi sia rimasta: scomparve, e nessuno ha saputo più nulla di lei. Fatto sta che in certe notti d’autunno, per i vicoli di Trastevere passa in silenzio una figura di donna, che nessuno ha mai visto in faccia; rasentando i muri, senza far rumore, arriva al ponte Garibaldi, lo attraversa, e arriva fino a piazza di Spagna. Qui, nel luogo dove Cagliostro fu arrestato, scompare in una chiazza d’ombra mentre dal nulla escono una risata di scherno e un grido: Lorenza!. Ancora oggi più di una persona, tra le tante che hanno lavorato al Teatro Belli pur essendo all’oscuro di questa leggenda, racconta di essersi trovata di fronte a strani fenomeni, mentre si trovava sola all’interno del Teatro.
Dopo che il convento fu chiuso definitivamente (sembra per un’improvvisa epidemia di peste), i locali del Teatro Belli hanno ospitato varie attività, tra cui una celebre taverna trasteverina. Ma è nella seconda metà dell’800 che il Belli diventa finalmente Teatro.
ROMA- ricerca chiesa di SANT’APOLLINARE a SELVA NERA
Roma- Municipi XIII-XIV-La chiesa di Sant’Apollinare a Selva Nera- Ricerche Archeologiche dell’Associazione Cornelia Antiqua-
Oggi una ricognizione di “Cornelia Antiqua” ha rinvenuto dei ruderi di casali nei pressi di via Cumiana, fra Selva Nera e Boccea (immagini 3-8). Poiché un rudere indica una persistenza insediativa anche assai dilatata nel tempo, è probabile che proprio in tale punto sorgesse la chiesina o cappella che nella carta di Eufrosino (ricordiamo: 1547) è indicata come Sant’Apollinare.
Associazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali. Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo ! Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com-Cell-3930705272-ROMA- ricerca chiesa di SANT’APOLLINARE a SELVA NERA
Il toponimo Malagrotta (“Mola Rupta”) appare per la prima volta nel 955 in un codice dei Camaldolesi: qui è annotata, infatti, la vendinta di metà di un casale di proprietà della nobile Costanza, chiamato Casa Nobula, in contrada “Mola Rupta”.
In altri documenti del periodo, derivati dall’Archivio dei Camaldolesi, si parla di altri casali presso tale “Mola Rupta”.
L’origine del nome si spiega con la presenza di un mulino in rovina presso il fiume Galeria (una “mola rupta”, appunto) presumibilmente a causa di una piena dello stesso.
In una bolla di Innocenzo IV (1249), invece, con Molarupta s’intende non un semplice sito di campagna ricco di casali, ma di un vero e proprio castrum al centro di un fondo con le chiese di S. Maria e S. Apollinare.
Giuseppe Tomassetti annota: “Ecco pertanto che il sito è cresciuto, per così dire, di grado ed è un castello. Quanto alle chiese suddette, non è questa la prima menzione di esse leggendosi [di esse] già nella bolla di Leone IX” (pontefice dal 1049 al 1054) come dipendenti dalla diocesi di Porto.
ROMA- ricerca chiesa di SANT’APOLLINARE a SELVA NERA
Abbiamo, quindi, che all’importante e vasto fondo di Mola Rupta-Malagrotta lungo il Galeria si lega il nome di Sant’Apollinare sin dalla metà dell’XI secolo.
È nella carta di Eufrosino Della Volpaia (1547; immagine 1) che ritroviamo la nostra chiesa. Coi dovuti raffronti (nell’immagine 2 una ricostruzione da google) possiamo situarla con certezza nella zona dell’attuale Selva Nera. Avendo l’accortezza di capire che il nord si trova a sinistra, possiamo intuire come la nostra Sant’Apollinare sorgesse approssimativamente lungo il fosso dell’Acquasona (segnato in azzurrino) poco prima di una grande ansa. L’Acquasona scende, appunto, da Selva Nera e si getta nel Galeria all’altezza del cosiddetto “Dazio”, dove s’incrociano via di Boccea, via Casal Selce e via della Storta.
Scrive Thomas Ashby nel saggio sulla mappa di Eufrosino:”S. Apolina(re). Quello che si vede sembra un edifizio rovinato, forse una chiesa o cappella … Doveva essere vicino al segnale Acquasona … ora però non si vedono che mattoni sparsi per terra. Credo che vi sia stato un fondo appartenente alla chiesa di S. Apollinare in Roma, che non ho potuto rintracciare”.
ROMA- ricerca chiesa di SANT’APOLLINARE a SELVA NERA
Il possibile sito ove sorgeva questa chiesa o cappella dovrebbe quindi trovarsi non distante dall’Acquasona.
Oggi una ricognizione di “Cornelia Antiqua” ha rinvenuto dei ruderi di casali nei pressi di via Cumiana, fra Selva Nera e Boccea (immagini 3-8). Poiché un rudere indica una persistenza insediativa anche assai dilatata nel tempo, è probabile che proprio in tale punto sorgesse la chiesina o cappella che nella carta di Eufrosino (ricordiamo: 1547) è indicata come Sant’Apollinare.
Poco sotto, sempre nella carta di Eufrosino (immagine 1), possiamo scorgere la scomparsa torre di Mucciafore. Questa doveva trovarsi sulla piccola altura raggiungibile da via Mezzenile, la traversa a destra di via della Storta. Il luogo è alatament probabile poiché da lì l’osservatore poteva dominare il crocicchio della Boccea (con la strada che saliva da Malagrotta) nonché il ponte sul fiume Galeria.
Associazione CORNELIA ANTIQUA– Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali. Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo ! Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com- Cell-3930705272-
Roma-Al Teatro Furio Camillo arriva la prima edizione della rassegna Donna, Circo e Libertà-
ROMA-Al Teatro Furio Camillo arriva la prima edizione della rassegna Donna, Circo e Libertà, dal 29 aprile al 4 maggio, che porta in scena spettacoli di circo teatro al femminile, valorizzando l’esperienza di donne autrici, registe, acrobate, illustratrici, attrici e danzatrici con una visione originale del mondo dell’arte, capace di coniugare il linguaggio del corpo e quello del tratto di scrittura o di illustrazione, con differenti tecniche, dal teatro di parola alla danza, dal teatro di figura alle tecniche di circo classico. Sei giornate ricche di eventi in programma, come la presentazione del libro “La rivoluzione in pista”, proiezioni, una mostra di illustrazioni e atti performativi capaci di coinvolgere, in maniera anche diretta, il pubblico di tutte le età.
Roma- Teatro Furio Camillo – Donna, Circo e Libertà
Roma- Teatro Furio Camillo – Donna, Circo e Libertà
na darà vita a un racconto tanto metaforico, quanto reale, sui percorsi che nella storia del teatro e del circo hanno portato donne straordinarie a distinguersi e scrivere la storia dovendo fare i conti con la necessità di essere al tempo stesso un’eccellenza artistica e un esempio di determinazione imprenditoriale. Il virtuosismo delle donne che hanno accompagnato la storia del circo e del teatro è sintomatico del percorso artistico di molte donne nel mondo delle arti.
Roma- Teatro Furio Camillo – Donna, Circo e Libertà
Roma- Teatro Furio Camillo – Donna, Circo e Libertà
Inaugura la rassegna il 29 aprile la mostra di illustrazioni di Chiara Guidi che raccontano donne nelle arti di ogni epoca, con il suo tratto molto ironico e incisivo, sa incantare l’osservatore con colori forti e decisi. L’inaugurazione della mostra verrà presenziata da Diana Gonzalez, madrina della rassegna e simbolicamente tramite di una storia di passaggio tra le donne che hanno fatto la storia del circo nel mondo e chi la sta scrivendo al giorno d’oggi. La Mostra resterà aperta fino al 4 maggio.
A seguire Proiezioni e Performance “le donne nella storia del circo” (dalle 19:30 alle 20:30), le proiezioni curate da Leonardo Angelini, raccolgono immagini di donne di storia del circo e spezzoni di loro numeri che le hanno rese celebri.
Mercoledì 30 aprile dalle 19 alle 22:30 appuntamento con Happening Teatro a porte aperte, un evento rivolto ad allievi delle scuole di fotografia e di cinema che potranno accedere al teatro in gruppi e potranno esercitarsi con foto e riprese durante le attività di backstage.
Roma- Teatro Furio Camillo – Donna, Circo e Libertà
Giovedì 1° maggio va invece in scena “Tienimi che ti tengo” della Compagnia Circo in Rotta (prima replica ore 18:00 – seconda replica ore 21:00), uno spettacolo di circo contemporaneo e danza, una mescolanza di tecniche per parlare con un linguaggio molto fisico ed adrenalinico, dell’amicizia fra donne, della presenza che cuce le ferite, della forza che attraverso l’altra ciascuna riscopre in sé stessa, dello specchio che siamo gli uni per gli altri. Venerdì 2 maggio è la volta di “Da cosa nasce cosa” della Compagnia Circo Puntino (prima replica ore 18:00 – seconda replica ore 21:00), uno spettacolo ironico e dinamico per parlare degli stereotipi sui ruoli delle donne. Attraverso l’acrobatica su ruota tedesca e la folle interazione con il pubblico, Elisa Zanlari crea una situazione divertente che porta il pubblico di tutte le età a risolvere con lei ogni problema più o meno folle.
Successivamente, sabato 3 maggio, appuntamento con “Ca’ Mea” – Compagnia Aga
(prima replica ore 18:00 – seconda replica ore 21:00), spettacolo di circo contemporaneo con discipline quali filo teso, sfera d’equilibrio, verticali, acroportes, della Compagnia Aga con in scena giovanissime artiste di circo con una alta formazione riconosciuta a livello europeo.
Roma- Teatro Furio Camillo – Donna, Circo e Libertà
Sempre sabato 3 maggio dalle 19:30 alle 20:30 il Teatro Furio Camillo ospita Maria Vittoria Vittori, autrice del libro La rivoluzione in pista – Storie di donne, circo e libertà. L’incontro è moderato da Leonardo Angelini, storico del teatro e del circo. Il volume di Maria Vittoria Vittori è l’occasione per uno straordinario viaggio nella storia del circo declinata al femminile. Il racconto dell’autrice si snoda tra la fine dell’Ottocento e la nostra contemporaneità, esplorando molteplici e fertili legami che si creano tra saperi, esperienze e competenze diverse, all’interno del mondo circense.
Infine, domenica 4 maggio (prima replica ore 11:00 – seconda replica ore 17:00) chiude la rassegna “Belisa non buttarlo!”, spettacolo di circo teatro per bambini e ragazzi della storica Compagnia Materiaviva. Lo spettacolo porta in scena una storia dolce di due donne, una barbona che a dispetto delle apparenze non è poi così folle e una ragazza, tanto giovane e tanto abituata a consumare e buttare.
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