-Gli ARCHI COMMEMORATIVI E TRIONFALI DELLE COLONIE ROMANE.
Copia anastatica dell’Articolo dalla Rivista EMPORIUM n° mese di maggio 1908
Un arco trionfale, o arco di trionfo, è una costruzione con la forma di una monumentale porta ad arco, solitamente costruita per celebrare una vittoria in guerra, in auge presso le culture antiche. Questa tradizione nasce nell’Antica Roma, e molti archi costruiti in età imperiale possono essere ammirati ancora oggi nella “città eterna“.
Alcuni archi trionfali erano realizzati in pietra, a Roma in marmo o travertino, ed erano dunque destinati ad essere permanenti. In altri casi venivano eretti archi temporanei, costruiti per essere utilizzati durante celebrazioni e parate e poi smontati. In genere solo gli archi eretti a Roma vengono definiti “trionfali” in quanto solo nell’Urbe venivano celebrati i trionfi e onorato l’ingresso del vincitore. Gli archi eretti altrove sono generalmente definiti “onorari” e avevano la funzione di celebrare nuove opere pubbliche. Originariamente gli archi erano semplici e avevano una sola apertura (fòrnice), nell’età tardoimperiale si arricchirono con fòrnici laterali e rilievi scultorei decorativi. Sulla sommità, detta attico, erano poste statue e quadrighe guidate dall’imperatore. L’età augustea inaugurò una tipologia grandiosa dell’arco di trionfo; era arricchito con rilievi in marmo o in bronzo che raccontavano le imprese di guerra dell’imperatore.
La costruzione degli archi romani assunse man mano, un ruolo pressoché simbolico. Essi infatti si rifanno alle porte monumentali, allineate alle mura della città, ma da esse si differiscono non tanto strutturalmente, ma, appunto, simbolicamente. Essi sono, infatti, dedicati a grandi imprese compiute da imperatori, generali, quali guerre, conquiste o anche alla semplice edificazione di infrastrutture come ponti e strade. Altro elemento di grande importanza, e quindi da sottolineare, è la circostanza che la monumentalità sia data dalla sovrapposizione di due elementi strutturali: la volta ed il trilite (due colonne che sorreggono un architrave). Di questi due, solo la volta è l’elemento portante: il peso dell’intera struttura è scaricato solamente su di esso e non sulla struttura trilitica.
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L’arte di Daniel Spoerri a Narni-Dal 12 aprile Narni si propone nel panorama dell’arte contemporanea con una serie di eventi promossi dalla Fondazione Caporrella e dal Museo-Fondo Regionale d’Arte Contemporanea Baronissi, organizzati dalla Società Archeoares, e sostenuti dal Comune di Narni con il patrocinio della Regione Umbria e della Fondazione Il Giardino di Daniel Spoerri – Hic Terminus Haeret.
Fondazione Il Giardino di Daniel Spoerri
La mostra “DANIEL SPOERRI. Tableaux-pièges e bronzi”, allestita alla Rocca Albornoz, è dedicata a uno dei maestri del Nouveau Réalisme. Conosciuto per i suoi Tableaux-pièges, Spoerri ha trasformato oggetti di uso quotidiano in opere d’arte, immortalando frammenti di realtà in composizioni inaspettate. In questa mostra, a un anno dalla sua scomparsa, il pubblico potrà ammirare circa 40 sculture in bronzo, testimoni della sua inesauribile ricerca espressiva e della sua capacità di dialogare con la materia.
A Palazzo Eroli, sede del Museo della Città e del Territorio di Narni, la mostra “L’ETÀ DEL BRONZO. Sculture contemporanee dalla Fondazione Caporrella” esplora un aspetto meno noto ma fondamentale della creazione artistica: il rapporto tra l’artista e l’artiere, tra chi concepisce l’opera e chi la realizza. In esposizione, circa 70 capolavori provenienti dalla collezione della Fondazione d’arte “Vittorio Caporrella” (FFONDARC), con un percorso curato da Massimo Bignardi.
Attraverso le opere di Arman, Agostino Bonalumi, Pietro Cascella, Enrico Baj, Umberto Mastroianni e altri, il pubblico potrà scoprire come il bronzo si trasforma in arte, in un processo che dissolve i confini tra ideazione ed esecuzione.
Uno degli elementi più affascinanti di questa esposizione è la possibilità di entrare idealmente nell’officina dell’artefice, respirando il processo creativo che ha portato alla nascita di sculture oggi considerate veri e propri capolavori.
L’ETÀ DEL BRONZO. Sculture contemporanee dalla Fondazione Caporrella al Palazzo Eroli e DANIEL SPOERRI
Perché visitare queste mostre
Per scoprire da vicino le opere di Daniel Spoerri, uno dei più grandi innovatori dell’arte del Novecento.
Per immergersi in un percorso che svela il ruolo essenziale dell’artigianato artistico nella creazione delle sculture.
Per ammirare 70 capolavori di artisti internazionali: Arman, Enrico Baj, Giovanni Balderi, Agostino Bonalumi, Pietro Cascella, Tommaso Cascella, César (Baldaccini), Claudio Costa, Gino Filippeschi, Edgardo Mannucci, Franco Marrocco, Umberto Mastroianni, Nunzio, Arturo Pagano, Francesco Roviello, Nicola Salvatore, Paola Elisabetta Simeoni, Daniel Spoerri, Alì Traoré, Luigi Vollaro.
Per vivere un’esperienza culturale unica in due luoghi simbolo della città di Narni: la Rocca Albornoz e Palazzo Eroli.
Inaugurazione
Le mostre L’ETÀ DEL BRONZO. Sculture contemporanee dalla Fondazione Caporrella al Palazzo Eroli e DANIEL SPOERRI. Tableaux-pièges e bronzi alla Rocca Albornoz di Narni saranno inaugurate sabato 12 aprile 2025.
Alle ore 10:30 si terrà la conferenza di apertura presso il Palazzo Comunale. A seguire visita con l’illustrazione dei due percorsi espositivi:
“L’età del bronzo”, Palazzo Eroli, ore 12:00
“Omaggio a Daniel Spoerri”, Rocca Albornoz, ore 16:00
Successivamente, le mostre resteranno visitabili seguendo gli orari di apertura del Palazzo Eroli e della Rocca Albornoz.
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-Franco Leggeri Fotoreportage-“Il Castello di Torre in Pietra”
Franco Leggeri Fotoreportage-Il Castello di Torre in Pietra, detto anche Castello Falconieri, è un castello situato a Torrimpietra, frazione del comune di Fiumicino, in provincia di Roma. Inizialmente il borgo era un castra attorniato da torri e da mura di cinta. Nel 1254 il castello era proprietà della famiglia normanna degli Alberteschi, poi passò agli Anguillara che, nel 1457, per mano di Lorenzo e Felice Anguillara, per 3000 ducati d’oro lo vendettero a Massimo di Lello di Cecco dei Massimo, quindi passò ai Peretti. Nel 1639 fu venduta ai principi Falconieri. Ferdinando Fuga realizzò la chiesa e lo scalone del piano nobile del castello, indi Pier Leone Ghezzi ne realizzò gli interni, perlopiù gli affreschi inerenti all’anno giubilare 1725. Il Castello che oggi ammiriamo è sostanzialmente quello che ci hanno lasciato i Falconieri. Gli affreschi sono perfettamente conservati: possiamo rivivere i fasti dell’anno giubilare 1725, quando il Ghezzi viene chiamato da Alessandro Falconieri a decorare il piano nobile con scene celebranti la visita al castello del Papa Benedetto XIII. All’interno della chiesa ottagonale, gli affreschi sugli altari laterali sono ulteriori testimonianze della sua opera. Infine, nella seconda metà dell’ottocento, i Falconieri si estinguono e Torre in Pietra conosce un’epoca di decadenza[2]. Nel 1926 passò al senatore Luigi Albertini che ne bonificò le terre secondo le moderne tecniche e la rese tra le più prestigiose aziende zootecniche italiane. Nel 1941 passò a sua figlia Elena Albertini, sposata con il conte Nicolò Carandini, i cui eredi tuttora risultano proprietari del castello-Fonte Wikipedia-
Foto di Franco Leggeri-Le foto del Castello di Torre in Pietra , sono stati scatti eseguiti per provare vari obiettivi e fotocamere Reflex-:NIKON e CANON-
il CASTELLO DI TORRE IN PIETRA
Castello di Torre in Pietra
Il Borgo di Torre in Pietra che sorge in una vasta zona agricola e boschiva protetta in antico da una “Turris in petra” poco distante e ancora esistente.
Il Borgo si identifica essenzialmente nella struttura denominata più specificamente “Castello” cioè l’insieme delimitato da mura, ma comprende anche alcuni edifici ai margini della cinta muraria, abitativi e commerciali (ristorante, cantina). Il Castello, che si ritiene sorga nel luogo della stazione romana Baebiana, ha origine medioevale e di quell’epoca conserva ancora quasi intatta la struttura rettangolare cinta da mura e definita da torri angolari.
Tra i vari edifici c’è il “Palazzo”, una residenza signorile risultato di interventi di ampliamento e di fusione di più edifici preesistenti ad opera delle famiglie Peretti e Falconieri. A difesa del castrum, al di sopra di un fossato ormai colmato, in direzione Roma, si erge una torre angolare con funzione abitativa e di avvistamento, che si affaccia sul cortile medioevale detto dei cavalli, dalla presenza della scuderia e della selleria. Un edificio seicentesco, a destinazione abitativa, è addossato al lato esterno delle mura, che ne costituiscono la facciata verso il giardino, e ingloba al suo interno una delle torri minori medioevali. Il giardino conserva una fontana seicentesca, tratti di basolato romano, platani e pini secolari.
Il Castello di Torre in Pietra nel 1254 è citato tra i possedimenti della nobile famiglia Normanni Alberteschi, poi diviene proprietà degli Anguillara e dei Massimo. Nel 1590 viene acquistato da Camilla Peretti, sorella di Papa Sisto V. Nei primi anni del 600 il Principe Michele Peretti fa costruire nel borgo fortificato una nuova, grande e sfarzosa residenza signorile dall’architetto Michele Peperelli.
Nel 1639 la tenuta e il Castello sono venduti ai Principi Falconieri, che chiamano a lavorare a Torre in Pietra due grandi ingegni del tempo: l’architetto Ferdinando Fuga, che realizza la chiesa e il nuovo scalone di accesso al piano nobile, e il pittore Pier Leone Ghezzi, che esegue gli affreschi nei saloni del piano nobile e su due altari della Chiesa, ancora oggi perfettamente conservati.
Nella seconda metà dell’800 i Falconieri si estinguono e Torre in Pietra conosce un’epoca di decadenza. Il castello passa nelle mani di diverse famiglie, tra le quali i Florio di Sicilia, fino a quando, nel 1926, diviene proprietà del Senatore Luigi Albertini che, insieme ai figli Leonardo ed Elena e al genero Nicolò Carandini, si impegna in un’imponente opera di bonifica della tenuta agricola e di restauro di castello, chiesa e borgo. I lavori sono condotti dall’architetto Michele Busiri Vici, con il contributo del pittore Eugenio Cisterna.
Dal 1990 i figli e nipoti eredi di Elena e Nicolò Carandini conservano e abitano il Castello, aperto a visite ed eventi, e conducono l’azienda agricola e la cantina.
Foto di Franco Leggeri-Le foto del Castello di Torre in Pietra , sono stati scatti eseguiti per provare vari obiettivi e fotocamere Reflex-:NIKON e CANON-
il CASTELLO DI TORRE IN PIETRA
Il Castello di Torre in Pietra è un meraviglioso complesso architettonico di origine Medioevale, con importanti testimonianze di architettura e pittura sei-Settecentesche. Sono ancora perfettamente conservati il fossato, la torre di guardia e le mura di cinta che abbracciano tutto il complesso, all’interno del quale, nel corso dei secoli, sono stati costruiti e trasformati diversi importanti edifici. Domina su tutto il palazzo Seicentesco, posto al centro del Borgo all’interno del quale, salendo al piano Nobile, si possono ammirare i magnifici affreschi, opera del pittore Pier Leone Ghezzi, che ha decorato le sale con una sequenza di paesaggi, trompe l’oeil, scene religiose, figure di nobili e chierici, figure allegoriche, stemmi, ritratti di Cardinali e di Papa Benedetto XIII. Davanti al palazzo un ampio cortile, in parte lastricato da basolato Romano, conduce a due grandi giardini, ombreggiati da platani e pini secolari, con al centro un’antica fontana. Sul lato destro si affaccia la bella Chiesa ottagonale di S. Antonio Abate, opera Settecentesca del celebre architetto Ferdinando Fuga, decorata anch’essa dal Ghezzi. Sulla sinistra, al piano terra di un altro edificio, si raggiunge la vasta Sala Peretti, con il suo imponente soffitto a volta e il bel camino, recentemente restaurata. Una cintura di boschi circonda e protegge il Castello che mantiene il suo carattere affascinante e segreto nonostante la sua vicinanza alla via Aurelia e a Roma.
La storia del Castello di Torre in Pietra L’attuale complesso di edifici ha origini Medioevali e si è costituito nella forma di un castrum, un villaggio agricolo fortificato attorno a una residenza signorile, secondo un modello di insediamento rurale molto diffuso all’epoca nella campagna Romana; lo si può veder ancora oggi osservando le torri, il bastione, il fossato e le mura di cinta.
Il primo documento nel quale si descrive questo insediamento con l’antico nome di “Castrum Castiglionis” è un testamento che risale al 1254, nel quale viene menzionato tra i beni che un Nobile della famiglia Romana dei Normanni Alberteschi lascia in eredità a uno dei suoi figli. Diventa in seguito proprietà degli Anguillara e dei Massimo.
Il nome di Torre in Pietra, che deriva da una Torre isolata costruita su un roccione di pietra nei pressi del castello, è indicato per la prima volta in una pianta del 1620 dove sono illustrate le tenute dei principi Peretti. Nel 1590, infatti, la tenuta venne acquistata da Camilla Peretti, sorella di Papa Sisto V°, e Michele Peretti, nipote del Papa, commissionò all’architetto Francesco Peperelli la costruzione di una nuova residenza signorile sui resti del castrum Medioevale.
Al piano Nobile alcune sale, secondo l’usanza del tempo, vennero rivestite con pannelli di cuoio decorato, altre affrescate. Il palazzo che noi oggi vediamo conserva ancora quasi intatto il suo impianto seicentesco e lo stemma Peretti campeggia ancora sul portone d’ingresso. Ma l’altissimo tenore di vita intaccò irrimediabilmente il loro patrimonio familiare e così, nel 1639, i Peretti dovettero vendere il castello e la tenuta al principe Orazio Falconieri.
I Falconieri, che ebbero Torre in Pietra tra i loro possedimenti per più di due Secoli, erano dei potenti banchieri che raggiunsero l’apice del potere e della ricchezza quando nel 1724 Alessandro, nipote di Orazio, fu nominato Cardinale dal Papa Benedetto XIII°. Tra il 1712 e il 1725, Alessandro volle mutare in parte l’aspetto seicentesco del Castello, chiamando due ingegni del suo tempo: l’architetto Ferdinando Fuga e il pittore Pier Leone Ghezzi. La chiesa Medioevale venne abbattuta e ricostruita su disegno del Fuga, che progettò anche il nuovo scalone d’ingresso al palazzo. Sia la Chiesa che i saloni del piano Nobile vennero poi affrescati dal Ghezzi.
Dal 1870 il castello e la tenuta passarono nelle mani di numerosi proprietari (i Carpegna, i Florio, la Società Bonifiche Agrarie) e conobbero un lungo periodo di abbandono, fino a quando nel 1926 divennero di proprietà del Senatore Luigi Albertini. Egli, avendo dovuto abbandonare la direzione del Corriere della Sera per la sua opposizione al fascismo, dedicò tutte le sue risorse a una imponente opera di bonifica dei terreni paludosi, di avvio di un’azienda agricola modello, e di restauro del castello, della chiesa e del borgo, coadiuvato dal figlio Leonardo Albertini e dal genero Nicolò Carandini.
Matrimoni al castello di Torre in Pietra Il castello è il luogo ideale per celebrare matrimoni religiosi nella Chiesa dedicata a S. Antonio Abate e, grazie alla convenzione con il Comune di Fiumicino, il rito del matrimonio civile.
Visite al castello e alla cantina Organizziamo anche visite guidate al Castello e alla Chiesa e, in collaborazione con la Cantina, degustazioni di vini e visite guidate della Cantina.
Torrimpietra è stata la quarantaseiesima zona di Roma nell’Agro romano, indicata con Z. XLVI, istituita con delibera del commissario straordinario n. 2453 del 13 settembre 1961 e soppressa con delibera del commissario straordinario n° 1529 dell’8 settembre 1993[2] a seguito dell’istituzione del comune di Fiumicino, avvenuta con legge regionale n. 25 del 6 marzo 1992.
Il toponimo deriva dalla Torre In Pietra, castello del XIII secolo.
Chiesa di Sant’Antonio Abate, su via Francesco Marcolini.
Chiesa di San Pietro
Chiesa della Misericordia
Economia
Fino alla fine degli anni novanta del Novecento l’economia comunale, tra cui l’allevamento di bovini, era legata principalmente all’azienda locale, denominata appunto Torre in Pietra, che produceva latte fresco pastorizzato e yogurt, un tempo appartenuta ai proprietari della Tenuta Torre in Pietra; lo storico marchio ha poi spostato la sua produzione altrove e oggi non è più legato alla realtà locale. È ancora in attività invece la produzione di vino nella storica cantina del castello[3].
il CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRAil CASTELLO DI TORRE IN PIETRA
1925-2025: cento anni di storia della scienza. Il Museo Galileo celebra il suo centenario-
Il Museo Galileo celebra il suo centenario-Oltre 1.000 strumenti in esposizione permanente, un patrimonio librario di oltre 250.000 volumi, più di 209.000 visitatori e 25.000 partecipanti alle attività didattiche (per oltre 1.500 appuntamenti annuali) nel solo 2024: sono queste oggi le cifre del Museo Galileo di Firenze, che il 7 maggio celebrerà il centenario della sua fondazione, un traguardo storico che rappresenta un’occasione straordinaria per riflettere sull’evoluzione della storia della scienza in Italia.
Fondato nel 1925 come Istituto di Storia delle Scienze, il Museo è divenuto nel tempo un punto di riferimento internazionale per la ricerca e la divulgazione della cultura storico-scientifica, un luogo di incontro per studiosi di storia della scienza, appassionati e curiosi.
Museo Galileo
Eventi speciali, spettacoli, aperture serali, mostre e convegni: sono numerose le iniziative che il Museo Galileo dedicherà ai suoi 100 anni di storia. A cominciare dal 15 aprile a Palazzo Vecchio nel Salone dei Cinquecento, quando si terrà l’apertura delle celebrazioni, con la lectio magistralis di Martin Kemp, professore emerito della Oxford University e storico dell’arte di fama mondiale, “Icons of Science”, e la lettura dell’attore Sergio Rubini di testi del celebre scienziato fiorentino nell’“Omaggio a Galileo”, accompagnata da brani eseguiti dai Musici della Scala (partecipazione su invito, prenotazione obbligatoria).
A giugno aprirà la mostra “Cento anni di storia della scienza a Firenze” (20 giugno – 19 ottobre 2025), che esporrà edizioni rare e pregiate, manoscritti e documenti scientifici raccolti e conservati nella biblioteca del Museo Galileo.
Tra i progetti del 2025, da segnalare la pubblicazione del volume Dieci storie per un museo (Edizioni Museo Galileo) con i testi di dieci scrittori di fama nazionale, ispirati alle collezioni del Museo: Valerio Aiolli, Giuliana Altamura, Teresa Ciabatti, Ilaria Gaspari, Helena Janeczek, Walter Siti, Filippo Tuena, Chiara Valerio, Giorgio van Straten, Sandro Veronesi.
Le novità non finiranno nell’anno in corso ma si estenderanno al biennio seguente (2026-2027), con l’apertura del GalileoLab nei locali del Complesso di Santa Maria Novella, che ospiterà eventi curati dal Museo con l’obiettivo di offrire ai residenti, alle scuole, al turismo nazionale e internazionale percorsi di conoscenza alternativi rispetto a quelli tradizionali.
Un secolo tra ricerca e divulgazione
Inaugurato il 7 maggio 1925, sotto la direzione di Andrea Corsini, l’Istituto di Storia delle Scienze della Regia Università di Firenze, primo nel suo genere in Italia, aveva sede in via degli Alfani 33. Una delle prime iniziative realizzate dall’Istituto fu l’Esposizione Nazionale di Storia della Scienza del 1929 a Firenze, un evento di eccezionale portata, inaugurato dal re Vittorio Emanuele III, durante il quale furono esposti 10.000 tra strumenti, macchine, libri, manoscritti, sculture, pitture e altri documenti relativi alla storia della scienza e della tecnica italiane.
Dal 1930 il Museo ha sede in Palazzo Castellani, edificio di antichissime origini, ed è per l’importanza delle collezioni – tra cui spiccano gli unici telescopi originali di Galileo giunti fino a noi – uno dei principali musei storico-scientifici a livello internazionale, impegnato tanto nella ricerca quanto nella diffusione della cultura scientifica. La ricorrenza del 2025 rappresenta un’occasione importante per celebrare anche i 150 anni dalla nascita del fondatore Andrea Corsini (nato a Firenze nel 1875) e i 250 anni dalla fondazione del Regio Museo di Fisica e Storia Naturale, creato nel 1775 dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, da cui provengono le collezioni conservate nel Museo Galileo.
Durante la direzione di Corsini (1925-1961), nonostante i difficili anni della guerra e le risorse esigue, l’Istituto consolidò la sua posizione come centro di riferimento per gli studi storico-scientifici. Maria Luisa Righini Bonelli direttrice dal 1961 al 1981, infuse nuovo slancio alle attività dell’Istituto e riuscì a superare brillantemente il duro colpo inferto dall’alluvione del 1966, anche grazie alla solidarietà internazionale che seppe attrarre. Negli ultimi decenni, sotto la direzione di Paolo Galluzzi (1982-2021), l’Istituto ha registrato una forte espansione, con l’organizzazione di esposizioni temporanee, l’incremento imponente delle raccolte librarie, l’impegno assiduo nella promozione della ricerca, la fitta pubblicazione di riviste e collane editoriali e l’investimento nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione al servizio della ricerca storico-scientifica.
Il programma degli eventi
Le celebrazioni del centenario del Museo Galileo si articolano in un ricco programma di eventi che prenderà il via il 15 aprile 2025 nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. Dopo i saluti istituzionali e una breve presentazione delle tappe principali dell’Istituto e dei principali progetti in corso si proseguirà con “Icons of Science” lectio magistralis di Martin Kemp, professore emerito della Oxford University (ore 18). Il Prof. Kemp, storico dell’arte di fama mondiale e autorità indiscussa nel campo degli studi su Leonardo da Vinci, si è occupato in particolare dei rapporti tra arte e scienza. Si conclude poi con “Omaggio a Galileo”, lettura di testi galileiani selezionati dallo storico della scienza Massimo Bucciantini, affidata a Sergio Rubini, accompagnato da una selezione di brani musicali eseguiti dai Musici della Scala (partecipazione su invito, prenotazione obbligatoria).
Il 7 maggio 2025, in occasione dell’anniversario ufficiale della fondazione, le porte del Museo Galileo saranno aperte in via straordinaria fino alle 23. Alle 21 sarà il momento del debutto dello spettacolo teatrale “Caterina, la madre di Leonardo”, un dialogo a cura della Compagnia Oltre, liberamente tratto dal romanzo Il sorriso di Caterina di Carlo Vecce. Proprio negli spazi occupati oggi dal Museo, secondo la ricostruzione del Prof. Vecce, Caterina aveva prestato servizio come balia, nell’allora Castello d’Altafronte, oggi noto come Palazzo Castellani (ingresso per lo spettacolo su prenotazione, gratuito per i possessori del biglietto del Museo del giorno 7).
A giugno sarà inaugurata la mostra “100 anni di storia della scienza a Firenze” (20 giugno – 19 ottobre 2025), che esporrà edizioni rare e pregiate, manoscritti e documenti scientifici conservati nella biblioteca del Museo nel suo secolo di vita. Una sezione documenterà le ricerche da cui sono derivate le esposizioni organizzate nel corso dei decenni in prestigiose sedi italiane ed estere, in collaborazione con importanti istituzioni culturali.
Dal 19 al 21 novembre si terrà il convegno internazionale “Scaling the Cosmos: Instruments and Images of the Universe”, tre giornate di studi interdisciplinari, organizzate in collaborazione con il CNRS-Centre André Chastel, che intendono sviluppare una storia visuale dell’universo analizzando come le immagini e gli strumenti abbiano plasmato la comprensione dei fenomeni celesti nell’età moderna.
Dal 24 al 28 novembre si terrà la Winter School di Storia della Scienza, organizzata in collaborazione con la Società Italiana di Storia della Scienza: un’attività di alta formazione rivolta a trasferire alle giovani generazioni conoscenze, strumenti e metodi per la ricerca storica e per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio museale e documentale (bando disponibile su www.museogalileo.it).
Galileo Lab
Nel 2027 si inaugurerà il GalileoLab, un nuovo spazio nel Complesso di Santa Maria Novella che ospiterà eventi curati dal Museo Galileo con l’obiettivo di offrire ai residenti, alle scuole, al turismo nazionale e internazionale percorsi di conoscenza alternativi rispetto a quelli tradizionali. Firenze è infatti stata nel corso dei secoli un centro di primaria importanza nel campo delle scienze, anche se questo ruolo è stato spesso oscurato dalle più note e celebrate eccellenze artistiche. Ricreare quell’equilibrio tra arte e scienza che fa parte della nostra tradizione culturale è l’ambizioso obiettivo di questo progetto che poggia sulla solida esperienza del Museo Galileo.
Edipo re (in greco antico: Οἰδίπoυς τύραννoς, Oidípūs týrannos) è una tragedia di Sofocle-
Edipo re (in greco antico: Οἰδίπoυς τύραννoς, Oidípūs týrannos) è una tragedia di Sofocle, ritenuta il suo capolavoro nonché il più paradigmatico esempio dei meccanismi della tragedia greca.La data esatta di rappresentazione è ignota ma si ipotizza che possa collocarsi al centro dell’attività artistica del tragediografo (430–420 a.C. circa).
Edipo re
Trama
L’opera si inserisce nel cosiddetto ciclo tebano, ossia la storia in chiave mitologica della città di Tebe, e narra come Edipo, re carismatico e amato dal suo popolo, nel breve volgere di un solo giorno venga a conoscere l’orrenda verità sul suo passato: senza saperlo ha infatti ucciso il proprio padre per poi generare figli con la propria madre. Sconvolto da queste rivelazioni, che fanno di lui un uomo maledetto dagli dei, Edipo reagisce accecandosi, perde il titolo di re di Tebe e chiede di andare in esilio.
Prologo (vv. 1-150): Edipo è impegnato a debellare una pestilenza che tormenta Tebe, la sua città, mentre una folla supplicante si pone attorno a lui per chiedergli di salvarli dalla fame e dal contagio; Edipo, sovrano illuminato e sollecito verso il proprio popolo, afferma di aver già mandato Creonte, fratello della regina, ad interrogare l’oracolo di Delfi sulle cause dell’epidemia. Al suo ritorno Creonte rivela che la città è contaminata dall’uccisione di Laio, il precedente re di Tebe, che è rimasta impunita: il suo assassino vive ancora in città e finché questi non sarà identificato e esiliato o ucciso, la pace e la prosperità non potranno tornare. Edipo chiede altre informazioni a Creonte, il quale continua dicendo che al tempo in cui la città era sotto l’incubo della Sfinge, Laio stava andando a Delfi quando, lungo la strada, fu assalito da dei briganti dai quali, secondo il racconto di un testimone, fu ucciso.
Parodo (vv. 151-215): entra il coro di anziani tebani cantando una preghiera agli dei perché intervengano a protezione della città.
Primo episodio (vv. 216-462): Edipo proclama un bando che prevede l’esilio per l’uccisore di Laio e per chi lo protegga o lo nasconda; il re convoca inoltre Tiresia, l’indovino cieco, perché sveli l’identità dell’assassino. Egli però rifiuta di rispondere, considerando più saggio tacere per non richiamare altre sventure: Edipo tuttavia si adira e intima a Tiresia di parlare. Il vecchio non si decide e la collera del re aumenta; allora Tiresia risponde accusando Edipo di essere l’autore dell’omicidio. Il re è indignato e comincia a sospettare che Creonte e Tiresia abbiano ordito un piano per detronizzarlo. L’indovino quindi si allontana profetizzando che entro la fine di quel giorno il colpevole sarà scoperto e se ne andrà mendico e cieco in terra straniera.
Primo stasimo (vv. 463-511): il coro dapprima immagina la fuga del colpevole, braccato tanto dagli uomini quanto da Apollo e dalle Keres (dee simbolo del fato avverso), per poi decidere di non dare credito alle parole di Tiresia: nemmeno il grande indovino è infallibile.
Edipo re
L’attore Albert Greiner interpreta Edipo (1896)
Secondo episodio (vv. 512-862): Creonte chiede se sia vero che Edipo lo crede colpevole di cospirazione. Quest’ultimo lo accusa apertamente con toni sempre più accesi: Creonte non si trovava infatti a Tebe, insieme a Tiresia, quando Laio fu ucciso? Creonte gli risponde pacatamente di non avere interesse al trono e nel mentre interviene Giocasta, vedova di Laio e ora moglie di Edipo, per mettere pace tra i due. Ella invita il marito a non dare ascolto a nessun oracolo e a nessun indovino: anche a Laio era stata fatta una profezia secondo la quale sarebbe stato ucciso dal figlio, mentre ad ucciderlo erano stati alcuni banditi sulla strada per Delfi, là dove si incontrano tre strade. A sentire le parole di Giocasta, Edipo resta turbato e chiede di convocare il testimone di quell’omicidio. La regina chiede al marito il motivo del suo turbamento, così Edipo comincia a raccontare: da giovane era principe ereditario di Corinto, figlio del re Polibo, e un giorno l’oracolo di Delfi gli predisse che avrebbe ucciso il proprio padre e sposato la propria madre. Sconvolto da quella profezia, per evitare che essa potesse avverarsi Edipo aveva deciso di fuggire, ma sulla strada tra Delfi e Tebe, in un punto dove si uniscono tre strade, aveva avuto un alterco con un uomo e l’aveva ucciso. Se quell’uomo fosse stato Laio? Il coro tuttavia lo invita a non trarre conclusioni affrettate e a sentire prima il testimone dell’omicidio.
Secondo stasimo (vv. 863-910): il coro è turbato dall’incredulità di Giocasta davanti agli oracoli e lancia un ammonimento contro chi pretende di violare le leggi eterne degli dei: quando gli uomini non riconoscono più la giustizia divina e procedono con superbia (“hybris”), lì si cela la tirannide[2].
Terzo episodio (vv. 911-1085): giunge un messo da Corinto che informa che re Polibo è morto. Edipo è rassicurato da quelle parole perché suo padre non è morto per mano sua. Rimane la parte della profezia riguardante sua madre, così Edipo chiede notizie di lei: il messo, per rassicurarlo pienamente, gli dice che non c’è pericolo che egli possa generare figli con la propria madre poiché i sovrani di Corinto non sono i suoi genitori naturali, in quanto Edipo era stato adottato. Il messo può testimoniarlo con certezza perché un tempo faceva il pastore sul monte Citerone e era stato proprio lui a ricevere un Edipo neonato da un servo della casa di Laio e a portarlo a Corinto. A questo punto Edipo si vede vicino alla scoperta delle proprie origini e ordina che sia convocato il servo di Laio; Giocasta, invece, ha ormai capito tutta la verità e supplica Edipo di non andare avanti con le ricerche, ma non viene ascoltata.
Terzo stasimo (vv. 1086-1109): il coro esulta perché Edipo è ormai vicino a conoscere le proprie origini ed esalta il Citerone come patria e nutrice di Edipo stesso[3].
Quarto episodio (vv. 1110-1185): arriva il servo di Laio, che Edipo attende con tanta impazienza. Tempestato di domande, il servo innanzitutto cerca di dissuadere Edipo dal continuare a interrogarlo, ma quest’ultimo ormai vuole ascoltare tutta la verità. Il servo allora conferma che aveva ricevuto il bambino (che era figlio di Laio) con l’ordine di ucciderlo in quanto, secondo una profezia, il piccolo avrebbe ucciso il padre. Tuttavia, per pietà, il servo non l’aveva ucciso e l’aveva invece consegnato al pastore, che l’aveva portato a Corinto. A questo punto l’intera vicenda è chiarita e, al colmo dell’orrore, Edipo rientra nel suo palazzo gridando: «Luce, che io ti veda ora per l’ultima volta»[4].
Quarto stasimo (vv. 1186-1222): gli anziani tebani che costituiscono il coro compiangono la sorte di Edipo, re stimato da tutti, che in breve si è scoperto autore involontario di atti orribili. I tebani vorrebbero non averlo mai conosciuto tanto è l’orrore e, al tempo stesso, la pietà che la sua vicenda suscita in loro.
Edipo bambino viene nutrito da un pastore (scultura di Antoine-Denis Chaudet, 1810, Museo del Louvre)
Esodo (vv. 1223-1530): un messo esce dal palazzo di Edipo e annuncia disperato che Giocasta si è impiccata e che Edipo, appena l’ha vista, si è accecato con la fibbia della veste di lei. In quel momento appare Edipo accompagnato da un canto pietoso del coro, che afferma di aver compiuto quell’atto perché nulla ormai, a lui che è maledetto, può più essere dolce vedere. In quel momento arriva Creonte, che di fronte alla disperazione di Edipo lo esorta ad avere fiducia in Apollo. Edipo abbraccia quindi le sue figlie Antigone e Ismene compiangendole perché esse, figlie di nozze incestuose, saranno sicuramente emarginate dalla vita sociale. Infine chiede a Creonte di essere esiliato in quanto uomo in odio agli dei.
Tarquinia (VT): nella necropoli etrusca del sito Unesco scoperta nuova tomba dipinta
Tarquinia-Straordinaria scoperta nel sito Unesco di Tarquinia nella necropoli etrusca, dove gli archeologi hanno ritrovato una nuova tomba a camera dipinta: le pitture sulle pareti mostrano scene di danza e di officina. La scoperta risale alla fine del 2022, anche se è stata comunicata dalla Soprintendenza di Viterbo soltanto in queste ore. Tutto comincia nel corso di un’ispezione della Soprintendenza a seguito dell’apertura di alcune cavità nel terreno: l’eccezionale scoperta è avvenuta nella necropoli etrusca dei Monterozzi, vicino a Tarquinia, dove gli archeospeleologi, esplorando quelle cavità, hanno confermato che si trattava di sepolcri già visitati da scavatori clandestini in passato. Tuttavia, una delle tombe celava un segreto ancora intatto: il crollo di una parete aveva rivelato una camera funeraria più profonda, decorata con scene dipinte dai colori straordinariamente vividi.
Scoperta eccezionale a Tarquinia nuova tomba dipinta nella necropoli etrusca
Questa nuova tomba, catalogata con il numero 6438, è stata dedicata alla memoria di Franco Adamo, rinomato restauratore delle tombe dipinte di Tarquinia, scomparso nel maggio 2022. Il ritrovamento rappresenta un evento di grande rilievo per l’archeologia etrusca, riportando alla luce uno spaccato di vita e cultura di oltre duemila anni fa.
La scoperta è frutto del lavoro della Soprintendenza di Viterbo e dell’Etruria Meridionale, e in particolare degli archeologi Daniele F. Maras e Rossella Zaccagnini del Ministero della Cultura, assieme ai collaboratori esterni Gloria Adinolfi e Rodolfo Carmagnola, mentre lo scavo è stato condotto da Archeomatica s.r.l.s., e il restauro delle superfici da Adele Cecchini e Mariangela Santella. A.S.S.O. si è invece occupata delle operazioni di archeospeologia.
Scoperta eccezionale a Tarquinia nuova tomba dipinta nella necropoli etrusca
Un delicato lavoro di scavo e messa in sicurezza
Per evitare che il sito venisse compromesso da tombaroli o da visitatori imprudenti, la Soprintendenza ha mantenuto il massimo riserbo sulle operazioni di scavo Grazie a un finanziamento straordinario del Ministero della Cultura, gli archeologi hanno potuto condurre un intervento meticoloso per mettere in sicurezza la tomba e preservarne il delicato equilibrio: per queste ragioni, oltre che per studiare quanto riemerso, la notizia è stata comunicata due anni dopo l’effettivo ritrovamento.
“Dopo aver ripristinato l’accesso alla camera funeraria”, spiega Daniele F. Maras, il funzionario archeologo responsabile della scoperta, oggi direttore del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, “e una volta installata una porta metallica, lo scavo archeologico ha dimostrato che tutto il materiale raccolto non apparteneva al corredo della tomba dipinta, che risale alla metà del V secolo a.C., ma era franato da quella superiore, più antica di oltre un secolo, della fine dell’epoca Orientalizzante”.
Scoperta eccezionale a Tarquinia nuova tomba dipinta nella necropoli etrusca
Una stratificazione complessa tra storia e natura
L’indagine archeologica ha rivelato una situazione unica e complessa. La tomba dipinta era stata scavata in profondità sotto una sepoltura preesistente. In epoca antica, ladri di tombe erano riusciti a penetrare nel sepolcro forando il lastrone di chiusura, saccheggiando il corredo originario. Successivamente, il crollo della camera superiore ha portato con sé detriti e oggetti, mescolandoli ai resti della tomba inferiore.
Di ciò che un tempo costituiva il corredo funerario della tomba dipinta restano solo pochi frammenti di ceramica attica a figure rosse, testimonianza del pregio degli oggetti deposti con il defunto. Tuttavia, il vero tesoro del ritrovamento è rappresentato dagli affreschi che decorano le pareti della camera funeraria.
Scoperta eccezionale a Tarquinia nuova tomba dipinta nella necropoli etrusca
Scene di danza e di officina: un’iconografia senza precedenti
Le pitture parietali, ancora in fase di restauro, offrono uno spaccato unico della cultura etrusca. La parete sinistra è animata da una danza frenetica: uomini e donne si muovono in cerchio attorno a un elegante flautista, in una scena che esprime la vitalità e il gusto per la celebrazione tipici del popolo etrusco.
Sulla parete di fondo, invece, emergono le figure di una donna – forse la defunta – e due giovani, ma parte della decorazione è andata irrimediabilmente perduta a causa di un crollo. Ancora più enigmatica è la parete destra, dove affiora un’officina metallurgica in attività. Gli studiosi ipotizzano che possa rappresentare il mitico laboratorio del dio Sethlans (equivalente etrusco di Efesto), oppure un’officina reale appartenente alla famiglia sepolta.
Scoperta eccezionale a Tarquinia nuova tomba dipinta nella necropoli etrusca
Restauro e tecnologie avanzate per riportare i colori alla luce
Gli interventi di restauro sono ancora in corso e richiedono estrema precisione. “Il livello straordinario delle pitture”, commenta con soddisfazione la soprintendente Margherita Eichberg, “è evidente già nel primo tassello di restauro, operato da Adele Cecchini e Mariangela Santella, che mette in luce la raffinatezza dei dettagli delle figure del flautista e di uno dei danzatori”. E aggiunge Daniele Maras: “Da decenni, questa è la prima nuova tomba dipinta con fregio figurato che viene scoperta a Tarquinia e si preannuncia molto intrigante per la sua storia, per il livello artistico e per alcune delle scene rappresentate, uniche nel loro genere”.
Il progetto di conservazione prevede la costruzione di una struttura protettiva intorno alla tomba, dotata di una porta a taglio termico per garantire condizioni climatiche ottimali. Inoltre, gli archeologi stanno applicando tecnologie avanzate di imaging multispettrale per recuperare i colori scomparsi dei pigmenti antichi. I primi test hanno già dato risultati sorprendenti, restituendo nuova luce a queste straordinarie testimonianze dell’arte funeraria etrusca.
Scoperta eccezionale a Tarquinia nuova tomba dipinta nella necropoli etrusca
Verso un futuro di studi e accessibilità pubblica
Mentre il restauro procede, gli archeologi continuano a studiare il materiale raccolto per comprendere meglio il contesto storico e sociale della tomba. L’obiettivo a lungo termine è quello di rendere il sito accessibile al pubblico, permettendo di ammirare da vicino questa straordinaria testimonianza dell’arte e della cultura etrusca.
Il ritrovamento della tomba n. 6438 non è solo una grande scoperta per l’archeologia italiana, ma un tassello fondamentale per riscoprire l’identità di un popolo che, attraverso la bellezza delle sue pitture funerarie, continua a raccontare la propria storia a distanza di millenni.
Ancona-L’Anfiteatro romano entra nella rete dei Musei Italiani.- Soprintendenza Archeologia delle Marche-
Ancona-L’Anfiteatro romano
L’Anfiteatro romano di Ancona entra ufficialmente a far parte della rete nazionale dei Musei Italiani, sotto la gestione della Direzione regionale Musei delle Marche, guidata da Luigi Gallo. L’anfiteatro sarà aperto al pubblico a partire dalla metà di aprile, per offrire ai visitatori un’ulteriore opportunità di scoprire il patrimonio storico della città. Grazie alla possibilità di combinare la visita al Museo Archeologico Nazionale delle Marche con l’Anfiteatro, il pubblico potrà così vivere un’esperienza immersiva nel fascino del mondo antico.
La Direzione Musei ha l’obiettivo di garantire un programma di aperture settimanali all’anfiteatro a partire da metà aprile, per rendere accessibile l’area archeologica più significativa del capoluogo marchigiano.
“Nel corso degli ultimi anni”, ha dichiarato Luigi Gallo, “la Direzione Regionale Musei Nazionali Marche ha posto particolare cura nella valorizzazione delle sedi espositive e delle collezioni in esse contenute, intreccio di vicende e opere che contribuiscono in modo rilevante alla storia del patrimonio e dell’identità regionale. L’Anfiteatro romano è un importante tassello di questo percorso e restituisce ai cittadini e ai visitatori di Ancona lo spaccato di un periodo cruciale della storia della città Dorica; un lavoro che proseguirà nel corso dei prossimi mesi con l’elaborazione di un ampio progetto di restauro e valorizzazione del monumento antico, rendendo accessibili tutte le sue particelle, per offrire una visione quanto più completa e stratificata della città resa ulteriormente possibile dalla prossimità con il Museo Archeologico nazionale, dove poco più di un anno fa è tornata visibile una rinnovata sezione museale dedicata all’età romana”.
Anfiteatro romano di Ancona-
L’anfiteatro romano è stato realizzato nel periodo augusteo (fine I sec. a.C. – inizi I sec. d.C.) sulla sella collinare che sovrasta il porto e la città antica di Ancona; la morfologia del pendio ha condizionato la forma dell’ellisse non perfettamente regolare con asse maggiore che misura circa 93 metri (corrispondenti alla misura romana di mezzo stadio), l’asse minore di 74 metri (cento gradus) e l’arena di 52 metri (un actus e mezzo). La cavea, sviluppata su oltre venti gradinate disposte su tre ordini, poggiava in parte sulla roccia marnosa – tagliata per accogliere la struttura – e in parte su volte cementizie costruite in elevato.
Ancona-L’Anfiteatro romano
Si può calcolare che l’anfiteatro potesse accogliere fino a 10.000 spettatori e ciò suggerisce che l’edificio fosse destinato sia all’utenza cittadina sia a quella del contado, se non anche delle cittàromane più vicine. Le tecniche costruttive dell’anfiteatro di Ancona sono molteplici, spesso in mescolanza tra loro, a
testimoniare sia alcuni “ripensamenti” in corso d’opera, sia fasi edilizie successive. Dopo l’abbandono in età tardo antica (IV d.C.), venne utilizzato come cava di materiali e, a partire dal XIII secolo, come base per nuove costruzioni che ne hanno nascosto la struttura. L’arco di ingresso ingloba, probabilmente, la porta monumentale di accesso all’acropoli di epoca greca che, anche per la sua valenza culturale, fu gelosamente conservata dall’architetto di età augustea.
Adiacente all’anfiteatro è stato scavato parte di un complesso termale – un vasto ambiente (frigidario) con vasca rivestita di lastre di marmoree, pavimento a mosaico con iscrizione che menziona i duo viri della colonia augustea, da poco costituita, e pareti affrescate, e altri ambienti con resti del sistema di riscaldamento termale, eretti sopra un precedente lastricato stradale. Il rifugio Birarelli – rifugio antiaereo del carcere di santa Palazia (o “tunnel della morte “), fu costruito nei primi anni Quaranta dai detenuti del carcere. Concepito a protezione degli stessi detenuti, oltre che del personale del carcere, il rifugio fu un realtà aperto anche alla cittadinanza, e in particolare agli abitanti del quartiere Guasco – San Pietro; per questo era diviso in due parti da un piccola porta che separava i detenuti dalla popolazione. Durante il bombardamento della novembre 1943 il rifugio fu colpito da quattro bombe sganciate da bombardieri dell’Aviazione dell’esercito degli Sati Uniti, almeno due delle quali ebbero effetti sulle circa mille persone che in quel momento si trovavano all’interno, inclusi molti bambini e le orfànelle dell’Istituto Birarelli: i morti furono più di settecento (mai nella storia della guerra aerea si sono contate tante vittime civili in seguito a un bombardamento su un rifugio anti aereo). Il tunnel è stato riaperto nel novembre del 2013, a settanta anni da quei fatti, e al suo interno contiene anche preziose testimonianze di età romana.
ORARI: Segreteria Soprintendenza Archeologia delle Marche tel.071 50298202 -dal lunedi al venerdi ore 10.00-12.00 Prenotazioni per Gruppi superiori alle 20 unità
Ettore Pellegrini-Fortificare con arte-Betti Editrice-
I lIbri di Betti Editrice-Ettore Pellegrini-Fortificare con arte-Nella Valle della Chiana I centri fortificati collinari: Sinalunga, Chianciano, Cetona, San Casciano dei Bagni e i loro antichi castelli VOLUME IX – TOMO I
Betti Editrice-Ettore Pellegrini-Fortificare con arte
L’ormai ultradecennale percorso di “Fortificare con Arte” ha affrontato un’altra tappa irta di difficoltà: ostacoli consueti per chi fa ricerca nel campo dell’architettura militare, ma anche inediti come quelli frapposti dai proprietari all’osservazione diretta di alcune fortificazioni. La rilevanza storica e ingegneristica di non pochi dei soggetti indagati, l’ampiezza del territorio di riferimento nel consueto doppio registro della ricerca sui documenti d’archivio e dell’esplorazione sul campo, l’intento sia di descrivere l’assetto di apparati difensivi, sia di comprenderne le non sempre esplicite caratteristiche funzionali e strategiche, hanno complicato il lavoro degli studiosi e di quanti altri li hanno accompagnati in questo cammino. Tuttavia non l’ hanno fermato ed anche il nono volume della serie ha preso vita, uscendo di tipografia addirittura moltiplicato in tre tomi per una migliore fruibilità.
Betti Editrice-Ettore Pellegrini-Fortificare con arte
Nella Valle della Chiana Da arce etrusco-romana a piazzaforte confinaria della Repubblica di Siena: duemila anni di storia delle fortificazioni di Chiusi VOLUME IX – TOMO II
«Importante città capitale nell’antichità e primario nodo viario nel Medio Evo per i collegamenti trasversali e longitudinali dell’Italia centrale, Chiusi è stata oggetto di considerevoli attenzioni fortificatorie, che in ogni epoca hanno ostacolato i tentativi di conquista promossi da potenti sovrani, da ambiziosi signori e da bellicosi vicini. Dall’epoca degli Etruschi e dei Romana al Basso Medio Evo il sistema difensivo chiusino ha subito continui e pesanti interventi edilizi per riparare le demolizioni delle guerre o i danni degli agenti atmosferici, ma anche per adattare la capacità d’interdizione degli apparati ad affrontare sempre più evoluti sistemi di combattimento. Inevitabilmente, la decifrazione dell’assetto architettonico militare di questa città-fortezza nelle varie epoche costituisce oggi un’impresa assai complessa, se non impossibile». Dall’Introduzione.
Betti Editrice-Ettore Pellegrini-Fortificare con arte
Nella Valle della Chiana Proteggere una città contesa: la piazzaforte di Montepulciano nelle ambizioni espansionistiche di Siena e di Firenze tra il XIII e il XVI secolo VOLUME IX – TOMO III
«L’ormai ultradecennale percorso di “Fortificare con Arte” ha affrontato un’altra tappa irta di difficoltà: ostacoli consueti per chi fa ricerca nel campo dell’architettura militare, ma anche inediti come quelli frapposti dai proprietari all’osservazione diretta di alcune fortificazioni. La rilevanza storica e ingegneristica di non pochi dei soggetti indagati, l’ampiezza del territorio di riferimento nel consueto doppio registro della ricerca sui documenti d’archivio e dell’esplorazione sul campo, l’intento sia di descrivere l’assetto di apparati difensivi, sia di comprenderne le non sempre esplicite caratteristiche funzionali e strategiche, hanno complicato il lavoro degli studiosi e di quanti altri li hanno accompagnati in questo cammino. Tuttavia non l’ hanno fermato ed anche il nono volume della serie ha preso vita, uscendo di tipografia addirittura moltiplicato in tre tomi per una migliore fruibilità.». Dall’Introduzione.
Betti Editrice
La Betti Editrice nasce nel 1992 con un taglio prevalentemente locale con una particolare attenzione alla storia, cultura e turismo a Siena. Negli anni ha allargato il suo raggio d’azione a generi diversi (narrativa, edizioni per bambini,..) con uno sguardo che spazia all’intero territorio Toscano e a tematiche di interesse nazionale. Una produzione differenziata per argomenti e generi è elemento distintivo della Betti Editrice che opera nel mondo editoriale cercando di far convivere e tenere in equilibrio il rispetto della storia e delle tradizioni con la curiosità per l’innovazione e i linguaggi contemporanei.
Dal 2017 organizza il premio di narrativa dedicato alle storie di viaggio lungo la Via Francigena.
Biblioteca DEA SABINAMaurizio Leggeri fotoreportage-Roma- La via Appia antica-
La via Appia antica vista da due illustri viaggiatori del 1700.
Montesquieu
Montesquieu:“ Avvicinandoci a Roma s’incontrano tratti della Via Appia, ancora integri. Si vede un bordo o margo che resiste ancora, e credo che abbia più di tutto contribuito a conservare questa strada per duemila anni: ha sostenuto le lastre dai due lati ed ha impedito che cedessero lì, come fanno le nostre lastre in Francia, che non hanno alcun sostegno ai bordi. Si aggiunga che queste lastre sono grandissime, molto lunghe, molto larghe, e molto bene incastrate le une nelle altre; inoltre questo lastricato, poggia su un altro lastricato, che serve da base. Le strade dell’imperatore sono fatte di ghiaia messa su una base lastricata, ben stretta e compressa. Dopo, vi hanno messo un piede o due di ghiaia. Questo renderà la strada eterna. C’è da stupirsi che in Francia non si sia pensato a costruire strade più resistenti? Gli imprenditori sono felici di avere un affare del genere ogni cinque anni”.
Montesquieu, Viaggio in Italia, 1728-1729.
Maurizio Leggeri fotoreportage-Roma- La via Appia antica.Charles de Brosses
Charles de Brosses:“E’ questo, o mai più, il momento di parlarvi della Via Appia, cioè il più grande,il più bello e il più degno monumento che ci resti dell’antichità; poiché, oltre alla stupefacente grandezza dell’opera, essa non aveva altro scopo che la pubblica utilità, credo che non si debba esitare a collocarla al di sopra di tutto quanto hanno mai fatto i Romani o altre nazioni antiche, fatta eccezione per alcune opere intraprese in Egitto, in Caldea e soprattutto in Cina per la sistemazione delle acque. La strada, che comincia a Porta Capena, prosegue trecentocinquanta miglia da Roma a Capua e a Brindisi, ed era questa la strada principale per andare in Grecia e in Oriente. Per costruirla hanno scavato un fossato largo quando la strada fino a trovare uno strato solido di terra……Codesto fossato o fondamento è stato riempito da una massicciata di pietrame e di calce viva, che costituisce la base della strada, la quale è stata poi ricoperta interamente di pietre da taglio che hanno una rotaia. E tanto ben connesse che, nei posti dove non hanno ancora incominciato a romperle dai bordi, sarebbe molto difficile sradicare una pietra al centro della strada con strumenti di ferro. Da ambedue i lati correva un marciapiede di pietra. Sono ben quindici o sedici secoli che non soltanto non riparano questa strada, ma anzi la distruggono quanto possono. I miserabili contadini dei villaggi circostanti l’hanno squamata come una carpa, e ne hanno strappato in moltissimi luoghi le grandi pietre di taglio, tanto dei marciapiedi che del selciato. E’ questa la ragione degli amari lamenti che fanno sempre i viaggiatori contro la durezza della povera Via Appia , che non ne ha nessuna colpa; infatti, nei posti che non sono stati sbrecciati, la via è liscia, piana come un tavolato, e persino sdrucciolevole per i cavalli i quali, a forza di battere quelle larghe pietre, le hanno quasi levigate ma senza bucarle. E’ vero che, nei luoghi dove manca il selciato, è assolutamente impossibile che le chiappe possano guadagnarsi il paradiso, a tal punto vanno in collera per essere costrette a sobbalzare sulla massicciata di pietre porose e collocate di taglio, e in tutti i sensi nel modo ineguale. Tuttavia, nonostante vi si passi sopra da tanto tempo, senza riparare né aggiustare nulla, la massicciata non ha smentito le sue origini. Non ha che poche o punte rotaie ma solo, di tanto in tanto, buche piuttosto brutte”.
Charles de Brosses, Viaggio in Italia, 1739-1740.
a.c. Franco Leggeri-Associazione DEA SABINA-Foto di Maurizio Leggeri
Maurizio Leggeri fotoreportage-Roma- La via Appia antica.Maurizio Leggeri fotoreportage-Roma- La via Appia antica.
Il Museo Preistorico di Pofi è stato istituito nel 1961 dal sindaco Pietro Fedele dopo la scoperta di un’ulna umana fossile, associata a resti di faune estinte e manufatti litici, nelle sabbie vulcaniche della Cava Pompi, in quel tempo aperta nel territorio di Pofi. La sede attuale, aperta al pubblico dal marzo 2001, si trova nel fabbricato destinato ai servizi culturali, insieme alla Biblioteca, all’Archivio Storico e alla Sala conferenze. Il progetto scientifico e di allestimento è stato curato da Italo Biddittu, archeologo; il progetto tecnico è stato curato dall’ing. Francesco Chiarelli e dall’architetto Tommaso Brasiliano.
IL TERRITORIO
Il Museo presenta le testimonianze dell’uomo preistorico nel Lazio meridionale interno. Il percorso inizia (area 1) con una ricostruzione stratigrafica, un plastico del territorio, e con pannelli bilingue italiano-inglese, che riassumono le principali tappe dell’evoluzione del pianeta dalla Pangea fino agli aspetti della geologia regionale. Gli eventi più significativi del passato, che hanno contribuito alla morfologia del paesaggio e che hanno interferito con la presenza dell’uomo sono legati alla estensione di grandi bacini lacustri ora scomparsi e agli apparati del “Vulcanismo Ernico” con centri che sono stati attivi tra 700.000 e 110.000 anni. Tra questi viene dato particolare risalto nel museo all’apparato poligenico di Pofi, attivo tra 430.000 e 110.000 anni, del quale si possono osservare nella morfologia del paesaggio quattro o cinque crateri principali. Nel museo sono esposti, tra l’altro, una bomba lavica di notevoli dimensioni e di forma particolarmente interessante.
OMINIDI FOSSILI (Argil l’uomo di Ceprano)
Nelle aree 2 e 3 sono trattati i temi dell’origine ed evoluzione dell’uomo attraverso l’esposizione di calchi di ominidi dagli Australopiteci (Lucy, Australopithecus afarensis) ai primi uomini africani (Homo rudolfensis, Homo habilis, Homo ergaster), la diffusione in Asia (Homo georgicus, Homo erectus), l’arrivo in Europa. Questa sezione didattica del Museo si è arricchita recentemente con l’acquisizione di numerosi calchi (circa 180) tra fossili umani, manufatti e resti di fauna, che costituiscono un nucleo importante nelle collezioni didattiche e di confronto del Museo. L’esposizione del cranio dell’Uomo di Ceprano (500.000 anni, noto anche come Argil), tra i più antichi fossili umani europei, rappresenta una tappa importante nel percorso del Museo. Il riconoscimento che il fossile ha avuto in campo internazionale per la sua particolare morfologia,con tratti arcaici uniti ad altri più evoluti, tanto da suggerire la creazione di una nuova specie e la presenza di numerosi siti archeologici con manufatti e faune del Paleolitico inferiore, hanno dimostrato l’importanza del Lazio meridionale per le conoscenze sull’evoluzione biologica e tecnologica dell’umanità preistorica. Nel percorso, articolato in senso cronologico, sono esposti anche i resti fossili umani di ulna e tibia rinvenuti nella cava di “pozzolana” di Giovanni Pompi (area 6), in attività negli anni sessanta del secolo scorso a Pofi. Il record fossile della provincia di Frosinone è completato anche dai quattro denti umani rinvenuti nel giacimento di Fontana Ranuccio di Anagni, datato con il metodo K-Ar 458.000 anni (area 4).
PALEONTOLOGIA
La fauna pleistocenica esposta è rappresentata da numerosi esemplari di Elephas antiquus, il gigantesco elefante che viveva nel Lazio meridionale, contemporaneo degli ominidi che spesso utilizzavano porzioni delle diafisi per realizzare manufatti in osso, alcuni particolarmente elaborati. Di questa specie sono esposti nel museo due crani, uno di giovane ed uno di adulto, alcune mandibole, 5 difese, coxale e femore dello stesso individuo, le ossa di un piede in connessione anatomica; questi reperti sono stati rinvenuti a Pofi, Ceprano, Isoletta, S. Giovanni Incarico, Strangolagalli.
Il genere Mammuthus è rappresentato con le tre specie M. meridionalis (da Castro dei Volsci), M. trogontherii (da Isoletta) e M. primigenius (da Veroli S. Anna), (aree 4, 5, 6 e 7). Sono esposti anche notevoli resti di cervi, buoi, rinoceronti, ippopotami. Particolarmente interessanti sono i resti paleobotanici (strobili di conifere, semi, “ciottoli” di legno modellati dall’azione delle acque sulle rive del bacino Lirino e i resti di molluschi di acqua dolce provenienti dal giacimento di Isoletta (Arce). Manufatti in pietra realizzati con la tecnologia del Modo 1 sono stati rinvenuti nei livelli sottostanti a quelli in cui era il cranio dell’uomo di Ceprano, e sono presenti anche nei giacimenti di Arce, Fontana Liri, Castro dei Volsci.
Si tratta di una tecnologia molto antica, che unitamente ai dati stratigrafici ricavati dallo studio dei giacimenti ricordati, pone l’arrivo dell’uomo nel Lazio meridionale intorno ad un milione di anni fa (area 3). Non sappiamo ancora per quanto tempo siano sopravvissuti nell’Italia centrale gli ominidi di questa prima fase di esplorazione del nostro territorio. E’ comunque un dato di fatto che 600.000 anni fa si diffondono in Europa gruppi umani che conoscono una nuova tecnologia nella lavorazione della pietra, indicata come Modo 2, rappresentata soprattutto da un manufatto a simmetria bilaterale ottenuto con distacchi bifacciali, noto come “amigdala”.
La relativa diffusione di questo manufatto, in siti datati tra 458.000 anni (Anagni- Fontana Ranuccio) e 250.000 anni (Ceprano-Campogrande-Colle Avarone, Arce-Isoletta, S.Giovanni Incarico-Lademagne, Pontecorvo-Cava Panzini, Aquino-Cava Pelagalli, Casalvieri), associato naturalmente ad una varietà di strumenti su ciottolo e su scheggia, sembra indicare una maggiore adattabilità agli ambienti e alle variazioni climatiche degli artefici di questo aspetto culturale. (aree 4 e 5 ) Nel museo è possibile osservare una copia della splendida amigdala in osso rinvenuta nel giacimento di Anagni Fontana-Ranuccio, datato col metodo del Potassio-Argon 458.000 anni, ottenuta scheggiando una porzione di spesso osso di elefante.
I resti fossili umani attribuiti a questa umanità (quattro denti da Anagni-Fontana Ranuccio 458.000 anni; ulna, tibia e frammento di cranio da Pofi-Cava Pompi 400.000 anni, esposti nel Museo) vengono raggruppati, secondo la terminologia attuale, nella specie Homo heidelbergensis.
Museo Preistorico di Pofi
IL PALEOLITICO MEDIO
Come è stato notato in molte regioni europee anche nel Lazio meridionale appare sfuggente, per assenza di giacimenti ben datati, una fase di transizione tra il Paleolitico inferiore e il Paleolitico medio. Quello che appare invece evidente, per le testimonianze rappresentate da manufatti tipologicamente riferibili a questa fase presenti in giacimenti in grotta e all’aperto, è la diffusione delle tracce della presenza di gruppi umani di Homo neanderthalensis.
Nel Lazio meridionale interno sono importanti i giacimenti di Sora e Carnello nei quali sono stati rinvenuti manufatti del Paleolitico medio di tecnica levalloisiana associati ad abbondante fauna fossile con specie di habitat freddo. Altri siti con manufatti di questa epoca, esposti nel museo, sono quelli di Pofi, Ceprano, Vicalvi, Isola Liri, Cassino.
Nel Museo un insieme importante è rappresentato dai manufatti rinvenuti in superficie, per l’interessamento di Pietro Fedele, in varie zone del territorio comunale di Pofi (soprattutto da Mola Sterbini). Per l’illustrazione didattica dell’umanità neandertaliana nel Museo sono esposti i calchi del cranio Saccopastore 1 rinvenuto a Roma, e Guattari 1 rinvenuto al Monte Circeo (area 7).
IL PALEOLITICO SUPERIORE
La diffusione in Europa dell’uomo anatomicamente moderno (Homo sapiens) viene posta, anche se con cronologia differenziata da regione a regione, intorno ai 40.000 anni fa. Nel Lazio meridionale interno sono, per ora, scarse le testimonianze di questa nuova fase dell’Età della pietra, e sono in gran parte derivate da rinvenimenti in superficie. Le aree di provenienza dei manufatti esposti nel Museo sono soprattutto quelle di Pofi-Mola Sterbini mentre rari manufatti provengono da Ceprano-Colle Avarone e da Anagni-Paduni (area 8).
Nella regione sono noti i giacimenti in grotta di Collepardo (Peschio Ranaro) attribuito ad una fase dell’Epigravettiano finale datato 9.730 B.P. La fauna è rappresentata da stambecco più abbondante, capriolo, cinghiale, marmotta, ermellino, gatto selvatico. Altri reperti in grotta provengono da Trevi nel Lazio e da Anagni-Osteria della Fontana.
IL NEOLITICO E L’ETA’ DEI METALLI
Il percorso finale del Museo (area 8) illustra le ultime fasi della preistoria fino alle soglie della protostoria. Si tratta di una sezione per ora poco estesa che sintetizza, con i rari rinvenimenti neolitici di Sora, Canterno e Ceccano, la trasformazione del mondo dei cacciatori in quello degli agricoltori-pastori (passaggio da una economia di “prelievo” a quella di produzione). La rarità dei siti riferibili al Neolitico nel Lazio meridionale interno, imputabile probabilmente solo alla carenza delle ricerche, rappresenta un vuoto nella documentazione che si spera possa essere colmato con le future ricerche. Con l’Età del rame e del bronzo, alle quali sono destinati due espositori con materiali di Pofi, S.Giovanni Incarico e Ceprano, termina il percorso del Museo.
Sezione tattile per non vedenti e per bambini: Il percorso del Museo è stato progettato per offrire ai non vedenti e ai bambini la possibilità di manipolare sia oggetti originali sia modelli di peso equivalente dei più importanti reperti esposti. La maggior parte degli espositori è fornita di contenitori nei quali sono messi a disposizione dei visitatori modelli di reperti, calchi di crani umani fossili illustrati da testi in Braille per non vedenti. Su prenotazione si effettuano visite guidate e attività di laboratorio anche per non vedenti.
Informazioni utili
Indirizzo: Via S. Giorgio, 28, 03026 Pofi (Fr)
Tipologia di Museo: a Indirizzo: Via S. Giorgio, 28, 03026 Pofi FR
Giorni e orari di apertura: martedì, sabato e domenica: 09.30-13.00. Lunedì, mercoledì, giovedì e venerdì: aperti su prenotazione
Biglietto di ingresso:
Ingresso Gratuito fino a 5 anni e oltre 65 e diversamente abili
[Da 6 a 18 anni] Biglietto d’ingresso: 2,00 Euro – Visita guidata: 1,00 Euro – Laboratorio: 1,00 Euro – Scavo simulato: 1,00 Euro
[Da 19 a 64 anni] Biglietto d’ingresso: 2,50 Euro – Visita guidata individuale: 10,00 Euro – Visita guidata fino a 20 persone: 20,00 Euro
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