Fotoreport di Franco Leggeri- Fotocamera OLYMPUS OM-D
Breve storia del Borgo di Testa di Lepre-Ad ovest di Boccea, a circa 2500 m di distanza dal Castello di Boccea è conservato il Casale di Testa di Lepre di sopra. Nel secolo XII il Casale apparteneva alla Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma, proprietà confermata da Papa Celestino III nel 1192. Il Casale entrò in seguito a far parte dei beni del Patrimonio della Basilica di San Pietro. Vi subentrarono, alla metà del XV secolo, gli Orsini e nel 1453 Francesco Orsini vendette “Testa di Lepre”, insieme ad un “Castrum dirutum” (Castello di Boccea?) a Pandolfo Anquillara. Il Casale di Testa di Lepre di sopra ( il Casale di Testa di Lepre di sotto circa 4 Km a Sud,–Pamphilj dal 1649- è invece completamente moderno), anche se notevolmente rimaneggiato , mostra ancora la caratteristica forma di Casale Torre con alta Torretta , centrale, incorporata. A Testa di Lepre, territorio, doveva esistere nel sito ove ora sorge il Casale di Malvicino, circa 2 Km a Nord di Testa di Lepre. L’esistenza della Torre di Malvicino è indicata in un disegno del Catasto Alessandrino (Papa Alessandro VII) in cui è disegnata una costruzione a tre piani munita di merlatura. Testa di Lepre e Malvicino dovevano costituire due importantissimi posti di vedetta per il controllo della via di Tragliata che univa il Castello di Boccea (sito sopra i Laghetti dei Salici) e il Castello (ora Borgo) di Tragliata.
Castel di Guido- 19 giugno 2016-Un bilancio provvisorio. Continua il lavoro di ricerca “archeologia di biblioteca”. Ho iniziato questa ricerca, come ho sempre detto, per curiosità e per attività di “conoscenza”, ma quando ci si trova “sul campo”, con i faldoni e cartelle a portata di mano, la realtà ti prende e ti porta alla “storia successiva”. Quando sei tra gli scaffali di una biblioteca o in un archivio ,non sai mai cosa riserva il faldone polveroso che stai per aprire. Come descrivere la sensazione che si prova quando vai con un’antica carta topografica nella zona, descritta in documento, a verificare “le pietre” o “trovare tracce” di fatti avvenuti secoli addietro.
Delusioni? Tantissime, ma anche piacevoli “scoperte” con “riscontri” di ciò che il manoscritto(fotocopia) che stai leggendo narra. La documentazione archivistica che sto esaminando, con ricerche in varie biblioteche e archivi di Roma e non solo, è molto vasta e si presenta, in molteplici forme, come singoli o gruppi di documenti o da archivi ,più o meno, poderosi con documenti connessi da reciproche relazioni. Sono rimasto colpito nello scoprire la grande varietà degli “ATTI” ,prodotti nei secoli passati, relativi alla Campagna Romana . Ho rivisitato e mi sono soffermato sul significato della definizione di “ARCHIVIO” che molti storici così ne hanno illustrato il significato:” L’archivio rappresenta lo specchio della società che riflette, in realtà, da un archivio concepito e inteso esclusivamente come tesoro del principe si arriva pian piano all’archivio recepito come prodotto dell’attività di un Ente o persona che raccoglie e conserva nel suo archivio i documenti per le proprie finalità pratiche e per la certificazione di diritti o, con il passare del tempo, per la ricerca storica.”
Concludo augurandomi che in futuro prossimo , a breve, un sempre maggior numero di persone possa avvicinarsi e contribuire allo sviluppo della storia locale di Castel di Guido, poiché la storia non è stata scritta solo dai “vincitori”, ma spesso da persone umili che nel corso dei secoli hanno cercato di costruire un futuro migliore.
Franco Leggeri Fotoreportage-Fiume ARRONE-Confine di Roma-Fiumicino
L’Arrone è un fiume del Lazio; scorre nella provincia di Roma, è lungo 35 chilometri, nasce nella parte sud-orientale del lago di Bracciano ad Anguillara Sabazia e sfocia a Fiumicino nel mar Tirreno tra Maccarese e Fregene. Il bacino misura 125 km² di superficie.
Pur configurandosi emissario del lago di Bracciano, il contributo del lago alla portata del fiume è esiguo, e in alcuni mesi dell’anno del tutto nullo. Nell’alto bacino sono presenti le sorgenti dell’Acqua Claudia.
Dall’estremità sudorientale del lago, a quota 164 nsln, il fiume si dirige da Nord Ovest a Sud Est per circa 3 km, poi si dirige a Sud per 12 km e quindi a Sud Ovest fino alla foce. In questo tratto confluisce il Rio Maggiore, affluente di destra. Subito a valle di questa confluenza il bacino dell’Arrone è attraversato dalla Strada Statale Aurelia.
Alla foce è presente un prezioso ambiente umido che, insieme a tutta l’area contigua coperta da macchia mediterranea detta Bosco Foce dell’Arrone, fa parte della Riserva naturale Litorale romano.
Curiosità
“Sulle rive dell’Arrone” è il titolo di una canzone di Daniele Silvestri, contenuta nell’album “Il Latitante” (2007), in cui si parla della prospettiva, raggiungibile dalle rive del fiume, con cui si riescono a vedere diversamente le cose.
All’Arrone accenna in tutt’altri termini lo spettacolo teatrale “Storie di scorie” di Ulderico Pesce, in cui si affronta il problema delle scorie nucleari, come quelle stoccate nel deposito nucleare alla Casaccia che avrebbero contaminato in passato anche il fiume, con danni incalcolabili all’ambiente.
Borgo TESTA di LEPRE la perla della Campagna Romana- By night
-Fotoreportage di Franco Leggeri-
Campagna Romana-Borgo TESTA di LEPRE -Pillole di Storia.
Borgo TESTA di LEPRE –Ad ovest di Boccea, a circa 2500 m di distanza dal Castello di Boccea è conservato il Casale di Testa di Lepre di sopra. Nel secolo XII il Casale apparteneva alla Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma, proprietà confermata da Papa Celestino III nel 1192. Il Casale entrò in seguito a far parte dei beni del Patrimonio della Basilica di San Pietro. Vi subentrarono, alla metà del XV secolo, gli Orsini e nel 1453 Francesco Orsini vendette “Testa di Lepre”, insieme ad un “Castrum dirutum” (Castello di Boccea?) a Pandolfo Anquillara. Il Casale di Testa di Lepre di sopra ( il Casale di Testa di Lepre di sotto circa 4 Km a Sud,–Pamphilj dal 1649- è invece completamente moderno), anche se notevolmente rimaneggiato , mostra ancora la caratteristica forma di Casale Torre con alta Torretta , centrale, incorporata. A Testa di Lepre, territorio, doveva esistere nel sito ove ora sorge il Casale di Malvicino, circa 2 Km a Nord di Testa di Lepre. L’esistenza della Torre di Malvicino è indicata in un disegno del Catasto Alessandrino (Papa Alessandro VII) in cui è disegnata una costruzione a tre piani munita di merlatura. Testa di Lepre e Malvicino dovevano costituire due importantissimi posti di vedetta per il controllo della via di Tragliata che univa il Castello di Boccea (sito sopra i Laghetti dei Salici) e il Castello (ora Borgo) di Tragliata.
Bibliografia –AA.VV. Giovanni Maria De Rossi- torri segnaletiche-Ricerche bibliografiche , Eufrosino della Volpaia 1547,catastali e foto originali sono di Franco Leggeri (Articoli per il sito WWW.ABCVOX.INFO- Torri della via Aurelia-Eufrosino della Volpaia 1547)
Testa di Lepre- 20 febbraio 2023-Credo che oramai si possa dire che il Carnevale del Borgo di Testa di Lepre, assieme al Palio dei Fontanili, è un appuntamento radicato nel calendario degli eventi della Campagna Romana. Domenica pomeriggio abbiamo assistito ad una “imponente” sfilata dove le Contrade e i Gruppi mascherati si sono esibite in gare di bravura. Le sfide erano tra tecnica, creatività e scenografica, assieme all’impegno e all’aggregazione . Vorrei sottolineare che i carri avevano una componente realistica di scene che tengono presente anche la tecnica cinematografica . Come non evidenziare che in questa grande e colorata manifestazione, della durata di molte ore, i figuranti in maschera hanno animato i carri, trainati durante il tragitto dai pazienti e attenti “trattoristi” ai quali va il Grazie degli organizzatori . Il pubblico, stimato in varie migliaia di persone, ha decretato il successo di questa manifestazione che, nata nel 2018, ha oramai basi solidissime per le future edizioni. Un carnevale diverso, lontano dall’urbanizzazione selvaggia e dalle auto infestanti. Festa salutare nella Campagna Romana dove, parafrasando Pasolini, “Lo sguardo buca l’orizzonte”. La Protezione Civile di Castel di Guido, capitanata dal Presidente Attilio Zanini, ha garantito la sicurezza durante tutta la manifestazione. Le Contrade: BORGO, COLONNACCE, MALVICINA e PRATARONI hanno permesso il successo dell’evento .Il successo del Carnevale 2023 è frutto della regia e dell’organizzazione del Direttivo Pro Loco, del suo Presidente Anna Rita Rastelli e del Priore del Palio dei Fontanili Luigi Conti.
Articolo di Luigi CONTI-Priore del Palio dei Fontanili
Borgo di Testa di Lepre-12 novembre 2022–Oggi come mai siamo sempre più legati al territorio, abbiamo potuto vedere come con il progetto della Pro Loco del Grano Antico abbia riscosso successo, sicuramente parte del merito è legato alla voglia di tutti di sentirsi legati alle tradizioni ed ai luoghi dove si è nati o cresciuti. Proprio in questo senso la Pro Loco Giovani di testa di lepre capitanata dal giovane Marco Proietti con la supervisione di Fabrizio Miotto (Delegato della Pro Loco di Testa di Lepre e sempre attivo nei riguardi delle problematiche del territorio) ha voluto partecipare in modo attivo al progetto proposto a noi della Pro Loco dall’ASSOCIAZIONE CULTURALE CORNELIA ANTIQUA. Progetto che subito è stato valutato interessante sia per l’invito a riscoprire quelle parti nascoste del territorio stesso sia per l’interesse storico-culturale che ha suscitato dal primo momento. Il progetto è finalizzato alla creazione di nuovi percorsi, un itinerario inedito, per restituire insieme lustro ed importanza alla memoria storica del nostro territorio, lunga più di 3000 anni.
La Pro loco giovani di testa di Lepre la conosciamo è ormai presente nella nostra quotidianità, andiamo a conoscere questa, per noi, “nuova” realtà, l’Associazione Culturale Cornelia Antiqua. È una associazione di speleo-archeologia, che si occupa in collaborazione con la Soprintendenza di scoprire e censire antichi siti storici, presenti nel nostro territorio. Inoltre si occupa della divulgazione delle informazioni storiche-culturali all’area nord ovest di Roma, al fine di sensibilizzare i cittadini, riguardo al suo valore e la necessità di rispetto. Quindi già sapere che è questa associazione che viene a proporci un progetto del genere ci fa capire quanta serietà si debba investire, ma come se non bastasse la loro esperienza andiamo a vedere chi saranno altri “enti” a partecipare.
Il Progetto sarà realizzato in COOPERAZIONE con il CORPO ITALIANO DI SAN LAZZARO, specializzato nella creazione e nella tutela degli itinerari storici e paesaggistici.
Altre associazioni partecipanti oltre alla Pro Loco Giovani del Borgo di Testa di Lepre : la Pro Loco di Tragliatella, Enzo Stefanoni (GAR – Sezione Cerveteri) e I RASENNA (Associazione culturale-archeologica-rievocazione etrusca). La figura scientifica del progetto è l’ Archeologo Dott. MICHELE DAMIANI.
Non rimane che dare , per ora, una breve e sintetica illustrazione dei percorsi previsti nel progetto. È stato elaborato un percorso a triangolo, i cui vertici sono costituiti dalle città di Vejo, Cerveteri e dalla via Cornelia. È stato ,inoltre ,incluso la città di Campagnano, ch’è ben collegabile essendo situata 20km a nord del Borgo di Isola Farnese. Quindi partendo da questo punto sarebbe possibile sia proseguire verso sud, in direzione di Isola Farnese (e in seguito verso la via Cornelia) sia verso ovest, in direzione di Cerveteri. All’interno del percorso a triangolo, sono stati previsti diversi tracciati, che saranno gestiti , in sinergia tra di loro, dalle Associazioni. In tutta l’area interessata dal progetto vi sono numerose ed importanti testimonianze storiche-archeologiche e di Fede, testimonianze che inserite in questi percorsi saranno evidenziate e messe in risalto questo al fine farle conoscere e ammirare da tutti i visitatori.
Questo progetto è ben strutturato e analitico anche nei più piccoli dettagli come ipotizzato e programmato dall’Associazione Culturale Cornelia Antiqua (che invitiamo tutti a seguire perché nel territorio si sta distinguendo con varie iniziative importanti) ci ha invitati come partecipanti perché ha potuto valutare quanto è attiva la nostra Pro Loco di Testa di Lepre e noi sicuramente sapremo rispondere mettendoci all’opera nel miglior modo possibile. Marco Proietti e Fabrizio Miotto per la parte di percorsi che interessa il territorio di nostra competenza, già si sono messi in moto, recuperando la cartografia regionale scala 1:5000 da dove poter iniziare ad individuare aree e percorsi di maggior interesse. Molto presto faremo una riunione dove illustreremo per intero il progetto, inviteremo Cristian Nicoletta Presidente dell’Associazione CORNELIA ANTIQUA e alla Dott.ssa Tatiana Concas geologa e Consigliere dell’Associazione medesima. Nell’occasione avrete la possibilità di vedere con quanta passione i nostri ragazzi sanno dedicarsi al territorio che ci circonda. Un ringraziamento veramente grande lo dobbiamo a Tatiana per tutte le informazioni che fornisce di continuo.
Articolo di Luigi CONTI-Priore del Palio dei Fontanili del Borgo di Testa di Lepre
Il Castello di Boccea sorge sul “fundus Bucciea” che domina la valle del fiume Arrone e il fondo denominato anticamente “Ad Nimphas Catabasi”, sito al decimo miglio dell’antica via Cornelia,(domina il ristorante i SALICI sito sulla via Boccea). Si accede da una via sterrata all’interno della campagna e, come d’incanto, si vedono i resti del vecchio castello, luogo dove albergano le fiabe e ciò che rimane di una architettura delle allucinazioni per chi ha voglia di emozioni, le grandi emozioni, con un percorso iniziatico alla fantasia. Della vecchia costruzione , oltre ai cunicoli e gallerie, è visibile il Torrione, costruito in pietra selce e mattoni con rinforzi di possenti barbacani, necessari per contenere ed arginare il progressivo cedimento del banco tufaceo che costituisce la base naturale del fabbricato. Il Castello domina i boschi dove, nel 260 d.C. furono martirizzate S.s. Rufina e Seconda, mentre nelle vicinanze, al XIII miglio della stessa via Cornelia, nel 270 d.C. sotto l’Imperatore Claudio il Gotico, subirono il martirio Mario e Marta con i figli Audiface ed Abachum, famiglia nobile di origine persiana, come si legge nel Martirologio Romano”Via Cornelia melario terbio decimo ad urbe Roma in coementerio ad Nimphas, sanctorum Marii, Marthae, Audifacis et Abaci, martyrum”. Le prime tracce cartacee documentali del Castello si trovano nella bolla di Papa Leone IV, conservata negli archivi vaticani,tomo I pag. 16, con la quale si conferma la donazione al monastero di San Martino del “fundus Buccia” e delle chiese dei Santi Martiri Mario e Marta. Il Papa Adriano IV nel 1158 confermò alla basilica vaticana il Castello e i fondi di Atticiano, Colle e Paolo. In un antico atto conservato in Vaticano, al fascicolo 142,si legge che nel 1166 Stefano, Cencio e Pietro, fratelli germani e figli del fu Pietro di Cencio, cedettero a Tebaldo, altro fratello, la loro porzione del Castello di “Buccega”. Sempre dal medesimo archivio si apprende che Giacomo, Oddo, Francesco e Giovanni di Obicione, Senatori di Roma nell’anno 58 ( 1201), stabilivano che la basilica di San Pietro possedesse e godesse tutti i beni e gli abitanti del Castello di Buccia fossero sotto la protezione del Senato. Si stabilì che anche i canonici del Castello usufruissero dei privilegi e consuetudini accordati ai loro vicini, cioè come l’esercitavano nei loro castelli i figli di Stefano Normanno, Guido di Galeria e Giacomo di Tragliata (Vitale, “Storia diplomatica dei Senatori di Roma”, pag. 74 ). Da una bolla di Gregorio IX del 1240 si ha notizia di un incendio che distrusse il Castello e che il Pontefice ordinò di prelevare il denaro necessario alla ricostruzione direttamente dal tesoro della Basilica Vaticana (Bolla vaticana Tomo I, pag.124).In un lodo del 1270,che tratta di una lite di confini della tenuta,si menziona tra i testimoni Carbone,Visconte del Castello di Boccea. Il Castello subì nel 1341 l’attacco di Giacomo de’ Savelli, figlio di Pandolfo che, dopo averlo preso, scacciò gli abitanti e lo incendiò. Papa Benedetto XII, che era ad Avignone, scrisse al Rettore del patrimonio di San Pietro di”costringere quel prepotente a risarcire il danno”. Dopo il saccheggio da parte del Savelli il luogo rimase deserto secondo il Nibby mentre il Tomassetti, nella sua opera (pag.153) ci descrive il castello e la tenuta ancora abitato da una popolazione di 600 anime, cifra ricavata dalle quote sulla tassa del sale dell’anno 1480/81, durante il papato di Sisto IV. Della trasformazione da Castello a Casale di Boccea, moderna denominazione, si trova traccia nel Catasto Alessandrino del 1661,dove la costruzione viene indicata come “Casale con Torre”. Va ricordato che da 20 ettari di uliveto di Boccea si produceva l’olio destinato ai lumi della Basilica Vaticana, come si può desumere dalla cartografia seicentesca di G.B.Cingolani dove si legge”seguita a destra il procoio pure detto delle Vacche Rosse del Venerabile Capitolo di San Pietro, chiamato Buccea, olium Buxetum”. Attualmente il Casale di Boccea è in ristrutturazione con destinazione turistico-alberghiera, con un grande ristorante nel quale troneggia un imponente camino seicentesco in pietra. Altre tracce del passato sono i vari stemmi papali inseriti nei muri ed un frantoio manuale di recente ritrovamento, del tutto simile a quelli del Castello della Porcareccia e di Santa Maria di Galeria. – articolo e foto di FRANCO LEGGERI
Brucia. Brucia il peccato. Brucia il lusso. Brucia il vizio. Brucia il demonio. Brucia la depravazione. Brucia la perdizione.
Brucia la febbre di conquista, nel volto di Girolamo Savonarola (1452-1498): il rivoluzionario, il moralizzatore, il profeta dei Piagnoni.
Le fiamme illuminano i suoi occhi spiritati, quasi in estasi di fronte a quello spettacolo di purificazione.
È il 7 febbraio 1497 e nel grande falò al centro di Piazza della Signoria bruciano migliaia di oggetti: specchi, cosmetici, vestiti di lusso, arpe, bombarde, cetre, chitarre, liuti, ciaramelle, cornamuse, flauti, ghironde, vielle, e ancora dadi, profumi, livree, parrucche, carte da gioco, libri immorali, manoscritti con canzoni profane, dipinti.
Sandro Botticelli ammira i suoi capolavori ardere: errori di gioventù finalmente riparati, opere infamanti che non infangheranno più il suo buon nome.
Dipinti pagani, che ritraggono figure mitologiche e che parlano di sensualità e di passione: Venere, Marte ed Ercole bruciano nel rogo. Brucia il mostruoso Centauro, bruciano i satiri giocherelloni.
Brucia il suo passato di peccato alla corte dei Medici, brucia la vergogna di artista cortigiano foraggiato dalla borghesia fiorentina; brucia per sempre l’epoca in cui dipingeva cicli ispirati al Decameron di Boccaccio e opere piene di allegorie pagane, brucia l’esaltazione del trionfo della vita.
Girolamo Savonarola (Fra Bartolomeo, 1498, olio su tavola, Museo nazionale di San Marco, Firenze)
Per anni Sandro aveva prestato la sua arte per celebrare matrimoni e allietare banchetti di vino ed orge.
Poi era arrivato Savonarola ed era morto Lorenzo il Magnifico, e tutto era cambiato. Tutte le vecchie sicurezze si erano infrante, il trionfo della vita aveva lasciato il passo all’annuncio della morte e del giudizio finale e Sandro si era sentito profondamente colpevole per aver dato volto a quel magistero artistico tanto aspramente condannato dal “santo frate”.
Così, in questo martedì grasso che non era mai stato così magro, e terrificante ed esaltante, lo stesso pittore è corso alla sua bottega per fare razzìa delle sue opere e gettarle nel rogo.
Si guarda intorno e percepisce un’eccitazione generale.
È un’antica usanza, a Firenze, quella di accendere il grande falò per l’ultimo giorno di carnevale: tutto il popolo si adopera per portare in piazza legna, frasche e paglia, e poi lasciarsi andare a danze orgiastiche per tutta la notte.
Savonarola ha deciso di rispettare l’usanza anche quest’anno, ma con una piccola differenza: perché oggi saranno proprio le orge a bruciare sul falò: orge di ogni genere. Ogni forma di lascivia e impudicizia è destinata a finire nel grande rogo: che siano statue di uomini e di donne nudi o quadri dei grandi maestri del tempo, o strumenti musicali, o libri, o canzonieri. Ognuno porta ciò che vuole, e gli artisti stessi fanno a gara per purificare le proprie opere.
Baccio della Porta ha portato tutti i suoi disegni di studi sul corpo umano.
Ha 24 anni e in città è molto amato “per la virtù sua – scrive Vasari – assiduo al lavoro, quieto e buono di natura et assai timorato di Dio”. A Bartolomeo piace la vita quieta e fugge le pratiche viziose e molto gli dilettano le predicazioni, e cerca sempre “le pratiche delle persone dotte e posate”. Naturale, quindi che si sia letteralmente invaghito di Savonarola, tanto da essere spesso ospite nel convento dei frati domenicani, con cui ha stretto amicizia al punto che dopo la morte di Girolamo arriverà a farsi egli stesso frate domenicano. Sta anche preparando un ritratto del grande predicatore e ora ammira soddisfatto trasformarsi in cenere i suoi disegni in cui compaiono le figure nude di uomini e donne.
Al suo fianco, Lorenzo Di Credi osserva le fiamme con il sorriso tra le labbra. Allievo di Verrocchio e amico del Perugino e di Leonardo da Vinci, si è fatto conoscere con opere di arte sacra come la Madonna di piazza e L’Annunciazione, ma non aveva disdegnato di accettare committenze profane come il Ritratto di Caterina Sforza e la Venere. Ma il passato è alle fiamme, ormai. E nel suo futuro c’è solo il fervore religioso.
Un altro falò delle vanità (San Domenico e gli Albigensi) è ricordato nel dipinto del pittore spagnolo Pedro Berruguete
È un orgia casta, quella che si consuma attorno al fuoco, un delirio mistico e violento. Non ha convinto tutti, il frate riformatore: i suoi nemici si sono barricati in casa, altri sono venuti in piazza solo per guardare. Altri ancora sono confusi.
Come Cosimo, che osserva Savonarola, ascolta i suoi anatemi parola per parola. Ammira nei suoi occhi quella luce interiore che hanno gli uomini di fede, ammira la forza, ammira il rigore. Ma quando torna a casa e passa per via Tornabuoni, osserva compiaciuto le botteghe degli artisti, i bordelli, i mercati, e deve ammettere di sentirsi a suo agio tra i condannati.
Chi invece non ha alcun dubbio è lui: il nuovo “re di Firenze”, che si è guadagnato il favore del popolo riformando le tasse e abolendo l’usura e dopo aver rovesciato il regime dei Medici ha sfidato nientemeno che il Papa. Al suo fianco ci sono i fedelissimi Domenico da Pescia e Silvestro da Firenze.
Sono passati tredici anni da quando Girolamo ha messo per la prima volta piede in Firenze. Nella capitale del Rinascimento il frate ferrarese aveva trovato una città ricca, vivace, aperta al riso e al gioco; insomma il trionfo dell’immoralità e dell’indecenza. Più che la culla di una nuova civiltà il feretro di una nuova Sodoma.
Girolamo aveva iniziato subito a lanciare i suoi strali: il castigo divino – aveva annunciato – si sarebbe abbattuto sulla città per la corruzione del clero e dei costumi, per la lussuria, l’idolatria, le credenze astrologiche, la sodomia, il lassismo, la simonia. E aveva conquistato subito il cuore del popolo e dei poveri, che vedevano in lui il riscatto promesso dal Vangelo.
Si era scagliato con sempre più ferocia contro i capi della città che sono “superbi e corrotti, sfruttano i poveri, impongono tasse onerose, falsificano la moneta”.
Si era guadagnato così anche il sostegno dei nemici dei Medici. Lorenzo il Magnifico aveva cercato in ogni modo di fermarlo: con le buone e con le cattive. Lo aveva minacciato di confino e Girolamo aveva risposto che non se ne curava e anzi aveva predetto la prossima morte del principe. “Io sono forestiero e lui cittadino e il primo della città; io ho a stare e lui se n’ha a andare: io a stare e non lui”.
Poi Lorenzo gli aveva contrapposto un frate agostiniano, Mariano della Barba, che non era riuscito a reggere minimamente il confronto con il profeta della Rivoluzione.
Quando poi era diventato priore del convento domenicano, Girolamo si era rifiutato di rendere omaggio al principe come il suo nuovo ruolo avrebbe richiesto e come avevano fatto i suoi predecessori, né si era fatto ammansire dai doni e delle elemosine. E la sua cerchia dei fedeli era aumentata a dismisura.
Con la morte di Lorenzo de’ Medici, nell’aprile del 1492, quella Sodoma sembrava giunta finalmente sull’orlo del tracollo e il “Predicatore dei disperati” si era assunto il compito di salvarla dalla dannazione.
Monumento al frate domenicano in Piazza Savonarola a Firenze
Sinistri presagi avevano accompagnato la morte del Magnifico: durante una terribile tempesta un fulmine aveva colpito la cupola di Santa Maria del Fiore, lo stemma dei Medici era finito in mille pezzi e il medico di Lorenzo era stato trovato morto in fondo a un pozzo.
Tutti segnali, aveva spiegato il domenicano giunto da Ferrara, che l’Apocalisse era imminente. Dal pulpito del Duomo aveva lanciato i suoi strali contro l’immoralità dei fiorentini, l’arte rinascimentale, ma anche la ricchezza e il lusso della stessa Chiesa in mano al famigerato Alessandro VI Borgia.
Due anni dopo a suggellare la fine di un’epoca era arrivata l’invasione dell’esercito francese.
Carlo VIII era infatti determinato a prendersi anche la corona del Regno di Napoli che gli spettava – sosteneva – per supposti diritti ereditari.
Messosi in marcia sull’Italia con 30mila soldati di cui 8mila mercenari svizzeri, il 17 novembre 1494 era entrato a Firenze. Girolamo aveva enfatizzato il pericolo di saccheggi e violenze puntando il dito contro l’incapace Piero dei Medici, che prima si era schierato dalla parte degli aragonesi attirandosi l’ostilità del Re di Francia, poi si era arreso clamorosamente asservendosi del tutto al francese. Il popolo si era quindi indignato e ribellato e lo aveva cacciato dalla città proclamando la Repubblica.
Passato Carlo VIII, il potere è passato al governo democratico della Repubblica, ma in realtà è il predicatore domenicano ad aver assunto il pieno controllo della città e a dettare le regole a cui tutti, volenti o nolenti, devono adeguarsi.
Il supplizio di Savonarola – (Francesco di Lorenzo Rosselli, 1498 – Museo di S. Marco, Firenze)
Ora a Firenze non si gioca più in pubblico, le taverne sono serrate e le donne sono state costrette a rinunciare ad abiti troppo scollati e lascivi. La nuova Sodoma è diventata una nuova Gerusalemme, una terra santa dove si sperimenta una nuova forma di democrazia. Morale e popolare. Dove non sono più le regole del tiranno a dettare legge, ma quelle di Dio. O per meglio dire, del suo portavoce in tonaca bianca e mantella nera.
Una nuova democrazia, libera della corruzione dei potenti, ma assoggettata a un padre padrone che non insegue i propri interessi personali, ma decide per il bene della comunità e opera secondo giustizia. Il problema è che è lui il solo a decidere cosa è bene e cosa è giusto.
I gruppi politici si sono divisi in molte fazioni: i Bianchi (repubblicani) i Bigi (favorevoli ai Medici), i Frateschi o Piagnoni (sostenitori di Savonarola) e Arrabbiati o Palleschi (nemici giurati del frate). I Bianchi cercano di farsi valere sui Piagnoni e iniziano le prime frizioni: le proposte di legge di Girolamo per proibire le vesti scollate e le acconciature troppo elaborate vengono bocciate dal governo della città.
Intanto papa Borgia cerca in tutti i modi di liberarsi dell’ingombrante e ribelle frate: ha provato a spedirlo a predicare a Lucca, ma ha dovuto rinunciare per le proteste del popolo fiorentino. Poi lo ha convocato a Roma per interrogarlo, ma Girolamo ha rifiutato adducendo motivi di salute, e ha inviato una memoria scritta.
Lapide in piazza della Signoria a Firenze che ricorda il rogo di Savonarola
In seguito sono arrivate le sospensioni dagli incarichi, divieti di predicare e altri provvedimenti disciplinari, che Borgia ha dovuto puntualmente revocare a causa delle pressioni ricevute dai fiorentini. In compenso il frate non manca di attaccare il papa pubblicamente: “Noi non diciamo se non cose vere, ma sono li vostri peccati che profetano contra di voi, noi conduciamo li uomini alla simplicità e le donne ad onesto vivere, voi li conducete a lussuria e a pompa e a superbia, ché avete guasto il mondo e avete corrotto li uomini nella libidine, le donne alla disonestà, li fanciulli avete condotto alle soddomie e alle spurcizie e fattoli diventare come meretrici”.
L’ultimo tentativo per rabbonirlo è la nomina a cardinale, che Savonarola rifiuta sprezzante: “Io non voglio cappelli, né mitre né grandi né piccole; non voglio se non quello dato ai santi: un cappello rosso, un cappello di sangue, questo desidero”. E sarà accontentato, prima di quanto egli stesso non immagini.
Il falò in piazza della Signoria è l’ultimo grande atto della rivoluzione di Savonarola: dalle infiammate prediche è arrivato finalmente al rogo delle vanità; ma non lo sa, il nuovo padrone di Firenze, che la prossima a bruciare sul rogo – appena quindici mesi dopo, in quella stessa piazza – sarà la sua carne.
Ladispoli- 2 febbraio 2017-La prossima settimana inizierà una seconda fase del restauro e del recupero della fontana del Capitello Piacentini.
Sarà installato l’impianto di depurazione e clorazione che consentirà di avere l’acqua sempre limpida e il capitello esente dalla ricrescita delle alghe. Sarà inoltre rifatta tutta l’impermeabilizzazione della vasca.
I lavori saranno effettuati a cura di sponsor e dureranno circa un mese: la fontana sarà di nuovo aperta prima della Sagra del Carciofo.
Fontane identiche a quelle di Ladispoli sita in piazza della Vittoria esistono in altre 4 città del Lazio: Civitavecchia, Sora, Pontecorvo e Cassino.
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