Rieti-Il Velino si racconta: evento culturale al Palazzo della Provincia-
La Rete Porta Romana ha nel proprio ambito territoriale uno scorcio incantevole del fiume Velino, di qui l’idea di dedicare al fiume un incontro per conoscere meglio il fiume, la sua storia e la relazione con la città di Rieti. Così è nato “Il Velino si racconta” per far scoprire il fiume nei suoi elementi naturalistici e storici, un appuntamento che vuole coinvolgere persone adulte ma anche bambine e bambini per tramandare loro la memoria del fiume, in primo luogo quelli delle scuole “Luigi Minervini” e “Basilio Sisti”.
Rieti fiume Velino
Rieti fiume Velino
Rieti fiume Velino
Alle ore 10.30, il Palazzo della Provincia di Rieti sarà il teatro di un evento culturale e informativo dal titolo “Il Velino si racconta”. L’iniziativa è organizzata dalla “Rete di Imprese Porta Romana” e vedrà la partecipazione di diverse competenze del territorio.
L’evento sarà presieduto da Paola Simeoni, Presidente della “Rete di Imprese Porta Romana”. Apriranno i lavori i saluti istituzionali di Claudia Chiarinelli, Assessora allo Sviluppo Economico e ai Lavori Pubblici del Comune di Rieti.
Il programma prevede gli interventi di Giancarlo Cammerini, autore del libro “Il fiume in pieno” e dell’opera “Velino identità e risorsa”, e Mara Galli, Dirigente Scolastica dell’I.C. Minervini-Sisti. I due introdurranno l’illustrazione dei lavori realizzati dagli studenti, evidenziando l’importanza educativa e formativa del progetto.
Tra i relatori, Maurizio Turina, Presidente di APS Acqua Pubblica Reatina SpA, interverrà sul tema “Il Velino nel ciclo delle acque”, offrendo una panoramica tecnica e ambientale sulla gestione delle risorse idriche locali. Maria Gemma Grillotti Di Giacomo, Presidente del “Gruppo di Ricerca Interuniversitario GECOAGRI-LANDITALY”, discuterà il ruolo del fiume Velino nella storia e nello sviluppo della città di Rieti.
Il coordinamento dell’evento sarà affidata a Vincenza Bufacchi di Punto Impresa Srl CSA di CNA Rieti, che guiderà gli interventi e le discussioni.
L’iniziativa vedrà la partecipazione delle classi quinte della Scuola Primaria “Luigi Minervini” e delle classi prime della Scuola Secondaria di Primo grado “Basilio Sisti”, con un’esposizione dei lavori degli alunni, a testimonianza dell’impegno educativo delle scuole locali nel promuovere la consapevolezza ambientale e storica.
L’evento è finanziato ai sensi della D.D. n. G05757/2023 nell’ambito del progetto “Reti di Impresa tra Attività Economiche”, un chiaro segno dell’impegno delle istituzioni nel sostenere iniziative che valorizzino le risorse naturali e culturali del territorio.
TURANIA e Lago del Turano- (Rieti)- Brevi cenni storici-
TURANIA (Rieti)-Brevi cenni storici- Le prime notizie circa un paese chiamato “Petescia” risalgono all’890 e appartengono ad un documento che registra una donazione concessa all’Abbazia di Farfa. Il borgo, di origine preromane, deriva il suo antico nome da “ Pat-Aschi” che vuole dire , probabilmente, “Apertura della fiamma” mentre fu solo da 1950 che ebbe il nome di TURANIA in relazione al fiume omonimo che scorre nella zona. Fu feudo degli Orsini, dei Tagliacozzo, dei Muti e dal 1632, per quasi tre secoli, dei principi Borghese. Di particolare interessante è la chiesa parrocchiale di San Salvatore ricostruita completamente ne 1779. La chiesa di Santa Maria del Carmine, chiesa cinquecentesca, sorge nei pressi del centro abitato e vi si celebra solennemente il 16 luglio di ogni anno, la festa della Madonna del Carmine.
Posto a 536 m sul livello del mare lungo il corso del fiume Turano, il lago è lungo una decina di chilometri scarsi ed ha un perimetro di circa 36 km.
TURANIA (Rieti)-Lago del Turano-
Il bacino è di origine artificiale: fu realizzato nel 1939, con la costruzione della diga del Turano nei pressi dell’abitato di Posticciola e di Stipes, allo scopo di produrre energia idroelettrica e di evitare che le piene del fiume inondassero la Piana di Rieti[2]. Il vicino lago del Salto, anch’esso artificiale, fu realizzato contemporaneamente; i due laghi sono collegati da una galleria sotterranea lunga 9 km e insieme alimentano la centrale idroelettrica di Cotilia (situata a Cittaducale), parte del nucleo idroelettrico di Terni di Enel Green Power, che rilascia poi le acque nel Velino a monte della città di Rieti.
TURANIA (Rieti)-Lago del Turano-
Il lago si distende ai piedi del monte Navegna (1506 m), una riserva naturale coperta di boschi, ed è caratterizzato dalla presenza sulle sue rive di antichi paesi e castelli che si specchiano nelle limpide acque. A metà del lago si fronteggiano infatti, il primo su una penisola e l’altro su un cocuzzolo roccioso, i due centri abitati di Colle di Tora e di Castel di Tora, i cui nomi furono cambiati nel 1864 a ricordo dell’antica città sabina di Tora. Recente è la scoperta di una necropoli romana di età imperiale (200 d.C. circa) proprio nei pressi del paese di Castel di Tora[3]. Gli altri paesi che si affacciano sul lago sono Ascrea e Paganico Sabino.
Il Turano è stato utilizzato più volte come location cinematografica: il lago è infatti protagonista del film Il santo patrono (1972) di Bitto Albertini, dove recita Lucio Dalla nella parte del parroco Don Arcadio. Il film è stato girato per la maggior parte a Colle di Tora. L’antico borgo medievale di Antuni è stato invece protagonista del film Il cielo è vicino (1954) di Enrico Pratt.
Il lago del Turano è protagonista del videoclip di Petrolio[8], brano del rapper di XFactorCranio Randagio, e di alcune scene dei videoclip dei brani Ovunque tu sia[9] di Ultimo e de Il tuo amico di sempre[10] di Sergio Cammariere.
Sport
Nell’area del lago sono praticati, oltre a sport acquatici come vela, SUP, kayak, l’escursionismo-trekking grazie alla rete sentieristica della Riserva Naturale Regionale “Navegna-Cervia”, l’enduro, il ciclismo e dal 2017 alcuni piloti hanno iniziato a sorvolare il lago con il parapendio acrobatico.
TURANIA (Rieti)TURANIA (Rieti)TURANIA (Rieti)TURANIA (Rieti)-Lago del Turano-TURANIA (Rieti)-Lago del Turano-TURANIA (Rieti)-Lago del Turano-TURANIA (Rieti)-Lago del Turano-
Abbazia di Farfa l’esercito badiale.Milizia di Campagna.
L’Abbazia di Farfa aveva un piccolo esercito comandato, ordine diretto, dall’Abate. L’esercito doveva provvedere alla sicurezza del monastero , alle numerosissime dipendenze , alla giustizia e al buon governo dello Stato Abbaziale.
L’esercito fu impiegato,milizie rusticane , sotto il comando del grande Abate Pietro, per sette lunghissimi anni al contrasto all’invasione dei Saraceni. Le truppe dell’Abbazia furono più volte messe ai diretti ordini di vari Imperatori come nell’assedio di Cere (Cerveteri) nell’anno 999, le truppe furono al servizio di Ottone III, mentre nel 1022 erano impegnate nell’assedio di Troia ed erano comandate dall’Imperatore Enrico II. Per esercito si chiarisce che non deve essere inteso nel senso moderno cioè di un gran numero di soldati , ma lo si deve intendere in senso antico, quando tutti i principali Signori avevano alle proprie dipendenze dei militi che molto spesso erano contadini e come si può leggere negli annali scritti dallo storico francese Prudence de Troyes quando descrive la vittoria del Duca Guido I di Spoleto contro i Saraceni nella famosa battaglia avvenuta nell’846 d.C. a Lorium, nella Valle dell’Arrone sulla via Aurelia alle porte di Roma:” ” Guy, magravede Spolète accurt l’appel du Pape avec le concurs des Romaines il reporte une grande victoire sur les mecreants, battus par les milicies de la campanie romaine”. Traduzione “ Guido, margrave di Spoleto, accorse all’appello del Papa Sergio II , e con il concorso dei Romani riporta una grande vittoria sui miscredenti, battuti con l’aiuto determinante delle Milizie della Campagna Romana-Milizie Rusticane”.
FARFA esercito badiale-Milizia di Campagna.
Nella cronaca, seconda giornata, della guerra tra Berengario e Guido da Spoleto si legge testualmente :” Dopo una tregua, nella quale Guido poté rifare più numeroso e potente il suo esercito. La seconda giornata fu combattuta sul fiume Trebbi: stavano per Guido cinquecento fanti francesi capitanati da Ascanio di lui fratello, seicento cavalli sotto gli ordini di un Guaisino e di un Uberto, una schiera di giovani toscani, mille fanti di Camerino, cento pedoni guidati da un Alberico: un Ranieri guidava un’altra banda , trecento corazze un Guglielmo, e altre trecento un Ubaldo: seguivano parecchie migliaia di uomini di campagna( MILIZIA DI CAMPAGNA) più usati ,avvezzi, all’aratro che alle armi.Anche Berengario aveva con se tremila Friulani capitanati da Gualfredo, a cui aveva ceduto o promesso il marchesato del Friuli, mille e cinquecento corazze guidate da Unroco, mille e duecento cavalli tedeschi, altri cinquecento cavalli sotto gli ordini di un Alberico e una forte schiera di fanti e milizie rusticane.
Franco Leggeri.
Fonti –Card. IldefonsoScuster; Prudence de Troyes -Lorium;”Santa Maria di Galeria- Imperatore Carlo V “le Memorie principe Orsini;L’abbazia di Farfa di I.Boccolini-Abbazia di Farfa Tip. Vaticana 1921 ;Condizione contadina del 1500 Autori vari.
FARFA esercito badiale-Milizia di Campagna.FARFA esercito badiale-Milizia di Campagna.FARFA esercito badiale-Milizia di Campagna.
Toffia in notturna “…………., è una visione, uno stato d’animo, sensibilità per l’astratto e immateriale che solo loro, gli Artisti e i bambini lo sanno individuare e vivere. Parlo di quel particolare momento, durante il crepuscolo, che annuncia il passaggio dalla luce al buio: la cosiddetta “Ora Blu”. “L’here blue”, cara alla poetica , alla contemplazione e ai voli immensi che solo i notturni sottolineati dalle note di Chopin sanno trasformare la realtà in estasi che, poi, si sveglia alle note del Jazz”………… ……”immaginate Ernest Hemingway qui seduto nella piazza “all’Here Blue” a gustare il suo rum, chissà, forse, avrebbe scritto: “Il Vecchio e la Valle del Farfa”, o no?………..”
Brano Tratto da “Murales Castelnuovesi” di Franco Leggeri
Toffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturnaToffia in notturna
POGGIO BUSTONE (Rieti)- Ricerca storica e Articolo dell’Arch. Maurizio PETTINARI
“Intorno al 1117 è nominato il castrum ed il podium di Poggio Bustone quando Berardo, signorotto del luogo, donò il territorio all’Abbazia di Farfa, ma il dominio dell’Abbazia durò pochi anni per passare poi al regno Normanno. Alla fine del XII secolo, il paese fu incluso nel territorio reatino.
San Francesco, con i suoi primi sei compagni, prese a predicare nel 1208 nella valle reatina prendendo dimora a Poggio Bustone.
Il paese fu completamente raso al suolo dal terremoto del reatino del 1298, che provocò la morte di 150 abitanti. Dal 1817 Poggio Bustone divenne sede di un governatorato che aveva alle sue dipendenze i comuni di Labro, Morro e Rivodutri. Poggio Bustone nella storia recente fu protagonista della lotta partigiana, nel mese di aprile del 1944, fu invaso dalle truppe nazi-fasciste che portarono morte e distruzione, in seguito per il coraggio dimostrato dalla popolazione il paese fu insignito di Medaglia d’Argento al valore.
Architetture religiose
Chiesa di San Giovanni Battista
La parrocchiale di S. Giovanni Battista è la principale chiesa del centro storico del paese. All’interno si trova un affresco quattrocentesco di S. Francesco che riceve le stimmate; sotto l’altare maggiore si conservano le reliquie di S. Felice martire. Secondo la leggenda il corpo del Santo fu portato su di un carro trainato da buoi che spontaneamente giunsero al castrum di Poggio Bustone.
Il Santuario di Poggio Bustone
Immediatamente fuori dal paese, sul lato della montagna, sorge il santuario francescano di Poggio Bustone, meta dei numerosi pellegrini che percorrono il Cammino di Francesco. Il santuario sorge nei pressi del romitorio dove, nel 1208, si fermò il santo di Assisi, che qui ebbe l’apparizione dell’angelo che gli annunciava la remissione dei peccati.
La costruzione del santuario iniziò nel Duecento e continuò nei secoli successivi. Il complesso comprende una chiesa, il convento di San Giacomo (ove risiedono i frati Francescani) e il tempietto della Pace.
La chiesa (che risale alla fine del Trecento) ospita degli affreschi che ritraggono la Madonna delle Grazie con il bambino e due angeli ai lati in adorazione, il castello di Poggio Bustone su cui vigilano San Francesco e Sant’Antonio oltre alle artistiche vetrate ed al tradizionale crocefisso in legno.
Il convento di San Giacomo (risalente al XV secolo) si sviluppa intorno a un chiostro dove si possono trovare un quadro con le parole del “Cantico delle Creature”, mentre nelle lunette sono raffigurati episodi della vita di San Francesco. Aperto al pubblico è il refettorio in cui si può trovare l’altare in legno con l’edicola dedicata a San Giacomo utilizzate da San Francesco e dai suoi primi seguaci.
Il santuario è collegato al Tempietto della Pace (XX secolo) per mezzo di un sentiero in cui sono poste le edicole della via crucis, ognuna composta da un diverso materiale (legno, marmo, bronzo, ceramica, ecc). Terminato il sentiero si può trova una statua in bronzo del Santo. (Informazioni tratte da Wikipedia).
Museo delle bande musicali di Toffia – Museo Maria Petrucci
TOFFIA (RI)-Museo Maria Petrucci
Descrizione
Il Museo, si trova al centro storico di Toffia in una casa del 17° secolo, nel dicembre 2011 compie 20 anni dalla sua fondazione. Inizialmente era denominato “Museo d’Arte Raniero” poi “Casa Museo Raniero”. Nel 1991, Maria Petrucci, aveva fondato il Museo dedicandolo a suo padre Raniero, poi, essendo artista e, sentendo che i visitatori continuavano a credevano che le opere esposte le avesse realizzate Raniero per amore della propria Arte, e di chi nel tempo aveva acquistata qualche opera, nel 2009, pur se a malincuore, lo ha rinominato a proprio nome “Museo Maria Petrucci” – Casa Raniero -. Il museo ha due entrate e cinque stanze espositive. In quattro stanze, dislocate in vari piani, si possono ammirare, sculture lignee, dipinti a olio e, interessanti passaggi artistici di svariati materiali, il fornello in muratura i ganci nelle travi, dove infilavano le canne per appendere le salsicce, il camino, gli orci dove conservavano l’olio i legumi, testimonianze che ci riconducono ai nostri antenati, e lo studio d’arte. Nella quinta stanza, entrata secondaria, vi sono esposti gli oggetti della civiltà contadina e curiosità della cultura popolare. Attorno al museo, un avvincente paesaggio a perdita d’occhio, cattura l’atten zione per fare foto ricordo. Il museo è fornito, di didascalie fisse e mobili, di libri sulla storia di Toffia, di grammatica del dialet to Toffiese, e molte cose avvincenti, oltre a libri di poesia, romanzi, scritti dall’ artista. Si possono vedere DVD, sulla sua arte, riprese della TV- RAI -I – nell’ottanta a Mantova con la regia di Luigi Faccini e della Regione Lazio nel duemilacinque a Toffia con la regia di Lorenzo Pizzi
Via della Rocca – 02039 Toffia (RI)
Contatti
Tel–0765326248
Mail–mubam@libero.it
Website–http://www.mubam.it/
MUSEO MARIA PETRUCCI (Toffia)
TOFFIA (RI)-Museo Maria Petrucci
Museo, casa d’artista, luogo di memoria e creatività. Entrando si percepisce un atmosfera particolare dove le sue sculture e tele si alternano alle memorie del tempo, i suoi ricordi. Ti giri e trovi ovunque oggetti della civiltà contadina, arnesi, utensili. Un posto da visitare con particolare attenzione ascoltando quello che Maria riesce a raccontare di sè delle sue opere. In queste foto ho cercato di cogliere parte di tutte queste emozioni, intagli del legno come stratificazioni di immagini, volti che solo la scultura riesce a tirar fuori. Il museo è sempre aperto e Maria saprà accogliervi con amicizia e gentilezza.
Per visitare il museo chiamare al0765-326248.
Per il sito web:http://www.museomariapetruccitoffia.it/
TOFFIA (RI)-Museo Maria PetrucciTOFFIA (RI)-Museo Maria PetrucciMuseo Maria PetrucciTOFFIA (RI)-Museo Maria Petrucci
I ruderi della chiesa di Santa Maria del Piano e dell’attiguo monastero sorgono isolati sull’altopiano semideserto che si estende tra i due Borghi di POZZAGLIA e di ORVINIO subito a ridosso dei monti sabini all’estremità sud-orientale dell’antica Diocesi di Sabina.
L’edificio presenta delle originali rispondenze di carattere ubicazionale con la chiesa di Vescovio. Infatti entrambe le costruzioni sono isolate rispetto all’agglomerato urbano più vicino sia un CASTRUM o un semplice nucleo abitativo formatosi in epoca successiva.
La chiesa abbaziale dista dal Castrum di Canemorto, oggi ORVINIO circa 4 km. E sono collegati da una carrareccia rulare semiabbandonata, e questo fatto, evidentemente poco comune per un complesso edilizio di proporzioni così rilevanti, non trova giustificazione alcuna se non nella leggenda secondo la quale la chiesa costituirebbe un gesto di ringraziamento da parte di Carlo Magno per una vittoria da lui riportata nella zona. A questo proposito negli Atti della Visita Corsini (Acta sacrae visitationisPuteale) si legge:”eam a Carlo Magno ob insignem de Longobardis victoriam aedificatam fuisse atque in gratiarum actionem Deiparae Virginis dicatum, memoriae proditum est.” Questa traduzione del 1781 , è in contrasto palese con quella riferita da altri scrittori, quali F. Fiocca, F.Palmegiani e F.Di Geso, secondo i quali la chiesa sarebbe stata edificata da Re Carlo per una vittoria riportata su saraceni “tanto da costringerli ad abbandonare la zona”.
Archivio di Stato di Rieti BOLLA PAPALE DEL XIII SECOLO
Pozzaglia in Sabina-Santa Maria del Piano
Pozzaglia in Sabina-Santa Maria del Piano
Autore dell’Articolo-Avv. Paolo Amoroso.
Pozzaglia in Sabina -2 novembre 2015-Santa Maria in Valle è stato un monastero rurale benedettino oggi in rovina che si trova nel comune di Pozzaglia in Sabina sul limitare dell’esteso altopiano che costituisce il fondovalle del torrente Muzia, un insignificante ma perenne corso d’acqua tributario del Fosso Corese. Fondato probabilmente nel corso del X secolo, rimaneggiato ed ingrandito prima nel XIII secolo ed ancora nel trecento, quindi abbandonato all’inizio dell’ottocento ed infine utilizzato come cimitero fino al parziale restauro risalente alla metà del novecento, conserva i ruderi della chiesa conventuale dalla facciata a capanna risalente al secolo XI, torre campanaria ed abside duecenteschi.
La valle del torrente Muzia ben si prestava all’insediamento umano malgrado la sua altitudine – circa 700 metri sul livello del mare – sia già montana. Il fondovalle del torrente infatti è composto da un esteso altopiano solcato da ruscelli e punteggiato da collinette dai fianchi poco acclivi lungo i quali era semplice praticare l’agricoltura. Il terreno era ovunque morbido ed ubertoso, le vicine montagne offrivano abbondanti pascoli estivi nonché molto legname, l’altitudine proteggeva dalla malaria ed anche l’acqua era abbondante per tutto l’anno.
Anche se né l’ulivo né la vite riescono a crescere ad un’altitudine così elevata, i terreni pianeggianti del fondovalle potevano comunque essere utilizzati indifferentemente come pascoli invernali, impiego per il quale erano molto versati, oppure per la coltivazione di legumi, cereali minori e forse anche del grano mentre i poderi adiacenti al greto del torrente potevano essere adibiti ad orti senza particolari difficoltà e con buone rese. Tutte queste risorse garantivano con poco sforzo una produzione alimentare largamente superiore alle necessità di una piccola comunità monastica, ragione della prosperità dell’abbazia.
Altro vantaggio della Valle del Muzia era l’isolamento, che proteggeva chi ci viveva dai pericoli esterni, conseguenza dell’orografia molto accidentata della porzione orientale dei Monti Lucretili che la rende ancora oggi la loro parte meno popolata. Quando i monaci giunsero in quella contrada, in un momento per noi insondabile nel corso del X secolo, si stabilirono sulla cima di una collinetta bassa ma dai fianchi abbastanza ripidi, prossima al corso d’acqua, in un posto protetto dal vento e dai ladri, vicino all’acqua e non distante dai campi. Non sembra che temessero granché per la loro incolumità perché non risulta che abbiano fortificato, neppure debolmente, il luogo dove pure vivevano, circostanza che lascia supporre che i dintorni fossero al tempo completamente spopolati.
Appena qualche decennio dopo la sua fondazione e comunque non molto dopo l’anno mille, il cenobio raggiunse un livello di prosperità tale da potersi permettere il lusso di una grande chiesa conventuale in pietra ad una sola navata e con la facciata decorata in stile a capanna, che era quello in voga al tempo. Per tutto il XI secolo costruire edifici in pietra nelle campagne era un’impresa non banale: bisognava trovare personale capace di edificarli in un’epoca in cui i lavori edilizi erano infrequenti, convincerlo ad andare a lavorare in un posto comunque sperduto e disagevole, dargli da mangiare ed un riparo per i diversi anni necessari al completamento dell’opera quindi occorreva in qualche modo remunerare chi la costruiva.
La lavorazione della pietra coinvolgeva tante professionalità diverse: c’era il cavatore che estraeva il blocco dalla cava, lo scalpellino che rendeva i blocchi di dimensioni regolari, il facchino che li trasportava fino al cantiere, l’addetto alla fabbricazione della calce, che comunque doveva avvenire nei dintorni, ed il mastro che costruiva il muro pietra dopo pietra. Gli interni dovevano poi essere abbelliti e ciò richiedeva l’impiego di altri artigiani che dovevano essere anche loro trovati, convinti ad occuparsene quindi retribuiti.
Della chiesa edificata nel XI secolo altro non si è conservato che la facciata e non è chiaro se il suo perimetro ricalcasse quello dell’edificio duecentesco oggi visibile. Le dimensioni di ciò che ne resta, però, lasciano intendere che fosse una chiesa molto grande per gli standard del tempo, sicuramente molto più delle necessità della relativamente piccola comunità monastica che gli viveva intorno. Come sempre nel medioevo, la chiesa conventuale serviva ad ostentare la ricchezza del monastero molto più che come luogo di preghiera anche perché, così grande e non riscaldata, doveva essere anche molto fredda specie in inverno. In ogni caso, già nel XI secolo l’abbazia – che era indipendente da quella di Farfa con cui confinava – possedeva la quasi totalità dei terreni intorno e parecchi castelli nei dintorni, sintomo del suo non modesto benessere.
Il XIII secolo sembra sia stato il periodo d’oro del monastero anche se le fonti scritte sono scarse e lacunose. Nel 1219 un certo abate Lanfranco commissionò estesi lavori di restauro della chiesa conventuale che la portarono ad assomigliare a ciò che ne resta al giorno d’oggi. A questo periodo risale il campanile a pianta quadrata, il reperto di maggior pregio e meglio conservato del complesso. La torre, alta circa venti metri, si presenta divisa in due zone separate da una sottile cornice: quella inferiore priva di aperture ed una superiore con quattro ordini di finestre secondo la successione di monofore, bifore e di due piani di trifore.
Malgrado sia stata più volte danneggiata dai fulmini si presenta in discreto stato di conservazione e quasi intatta ad eccezione del tetto, mal ricostruito negli anni ’50. Sempre al duecento sembra risalga l’abside sopraelevato della chiesa che pure si è ben conservato. Costruito in pietra del luogo e rivestito di lastre regolari di buona fattura su cui era probabilmente steso l’intonaco poi affrescato, venne in seguito chiuso da un muro ben conservatosi, fornito di una porta e di una finestra dipinta probabilmente per puntellarne la struttura vistosamente pericolante.
Nulla resta del sottostante altare. L’unica navata era separata dall’abside da un largo transetto, quasi certamente duecentesco, che collegava la chiesa al retrostante convento, il cui tetto era sorretto da quattro grandi archi a sesto leggermente ribassato con ghiera a conci squadrati poggiati su tozze semicolonne dai capitelli di forme diverse, probabilmente materiale di spoglio. Sotto l’altare doveva essere presente una cripta, costruita in epoca ignota ed adibita fino alla metà dell’ottocento ad ossario, di cui resta un buco nel pavimento del transetto in corrispondenza del luogo in cui doveva trovarsi l’altare maggiore.
La chiesa subì ulteriori rimaneggiamenti nel corso del XIV secolo come testimoniano gli archi a sesto acuto che costituiscono gli architravi delle porte oggi murate ma ancora visibili lungo il suo perimetro. Il trecento, del resto, sembra sia stato un periodo ancora di prosperità per il monastero che è citato in due missive risalenti all’epoca del pontificato di Papa Giovanni XXII, inviate rispettivamente nel 1330 e nel 1333, tramite le quali all’abate di Santa Maria vengono affidati incarichi nel territorio della Sabina. Nel 1343 una visita apostolica elenca beni e proprietà dell’Abbazia e ne evidenzia la prospera situazione amministrativa.
Trenta anni dopo, nel 1373,
Pozzaglia in Sabina-Santa Maria del Piano
incarica da Avignone l’abate di San Lorenzo fuori le mura, di riportare all’ordine una serie di monasteri tra i quali spicca proprio l’Abbazia di Santa Maria del Piano. A partire dalla metà del quattrocento, la prosperità dell’abbazia si ridusse fortemente anche se non sono ben chiare le ragioni economiche di questo declino. Comunque, seppur lontano dai fasti del passato, il convento continuò ad essere abitato fino al tardo settecento, quando ancora vi viveva ancora un singolo eremita, e venne infine soppresso nel 1809 quando gli edifici che lo componevano erano ancora in buono stato di conservazione.
Nel 1855 Orvinio venne colpito da un’epidemia di colera ed in mancanza di un cimitero in cui inumare i morti si pensò di utilizzare a questo scopo il monastero ormai in abbandono. Per trasformarlo in un camposanto la struttura venne stravolta: furono infatti scardinate le porte, scoperchiato il tetto, divelto il mattonato e murato l’ingresso principale. Inoltre si procedette ad uno scavo continuato al di sotto del pavimento ed in tutta l’area del Monastero al fine di ricavare i loculi entro cui inumare i cadaveri.
Un secolo dopo, nel 1952, quando ormai l’abbazia era completamente in rovina, la chiesa di Santa Maria, unico edificio di cui si fosse conservato qualcosa, venne restaurata dalla sovrintendenza ai ben culturali con grandi spese per riportarla allo stato originario. In questa occasione furono anche disseppelliti i morti collocati dentro il monastero un secolo prima a cui venne data migliore sepoltura nel cimitero di Orvinio. Tuttavia, alla fine dei lavori il complesso venne di nuovo abbandonato senza nessuna sorveglianza né alcun tentativo di valorizzazione turistica peraltro difficile perché il luogo in cui si trova Santa Maria del Piano è indubbiamente molto sperduto.
Così, nel corso degli anni ’70, i ruderi dell’abbazia furono depredati di qualunque oggetto artistico potesse essere rimosso senza pregiudicare la stabilità dei muri superstiti fra cui il rosone duecentesco rubato nel 1979. Del monastero al giorno d’oggi resta poco o nulla, tranne forse alcuni muri di difficile lettura sul lato della chiesa sul quale si affaccia il campanile. Della chiesa si sono ben conservati i muri perimetrali, la facciata e l’abside mentre del transetto resta abbastanza poco. Peraltro, sono in corso lavori di restauro volti ad arrestare il degrado della struttura che vengono compiuti però con poca attenzione alla conservazione delle murature originali e con gusto artistico a volte molto discutibile.
L’autore dell’articolo è Paolo Amoroso, soprannominato Aioe fin da ragazzo, di professione Avvocato penalista, con la passione per l’aria aperta, la storia medievale e l’informatica.
La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –
-Pillole di storia a cura di Franco Leggeri-
Pozzaglia in Sabina-Santa Maria del Piano
I ruderi della chiesa di Santa Maria del Piano e dell’attiguo monastero sorgono isolati sull’altopiano semideserto che si estende tra i due Borghi di POZZAGLIA e di ORVINIO subito a ridosso dei monti sabini all’estremità sud-orientale dell’antica Diocesi di Sabina.
L’edificio presenta delle originali rispondenze di carattere ubicazionale con la chiesa di Vescovio. Infatti entrambe le costruzioni sono isolate rispetto all’agglomerato urbano più vicino sia un CASTRUM o un semplice nucleo abitativo formatosi in epoca successiva.
La chiesa abbaziale dista dal Castrum di Canemorto, oggi ORVINIO circa 4 km. E sono collegati da una carrareccia rulare semiabbandonata, e questo fatto, evidentemente poco comune per un complesso edilizio di proporzioni così rilevanti, non trova giustificazione alcuna se non nella leggenda secondo la quale la chiesa costituirebbe un gesto di ringraziamento da parte di Carlo Magno per una vittoria da lui riportata nella zona. A questo proposito negli Atti della Visita Corsini (Acta sacrae visitationisPuteale) si legge:”eam a Carlo Magno ob insignem de Longobardis victoriam aedificatam fuisse atque in gratiarum actionem Deiparae Virginis dicatum, memoriae proditum est.” Questa traduzione del 1781 , è in contrasto palese con quella riferita da altri scrittori, quali F. Fiocca, F.Palmegiani e F.Di Geso, secondo i quali la chiesa sarebbe stata edificata da Re Carlo per una vittoria riportata su saraceni “tanto da costringerli ad abbandonare la zona”.
Pozzaglia in Sabina-Santa Maria del PianoPozzaglia in Sabina-Santa Maria del PianoPozzaglia in Sabina-Santa Maria del PianoPozzaglia in Sabina-Santa Maria del PianoPozzaglia in Sabina-Santa Maria del Piano
Pozzaglia Sabina–Santa Maria del Piano-Bolla papale del XIII sec. Biblioteca DEA SABINA
Archivio di Stato di Rieti
UNA BOLLA PAPALE DEL XIII SECOLO NEL PATRIMONIO DEL NOSTRO ARCHIVIO
Il patrimonio dell’Archivio di Stato di Rieti
si arricchisce di un importante e antico documento. Si tratta di una bolla papale, una “lettera graziosa”, di Onorio III indirizzata all’abate di Santa Maria del Piano a Pozzaglia Sabina e risalente al 1218.
L’acquisizione al patrimonio dell’Archivio reatino è stata possibile grazie all’impegno congiunto della Soprintendenza archivistica e bibliografica del Lazio e della Direzione generale archivi del Ministero della Cultura.
Tra alcuni giorni, dopo le necessarie fasi di catalogazione, il documento sarà disponibile per la consultazione al pubblico.
Da sottolineare, inoltre, la particolare importanza di questa bolla poiché coeva al periodo di massimo splendore dell’abbazia e che ci fornisce nuovi e utili dati sul medioevo nel territorio reatino.
Archivio di Stato di Rieti BOLLA PAPALE DEL XIII SECOLOArchivio di Stato di Rieti BOLLA PAPALE DEL XIII SECOLO
Testi di Giovanna Alvino, Gianfranco Formichetti e Tersilio Leggio-
DESCRIZIONE
Aspra e boscosa contrada montana, sublime, la Sabina rimase sempre appartata; la sua caratteristica peculiare si potrebbe definire la vocazione all’isolamento.
Medioevale è ancor oggi il volto della capitale della Sabina, Rieti, e dei principali centri: Amatrice e Antrodoco con le loro chiese romanico-gotiche, la francescana Greccio in cui nacque il presepe, Leonessa con i suoi affreschi trecenteschi, Cittaducale di fondazione angioina e la grande abbazia di Farfa.
Anno1993 / 228 PAGINE- Edizione bilingue: Italiano/Inglese
CASTELNUOVO DI FARFA (RIETI) –chiesa parrocchiale SAN NICOLA DI BARI- Particolare nel dipinto del Ballerini ,sito all’interno della chiesa parrocchiale, rafficurante il miracolo dei bambini.Il Ballerini potrebbe aver preso come modelli tre bambini Castelnuovesi dell’epoca.Foto di Franco Leggeri,Castelnuovese.
CASTELNUOVO DI FARFA (RIETI) -chiesa parrocchiale SAN NICOLA DI BARI-
IL MIRACOLO – IL MONDO DEI BAMBINI
CASTELNUOVO DI FARFA (RIETI) -chiesa parrocchiale SAN NICOLA DI BARI-Particolare
Il bimbo nell’acqua bollente. Un’ostessa presso la quale una volta Nicola aveva alloggiato stava facendo il bagno al suo bambino. Come le dissero che Nicola era stato fatto vescovo lasciò tutto e andò ad assistere alla sua messa. Al termine, ricordandosi che il fuoco avrebbe potuto accendersi e far bollire l’acqua in cui era il bimbo, corse a casa. Il fuoco si era effettivamente acceso e l’acqua bolliva, ma il bimbo, invece dio morire, stava allegramente giocando con le bolle dell’acqua. Dopo averlo preso tra le braccia, corse fuori a raccontare il miracolo.
Il bambino indemoniato. Un bambino era indemoniato e si strappava i vestiti e si mordeva le mani. La madre lo portò da San Nicola che benedicendolo lo liberò dal demonio.
Il diavolo e il bambino. Un uomo della Lombardia era molto devoto di San Nicola e ogni anno invitava i chierici ad un banchetto. Un anno mentre si vestiva per andare in chiesa, la moglie gli disse di aver sognato che un leone con la zampa le aveva strappato la mammella e ne aveva succhiato il sangue. Recatisi in chiesa, a casa restò solo il bambino. Venne il diavolo in sembianze di viandante e chiese del cibo. Come il bambino gli portò il pane, egli lo prese e lo strangolò. Immaginarsi il dolore dei genitori quando ritornarono dalla liturgia in onore di San Nicola. Ma nonostante il dolore il padre volle invitare lo stesso i chierici a pranzo. Per cui ordinò di adagiare il bambino in una stanza e di chiuderla. Mentre i chierici mangiavano venne un pellegrino (“Signori, quello era San Nicola!”) che chiese del cibo ottenendo dal padre di poterlo consumare nella sua stanza, dov’era cioè il corpo del bambino. San Nicola lo chiamò e quello si alzò correndo tra le braccia dei genitori. La festa di San Nicola, che era già osservata, fu celebrata ancor più amorevolmente e gioiosamente.
Castelnuovo ,Particolare , dipinto nel quadro del Ballerini sito all’interno della chiesa parrocchiale.
CASTELNUOVO DI FARFA (RIETI) -chiesa parrocchiale SAN NICOLA DI BARI-ParticolareCASTELNUOVO DI FARFA (RIETI) -chiesa parrocchiale SAN NICOLA DI BARI-Particolare
I TRE BAMBINI RISUSCITATI
Le storie di S. Nicola non sono state narrate tutte allo stes¬so modo. Ogni popolo le ha rielaborate secondo la sua sensibilità. Ogni copista medioevale ci metteva del suo, quando proprio non incorreva in qualche errore di traduzione o copiatu¬ra. Da una di queste sviste nacque la leggenda di S. Nicola più famosa in occidente.
Come si è detto in precedenza, l’episodio più importante e più stori¬camente documentato è quello che vide il nostro Santo intervenire a sal¬vare tre innocenti dalla decapitazione, fermando la spada del carnefice. Da qualche tempo però, nel mondo cristiano la parola innocenti veniva spesso usata come equivalente di bambini (pueri). Così, ad esempio, i bambini uccisi dal re Erode (per timore che fra essi sorgesse il re d’Israele) avevano dato adito alla festa degli innocenti, che si celebra dopo il Natale. D’altra parte, nelle storie di S. Nicola raramente si dice¬va che aveva salvato tre uomini oppure tre cittadini di Mira. Per abbre¬viare e per indicare l’innocenza di quei condannati a morte, più spesso si diceva che Nicola aveva salvato tre innocenti. A quel punto qualche scrittore fece un po’ di confusione, affermando che Nicola aveva salva¬to tre bambini, invece di dire che aveva salvato tre innocenti.
Il primo a dare questa erronea traduzione sembra che sia stato Reginold, uno scrittore tedesco che nel 961 dopo Cristo fu eletto vesco¬vo proprio per aver scritto una bella Vita di S. Nicola intercalata da brani in musica. Invece di innocentes Reginold usa il termine pueri, insi¬nuando nella mente dei fedeli che si trattava di una storia diversa dal¬l’episodio della liberazione di tre innocenti dalla decapitazione. Nel corso di circa un secolo e mezzo la “storia” dei bambini salvati da S. Nicola entrò anche negli inni sacri e poco a poco venne elaborato un racconto vero e proprio seguendo due linee principali.
Secondo una prima versione, il fatto sarebbe accaduto mentre Nicola si recava al concilio di Nicea. Fermatosi ad un’osteria, gli fu presentata una pietanza a base di pesce, almeno a quanto diceva l’oste. Nicola, divinamente ispirato, si accorse che si trattava invece di carne umana. Chiamato l’oste, espresse il desiderio di vedere come era conservato quel “pesce”. L’oste lo accompagnò presso due botticelle piene della carne salata di tre bambini da lui uccisi. Nicola si fermò in preghiera ed ecco che le carni si ricomposero e i bambini saltarono allegramente fuori dalle botti. La preghiera di Nicola spinse l’oste alla conversione, anche se in un primo momento questi aveva cercato di nascondere il suo misfatto.
La seconda versione della leggenda non parla di bambini, ma di sco¬lari. Un nobile di un villaggio presso Mira, dovendo mandare i figli ad Atene per continuare negli studi, disse loro di passare da Mira a pren¬dere la benedizione del vescovo Nicola. Essendo questi assente, essi non poterono incontrarlo e, giunta la sera, cercarono una locanda. Ve¬dendoli benestanti, l’oste entrò di notte nella loro camera e li uccise, prendendosi i preziosi vestiti. Non contento, mescolò le loro carni con altra carne salata, per darle agli avventori.
Il giorno dopo Nicola, divinamente avvertito, si recò dall’oste chie¬dendogli della carne. L’oste gli mostrò la carne conservata, aggiungen¬do che era buona da mangiare. Nicola attese sperando nel suo penti¬mento, ma quello non diede segni di resipiscenza. Allora il Santo bene¬disse quelle carni e i tre scolari tornarono in vita. Con la sua preghiera e le sue esortazioni, finalmente l’oste si pentì e promise di condurre una vita virtuosa. I tre scolari, come risvegliandosi dal sonno, presero le loro cose e ripresero il viaggio per Atene.
Ovviamente vi furono tante varianti di queste leggende. In molte di esse un ruolo importante e negativo svolge la moglie dell’oste. Ma le due più diffuse sono queste appena riportate, che diedero adito alla na¬scita del patronato di S. Nicola sui bambini che, a sua volta, insieme all’episodio della dote alle fanciulle, fece sorgere la figura di Santa Claus (Babbo Natale). Dalla seconda versione nacque il patronato sulle scuole (insieme a Santa Caterina d’Alessandria) e l’usanza folkloristica della festa studentesca del 6 dicembre col particolare del boy bishop (il ragazzo vescovo).
Fonte-AA.VV. da biblioteca Vita dei Santi-
Castelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCASTELNUOVO DI FARFA (RIETI) -chiesa parrocchiale SAN NICOLA DI BARI-CASTELNUOVO DI FARFA (RIETI) -chiesa parrocchiale SAN NICOLA DI BARI-ParticolareCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCASTELNUOVO DI FARFA (RIETI) -chiesa parrocchiale SAN NICOLA DI BARI-ParticolareCASTELNUOVO DI FARFA (RIETI) -chiesa parrocchiale SAN NICOLA DI BARI-ParticolareCASTELNUOVO DI FARFA (RIETI) -chiesa parrocchiale SAN NICOLA DI BARI-ParticolareCASTELNUOVO DI FARFA (RIETI) -chiesa parrocchiale SAN NICOLA DI BARI-ParticolareCASTELNUOVO di FARFA(Rieti)- Chiesa parrocchiale San Nicola di BariCASTELNUOVO di FARFA(Rieti)- Chiesa parrocchiale San Nicola di Bari–Foto di Franco LeggeriCASTELNUOVO di FARFA La statua della Madonna del RosariCASTELNUOVO di FARFA La statua della Madonna del RosariCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchialeCastelnuovo di Farfa-chiesa parrocchiale
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.