Valeria Arnaldi -“TINA MODOTTI HERMANA” -Edizioni Red Star Press-
Valeria Arnaldi -“TINA MODOTTI HERMANA” Edizioni Red Star Press
Tina Modotti: icona, attrice, fotografa, amante e rivoluzionaria-Passione, scandalo, rivoluzione.Tina Modotti,Nata a Udine nel 1896, operaia in fabbrica, emigrata negli Stati Uniti con il primo marito, il pittore francese Roubaix “Robo” de l’Abrie Richey.
Un promettente esordio a Hollywood nel film The Tiger’s Coat (1920) dove la critica ne esalta il fascino esotico.
Nel 1921 l’incontro fatale con il grande fotografo Edward Weston, di cui diviene la modella prediletta, poi l’amante e infine l’assistente.
Dopo la Los Angeles del cinema c’è il Messico della Rivoluzione.
Assieme a Weston frequenta i circoli dei muralisti, entra in contatto con Diego Rivera prima, e con Frida Kahlo poi, con la quale consuma una relazione scandalosa e appassionata.
Nel 1929 inaugura una sua personale a Città del Messico che viene definita «la prima mostra fotografica rivoluzionaria».
Poi è tempo di altri amori, di altre passioni: finisce a Mosca, viene arruolata dai servizi segreti russi.
Corre a combattere in Spagna a sostegno della Repubblica, con il suo nuovo amante, Vittorio Vidali.
Conclusa l’esperienza spagnola torna in Messico, si fa il suo nome in relazione all’assassinio di Lev Trockij.
Gli avvenimenti storici iniziano a farsi confusi, la vita accelera nella corsa al traguardo.
Il corpo senza vita viene ritrovato il 5 gennaio 1942. Aveva 46 anni.
Sulla sua lapide una poesia composta per l’occasione da Pablo Neruda inizia così: Tina Modotti hermana…
Pagine 272-Formato 13×20 cm, oltre 100 immagini-Collana Bizzarro Books- ISBN 9788867181315
Arnaldi Valeria
L’Autore-Valeria Arnaldi- Giornalista professionista, critica d’arte e scrittrice, collabora con testate italiane e straniere e organizza mostre d’arte contemporanea.
Red Star Press
Viale di Tor Marancia 76
00147 Roma, Italia
Dell’autore Octavio Paz , scrittore, poeta e diplomatico messicano,Premio Nobel per la letteratura nel 1990, sempre accanto a emarginati e oppressi, si preferisce ricordare quasi unicamente la parabola finale. Glissando su affermazioni valide a ogni latitudine: “La ricerca dell’identità nazionale è un passatempo intellettuale, a volte anche un affare di sociologi disoccupati” oppure “Quando una società si corrompe, a imputridire per primo è il linguaggio”
Mai come in questi tempi appare importante la riflessione politica di Octavio Paz sulla parola e sul linguaggio che lui espresse in questi termini: “Quando una società si corrompe, a imputridire per primo è il linguaggio. La critica della società inizia quindi con la grammatica e il ristabilimento dei significati” (Pos data, 2005). La parola appare al poeta messicano come un elemento necessario per rimarcare il fatto che fa parte integrante della cultura; la cultura é l’identità di un popolo e si mostra anche attraverso il linguaggio. Quando il linguaggio si appiattisce e si impoverisce per cedere il posto all’immediatezza (o a insistenti termini presi in prestito da altre lingue), noi pian piano ci allontaniamo dall’essenza, dalla creatività, dalla complessità e soprattutto dalla nostra capacità di autocritica. Octavio Paz nelle sue opere ha continuamente ribadito l’importanza della creatività della parola e del linguaggio. Saggista, giornalista, diplomatico messicano, premio Nobel per la letteratura, è considerato il poeta di lingua spagnola più importante della seconda metà del Novecento: “Non è poeta chi non abbia sentito la tentazione di distruggere il linguaggio o di crearne un altro, chi non abbia provato il fascino della significazione indicibile” (Vento Cardinale, 1985). La società e la politica furono per lui sempre inscindibili dall’arte poetica, anzi, la sua poesia d’avanguardia si fece veicolo di istanze sociali e di problemi politici, mettendo in luce una società corrotta che aveva fatto della merce l’unico valore visibile.
Octavio Paz
Nato nel 1914 a Città del Messico da una famiglia borghese, in cui il sangue spagnolo si era unito a quello indigeno messicano, a soli 19 anni pubblica la prima raccolta di poesie dal titolo Luna Silvestre. Grazie alla sua professione di diplomatico viaggia molto: vive a lungo negli Stati Uniti, in Spagna, Francia e persino in India e in Giappone, ove conosce la filosofia che influenzerà una parte sostanziale dei suoi scritti.
Il primo viaggio lo porta nello Yucatan, ove si misura col profondo passato della storia messicana, con l’antica civiltà Maya, la povertà e le lotte di parte della popolazione. Giunge a Mérida l’11 marzo 1937 e vi rimane per 65 giorni. Qui aderisce al progetto educativo di una scuola secondaria per i figli di indigeni, di operai e contadini, che gli era stato proposto dagli amici Octavio Novaro Fiora del Fabro e Ricardo Cortés Tamayo. Octavio nella scuola, e proprio a quel periodo appartengono le pagine di “Tra la pietra e il fiore” (1941), un ampio “inno tra le rovine” o meglio, come dirà più tardi “maleza entre escombros” (“erba tra le macerie”), un tema che lo accompagnerà come una ferita aperta per tutta la vita.
Octavio Paz
Sempre 1937, Paz ha più di 20 anni, partecipa come rappresentante del suo Paese al II Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura, che quell’anno si propone di supportare i repubblicani in Spagna durante la Guerra civile. Vi partecipano, tra gli altri, André Malraux, César Vallejo e Pablo Neruda. Alla fine della seconda guerra mondiale diviene segretario dell’ambasciata messicana a Parigi entrando in contatto con il movimento surrealista e André Breton. Come incaricato d’affari arriva in Giappone e, infine, negli anni 60, è ambasciatore in India. Qui, nel 1968, rassegna le dimissioni per protestare contro il governo messicano, responsabile di una brutale repressione di studenti che manifestavano in piazza delle Tre Culture a Tlatelolco, Città del Messico, alla vigilia dei Giochi Olimpici. È il 2 ottobre 1968. Lasciato l’incarico, si dedica all’insegnamento presso università americane ed europee. Continua l’instancabile attività di promotore della cultura tenendo lezioni e fondando nuove riviste, come Plural (1971-1976) e Vuelta (1976). Paz non si limita a scrivere, ma trasforma le parole in azioni concrete. Politicamente propende a sinistra come il padre Octavio Paz Solorzano, avvocato zapatista. Più tardi invece adotterà un atteggiamento politico liberal-conservatore, simile a quello del nonno Irineo, che era stato vicino a Porfirio Diaz, presidente della Repubblica del Messico per tre mandati diretti, dal 1876 al 1911.
Octavio Paz
Così Paz desta polemiche quando divien aspro critico della insurrezione zapatista del 1994 e del subcomandante Marcos. Il 7 gennaio 1994 sul quotidiano messicano La Jornada scrive: “È una ribellione irreale, condannata al fallimento. Non corrisponde alla situazione del nostro paese, né alle sue necessità ed aspirazioni attuali”. Ma poi “pian piano, scopre lo stile originale dei proclami di Marcos, l’idealismo sincero, la sensibilità con cui esprime i sentimenti degli indigeni. Ricordandogli quando lui stesso, negli anni 30, era andato nello Yucatan a lavorare con gli indigeni. A conquistare il poeta è un’identificazione personale più che ideologica: non fu la guerriglia, ma la prosa di Marcos e la sua vocazione per il mondo indigeno”. Così scrive il messicano Jorge Volpi nel saggio La guerra y las palabras: una historia intelectual del 1994, in cui analizza il controverso rapporto tra Marcos e Octavio Paz
Ricordiamo che fu grande conoscitore di lingue, di tradizioni, affascinando soprattutto grazie al riflesso delle culture preispaniche rievocate in tante pagine. Tra gli scritti migliori ricordiamo: Il labirinto della solitudine, i saggi su Fernando Pessoa e Luis Cerneda, pubblicati in Italia dal Melangolo nel 1988, i trattati Congiunzioni e disgiunzioni e El Arco y la lira. Il labirinto della solitudine, scritto nel 1950, è il primo tentativo compiuto da un messicano per arrivare alla conoscenza piena della propria identità culturale. Paz tenta di far luce sull’anima del suo popolo e ne esamina perciò la storia, la politica, l’economia, ma spesso va al di là, aprendo le frontiere del Messico sul mondo. Nel labirinto della solitudine non si avventurano i soli messicani, ma tutti gli uomini: queste 250 pagine rappresentano una profonda meditazione sulla condizione umana. Altra sua opera è Suor Juana o le insidie della fede, monumentale biografia dedicata a Suor Juana Inés de la Cruz, straordinaria figura di religiosa e poetessa messicana del XVII secolo.
L’introduzione è a cura di Dario Puccini, uno dei massimi studiosi italiani di letteratura spagnola e ispano americana, studioso di suor Juana, e autore nel 1967 di un fondamentale saggio su di lei. Secondo Puccini l’incontro tra Paz e la suora messicana ha il carattere di un coinvolgimento totale. Nel riflettere sul mondo del Vice Reame della Nuova Spagna (1535-1821), all’interno dell’Impero coloniale spagnolo, Octavio Paz compie una profonda riflessione sul ruolo dell’intellettuale alle soglie della modernità: “Da un lato la società in cui visse suor Juana ci aiuta a comprenderla, dall’altro ce la nasconde. Suor Juana come ognuno di noi, è l’espressione della sua epoca, ma anche la negazione, l’eroina e la vittima”. Nel doppio ruolo della società e della protagonista, risiede il grande tema di un’opera che è allo stesso tempo critica letteraria e analisi del rapporto tra cultura e sistema totalitario.
Octavio Paz
La poesia come atto di liberazione, a perenne memoria, è teorizzata nel libro El Arco y la Lira, una riflessione nata dopo l’incontro con le culture orientali durante la sua permanenza in Giappone e India. Come Goethe, pensa che la poesia sia ricerca ininterrotta di senso, momentanea riconciliazione, presenza. Tutta l’inesausta attività ruota attorno a un solo tema: “Si scrive per essere ciò che siamo e che non siamo. Nell’uno e nell’altro caso cerchiamo noi stessi. E se abbiamo la fortuna di trovarci scopriamo che siamo uno sconosciuto”. Nascono così testi poetici come Libertad bajo palavra (1949), Aguila o sol? (1951), Agua y viento (1959), Topoemas (1971). Il mondo indigeno e in particolare quello azteco lo ritroviamo in Piedra del sol (1957): 584 endecasillabi in cui il passato precolombiano diventa fonte di suggestioni filosofiche. A partire dagli anni 80 del secolo XX, giungono riconoscimenti letterari internazionali, anzitutto l’importante Premio Cervantes, ricevuto nel 1981. Definito “l’orafo dei segni” per la cura e l’eleganza dei suoi versi, si afferma come innovatore del costume letterario e delle concezioni culturali.
Nel 1990 gli è assegnato il premio Nobel per la Letteratura per “l’appassionata scrittura dai vasti orizzonti, caratterizzata da un’intelligenza sensuale e da una integrità umanistica”. Octavio Paz scompare il 20 aprile 1998 in Messico, nella sua casa di Coyacan, dopo una lunga malattia. Rimane una delle figure chiave del XX secolo e tale rimarrà nel tempo, quel tempo nel quale rintracciò l’esperienza sovrannaturale come dimensione originaria dell’esistenza e trasmutazione di sé: “Le pietre sono tempo / Il vento / secoli di vento / Gli alberi sono tempo / gli uomini sono pietre / Il vento / si avvolge su se stesso e si sotterra / nel giorno di pietra / L’acqua non c’è, ma gli occhi brillano” (Versante Est, 1969).
Frida Kalho -Viva la vida, il sogno e la rivoluzione-
-Articolo di Sara Rotondi-
Frida Kalho
Frida Kalho:“L’amore? Non so. Se include tutto, anche le contraddizioni e i superamenti di sé stessi, le aberrazioni e l’indicibile, allora sì, vada per l’amore. Altrimenti, no”. Frida Kalho
Una delle più grandi pittrici del Ventesimo secolo: la ‘pintora mexicana’ per eccellenza, intensa, meravigliosa e potente. Quelli della sua generazione potrebbero tracciare un diagramma della loro vita. A Palazzo Albergati di Bologna entra Frida Kahlo al secolo Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón (Coyoacán, 6 luglio 1907 – Coyoacán,13 luglio 1954). La mostra su Frida inaugurata lo scorso 19 novembre, sarà visibile fino al prossimo marzo 2017. Che dire, imperdibile.
Ritratti, autoritratti, la storia dell’artista a tutto tondo che si fonde in maniera inscindibile con la storia della donna. E accanto a lei, a fare da sfondo, gli uomini (e le donne) di Frida: su tutti, il pittore e ‘muralista’ Diego Rivera e la cantante Chavela Vargas che alla veneranda età di 83 anni calcola di aver bevuto più di 45 mila litri di tequila. I grandi amor fou.
Lungi dal ripercorrere la biografia, tracciamo una linea ‘umile’ sul suo grande spessore umano e intellettuale. Dai suoi ideali di amore (quelli veri lontani da beceri romanticismi) all’amore per la libertà.
Ciò che l’acqua mi ha dato. Intensa e piena di passione la sua carriera pittorica, in cui la sua opera non è circoscritta alla semplice narrazione di eventi, ma è anche ricerca interiore. Opere che si uniscono con la tradizione messicana e con il surrealismo. Andrè Breton, in occasione di una mostra a Parigi nel 1939 afferma che Frida è “una surrealista creatasi con le proprie mani e un raro punto di contatto tra l’ambito artistico e quello politico, che speriamo un giorno si possa fondere in un’unica coscienza rivoluzionaria” [1]. Un surrealismo che emerge nel quadro Ciò che l’acqua mi ha dato: immagini di paura, sessualità, memoria e dolore fluttuano nell’acqua di una vasca da bagno, dalla quale affiorano le gambe dell’artista.
Morte e ciclo dell’esistenza. Nella sua opera emerge il dolore, l’erotismo represso (segno di vitalità immune e repressione borghese), subconscio ma anche morte. Citiamo una delle sue opere più famose dove il concetto dell’inazione collegata alla morte è intenso e struggente. Il sogno (1940) Frida Kahlo dorme e lo scheletro è sveglio, vigile. Intorno ci sono delle nuvole, il sonno di Frida è tranquillo, mentre su di lei crescono delle piante che rappresentano la vita. Per l’artista la morte è una rinascita, forma di ringraziamento per la vita e una sorta di celebrazione del ciclo vitale dell’esistenza. La morte è quindi un processo, un cammino verso qualcosa d’altro.
Autoritratto con i capelli tagliati. Fervida femminista, in un dipinto del 1940 affiora il sui ideale di donna con una vera e propria esegesi della definizione culturale delle donne. Adottando trasgressivamente alcuni elementi dell’esteriorità maschile, denuncia apertamente come il potere sia una sorta di travestimento.
Avventura, passione, tequila, e revolución: spirito politico e comunismo. Non solo pittrice, ma anche grande attività per gli ideali libertari dell’epoca. Frida è una comunista convinta che si è battuta contro le ingiustizie e l’omogeneità del sistema: nel 1928 diventa un’attivista del Partito Comunista Messicano per sostenere la lotta di classe armata partecipando a numerose manifestazioni con adeguato physique du rôle.
L’amore come essenza della vita: Ti meriti un amore “Non so scrivere lettere d’amore” affermava Frida Kahlo. Ma in realtà poche donne hanno saputo giocare con le parole e le emozioni come ha fatto lei. Il tutto in un lirismo struggente. “Da quando mi sono innamorata di te, ogni cosa si è trasformata ed è talmente piena di bellezza… L’amore è come un profumo, come una corrente, come la pioggia. Sai, cielo mio, tu sei come la pioggia ed io, come la terra, ti ricevo e accolgo” scrive in una splendida missiva a Josè Bartoli nel 1946. L’amore, quello passionale, quello unico, quello che ti crea dipendenza anche quando si trasforma in sofferenza: “Ti meriti un amore che ti ascolti quando canti, che ti appoggi quando fai la ridicola, che rispetti il tuo essere libera, che ti accompagni nel tuo volo, che non abbia paura di cadere. Ti meriti un amore che ti spazzi via le bugie che ti porti il sogno, il caffè e la poesia”.
Frida Kalho
Tutto questo e Frida: amore e rivoluzione.
Opere:
Autoritratto con vestito di velluto – (1926) – collezione privata
Autoritratto – (1926)
Ritratto di Alicia Galant – (1927) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ritratto di Miguel N. Lira – (1927) – Instituto Tlaxcalteca de Cultura, Tlaxcala
L’autobus – (1929) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Autoritratto – (1930)
Autorretratto con mono (autoritratto con scimmia) – (1930) – Albright-Knox Art Gallery, Buffalo (New York)
Frida e Diego – (1931) – San Francisco Museum of Modern Art, San Francisco
Ritratto di Eva Frederick – (1931) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ritratto di Luther Burbank – (1931) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ospedale Henry Ford (o Il letto volante) – (1932) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Autoritratto al confine tra Messico e Stati Uniti – (1932)
La mia nascita – (1932)
Il mio vestito è appeso là (o New York) – (1933)
Qualche piccola punzecchiatura – (1935) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
I miei nonni, i miei genitori e io – (1936)
Autoritratto dedicato a Lev Trockij – (1934) – National Museum of Women in the Arts, Washington D.C.
Frida e l’aborto – (1936) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il piccolo defunto Dimas Rosas all’età di tre anni – (1937) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
La mia balia e io – (1937) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ricordo – (1937)
Ciò che ho visto nell’acqua e ciò che l’acqua mi ha dato – (1938)
I frutti del cuore – (1938)
Il cane itzcuintli con me – (1938)
Quattro abitanti del Messico – (1938)
Due Nudi nella Giungla (La Terra Madre) – (1939) – Collezione Privata
Il suicidio di Dorothy Hale – (1939) – Phoenix Art Museum, Phoenix
Le due Frida – (1939) – Museo de Arte Moderno, Città del Messico
Autoritratto con collana di spine – (1940)
Autoritratto con i capelli tagliati – (1940) – Museum of Modern Art, New York
Autoritratto con scimmia – (1940)
Autoritratto per il Dr. Eloesser – (1940)
Il sogno (o Il letto) – (1940)
Cesto di fiori – (1941)
Io con i miei pappagalli – (1941)
Autoritratto con scimmia e pappagallo – (1942)
Autoritratto con scimmie – (1943)
La novella sposa che si spaventa all’aprirsi della vita – (1943)
Retablo – (1943 circa)
Ritratto come una Tehuana (o Diego nel mio pensiero) – (1943)
Pensando alla morte (1943) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Radici (1943) – Collezione privata
Diego e Frida 1929-1944 – (1944)
Fantasia – (1944) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il fiore della vita – (1944) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
La colonna spezzata – (1944) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ritratto di Donna Rosita Morillo – (1944) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il pulcino – (1945) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
La maschera – (1945) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Mosè (o Il nucleo solare) – (1945)
Ritratto con scimmia – (1945) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Senza speranza – (1945) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il piccolo cervo – (1946)
Autoritratto con i capelli sciolti – (1947)
Albero della speranza mantieniti saldo – (1946)
Il sole e la vita – (1947)
Autoritratto – (1948)
Diego e io – (1949) – Collezione privata
L’abbraccio amorevole dell’universo, la terra, Diego, io e il signor Xolotl – (1949)
Autoritratto con ritratto del Dr. Farill – (1951)
Ritratto di mio padre – (1951) – Museo de Frida Kahlo, Città del Messico
Perché voglio i piedi se ho le ali per volare – (1953) – Museo de Frida Kahlo, Città del Messico
Autoritratto con Diego nel mio Cuore – (1953-1954) – Collezione Privata
Autoritratto con Stalin (o Frida e Stalin) – (1954 circa) – Museo de Frida Kahlo, Città del Messico
Il cerchio – (1954 circa) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il marxismo guarirà gli infermi – (1954 circa) – Museo de Frida Kahlo, Città del Messico
Viva la vita – (1954) – Museo de Frida Kahlo, Città del Messico.
Note:
[1] In Andrè Breton, Le Surréalisme et la Peinture, Éditions Gallimard, Parigi 1965; tr. it. di Ettore Capriolo, Il Surrealismo e la Pittura, Marchi Editore, Firenze 1966, “Frida Kahlo”, p. 143.
Fonte-Ass. La Città Futura-| Via dei Lucani 11, Roma | Direttore Resp. Adriana Bernardeschi
Frida Kalho -Viva la vida, il sogno e la rivoluzione-
Articolo di Sara Rotondi-Ass. La Città Futura
Una delle più grandi pittrici del Ventesimo secolo: la ‘pintora mexicana’ per eccellenza, intensa, meravigliosa e potente. Quelli della sua generazione potrebbero tracciare un diagramma della loro vita. A Palazzo Albergati di Bologna entra Frida Kahlo al secolo Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón (Coyoacán, 6 luglio1907 – Coyoacán,13 luglio 1954). La mostra su Frida inaugurata lo scorso 19 novembre, sarà visibile fino al prossimo marzo 2017. Che dire, imperdibile.
Ritratti, autoritratti, la storia dell’artista a tutto tondo che si fonde in maniera inscindibile con la storia della donna. E accanto a lei, a fare da sfondo, gli uomini (e le donne) di Frida: su tutti, il pittore e ‘muralista’ Diego Rivera e la cantante Chavela Vargas che alla veneranda età di 83 anni calcola di aver bevuto più di 45 mila litri di tequila. I grandi amor fou.
Lungi dal ripercorrere la biografia, tracciamo una linea ‘umile’ sul suo grande spessore umano e intellettuale. Dai suoi ideali di amore (quelli veri lontani da beceri romanticismi) all’amore per la libertà.
Ciò che l’acqua mi ha dato. Intensa e piena di passione la sua carriera pittorica, in cui la sua opera non è circoscritta alla semplice narrazione di eventi, ma è anche ricerca interiore. Opere che si uniscono con la tradizione messicana e con il surrealismo. Andrè Breton, in occasione di una mostra a Parigi nel 1939 afferma che Frida è “una surrealista creatasi con le proprie mani e un raro punto di contatto tra l’ambito artistico e quello politico, che speriamo un giorno si possa fondere in un’unica coscienza rivoluzionaria” [1]. Un surrealismo che emerge nel quadro Ciò che l’acqua mi ha dato: immagini di paura, sessualità, memoria e dolore fluttuano nell’acqua di una vasca da bagno, dalla quale affiorano le gambe dell’artista.
Morte e ciclo dell’esistenza. Nella sua opera emerge il dolore, l’erotismo represso (segno di vitalità immune e repressione borghese), subconscio ma anche morte. Citiamo una delle sue opere più famose dove il concetto dell’inazione collegata alla morte è intenso e struggente. Il sogno (1940) Frida Kahlo dorme e lo scheletro è sveglio, vigile. Intorno ci sono delle nuvole, il sonno di Frida è tranquillo, mentre su di lei crescono delle piante che rappresentano la vita. Per l’artista la morte è una rinascita, forma di ringraziamento per la vita e una sorta di celebrazione del ciclo vitale dell’esistenza. La morte è quindi un processo, un cammino verso qualcosa d’altro.
Autoritratto con i capelli tagliati. Fervida femminista, in un dipinto del 1940 affiora il sui ideale di donna con una vera e propria esegesi della definizione culturale delle donne. Adottando trasgressivamente alcuni elementi dell’esteriorità maschile, denuncia apertamente come il potere sia una sorta di travestimento.
Avventura, passione, tequila, e revolución: spirito politico e comunismo. Non solo pittrice, ma anche grande attività per gli ideali libertari dell’epoca. Frida è una comunista convinta che si è battuta contro le ingiustizie e l’omogeneità del sistema: nel 1928 diventa un’attivista del Partito Comunista Messicano per sostenere la lotta di classe armata partecipando a numerose manifestazioni con adeguato physique du rôle.
L’amore come essenza della vita: Ti meriti un amore “Non so scrivere lettere d’amore” affermava Frida Kahlo. Ma in realtà poche donne hanno saputo giocare con le parole e le emozioni come ha fatto lei. Il tutto in un lirismo struggente. “Da quando mi sono innamorata di te, ogni cosa si è trasformata ed è talmente piena di bellezza… L’amore è come un profumo, come una corrente, come la pioggia. Sai, cielo mio, tu sei come la pioggia ed io, come la terra, ti ricevo e accolgo” scrive in una splendida missiva a Josè Bartoli nel 1946. L’amore, quello passionale, quello unico, quello che ti crea dipendenza anche quando si trasforma in sofferenza: “Ti meriti un amore che ti ascolti quando canti, che ti appoggi quando fai la ridicola, che rispetti il tuo essere libera, che ti accompagni nel tuo volo, che non abbia paura di cadere. Ti meriti un amore che ti spazzi via le bugie che ti porti il sogno, il caffè e la poesia”.
Tutto questo e Frida: amore e rivoluzione.
Frida Kahlo.*gelatin silver print.*Oct. 16 / 1932
Opere:
Autoritratto con vestito di velluto – (1926) – collezione privata
Autoritratto – (1926)
Ritratto di Alicia Galant – (1927) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ritratto di Miguel N. Lira – (1927) – Instituto Tlaxcalteca de Cultura, Tlaxcala
L’autobus – (1929) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Autoritratto – (1930)
Autorretratto con mono (autoritratto con scimmia) – (1930) – Albright-Knox Art Gallery, Buffalo (New York)
Frida e Diego – (1931) – San Francisco Museum of Modern Art, San Francisco
Ritratto di Eva Frederick – (1931) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ritratto di Luther Burbank – (1931) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ospedale Henry Ford (o Il letto volante) – (1932) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Autoritratto al confine tra Messico e Stati Uniti – (1932)
La mia nascita – (1932)
Il mio vestito è appeso là (o New York) – (1933)
Qualche piccola punzecchiatura – (1935) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
I miei nonni, i miei genitori e io – (1936)
Autoritratto dedicato a Lev Trockij – (1934) – National Museum of Women in the Arts, Washington D.C.
Frida e l’aborto – (1936) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il piccolo defunto Dimas Rosas all’età di tre anni – (1937) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
La mia balia e io – (1937) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ricordo – (1937)
Ciò che ho visto nell’acqua e ciò che l’acqua mi ha dato – (1938)
I frutti del cuore – (1938)
Il cane itzcuintli con me – (1938)
Quattro abitanti del Messico – (1938)
Due Nudi nella Giungla (La Terra Madre) – (1939) – Collezione Privata
Il suicidio di Dorothy Hale – (1939) – Phoenix Art Museum, Phoenix
Le due Frida – (1939) – Museo de Arte Moderno, Città del Messico
Autoritratto con collana di spine – (1940)
Autoritratto con i capelli tagliati – (1940) – Museum of Modern Art, New York
Autoritratto con scimmia – (1940)
Autoritratto per il Dr. Eloesser – (1940)
Il sogno (o Il letto) – (1940)
Cesto di fiori – (1941)
Io con i miei pappagalli – (1941)
Autoritratto con scimmia e pappagallo – (1942)
Autoritratto con scimmie – (1943)
La novella sposa che si spaventa all’aprirsi della vita – (1943)
Retablo – (1943 circa)
Ritratto come una Tehuana (o Diego nel mio pensiero) – (1943)
Pensando alla morte (1943) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Radici (1943) – Collezione privata
Diego e Frida 1929-1944 – (1944)
Fantasia – (1944) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il fiore della vita – (1944) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
La colonna spezzata – (1944) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Ritratto di Donna Rosita Morillo – (1944) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il pulcino – (1945) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
La maschera – (1945) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Mosè (o Il nucleo solare) – (1945)
Ritratto con scimmia – (1945) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Senza speranza – (1945) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il piccolo cervo – (1946)
Autoritratto con i capelli sciolti – (1947)
Albero della speranza mantieniti saldo – (1946)
Il sole e la vita – (1947)
Autoritratto – (1948)
Diego e io – (1949) – Collezione privata
L’abbraccio amorevole dell’universo, la terra, Diego, io e il signor Xolotl – (1949)
Autoritratto con ritratto del Dr. Farill – (1951)
Ritratto di mio padre – (1951) – Museo de Frida Kahlo, Città del Messico
Perché voglio i piedi se ho le ali per volare – (1953) – Museo de Frida Kahlo, Città del Messico
Autoritratto con Diego nel mio Cuore – (1953-1954) – Collezione Privata
Autoritratto con Stalin (o Frida e Stalin) – (1954 circa) – Museo de Frida Kahlo, Città del Messico
Il cerchio – (1954 circa) – Museo Dolores Olmedo Patiño, Città del Messico
Il marxismo guarirà gli infermi – (1954 circa) – Museo de Frida Kahlo, Città del Messico
Viva la vita – (1954) – Museo de Frida Kahlo, Città del Messico.
Note:
[1] In Andrè Breton, Le Surréalisme et la Peinture, Éditions Gallimard, Parigi 1965; tr. it. di Ettore Capriolo, Il Surrealismo e la Pittura, Marchi Editore, Firenze 1966, “Frida Kahlo”, p. 143.
Fonte- Ass. La Città Futura | Via dei Lucani 11, Roma | Direttore Responsabile Adriana Bernardeschi-
Frida Kalho
Biografia di Frida Kahlo a cura di Irene Bertazzo-
Fonte-ENCICLOPEDIA DELLE DONNE-
Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón nasce da genitori ebrei tedeschi emigrati dall’Ungheria a Città del Messico, il 6 luglio del 1907, anche se lei dichiarava di essere nata nel 1910, con la rivoluzione, con il nuovo Messico.
Del padre, Frida dice «grazie a mio padre ebbi un’infanzia meravigliosa, infatti, pur essendo molto malato (ogni mese e mezzo aveva un attacco epilettico, nda) fu per me un magnifico modello di tenerezza, bravura (come fotografo e pittore, nda) e soprattutto di comprensione per tutti i miei problemi».
Della madre, invece, diceva che era molto simpatica, attiva e intelligente, ma anche calcolatrice, crudele e religiosa in modo fanatico.
A 6 anni Frida si ammala di poliomelite: piede e gamba destra rimangono deformi, tanto che Frida li nasconde prima con pantaloni e poi con lunghe gonne messicane. Così, se quando è piccola viene soprannominata dagli altri bambini “Frida pata de palo” (gamba di legno), quando diventa grande è ammirata per il suo aspetto esotico.
Nel 1922, dopo il liceo presso il Colegio Alemán, la scuola tedesca in Messico, Frida si iscrive alla Escuela Nacional Preparatoria di Città del Messico con l’obiettivo di diventare medico.
Durante questo periodo Frida fa parte dei “cachucas”, un gruppo di studenti che sostiene le idee socialiste nazionaliste del ministro della pubblica istruzione, Vasconcelos, richiedendo riforme scolastiche; inoltre mostra interesse per le arti figurative ma non ha ancora pensato di intraprendere la carriera artistica.
Il 17 settembre 1925, l’autobus diretto a Coyoacàn, su cui Frida Kahlo era salita con il suo ragazzo, Alejandro Gomez, per tornare a casa dopo la scuola, si scontra con un tram.
«Salii sull’autobus con Alejandro.. Poco dopo, l’autobus e un treno della linea di Xochimilco si urtarono.. Fu uno strano scontro; non violento, ma sordo, lento e massacrò tutti. Me più degli altri. È falso dire che ci si rende conto dell’urto, falso dire che si piange. Non versai alcuna lacrima. L’urto ci trascinò in avanti e il corrimano mi attraversò come la spada il toro».
Frida rimane tra le aste metalliche del tram. Il corrimano si spezza e la trapassa da parte a parte… Alejandro la raccoglie e nota che Frida ha un pezzo di metallo piantato nel corpo. Un uomo appoggia un ginocchio sul corpo di Frida ed estrae il pezzo di metallo.
La prima diagnosi seria sopraggiunge un anno dopo l’incidente: frattura della terza e della quarta vertebra lombare, tre fratture del bacino, undici fratture al piede destro, lussazione del gomito sinistro, ferita profonda dell’addome, prodotta da una barra di ferro entrata dall’anca destra e uscita dal sesso, strappando il labbro sinistro. Peritonite acuta. All’ammalata viene prescritto di portare un busto di gesso per 9 mesi, e il completo riposo a letto per almeno 2 mesi dopo le dimissioni dall’ospedale.
«Da molti anni mio padre teneva…una scatola di colori a olio, un paio di pennelli in un vecchio bicchiere e una tavolozza.. nel periodo in cui dovetti rimanere a lungo a letto approfittai dell’occasione e chiesi a mio padre di darmela…Mia madre fece preparare un cavalletto, da applicare al mio letto, perché il busto di gesso non mi permetteva di stare dritta. Così cominciai a dipingere il mio primo quadro».
La madre di Frida, Matilde, poi trasforma il letto di Frida in un letto a baldacchino e ci monta sopra un enorme specchio, in modo che Frida, immobilizzata, possa almeno vedersi.
Così nascono quegli autoritratti che ce la ricordano, con i suoi occhi sovrastati dalle sopracciglia scure, particolarmente marcate, che si uniscono alla radice del naso come ali d’uccello: «dipingo me stessa perché trascorro molto tempo da sola e perché sono il soggetto che conosco meglio».
Con queste rappresentazioni Frida infrange i tabù relativi al corpo e alla sessualità femminile. Diego Rivera, suo futuro marito, dirà di lei «la prima donna nella storia dell’arte ad aver affrontato con assoluta ed inesorabile schiettezza, in modo spietato ma al contempo pacato, quei temi generali e particolari che riguardano esclusivamente le donne».
Via via che i mesi passano, Frida si dedica con crescente consapevolezza alla pittura. Avanza lentamente, produce a piccole dosi e piccoli formati: ciò che la sua salute le permette di fare, a seconda del fatto che riesca a star seduta o solamente distesa: «i miei quadri sono dipinti bene, non con leggerezza bensì con pazienza. La mia pittura porta in sé il messaggio del dolore».
Più di un anno dopo, verso la fine del 1927 si riprende, tanto da poter condurre una vita abbastanza normale, nonostante i dolori dovuti ai vari busti, e le cicatrici derivate dalle diverse operazioni.
Nel 1928 Frida si unisce ad un gruppo di artisti e di intellettuali che sostengono un’arte messicana indipendente, lontana dall’accademismo e legata all’espressione popolare: il mexicanismo, che si esprime nella pittura murale, particolarmente incoraggiata dallo Stato anche per le sue finalità edificanti e la possibilità di raccontare la storia nazionale anche alla grande massa analfabeta.
Frida, dal canto suo, per esprimere idee e sentimenti, crea un proprio linguaggio figurativo; il mondo contenuto nelle opere di Frida si rifà soprattutto all’arte popolare messicana e alla cultura precolombiana; vi sono infatti, immagini votive popolari, raffigurazioni di martiri e santi cristiani, ancorati nella fede del popolo; negli autoritratti, inoltre, Frida si rappresenta quasi sempre in abiti di campagna o con costume indio. Del Messico, poi, ritroviamo, nelle opere di Frida, la flora e la fauna, i cactus, le piante della giungla, le scimmie, i cani itzcuintli, i cervi e i pappagalli.
Nei primi mesi del 1928, German del Campo, uno dei suoi amici del movimento studentesco, le fa conoscere un gruppo di giovani raccolto intorno al comunista cubano Julio Antonio Mella, che si trova in esilio in Messico e che ha una relazione con la fotografa Tina Modotti. È proprio Tina a far conoscere a Frida Diego Rivera: un pittore e muralista molto famoso, anche se i due, in realtà si erano già conosciuti nel 1923, mentre Diego lavorava nell’anfiteatro Bolivar. Di quell’incontro Diego ricorda di questa ragazza «…aveva una dignità e una sicurezza di sé del tutto inusuali e negli occhi le brillava uno strano fuoco».
Quando Frida incontra Diego per la seconda volta, lui è un uomo pesante, gigantesco, Frida lo prende in giro chiamandolo “elefante”: è già stato sposato due volte e ha quattro figli.
Il 21 agosto del 1929 si sposano. Lei ha 22 anni, lui quasi 43.
A causa della malformazione pelvica, dovuta all’incidente, Frida non riesce a portare a termine le sue gravidanze, e così, 3 mesi dopo il matrimonio, Frida deve abortire. È la prima volta. Nel novembre del 1930 Frida e Diego si trasferiscono per 4 anni negli Stati Uniti per motivi artistici e politici. A Detroit Frida rimane incinta per la seconda volta, ma la tripla frattura delle ossa del bacino ostacola la corretta posizione del bambino. Frida decide comunque di tenere il bambino, nonostante la sua pessima condizione fisica ed il rischio. Tuttavia, il 4 luglio perde il bambino per un aborto spontaneo.
Nel 1934 ritornano in Messico, Frida è costretta ad abortire per la terza volta, e si separa da Diego che, nel frattempo, aveva avuto diverse avventure con altre donne, compresa la sorella di Frida, Cristina.
Frida comincia ad avere rapporti con altri uomini e con donne e ad essere molto attiva anche dal punto di vista politico. Nel 1936 in Spagna scoppia la guerra civile e se, Tina Modotti, l’amica di Frida, lascia immediatamente Mosca per andare in Spagna, lei si impegna a distanza nella lotta per la difesa della Repubblica Spagnola, organizzando riunioni, scrivendo lettere, raccogliendo viveri di prima necessità, pacchi di vestiti e di medicine per inviarli al fronte.
Nel 1937, poi, nella sua Casa Azul, ospita Lev e Natalja Trotskij, i quali sono in viaggio dal 1929, espulsi dall’Unione Sovietica.
Negli anni Quaranta, la fama di Frida è talmente grande che le sue opere vengono richieste per quasi tutte le mostre collettive allestite in Messico.
Nel 1943 viene chiamata ad insegnare, assieme ad altri artisti, alla nuova scuola d’arte della pedagogia popolare e liberale: l’Esmeralda. Frida, per ragioni di salute, è presto costretta a tenere le lezioni nella sua casa. I suoi metodi sono poco ortodossi: «Muchacos, chiusi qui dentro, a scuola, non possiamo fare niente. Andiamo fuori, in strada, dipingiamo la vita della strada». I suoi alunni la ricordano: «l’unico aiuto che ci dava era quello di stimolarci….non diceva niente sul modo in cui dovevamo dipingere o sullo stile, come faceva il maestro Diego…Ci insegnò soprattutto l’amore per la gente, ci fece amare l’arte popolare».
Nel 1950 subisce sette operazioni alla colonna vertebrale e trascorre nove mesi in ospedale. Dopo il 1951, a causa dei dolori, non riesce più a lavorare se non ricorrendo a farmaci antidolorifici; forse è proprio dovuta a questi la pennellata più morbida, meno accurata, il colore più spesso e l’esecuzione più imprecisa dei dettagli.
Nel 1953, alla sua prima mostra personale, allestita dalla amica fotografa Lola Alvarez Bravo, partecipa sdraiata su un letto, dato che se i medici le hanno assolutamente proibito di alzarsi. È Diego ad avere l’idea di trasportare il grande letto a baldacchino di Frida fin nel centro di Città del Messico. Stordita dai farmaci, partecipa alla festa rimanendo a letto, bevendo e cantando con il pubblico accorso numeroso. Nell’agosto dello stesso anno, i medici decidono di amputarle la gamba destra fino al ginocchio.
Nel 1954 si ammala di polmonite. Durante la convalescenza, il 2 luglio, partecipa ad un dimostrazione contro l’intervento statunitense in Guatemala, reggendo un cartello con il simbolo della colomba che reca un messaggio di pace. Muore per embolia polmonare la notte del 13 luglio, nella sua Casa Azul, sette giorni dopo il suo quarantasettesimo compleanno. La sera prima di morire, con le parole «sento che presto ti lascerò», aveva dato a Diego il regalo per le loro nozze d’argento.
Frida Kalho
ENCICLOPEDIA DELLE DONNE
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Octavio Paz-(1914-1998)-Poeta, scrittore, saggista e diplomatico messicano, premio Nobel per la Letteratura nel 1990. Il suo mondo poetico si basa sula poesia surrealista prima e sul pensiero orientale poi per superare l’io della filosofia occidentale e compiere un discorso ininterrotto sulla poesia stessa. La sua poesia è fatta di sperimentazione e anticonformismo, un continuo mettersi in discussione del linguaggio, “lotta continua contro la significazione”.
Vivian Maier – “Tina Modotti – Fotografa e rivoluzionaria”
Biografia di Tina Modotti nacque ad Udine, nel quartiere di Borgo Pracchiuso, il 16 agosto del 1896 (la data è però registrata al 17 agosto)[1][11] da una modesta famiglia operaia, aderente politicamente al socialismo tipico di fine Ottocento. Il padre, Giuseppe Modotti, era un muratore,[11] mentre la madre, Assunta Mondini Saltarini, era una casalinga e cucitrice. Venne battezzata il 27 gennaio del 1897, con suo padrino un anarchico di professione calzolaio, Demetrio Canal. La sua casa era un’abitazione fatiscente di due piani in via Pracchiuso numero 113, oggi (2023) numero 89.
Tina aveva solo due anni quando la sua famiglia, per ragioni di natura economica, si trovò costretta a emigrare a Klagenfurt, in Austria. Lì nacquero gli altri cinque suoi fratelli e sorelle: Valentina detta Gioconda, Jolanda Luisa, Mercedes, Pasquale Benvenuto ed Ernesto, che morì a soli tre anni di meningite (e che non venne più menzionato all’interno della famiglia). Nel 1905 ritornarono ad Udine, dove Tina frequentò con profitto le prime classi della scuola elementare. In estate Giuseppe lasciò la famiglia in cerca di lavoro negli Stati Uniti e in agosto nacque l’ultimogenito Giuseppe Pietro. Tina cominciò a lavorare come operaia a dodici anni presso la fabbrica tessile Fabbrica Premiata Velluti, Damaschi e Seterie Domenico Raiser, situata nella periferia della città, per poter contribuire al mantenimento della numerosa famiglia.[11] Nel contempo cominciò a frequentare lo studio fotografico di Pietro Modotti, zio paterno, dove apprese le sue prime nozioni di fotografia.[12]
L’emigrazione negli Stati Uniti
Nel giugno del 1913 lasciò l’impiego che ricopriva presso la Raiser e salpò da Genova per raggiungere il padre e la sorella Mercedes a San Francisco (in California) dove, in breve tempo, trovò lavoro presso una fabbrica tessile. In quel periodo si avvicinò anche alla recitazione, figurando in rappresentazioni amatoriali – rivolte essenzialmente al pubblico di immigrati italiani del luogo – di D’Annunzio, Goldoni e Pirandello, in serate di beneficenza per la raccolta di fondi da inviare all’Italia in guerra.[13] Nel 1918 sposò il pittore e poeta Roubaix de l’Abrie Richey, soprannominato Robo, conosciuto qualche anno prima, e visse questo primo periodo con grande intensità, recitando, disegnando i propri abiti di scena, posando e dipingendo. I due si stabilirono a Los Angeles per poter perseguire una carriera nel mondo del cinema.[14]
Nel gennaio 1920 partirono per gli Stati Uniti anche la madre con i piccoli Benvenuto e Giuseppe. Il 1920 fu anche l’anno di esordio cinematografico di Tina, con il film Pelle di tigre (The Tiger’s Coat), il primo dei tre film hollywoodiani da lei interpretati e anche l’unico giunto fino a noi[13], per il quale ricevette l’acclamazione del pubblico e della critica, anche in virtù del suo “fascino esotico”. Ma il modo in cui il suo corpo e il suo viso erano stati lanciati sul mercato indusse Tina a mettere fine alla breve avventura cinematografica.[15][16] Grazie al marito, conobbe il fotografo Edward Weston e la sua assistente Margrethe Mather. Nel giro di un anno, la Modotti divenne la sua modella preferita e, nell’ottobre del 1921, anche sua amante. Quello stesso anno, il marito Robo le comunicò la sua intenzione di trasferirsi in Messico alla fine dell’anno, dedicandole un’ultima poesia: «Tina è il rosso del vino, così prezioso da lasciarlo posare con delicatezza perché diventi ancor più prezioso…».[17] Il Messico post-rivoluzionario appariva una destinazione di grande fascino, innovativa dal punto di vista culturale e sociale.[13] Dopo alcuni mesi, Tina cercò di raggiungerlo assieme a Weston, su invito dello stesso Robo, ma arrivò a Città del Messico troppo tardi, in quanto egli era morto da ormai due giorni, a causa di un fortissimo attacco febbrile probabile conseguenza del vaiolo (9 febbraio 1922).[18] Anche suo padre Giuseppe venne a mancare dopo poche settimane e, prima della fine dell’anno, la Modotti pubblicò a Los Angeles The book of Robo, un libro da lei curato in onore del marito.[13]
Assieme a Weston e ad uno dei quattro figli dell’uomo, desideroso di partire per rifarsi una vita nel paese latinoamericano, Tina Modotti ripartì per Città del Messico il 30 luglio 1923.[13] Dapprima come assistente in camera oscura, poi come contabile e infine come vera e propria fotografa, strinse amicizia con artisti e intellettuali, entrando rapidamente in contatto con i circoli bohémien della capitale messicana. Questi nuovi legami furono anche utili per creare ed espandere il mercato dei ritratti nel loro studio fotografico. Dopo meno di un anno, alla Feria Nacional del Libro y Exposición de Artes Graficas, Weston e la Modotti si aggiudicarono rispettivamente il primo e secondo premio nel settore fotografia. Benché già introdotta alle nozioni basilari sin da ragazzina, la relazione con Weston le aveva permesso di praticare e migliorare le sue capacità, fino a divenire un’artista di fama internazionale. Le sue idee sono chiaramente espresse nello scritto Sulla fotografia (1929): liberarsi da arte e artistico, puntare sulla qualità e sulle peculiarità del mezzo, perseguire uno scopo comunicativo.[13] Il fotografo messicano Manuel Alvares Bravo, in una sua disamina critica dell’opera della Modotti, ne suddivise la carriera in due periodi distinti: quello romantico e quello rivoluzionario. Il primo include appunto il periodo trascorso con Weston, caratterizzato da nature morte, da esperimenti grafici e pittorici; il secondo caratterizzato da una maggiore attenzione alla natura, ai fiori, all’essere umano e all’ambiente che lo circonda, con intento di documentazione sociale e antropologica e talvolta con forte connotazione politica.
Assieme a Weston, Tina Modotti nel 1925 ricevette l’incarico di viaggiare per i luoghi meno conosciuti del Messico e scattare fotografie che vennero poi pubblicate in Idols Behind Altars. The Story of the Mexican Spirit, di Anita Brenner. La Modotti doveva entrare nei luoghi religiosi e interagire con la gente del luogo. Nel libro, uscito nel 1929, furono selezionate 70 immagini su più di un centinaio che documentavano usanze, feste popolari, processioni. In questa, e nelle successive occasioni, i suoi scatti dedicati alle donne rivestono un ruolo di importante testimonianza etnografica: costumi, oggetti e attività sono documentati con grande attenzione, sottolineandone l’importanza e la dignità in una società matriarcale anche nelle immagini più tenere riguardanti la maternità e l’allattamento. Le foto più conosciute furono scattate durante un viaggio solitario nell’Istmo di Tehuantepec, intrapreso nel 1929 dopo il suo coinvolgimento nella morte di Julio Antonio Mella, attivista cubano. Dietro la fiera bellezza delle donne tehuane[19], la documentazione della povertà e del degrado, la disparità fra città e campagna, costituivano un forte messaggio sociale e politico.[13]
Scelta in quegli anni come “fotografa ufficiale” del movimento muralista messicano, immortalando i lavori di José Clemente Orozco e di Diego Rivera, Tina Modotti compare anche in alcuni murales di quest’ultimo: nella cappella dell’Università Autonoma del Messico è La vergine terra (nudo disteso) e Vita e terra (in piedi) e, sempre per mano di Rivera, venne dipinta nell’atto di distribuire cartucce ai lavoratori nel patio della Secretaría de Educación Publica. In questo ambito ebbe anche modo di conoscere diversi esponenti dell’ala radicale del comunismo, tra cui Xavier Guerrero, funzionario del Partito Comunista Messicano con cui ebbe una relazione sentimentale dopo che Weston, alla fine del 1926, ripartì per gli Stati Uniti.[20]; un esule italiano, Vittorio Vidali, attivo in quel periodo presso varie organizzazioni comuniste del mondo per conto del Comintern, la convinse ad iscriversi al PCM. Fu amica, e probabilmente anche amante, della pittriceFrida Kahlo, militante comunista e femminista nel Messico degli anni venti[21]; nel 1940, il terrazzo di casa di Tina ospitò la festa di nozze tra la stessa Frida e Diego Rivera. Il 1927 segna l’inizio della fase più intensa del suo attivismo politico, così come della sua attività fotografica. Il suo impegno la portò a partecipare a comitati a favore di Sacco e Vanzetti e a favore delle classi sociali messicane più svantaggiate, le sue foto a sfondo sociale andarono a corredare numerose riviste dell’epoca. Le notizie che arrivavano dall’Italia le fecero affermare in una manifestazione che «il fascismo ha ridotto l’Italia in un grande carcere e un grande cimitero» e queste parole, segnalate dalla Legazione Italiana, destarono l’attenzione del Ministero dell’Interno.[13]
Nel 1928 la sua relazione con Xavier Guerrero terminò con la partenza del suo compagno per un soggiorno di tre anni in Unione Sovietica. Il 10 gennaio del 1929 Julio Antonio Mella, suo compagno da pochi mesi, mentre passeggiava con lei morì assassinato per mano di un suo oppositore politico.[22][23] La donna fu subito accusata dalle autorità di essere complice nell’omicidio. Nella perquisizione della sua casa, la polizia trovò alcune foto scattate da Weston che la ritraevano nuda e ne seguì una campagna scandalistica che la ritraeva come donna di facili costumi.[13] Per questa ragione rifiutò l’incarico di fotografa ufficiale del Museo nazionale messicano,[24] e decise di intraprendere un nuovo progetto: il reportage sull’istmo della regione del Tehuantepec e sulle donne native, straordinariamente forti e belle. Nel dicembre del 1929 una sua mostra personale venne definita dal muralista David Alfaro Siqueiros come “La prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico”: fu l’apice della sua carriera di fotografa. All’incirca un anno dopo, fu costretta a lasciare la macchina fotografica dopo l’espulsione dal Messico e, a parte poche eccezioni, non scattò più fotografie nei dodici anni che le rimanevano da vivere.
Il lavoro per il Comintern
Esiliata dalla sua patria d’adozione con l’accusa (falsa) di aver partecipato all’attentato al presidente Pascual Ortiz Rubio, la Modotti raggiunse Berlino nella primavera del 1930; qui provò a lavorare ospitata dalla collega Lotte Jacobi ma, abituata alla forte luce solare del Messico, non riuscì ad integrarsi e ad usare la nuova fotocamera Leica, molto più maneggevole con un rullino da 36 pose (contro il caricamento singolo della Graflex che aveva sempre usato), ma che non permetteva la pre-visualizzazione dello scatto nel mirino[13]. Per un certo periodo la Modotti viaggiò in giro per l’Europa per poi stabilirsi, assieme al pittore Pablo O’Higgins[25], a Mosca, in Unione Sovietica, dove pare venne cooptata dalla polizia segreta sovietica per varie missioni di spionaggio in Francia ed alcuni paesi dell’Europa centro-orientale, probabilmente a sostegno della Rivoluzione Mondiale che i sovietici si prospettavano. In via ufficiale, dal dicembre del 1930, operava in qualità d’infermiera volontaria per il Soccorso Rosso Internazionale.
Dall’ottobre del 1935 si trovava in Spagna e quando allo scoppio della guerra civile spagnola, nel luglio del 1936, lei e il suo amante Vittorio Vidali, dietro i nomi di battaglia di Maria e Comandante Carlos, si unirono alle Brigate Internazionali, rimanendo nel paese iberico almeno fino al 1939. Lavorò con il celebre medico canadeseNorman Bethune, inventore delle unità mobili per le trasfusioni di sangue, durante la disastrosa ritirata da Malaga nel 1937. Nel 1939, dopo il collasso del fronte repubblicano e l’instaurazione del regime franchista, la Modotti lasciò la Spagna assieme a Vidali, per far ritorno in Messico dietro falso nome. Secondo alcuni storici, i due potrebbero essere stati implicati anche nell’assassinio di Lev Trockij: in una foto scattata dalla Modotti nel 1929, sono ritratti i partecipanti al primo congresso del Soccorso Rosso dei Caraibi. Sul retro della foto sono scritti in ordine i loro nomi e, fra gli altri delegati nazionali, figura anche il “compagno Arturo”: in realtà si trattava di un agente di Stalin sotto copertura, il suo vero nome era Iosif Gregulevich ed era a capo del commando che aveva arruolato Ramón Mercader, il sicario che nel 1940 eliminò Trockij.[26]
La morte
Tina Modotti morì a Città del Messico il 5 gennaio del 1942, secondo alcuni in circostanze sospette. Dopo aver avuto la notizia della sua morte, Diego Rivera affermò che fosse stata assassinata, e che Vidali stesso fosse stato l’autore dell’omicidio. Tina poteva “sapere troppo” delle attività di Vidali in Spagna durante la guerra civile, incluse le voci riguardanti le più di 400 esecuzioni di repubblicani non schierati con Mosca. Ciononostante, la versione più probabile sarebbe che quella notte Tina, dopo aver cenato con amici in casa dell’architetto svizzeroHannes Meyer[27], fu semplicemente vittima d’un arresto cardiaco, che la condusse alla morte nel taxi che la stava riportando a casa[28]. La sua tomba è nel grande Panteón de Dolores a Città del Messico.
Il poeta Pablo Neruda, indignato dalle accuse fatte a Vittorio Vidali a proposito della morte della fotografa, compose il suo epitaffio in cui è indicato anche lo sciacallaggio riferibile a quelle infamie; di questo componimento una parte può essere trovata sulla lapide della Modotti, che include anche un suo ritratto in bassorilievo fatto dall’incisore Leopoldo Méndez:
«Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa.
Riposa dolcemente, sorella.
La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua:
ti sei messa una nuova veste di semente profonda
e il tuo soave silenzio si colma di radici.
Non dormirai invano, sorella.
Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:
di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,
d’acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,
la tua delicata struttura.
Lo sciacallo sul gioiello del tuo corpo addormentato
ancora protende la penna e l’anima insanguinata
come se tu potessi, sorella, risollevarti
e sorridere sopra il fango.
Nella mia patria ti porto perché non ti tocchino,
nella mia patria di neve perché alla tua purezza
non arrivi l’assassino, né lo sciacallo, né il venduto:
laggiù starai in pace.
Lo senti quel passo, un passo pieno di passi, qualcosa
di grandioso che viene dalla steppa, dal Don, dal freddo?
Lo senti quel passo fiero di soldato sulla neve?
Sorella, sono i tuoi passi.
Verranno un giorno sulla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri si disperdano,
verranno a vedere quelli d’una volta, domani,
là dove sta bruciando il tuo silenzio.
Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.
Avanzano ogni giorno i canti della tua bocca
nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.
Valoroso era il tuo cuore.
Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade
polverose, qualcosa si mormora e passa,
qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,
qualcosa si desta e canta.
Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome,
quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra,
col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.
Perché il fuoco non muore.»
(Pablo Neruda 5 gennaio 1942, epitaffio dedicato a Tina Modotti[29])
Fotografa
Tina Modotti è una delle poche donne dell’epoca apprezzate per una capacità in un’attività in cui fino ad allora si erano contraddistinti soprattutto uomini: fotografia e fotoreportage. La sua esperienza nel campo fotografico è impressionante: dopo la frequentazione di Edward Weston, da cui apprende le basi della fotografia, è la Modotti stessa a sviluppare ben presto un suo proprio stile utilizzando la fotografia come “strumento di indagine e denuncia sociale”, foto esteticamente equilibrate in cui era prevalente una ideologia ben definita: «esaltazione dei simboli del lavoro, del popolo e del suo riscatto (mani di operai, manifestazioni politiche e sindacali, falce e martello,…)»[30]. Nei reportage, in quella che altri fotografi definirono “fotografia di strada” la Modotti aveva idee ben precise, infatti non cercò mai “effetti speciali”, a suo avviso la fotografia lungi dall’essere “artistica” doveva denunciare “senza trucchi” la realtà nuda e cruda in cui gli “effetti” e le “manipolazioni” dovevano essere banditi.
Fu la Modotti stessa a più riprese a definire il proposito che desiderava raggiungere con la sua fotografia, come fa notare il fotografo Pino Bertelli riportando due suoi giudizi. Nel 1926 asserì: «Desidero fotografare ciò che vedo, sinceramente, direttamente, senza trucchi, e penso che possa essere questo il mio contributo a un mondo migliore»[31]. Definendo precisamente il suo punto di vista, la Modotti nel 1929 spiegò:
«Sempre, quando le parole “arte” o “artistico” vengono applicate al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo. Questo è dovuto sicuramente al cattivo uso e abuso che viene fatto di questi termini. Mi considero una fotografa, niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente che io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni. La maggior parte dei fotografi vanno ancora alla ricerca dell’effetto “artistico”, imitando altri mezzi di espressione grafica. Il risultato è un prodotto ibrido che non riesce a dare al loro lavoro le caratteristiche più valide che dovrebbe avere: la qualità fotografica[31].»
Secondo lo scrittore britannico Geoff Dyer, la relativamente scarsa produzione fotografica di Modotti può essere vista non come un difetto, bensì come la conseguenza di una sovrabbondanza di vita. Mentre esiste solo una biografia di Weston, scritta da Ben Maddow, ce ne sono almeno sei su Tina Modotti (vedi sezione bibliografica), “per il semplice motivo che ha vissuto una mezza dozzina di vite”.[23]
Critica
La Biblioteca del Congresso (Library of Congress), la biblioteca nazionale degli Stati Uniti a Washington in una scheda di Beverly W. Brannan della Prints & Photographs Division definisce Tina Modotti come una “riconosciuta maestra della prima fotografia del XX secolo“[10][32].
Brannan esalta la “raffinata arte” della Modotti, anche come fotoreporter (alcune sue fotografie apparirono sul giornale del partito comunista messicano El Machéte), tanto da conservare un lotto di sue fotografie ovvero quelle che documentano le attività di quel partito nel 1929,[33] oltre che foto su altri temi[9]. El Machéte era stato fondato da un gruppo di artisti e giornalisti con lo slogan: “Il machete viene utilizzato per raccogliere la canna, uccidere i serpenti, porre fine alle lotte e umiliare l’orgoglio degli empi ricchi.” Secondo Tim Adams, “Modotti aveva preso a cuore quel messaggio, creando composizioni come questa [uomini che leggono El Machéte del 1927] che trasmettevano, magnificamente, sia l’unità dei campesinos – individualmente senza volto sotto i tradizionali sombreri – sia la loro volontà sovversiva collettiva”.[34] Opere della produzione fotografica della Modotti sono anche custodite presso l’International Museum of Photography and Film at George Eastman House[8] di Rochester (New York) oltre che in altri importanti musei del mondo. D’altronde il britannico The Daily Telegraph annunciando una mostra della fotografa alla Royal Academy of Arts di Londra definì la Modotti come «uno dei più brillanti fotografi del XX secolo» con una storia ed una eredità straordinarie[32]
Anche a causa del numero relativamente esiguo delle foto realizzate da Tina Modotti, le sue quotazioni sono oggi giunte ad un livello considerevole: una stampa originale della foto sopracitata è stata venduta nel 2015 da Sotheby’s al prezzo di 225 000 dollari.[34]
Nel 2005 la Caritas dell’arcidiocesi di Udine interpella l’artista Franco Del Zotto Odorico per la creazione di un segno identificativo sulla facciata del nuovo ricovero notturno per senzatetto di via Pracchiuso 89, casa natale di Tina Modotti. L’intervento artistico in nome della celebre fotografa diventava necessario al fine di dare una forma di consapevolezza storica ad un luogo che sebbene rifunzionalizzato tratteneva una memoria storica di notevole importanza. L’opera si è totalmente integrata alla struttura: la facciata ha assunto la forma di un grande foglio dattiloscritto su cui si susseguono pezzi della vita della Modotti, incisi sotto forma di bassorilievo. Prende corpo lungo tutta la facciata un racconto didascalico, in cui Tina stessa e le persone coinvolte nella sua stessa vita “battono a macchina” su un supporto murale un flusso continuo di parole. Per sottolineare certi passaggi nel testo ritenuti più rilevanti, è inoltre stata alterata la scrittura stessa, capovolgendo le lettere: operazione che rende più difficile la lettura, meno immediata, ma allo stesso tempo attira l’attenzione dello spettatore, creando “un testo dentro il testo”. Il bassorilievo presenta testi in più lingue (italiano, inglese, spagnolo, friulano) per testimoniare la grande trasversalità culturale della Modotti.
Il murale sulla facciata della casa natale di Tina Modotti nel 2014, opera realizzata da Franco Del Zotto e dall’assistente Vera Fedrigo, vince il premio internazionale Le Geste d’Or, Le Trophee du Grand Prix per la categoria Prix Innovation nel 2014[36]. La premiazione è avvenuta sabato 8 novembre durante il Salone internazionale del patrimonio culturale (Le Salon international du Patrimoine Culturel) organizzato presso il Carrousel du Louvre[37].
Pino Cacucci ha scritto una biografia, Tina, in cui racconta la vita e l’arte di Tina Modotti.
Anche il gruppo punk dei Fugazi nell’album End Hits del 1997 dedica una canzone a Tina con il titolo di Recap Modotti. Il pianista Remo Anzovino nel suo album d’esordio Dispari (2006) ha dedicato a Tina Modotti il brano ¡Que viva Tina!.
Negli anni novanta il teatro XX secolo di Roma espone una raccolta di disegni di Silvio Benedetto su Tina Modotti, presentata da Claude Moliterni, Sombras.
Sempre negli anni ’90 il compositore Andrea Centazzo scrive l’opera multimediale Tina ispirato alla sua biografia, con come protagonista Ottavia Piccolo.
Nel 1999 e nel 2000 l’autrice ed attrice Luisa Vermiglio porta in scena rispettivamente Con la Voce Negli Occhi – Viaggio intimo sulle tracce di Tina Modotti e Accanto a Tina/Cerca de Tina, entrambi prodotti dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, con le musiche originali di Alessandro Montello.
Nel 2003 il fumettista italiano Paolo Cossi pubblica un libro a fumetti interamente dedicato alla vita della fotografa friulana: trattasi infatti di Tina Modotti, edito da Biblioteca dell’immagine.
Il sassofonistajazzFrancesco Bearzatti ha dedicato alla fotografa un intero album, Suite for Tina Modotti, registrato con un’apposita formazione chiamata Tinissima Quartet.
Il compositore friulano Jaio Furlanâr le ha dedicato una canzone in friulano.
Un film intitolato Que viva Tina è stato realizzato da Silvano Cattano nel 1997.
Nel 2012 debutta lo spettacolo Della Passione di Tina, un monologo teatrale ideato e interpretato da Marika Tesser, dal quale Marcello Fausto Dalla Pietà ha liberamente tratto il video Tina con musiche di Dmitrij Šostakovič[38].
Nel 2013 durante la 26ª edizione di Sorrivol dei Burattini! il Grupo Saltimbanqui con Pierpaolo Di Giusto hanno presentato Corrido per Tina Modotti, breve storia di Tina Modotti per marionette e fisarmonica.
Nel 2013 il duo francese Catherine Vincent ha registrato un disco Tina dedicato a Tina Modotti. Nel disco è presente una canzone in francese, italiano, spagnolo e inglese che ha come testo una poesia scritta dalla stessa Tina. Il duo ha anche realizzato un accompagnamento musicale per l’unico film che rimane del periodo in che Tina faceva l’attrice a Hollywood, Pelle di tigre (1920) di Roy Clements, restaurato dalla Cineteca del Friuli.
Nel 2015, in Friuli-Venezia Giulia, è stato rappresentato il racconto teatrale multimediale plurisensoriale Hola Frida Mandi Tina …la fotógrafa y la pintora ispirato alla vita, all’amicizia e agli scritti di Tina Modotti e Frida Kahlo[39]. Dal 2018 la pièce – ideata, sceneggiata e diretta da Susanna Piticco (voce di Frida) e Vicky Vicario (autrice del testo dedicato e voce di Tina) – viene proposta nella nuova versione Hola Frida Mandi Tina la fotógrafa, la pintora …y el muralista también in cui è stata inserita la figura di Diego Rivera, marito di Frida e amico di Tina.[40].
Bologna, 2024 : Tina Modotti Dal 26 settembre 2024 al 16 febbraio 2025, le sale di Palazzo Pallavicini (Bologna) ospiteranno una grande mostra dedicata alla fotografa esponente di spicco della fotografia e dell’attivismo politico della prima metà del Novecento. Organizzata e realizzata da Chiara Campagnoli, Deborah Petroni e Rubens Fogacci della Pallavicini s.r.l., unitamente al Comitato Tina Modotti, l’esposizione ed i testi saranno a cura di Francesca Bogliolo.
Lecce, 2012-2013: Tina Modotti – Fotografa E Rivoluzionaria (dal 21 settembre 2012 al 22 febbraio 2013). Manifatture Knos – Cineporto[52]
Buenos Aires, 2012: Fotógrafa y revolucionaria – Reapertura (dal 6 ottobre al 30 ottobre 2012). Centro Cultural Borges[53]
Pordenone 2011: Il fotografo fotografato. Fotografie, immagini, documenti dall’Ottocento ai nostri giorni (dal 28 maggio al 18 settembre 2011). Museo d’Arte Contemporanea[54]
New York, 2010-2011: Pictures by Women: A History of Modern Photography (dal 7 maggio 2010 al 18 aprile 2011). Museum of Modern Art (MoMa)[55]
Trieste, 2010: Masterworks (dal 23 settembre al 6 novembre 2010). ITIS – Galleria San Giusto[56]
Terni, 2010: Tina Modotti – Tinissima. Fotografia e Rivoluzione (dal 13 febbraio al 30 maggio 2010). Palazzo Primavera[57]
Cagliari, 2009-2010: 99 click+1. Fotografie. Storie di incanti (dall’11 dicembre 2009 al 28 febbraio 2010). Il Ghetto[58]
Capodistria, 2009: Sguardi – La Fotografia del Novecento in Friuli e nella Venezia Giulia (dal 20 novembre al 20 dicembre 2009). Sedi varie[59]
Milano, 2009: Tina Modotti – Sotto il cielo del Messico (dal 15 settembre al 13 novembre 2009). Galleria Photology[60]
Lubiana, 2009: Sguardi – La Fotografia del Novecento in Friuli e nella Venezia Giulia (dal 2 giugno al 30 settembre 2009). Museo Etnografico di Lubiana[61]
Verbania, 2009: Flower power (dal 24 maggio all’11 ottobre 2009). CRAA – Centro Ricerca Arte Attuale Villa Giulia[62]
Venezia, 2008: Fotografie (19 dicembre 2008). San Marco Casa d’Aste[63]
Istituto scolastico comprensivo di Premariacco (UD);
Galleria Tina Modotti (ex Mercato del pesce) a Udine;
Campobasso-13 dicembre 2017 “Tina Modotti – Fotografa e rivoluzionaria” è il titolo della mostra che si terrà a Campobasso dal 15 dicembre 2017 al 7 gennaio 2018 negli spazi di via Persichillo, 1.
Inaugura il 15 dicembre alle 18 nella Galleria Spazio Immagine di Campobasso “Tina Modotti – Fotografa e rivoluzionaria”, mostra fotografica a cura di Reinhard Schultz (Galleria Bilderwelt di Berlino) portata in città dall’associazione culturale Centro per la Fotografia Vivian Maier.
Negli spazi di via Persichillo, 1 sarà mostrato un vasto repertorio fotografico arricchito da testimonianze originali quali le lettere di corrispondenza fra la Modotti e la madre e fra l’artista ed Edward Weston, uno fra i fotografi americani più importanti nella prima metà del Novecento. Fra i documenti esposti, anche materiale politico attraverso cui sarà possibile ricostruire le tappe fondamentali della vita pubblica e privata della “fotografa combattente”, così come veniva definita dal compagno Vittorio Vidali (documenti tratti dall’archivio Tina Modotti di Christiane Barckhausen-canale dell’associazione Crea Tina).
Il progetto nasce dall’idea di diffondere e far conoscere, attraverso una raccolta esclusiva, l’esperienza di cui è stata protagonista Tina Modotti nello scenario di fine anni Venti tra Italia e Stati Uniti d’America. Un progetto ambizioso che mira a dar voce a un capitolo importante nella cultura della fotografia.
Tina Modotti (Udine, 1896 – Città del Messico, 1942) è stata una delle più importanti fotografe della prima metà del XX secolo, oltre ad attrice e attivista politica. Musa di Pablo Neruda e modella di pittori messicani come Diego Rivera, Frida Kahlo e David Alfaro Siqueiros, le sue opere fotografiche sono esposte nei più importanti musei del mondo, tra cui l’International Museum of Photography and Film at George Eastman House di Rochester (New York) e la Library of Congress di Washington.
orario di apertura: Dal Martedì al Venerdì dalle 18:00 alle 20:30
Sabato e Domenica dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 18:00 alle 20:30
In orari e giorni diversi è possibile prenotare una visita su appuntamento.
Ingresso Libero
Tina Modotti – Fotografa e rivoluzionariaTina Modotti – Fotografa e rivoluzionariaTina Modotti – Fotografa e rivoluzionariaTina Modotti – Fotografa e rivoluzionariaTina Modotti – Fotografa e rivoluzionariaTina Modotti – Fotografa e rivoluzionariaTina Modotti – Fotografa e rivoluzionariaTina Modotti – Fotografa e rivoluzionariaANPI Fara in Sabina/Valle del Farfa-EDMONDO RIVA Medaglia d’oro-
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