Paolo Genovesi Fotoreportage MONTENERO in SABINA (Rieti)-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Paolo Genovesi Fotoreportage MONTENERO in SABINA (Rieti)
Toffia in notturna “…………., è una visione, uno stato d’animo, sensibilità per l’astratto e immateriale che solo loro, gli Artisti e i bambini lo sanno individuare e vivere. Parlo di quel particolare momento, durante il crepuscolo, che annuncia il passaggio dalla luce al buio: la cosiddetta “Ora Blu”. “L’here blue”, cara alla poetica , alla contemplazione e ai voli immensi che solo i notturni sottolineati dalle note di Chopin sanno trasformare la realtà in estasi che, poi, si sveglia alle note del Jazz”………… ……”immaginate Ernest Hemingway qui seduto nella piazza “all’Here Blue” a gustare il suo rum, chissà, forse, avrebbe scritto: “Il Vecchio e la Valle del Farfa”, o no?………..”
Brano Tratto da “Murales Castelnuovesi” di Franco Leggeri
Biblioteca DEA SABINA –-Mons. Francesco SIDOLI Vescovo di Rieti -Lettera pastorale al clero e popolo della diocesi: anno 1919
pubblicate sul N°unico 26/28-Giugno 1981/Maggio 1982
Walter De Cesaris, per anni delegato di base alla Manifattura Tabacchi Romana, ha voluto colmare un vuoto nella storia sociale del nostro paese scrivendo questo importante e utile libro sulla storia delle operaie del tabacco in Italia. Ed è ancor più importante oggi, nella profonda crisi di rappresentanza delle organizzazioni del movimento operaio, poiché il libro si proietta oggettivamente oltre la particolare categoria e ci obbliga a scavare dentro le nostre stesse origini per la necessaria rifondazione. E’ quello che lo storico Hippolyte Taine, nel 1875, chiama il ritorno al momento genetico. Noi abitiamo le stanze di una casa che abbiamo ereditato, curando solo l’ordinaria manutenzione, dimenticando il sapere sulle fondamenta, sui muri maestri. Ma quando l’edificio minaccia di crollare, occorre ritornare a riflettere sui progetti, i disegni e i modelli dei primi costruttori, riscoprire i materiali utilizzati dai fondatori.
Una storia secolare di lotte, quindi, condotte da una forza operaia anomala, costituita nella grande maggioranza di donne protagoniste di un doppio processo di liberazione: “da una condizione di sfruttamento come operaia dentro la fabbrica, nei campi di raccolta, nei magazzini di prima lavorazione e da una condizione di subordinazione a casa, nel lavoro e nella società, a causa della cultura dominante del patriarcato.”
Un tentativo, afferma Walter De Cesaris, (ben riuscito sosteniamo noi) di costruire “attraverso tante storie, una storia, e attraverso di essa far emergere alcuni caratteri di fondo costituenti un profilo politico, sindacale e culturale di una vicenda complessa”. A partire dai due termini “tabacchina” e “sigaraia”, spesso sovrapposti per indicare indifferentemente lavoratrici impiegate nella raccolta e lavorazione del tabacco. Nella realtà l’autore ci illustra due mondi del lavoro assai differenti con paghe, orari e condizioni diversificate: “quello delle tabacchine, legato alle campagne e connesso al lavoro contadino della coltivazione(…..) e quello delle sigaraie, legato alla fabbrica e alla progressiva meccanizzazione del lavoro manuale.”
Attraverso una ricerca rigorosa di documenti, interviste, articoli di giornale, canti proletari, testimonianze dirette e indirette viene ricostruita in modo appassionante una vicenda che coinvolge l’intero paese e almeno cinque generazioni di lavoratrici, le vere protagoniste del libro perché partecipano direttamente a tutte le principali fasi della storia del paese: dai primi scioperi a fine ottocento, alla rivolta milanese cannoneggiata da Bava Beccaris, allo sciopero per il pane a Torino nel 1917, alla lotta di liberazione dal nazifascismo, fino alla strage di Battipaglia nel 1969 e alle lotte contro la privatizzazione che vedrà la fine dell’industria del tabacco nel 1991 con la privatizzazione e la svendita alla multinazionale americana. Capaci di condurre scioperi a oltranza che duravano mesi scontrandosi contro padroni, governo, esercito e anche, se necessario, con la moderazione dei dirigenti della Cgil e dei parlamentari socialisti come durante lo sciopero del 1914.
Ribelli, fiere, dignitose anche spavalde come ce la raccontano la letteratura, il cinema e persino l’opera, le tabacchine costituiscono un’avanguardia nelle lotte contadine, come le sigaraie in quelle di fabbrica.
Leggendo le loro rivendicazioni, in particolare quelle in difesa della salute si percepisce la maturità politica raggiunta anche sotto la spinta del protagonismo delle più giovani. Ogni nuova generazione rinvigorisce la coscienza politica e di classe: da quelle lotte nascono i diritti sanciti nella nostra Costituzione.
Cosa di cui sono consapevoli. Scrive Norma, vecchia operaia della Manifattura tabacchi di Firenze a conclusione del libro:
“Eravamo donne molto battagliere ed emancipate per l’epoca. La parola non mancava.. La parola sempre pronta per combattere e far valere le nostre ragioni. Non ci si vergognava. Siamo state delle ribelli. Abbiamo fatto del bene per quelli che ci stanno ora.”
Questo libro, quindi, ci aiuta a ritrovare le radici della nostra forza, a ritrovare le parole; paradossalmente la sua attualità è nell’indagare le origini di una comunità di lavoratrici che alza la testa, si organizza, produce i suoi dirigenti e intellettuali organici, in sostanza diventa una classe. E nel contesto di oggi, sulle ceneri del progressismo evoluzionista ed ottimista, Walter De Cesaris ci restituisce la consapevolezza che nessuna conquista è mai definitiva e nella lotta di classe, nelle sconfitte si può tornare allo status quo ante, e purtroppo anche dolorosamente.
Fonte Ass. La Città Futura| Via dei Lucani 11, Roma. -Direttore responsabile Fabio Sebastiani
C’è un grido che percorre i versi di Simona Cerri Spinelli. Una voce precipita e illumina le pagine di questa raccolta. Uno dei più grandi poeti italiani contemporanei come Giampiero Neri, scrive nella nota finale del libro come queste poesie “vengono da molto lontano, prive come sono di ornamenti, nude e non si possono ignorare”. Non si può non notare come “Al centro dei rovesci” rappresenti un chiaro invito a danzare il ballo della vita, a “non temere niente dai sogni”.
Goffa nel mio maglione nero a lato del binario
attonita nel vederti comparire,
la pena più lieve è guardare in fondo
la mano della ragazza
e le labbra pronunciano appena
che io ho perso il treno.
C’è qualcosa di intoccabile nella tua immagine
che ha resistito fino a oggi.
*
“Andiamo a prendere un po’ d’aria”.
Avrei voluto vederlo restare e piangere
nella strada di fango.
Non temere niente dai sogni,
se dormendo vedi qualcosa di terribile
non è un annuncio di catastrofe,
è il mio pensiero che affonda.
*
Sto in silenzio la maggior parte del giorno,
la casa mi scricchiola addosso.
Di notte osservo il brutto tempo.
Gli scherzi della mente,
io e te abbracciati
e tu parli.
Non dirmi che ancora, al posto tuo,
arriverà il mattino.
*
Arrivo presto al Caffè,
ti cerco negli occhi degli altri
che fanno colazione,
tua madre è lì da anni, non mi chiede
niente,
mi prende sotto braccio e dice:
“È andato via per primo”
“È sempre andato via per primo”.
Nota di lettura: Giampiero Neri
Collana: Interno Libri
ISBN: 9788885583030
Anno: 2018
Pagine: 64
Formato: 11×17 cm
-Attilio BERTOLUCCI Poesie “FUOCHI in NOVEMBRE” –
-Minardi Editore Parma 1934-
-Articolo scritto da Eugenio Montale per la Rivista PAN n° 9 del settembre 1934-
Lettera di Rossellini che invio alla Bergman al fine di invitarla a visitare il Campo Profughi FARFA SABINA. L’idea della visita Rossellini l’ha avuta passando un giorno per il Campo Profughi di Farfa e parlando con una profuga lettone. Questo è uno stralcio della splendida lettera con la quale Rossellini propose il film alla Bergman e nella quale parla del Campo Profughi. L’attrice INGRID BERGMAN il 23 marzo 1949 visiterà il CAMPO PROFUGHI FARFA SABINA.
“Cara Signora Bergman,
ho atteso un po’ prima di scriverle perché volevo essere sicuro di quello che le avrei proposto. Prima di tutto, però, voglio che lei sappia che il mio modo di lavorare è estremamente personale. Evito qualsiasi sceneggiatura che, a mio parere, limita enormemente il campo di azione. Ovviamente parto da idee molto precise e da una serie di dialoghi e di situazioni che scelgo e modifico nel corso della lavorazione.
A questo punto non posso fare a meno di confessarle che sono molto eccitato all’idea di lavorare con lei.
Un po’ di tempo fa… credo fosse la fine di febbraio, percorrevo in automobile la Sabina, una zona a nord di Roma, quando, vicino alle sorgenti del Farfa, la mia attenzione venne attirata da una scena insolita. In un campo circondato da un’alta rete in filo spinato alcune donne si aggiravano come agnelli in un pascolo. Mi avvicinai e mi accorsi che erano straniere, jugoslave, polacche, rumene, greche, tedesche, lettoni, lituane, ungheresi, che, costrette a fuggire dai loro paesi d’origine a causa della guerra, avevano girovagato per l’Europa, conoscendo l’orrore dei campi di concentramento, del lavoro coatto e dei saccheggi notturni. Erano state facile preda dei soldati di venti nazioni diverse finché erano state radunate in quel campo dove attendevano di essere rispedite a casa.
Una guardia mi ordinò di allontanarmi. Erano indesiderabili ed era proibito parlare con loro. Dietro il filo spinato, all’estremità più lontana del campo, una donna bionda, tutta vestita di nero, se ne stava appartata dalle altre e mi guardava. Incurante dei richiami delle guardie mi avvicinai. Non sapeva che qualche parola d’italiano, arrossì per lo sforzo di parlare. Era lettone.
Negli occhi chiari si leggeva una disperazione muta e intensa. Infilai la mano nella barriera di filo spinato e lei me l’afferrò, come un naufrago che si aggrappa a un relitto.
La guardia si avvicinò con aria minacciosa. Tornai alla macchina.
Ricerca in Biblioteca a cura di Franco Leggeri-
DESCRIZIONE
Fatto prigioniero dopo l’8 settembre e deportato nei lager della Germania nazista per il rifiuto di continuare la guerra a fianco dei tedeschi e dei repubblichini di Salò, il giovane sottotenente valdese Giorgio Girardet tiene fortunosamente un diario, ritrovato quasi integro dalla figlia. Qui se ne propone la parte che va dal marzo 1944 al gennaio 1945 quando, nel campo di Sandbostel – lo stesso di Alessandro Natta, Giovannino Guareschi, Gianrico Tedeschi e tanti altri –, fu il pastore di una piccola rappresentanza evangelica e dove, sorretto da una grande fede e da una forte volontà di reazione, moltiplicherà le occasioni per incontri, gruppi di studio e stabilirà i primi rapporti “ecumenici” con alcuni dei cattolici più aperti presenti nel lager. In quei mesi getterà le basi per la sua lunga vita professionale di pastore, giornalista e studioso, sempre innovatore e sempre aperto al futuro.
Al di là del valore di testimonianza storica, queste pagine, attraverso le lenti di una prospettiva certamente parziale, ci permettono di scoprire come alcuni protagonisti di una generazione ora rimpianta abbiano saputo in condizioni drammatiche confrontarsi e gettare le basi culturali e morali per la ricostruzione del Paese.
Prefazione. Pensiero teologico e fede alla prova di Bruno Rostagno
Introduzione di Hilda Girardet
1. Gli Internati Militari Italiani
2. L’antefatto: la resistenza a Lero
3. Silenzi e omissioni
4. Famiglia e formazione
5. Foto e parole: le tracce
6. Quali e quanti lager?
7. A Sandbostel: attività e personaggi
8. Tre sorprese
Avvertenza
Parte prima. Lager di Sandbostel
Parte seconda
Parte terza. Studi, conferenze, interventi pubblici nel Lager
Postfazione. Che il mio spirito sia alto o basso, Signore, sii tu con me… di Mirella Abate
Giorgio Girardet-Pastore valdese e giornalista, ha diretto il Centro ecumenico di Agape (To), ha fondato e diretto il settimanale “Nuovi Tempi” e diretto l’Agenzia di Stampa NEV, ed è stato docente di Teologia pratica presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma. Autore di numerose pubblicazioni, si ricorda la trilogia Cristiani perché, Bibbia perché, Protestanti perché, editi da Claudiana.
Hilda Girardet-Laureata in Pedagogia, è stata segretaria di redazione, docente elementare, ricercatrice ed esperta di Psicologia dell’Educazione presso l’Università La Sapienza di Roma. Specializzata nella didattica della storia, è autrice di alcune pubblicazioni sull’insegnamento della storia nella scuola di base.
Editore Claudiana S.r.l.
Via S. Pio V, 15 – 10125 Torino
Tel. 011.668.98.04
mail:info@claudiana.it
DESCRIZIONE
Le liriche di Hirshfield, una tra le più note voci poetiche americane, aprono un varco per la riflessione e il cambiamento, invitando alla consapevolezza etica e stabilendo un delicato equilibrio. Molteplici sono i temi di questa importante antologia. Il tempo è quel borseggiatore perpetuo che agilmente se la cava con tutto, da pochi momenti indifesi a interi anni della nostra vita. Anche la malattia e la mortalità fanno la loro comparsa, forze brute che ci privano della libertà, dell’identità e alla fine della vita stessa. Ma il nostro bisogno di salvaguardare ciò che marchiamo come nostro ci espone solo a quel che ogni buddhista teme: l’attaccamento e tutte le sofferenze che ne derivano. Interessante è la risposta di Hirshfield a questa possibilità di perdita: la coltivazione di una voce poetica che combina equanimità e una tranquilla passione, per sottolineare che ciò che la pratica buddhista e la poesia insegnano, è dire di sì a tutto al livello più profondo, compreso il difficile, che si tratti di perdita, rabbia, confusione. Hirshfield cattura questa idea frase dopo frase, immagine dopo immagine, in un linguaggio al tempo stesso misterioso, sorprendente e comprensibile.
Breve biografia di Jane Hirshfield (New York City, 1953) è una delle voci più importanti della letteratura americana contemporanea. È autrice di 9 libri di poesie e di 2 raccolte di saggi. Dopo la laurea a Princeton, ha studiato al San Francisco Zen Center, dove ha ricevuto l’ordinazione laica nel 1979. Ha scritto di lei Czesław Miłosz: “Una profonda empatia per la sofferenza di tutti gli esseri viventi… È questo che ammiro nella poesia di Jane Hirshfield. Il soggetto della sua poesia è la nostra vita quotidiana, i nostri continui incontri con gli altri e con tutto ciò che la Terra ci porta: alberi, fiori, animali e uccelli… Nella profonda sensibilità dei suoi dettagli, la sua poesia illumina la virtù buddhista della consapevolezza”.
Alcune Poesie di Jane Hirshfield
Oggi che non potevo fare niente
Oggi che non potevo fare niente,
ho salvato una formica.
Doveva essere entrata con il giornale,
ancora consegnato
a chi deve stare a casa.
Un giornale è ancora un servizio essenziale.
Io non sono un servizio essenziale.
Ho caffè e libri,
tempo,
un giardino,
silenzio abbastanza da riempire cisterne.
Dapprima deve aver camminato
sul giornale, come inchiostro sbavato
che prendeva la forma di una formica.
Poi attraverso il portatile- caldo-
poi sul retro di un cuscino.
Piccola formica nera, sola,
che attraversava un cuscino blu,
si muoveva veloce perché è quello che poteva fare.
Messa fuori al sole,
non avrebbe potuto ritrovare il suo nido.
Allora che cosa ho salvato?
Non sembrava che avesse paura
nemmeno quando camminava sulla mia mano
che la muoveva rapida nell’aria.
Formica, sola, senza compagne,
il cui cuore di formica non potevo comprendere-
come ti va la vita- volevo chiedere.
L’ho sollevata e messa fuori.
Questo primo giorno in cui non potevo fare niente,
contribuire a niente
oltre a stare distante dal mio stesso genere,
ho fatto questo.
*
Today, When I Could Do Nothing
Today, when I could do nothing,
I saved an ant.
It must have come in with the morning paper,
still being delivered
to those who shelter in place.
A morning paper is still an essential service.
I am not an essential service.
I have coffee and books,
time,
a garden,
silence enough to fill cisterns.
It must have first walked
the morning paper, as if loosened ink
taking the shape of an ant.
Then across the laptop computer—warm—
then onto the back of a cushion.
Small black ant, alone,
crossing a navy cushion,
moving steadily because that is what it could do.
Set outside in the sun,
it could not have found again its nest.
What then did I save?
It did not look as if it was frightened,
even while walking my hand,
which moved it through swiftness and air.
Ant, alone, without companions,
whose ant-heart I could not fathom—
how is your life, I wanted to ask.
I lifted it, took it outside.
This first day when I could do nothing,
contribute nothing
beyond staying distant from my own kind,
I did this.
Together in a Sudden Strangeness: America’s Poets Respond to the Pandemic, 2020
Versione tradotta in italiano da Stefania Zampiga
PIOGGIA A MAGGIO
Il ferro annerito
della stufa
si raffredda ticchettando
alle prime gocce
che iniziano a incontrare il tetto.
È tardi: la notte
s’è fatta scura così
come un frutto –
un sùbito
aroma di pere riempie la stanza.
Giusto prima dell’alba
ritorna più forte,
un bianco, costante rullio di pioggia diurna
preso nel secchio profondo della luna.
Una luce di latta ammaccata
trabocca di oceano e cielo,
colle che s’apre sul colle davanti,
e mi sveglio a un semplice desiderio,
ciò che voglio da quest’ora comune,
da questa terra comune
che in passato fu sposa del tempo:
sentire come un granchio sente l’onda,
forte come un secondo cuore;
vedere come una cosa verde vede il sole,
con l’attenzione esclusiva dell’amore cieco.
From: Jane Hirshfield Of Gravity & Angels, 1988
© traduzione di Loredana Foresta e Andrea Sirotti
DA CAPO
Prendi il cuore logoro come un sasso
e lancialo lontano.
Presto non ne rimarrà nulla.
Presto l’ultima increspatura si esaurirà
tra le erbacce.
Una volta a casa, affetta carote, cipolle, sedano.
Glassali in olio prima di aggiungere
le lenticchie, acqua e odori.
Poi le caldarroste, un po’ di pepe, sale.
Completa con formaggio di capra e prezzemolo. Mangia.
Puoi farlo, davvero, ti è concesso.
Ricomincia la storia della tua vita.
Tratta da “Ogni felicità assediata dai leoni” di Jane Hirshfield, traduzione e cura di Loredana Foresta e Andrea Sirotti
DOPO UN LUNGO SILENZIO
La cortesia sbiadisce,
un piccolo bagliore d’acciuga
abbandona la pentola capovolta nello scolapiatti
dopo che la luna s’è dileguata dalla finestra.
Una delle ultime libertà, là nel buio.
Gli avanzi della zuppa messi via.
Le distinzioni contano. Se il muso
quieto di una capra debba dirsi nobile
o indifferente. La differenza tra un giusto rigore e l’orgoglio.
Il pensiero intraducibile dev’essere il più preciso.
Eppure le parole non sono la fine del pensiero, ma là dove comincia.
Tratta da “Ogni felicità assediata dai leoni” di Jane Hirshfield, traduzione e cura di Loredana Foresta e Andrea Sirotti
Speranza e Amore
Per tutto l’inverno
l’airone azzurro
ha dormito tra i cavalli.
Non so
le abitudini degli aironi,
non so
se siano solitari
per natura,
o se quello attendesse
un richiamo da chi non c’era –
senza neanche
rendersene conto –
tra i suoni
spiranti nella notte.
So che
la speranza è l’amore
più duro che portiamo.
Ha dormito
con il collo lungo
ripiegato, come una lettera
messa via.
***
Hope and Love
All winter
the blue heron
slept among the horses.
I do not know
the custom of herons,
do not know
if the solitary habit
is their way,
or if he listened for
some missing one—
not knowing even
that was what he did—
in the blowing
sounds in the dark,
I know that
hope is the hardest
love we carry.
He slept
with his long neck
folded, like a letter
put away.