Luciana Frezzaè nata nel 1926 a Roma, dove è scomparsa nel 1992. I suoi libri di poesia sono: Cefalù ed altre poesie (Sciascia, 1958), La farfalla e la rosa (Feltrinelli, 1962), Cara Milano (Neri Pozza, 1967), Tempo di speranza (Neri Pozza, 1971), La tartaruga magica (Florida, 1984), Ventiquattro pezzi facili (Cominiana, 1988), Parabola sub (Empiria, 1990), Agenda (All’insegna del pesce d’oro, Scheiwiller, 1994, postuma), Comunione col Fuoco. Tutte le poesie (Editori Internazionali Riuniti, 2013, postuma). Figura nell’antologia Donne in poesia (a cura di B.M. Frabotta, Savelli, 1976). Ha tradotto le poesie di Mallarmé, Laforgue, Nouveau, Verlaine, Baudelaire, Apollinaire, Proust.
Luciana Frezza
Anni venti
Frantumata la coppia di levrieri
in amore le teste congiunte
come mani in preghiera o l’una
sull’altra affannosa
babele di carezze
guizzo unico il fianco
nell’irrimediabile
stretta del bianco
friabile bisquit.
Che ne farò
Che ne farò di Alma
ritta in shorts
statuaria cotta di soli
serica senza una scalfitura
della vita riguardosa
di lei ritta con due foglie
di alloro due sole tra le dita
della folta spalliera
farfalle vive per il pesce
che farò di lei ferma
che dà la Buonasera
tarocco entrato nel gioco?
(Vittoria apuana, Agosto 1991)
Luciana Frezza
Alziamo i calici
Non crederli gigli appassiti
mi conforta anzi scintillanti
ancora i tuoi bicchieri alzati
voglia di gioia negata
impuntatura librata
per forza propria ape e fiore nell’aria
dove ancora salgono e il brutto
muso di lutto pret a porter che detestavi cade
come buccia dal frutto.
Spezzatura d’inverno
-Come invogliano
i fiori-
la vecchia signora con vista
annebbiata trascina
dolcemente il carrello
vogliosa della
nostalgia di quella
voglia più che dei fiori
che non fatica
hanno voluto me.
Bisenso
Il rogo ardente di Mosè era quasi
certamente un pozzo di petrolio
il petrolio è il prelievo
dai buchi dell’anima per farne poesia
il petrolio è pericolo
il petrolio è vicinissimo a Dio
da un capo della storia
ora dall’altro.
Felicità raggiunta si cammina
a Marisa Di Jorio
Qui il sogno lustra il pelo
uscito di clandestinità
muovendosi fa accadere pensieri
che si siedono ingombrando
il lungomare è ancora
un feudo sterminato che aspetta il suo signore
l’investitura cucita
alle spalle fluttuando
ombra in lungo di tulle
senza bagaglio sorpassa
verso il fondo apparizione.
(Vittoria Apuana, Agosto 1991)
Svendita
Arroccata pettinessa a filettature dorate
la specchiera a ciocche trafitte dall’alto spillone
a conchiglia comò di ragazza il primo cassetto
celò lettere e voglie gli altri matassine di seta
ravvolte in velina d’ore vuote e matasse
di lana o sogno trasmesso come un gene nell’impianto
di quel comò giustamente perché pieno di cose vane
nulla avesti, madre, o quasi, o altro.
La perfezione a Vittorio Sereni
Nei party sull’erba
seminata di lustrini
pioggia recente o ventagli d’irrigazione
si possono comporre versi
nel padiglione di un orecchio
da sciogliere in riso
tintinnante col ghiaccio dei bicchieri
Ce n’è cose belle al mondo disse il sorriso
eppur muovendosi occhio
qua e là in perlustrazione
socchiuso affilato
sulla trama del tappeto sfumato
di sera dove l’errore
raccomandato
se è vera e quale
l’immunità promessa
da quel nonnulla di sbagliato se vale
anche per una qualche eternità.
Negativi
I contenitori di mistero anche se sono tuoi amici
li prenderesti volentieri a sberle
con sicumera apprendono festoni di frasi
ti addobbano di assurdità un locale estraneo
dove tempo dopo allo specchio dell’uscita
scoprì che hai fatto l’alba a ballare
circolano in borghese non esercitano
perché esercitano continuamente
hanno i loro guai non sono apostoli
gl’interessati li seguono come gatti di strada
rimuginando Non sa quello che dice il maledetto
e intanto imparano a memoria le frasi
le vecchie leggi di fisica scritte in corsivo
e il gabinetto degli esperimenti sempre in disuso
e in quel turbinio di palle da giocoliere
intercettano a volo la biglia che li riguarda
se piovono pugni sanno che è per farli rinvenire
mentre ignoravano di essere svenuti
se vengono afferrati e fatti passeggiare tutta la notte
con tazze di caffè e discorsi ripetitivi e insensati
è perché hanno voluto morire e possono riprovarci
ma prima di tradurre quel gergo bisogna obbedirgli.
Self-service
Raramente si coglie la seconda occasione
anzi è la riconferma che non si poté non si volle
il bene era lampante ma c’era nell’inerzia
di lasciarlo sparire un piacere misto al dolore
e piacere e dolore sono lo strascico ornato
il ricordo della veste con cui si presentò la prima
la seconda occasione trabocca di meraviglia
e un senso di fatalità approfondisce la gioia
eppure esterrefatti ci si astiene dal gesto
per prenderla un’identica pania lo impedisce
anzi il nuovo strato stendendosi sull’antico
prolifera infrenabile di nuovi no senza più chance
Vecchi distici a Rosa “Bien loin d’ici”
Il mio nome inciso tra spini
su una pala di ficodindia stilla nel sole
la campanula turchina mostra il cuore
dagli occhi umidi delle ragazze fugate
la gaggia spogliata di tutti i suoi zecchini
vive la lunga bugia degli anni luce
la polla è un occhio verde che aspetta di nuovo
una mano che smuova l’argilla del suo fondo
i cori a bocca chiusa degli uliveti
incagliati in secche di silenzio
i sismografi della pace sono guasti
la capra bianca ha sradicato il paletto
la Morte lancia coccole dal cipresso
senza colpire il canto della fontana
la mano del bambino è di marmo
la nutrice è più piccola del suo fazzoletto
Fonte-Il sito www.italian-poetry.orgfunziona correntemente dal 2000. Era nato l’anno precedente, dopo una serie di incontri e di confronti con la Poetry Society americana, ai cui criteri di severa selezione si ispira, antologizzando la poesia italiana moderna e contemporanea dagli inizi del Novecento fino ai giorni nostri, a partire dai poeti nati nei primi anni del XX secolo e attivi nei decenni successivi. Il comitato fondatore, con i rappresentanti del circuito internazionale della poesia, era composto da Alberto Bevilacqua, Tobias Burghardt, Ernesto Calzavara, Casimiro De Brito, Luciano Erba, Alfredo Giuliani, Giuliano Gramigna, Mario Luzi, Elio Pagliarani, Umberto Piersanti, Giovanni Raboni, Paolo Ruffilli, Edoardo Sanguineti, Mark Strand. Il sito ha totalizzato più di 14 milioni di visualizzazioni nei primi quindici anni di vita ed è indicizzato quale primo risultato di Google per “poesia italiana”. Il nuovo logo del sito, introdotto nel 2014, all’insegna di Montale, Quasimodo e Ungaretti, rimanda simbolicamente alla grande avventura della poesia italiana contemporanea dal principio del Novecento fino ad oggi.
Luciana Frezza
Luciana Frezza (Roma, 1926 – Roma, 1992)<<Traduttrice di caratura superiore e abile poetessa dai risvolti sperimentali e modernisti. La sua penna, così lieve ma incisiva al tempo stesso, oggi più che mai risulta necessaria e attuale, sebbene siano passati trent’anni dalla sua scomparsa.>>
*Giudizio su Luciana Frezza (Roma, 1926 – Roma, 1992) formulato dal critico Antonio Bux, curatore della riedizione dell’ultima opera della poetessa capitolina, ‘Parabola sub’, pubblicata nel 2022 da Graphe e prefata dal compianto Walter Pedullà, insigne italianista scomparso l’altro ieri.
Laureatasi in Lettere a soli vent’anni con una tesi su Eugenio Montale, discussa con Giuseppe Ungaretti, l’autrice romana esordì con la sua prima raccolta, ‘Cefalù e altre poesie’, nel 1958, quando era già un’affermata traduttrice per conto di importanti editori come Feltrinelli, Lerici, Einaudi, Rizzoli e Mondadori.
“È diventata una poetessa -chiarisce la critica Roberta Barbi- anche a furia di interpretare, per tradurli, gli splendidi versi dei poeti francesi della corrente simbolista dell’Ottocento; lo è diventata perché aveva dentro il sacro fuoco della composizione e della scrittura.”
Lei stessa diceva della sua duplice attività letteraria: “È una sfida che mobilita la creatività e altre virtù come la pazienza e la vigilanza. Il pericolo cui bisogna prestare una costante attenzione è costituito dalle possibili intrusioni dell’Io: occorre tenerlo fuori ma non eliminarlo del tutto”.
Spiega ancora la succitata Roberta Barbi: “La sua ars poetica ha le radici ben ancorate nella poesia italiana di ’800 e ’900, ma presto spicca il volo verso il surrealismo e il simbolismo francese. La sua matrice resta legata a temi intimi come quelli dell’infanzia, alle figure della famiglia, ai luoghi dell’anima come Roma, Milano o la Sicilia delle sue origini: attraverso la riflessione, spesso dolorosa quando personale, sulle relazioni interpersonali riesce anche a recuperare i miti archetipici ai quali far risalire indietro la ragione di ogni sofferenza. Nel suo linguaggio sempre misurato, mai violento, spesso allusivo e sempre eversivo, il fil rouge della sua poesia è certamente la ricerca del significato della vita.”
Affetta dalla cecità e da una profonda depressione, la poetessa che aveva cercato tutta la vita nei suoi versi il senso dell’esistenza, morirà tragicamente il 30 giugno 1992, all’età di 66 anni.
Luciana Frezza
NATALE 19… (Luciana Frezza)
Le sere vicine al Natale
nella città che si chiude
i bimbi vestiti di rosso
le donne nelle sciarpe
percorrono vie di presepe,
tra selve di abeti inchiodati
tra file di fanali
– è come se anche questo Natale
fosse passato –
saliamo
gli anni e non resta
a poco a poco
che questa mano che sfiori.
NOSTALGIA
Chissà in quale
canneto di carta o verde
fantasma errante coorte
falciata alla radice
al di là di quali porte
nell’andito scuro di botteghe
in disuso dietro quale
muro di eluso rione
giace il piccolo corpo
di Amore dopo l’ordita
esecuzione.
ALLA POESIA
Docile ti seguirò
sussurrante ruscello
che porti la mia immagine fonda
nei cieli più rari
dove il vento appena sparte vapori
di canapa bionda
o quando l’acqua flagella
nei luoghi ove cose morte
marmi sepolti da foglie
contorte da una gelida lava
vivono vita che scorre
col fragore d’una celeste cascata;
o fra stagioni sorelle
che chiamano le più lontane.
Luciana Frezza
Luciana Frezza
Uno sguardo alla poetica di Luciana Frezza-L’autore: Giorgio Podestà
Vi sono incontri e verità che nascono sotto il segno duplice dell’acqua e del fuoco. Fiammate che, in un istante, lambiscono il cielo. Onde che, con un solo lungo sospiro, raggiungono le rive più lontane, lasciando sulla sabbia frammenti apparentemente indecifrabili. Relitti di antichi naufragi, raccolti nelle profondità più buie e restituiti faticosamente alla luce del sole. Non tanto resti o vestigia di antichi imperi ormai sepolti e dimenticati, ma istanti di vita comune, lontane memorie, ricordi familiari. Un mondo, lo sappiamo bene, costantemente minacciato dall’oblio. Dall’annullamento. Spesso questo spontaneo dono del mare non è però sufficiente. Non ci basta rastrellare giorno e notte la spiaggia. Le onde si ritirano, ma le rive ci appaiono tristemente vuote. Quasi lunari. Solamente la mano del poeta può trarre, allora, da quelle acque fonde e nere la verità: piccola o grande che sia. Soltanto lui può stringerla in pugno, riportarla il più rapidamente possibile in superficie prima che sia troppo tardi. Va da sé che un atto tanto temerario implichi un vertiginoso tuffo all’indietro. Un’immersione ogni volta pericolosa e totalizzante. Un gesto che, invariabilmente, porta con sé un altissimo prezzo da pagare e Luciana Frezza, il mare, con le sue insondabili profondità, i suoi abissi spettrali, le sue insidiose correnti a cui è quasi impossibile resistere, lo ha affrontato innumerevoli volte. A partire da quel suo esordio sul finire degli anni ‘50, quando apparve la silloge poetica Cefalù e altre poesie. Poesie che rivelano subito un talento senza incrinature, una perfetta conoscenza della metrica latina, un movimento che sembra distendersi quasi marino sulla pagina. Nelle pupille di chi legge. Nelle orecchie di chi sa ascoltare. Versi di una grazia fatta di pieni e di vuoti su cui l’anima fluttua. Soffre. Allarga con puntualità il proprio irregolare respiro. Batte, come una farfalla, le ali. Raccolta dopo raccolta, tuttavia, il linguaggio, le immagini di Luciana Frezza si sono come elegantemente raccolte in un’oscurità luminosa. In simboli e miti che dipanano, nello stesso preciso istante, luce e tenebre. Acqua e fuoco. Estate e inverno. La prova più alta di questo ermetismo ora acqueo, ora sotterraneo l’abbiamo forse nell’ultima, suggestiva opera pubblicata in vita dalla poetessa: Parabola sub. Un viaggio periglioso negli abissi. Uno sprofondamento fino alle cave senza nome del tempo. Un mondo ctonio da cui bisogna tentare però di risalire velocemente, portando alla luce del giorno, alla superficie incerta della vita, la visione eterna (o forse solo salvifica) della Poeta. L’autore: Giorgio Podestà-
L’autore: Giorgio Podestà, nato in Emilia, si occupa di moda, traduzioni e interpretariato. Dopo la laurea in Lettere Moderne e un diploma presso un istituto di moda e design, ha intrapreso la carriera di fashion blogger, interprete simultaneo e traduttore (tra gli scrittori tradotti in lingua inglese anche il Premio Strega Ferdinando Camon). Appassionato di letteratura italiana, inglese e americana del secolo scorso, ha sempre scritto poesie, annotandole su quadernini che conserva gelosamente. Con Graphe.it ha pubblicato la raccolta poetica “E fu il giorno in cui abbaiarono rose al tuo sguardo”, i saggi “Breve storia dei capelli rossi” e “Come echi sull’acqua. Note a margine di un lettore appassionato” e ha curato la traduzione del saggio “Cristianesimo e poesia” di Dana Gioia
Nota biografica-Rachel Bluwstein, (1890-1931), nata a Saratov (Russia) come Rachel Bluwstein-Sela, giunse nella Palestina Ottomana nel 1909, dove fino al 1913 visse in una scuola agricola femminile in riva al lago di Tiberiade. In seguito si recò in Francia per studiare agronomia e pittura e con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale ritornò in Russia, dove lavorò in istituti educativi per bambini rifugiati. Durante questo periodo contrasse la tubercolosi, la malattia che la condusse a una morte prematura. Nel 1919 tornò nel kibbutz Degania ma, non essendo più in grado di lavorare, si trasferì definitivamente a Tel Aviv, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita. Morì all’età di quarant’anni e fu sepolta accanto sulle rive del lago di Tiberiade. Molto amata dal pubblico, la sua tomba è ancora oggi meta di numerosi visitatori. La prima raccolta di Rachel, Safiah-Frutto spontaneo, fu pubblicata nel 1927. A essa, tre anni più tardi, fece seguito un nuovo volume, intitolato Mineged-Di fronte. Il suo terzo e ultimo libro, Nebo, uscì postumo nel 1932.
Da “Poesie” di Rachel Bluwstein, a cura di Sara Ferrari, Interno Poesia 2021
Nella mia grande solitudine
Nella mia grande solitudine, una solitudine di animale ferito ora dopo ora io giaccio. In silenzio. La mia vigna l’ha spogliata il destino e non un solo rampollo è rimasto. Ma il cuore, ormai vinto, ha perdonato. Se davvero sono questi i miei ultimi giorni voglio esser calma, perché l’amarezza non intorbidi il quieto blu del cielo, mio compagno di sempre.
*
Nelle notti senza sonno
Com’è fiacco il cuore nelle notti senza sonno, nelle notti senza sonno com’è grave il giogo! Stenderò allora la mano per recidere il filo, per recidere il filo e finire?
Ma al mattino la luce, con la sua ala pura, bussa silenziosa alla finestra della mia stanza. Non stenderò la mano per recidere il filo. Ancora un poco, cuore mio! Ancora un poco!
*
Espressione
Io conosco detti eleganti in abbondanza, frasi fiorite a non finire che camminano leziose, lo sguardo arrogante.
Ma amo l’espressione pura come un neonato e modesta come la polvere. Conosco innumerevoli parole, per questo io taccio.
Saprà il tuo orecchio cogliere, anche dal silenzio, il mio umile parlare? Saprai proteggerlo come un amico, un fratello, come una madre in seno?
*
Canzone
Mattina e sera per te e di te, per te e di te io canto, Tempesta e quiete, letizia e sconforto, piaga e sollievo, pace e supplizio.
Tenta – non l’ho colta – una risposta la tua voce. Tenta e quasi si è sciolto il laccio. Un istante e torna a levarsi il mio canto: il mio canto per te, amore e disprezzo.
Per te e di te, per te e di te: la sola canzone di mille violini. Tempesta e quiete, letizia e sconforto, piaga e sollievo, luce e tenebra.
*
Non congiunto, eppure così vicino, non straniero, eppure così lontano, uno stupore confuso infonde il tocco delicato.
Ricordi? Chiudevano i muri da ogni parte e sopra una folla sconosciuta da ragnatele di sguardi si tesseva un ponte – un segno.
Se mi hai ferita, benedetto il dolore. Possiede il dolore finestre cristalline. Il mio sentiero corre ai margini delle vie maestre, è calmo il mio cuore.
Rachel Bluwstein
La prima antologia italiana interamente dedicata alla poetessa Rachel Bluwstein (1890-1931), nota al pubblico come Rachel, simbolo mai scalfito dal tempo del movimento pioneristico ebraico e madre fondatrice della tradizione poetica israeliana al femminile. Benché Rachel sia considerata una delle poetesse “nazionali” d’Israele, spesso nel corso dei decenni la sua opera è stata relegata a un ruolo minoritario, se non, addirittura, fraintesa. Soltanto di recente la critica ha saputo restituirle la giusta collocazione all’interno del canone poetico, mostrando l’intento rivoluzionario della sua scrittura. L’amore deluso, la nostalgia, la solitudine sono parte integrante dell’universo poetico di Rachel. Tuttavia, accanto a questo, troviamo una donna risoluta, consapevole della propria realtà, passionale e, soprattutto, dotata di un progetto poetico molto preciso.
Rachel Bluwstein, (1890-1931), nata a Saratov (Russia) come Rachel Bluwstein-Sela, giunse nella Palestina Ottomana nel 1909, dove fino al 1913 visse in una scuola agricola femminile in riva al lago di Tiberiade. In seguito si recò in Francia per studiare agronomia e pittura e con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale ritornò in Russia, dove lavorò in istituti educativi per bambini rifugiati. Durante questo periodo contrasse la tubercolosi, la malattia che la condusse a una morte prematura. Nel 1919 tornò nel kibbutz Degania ma, non essendo più in grado di lavorare, si trasferì definitivamente a Tel Aviv, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita. Morì all’età di quarant’anni e fu sepolta accanto sulle rive del lago di Tiberiade. Molto amata dal pubblico, la sua tomba è ancora oggi meta di numerosi visitatori. La prima raccolta di Rachel, Safiah-Frutto spontaneo, fu pubblicata nel 1927. A essa, tre anni più tardi, fece seguito un nuovo volume, intitolato Mineged-Di fronte. Il suo terzo e ultimo libro, Nebo, uscì postumo nel 1932.
Biografia di Anise Koltz è nata il 12 giugno 1928 nel quartiere Eich di Lussemburgo. Di nazionalità lussemburghese, unisce nelle sue vene ascendenze ceche, tedesche e belghe. La sua bisnonna materna, inglese, era lei stessa musicista e poetessa. A causa dell’occupazione nazista, Anise Koltz, all’epoca giovane laureata, fu spinta a orientarsi verso la cultura tedesca. Così le sue prime opere saranno scritte in questa lingua: Spuren nach innen e Steine und Vögel, le sue prime due raccolte, pubblicate nel 1960 a Lussemburgo e nel 1964 a Monaco. Dal 1966, tuttavia, i suoi testi fanno il loro ingresso nella prestigiosa collezione bilingue di poeti stranieri «Autour du monde» animata da Pierre Seghers: la raccolta, tradotta da Andrée Sodenkamp, ha per titolo Le cirque du soleil. Progressivamente, Anise Koltz passa al francese fino ad abbandonare del tutto, negli anni ‘80, la sua prima lingua letteraria. Con il succedersi delle raccolte – Den Tag vergraben, Nachahmung des Tages, poi Vienne quelqu’un, Fragments de Babylone, Le Jour inventé –, la sua voce poetica afferma la sua originalità. Nel 1963, Anise Koltz e suo marito, René Koltz, direttore della sanità pubblica del Granducato – che morirà prematuramente a causa delle torture inflitte dai nazisti –, hanno creato le Biennali di Mondorf: «L’esempio di questi Incontri, dice, mi è stato dato dalla mia famiglia, i Mayrisch di Saint-Hubert. Il loro scopo, come il nostro: essere un laboratorio, per quanto modesto, della costruzione di una società multiculturale.» Le Biennali, che dureranno fino al 1974, prenderanno un nuovo slancio dal 1995 al 1999 con le Giornate letterarie di Mondof. Esse si prolungano ancora oggi attraverso le manifestazioni organizzate dall’Académie Européenne de Poésie, presieduta da Anise Koltz, peraltro membro dell’Académie Mallarmé e dell’Institut Grand-Ducal des Arts et des Lettres.
Volo via
con i migratori
M’inserisco nel loro triangolo
Cacciate l’angelo al mio fianco
la sua ombra oscura la mia vita
Dietro il cielo
c’è un altro cielo
Je m’envole
avec les migrateurs
Je m’intègre dans leur triangle
Chassez l’ange à mes côtés
son ombre obscurcit ma vie
Derrière le ciel
il y a un autre ciel
*
Chi sono io?
non sono me
discendo da milioni di antenati
che vegetano nel mio sangue
Essi m’istruiscono
mi allenano a morire
respiro il loro respiro
Straniera per i miei genitori
il mio sangue si è caricato
di fantasmi
che guidano il mio destino
sperando
e disperando in me
Qui suis-je ?
je ne suis pas moi
je descends de millions d’ancêtres
qui végètent dans mon sang
Ils m’instruisent
ils m’entraînent à mourir
je respire leur souffle
Etrangère à mes parents
mon sang s’est chargé
de fantômes
dirigeant mon destin
espérant
et désespérant en moi
*
A volte le lettere cantano
nelle mie poesie
a volte accusano
o consolano
Immagini s’infrangono
si riformano
sogni che ci sognano
trasformando i nostri occhi
in laghi segreti
Parfois les lettres chantent
dans mes poèmes
parfois elles accusent
ou elles consolent
Des images se brisent
se refont
rêves qui nous rêvent
transformant nos yeux
en lacs secrets
*
Tra inizio e fine
la luce si è spenta
Un nome brucia da qualche parte
facendo vorticare il vento
che porterà via le mie ceneri
Entre commencement et fin
la lumière s’est éteinte
Un nom brûle quelque part
faisant tourbillonner le vent
qui emportera mes cendres
*
Il giorno inventa un altro giorno
spazio disseminato d’immagini
che si fanno e si disfano
Brandelli di sogni
strisciano sui nostri volti.
Avvenimenti hanno luogo
prima della loro comparsa
la realtà cambia giorno per giorno
Dove trovare il vero volto
del tempo?
Le jour invente un autre jour
espace parsemé d’images
qui se font et se défont
Des lambeaux de rêves
traînent sur nos visages.
Des événements ont lieu
avant leur apparition
la réalité change jour par jour
Où trouver le vrai visage
du temps ?
Anise Koltz
Biografia di Anise Koltz è nata il 12 giugno 1928 nel quartiere Eich di Lussemburgo.Di nazionalità lussemburghese, unisce nelle sue vene ascendenze ceche, tedesche e belghe. La sua bisnonna materna, inglese, era lei stessa musicista e poetessa. A causa dell’occupazione nazista, Anise Koltz, all’epoca giovane laureata, fu spinta a orientarsi verso la cultura tedesca. Così le sue prime opere saranno scritte in questa lingua: Spuren nach innen e Steine und Vögel, le sue prime due raccolte, pubblicate nel 1960 a Lussemburgo e nel 1964 a Monaco. Dal 1966, tuttavia, i suoi testi fanno il loro ingresso nella prestigiosa collezione bilingue di poeti stranieri «Autour du monde» animata da Pierre Seghers: la raccolta, tradotta da Andrée Sodenkamp, ha per titolo Le cirque du soleil. Progressivamente, Anise Koltz passa al francese fino ad abbandonare del tutto, negli anni ‘80, la sua prima lingua letteraria. Con il succedersi delle raccolte – Den Tag vergraben, Nachahmung des Tages, poi Vienne quelqu’un, Fragments de Babylone, Le Jour inventé –, la sua voce poetica afferma la sua originalità. Nel 1963, Anise Koltz e suo marito, René Koltz, direttore della sanità pubblica del Granducato – che morirà prematuramente a causa delle torture inflitte dai nazisti –, hanno creato le Biennali di Mondorf: «L’esempio di questi Incontri, dice, mi è stato dato dalla mia famiglia, i Mayrisch di Saint-Hubert. Il loro scopo, come il nostro: essere un laboratorio, per quanto modesto, della costruzione di una società multiculturale.» Le Biennali, che dureranno fino al 1974, prenderanno un nuovo slancio dal 1995 al 1999 con le Giornate letterarie di Mondof. Esse si prolungano ancora oggi attraverso le manifestazioni organizzate dall’Académie Européenne de Poésie, presieduta da Anise Koltz, peraltro membro dell’Académie Mallarmé e dell’Institut Grand-Ducal des Arts et des Lettres.
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025-
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025-Sabato Santo -Pasqua del Signore– Fotoreportage di Franco LEGGERI-citando il Poeta
Johann Wolfgang von Goethe che così dipinse la nostra Campagna Romana: “Armonia eterea, delle ombre chiare e azzurre, fuse nel vapore che tutto avvolge in una sinfonia di trasparenze lucenti”.
Poeta Johann Wolfgang von Goethe
Campagna Romana-Con la locuzioneCampagna romana si indica la vasta pianura del Lazio, ondulata e intersecata da fossi o marrane, della provincia di Roma, che si estende nel territorio circostante l’intera area della città di Roma fino ad Anzio con il piano collinare prossimo, comprendente parte dell’Agro romano, fino al confine con l’Agro Pontino.
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Etimologia
Il termine “Campagna” deriva dalla provincia di “Campania” istituita nel tardo impero in sostituzione della preesistente Regio I. Una paretimologia la fa derivare invece dal latinocampus (volgare “campagna” nel senso di area rurale). Va notato che “Campagna Romana” non è sinonimo di “Agro Romano“ – espressione, quest’ultima, utilizzata per indicare l’area di Campagna Romana nel distretto municipale di Roma.
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Storia
Secondo Carocci e Vendittelli la struttura fondiaria e produttiva della Campagna Romana risale al tardo medioevo e si è conservata senza soluzione di continuo fino alla riforma agraria a metà del XX secolo.
Le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente favorirono il generale spopolamento delle campagne, compresa quella romana, e i grandi latifondi imperiali passarono nelle mani della Chiesa, che aveva ereditato le funzioni assistenziali e di governo già assolte dai funzionari imperiali, e le esercitava nei limiti del possibile.
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
Fotoreportage di Franco LEGGERI-Campagna Romana-Il sorgere del sole del 19 aprile 2025
A partire dall’VIII secolo le aziende agricole (villae rusticae) di epoca imperiale si trasformarono – dove sopravvissero – in domuscultae, entità residenziali e produttive autosufficienti e fortificate, dipendenti da una diocesi – o una chiesa, o un’abbazia – che deteneva la proprietà delle terre e le assegnava in enfiteusi ai contadini residenti. Questi spesso ne erano gli originali proprietari, ed avevano conferito la proprietà dei fondi alla Chiesa in cambio di un piccolo canone di affitto e dell’esenzione dalle tasse. Queste comunità godevano di completa autonomia, che implicava anche il diritto ad armarsi per autodifesa (da dove la costruzione di torri e torrette), e in alcuni casi giunsero anche a battere moneta.
Già dal X secolo, tuttavia, la feudalizzazione costrinse i contadini ad aggregarsi attorno ai castelli dei baroni ai quali veniva man mano attribuito il possesso – a vario titolo – di molte proprietà ecclesiastiche, e la coltivazione della pianura impaludata e malarica fu abbandonata, col tempo, quasi completamente. Là dove si continuava a coltivare, questi nuovi latifondi ormai deserti, nei quali sorgevano sparsi casali fortificati, furono destinati a colture estensive di cereali e a pascolo per l’allevamento di bestiame grande e piccolo. Il loro scarso panorama umano era costituito da pastori, bovari e cavallari, braccianti al tempo delle mietiture, briganti.
L’abbandono delle terre giunse a tal punto che con la conseguente scomparsa degli insediamenti urbani nel territorio circostante Roma attorno alle vie Appia e Latina, l’ex Latium Vetus, venne ripartito in “casali”, tenute agricole di centinaia di ettari dedicato all’allevamento di bestiame, soprattutto ovini, e alla coltivazione di cereali, a cui erano addetti lavoratori salariati spesso stagionali. Questi latifondi in età rinascimentale e moderna divennero proprietà delle famiglie legate al papato. A seguito dello spopolamento delle terre pianeggianti ritornate a pascolo, si aggravò il grave problema dell’impaludamento e della malaria.
Nel XVII secolo, dopo la redazione del Catasto Alessandrino[1], furono concessi ai contadini, ai piccoli proprietari e agli abitanti dei borghi l’uso civico dei terreni spopolati e abbandonati ed esenzioni fiscali (mentre venivano aggravate le imposizioni sui proprietari noncuranti), allo scopo di stimolare il ripopolamento di quelle campagne.
Nel XVIII e nel XIX secolo il paesaggio della Campagna romana, rappresentato da vaste aree pressoché disabitate dove spesso era possibile imbattersi nelle vestigia di imponenti costruzioni romane in rovina, divenne un luogo comune, un simbolo della tramontata grandezza di Roma, insieme con l’immagine del quotidiano pittoresco rappresentato dai briganti, dai pastori e dai popolani di Bartolomeo Pinelli e dei pittori europei del Grand Tour.
Note
^ Il Catasto Alessandrino è un corpus di 426 mappe acquerellate voluto nel 1660 dal Presidente delle strade, regnante Alessandro VII, che dimostra lo stato delle proprietà fuori dalle Mura aureliane, organizzato secondo le direttrici delle strade consolari. Lo scopo era di assoggettare a contribuzione fiscale i proprietari dei terreni serviti dalle strade fuori le mura, per assicurarne la manutenzione. Il risultato, per noi moderni, è una rappresentazione fedelissima, minuziosa e pittoricamente assai interessante, della situazione dell’Agro romano al momento della sua stesura. Nelle piante vengono riportati anche costruzioni, monumenti, acque ecc., successivamente modificati e/o scomparsi, nonché informazioni sulle tenute. I documenti, conservati presso l’Archivio di Stato di Roma, sono stati digitalizzati e sono accessibili in rete, dietro autenticazione.
David Maria Turoldo- Poesie di un prete “ Resistente”
Biografia di David Maria Turoldo nasce il 22 novembre del 1916 a Coderno, in Friuli, nono di dieci fratelli. Nato come Giuseppe Turoldo, a tredici anni entra nel convento di Santa Maria al Cengio per far parte dei Servi di Maria, a Isola Vicentina, là dove si trova la sede del Triveneto della Casa di Formazione dell’Ordine Servita. È qui che trascorre l’anno di noviziato; dopo avere assunto il nome di fra’ David Maria, emette la professione religiosa il 2 agosto del 1935. Nell’ottobre del 1938 pronuncia i voti solenni a Vicenza.
David Maria Turoldo
Gli studi accademici
Intrapresi gli studi di teologia e di filosofia a Venezia, nell’estate del 1940 Turoldo viene ordinato presbitero nel santuario della Madonna di Monte Berico dall’arcivescovo di Vicenza ,monsignor Ferdinando Rodolfi. Nello stesso anno viene inviato a Milano, al convento di Santa Maria dei Servi in San Carlo al Corso.
Per circa un decennio si occupa di tenere la predicazione della domenica in Duomo, su invito dell’arcivescovo Ildefonso Schuster, mentre insieme con il suo confratello Camillo de Piaz, compagno di studi nell’Ordine dei Servi, si iscrive all’Università Cattolica di Milano. Qui David Maria Turoldo si laurea l’11 novembre del 1946 in filosofia con una tesi intitolata “La fatica della ragione – Contributo per un’ontologia dell’uomo”, con il professor Gustavo Bontadini. Quest’ultimo successivamente gli propone di diventare suo assistente presso la cattedra di Filosofia Teoretica. Anche Carlo Bo gli offre un ruolo come assistente, ma per l’Università di Urbino, cattedra di Letteratura.
Dopo aver collaborato in modo attivo con la resistenza antifascista in occasione dell’occupazione nazista di Milano, David Maria Turoldo dà vita al centro culturale Corsia dei Servi e sostiene il progetto del villaggio Nomadelfia fondato nell’ex campo di concentramento di Fossoli da don Zeno Saltini.
David Maria Turoldo negli anni ’50
Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta pubblica la raccolta di liriche “Io non ho mani”, con cui si aggiudica il Premio letterario Saint Vincent, e l’opera “Gli occhi miei lo vedranno”, proposta nella collana Lo Specchio di Mondadori.
Nel 1953 Turoldo è costretto a lasciare Milano, e si trasferisce prima in Austria e poi in Baviera, dove soggiorna presso i conventi dei Servi locali. Nel 1955 viene trasferito a Firenze, al convento della Santissima Annunziata, dove ha modo di conoscere il sindaco Giorgio La Pira e padre Ernesto Balducci.
Obbligato ad andare via anche dal capoluogo toscano, dopo un periodo di peregrinazioni lontano dall’Italia torna in patria e viene assegnato a Udine, al convento di Santa Maria delle Grazie. Nel frattempo si dedica alla realizzazione di un film, con la regia di Vito Pandolfi, intitolato “Gli ultimi” e tratto dal suo racconto Io non ero fanciullo. La pellicola, che rappresenta la povertà della vita rurale in Friuli, viene presentata nel 1963 ma non apprezzata dal pubblico locale, che la considera poco rispettosa.
Gli ultimi anni
In seguito Turoldo individua nell’antico Priorato cluniacense di Sant’Egidio in Fontanella un luogo in cui dare vita a un’esperienza religiosa comunitaria nuova, che coinvolga anche i laici: vi si insedia il 1° novembre del 1964, dopo aver ricevuto il consenso di Clemente Gaddi, il vescovo bergamasco.
Qui fa costruire una casa per l’ospitalità, che prende il nome di Casa di Emmaus in riferimento all’episodio biblico della cena di Emmaus, con Gesù che si manifesta ai discepoli dopo essere risorto.
Alla fine degli anni Ottanta David Maria Turoldo si ammala per un tumore al pancreas: muore all’età di 75 anni il 6 febbraio del 1992 a Milano, nella clinica San Pio X. I funerali vengono celebrati dal cardinale Carlo Maria Martini, che pochi mesi prima aveva assegnato a Turoldo il Premio Giuseppe Lazzati.
“Il caso Turoldo” di Davide Toffoli, (Ladolfi, 2021)
A cura di Gisella Blanco
Due occhi che puntavano come spade, così come fa la dolcezza più tagliente. David Maria Turoldo, il poeta prete “rosso”, è stato l’autore su cui è ricaduta la scelta del titolo della tesi di Davide Toffoli, laureando in Lettere a Roma con Biancamaria Frabotta. Con questa curiosa narrazione, una “anomala prefazione”, formata attraverso gli scambi su Whatsapp della stessa Frabotta con Toffoli, inizia il saggio “Il caso Turoldo – Liturgia e poesia di un uomo”, pubblicato per Ladolfi Editore nel 2021.
Scegliere ciò che poteva essere “altro da sé” in modo radicale era uno degli intenti di Toffoli che, di certo, al momento della decisione, non avrebbe immaginato la “comunione”, seppur laicissima, che si sarebbe venuta a creare tra lui e questo misterioso poeta del Novecento italiano. Con la vestitura, Turoldo scelse due nomi emblematici con i quali da quel momento in poi si sarebbe fatto chiamare: David, il giovane pastore vittorioso su Golia, e Maria, la madre di tutti da cui apprendere l’arte della parola, il “linguaggio dell’Amore”.
Turoldo era un frate antifascista che, però, vedeva nella vita un valore da tutelare in senso sovrapartitico, era un innovatore che desiderava cambiare l’inaccessibilità linguistica della funzione religiosa, era un frate per cui la fede è “entrare in conflitto”.
La sua poesia era un tutt’uno con la vita, le azioni, la resistenza, le iniziative filantropiche, il cinema, gli articoli di giornale, le omelie: “Nessuno creda che si possa staccare la poesia dalla vita; la poesia non è un esercizio letterario”. E, in effetti, come ha specificato Fernando Bandini, “parlare della poesia di padre David coi puri strumenti della critica letteraria, esaminare i suoi testi come mero discorso poetico separandoli dalla testimonianza della sua vita, non sarebbe un’operazione legittima”. Se interpretare i testi di un autore anche attraverso la sua biografia è atto di per sé insidioso, poiché può condurre a rintracciare nelle parole ciò che in effetti non vi risiede, in linea per altro con il pensiero strutturalista, nel caso di Turoldo non si potrebbe fare altrimenti, essendo la sua poetica legata a doppia mandata alle vicende e alle attività di un vissuto sorprendente ed estremamente ricco di esperienze.
“Il poeta è un crocefisso, è un profeta, un povero e grande uomo, molto raro. Così sarà la poesia a salvare il mondo, o meglio, anche la poesia”, e ancora: “Essere cristiani vuol dire essere uomo che resiste anche in funzione della società”, affermava Turoldo, fermamente convinto di come la fede cristiana, e Dio, potessero non risiedere sempre nei dettami della Chiesa. D’altronde, non gli interessavano la figura istituzionalizzata del prete, i giochi di potere istituzionalizzati, i ruoli stereotipati che non avessero una reale base sociale: Turoldo portava scompiglio, metteva in dubbio le piramidi ecclesiastiche e pungolava le coscienze a tutte le latitudini:
“Finalmente ho disturbato la quiete di questo convento altrove devo fuggire a rompere altre paci”.
Con l’amico, confidente e compagno di avventure Padre De Piaz, tra le varie imprese condivise, c’è la proposta della messa in italiano, affinché il sacerdote non fosse l’unica parte attiva della celebrazione. Pur non essendo un prete moderno, poiché era molto attaccato alla tradizione come necessaria sorgente di novità, le sue idee non avevano timore di andare in contrasto con dogmi, preconcetti e ingiuste disuguaglianze. Come specifica Frabotta, tra le voci poetiche per lui più incisive Toffoli individua un poeta come Giorgio Caproni, la sua patoteologia ultima, la sua ricerca dell’inesistenza di Dio per rintracciarne la radice più profonda – e per questo nascosta – nel dramma della condizione umana.
“Sia in Caproni sia in Turoldo si respira la necessità di perdersi, di smarrirsi, per cercare di trovarsi realmente e la consapevolezza che mai si può approdare a qualcosa di effettivamente definitivo. Anche il paesaggio, del resto, li accomuna: una sorta di non luogo che potrebbe essere ovunque (di sicuro lontano dal caos cittadino) e che mette l’uomo in ascolto e al cospetto di se stesso”, sostiene convintamente Toffoli.
Un esistenzialismo kierkegaardiano che non si limitava all’osservazione del disfacimento del reale ma provava a trovare non solo una chiave di lettura teologale ma anche fattiva, in quell’operosità concreta per la quale il suo insegnamento risulta sincero anche alle analisi più scettiche.
I suoi versi, la cui scrittura proteiforme si mostra incredibilmente coesa a livello formale, nonostante il lasso temporale ampio – gran parte della sua vita – che ha interessato la sua attività letteraria, è ricca di umanissime palinodie e continui, legittimi ripensamenti ideali su Dio, sul concetto di divinità, sull’uomo e sul rapporto tra dio e l’uomo.
Lungo l’asse – articolato e fin troppo eterogeneo, forse, per essere unificato – della poesia religiosa del Novecento, tra Rebora, Betocchi, Guidacci e Testori per fare solo alcuni dei nomi più rilevanti tra cui, di certo, c’è anche Turoldo, ma senza dimenticare lo stesso Caproni, e Ungaretti e Luzi, si possono indagare, nella poesia di Turoldo, grandi ascendenze da quell’ermetismo esistenziale che ha fatto emergere alcuni dei linguaggi più eleganti e più penetranti del Secolo Breve.
Eppure, è all’Infinito di Leopardi che Turoldo si riferisce per individuare nel suo contraddittorio e talvolta lugubre Nulla una specie d’eternità che atterrisce e incanta gli esseri viventi, protési in un continuo spasmo verso la speranza, che talvolta coincide con la bellezza, forma più compassionevole e gioiosa del sublime leopardiano. Ma per Turoldo, “se vuoi vedere Dio, devi guardare in faccia un uomo”.
Un uomo, non l’uomo bensì un singolo individuo qualunque, mostruoso e peccatore che sia. Un messaggio che, in favore di una misericordia profondamente fondata sulla realtà, propone un’immagine di dio che soffre e compartecipa delle fragilità del proprio creato. Tutti concetti che sono compatibili con l’altra linea stilistica che, pur non coincidendo pienamente con la scrittura di Turoldo, ne sanciva alcuni degli aspetti formali e, cioè, un “rarefatto realismo”, come ebbe a commentare Zanzotto.
Anche in base a ciò, non stupisce la grande amicizia con Pasolini, con cui condividevano molti topoi delle loro poetiche, seppur con svariate differenze di postura autoriale. Il tema della madre, per esempio, se per Pasolini era elaborato come dramma di non sentirsi mai del tutto uscito dall’utero materno, per Turoldo era la ricerca di una figura originativa, dalle sembianze marianiche e dal timbro non solo educativo ma anche rassicurante. Il Friuli, terra d’origine di entrambi i poeti, era un paesaggio idilliaco, insieme interiore ed esteriore, da cui ritrovare nuovi approdi luminosi.
Il profetismo engagé, pregnante in ambo le poetiche, era forse semplicemente una riflessione così imperniata nel presente da mettere in luce il probabile futuro di tutti. Il cinema era una passione comune, e la ricerca disperata di Dio non lasciava scampo né a Pasolini né a Turoldo, ciascuno con il proprio modo di intendere la divinità anche in base alla percezione del corpo personale e di quello sociale. Se la parola poetica di Pasolini, secondo lo stesso Zanzotto e Agosti, era “fuori di sé”, distorcente anche per via delle ibridazioni con la cronachistica, quella di Turoldo rimase “in sé”, seppur sempre mutevole ed eterodossa.
Le esperienze di Turoldo, dalla missione nei lager, assieme a Camillo De Piaz, in cui sperimentò di camminare sulla “sabbia dolente” degli intrasportabili, uomini bruciati sul posto e, soprattutto, durante la quale si rese conto non solo dell’ostruzionismo ma della corruzione delle autorità italiane, americane ed ecclesiastiche, fino all’avventura di Nomadelfia come vita comunitaria che non piacque al Vaticano per lo “scandalo della fratellanza”, furono molteplici e attivamente politiche, e, per questo, misero in luce gli aspetti più biechi dell’organizzazione della Chiesa, nonché i suoi rapporti non sempre lineari con lo Stato.
Anche l’incontro con Don Milani, altro prete tutt’altro che canonico, fu di grande rilievo, così come l’opinione di Turoldo sul caso Moro e, in generale, sulla possibilità che la cristianità non fosse monopartitica e non si identificasse in modo cieco e ben poco spirituale con una sola fazione politica. La sinistra cattolica, esperienza breve ma significativa cui Turoldo aderì con convinzione, fu l’emblema di come sia possibile, benché complicato, mantenere la propria integrità valoriale contro il pensiero imposto dai gruppi di potere, finanche quelli religiosi.
Nelle opere inerenti all’ultima parte della sua vita, in cui Turoldo fu colto da una grave malattia, il referente, il tu, è sempre più chiaro e, insieme, più dubitativo: dio o non dio?
È dio, ma è anche il sé annichilito – o esaltato – dai sovrumani silenzi leopardiani in cui l’infinito è sostituito da un nulla che atterrisce sia l’uomo che la divinità. Una “alterità che incombi dentro la parte più profonda di noi”. Il Nulla li inerisce entrambi, uomini e divinità, li spaura e ne fa emergere il valore reciproco. Il Grande Male, onnipresente, è anche il piccolo “mio male” di ogni giorno.
Il timore della inutilità del quotidiano fa da contraltare alla paura della morte, un calice amaro necessario, talvolta salvifico, che avvicina il poeta all’esperienza di Cristo (“un volto cercato da tutte le fedi”, ecco che Turoldo dà una soluzione al rapporto tra i non fedeli e Cristo), pur rimanendo uomo e vivendo il dubbio che ha attraversato tutta l’esistenza turoldiana e ne ha reso l’opera trasversale a credenze e fedi.
Il dubbio, d’altronde, “è gravido”, sprona non solo al dialogo con il dio ma anche e soprattutto al confronto. Un confronto violento, reso con l’audace metafora degli amanti (tema comune con Testori) che non trovano pace, e rintracciano nella tensione al tradimento e al peccato gli estremi gesti di richiesta d’amore:
“O forse il peccato è un gesto folle per cercarti? Pace non c’è per gli amanti,
lo sai!”.
E ancora:
“Almeno un poeta ci sia per ogni monastero: qualcuno che canti le follie di Dio”:
Così compare un dio che si strugge per l’infelicità e la malattia dei suoi uomini, insalvabili per il loro stesso agognato libero arbitrio. E il poeta è sempre più vicino alla figura cristica, terrena, carnale, disperata.
Turoldo torna all’idea tormentata della necessità di distruggere la divinità per riacquisirne la prossimità ontologica, in un percorso condiviso con il fratello ateo: ecco che Padre Turoldo, sul letto di morte, ha saputo parlare al proprio dolore, e a quello di tutte le donne e di tutti gli uomini, anche non credenti – compresa chi scrive – ma che condividono con lui, cercatore del Verbo tra le parole del creato, il difficile cammino nella coscienza, fideistica e non, in un moto di compassionevole empatia sovrareligiosa e profondamente spirituale da cui tutti dovremmo imparare.
“Dal dubbio germinano le mie radici
* * *
Le madri sono oggetti contundenti
la mano armata del dio
che vuole in pugno ogni bambino
e vuole romperlo in due – una metà
da stringere forte, l’altra da lasciare
all’abbandono –, sono le madri
un opaco paradiso una promessa
non mantenuta, sono la voce petulante
e cruda che risuona l’ora prima della morte.
Impara presto, bambina, che la crudeltà
è l’ultima salvezza, ricomponi la frattura,
vomita via ogni nome che non sia il tuo,
cercati due occhi nuovi, uccidi la madre
cattiva e poi rinnega quella buona:
non è mai esistita.
*
Il bianco coniglietto di Alice
si è ammalato, non ha più tempo
non ha più corse, la bambina lo guarda
preoccupata, lo pettina con una spazzola
cento e più volte, lo bagna in un’acqua
di sapone e di lacrime, lo accarezza piano
sulla testa, gli sfiora le zampe che si aprono
come piccoli ventagli quando l’aria calda
del fon gli smuove il mantello, bianco
cotone che sprigiona aroma di fieno,
adesso guarisci, gli dice contro il musetto
ingiallito, mentre pensa che dio non esiste,
altrimenti non potrebbe guardare morire
le anime candide, bambini che perdono i denti
da latte coniglietti affamati, le prede del mondo,
corri e nasconditi, gli sussurra, ma lui è già altrove,
nel paese senza meraviglie la Regina di Cuori
ha tagliato il cordone e la bambina precipita,
diventa sempre più piccola, le si apre un vortice
dentro la pancia, al posto dell’ombelico: ora
conosce il bianco orrore della perdita, o della nascita.
*
Occhi neri a precipizio
sempre paura sempre sola
bambina piccina cuore friabile
sbranato a morsi, cresce pane
nel tuo petto per il pettirosso
del libro delle fiabe, cresci obliqua
per non farti male, ferita dal vento in pieno
volto, volo d’ali spiumate, piccola scintilla
di fuoco brucia la città dei balocchi
il dio dei bambini rotti non ti ascolta:
e tu corri a nasconderti dalla fame,
nel luogo segreto dei bottoni
̶ mettili in fila, inghiottili ̶
prima che ti chiudano la bocca.
Va scomparendo
Va scomparendo perfino
l’intelligenza dei fanciulli,
e gli adulti non hanno più memoria:
anche la lingua va morendo,
né ci sarà la Neolingua a salvarci:
ci saranno solo dei segni
e dei grugniti…
se appena qualcuno mostrerà
di comprendere, si dirà:
“è intelligente”!
E continueremo
ad ingannarci:
illusi di aver capito.
*
David Maria Turoldo
“O sensi miei…”
Poesie 1948-1988
Biblioteca Universale Rizzoli (Milano, 2002)
Note introduttive di Andrea Zanzotto e Luciano Erba
Da: Mia Apocalisse
Tempo verrà
Tempo verrà che non avrete un metro
di spazio per ciascuno:
lo spazio di un metro
che sia per voi. Tutti
vi dovrete rannicchiare:
nemmeno coricati!
Se pure non sarete
accatastati uno sull’altro.
Allora uno resterà soffocato
dal ribrezzo dell’altro.
Non avrà spazio
neppure il pensiero
e tutto sarà nel Panottico:
pupilla di un
Polifemo
fissa al centro del cielo:
non ci sarà un solo angolo,
un remoto angolo
per il più segreto
dei pensieri.
Il cuore sarà cavo
come il buco nero
in mezzo alle galassie.
La mente di tutti
una lavagna nera…
Un groviglio di fili
senza corrente
i sentimenti
a terra.
*
David, è scaduto il tempo
David, è scaduto il tempo d’imbarco!
Ora il tuo posto
è la lista d’attesa.
Grazia rara è
se ancora qualcuno conservi
(con molte incertezze) memoria
del tuo nome, almeno
il sospetto
che tu sia esistito.
Premono formicai di anonimi
alle stazioni della metropolitana.
Moltitudini che urlano
invocando di salire,
a grappoli.
Tutti sconosciuti l’uno all’altro
ignoto il proprio volto
perfino a te stesso,
e il volto del proprio padre:
anche lui sbarcato
a forza dal predellino dell’ultimo tram
nella notte.
*
E non hanno
E non hanno neppure
la gioia di andare
come tu andavi (oh David)
imperioso alla conquista!
E non importava sapere di cosa,
bastava la fede
almeno nell’uomo!
Ora nessuno sa
in quale direzione andare,
e tutti cercano una maniglia
nel vuoto:
o appena si affacciano
alla linea gialla della strada
subito vengono
da forze misteriose.
ribattuti indietro.
e continuano a urlare
ma nessuno sa cosa.
Tutti dentro una luce sempre uguale,
al neon:
e sola
continuerà a brillare,
appena sorridente
la gigantografia
in fosforescenza
del GRANDE FRATELLO
onnivedente,
COME STA SCRITTO!
E anche in piccole foto,
o di varia grandezza,
ma sempre uguali, a miriadi
a ogni pulsante appese:
appese agli stipiti e agli archi delle vie,
appese, le più grandi ai frontali dei palazzi
e negli stadi
e dai rosoni delle chiese,
COME STA SCRITTO:
anche le chiese
saranno allora
la STESSA COSA.
Né alcuno che possa dire
che nome porta o chi sia!
E tutti nel feroce
invincibile sospetto
l’uno dell’altro…
Non due fedi
O papa, sorridi
(non ridano solo le tue labbra)
sorridi dentro
spera
confida.
Pace a te, o papa,
non temere!
Allora non affonderai
camminando sulle acque:
altri crederanno per te
nella cruciata ora della decisione.
Non sentirti solo, o papa,
nel giardino dei dubbi.
Credi, ti amiamo
e ti «compatiamo»
filialmente.
Da te stesso liberati, o papa,
uccidi la tua ombra che t’insegue:
il mondo non ti è nemico,
abbi fede in lui
e nel Dio che l’ama
fino alla fine,
e sia un’unica fede.
Non due fedi, o papa.
Credi all’unità
dei giorni e delle opere,
alla creazione che è unica.
Puoi essere voce di due infallibilità
che tutto, chiesa e fabbrica e studi
è inesauribile invenzione
di un medesimo Spirito:
uno è l’uomo,
uno e amorosamente operante
Iddio nell’uomo.
(da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988” )
ALTRA SALMODIA ALLA PACE
a «Testimonianze» e a tutti i comitati di pace
La pace è l’Eden,
l’Armonia da sempre agognata,
giardino dell’Alleanza
che sta nel cuore della terra,
giardino da sempre rimpianto.
Anche le fiere dei campi ti piangono, o Pace,
anche il leone e la tigre ti piangono,
con ululati dalle selve piangono
l’orrendo disordine
non necessario.
La coesione della pietra è santa,
la massa compatta delle acque,
santa la coesione degli astri.
Uomini, non violate il Sacrario dell’atomo,
non entrate nel Santo dei santi
perché morirete: Scienziati,
non fate della sua casa
una spelonca di ladri.
La pace è l’Eden che deve inverarsi,
il Sogno reale e necessario
che attraversa l’intera creazione.
Creature tutte all’opera:
che deve venire la Pace
che deve farsi la Pace;
che si faccia la Pace su tutta la terra:
e l’uomo è la sola coscienza
a proclamare che Egli esiste.
Francesco, riprendi a cantare
per frate sole e sora luna
«et per aere et nubilo et sereno»,
perfino alla morte diciamo: o sorella!
Ma siano tutte le creature a cantare.
Uomini, tornate fanciulli,
rompete le spade e nessuno
continui a trafiggere il cuore alle cose
come han trafitto il costato di Cristo.
Questo è l’irreparabile Male
il Male che non ha nome:
l’incubo non della morte,
dell’«0ltre-morte»,
il Grande Nulla che incombe.
Abbiamo violato il Sacrario
profanato il Santo dei santi:
messe le mani sull’atomo,
rotta la diga sull’abisso,
ci siamo creduti «Despoti».
Abbiamo perduta l’Amicizia delle cose,
la Grande Comunione:
tornare indietro
sarà ancora possibile?
Questo è l’Eden che deve inverarsi
il giardino dell’Alleanza,
il Sogno dell’universo.
(da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988” )
David Maria Turoldo
Il trattato dal titolo “David Maria Turoldo, il Resistente”, a cura di Guerino Dalola, in collaborazione con Donatella Rocco, Antonio Santini, Mino Facchetti, Pierino Massetti, Gian Franco Campodonico e di ANPI Franciacorta, consiste in un importante saggio autoprodotto con il patrocinio di vari enti e associazioni, tra cui la Città di Chiari, il Comune di Coccaglio, il Comune di Cologne, i Servi di Maria – provincia di Lombardia e Veneto e l’associazione Gervasio Pagani.
Padre David Maria Turoldo è un frate morto nel 1992. Su padre David Maria Turoldo, che fu poeta, filosofo, sacerdote, autore, traduttore, fondatore di riviste e giornali, sono stati pubblicati centinaia di libri e documenti, ma senza dare ampia notizia sulla sua partecipazione alla Resistenza del 1943-45 contro il nazifascismo. Padre David Maria Turoldo è stato un grande Resistente a Milano, ma era in contatto anche con la Resistenza bresciana, soprattutto nella zona della Franciacorta.
Secondo Turoldo la figura del Partigiano riveste certamente una eccezionale e fondamentale importanza, ma in uno specifico momento e in una determinata situazione. Invece, sempre secondo Turoldo, essere Resistente è una scelta di vita che non può verificarsi solo in un determinato tempo e in uno spazio contingente. La Resistenza, i Resistenti attuano un impegno quotidiano, da realizzarsi nel percorso di ogni giorno, senza distrazioni, nel corso di una intera esistenza. La liberazione autentica dell’umanità, oltre che dal nazifascismo e dalle dittature, richiede una militanza, una acribia nel tempo, un impegno molto più profondo sul piano culturale, relazionale, politico, sociale, familiare. L’impegno del Resistente non ha fine e scadenze, perché la libertà non si rinnova da sola, ma deve essere sempre riconquistata con l’impegno di ognuno di noi. Infatti la Resistenza non è mai finita.
Turoldo non ha mai voluto schierarsi con nessun partito politico, perché, lui stesso spiegherà, la libertà, la costruzione di un mondo migliore, i diritti delle persone, la solidarietà, il progresso alternativo che non è tale se non è per tutti, il soccorso a chi vive nell’indigenza, a chi vive nelle difficoltà, a chi vive nel bisogno, il rispetto di tutte le fedi politiche e religiose, non sono istanze appartenenti all’uno o all’altro schieramento partitico, ma sono valori appartenenti alla nostra comune umanità.
Per il Resistente il vero campo di lotta è la normalità, la testimonianza, non solo con le parole, ma con esempi di vita. Il Resistente non è solo antifascista. La vera scelta del Resistente è un’alternativa totale, a favore di una società, di un contesto sociale, completamente diversi, per una nuova presente e futura umanità, perché la pace non è solo mancanza di guerra, ma è nonviolenza, è costruzione di convivenza solidale e fraterna.
Le esperienze di Turoldo furono molteplici come Partigiano in una delle vicende più importanti della sua vita: la Resistenza. Ma le fonti storiche non danno ricostruzione storiografica editata di ampio respiro di padre Turoldo per la sua attività nella lotta di Liberazione nazionale e per il contributo notevole che ha offerto nella ricostruzione morale e materiale del nostro Paese. “Una lacuna nella storia del pensiero democratico e antifascista di impronta cattolica alla quale bisognerebbe pensare di porre rimedio”, così scrive Aldo Aniasi, comandante partigiano, assessore e sindaco di Milano, deputato e ministro socialista e presidente della FIAP federazione italiana associazioni partigiane. Scrive sempre Aldo Aniasi, che come uomo della Resistenza padre Turoldo privilegiò sempre una scelta unitaria, lo spirito unitario della Resistenza, lo spirito dell’unità antifascista. Intrattenne rapporti con comunisti, socialisti, azionisti e incontrava personaggi come Eugenio Curiel, Rossana Rossanda e altri importanti dirigenti della sinistra.
Uno dei risultati più significativi dell’intero lavoro di confronto e dialogo realizzato nel convento di San Carlo a Milano per iniziativa di padre Turoldo e padre De Piaz è la nascita e la diffusione – soprattutto da parte di Teresio Olivelli, Claudio Sartori ed altri collaboratori bresciani – del giornale clandestino antifascista “Il ribelle”. Anche la predicazione in Duomo su incarico del Cardinale Schuster diventa espressione della Resistenza di padre Turoldo. Appena dopo la Liberazione del 25 Aprile 1945, saranno ventinove i Lager visitati da padre Turoldo alla ricerca di sopravvissuti e riuscirà a riportare in salvo a casa circa duecento prigionieri. Scrive Turoldo “Una sola possibilità affinché non si ripeta quanto è avvenuto: ricordare e capire, far ricordare e far capire… Così ho visto la sola Europa possibile, quella della solidarietà dei sopravvissuti”. Scrive Ernesto Balducci “Il grande dono di David è di essere nato povero, in mezzo ai poveri, agli ultimi… David è rimasto un povero. I poveri sono fuori del perimetro della storia”. In occasione degli appositi referendum, padre Turoldo vota contro l’abrogazione del divorzio e dell’aborto, perché i principi religiosi non possono essere imposti a chi non crede: la religione va spiegata e proposta, mai imposta con una legge. Nella primavera del 1978, padre Turoldo, insieme al confratello De Piaz, avvia una trattativa con le Brigate Rosse, per la liberazione di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. L’iniziativa a cui partecipa anche il vescovo di Ivrea monsignor Luigi Bettazzi, presidente di Pax Christi, viene bloccata dall’opposizione delle autorità ecclesiastiche.
La Corsia dei Servi e Nomadelfia furono le iniziative più care sia a Turoldo sia a padre De Piaz, basate su concetti di primaria importanza: tanto la fede che le scelte politiche diventano operative e efficaci solo nell’ambito di una cultura che permetta di uscire dall’inerzia di una fede accolta solo per tradizione e pregiudizio, per tentare invece una rigenerazione dalla vera cultura con maggior impulso possibile.
Invitato a un congresso sul disarmo nel febbraio 1978, Turoldo ebbe l’occasione di incontrare Carlo Cassola, che lo invitò al convegno nazionale della LDU- Lega per il Disarmo Unilaterale. Gli aderenti attuali della Lega per il Disarmo Unilaterale sotto la sigla “Disarmisti Esigenti” stanno lavorando all’interno della campagna ICAN – International Campaign to Abolish Nuclear Weapons e con molte altre associazioni del panorama italiano affiliate a ICAN, tra cui anche PeaceLink- Telematica per la Pace, alla ratifica del trattato ONU, il TPAN, per la proibizione delle armi nucleari, varato a New York a palazzo di vetro nel luglio 2017 da 122 nazioni e dalla società civile organizzata in ICAN. ICAN grazie alla costituzione del trattato Onu per l’abolizione delle armi nucleari è stata insignita Premio Nobel per la Pace 2017. E poi ricordiamo la Salmodia della Speranza che attraversa la drammatica esperienza dell’Europa prima e durante la Seconda Guerra Mondiale: il trionfo dei dittatori, il nazismo, il fascismo, il razzismo, i grandi massacri, i Lager, Hiroshima e Nagasaki, la Resistenza. Per una Chiesa che accoglie i diversi, gli emarginati, gli oppressi, gli ultimi, le vittime di cui tutti siamo parte nel contesto sociale, comunitario, culturale e nel mondo, nel terribile deserto della sopraffazione e della violenza dove tante voci chiedono libertà, giustizia e verità per tutti quegli innocenti che ancora nascono solo per morire.
Laura Tussi – PeaceLink, Campagna “Siamo tutti Premi Nobel per la Pace con ICAN” Fabrizio Cracolici – ANPI sezione Emilio Bacio Capuzzo Nova
Roma-Una nuova settimana al Teatro Belli con Expo – Teatro Italiano Contemporaneo-
Roma-Una nuova settimana al Teatro Belli con Expo – Teatro Italiano Contemporaneo, Rassegna diffusa di drammaturgia italiana contemporanea, ideata da Società Per Attori, da Franco Clavari e Andrea Paolotti.
Dal 22 al 27 aprile Primavera scritto e diretto da Pietro Gattuso con Giovanni Andrei, Ugo Caprarella, Francesca Gregori, Piergiorgio Mazzarella, Chiara Onofri. Perché́ cerchiamo sempre di far credere ai nostri cari che va tutto bene? Per proteggerli? A volte sarebbe meglio la cruda verità piuttosto che aspettare e causare una catastrofe. Due ragazzi molto giovani, Luca e Francesca, sono giunti alla scelta estrema del suicidio. Lo spettacolo è un alternarsi di vicende legate alle loro vite e ai rispettivi rapporti con le uniche persone a loro care. Per Francesca il padre, Gianmarco, single, pronto a tutto pur di mantenere gli studi della figlia. Per Luca la sorella Cecilia, malata terminale che non ha ancora il coraggio di dirlo al fratello. Quando entrambi li abbandoneranno, Luca e Francesca non vedranno altra soluzione che cercare di “raggiungerli”. La loro conoscenza però farà nascere qualcosa. Amicizia? Amore? Altro? Grazie a questo incontro scopriranno una nuova speranza e, forse per la prima volta nella loro vita, qualcuno con cui condividere tutto.
Roma-Teatro Belli Piazza di Sant’Apollonia 11
EXPO – TEATRO ITALIANO CONTEMPORANEO
rassegna diffusa di drammaturgia italiana contemporanea
PRIMAVERA
scritto e diretto da Pietro Gattuso
con Giovanni Andrei, Ugo Caprarella, Francesca Gregori, Piergiorgio Mazzarella, Chiara Onofri
ll Teatro G. Belli è uno dei più antichi teatri romani.Ospitato in quella che fu la Chiesa del Monastero di Santa Apollonia (da cui il nome della piazza) il Teatro G. Belli era già attivo nella seconda metà dell’800. La storia di questo spazio è ricca di episodi curiosi. Nel periodo in cui era sede del Monastero era qui che avveniva la vestizione della statua della Madonna per la processione che si teneva (e si tiene tuttora) durante la Festa de’ Noantri. Successivamente è proprio qui che fu rinchiusa Lorenza Feliciani, la bella moglie di Cagliostro, da lei stessa accusato di stregoneria. Ed è sempre qui che molto, molto tempo prima, aveva vissuto, scomparso il suo grande amore, la Fornarina di Raffaello. In ogni caso, in quegli anni, esso aveva la precisa funzione di Refugium peccatorum, e la disciplina all’interno era molto severa. Il fatto è che, finito il periodo di pena, non risulta che Lorenza sia uscita dal monastero, e nemmeno che vi sia rimasta: scomparve, e nessuno ha saputo più nulla di lei. Fatto sta che in certe notti d’autunno, per i vicoli di Trastevere passa in silenzio una figura di donna, che nessuno ha mai visto in faccia; rasentando i muri, senza far rumore, arriva al ponte Garibaldi, lo attraversa, e arriva fino a piazza di Spagna. Qui, nel luogo dove Cagliostro fu arrestato, scompare in una chiazza d’ombra mentre dal nulla escono una risata di scherno e un grido: Lorenza!. Ancora oggi più di una persona, tra le tante che hanno lavorato al Teatro Belli pur essendo all’oscuro di questa leggenda, racconta di essersi trovata di fronte a strani fenomeni, mentre si trovava sola all’interno del Teatro.
Dopo che il convento fu chiuso definitivamente (sembra per un’improvvisa epidemia di peste), i locali del Teatro Belli hanno ospitato varie attività, tra cui una celebre taverna trasteverina. Ma è nella seconda metà dell’800 che il Belli diventa finalmente Teatro.
ROMA- ricerca chiesa di SANT’APOLLINARE a SELVA NERA
Roma- Municipi XIII-XIV-La chiesa di Sant’Apollinare a Selva Nera- Ricerche Archeologiche dell’Associazione Cornelia Antiqua-
Oggi una ricognizione di “Cornelia Antiqua” ha rinvenuto dei ruderi di casali nei pressi di via Cumiana, fra Selva Nera e Boccea (immagini 3-8). Poiché un rudere indica una persistenza insediativa anche assai dilatata nel tempo, è probabile che proprio in tale punto sorgesse la chiesina o cappella che nella carta di Eufrosino (ricordiamo: 1547) è indicata come Sant’Apollinare.
Associazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali. Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo ! Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com-Cell-3930705272-ROMA- ricerca chiesa di SANT’APOLLINARE a SELVA NERA
Il toponimo Malagrotta (“Mola Rupta”) appare per la prima volta nel 955 in un codice dei Camaldolesi: qui è annotata, infatti, la vendinta di metà di un casale di proprietà della nobile Costanza, chiamato Casa Nobula, in contrada “Mola Rupta”.
In altri documenti del periodo, derivati dall’Archivio dei Camaldolesi, si parla di altri casali presso tale “Mola Rupta”.
L’origine del nome si spiega con la presenza di un mulino in rovina presso il fiume Galeria (una “mola rupta”, appunto) presumibilmente a causa di una piena dello stesso.
In una bolla di Innocenzo IV (1249), invece, con Molarupta s’intende non un semplice sito di campagna ricco di casali, ma di un vero e proprio castrum al centro di un fondo con le chiese di S. Maria e S. Apollinare.
Giuseppe Tomassetti annota: “Ecco pertanto che il sito è cresciuto, per così dire, di grado ed è un castello. Quanto alle chiese suddette, non è questa la prima menzione di esse leggendosi [di esse] già nella bolla di Leone IX” (pontefice dal 1049 al 1054) come dipendenti dalla diocesi di Porto.
ROMA- ricerca chiesa di SANT’APOLLINARE a SELVA NERA
Abbiamo, quindi, che all’importante e vasto fondo di Mola Rupta-Malagrotta lungo il Galeria si lega il nome di Sant’Apollinare sin dalla metà dell’XI secolo.
È nella carta di Eufrosino Della Volpaia (1547; immagine 1) che ritroviamo la nostra chiesa. Coi dovuti raffronti (nell’immagine 2 una ricostruzione da google) possiamo situarla con certezza nella zona dell’attuale Selva Nera. Avendo l’accortezza di capire che il nord si trova a sinistra, possiamo intuire come la nostra Sant’Apollinare sorgesse approssimativamente lungo il fosso dell’Acquasona (segnato in azzurrino) poco prima di una grande ansa. L’Acquasona scende, appunto, da Selva Nera e si getta nel Galeria all’altezza del cosiddetto “Dazio”, dove s’incrociano via di Boccea, via Casal Selce e via della Storta.
Scrive Thomas Ashby nel saggio sulla mappa di Eufrosino:”S. Apolina(re). Quello che si vede sembra un edifizio rovinato, forse una chiesa o cappella … Doveva essere vicino al segnale Acquasona … ora però non si vedono che mattoni sparsi per terra. Credo che vi sia stato un fondo appartenente alla chiesa di S. Apollinare in Roma, che non ho potuto rintracciare”.
ROMA- ricerca chiesa di SANT’APOLLINARE a SELVA NERA
Il possibile sito ove sorgeva questa chiesa o cappella dovrebbe quindi trovarsi non distante dall’Acquasona.
Oggi una ricognizione di “Cornelia Antiqua” ha rinvenuto dei ruderi di casali nei pressi di via Cumiana, fra Selva Nera e Boccea (immagini 3-8). Poiché un rudere indica una persistenza insediativa anche assai dilatata nel tempo, è probabile che proprio in tale punto sorgesse la chiesina o cappella che nella carta di Eufrosino (ricordiamo: 1547) è indicata come Sant’Apollinare.
Poco sotto, sempre nella carta di Eufrosino (immagine 1), possiamo scorgere la scomparsa torre di Mucciafore. Questa doveva trovarsi sulla piccola altura raggiungibile da via Mezzenile, la traversa a destra di via della Storta. Il luogo è alatament probabile poiché da lì l’osservatore poteva dominare il crocicchio della Boccea (con la strada che saliva da Malagrotta) nonché il ponte sul fiume Galeria.
Associazione CORNELIA ANTIQUA– Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali. Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo ! Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com- Cell-3930705272-
Pubblicate dalla Rivista Atelier a cura di Paolo Galvagni
Tanja Skarynkina è nata nel 1969 in Bielorussia. Suoi versi sono apparsi nelle riviste “TextOnly”, “Vozduch”, “Literratura”, “Dvoetocie”. Ha pubblicato alcune raccolte poetiche.zo 2022
КУБИКИ СЛЁЗ
Я не плачу
но сухие слёзы
кубиками падают в еду
высушивают книги
делают людей неразличимыми
птицы исчезают на лету
весна не хочет
открывать своё личико
поправляет кобуру.
CUBETTI DI LACRIME
Non piango
ma lacrime secche
cadono a cubetti sul cibo
seccano i libri
rendono le persone indistinte
gli uccelli spariscono in volo
la primavera non vuole
svelare il suo visino
aggiusta la fondina
1 marzo 2022
ГОРОД
Стоит город а над ним
дым
это не картина не сон не бред
нет
этот город ни в чём не виноват
но ад
на него обрушили черти
смерти
почему за что никто не знает
а город пылает
но раньше чем он восстанет
чертям тошно станет.
LA CITTÀ
S’erge la città e su di essa
il fumo
non è un quadro né un sogno né un delirio
no
questa città non ha colpa di nulla
ma un inferno
hanno scatenato i diavoli
della morte
Perché per cosa nessuno lo sa
e la città arde
ma prima che risorga
i diavoli saranno disgustati
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale e si occupa di letteratura contemporanea.
direzioneatelierpoesiaonline@gmail.com
Per tutte le comunicazioni e proposte per Atelier Online, sia di pubblicazione di inediti che di recensioni vi preghiamo di scrivere al seguente indirizzo mail di direzione: eleonorarimolo@gmail.com
Max Ernst-Una settimana di bontà-Tre romanzi per immagini
A cura di Giuseppe Montesano-ADELPHI EDIZIONI
Risvolto del libro di Max Ernst-Una settimana di bontà-Tre romanzi per immagini -Con il romanzo, com’è noto, i surrealisti non ebbero fortuna. Sicché, alla distanza, i più rapinosi potrebbero rivelarsi proprio quei romanzi per immagini che Max Ernst elaborò fra il 1929 e il 1934 ritagliando illustrazioni di feuilleton dell’Ottocento e dei primi del Novecento, e assemblandole poi in collage a cui aggiungeva didascalie di sua mano, destinate a essere, scrive Giuseppe Montesano, «segnali devianti e pervertimenti del senso comune». Sono immagini folte di fanciulle sensuali e innocenti insidiate da tenebrosi allievi di Sade, e di messieurs in abito nero e ghette che nascondono manie vergognose, mentre sullo sfondo freme «la città piena di sogni» di Baudelaire e ancora «lo spettro adesca il passante in pieno giorno». Un allestimento onirico ereditato dai romanzi d’appendice, dunque, ma che Ernst ha saputo trasformare, non senza un tocco di germanico unheimlich, in vessillo della sommossa perenne del desiderio. Si installa così in queste pagine perturbanti il più cupo e luminoso erotismo mai evocato dai surrealisti, dove un seno è un giocattolo e una capigliatura un sesso palpitante, dove i fantasmi del piacere hanno scollature abissali e le ossessioni si mutano in animali da preda, dove un lenzuolo su un corpo nudo è una cascata letterale e i rivoltosi dell’amore volano dalle finestre degli abbaini.
In copertina-Immagine tratta da Una settimana di bontà (1934).
ADELPHI EDIZIONI S.p.A
Via S. Giovanni sul Muro, 14
20121 – Milano
Tel. +39 02.725731 (r.a.)
Fax +39 02.89010337
Max Ernst-Una settimana di bontà
Biografia di Max Ernst-Pittore e scultore tedesco (Brühl, Colonia, 1891 – Parigi 1976). Importante esponente del movimento surrealista: dalla commistione di immagine e parola poetica negli esperimenti di ‘scrittura automatica’ nacquero i suoi collages e i romanzi-collage (La femme 100 têtes, 1929; Une semaine de bonté, 1934), tra le opere più rappresentative delle teorie dell’arte surrealista. Produsse anche sculture (Capricorne, 1948) e objects trouvés e realizzò composizioni e paesaggi fantastici. Primo premio per la pittura della Biennale di Venezia (1954).
Vita e opere
Studiò filosofia a Bonn (1909-14) e si formò alla pittura nell’ambito dei movimenti tedeschi d’avanguardia; nel 1913 partecipò alla esposizione del gruppo “Der Sturm”, nel 1918 fondò a Colonia, con J. Th. Baargeld e H. Arp, un gruppo dadaista; dal 1922, a Parigi, ebbe una parte rilevante nel movimento surrealista. Illustrò i poemi di P. Éluard, collaborò a Littérature, compì, con Breton, Crevel, Éluard, Picabia e altri, i primi esperimenti di “scrittura automatica”. Oltre ai molti collages, ai frottages (Histoire naturelle, 1926; Rêveries surréalistes, 1927), ai romanzi-collages (La femme 100 têtes, 1929; Rêve d’une petite fille qui voulut entrer au Carmel, 1930; Une semaine de bonté, 1934), alle sculture e agli objects trouvés, spesso pieni di allusioni ironiche, dipinse paesaggi fantastici e composizioni, un mondo di immagini che riflettono la sua ansia per la degenerazione della civiltà moderna, (serie sul tema della Forêt, della Ville, del Jardin gobe-avions, dei Barbares marchant vers l’ouest, ecc.). Nel 1938-39 eseguì sculture e affreschi per la sua casa a Saint-Martin d’Ardèche (Avignone). Nel 1939 fu internato in campo di concentramento; raggiunse gli Stati Uniti nel 1941 e vi restò fino al 1949, mantenendo contatti con i surrealisti ivi rifugiati (curò con M. Duchamp e A. Breton la rivista VVV), dipingendo opere come Europe after the rain II (1940-42, Wadsworth Atheneum, Hartford), Napoleon in the wilderness (1941, New York, Museum of modern art), Euclid (1945, Houston, Menil Foundation) e realizzando, nella sua casa di Sedona (Arizona) una delle sue sculture più significative, il gruppo monumentale Capricorne (1948; esemplare in bronzo, 1964, Parigi, Centre Pompidou). Stabilitosi di nuovo a Parigi, continuò a elaborare con sensibilità assai ricca verso la materia, composizioni in cui gli elementi intellettualistici del surrealismo si sciolgono in associazioni e dissociazioni dettate da un acuto sentimento poetico. Nel 1954 ottenne il primo premio per la pittura della Biennale di Venezia. Fonte Istituto della Enciclopedia Italiana
Roma-Teatro Tor Bella Monaca – Arena Teatro Tor Bella Monaca-Spettacoli dal 23 al 27 aprile 2025-
Roma-Teatro Tor Bella Monaca –Il 23 e aprile (ore 21) in Sala Piccola appuntamento con PENSIERO ELETTRICO, spettacolo di Francesco Tozzi e Francesco Lonano, con la regia di Francesco Lonano.Un’unica entità, l’essere umano, diviso in due aspetti: quello femminile, spirituale che cerca un dialogo con un Dio non proclamato e identificato ma semplicemente cercato come identità superiore e posto al pari livello, e quello maschile, concreto alla realtà del contesto che ci circonda e alla società che evolve nel tempo. Un percorso di analisi costruito sul pensiero lucido di una delle più grandi leggende della musica e non solo: Jim Morrison.Tutti noi lo conosciamo come il carismatico ed estroso frontman dei The Doors, ma egli fu anche uno scrittore dal profondo spessore estetico ed esistenziale. Lettore nervoso ed insaziabile, fu intimamente dedito alla poesia, da lui considerata come la sua reale vocazione e ritenuta «l’arte suprema, perché ciò che ci definisce come esseri umani è il linguaggio».
Roma-Teatro Tor Bella Monaca
Dal 24 al 27 aprile (ore 21; domenica ore 18) invece appuntamento in Sala Grande con 49 SFUMATURE DI GIALLO, scritto e diretto da Roberto D’Alessandro.Siete pronti ad assistere ad un thriller comico interattivo dai risvolti fantastici? Quattro persone si ritrovano imbavagliate e legate sul palco di un teatro. Non si conoscono e pensano di essere coinvolti in un gioco divertente, ma comincia il conto alla rovescia e iniziano ad accadere strane cose. Uscire dal teatro non sarà facile e il gioco si trasformerà in un thriller che porterà alla luce l’oscuro rapporto dei quattro partecipanti all’escape theatre. Cosa succederà se non dovessero risolvere i misteri? Riusciranno i nostri eroi ad uscire dal teatro in tempo?La programmazione dei Teatri in Comune 2024-2025 è finanziata dall’Unione Europea, Next Generation EU nell’ambito del PNRR, e rientra tra gli Interventi “Il Giubileo dei Pellegrini: eventi artistici e culturali nella città di Roma, dal centro alla periferia, al fine di favorire la fruizione turistica nel periodo giubilare” (PNRR – M1C3-Inv.4.3 Caput Mundi. Next Generation EU per grandi eventi turistici).
Il Teatro Tor Bella Monaca -Una vera e propria scommessa culturale, per valorizzare un territorio ricco di potenzialità, l’attuale Municipio VI, ha portato all’apertura, il 9 dicembre 2005, del Teatro Tor Bella Monaca, evento fortemente sostenuto e a cui hanno collaborato Roma Capitale – Assessorato alle Politiche Culturali e Assessorato alle Politiche per le Periferie – l’ETI, Ente Teatrale Italiano, la Regione Lazio e l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.
Il Teatro Tor Bella Monaca si propone come un riferimento sociale e culturale per la città, aperto e fruibile, un luogo vissuto, capace di incuriosire, aggregare, stimolare e garantire l’accessibilità della creazione artistica a tutta la comunità territoriale e alla città intera, favorendo la relazione tra produzione culturale locale e scena nazionale.
L’edificio, situato all’interno del grande complesso della sede del Municipio, è stato progettato come un sistema flessibile di spazi: comprende due sale teatrali – la sala grande da 282 posti e la sala piccola da 98 – una sala prove e ulteriori spazi in cui realizzare incontri, mostre, laboratori, momenti formativi.
Dopo due anni di collaborazione con l’Ente Teatrale Italiano, dalla stagione 2007/2008 la gestione del Teatro è passata all’Associazione Teatro di Roma che ha gestito lo spazio fino a gennaio 2013. Nel febbraio 2013, l’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale ha inserito il Teatro Tor Bella Monaca all’interno dell’innovativo Sistema Casa dei teatri e della Drammaturgia Contemporanea gestito da Zètema Progetto Cultura con la direzione di Emanuela Giordano.
Il Sistema si è configurato a tutti gli effetti come un dispositivo di rete e di progettazione partecipata, offrendo per la prima volta nella storia delle politiche culturali della città, la straordinaria possibilità di valorizzare le risorse del settore pubblico, in sinergia con il privato.
Del Sistema, oggi denominatoTIC – Teatri in Comune, fanno parte inoltre il Teatro Biblioteca Quarticciolo, il Teatro del Lido, il Teatro Villa Pamphilj, che, insieme, mettono in rete competenze e visioni accumulate nel corso degli ultimi decenni, si rapportano con i luoghi che li ospitano e puntano a sviluppare reti sociali e culturali con le agenzie del territorio, in un’ottica interdisciplinare, inter-istituzionale e partecipata.
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.