San Francesco visse nella Valle Santa una delle stagioni più intense della sua breve vita. Con certezza si sa che giunse nel reatino nel 1223, ma non si possono escludere soggiorni precedenti. Il Cammino, documentato dalle foto del grande fotografo Steve McCurry, è composto da otto tappe: parte da Rieti e si dipana attraverso la Valle Santa toccando i quattro Santuari francescani. A queste tappe si aggiunge il cammino verso il Faggio di San Francesco a Rivodutri e l’ascesa al monte Terminillo per la visita alla reliquia del corpo del Poverello di Assisi.
Tersilio Leggio è storico del medioevo, autore di numerosi saggi sull’Italia mediana, e in particolare su Rieti e sulla Sabina. Tra i suoi titoli ricordiamo il volume Ad fines regni. Amatrice, la Montagna e le alte valli del Tronto, del Velino e dell’Aterno dal X al XIII secolo (L’Aquila 2011).
Lucia Tancredi-Jacopa dei Settesoli (la ricca amica di Francesco)
Edizioni Città Nuova, 2022
Nell’ottavo centenario del Primo Presepe di Greccio e della Regola dei Frati Minori ben si inserisce il nuovo lavoro di Lucia Tancredi, Jacopa dei Settesoli. la ricca amica di Francesco, per le edizioni Città Nuova.
Non una biografia in senso stretto, è, diversamente, l’abile e sapiente tessitura di un racconto, testimonianza letteraria e culturale, su Jacopa, Francesco d’Assisi e sul tempo che li attraversò.
Lucia Tancredi non è nuova in questo specifico operare, ha già pubblicato un paio di libri su donne e mistica e sul sacro femminile, argomenti di non semplice trattazione ma con i quali sembra trovarsi in grande agio, con passo lieve e poetico: il primo su Monica, la madre di Agostino, e l’altro su Ildegarda di Bingen, monaca benedettina, mistica medievale e molto altro, intellettuale a tutto campo, consigliera di pontefici e imperatori. Anche questo volume, dunque, ci consegna una lettura del femminile e al femminile acuta, originale e ricca di suggestioni per l’oggi.
Su Jacopa dei Settesoli, poiché le fonti sono ristrette e i documenti originali scarsi e in parte controversi, la scommessa di Lucia Tancredi è stata quella di lavorare su una tenue traccia storica intrecciandola al verosimile letterario e a stimolanti suggestioni culturali; un molto immaginato ma non falso che “riscrittura e invenzione” avvolgono in una trama fascinosa e avvolgente. La sua scrittura alterna e attorciglia le invenzioni letterarie ad inserimenti culturali precisi e a puntate aneddotiche sul tempo di Francesco e delle donne che lo seguirono, restituendoci una visione a tutto tondo, non scontata, di quelle vicende.
Un inquadramento culturale che rende ben comprensibile l’operare e il vivere dei protagonisti, espressione e prodotto di quella educazione “cortese” di derivazione francese che molti rampolli aristocratici e ricchi del tempo ricevevano in famiglia. Anche le donne di alto lignaggio, infatti, pur con differenze con l’educazione maschile, erano educate agli insegnamenti propri della Courtoisie e ai suoi stili di vita, al Fin Amor cantato dai troubadour, al culto cavalleresco della donna, tramite per arrivare a Dio.
La Francia, in particolare la terra di Provenza, era stato il focolare di questa cultura ‘alla moda’ e anche Francesco, ricco di famiglia, non era sfuggito a questa consuetudine. Del resto sua madre, Pica, era probabilmente di origine francese e suo padre Bernardone, al ritorno da un viaggio in quei territori, decise di chiamare il figlio non Giovanni, il vero nome, ma Francesco, Francese, a conferma del tipo di educazione che andava per la maggiore in certi ambienti.
Ed è perciò molto interessante osservare in questo territorio del centro-Italia vicende storico-sociali molto irrituali che riguardarono in particolare donne straordinarie, in un ambito privato e pubblico non facile per il sesso femminile. Non solo di Jacopa, dunque, racconta questo libro, ma anche di Chiara e delle sue consorelle, le future clarisse, e di Francesco naturalmente.
Alcuni mesi fa è uscito nelle sale il film di Susanna Nicchiarelli, Chiara che riporta i momenti salienti della sua vita e ne evidenzia il coraggio estremo nel perseguire gli ideali di povertà e castità indicati da Francesco. Il film è molto interessante, anche rispetto a questo volume perché anch’esso nel focalizzare aspetti importanti della questione femminile si aggancia ai temi e ai modi prediletti da Lucia Tancredi, in qualche modo ulteriormente arricchendoli, utilizzando, per esempio, la dimensione musicale, con canti e musiche in scena, laddove Tancredi usa le visioni e gli incanti poetici.
Nel caso di Chiara, è la scelta consapevole di una vita incerta e grama di povertà e di testimonianza cristiana, per la quale abbandonò provenienze nobiliari, ricchezze e sicurezza e si espose a vendette e violenze familiari. La condizione della donna (ricca) nel Medioevo non consentiva scelte di autonomia e di libertà di vita ma due alternative, il matrimonio o la vita claustrale, nel cui caso era consentito trasferire in convento gli agi propri della provenienza nobiliare. Era comunque una condizione privilegiata perché per il resto delle donne, quelle di condizione umile, non c’erano altre possibilità che seguire il solco di fatica, povertà e malattie della propria classe e condizione sociale.
Nel caso di Jacopa, personaggio centrale nella vita di Francesco d’Assisi e importante figura femminile nella Roma di quello scorcio del Duecento, lo strappo sarà solo apparentemente meno lacerante di quello di Chiara ma non meno leggero. Per entrambe furono scelte estreme e molto coraggiose, rese conseguenti anche dall’aver ricevuto in famiglia una educazione colta e aperta ad influssi sovralocali, insomma dall’aver raggiunto una consapevolezza di sé e delle proprie strade che solo una dimensione culturale molto avanzata e aperta poteva assicurare.
Il racconto su Jacopa si sviluppa come un continuum leggero e poetico, intonato alla sensibilità del tempo per linguaggio e tocco descrittivo. Ma la sua vicenda terrena e il rapporto con Francesco prendono corpo anche con riferimenti talvolta pungenti al vero storico, alle difficoltà che il Santo incontrò già durante la vita e ancor più dopo la morte, evidenziati plasticamente nei contrasti tra assisiati e perugini nel contendersi l’appropriazione del luogo della sua dipartita – “Perché Francesco vale più morto che vivo” – e molto presto per le voci dissonanti che si inserirono e in parte tentarono di addomesticare l’originario ideale francescano.
Madre, che cercava quel fratello?
Nulla, senza Francesco siamo tutti barche che urtano sui becchi delle rocce.
La nobildonna, da lui chiamata Frate Jacopa per indicare il rapporto speciale che a lei lo avvolgeva, fu legata al Santo da profonda e fraterna amicizia, un rapporto tra un uomo e una donna inusuale per il tempo, reso possibile solo per il fatto che Jacopa non era vincolata al voto religioso e alla clausura ma era autonoma per la sua condizione nobile e ricca.
Secondo alcune fonti il primo incontro avvenne a Roma nel 1209 [1] dove Francesco si era recato per ottenere l’approvazione delle Regole del suo ordine monastico da Innocenzo III e dove Jacopa viveva.
Quando qualcuno mi chiede quale Frangipane sono, dico: quella del Settizonio. Quella dei Settesoli.
E mi fanno una riverenza come a una castellana.
Sto intronata in una torre dentro la conca del cielo, a due passi dal sole.
Jacopa divenne da quel momento uno degli amici influenti e altolocati che lo sostennero sempre anche contro l’ostilità di parte della Curia.
Me l’avevano detto e non volevo crederci: c’è un matto che predica agli uccelli.
A Roma di matti che predicano ce n’è per tutti i gusti e le misure. Ma questo predica agli uccelli come uno stregone di campagna. E allora, qual è la novità?
Che gli uccelli lo stanno a sentire.
La prima sede romana dei francescani fu l’ospedale San Biagio, fondato secondo la tradizione da Jacopa, in seguito trasformato nel convento di San Francesco a Ripa, a Trastevere, dominio dei conti normanni, famiglia di appartenenza di Jacopa, e dei conti Anguillara.
Jacopa, di nobili origini normanne (le trecce bionde dipinte da Giotto negli affreschi ad Assisi ne sono il segno), alta educazione e cultura, era di famiglia aristocratica e compassionevole – sposa giovanissima secondo il costume del tempo ad un suo pari, il nobile Graziano Frangipane de’Settesoli [3],
Sono sette i soli che fanno il sigillo di famiglia. Non uno, sette soli in processione, nel cielo delle stelle fisse della nobilissima schiatta dei Frangipane.
e altrettanto giovane presto vedova per la morte precoce del marito – decise, nonostante le pressioni ricevute anche nel contesto papale nel quale viveva e agiva, di non risposarsi, restando libera e padrona della sua vita, e di amministrare le vaste e ricche proprietà (le terre e i castelli sparsi a Roma e nella Campagna Romana fino ad Astura e Cisterna) mantenendo una scelta di vita di povertà e testimonianza francescane, trasmettendola come ideale anche ai figli.
Chiudo gli occhi. Lui è di fronte, con la sua ombra.
Io sono ricca – gli dico – E lui:
Non importa, ama a continua a camminare.
La loro amicizia perseverò e si rinsaldò fino alla morte di Francesco nel 1226, alla quale Jacopa fu presente, da lui chiamata, con amore ed estrema cura, preparando fin da Roma il panno per la tonaca che lui le aveva richiesto, panno grezzo color cenere, nel tipo di quello tessuto dai monaci circestensi nei paesi d’oltremare, una coperta di lana d’agnello, da lei filata con il vello di un piccolo di pecora che Francesco le aveva regalato tempo addietro, un cuscino ricamato, la cera per la sepoltura e gli amati biscotti romani di farina, mandorle e uova tanto da lui apprezzati – forse i mostaccioli?
Alcuni ulteriori spiragli su Jacopa ci sono forniti nel ciclo di affreschi delle storie di San Francesco di Giotto della Basilica superiore di Assisi: nella scena relativa all’ultimo saluto di Chiara e delle compagne alla salma di Francesco, viene raffigurata una figura femminile di spalle, vestita di rosso, colore del sacro femminile, con lunghe trecce bionde, che verosimilmente viene indicata come Jacopa dei Settesoli. E l’autrice ci ricorda anche che Giotto prima di dipingere gli affreschi si era peritato di ascoltare le testimonianze dirette di chi lo aveva conosciuto, non dando ascolto soltanto alle “voci del tempo” che già iniziavano a diffondere versioni rivedute della stessa biografia di Francesco, in particolare per l’azione di Bonaventura da Bagnoregio che, nominato Generale del francescani nel 1266, scrisse la Legenda di Francesco, una versione revisionata della sua vita, sottacendo ed eliminando momenti importanti, compresi quelli che riguardavano Jacopa e il suo ruolo.
Ma Jacopa, che non era già più su questa terra da alcuni anni – morì nel 1239 – non ne soffrì.
“Ora sapevo che Francesco era testimone della luce, del giorno nuovo. Se il nome è già destino, prima di essere Francesco lui era stato Giovanni.”
[2] Il complesso del Septizodium di Settimio Severo già in rovina, alla fine dell’VIII secolo divenne una fortezza baronale i cui ruderi entrarono nei possessi dei Frangipane. La tradizione riporta che al Circo Massimo nella Torre della Moletta Jacopa ospitò l’amico Francesco. Cfr. https://www.capitolivm.it/meraviglie-di-roma/il-septizodium-di-settimio-severo/
[3] Cfr. Omaggio a “Frate Jacopa”, cit. Il cognome Frangipane sarebbe legato all’uso di famiglia di distribuire il pane ai poveri, “frangere panem”.
Lucia Tancredi-Jacopa dei Settesoli (la ricca amica di Francesco)
Nella ricostruzione, tra vero storico e verosimile letterario, di un Medioevo cortese, devoto al servizio d’amore come itinerario per giungere a Dio, Jacopa dei Settesoli non è solo l’amica e la protettrice di Francesco, ma una delle declinazioni del femminile sacro. La giovane matrona romana dalle trecce bionde, ricchissima e padrona del suo destino, stabilisce con Francesco un’intesa in cui l’amore è accettazione e valorizzazione della reciproca alterità come complemento e bene spirituale. La coralità dei Fratelli e delle Sorelle, un Oriente molto prossimo nei suoi scontri e nei suoi incanti, la difficile e controversa eredità di Francesco sono il contesto in cui si individua e si riscatta la figura di Jacopa, nella luminosa e coraggiosa fedeltà a se stessa, pur nell’esperienza di una vicenda d’amore straordinaria e assoluta.
RIETI- Valle del Primo Presepe, torna il concorso fotografico “Wiki Loves”
RIETI- 4 settembre 2023- Il 2023 è un anno importante per la Valle del Primo Presepe. È infatti quello in cui ricorre l’ottavo centenario del primo presepe ideato a Greccio da san Francesco, per avvicinarsi attraverso i sensi al mistero dell’Incarnazione. Dal prossimo 26 novembre avrà dunque inizio un importante ciclo di eventi attraverso i quali tornare alla notte del Natale 1223 ed entrare nel vivo di quell’esperienza umana e spirituale. Un percorso che il progetto della Valle del Primo Presepe propone attraverso eventi, esperienze, esposizioni e anche concorsi che puntano ad allargare la partecipazione e il coinvolgimento. Tra questi il concorso fotografico locale Wiki Loves Valle del Primo Presepe, incluso nel più ampio concorso nazionale Wiki Loves Monuments Italia. Un’iniziativa promossa in sinergia con Wikimedia Italia per valorizzare il patrimonio artistico e monumentale del territorio, garantendo la sua visibilità su Wikimedia Commons, Wikipedia e i progetti collaterali grazie a quanti realizzano fotografie e le concedono con licenza libera CC-BY-SA.
Come nelle edizioni passate, è possibile partecipare anche al concorso locale, caricando foto che abbiano per oggetto i “monumenti liberati” presenti nella lista aggiornata.
Per partecipare al concorso occorre registrarsi sul sito Wikimedia Commons e caricare le foto sul portale seguendo la procedura guidata. Saranno valutate dalla giuria esclusivamente le immagini caricate dal 25 novembre 2023 al 2 febbraio 2024.
Il bando completo e le indicazioni per la registrazione sono consultabili sul sito valledelprimopresepe.it.
Questi i premi del concorso locale Wiki Loves Valle del Primo Presepe:
I premi
• 1° premio | Macchina fotografica istantanea
• 2° premio | Action Camera
• 3° premio | Cornice digitale
Nuova edizione integrale aggiornata al nuovo esame di Stato
SCHEDA DEL LIBRO Perché leggere la Commedia, a più di settecento anni dalla sua composizione? Il capolavoro dantesco può ancora parlare a noi uomini del terzo millennio? La nuova edizione della Principato cerca di valorizzare la bellezza dell’avventura del viaggio di Dante nella Commedia, opera che parla non solo dell’aldilà, ma anche dell’al di qua, della vita, dell’uomo, della sua esigenza di amore, di felicità e di salvezza, e lo fa con la potenza e la capacità di comunicazione del genio proprio del poeta fiorentino. Se tutti sono colpiti dalle parole cortesi di Francesca, dalla forza d’animo di Farinata e dal suo desiderio di «ben far», dall’ardore di conoscenza di Ulisse è perché il poeta racconta storie che testimoniano l’animo dell’uomo di ogni tempo. La Commedia ci spalanca una finestra sulla vita e sull’uomo di oggi, come del passato. Nella lettura dei versi avvertiamo una comunione universale tra noi moderni e gli antichi, tra la nostra e la loro aspirazione alla salvezza, alla felicità e all’eternità. Centrale nell’edizione è anche non perdere mai di vista il fine del viaggio e del capolavoro di Dante cioè quello di «allontanare gli uomini dalla condizione di miseria/peccato/infelicità e accompagnarli alla situazione di felicità/beatitudine», come il poeta scrive nella lettera a Cangrande della Scala cui dedica la terza cantica. La scelta di proporre in modo integrale i cento canti, affiancati dalla parafrasi e da un apparato in note (distinte tra quelle di carattere storico e quelle di tipo stilistico) intende sottolineare l’importanza di proseguire nello studio della Commedia dantesca fino al quinto anno, fino al termine del viaggio, fino al Paradiso, cantica bellissima che conduce Dante nel luogo in cui il desiderio di felicità e di salvezza di ogni uomo si compie. Nella luce di Dio tutto è ricomposto e redento. Il grido cosmico della sofferenza innocente, che così tanto ferisce e scandalizza l’uomo, finalmente è placato nell’abbraccio amorevole di un Padre che ci ha voluto salvi e, nel contempo, liberi. Nella terza cantica Dante si cimenta nel tentativo di creare una nuova lingua che permetta di esprimere l’inesprimibile: il motivo conduttore è il sorriso di Dio, sempre presente in ogni verso, trasmesso anche attraverso la letizia dei santi e il loro ardore caritatevole. Il Paradiso presenta grandi personaggi, affascinanti e per nulla inferiori a quelli tragici dell’Inferno, figure che hanno segnato la storia dell’Occidente e della cristianità: a titolo di esempio, San Francesco, san Domenico, san Benedetto, san Bernardo, san Tommaso, san Bonaventura da Bagnoregio, san Pietro, san Giacomo, san Giovanni. Anche nel Paradiso non manca certo l’avventura. Dante incontra difficoltà, conosce storie belle e drammatiche, deve addirittura superare tre esami per procedere nel viaggio fino a giungere alla visione di Dio. Il testo vuole accompagnare gradualmente lo studente all’acquisizione degli strumenti di lettura di un testo poetico proponendo la rubrica Dante maestro di retorica che ha il fine di far acquisire canto dopo canto i mezzi retorici che permettano di cogliere la specificità del fatto letterario e l’abilità versificatoria di Dante. Lo studente apprende, però, nel percorso non solo le più significative figure retoriche, ma anche generi letterari e modalità oratorie (come la tenzone, l’invettiva, la preghiera, l’orazione, ecc.) di cui si avvale Dante nel corso dell’opera. La rubrica Altre pagine altri percorsi (o altro titolo) mostra l’universalità dei versi danteschi, mostra i grandi capolavori che hanno ispirato l’opera dantesca o le opere che successivamente (dal Trecento ad oggi) si sono ispirate alla Commedia o ancora apre una finestra su temi e immagini danteschi che ricorrono anche altrove nella letteratura. La nuova edizione ha prestato un’attenzione particolare alla trasmissione dei contenuti in modo semplice e chiaro per tutti attraverso l’utilizzo di mappe concettuali per i canti più significativi che accompagnano l’analisi e il commento. Dodici canti selezionati tra le tre cantiche sono presentati dall’autore del testo in un breve filmato nella convinzione che la parola viva sia centrale nell’esperienza didattica. La nuova edizione intende poi rispondere anche all’esigenza del mondo della scuola (avvertita sia dagli insegnanti che dagli studenti) di essere accompagnati nelle grandi novità che sono state introdotte negli ultimi anni nelle prove degli esami di Stato e nelle prove Invalsi che gli alunni devono sostenere in quinta. Per questo già dalla prima cantica compaiono proposte di prima prova dell’Esame di Stato (con tipologia A, B, C) e prove Invalsi (per ogni canto commentato e sottoposto ad analisi) con il fine di valutare l’acquisizione dei contenuti e di preparare in vista delle prove del quinto anno. La tipologia B ha anche il pregio di sottoporre agli studenti utili pagine di critica letteraria di saggisti famosi o contemporanei che facilitino la comprensione del canto. La tipologia C, invece, offre l’opportunità di far riflettere i giovani su importanti questioni attuali e pertinenti il mondo giovanile a partire dai versi danteschi, mostrando la contemporaneità e l’attualità dell’opera dantesca.
L’AUTORE.-Giovanni Fighera,laureato in Lettere moderne con specializzazione in letteratura e in linguistica, giornalista, scrittore e blogger, insegna Italiano e Latino nei licei e collabora con il dipartimento di Filologia moderna dell’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato: Che cos’è, dunque, la felicità, mio caro amico? (2008), La Bellezza salverà il mondo (2009), «Amor che move il sole e l’altre stelle». L’amore, l’uomo, l’Infinito (2010), Che cos’è mai l’uomo perché di lui ti ricordi? L’io, la crisi, la speranza (2012, Premio Capri San Michele 2013 sezione giovani), tutti letti integralmente su Radio Vaticana. E inoltre Il matrimonio di Renzo e Lucia (2015), Tre giorni all’Inferno. In viaggio con Dante (2016), Purgatorio: ritorno all’Eden perduto (2017). Per quanto riguarda gli studi sulla Commedia oltre a scrivere su Studi danteschi ha partecipato, tra l’altro, al Censimento dei commenti danteschi (2014), al Convegno internazionale di Varsavia Il Dante dei moderni (2015) e al Congresso Dantesco Internazionale di Ravenna (2017). Su Radio Maria ha condotto la rubrica In viaggio con Dante verso le stelle. Attualmente conduce la trasmissione I promessi sposi e il sugo della storia. Su Radio 5.9 conduce trasmissioni di sua ideazione con cadenza settimanale.
RIETI-Festa dell’Immacolata all’insegna della musica con la Valle del Primo Presepe
RIETI-Giovedì 8 dicembre 2022-a partire dalle ore 16 nella chiesa di San Domenico di Rieti torna “Note in Cammino”, la rassegna musicale dedicata a Cori, Associazioni Musicali, Scuole Secondarie di primo e secondo Grado e Conservatori, giunta quest’anno alla sua terza edizione. Il progetto è realizzato da Diocesi e Comune di Rieti, in collaborazione con l’Associazione Regionale Cori del Lazio.
Parteciperanno:
L’Orchestra di fiati del Liceo musicale di Rieti dell’istituto d’istruzione superiore Elena Principessa di Napoli diretta dal maestro Giuseppe Moscatelli e dal maestro Fabio Ginevoli;
La Corale polifonica Psalterium di Roma diretta dal maestro Andrea Savo;
Il Coro Santa Maria delle Grazie di Piani di Poggio Fidoni diretto dal maestro Massimo Sebastiani;
Il Gruppo vocale “Fuori dal coro” di Poggio Mirteto diretto dal maestro Marta Guassardo.
L’evento è ad ingresso gratuito e adatto a tutti.
Il progetto La Valle del Primo Presepe è promosso dalla Chiesa di Rieti e la Provincia di San Bonaventura dei Frati Minori con i Comuni di Greccio e Rieti, il sostegno della Regione Lazio e della Fondazione Varrone e la collaborazione dell’Associazione Italiana Amici del Presepio.
Maggiori informazioni sul sito: http://www.valledelprimopresepe.it/
Un’opera di grande valore artistico: il Crocifisso ligneo della Basilica Vaticana è stato presentato restaurato oggi alla stampa, in Vaticano, e sarà restituito alla devozione dei fedeli il prossimo 6 novembre, in occasione del Giubileo dei carcerati. A realizzare la scultura, nel XIV secolo, un abile maestro che la tradizione vuole sia Pietro Cavallini. I lavori di restauro sono stati eseguiti in oltre un anno, con le più moderne tecnologie, e grazie al sostegno dell’Ordine dei Cavalieri di Colombo, per il Giubileo della Misericordia.
Le pupille attonite ormai fisse sull’Eterno e la bocca semiaperta con le labbra tese: la figura di Gesù crocifisso è riprodotta dall’artista nell’attimo della morte, mentre sta per esalare l’ultimo respiro. Intagliato su un tronco di noce e dipinto, è alto 2 metri e 15 e pesa 72 chili.
Il volto del Crocifisso: la commozione per l’Amore non amato
Profonda nei secoli la devozione verso questo Crocifisso, dal volto sofferente e meraviglioso al tempo stesso, come ci conferma il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica Vaticana e presidente della Fabbrica di San Pietro:
– Io parlo per mia esperienza personale. Quando i nostri lavoratori pulivano l’occhio, a me è sembrato che il Crocifisso in qualche modo mi guardasse come per dire: “Cosa aspetti? Vedi l’amore? Ecco, rispondi…”. L’emozione che provò San Francesco nella chiesetta di San Damiano, quando si sentì dire: “Francesco, ripara la mia casa”, va tutta in rovina. E Tommaso da Celano dice che da quel momento provò compassione per il Crocifisso. È impressionante. Cominciò a capire che a quell’Amore non c’era adeguata risposta. L’ho sentito anche io guardando l’occhio del Crocifisso che mi guardava…
– Quel sentimento dell’Amore non amato …
– Dell’Amore non corrisposto, l’Amore non amato, come diceva San Francesco.
Straordinari particolari anatomici: grande la devozione nei secoli
Questo Crocifisso è il più antico presente nella Basilica di San Pietro e ha vissuto vari spostamenti all’interno della stessa Basilica. Quando i lanzichenecchi la invasero, fu anche oltraggiato: vestito con i loro abiti, come se fosse un manichino. Colpisce la grande fedeltà dei particolari anatomici, come ci conferma mons. Vittorio Lanzani, delegato della Fabbrica di San Pietro:
– Guardando questo Crocifisso si notano con stupore tanti particolari del corpo, cose che non si trovano in altri crocefissi lignei: particolari precisi, anatomici, che indicano che lo scultore o la persona che era con lui erano espertissimi nell’anatomia, a partire dalle vene delle braccia, delle gambe, dai tendini tesi della gamba, soprattutto vicino alla caviglia, fino alle costole, alla ferita del costato che ha addirittura due aperture, una sulla carne viva e l’altra della pelle che si ritrae esternamente. Per non parlare poi del viso che ha una prospettiva bellissima. Oltre tutto, il viso è stata una delle parti più illese, perché quando è stato tolto tutta quella vernice di cui era ricoperto e si sono visti gli occhi aperti, mentre prima si pensava fossero chiusi, è stata un’emozione grandissima!
– Quasi una fotografia scattata a Gesù morente?
– È un Crocifisso che voleva suscitare la pietà del Cristo morente. Infatti il Cristo ha gli occhi e la bocca aperti e nell’ultimo istante del grido della morte e poi del “Tutto è compiuto. E chinato il capo, emise lo spirito”. Qui è reso in modo plastico. I fedeli si ispiravano molto a questo Crocifisso perché era molto ricercato – allora era detto miracoloso per la pietà e per l’umanità che ispirava.
Il Crocifisso sarà esposto il 6 novembre per il Giubileo dei carcerati
Nel corso dei secoli, l’opera è stata spostata più volte all’interno della Basilica Vaticana. Dal 1632 fu esposta nella cappella del Crocifisso fino al 1749 quando fu spostata perché lì fu collocata la Pietà di Michelangelo. Quindi venne portata in un’altra cappella dove finì quasi dimenticata. Il 6 novembre prossimo il Crocifisso ligneo, in occasione del Giubileo dei carcerati, sarà esposto sul lato destro del Baldacchino del Bernini e il 18 novembre, in concomitanza con l’anniversario della Dedicazione della Basilica, durante la Messa, sarà collocato proprio nella Cappella del Santissimo Sacramento dove resterà.
Il restauro ha restituito al 90 per cento la struttura originaria
Nei secoli il Crocifisso era stato ricoperto da 9 strati di vernice scura ed era difficile quindi cogliere lo splendore della sua policromia. Il restauro è riuscito a restituire il 90 per cento della struttura originale e la forza plastica del corpo. I due principali restauratori sono stati Giorgio Capriotti e Lorenza D’Alessandro. A lei abbiamo chiesto quale particolare l’abbia colpita maggiormente durante il restauro:
– Senz’altro il fatto di essere arrivati a recuperare la pellicola pittorica originale, perché di solito in interventi di questo tipo su opere così antiche, ci si ferma prima proprio perché non si ha la certezza di ritrovare ancora materia così antica. Parallelamente abbiamo potuto capire che sul capo, originariamente, c’era una corona di spine, proprio perché abbiamo trovato inserti, piccoli cavicchi lignei che la tenevano. È andata ovviamente dispersa ed era stata sostituita nell’800 da una corona di corde, che ora è stata rimossa e sostituita da una corona di spine. Ma anche in questo caso è stata scelta una spina particolare: la Spina Christi, un arbusto dell’area mediterranea.
– È stato sicuramente un viaggio a ritroso nel tempo: strato dopo strato dal Terzo Millennio siete riusciti a risalire al Cristo del 1300 a livello di colori e di struttura?
– Sì, esattamente questo. Non potevamo arrivare con il laser direttamente a contatto con la pellicola pittorica perché si sarebbe rovinata. Quindi l’unico modo per non perdere le informazioni preziosissime di tutte le manutenzioni era togliere pelle per pelle, anche perché bisognava fare delle puliture selettive: ogni ridipintura aveva bisogno di un determinato solvente o di una determinata attrezzatura, ma in questo modo le informazioni ci sono arrivate!
– E l’emozione è stata molto grande …
– E l’emozione è stata grandissima, proprio un vero viaggio a ritroso nella storia!
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