Articolo dell’Arch. Maurizio Pettinari –QUATTRO PASSI FRA LE NUVOLE…E A TOFFIA.
Quattro passi fra le nuvole è un film del regista Alessandro Blasetti del 1942 con interpreti Gino Cervi e Adriana Benetti. E’ stato considerato un film precursore del neorealismo del dopoguerra e questo probabilmente perché è stato visto in Europa negli anni successivi al conflitto. Per la trama di ambientazione popolare, le dinamiche e la fotografia il film rifugge dagli stereotipi della cinematografia di regime, quella dei “telefoni bianchi”, le storie borghesi e rarefatte per intenderci.
Il protagonista (Gino Cervi) è un piazzista, un rappresentante che per lavoro quotidianamente lascia Roma e si reca nella provincia. Prima in treno e poi su corriera incontra una ragazza che cambierà i programmi della sua giornata. La storia è interessante e il film merita di esser visto per conoscere uno spaccato dell’Italia di quel periodo. La fotografia a volte è fissa e a volte anticipa la narrazione neorealista. Nelle immagini iniziali dei titoli del film si vede una corriera dal suo interno che percorre una strada bianca di campagna che dovrebbe essere la via Farense nel tratto che da Passo Corese va verso Fara Sabina, Toffia.
Intorno al minuto 22 la stessa corriera attraversa un tratto ripreso con cinepresa fissa che è quello della via Farense sotto Toffia, in prossimità della Chiesa di Santa Maria Nova. In quei brevi fotogrammi la corriera percorre lo spazio dell’inquadratura con sopra, ben visibile Toffia, la Chiesa che si staglia dallo sperone roccioso. Si tratta di un documento storico molto importante perché aggiunge altre immagini a quella mia idea di dare un volto alla storia di Toffia. Attraverso le cartoline, le foto storiche, mappe, carte ecc. si aggiungono frammenti importanti per ricostruire l’identità storica e urbanistica del paese nel tempo.
Non so se esiste qualche studio sulle “location cinematografiche” in Sabina, ma di sicuro questo film inserisce Toffia tra i suoi paesi. Ci sono poi altre immagini di percorso di questa corriera che penso siano state girate qua intorno ma non riesco bene a individuarne le località.
Le immagini video sono state estratte da Claudio Oliva che ringrazio (è il web designer che ha generato la mia pagina web: “Toffia tra arte e storia”).
Un mito greco attribuisce ad Atena la creazione del primo Olivo che sorse nell’Acropoli a protezione della città di Atene.
La leggenda racconta che Poseidone ed Atena, disputandosi la sovranità dell’Attica, si sfidarono a chi avesse offerto il più bel dono al Popolo. Poseidone, colpendo con il suo tridente il suolo, fece sorgere il cavallo più potente e rapido, in grado di vincere tutte le battaglie ; Atena, colpendo la roccia con la sua lancia , fece nascere dalla terra il primo albero di Olivo per illuminare la notte, per medicare le ferite e per offrire nutrimento alla popolazione.
Zeus scelse l’invenzione più pacifica ed Atena divenne Dea di Atene. Un figlio di Poseidone cercò di sradicare l’albero creato da Atena, ma non vi riuscì, anzi si ferì nel commettere il gesto sacrilego e morì. Al British Museum di Londra si può ammirare una scultura del frontone occidentale del Partenone, dove l’artista Fidia ha rappresentato questo episodio mitologico. Secondo una leggenda riferita da Plinio e da Cicerone, sembrerebbe che sia stato Aristeno lo scopritore dell’Olivo e l’inventore del modo di estrarre l’olio all’Epoca fenicia. Lo stesso Plinio, invece, su altri suoi scritti, parlando dell’Italia, racconta che l’Olivo fu introdotto da Tarquinio Prisco quinto Re di Roma, questa ipotesi è la più verosimile visto che le più antiche tracce archeologiche finora raccolte sull’olivicoltura in Etruria risalirebbero al VII sec. a.C., descrivendo ben 15 metodi di coltivazione di questa pianta, che, ai suoi tempi, rappresentava già la base di importanti attività economiche e commerciali. L’olivicoltura era molto diffusa al tempo di Omero; l’Iliade e l’Odissea narrano spesso dell’Olivo e del suo Olio. A Roma l’Olivo era dedicato a Minerva e a Giove. I Romani, pur nella loro praticità di considerare l’Olio d’Oliva come merce da esigere dai vinti, da commerciare, da consumare, mutuarono dai Greci alcuni aspetti simbolici dell’olivo. Onoravano i Cittadini illustri con corone di fronde di Olivo; così pure gli sposi il giorno delle nozze e della loro prima notte nunziale; ed infine i morti venivano inghirlandati per significare di essere dei vincitori nelle lotte della vita umana. Nell’area islamica molte leggende fanno riferimento all’Olivo e al suo prodotto; tra le tante storie si vuole ricordare quella di Alì Babà ed i suoi 40 ladroni nascosti negli otri che dovevano contenere Olio di Oliva.
Il quadro allegato rappresenta Dispute de Minerve et de Neptune, (1748)-Louvre,Parigi-
“… e Atena ottenne di governare sull’Attica, poiché aveva fatto a quella terra il dono migliore, quello dell’ulivo……”
descrizione libro :”Il canto pallido è una raccolta di poesie centrate su una cifra stilistica suggestiva e una dimensione espressiva che si confronta con temi esistenziali mantenendo sempre la propria forza simbolica e carica emotiva. La poesia diventa dunque una porta verso altri mondi e tempi in grado di accompagnare il lettore nel suo percorso di scoperta”.
«La parola è secca
senza il suono dell’onda
continua e profonda
che la muove
cresta d’oltre
essa vibra nel grembo.
E di donna in donna
di oscurità in luce
tinge il futuro
d’echi benedetti
e sogni misteriosi
segreti al Tempo».
Breve biografia di Ilaria De Marchi-Nata in Friuli, ha coltivato fin da piccola la passione per la poesia, la lettura e il disegno. È molto attenta alle tematiche sociali e di genere, ma tratta anche temi quali la natura, il sacro e il piacere. Scrive per vocazione e per donare suggestioni al lettore.
Castelnuovo-Via Coronari, le nostre radici castelnuovesi-
Lettera aperta di Franco Leggeri (riflessione ad alta voce) ad una amica castelnuovese di Via Coronari .
Castelnuovo di Farfa- 13 settembre 2021- Cara amica mia, correvi tra i girasoli di Van Gogh e verso i tramonti di Monet : erano queste le tue lezioni di botanica e di astronomia. Tu, amica mia, hai vissuto in una dimostrazione dell’immagine, molto prima delle parole e della poesia, eri già pronta per navigare la realtà. Ricordi quando desideravi “le scarpe”, il tuo desiderio oggetto? Questo desiderio delle scarpe era il tuo filo di Arianna che utilizzavi per attraversare la notte. In comune avevamo la geometria irrazionale del nostro spazio: Via Coronari. Poi, se ancora lo ricordi, sprofondammo in una definizione individuale del sognare il nostro futuro. Allora vennero interrati i sogni e ci ritrovammo nella mancanza di chiarezza dell’idee, e fu così che la “Speranza”di un perfetto futuro possibile fu la nostra Via Salaria per Roma. Mi chiedo, da sempre, se partimmo con un programma sufficientemente elaborato e articolato , credo di no.A Roma io mi sono trovato a navigare , ancora oggi, all’interno di un dibattito di una idea acromatica che trovò e trova respiro nelle teorie di Hegel e Marx, oggi debbo dire, confessare, ho fortemente recuperato Hegel nella scelta di forza e pensiero.
E tu?
Mi chiedo spesso se abbiamo ancora il senso delle cose, se il sapere e il sapore delle cose, ci serva solo per continuare a vivere. Mi chiedo, forse lo fai anche tu, se questa vita sia solo un documento di lacerazione dei sogni, di smarrimento, oppure ci stiamo solo consumando e corrodendo. Noi della vita , di questa nave, siamo stati ai bordi e dispersi in questo cielo del mare. Siamo stati oggetto e soggetto di una poesia gettata tra le lame di un frullatore e abbiamo, forse, visto soltanto immagini di vita vissuta ai margini. Amica mia, noi che da “oggetti” animati abbiamo dato valore e ritmo alle parole, abbiamo distribuito assonanze e rime con gli sguardi. Ti ricordi, abbiamo aspettato , aspettavamo, il “tossire delle pietre” di via Coronari, allora avevamo gli occhi accecati da una segatura salina, lacrime mai utilizzate. Via Coronari un coro di voci che non ha mai smesso di parlarci, raccontarci, nutrirci perché in questa via sono, per l’eternità, le nostre radici. Via Coronari con le sue case umili, ma fresche nei ricordi come se fossero appena uscite dal mare. Tra i ciottoli abbiamo nascosto, avvolte nelle alghe, suoni e sillabe di speranza. Ora, adesso cerco, cerchiamo, nella lunghezza di questa via i nostri ricordi scritti in dialetto castelnuovese. Via Coronari e i suoi vivissimi ricordi mi avvolgono e mi fanno estasiare, ma poi, ora, adesso precipito in un vuoto spaventoso, la ragione è che dovrei soffocare, questa maledetta ragione. Ripercorrendo la nostra via Coronari rivedo noi ragazzi così “educati alla dignità dei poveri” perché ancora non conoscevamo la pedagogia di Calvino e quella di Pasolini, che ci ha illuminato, poi a Roma, la lettura di una diversa possibilità di vita.
Amica mia ti auguro una buona vita.
Il tuo amico d’infanzia di via Coronari, Franco Leggeri.
Ho scelto l’amore più semplice,
quello ricambiato.
Irrefrenabile il bisogno di averle accanto,
aver vicino la tenera coerenza
quella chiara logica che ne fa la loro essenza.
Sono le creature della natura
a muovere i miei sentimenti,
sono innocenza pura,
sono essere, semplicemente.
Sembrano non aver dubbi sulla vita,
la vivono come vien servita,
senza pensieri o rimpianti
con accettazione e affanni.
Affascinanti nei diversi modi di amare,
si rendono vulnerabili nel chiedere affetto.
Una zampa nella mano, un muso da toccare,
possono farsi domare
o nell’indole più selvaggia lasciarsi ammirare.
Un accordo che richiede un prezzo,
occhi che non a tutti è concesso guardare,
se vuoi paghi in rispetto.
Fiducia, cauti nel concederla,
può sembrare crudele indifferenza
ma non è altro che loro difesa
e un premio, per chi sa ottenerla.
Erica Ercoli, Poetessa di Rieti-Scrittrice e Poetessa, Erica Ercoli è nata nel 1988 a Rieti, dove si è diplomata in Socio-psico-pedagogia. Durante il liceo ha partecipato ad alcuni concorsi letterari, risultando seconda classificata al XXII Concorso Nazionale di Poesia “Mons. Francesco Maiolo” e rientrando fra le prime dieci classificate al Premio Letterario Internazionale “Arché” potendo, così, pubblicare la sua opera nell’antologia.
Castelnuovo – Una vita ai margini, oltre la linea livida-
-Brano da MURALES CASTELNUVESI di Franco Leggeri-
Castelnuovo di Farfa- 28 novembre 2022–Castelnuovo è oramai un Borgo che non ha più memoria delle proprie origini e dei propri figli. La memoria è fondamentale per la vita e per il futuro stesso delle Comunità. La memoria non può essere tramandata solo nelle lapidi e nei simboli ma anche , e soprattutto, scrivendo e raccontando quei fatti storici e accadimenti locali ,anche se pur minimi rispetto a quelli nazionali, ma che sono per le piccole Comunità il fondamento su cui costruire un sereno avvenire e “L’ORGOGLIO” dell’Appartenenza. Quell’ORGOGLIO che noi, Veri Castelnuovesi, abbiamo nel SANGUE e che ci distingue dai “PATACCARI” . Questi , infatti, invano lo cercano ma “NON” lo trovano e il perché è semplicissimo: loro, i pataccari, NON SONO CASTELNUVESI .Oramai vedo Castelnuovo così “smarrito” e fermo nella nebbia dov’è stato trascinato da persone che cercano, ahimè, di riscrivere, con grande ignoranza dei fatti e degli accadimenti avvenuti , una “ storia bugiarda e infetta” ma così apprezzata e gradita al “PADRONE ”. Da Vero Castelnuovese ,anche se vivo oltre la linea livida, non posso più tacere e non scrivere del danno che quest’opera di demolizione della nostra MEMORIA sta provocando sulle giovani generazioni. Scrivere, sì scrivere, affinché i giovani castelnuovesi non diventino facili prede e vittime di questi cantastorie così “appecoronati “ al “PADRONE”.Sulla storia di Castelnuovo, a mio avviso, circolano solo notizie frutto di lunghe meditazioni davanti a bicchieri di vino e, quindi, si scrivono racconti e storie partorite alla “luce bassa di cantina”. Notizie affidate al web che arrivano ai Castelnuovesi in confezione così “codino” e rese “ammiccanti” con l’uso di un lessico da “chierichetto furbetto”. Notizie scritte da “pescivendoli” e contrabbandate sull’agorà di Castelnuovo per “fresche fregnacce di giornata”… Perché, secondo gli Ascari di regime, i Castelnuovesi sono di bocca buona…gran bevitori dell’ACQUATICO… e, come dice il “PADRONE”, sono di ”Memoria Corta”. Non riesco a definire e classificare questo fenomeno della “cancel culture” che a noi,Veri Castelnuovesi, suscita indignazione e grida vendetta nei confronti dei “nostri” Antenati . Credo che sia stato l’inglese Lowental a studiare , tra gli altri, l’affermarsi del sentimento della “nostalgia del passato”. Ho cercato, tentato, di verificare se questa dimensione si potesse attivare anche per Castelnuovo. Ho analizzato questo sentimento (ma è un sentimento?) ora forte più che mai di quanto lo fosse negli anni andati. Credo che questa “nostalgia” sia dovuta, forse, alla mia età. Molto spesso mi accade di voler celebrare una irrecuperabile stagione “d’oro” anche se lontana nel tempo, ma ancora viva nella mia memoria. Se avessi il talento di rivolgermi alla sociologia di Marx, oppure anche a quella di Durkheim la potrei utilizzare per analizzare Castelnuovo del 2000 , un Castelnuovo così stordito e confuso dagli affabulatori e dai venditori del niente .E’ certo e dimostrato che la memoria è importante, ma molto diversa dal ricordo. Il ricordo rientra per lo più nella sfera del privato, la memoria è invece composta non solo di ricordi e affetti ma, soprattutto, essa è conoscenza . La memoria ci consente di ricordare i fatti del passato, ma sta a noi comprenderli , analizzarli e, poi, di trarne indicazioni , ed elementi per tracciare vie nuove al fine di avere un futuro di consapevolezza. La memoria è fondamentale per i giovani che vogliono analizzare, verificare ,in modo serio e autonomo, i fatti storici . La memoria deve, appunto, promuovere la conoscenza e non l’odio che viene distribuito, in quantità industriale, dai sotto-panza del “PADRONE”.
Brano dalla raccolta Murales Castelnuovesi di Franco Leggeri
Castelnuovo, Autoesclusione
Autoesclusione
La scrittura creativa in cattività Epicuro(làthe biòsas) dove il riparo è l’humus fertilissimo per la creazione .
Castelnuovo è, per me, una quarantena senza fine dove è possibile solo immaginare il presente .
Si possono cucire i ricordi e indossarli per attraversare Dedalo in cerca della propria identità. La solitudine e l’esilio è interiorizzato come nella Tristia di Ovidio:”Quod tendabat dicere versus erat”.Trasportare e trasformare la cultura materiale ed immateriale radicata nel mio Castelnuovo.
Il Disagio dell’incertezza , la mia epoca più bella,
ha “creato” il mio scrivere e descrivere.
-Poesia per Castelnuovo-
Tu sei la terra madre dei miei sogni.
Castelnuovo si deve ricordare , vedere come un bel quadro .
E’ vero si dovrebbe leggere almeno una poesia al giorno
allora tu Castelnuovo , la tua visione, sei poesia continua
con le tue finestre accese e decorate da tendine ricamate.
Castelnuovo è luogo e la memoria,
Castelnuovo è un tangibile passato , anche se non troppo remoto,
Allora:
“Le turbolenti mutazioni dei tempi migliori
Le mutilazioni, gli scarti di possibilità
e nelle notti avvicinate dalle mie intenzioni strategiche
mi riconosco in Marx in polemica
sui temi “di fondo” di questa mia terra , idea, irrazionale.
Il possibilismo geniale del mio navigare
tra il passato e l’eterno remoto,
non resta che una debole speranza.
Ma adesso è proclamato il giorno del giusto gioco
tra il metafisico filosofico e il forse dei rimpianti ,
dopo, irresistibilmente e meccanicamente, Dio
sarà all’angolo per complesse manovre di avvicinamento”.
Brano dalla raccolta Murales Castelnuovesi di Franco Leggeri
Joan Didion:“Volevo studiare gli oceani, ma scrivere è un modo diverso di andare sott’acqua”.
In principio fu il viso – il numero, invece, è il 325. Ammetto, a volte vale la regola rabdomantica. La usava anche Iosif Brodskij, per altro. L’opera di uno scrittore è incisa nel suo volto. E quel volto. Mio dio. Occhi tratti dal bosco e conficcati in una donna in vetro – sembra uno spago di ferro, tenuta in piedi con qualche laccio, pronta a esplodere. Joan Didion sembra una formula magica – o una maledizione, è uguale – sullo squarcio delle labbra. Mi pareva bellissima – anni Sessanta, la Corvette, il New Journalism, che abita con devota ferocia, l’incontro con John Gregory Dunne, giornalista di fama, sceneggiatore di film importanti come Panico a Needle Park (1971; con Al Pacino) e L’assoluzione (1981; con Robert De Niro e Robert Duvall). Continuai a guardare le fotografie – l’esordio nel 1963, sulla scia dei trent’anni, con Run, River, poi quel libro mirabile, Slouching Towards Bethlehem, diceva di fondere la concisione di Hemingway allo sguardo di Henry James, alla basilica narrativa di George Eliot. Ora l’hanno mutata in icona. Accade così, negli States – i sopravvissuti diventano idoli. L’anno scorso, al numero 325, la consacrazione. La Library of America comincia a pubblicare la sua opera, 980 pagine, da Run, River a The White Album sotto la sigla “The 1960s & 70s”. In Italia è sommamente pubblicata da il Saggiatore; tra poco assaggeremo il suo ennesimo libro, Political Fictions – come Finzioni politiche, in origine uscito nel 2001 – che raccoglie, dal 1988 al 2000, i testi di Joan sulle elezioni (in particolare: Bill Clinton impantanato nel caso Lewinsky, George Bush, e poi Bush figlio vs. Al Gore). Mi pare bellissima, qualcosa che viene a torturarti – bisogna sempre dubitare di ciò che appare fragile perché, è facile, ti ferirà con millenaria minuzia.
*
Lo dice lei, per altro, in Why I Write (1976): “Per molti versi scrivere è il gesto di dire Io, di imporsi agli altri, di dire, ascoltami, guarda ciò che vedo, cambia idea, seguimi. È un gesto aggressivo – perfino ostile. Puoi mascherare gli aggettivi, raffinare le congiunzioni, adottare ellissi, evasioni – e accennare più che pretendere, alludere più che affermare – ma mettere parole su carta resta la tattica del bullo segreto, un’invasione, l’imposizione della legge dello scrittore nello spazio più intimo del lettore”.
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Ma la violenza può voltarsi in pratica sadica. “Scrivo sola. Certo, commetto un atto aggressivo nei miei confronti, sono ostile a me stessa” (1978, alla “Paris Review”). Elusione ed eleganza: il moto del cobra, prima del tocco. Ostilità verso di sé: scrivere come estrarre spine. “La voce. Quella ti viene addosso. Non avevo mai sentito prima una voce narrativa simile. Equilibrio tra distanza e impegno, occhio acuto dell’osservatore, ma anche la percezione di guardare tutto dall’esterno. E poi, la congiunzione tra il materiale personale, confessato, e la storia comune. E poi, l’idea che la narrazione sia aperta, che si stia ancora svolgendo, una volta terminata la lettura. Ha aperto delle possibilità finora inaudite”, dichiara David L. Ulin, che cura l’opera di Joan Didion per la Library of America.
*
Estratta a se stessa, Joan Didion sembra incarnare la divinità della letteratura. L’efficacia della spada si misura da levigatezza e disciplina: addestramento che coincide con un destino. Non è mai facile scrivere, si scrive come si costruisce una sedia, di cui il lettore valuterà il censo. Qui si traduce una intervista a Joan Didion, a cura di Sheila Heti per “The Believer”, era il 2012. La scrittura è ciò che porti in superficie dopo un lungo inabissamento; le parole, in effetti, sono di legno. (d.b.)
***
Da bambina voleva fare l’attrice.
Vero.
D’altronde anche la scrittura è performance: interpreti un personaggio.
Non proprio. Costruisci uno spettacolo intero. Ma, è vero, la scrittura mi è sempre sembrata una sorta di performance.
Qual è la natura di questa performance?
A volte un attore interpreta un personaggio, a volte si esibisce e basta. Con la scrittura non reciti un personaggio. Lo crei. Lo doni al pubblico. Non interpreti nessuno, ostenti le tue idee. “Guardami, eccomi”: dici questo.
Ma questo “io” è stabile o instabile, che distanza c’è, intendo, tra il ruolo dello scrittore e…
…e la persona reale. Non lo so. La persona reale diventa il ruolo che hai scelto di darle.
Si esibisce per sé o per gli altri?
Per me. Ma anche, è ovvio, per chi sceglie di essere coinvolto. Voglio dire, il lettore è il pubblico.
Quanto del suo lavoro è stato creato in risposta o in collaborazione con il pubblico?
Molto. Ho creato uno spettacolo su L’anno del pensiero magico e sono rimasta sorpresa dal modo in cui il pubblico è diventato parte dello spettacolo. Penso che ciò accada anche quando si scrive.
Nel caso della scrittura è diverso, però.
Certo. Ma non riesco a immaginare di scrivere senza l’idea di un lettore. Non più di quanto un attore penserebbe di recitare in assenza di pubblico. Non esiste il vuoto, quando scrivi. Se non hai la percezione di un lettore, nuoti nel vuoto.
Quando ha iniziato a scrivere?
Da bambina. Avevo quattro o cinque anni, mia madre mi dà una grossa lavagna nera, perché mi lamentavo, mi annoiavo. “Scrivi qualcosa, poi me lo leggi”, mi disse. Avevo appena imparato a leggere. Fu un momento emozionante. Scrivere qualcosa per leggerlo!
Le piaceva leggere ciò che scriveva?
Negli anni, sì. Non sempre.
Non sempre…
Il mio primo romanzo. Non mi ha coinvolto perché, molto banalmente, non sono riuscita a fare ciò che avevo in mente. Volevo confinare la cronologia didascalica, volevo confondere i piani. Non avevo esperienza, ho seguito i suggerimenti del mio editor, e ho scritto un libro convenzionale. E questa non è una bella cosa.
Pubblicare non è facile: devi avere fiducia nel tuo pensiero, nel tuo sguardo sulla realtà.
Si impara lavorando, la fiducia. Devi essere certo di ciò che fai, anche se pare ridicolo. Il mio personale punto di fiducia credo di averlo conquistato con Prendila così. Il mio terzo libro. Mio marito mi diceva, ricordo, “Questo libro non ce la farà, non ce la farà, non ce la farà”. La pensavo come lui. Ma ce l’ho fatta. Da quel momento, ho avuto fiducia.
Perché pensavate di non farcela?
Perché era il mio terzo libro. Voglio dire: non credi immediatamente di farcela. Pensi di avere un talento stabile, che si farà ascoltare nel tempo. Se non comunichi subito con un pubblico non sai quando questo potrà accadere.
Qual è stato il primo segnale che la ha convinta di avercela fatta?
Non ricordo esattamente. Ricordo che all’improvviso si parlava del mio libro. La gente ne parlava. Era una cosa che non avevo mai sperimentato prima.
Il successo ha cambiato la sua relazione con quel libro?
Ero felice. Mi ha fatto sentire più in sintonia con quel libro. Ero molto triste mentre lo scrivevo perché era un libro difficile da scrivere per me, soltanto dopo ho realizzato quanto scriverlo mi abbia prostrato. Poi l’ho finito, e improvvisamente è come se un peso si fosse tolto dalla testa. Ero felice.
Forse è difficile trovare un libro ‘facile’ da scrivere.
Già. I libri ti portano sempre dove non vorresti andare.
Negli anni Settanta lei scrive un brillante articolo sui film di Woody Allen – tra cui “Io e Annie” e “Manhattan” – pubblicato dalla “New York Review of Books” dove la parola “relazioni” è sempre messa tra virgolette…
Non mi pareva abbastanza onesto il modo in cui Woody Allen ragionava di relazioni. Film dove gente parla delle proprie relazioni e questa è la sola cosa che capita. Per me non funzionava.
In “The White Album” lei scrive: “Sono entrata nella vita adulta dotata di un’etica essenzialmente romantica; credevo che la salvezza si trovasse negli oneri estremi, nelle vite segnate”. Riguardo a matrimonio e maternità…
Oneri estremi e vite segnate, appunto. Non parlo per esperienza vissuta, ma per ciò che ho visto. Matrimonio e maternità sono una specie di condanna – e una salvezza.
Salvezza da cosa?
Dalla solitudine, dalle estremità della solitudine.
Perché la relazione è intima o per il matrimonio in sé?
Il solo fatto di avere un’altra persona – di rispondere a un’altra persona. Per me è stato molto. Era una specie di romanzo, qualcosa che nel tempo si è rivelato grande.
Penso a “Blue Nights” e a “Verso Betlemme” e mi chiedo se si diventi davvero più frammentati, atomizzati quando si è lontani dalla propria famiglia, senza punti di riferimento.
È così. Poi, bisogna imparare a gestire le proprie rovine. Quei libri sono personali non tanto perché parlano della mia personalità o di ciò che mi è accaduto, ma perché narrano il mio smarrimento, l’incapacità di trovare un filo narrativo.
Scrivere qualcosa di frammentario anziché narrativo invoca un altro tipo di pensiero…
Un modo assolutamente diverso di pensare, sì. Di solito cerchi il tono narrativo, un orientamento. Per molti anni la ricerca della narrazione è stata il mio compito. Poi ho cambiato. Blue Nights nasce dall’idea che la narrativa non sia importante, che narrare non sia il punto fondamentale.
È questa una verità più profonda del narrare?
Così mi si è rivelata. Scrivere, per me, è sempre un modo per giungere a una comprensione che altrimenti resterebbe irraggiungibile. La scrittura ti costringe a pensare. Ti costringe a risolvere dei problemi. Niente viene a noi con facilità. Quindi, se vuoi capire cosa stai pensando devi in qualche modo elaborarlo. E per me scrivere è la sola forma di elaborazione che conosco.
Quando scrive, di solito?
Quando trovo il ritmo del libro.
Ci sono momenti in cui scrive e vorrebbe evitarlo?
Accade. Devono esserci dei momenti in cui scrivi anche se non vorresti.
Che natura ha questa evasione, questo evitare la scrittura?
Non pensare. Non penare pensando.
Se non fosse diventata una scrittrice…
Volevo diventare un oceanografo. Quando vivevo a New York e lavoravo per una rivista, la mia intenzione era diventare oceanografo. Non potevo. Mi sono informata presso la Scripps Institution of Oceanography. Mi hanno detto che mi mancavano dei corsi di scienze. Non avevo seguito quei corsi che mi avrebbero permesso di seguirne altri e di seguirne altri ancora. Quindi, ho abbandonato l’idea di diventare un oceanografo.
Le sarebbe piaciuto…
Scrivere è un modo diverso di andare sott’acqua.
Fonte-Pangea • Rivista avventuriera di cultura & idee è un progetto di Associazione Culturale Pangea- Direttore editoriale: Davide Brullo.
Ripropongo un articolo di Alba Sasso che , a mio avviso, è attualissimo.
Lentamente, la Resistenza va scomparendo. Un’azione di demolizione metodica, inesorabile, che negli ultimi anni ha raggiunto livelli mai immaginati prima, sta recidendo le radici che legano la nostra storia all’oggi e al domani, un progetto portato avanti nel tempo, che oggi mette sotto gli occhi di tutti i suoi risultati .La proposta della Gelmini tendente ad eliminare anche il nome della Resistenza- resta solo un più generico “percorso verso l’Italia repubblicana”- dai libri di testo è più che una provocazione, o una boutade. È il perfezionamento di un progetto di egemonia culturale portato avanti da un berlusconismo che, ben lungi dall’essere quella macchietta che troppo spesso abbiamo dipinto, si è rivelato una vera costruzione ideologica, portatrice di valori diversi ed alternativi rispetto a quelli in cui è cresciuta la Repubblica nel dopoguerra. La pochezza di personaggi come l’attuale ministro non deve trarci in inganno. La cancellazione della Resistenza è stata portata avanti nei fatti, prima ancora che nei libri di testo. L’assenza sistematica del premier da tutte le cerimonie non solo del 25 aprile, ma da qualunque cosa sapesse di Resistenza, è stata una goccia che ha scavato un solco, che rischia di diventare una voragine, distruggendo la memoria storica di un paese, la sua identità. Troppo spesso il berlusconismo è stato scambiato per folklore. Ne abbiamo sottovalutato le conseguenze.Oggi la Gelmini può permettersi gesti di questo tipo senza che vi sia ancora una reazione forte e generalizzata di protesta. Non si tratta di difendere le cerimonie rituali e spesso stanche, che pure sono un mezzo per la conservazione della memoria. Si tratta di lanciare una grande campagna culturale nel paese, riprendendo il tema della Resistenza come identità di una nazione. Oggi paghiamo le concessioni ideologiche, prima ancora che culturali, ad un indistinto buonismo che accomunava i morti di tutte le parti, i “ragazzi di Salò” ai partigiani. Un equivoco storico alimentato anche a sinistra, pensiamo ai recenti film di smaccato revisionismo, senza giustificazioni che non fossero un basso politicismo, che in nome di tattiche di corto respiro sacrificava principi ed ideali. Rilanciare i valori della Resistenza vuol dire oggi riprendere una lunga marcia nel cuore delle giovani generazioni, in primo luogo per far conoscere loro quelle radici.È questo il primo dato drammatico: i ragazzi, oggi, nella loro grande maggioranza, rischiano di vivere sempre più in un presente vuoto di storia e di futuro.E la diffusione dei disvalori berlusconiani ha seminato il diserbante delle ideologie, sollecitato il rifugio negli egoismi rassicuranti delle identità minime, il locale e le appartenenze di gruppo.La battaglia cui dobbiamo impegnarci non è solo quella dei libri di testo, da cui la Resistenza non può e non deve essere espulsa, come in una sorta di “damnatio memoriae”. È una battaglia culturale che non si può esaurire nel breve periodo. C’è bisogno di far vivere i valori di quella stagione, in un paese che non cessa di mandare segnali in questo senso.La voglia di pulizia e di cambiamento, la sete di moralità e di giustizia, sempre liquidate con la sprezzante definizione di giustizialismo, sono la testimonianza che quei valori esistono ancora, quelle radici non sono state recise. Dovremo innaffiarle e curarle con l’amore per la storia, per la cultura, per il bello. Con il rilancio della Resistenza come epopea di un popolo alla ricerca di libertà e giustizia, riproponendo perfino i modelli di vita di quella generazione, i padri della patria con la loro sobrietà del vivere la politica, con lo spirito di servizio che caratterizzava il loro impegno, con l’inflessibilità sui grandi principi. La grandezza della Resistenza non può essere messa in discussione dalla pochezza di questi figuri. Ma a noi tocca l’impegno di impedire che ci provino comunque.
Castelnuovo, Scrivere e dipingere ,con i colori della rabbia , la Storia e l’Orgoglio di noi veri Castelnuovesi.
Articolo di Franco Leggeri, castelnuovese
Castelnuovo di Farfa- 18 settembre 2021–Manovrare le parole come su di una scacchiera. Giocare con l’ironia che mi permette ora la mia età. Alla mia età ti accorgi che tante certezze sono crollate. Io , lo confesso, sono un sopravvissuto dell’Utopia Consumata. Posso giocare , appunto, con l’ironia delle parole. Provo, sì ci provo, a mescolare : ironia, ricordi, fantasia, però facendo attenzione di non cadere nella trappola dei miei avversari politici, questi si, ahimè, che sono tantissimi. Mi trovo a Castelnuovo in mezzo ad una “lotta” impari, ma non impossibile, e ,quindi, non mi rimane che essere un guerrigliero della penna e mutuo la strategia dei vietcong e la trasporto nelle Gole del Farfa che per me sono come il delta del fiume Mekong.
Certo le mie “armi di bambù “sono solo la penna e un foglio bianco. Posso escogitare incursioni con attacchi di parole in forma di poesia e dipingere con la luce ciò che nessuno mi può portare via o proibire. Utilizzo le mie forze mettendole nel moltiplicatore del sistema binario. Muovo i miei attacchi in un campo di battaglia sulla scacchiera dei ricordi e delle cose “storiche” e quindi incancellabili è questa una possibilità di una manovra per avere solo perdite contenute e riparabili.
Questa guerriglia è in essere perché, a mio avviso, l’Orgoglio Castelnuovese soffre di siccità e di affetto nel terreno del “realismo dei ricordi”. Il revisionismo, servo del potere, sta “edificando un muro” un nuovo anno zero della Storia di Castelnuovo.
Nel 2021 Castelnuovo non ha più indigeni e il nostro Camposanto non ha più voce e rappresentanti che scrivano la Storia da consegnare al futuro. Il quadro, l’arazzo Castelnuovo perde ogni giorno fili e sta rimanendo un vessillo incompleto, noi Castelnuovesi stiamo perdendo la nostra identità di appartenenza, siamo rifugiati e clandestini che cercano nel ricordo una traccia per essere ancora degni di chiamarci Castelnuovesi.
Castelnuovo è ancora un Borgo che esiste, noi “superstiti” possiamo solo opporci, resistere, con i ricordi , scrivendo la nostra vera storia come trincea di confine .Noi veri castelnuovesi, quelli dell’Orgoglio Castelnuovese, siamo reclusi all’interno di una linea d’ombra, linea livida che ci soffoca nello “steccato” in cui ci hanno relegato e dove cercano di farci perdere la MEMORIA. Proseguire e rigenerare con nuove idee la “guerriglia” scritta contro le ombre che cercano di cancellare anche la nostra data di nascita .Essere oggi un vero castelnuovese sta per diventare sinonimo di folclore e oggetto e soggetto dei peggiori programmi televisivi. A Castelnuovo stiamo assistendo alla distruzione , un classico delle dittature, ai “falò dei libri della Memoria”. Resistere, insistere e raccontare il VERO CASTELNUOVO, quello che ha impastato la calce con il sangue e ha costruito il NOSTRO ORGOGLIO. Dobbiamo, ancora una volta, iniziare dalla “linea livida”; ricostruire una memoria e celebrare, in maniera liturgica ,con le tavole cronologiche la storia castelnuovese.
Siamo molti o pochi ad essere classificati come castelnuovesi “inquieti”, oppure aggettivati come “vagabondi”.Inquieti e vagabondi sono aggettivi che molti castelnuovesi hanno nella loro biografia. Una biografia che forse è meglio iniziare con “dinamica” per Donne e Uomini castelnuovesi ,“contumaci”, che hanno scritto pagine impressionanti, ciclopiche, per chi ha vissuto nell’epoca in cui Roma era a giorni di viaggio da Castelnuovo. La Biografia di molti castelnuovesi non si può non dare , colorare, una spruzzata di umorismo.Quando parlo, rigorosamente in dialetto, con un castelnuovese di quelli veri, il discorso inizia con il classico:” Te recordi de….” poi ci guardiamo le cicatrici e ce le raccontiamo perché non tutti sono stati fortunati. Vi sono castelnuovesi (uomini e donne) che hanno vissuto una vita da “sottopagati” nella Roma palazzinara e di Borgata come è stata scritta da Pasolini, una Mamma Roma amara .Tornare a Castelnuovo in cerca delle Origini e scopri che il tuo paese ora, forse, non ti accetta più e che i nuovi parolai ti stanno riscrivendo la Storia in cui tu non ci sei, non hai più il “nome all’anagrafe”. Ho l’ossessione identitaria; cerco con la poesia di percorrere un labirinto, Dedalo, spinoso delle Origini; cerco le radici per conservarle , cerco parole senza vincoli per scrive, descrivere emozioni in forma cronologica così per far nascere un racconto fantastico e libero. Certe volte rimescolo i ricordi, li spolvero, per paura di perderne la traccia . Di queste tracce di memoria noi , tutti castelnuovesi, siamo depositari e libri intonsi in questa enorme biblioteca Castelnuovo. Combattiamo contro revisionisti (draghi e serpenti delle peggiori leggende medievali) che cercano un nuovo ANNO ZERO, ma non lo trovano, al fine di oscurare il nostro ORGOGLIO CASTELNUOVESE.
Io non sono e non siamo , noi veri castelnuovesi, schegge impazzite e visionarie. La nostra Storia e le nostre radici affondano nelle vie di Castelnuovo, luogo concreto. Siamo Storia e sangue castelnuovese il nostro albero genealogico sono le epigrafi e lapidi che si leggono, tutti possono leggere, nel nostro Cimitero e nel Monumento ai Nostri Eroi Caduti nelle due guerre mondiali.
Scrivere, io ci provo, con amore perché la scrittura, forse, racconta e disegna un Castelnuovo futuro.
Castelnuovo e i colori della rabbia,
Noi che abbiamo la parola interdetta
aspettiamo le stelle del cielo
per vedere ,da questo ponte della Storia,
l’ultima acqua silenziosa del nostro passato.
In questo spazio infinito dei ricordi
possiamo solo gettare i nostri sassi della rabbia.
Noi non abbiamo voce
perché oscurati e dimenticati
e il nostro respiro è nascosto al sole.
Ora l’ombra del silenzio scivola
e trascina a valle la voce dell’oblio.
A noi Castelnuovesi non resta che imparare
la trama dei racconti
nasconderli nel libro dell’anima
e custodirli nei cassetti della memoria.
Scriveremo e racconteremo
lo “schiaffo della resa”
che le sirene del potere ,
beffandosi del nostro dolore
e il non essere capaci di rifiutare le “monetine“ dell’umiliazione,
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