Non era visibile da oltre 40 anni, nascosto da uno strato di terra che ne impediva la fruizione. Ora, dopo un restauro iniziato alla fine del 2015 e durato tra i sei e i sette mesi, torna al suo antico splendore il mosaico policromo della palestra occidentale delle Terme di Caracalla. Un intervento, realizzato dalla soprintendenza speciale per il Colosseo e l’Area Archeologica Centrale di Roma, reso possibile da una donazione di Bulgari che ha finanziato il recupero dell’opera investendovi 50mila euro. Un primo passo che, però, non resterà il solo.
L’amministratore delegato di Bulgari, Jean-Christophe Babin, infatti, ha annunciato che sarà finanziato il restauro anche dell’altra parte del mosaico. “L’arte e il bello a Roma – ha spiegato Babin nel corso della presentazione alla stampa del restauro – sono sempre stati al centro dell’attenzione di Bulgari”. L’intervento sulla prima porzione del mosaico, “non è il solo contributo di Bulgari. Oggi vediamo una prima parte del restauro, ma finanzieremo anche la seconda parte del restauro di questi mosaici”.
Per Bulgari, ha sottolineato Babin, si tratta di “una missione”, ovvero “rendere alla Città Eterna un po’ di ciò che la Città Eterna ha dato ai nostri creativi e ai nostri artigiani”. Un’arte, quella di Bulgari, “molto ispirata ai 2.700 anni di arte e cultura romana”. In particolare, ha spiegato l’Amministratore Delegato di Bulgari, “questi mosaici hanno dato l’idea per la collezione di gioielli ‘Divas’ Dream’, un successo mondiale”. Una linea che “non è altro che specchio di questi mosaici colorati a sagoma di ventaglio”.
Il restauro del mosaico di circa 25 metri quadri, che nella sua interezza supera gli 80 metri quadri, curato da Marina Piranomonte e Anna Borzomati, si è articolato in diverse fasi: dopo una pulitura preliminare, si è preceduto al consolidamento del piano del mosaico e ad altri interventi finalizzati a evitare cedimenti. Ciò ha permesso il recupero di numerose tessere interrate. La pulitura definitiva è stata completata dalla stesura di un velo protettivo.
“Il mosaico – ha spiegato Borzomati – era interrato, sono state realizzate diverse fasi di pulitura per rimuovere la terra. La presenza di vecchie stuccature di cemento, presenti nell’intervento precedente degli anni ’40, aveva creato dei difetti di degrado, soprattutto nella parte superiore, dove ci si è concentrati con una pulitura più specifica. Le mancanze sono state integrate con le tessere originarie, recuperate con la setacciatura della terra”.
I lavori di recupero, ha spiegato Francesco Prosperetti, soprintendente speciale per il Colosseo e l’Area archeologica Centrale di Roma, permettono di tornare su un tema, cioè “la collaborazione con Bulgari, che già era intervenuta in passato alle Terme di Caracalla, ma che in questa occasione vediamo in una luce nuova, quella dell’applicazione dell’Art Bonus. Un meccanismo che incentiva in maniera finalmente efficace il rapporto tra le aziende, i privati, e la pubblica amministrazione”.
“Fino a qualche anno fa – ha detto Prosperetti – il restauro delle opere d’arte era una prerogativa assoluta del pubblico. Investire nella bellezza non è solo un dovere della nostra amministrazione, ma si sta rivelando un elemento importante per le aziende private che, come Bulgari, sulla bellezza lavorano da più di un secolo”.
La direttrice delle Terme di Caracalla, Marina Piranomonte ha infine ricordato che “i marmi che venivano usati per i mosaici arrivavano dai quattro angoli dell’Impero. Dobbiamo guardare questi mosaici come un capolavoro frutto dell’opera dell’uomo e di una grande capacità costruttiva”.
Il servizio postale nel Medioevo iniziò come un affare di stato. Risorse, piano piano, dai fasti dell’antica Roma. Dove le cose si facevano in grande e anche la posta funzionava.
L’imperatore Augusto istituì uno dei più imponenti sistemi di comunicazione dell’Antichità. Il “Cursus publicus”, cioè la posta statale, aveva i “cursores”, corrieri che portavano una piuma sul copricapo come simbolo di velocità. Viaggiavano su carri e sostavano in apposite stazioni per il cambio dei cavalli chiamate “statio posita”, ossia “luoghi fissi”, da cui le moderne stazioni di posta. La loro forza era la capillarità della rete stradale. I dati desunti dalla Tavola Peutingeriana, una copia del XII-XIII secolo di una antica carta romana che mostra le vie militari dell’Impero, totalizzano ben 200.000 chilometri di strade.
Roma docet, ma l’uomo è un animale sociale. E la storia della posta nasce, di fatto, insieme alla sua voglia di comunicare. Notizie di scambi di messaggi arrivano dall’antico Egitto, dove il sistema di corrispondenza scritta era ben strutturato e sfruttato anche per il commercio, dalla Cina, ma anche da aztechi, incas, assiri e dalla dinastia indiana dei Maurya.
Nel VI secolo a.C., Ciro Il Grande portò la Persia nel progresso della comunicazione con un efficiente servizio di posta che copriva distanze anche di 150 chilometri al giorno. Erodoto cantava le lodi di questo sistema, quando nelle sue Storie scrisse un commento ora impresso sul Farley Post Office Building di New York: «E non c’è neve, né pioggia, né caldo, né notte, che impediscano mai a un corriere di percorrere, il più velocemente possibile, quel tratto di strada che gli è assegnato».
I greci dedicarono sublimi poemi alle gesta eroiche dei loro corridori, gli emerodromi, a cui veniva spesso affidata la consegna dei messaggi più importanti. Filonide, corriere e ispettore di Alessandro Magno, una volta andò di corsa da Sicione a Elis e coprì 240 chilometri in un giorno solo. E la corrispondenza non era solo di tipo militare. Le famiglie più ricche possedevano scuderie di corridori e all’apice della loro civiltà produssero un ingente volume di corrispondenza sui più svariati, anche frivoli, argomenti.
La Grecia però fu un’eccezione. Il servizio postale dell’Antichità era di norma uno strumento bellico: serviva a controllare il nemico, sistematicamente spiato dai corrieri che poi riferivano le informazioni ottenute.
Il califfo Abu Ja’far al-Mansur, che nell’VIII secolo regnò sull’impero arabo, espresse molto chiaramente l’importanza militare della posta: «Il mio trono poggia su quattro colonne e il mio governo su quattro uomini: un irreprensibile cadi (giudice), un energico capo della polizia, un onesto ministro delle finanze e un fedele direttore della posta, che mi fornisce informazioni vere su tutto». Nell’860, il califfato islamico vantava 930 stazioni di posta. Gli arabi furono anche i primi a introdurre l’uso dei piccioni per la corrispondenza.
Ma in Europa, dopo la decadenza dell’Impero romano la frammentazione politica mandò all’aria parecchie di quelle che noi oggi chiamiamo infrastrutture, tra le quali il servizio postale. E del ben oliato sistema statale di Augusto non restò neanche il ricordo.
Lettere e missive però si scambiavano ugualmente. Carlo Magno (742-814) ad esempio, aveva una fitta rete di corrieri per comunicare con gli ufficiali di tutti i suoi territori, staffette che viaggiavano a piedi e poi a cavallo.
Tutti i governanti del Medioevo si dotarono di messaggeri che in un modo o nell’altro consegnavano informazioni. Gli imperatori, i re e gli eserciti predatori mantennero sistemi di corrispondenza privati e per il resto, in mancanza di una organizzazione centralizzata, ognuno fece per conto suo.
Soltanto la Chiesa cattolica arrivò a possedere una organizzazione paragonabile al servizio impostato nell’antica Roma.
La fitta rete di monasteri che si era costituita con l’impulso di San Benedetto da Norcia (480-547), in origine popolata semplicemente da comunità di religiosi laici, dal IX secolo in poi cominciò a essere strutturata e ad adottare una serie di liturgie ufficiali e un modus vivendi comune. I benedettini svilupparono un vero e proprio servizio di posta.
Anche i monaci degli altri ordini religiosi si tenevano in contatto fra loro grazie ai conversi che si recavano da un monastero all’altro. I loro viaggi potevano durare anche parecchi mesi.
Portavano dei rotoli di pergamena chiamati “rotulae”, una prima rudimentale versione delle mailing list. Uno di questi rotoli poteva partire da un monastero centrale e contenere, per esempio, una semplice lista di confratelli o benefattori morti di cui era opportuno ricordare il nome. In ciascuno dei monasteri in cui faceva tappa veniva aggiunto un supplemento, con un messaggio di avvenuta ricezione da parte dell’abate locale e forse qualche commento o altre notizie. Queste appendici venivano cucite sul fondo dell’originale con «sottili strisce di pergamena avvoltolata, così che il rotolo rimaneva un foglio singolo sempre più lungo», come spiega l’autore finlandese Laurin Zilliacus (From pillar to post, the troubled history of the mail, Heinemann, Londra, 1956).
Una rotula del 1122 misura 8 metri e mezzo di lunghezza e 25 centimetri di larghezza, ed è fittamente scritta su entrambi i lati: contiene una notizia, la morte dell’abate di San Vitale, a cui fanno seguito 206 interventi che gli rendono omaggio, alcuni sotto forma di preghiera, altri di poesia. E la rotula del 1133 che annuncia la morte della figlia di Guglielmo il Conquistatore, la badessa Matilde del convento della Trinità a Caen, passò per 252 monasteri e alla fine del suo percorso misurava circa 20 metri.
Per tutti i lunghi secoli del Medioevo, inoltre, lettere apostoliche e pastorali «divulgavano delibere dottrinali, decisioni dei sinodi episcopali, questioni politiche inerenti il potere temporale», come ha scritto Charles Bazerman, della Università della California.
Altri sistemi postali si svilupparono naturalmente all’interno delle corporazioni dei mestieri e nelle imprese di commercio. Nelle Tavole amalfitane (Capitula et ordinationes Curiae Maritimae nobilis civitatis Amalphe) dell’XI secolo, il più antico statuto marittimo italiano, uno degli articoli parla della paga da corrispondere allo scriba, che riceverà sette grana per ogni giorno in cui sia rimasto a terra per gli interessi della società. Pagato tre soldi in meno del capitano, ma due in più del marinaio, lo scriba doveva essere una figura essenziale all’interno della nave. Che, oltre a far di conto, scriveva e leggeva messaggi per chi da solo non sarebbe stato in grado di farlo.
Nel frattempo, anche i sistemi postali di imperi e reami cominciarono ad aprirsi al pubblico.
In Francia, la prima rete organizzata di postini a cavallo fu quella dei Cavalieri di San Luigi istituita da Luigi IX (1214-1270), che diventò sovrano a dodici anni e che, sebbene sia passato alla storia come Luigi il Santo per il fervore del suo spirito religioso (e per la mania di collezionare reliquie), nei vent’anni in cui regnò fu anche un grande amministratore, promotore di riforme sociali e pubbliche che regolarono e migliorarono la vita dei suoi sudditi.
Un altro importante sistema di scambio di notizie nacque insieme alle università. La prima fu quella di Bologna nel 1088 e dal XII secolo la presenza di atenei in tutta Europa segnò un grande proliferare di servizi postali. Ogni università aveva il suo, che su pagamento trasportava anche lettere di privati e piccoli pacchi.
Una volta stabilito il valore economico dei servizi postali, università, commercianti e sovrani resteranno in concorrenza per molto tempo sul fronte della comunicazione.
Ma per parecchi secoli, solo una famiglia riuscirà a gestire un servizio di corrispondenza privato attivo in gran parte d’Europa: l’impresa familiare dei Tasso. Venivano da Cornello, un borgo medioevale dell’Alta Val Brembana che adesso è conosciuto come Cornello dei Tasso, anche perché il Torquato della “Gerusalemme liberata” fu un illustre membro della famiglia dei grandi imprenditori postali. Il loro impero, nato alla fine del XV secolo grazie a una importante collaborazione con la Repubblica di Venezia, gestì e allacciò legami d’affari con i servizi postali dello Stato Pontificio, dello Stato di Milano e di molte contrade europee. Nei primi del Cinquecento il centro nevralgico della rete era a Bruxelles e raggiungeva per corriere Roma, Napoli, la Spagna, la Germania e la Francia. A tutti gli effetti, l’impresa familiare dei Tasso fu una delle prime multinazionali europee e restò attiva fino al XVIII secolo. Ma questa è un’altra storia. Prof.ssa Giulia Cardini
“ERBE SPONTANEE COMMESTIBILI DELLA ZONA DI CASTEL DI GUIDO”
Castel di Guido-17 giugno 2016-Incontri organizzati presso la Sala parrocchiale. Si tratterà di vari incontri- confronto tra l’ esperienze dei partecipanti e quelle dell’ esperto ROMANO TERSIGNI di Castel di Guido.
CHI E’ ROMANO TERSIGNI?
Il Sig.Romano Tersigni è un autodidatta che da sempre si interessa del riconoscimento e dell’uso delle erbe della Campagna Romana sia per uso officinale che uso alimentare.
Il Sig. Romano Tersigni fa parte dell’ACCADEMIA FILOSOFICA OLISTICA .
Informazioni sul Corso :ERBE SPONTANEE DELLA CAMPAGNA ROMANA
Dove? Sala parrocchiale -Teoria-
Quando? Venerdì 10 giugno -Venerdì 17 giugno 2016
A che ora? Alle ore 19:00-
Lezione pratica (data da stabilire) raccolta e trattamento delle erbe.
ONORE A MUHAMMAD ALI, CAMPIONE NELLO SPORT COME NELLA VITA
Muhammad Ali, nato Cassius Marcellus Clay Jr. (Louisville, 17 gennaio 1942 – Phoenix, 3 giugno 2016), è stato un pugile statunitense, tra i maggiori e più apprezzati sportivi della storia, sia per le sue gesta sportive, sia per il suo statuto etico-umano, manifestatosi anche nella sua polemica contro il razzismo statunintese. In quegli anni fu spesso a fianco di Malcolm X, di cui condivideva le istanze del black power, seppur declinato in un’ottica religiosa. Ha vinto l’oro Olimpico ai Giochi di Roma nel 1960, come pugile professionista ha detenuto il titolo mondiale dei pesi massimi dal 1964 al 1967, dal 1974 al 1978 e per un’ultima breve parentesi ancora nel 1978. Mai una banalità, ma un continuo bersagliare il perbenismo di una certa America, conservatrice ed incapace di accettare che il campione del mondo dei pesi massimi rifiutasse di onorare la patria nella follia del Vietnam. Il 29 aprile 1967 Muhammad Ali – Cassius Clay viene infatti privato del titolo di campione del mondo di pugilato a causa del suo rifiuto di prestare il servizio militare per dichiarata contrarietà alla guerra in Vietnam, così giustificato: “Non ho niente contro i Vietcong, loro non mi hanno mai chiamato negro.”
Non una frase ad effetto, ma una coraggiosa scelta di coscienza che gli costò il ritiro della licenza e il ritiro obbligato dalle scene sportive per diversi anni, quelli in cui era al top del vigore fisico. Muhammad Ali è diventato un simbolo del ‘900, per il mondo e soprattutto per i milioni di africani figli di un’oppressione coloniale secolare, che lo accolsero come un eroe nel titanico incontro di Kinshasa nello Zaire contro il più blasonato e prediletto dai bianchi George Foremam. Ricordiamo altre sue frasi che testimoniano una personalità unica:
“Muhammad significa degno di lode, e Ali significa altissimo. Clay significa creta, polvere. Quando ho riflettuto su questo, ho capito tutto. Ci insegnano ad amare il bianco [white] ed odiare il nero [black]. Il colore nero significa essere tagliato fuori, ostracizzato. Il nero era male. Pensiamo a blackmail [ricatto]. Hanno fatto l’angel cake [pane degli angeli]bianco e il devil’s food cake [torta del diavolo] color cioccolato. Il brutto anatroccolo è nero. E poi c’è la magia nera… Quel che voglio dire è che nero è bello. Nel commercio il nero è meglio del rosso. Pensate al succo di mora: più nera è la mora, più dolce il succo. La terra grassa, fertile, è nera. Il nero non è male. I più grandi giocatori di baseball sono neri. I più grandi giocatori di football americano sono neri. I più grandi pugili sono neri.”
“Impossibile è solo una parola pronunciata da piccoli uomini che trovano più facile vivere nel mondo che gli è stato dato, piuttosto che cercare di cambiarlo. Impossibile non è un dato di fatto, è un’opinione. Impossibile non è una regola, è una sfida. Impossibile non è uguale per tutti. Impossibile non è per sempre.”
“Perché dovrebbero chiedermi di indossare un’uniforme e andare 10.000 miglia lontano da casa a far cadere bombe e proiettili sulla gente marrone del Vietnam, mentre i cosiddetti negri, a Louisville, sono trattati come cani e gli sono negati i semplici diritti umani? No, non andrò 10.000 miglia lontano da casa a dare una mano a uccidere e distruggere un’altra nazione povera, semplicemente perché continui il dominio degli schiavisti bianchi sulla gente scura di tutto il mondo. Questo è il giorno in cui diavoli di tal fatta devono sparire. Sono stato avvertito: prendere questa posizione mi potrebbe costare milioni di dollari. Ma l’ho detto una volta e lo ripeterò: il vero nemico del mio popolo è qui. Non andrò contro la mia religione, contro il mio popolo o me stesso diventando uno strumento per schiavizzare chi sta lottando per avere giustizia, libertà ed eguaglianza. Se pensassi che la guerra porterà libertà ed eguaglianza a ventidue milioni di miei simili non avrebbero dovuto arruolarmi: lo avrei fatto io, domani. Non perdo nulla restando fermo sulle mie posizioni. Andrò in prigione: e allora? Siamo stati in catene per quattrocento anni.”
“Dentro un ring o fuori, non c’è niente di male a cadere. È sbagliato rimanere a terra.”
“Chi non è abbastanza coraggioso da assumersi le proprie responsabilità non compirà niente nella vita.”
“L’uomo che non ha fantasia non ha ali per volare.”
“I campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione. Devono avere l’abilità e la volontà. Ma la volontà deve essere più forte dell’abilità.”
Roma-Municipio XIII-Quartiere CASALOTTI-Nel Castello della Porcareccia vi è una epigrafe che ricorda PAPA GIOVANNI XXIII, il Papa Buono. Papa Giovanni XXIII nel 1909, giusto un secolo fa, in questa Chiesetta di Santa Maria ,sita all’interno del Castello la cui costruzione risale al 1693,celebrava la Messa il giovane prete Don Angelo Roncalli, il futuro Papa Buono. Papa Giovanni XXIII veniva in questi luoghi della Campagna Romana per goderne le bellezze naturali e gustare ”la buona ricotta” che Gli veniva offerta. Il Vescovo di Porto e Santa Rufina , S.E. Monsignor Gino Reali ,volle ricordare, nel 2004, queste “Gite fuori porta” del Papa Buono scoprendo una epigrafe in marmo che è allegata a questo piccola nota.
Ogni giorno diventiamo sempre più poveri perché non osserviamo più la natura che è l’opera grandiosa di Dio
Un padre ricco, volendo che suo figlio sapesse che significa essere povero, gli fece passare una giornata con una famiglia di contadini.
Il bambino passò 3 giorni e 3 notti nei campi.
Di ritorno in città, ancora in macchina, il padre gli chiese:
– Che mi dici della tua esperienza?
– Bene – rispose il bambino….
Hai appreso qualcosa ? Insistette il padre.
1 – Che abbiamo un cane e loro ne hanno quattro.
2 – Che abbiamo una piscina con acqua trattata, che arriva in fondo al giardino. Loro hanno un fiume, con acqua cristallina, pesci e altre belle cose.
3- Che abbiamo la luce elettrica nel nostro giardino ma loro hanno le stelle e la luna per illuminarli.
4 – Che il nostro giardino arriva fino al muro. Il loro, fino all’orizzonte.
5 – Che noi compriamo il nostro cibo; loro lo coltivano, lo raccolgono e lo cucinano.
6 – Che noi ascoltiamo CD… Loro ascoltano una sinfonia continua di pappagalli, grilli e altri animali…
…tutto ciò, qualche volta accompagnato dal canto di un vicino che lavora la terra.
7 – Che noi utilizziamo il microonde. Ciò che cucinano loro, ha il sapore del
fuoco LENTO
8 – Che noi per proteggerci viviamo circondati da recinti con allarme… Loro vivono con le porte aperte, protetti dall’amicizia dei loro vicini.
9 – Che noi viviamo collegati al cellulare, al COMPUTER, alla televisione. Loro sono collegati alla vita, al cielo, al sole, all’acqua, ai campi, agli animali, alle loro ombre e alle loro famiglie.
Il padre rimane molto impressionato dai sentimenti del figlio. Alla fine il figlio conclude
– Grazie per avermi insegnato quanto siamo poveri!
Ogni giorno, diventiamo sempre più poveri perché non osserviamo più la natura, che è l’opera grandiosa di Dio.
A 92 anni è morto l’attore e regista Giorgio Albertazzi. Nato a Fiesole nel 1923, aveva debuttato sul palcoscenico nel 1949 in Troilo e Cressida di Shakespeare, con la regia di Luchino Visconti. Ha recitato per più di mezzo secolo. È stato anche protagonista di una trentina di film e di molti spettacoli in tv.
Faustina Minore Imperatrice, sposa di Marco Aurelio, visse a Lorium
Faustina Minore (lat. Anna Galeria Faustina, talvolta detta iunior). Figlia (n. 130 circa – m. 176 d. C.) di Antonino Pio e Faustina Maggiore ; il padre la dette in sposa (145) a Marco Aurelio, suo cugino, e le conferì (146?) il titolo di Augusta. È lodata per il suo sollecito amore verso i numerosi figli (almeno 13) e verso il marito, che accompagnò anche in guerra: fu la prima delle imperatrici romane ad essere insignita del titolo di mater castrorum. Morì a Halala (per questo successivamente chiamata Faustinopoli) in Cappadocia, dove aveva seguito il marito là recatosi per reprimere la ribellione di Avidio Cassio. Fu divinizzata, e in suo onore furono istituite sacerdotesse e furono create le nuove puellae Faustinianae che rinnovarono l’istituzione benefica sorta in memoria della madre. Le fonti antiche, in contrasto coi Ricordi di Marco Aurelio, accusarono calunniosamente F. di dissolutezza. Il suo ritratto ci è noto da molte monete, e da una serie di teste marmoree, nelle quali prevale un’acconciatura con capelli bipartiti in molli ondulazioni discendenti, con bassa crocchia di trecce.
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