-Articolo di Cinzia Dal Maso-Foto di Franco Leggeri-Associazione Cornelia Antiqua
ROMA- GIANICOLO-MONUMENTO A CICERUACCHIO
ROMA- GIANICOLO-“La memoria di lui vivrà eterna quanto il tempo. Roma, l’Italia, lo venereranno quale Martire; e siamo certi che quando sul Campidoglio sventolerà il tricolore vessillo e saranno infugati dal Vaticano i tristi corvi, Roma, decretando onore di epigrafi e di monumenti ai suoi Martiri, inciderà i nomi loro sulla pietra, e in cima a que’ nomi sarà quello di Angelo Brunetti detto Ciceruacchio”. Così Felice Venosta, nel 1863, concludeva il suo libro dedicato all’eroe trasteverino, fucilato insieme con i suoi figli a Ca’ Tiepolo, la notte tra il 10 e l’11 agosto 1849, durante la lunga marcia di Garibaldi in direzione di Venezia, dopo la caduta della Repubblica Romana.
Bisognò aspettare il centenario della nascita di Garibaldi, il 1892, perché un comitato popolare, di cui era presidente Salvatore Barzilai e di cui facevano parte Luigi Cesana, direttore de “Il Messaggero”, e lo scultore Ferrari, inoltrasse la richiesta di un monumento all’eroe. Fu aperta una sottoscrizione e distribuito un foglio nel quale era scritto che il monumento avrebbe dovuto “glorificare l’anima popolare, espressa dall’eroismo di Ciceruacchio, il quale, dopo aver diffuso le idee liberali in mezzo al popolo romano, cadde vittima della doppiezza politica di Pio IX”.
L’esecuzione dell’opera in bronzo fu affidata allo scultore siciliano Ettore Ximenes, che ne aveva già presentato il progetto con notevole successo all’esposizione di Torino del 1880. La solenne inaugurazione del monumento, collocato sul lungotevere Arnaldo da Brescia, presso il ponte Margherita, avvenne il pomeriggio del 3 novembre 1907. Appena cadde il telo che copriva il gruppo scultoreo, la folla rimase con il fiato sospeso a contemplare la figura imponente e fiera di Angelo Brunetti, che, guardando in faccia il nemico, si scopriva il petto, indicando di mirare al cuore. Ai suoi piedi il figlio Lorenzo, in ginocchio e bendato, con la bocca spalancata in un grido. Dal monumento fu escluso l’altro figlio, Luigi, con un atto giudicato da Aldo Lombardi “antistorico ed inumano”. Ma Luigi Brunetti era un personaggio scomodo: su di lui gravava il sospetto di essere stato l’esecutore materiale dell’assassinio di Pellegrino Rossi, ministro dell’Interno del governo pontificio, accoltellato il 15 novembre del 1848 nel palazzo della Cancelleria.
Nel 1959, in occasione dell’apertura del sottovia del lungotevere Arnaldo da Brescia, il monumento fu spostato di non molto, sul lungotevere in Augusta, dove però i rami di due platani ne ostacolavano la visibilità e il passaggio continuo delle macchine ne compromettevano la conservazione. Ora sembra aver trovato una sede degna e definitiva. La scorsa settimana, in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, è stato trasferito nel parco del Gianicolo, luogo simbolo del Risorgimento romano, poco prima del cancello che dà su Porta San Pancrazio.
Articolo di Cinzia Dal Maso-Foto di Franco Leggeri.
ROMA- GIANICOLO-MONUMENTO A CICERUACCHIOROMA- GIANICOLO-MONUMENTO A CICERUACCHIOAssociazione CORNELIA ANTIQUA– Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali.Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo !Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com– Cell-3930705272–ROMA- GIANICOLO-MONUMENTO A CICERUACCHIOROMA- GIANICOLO-MONUMENTO A CICERUACCHIOROMA- GIANICOLO-MONUMENTO A CICERUACCHIOROMA- GIANICOLO-MONUMENTO A CICERUACCHIOROMA- GIANICOLO-MONUMENTO A CICERUACCHIOROMA- GIANICOLO-MONUMENTO A CICERUACCHIOROMA- GIANICOLO-MONUMENTO A CICERUACCHIOROMA- GIANICOLO-MONUMENTO A CICERUACCHIOROMA- GIANICOLO-MONUMENTO A CICERUACCHIOAssociazione CORNELIA ANTIQUA-Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali.Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo !Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com– Cell-3930705272–ROMA- GIANICOLO-MONUMENTO A CICERUACCHIO
Nella sala espositiva della 𝗕𝗶𝗯𝗹𝗶𝗼𝘁𝗲𝗰𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗔𝗯𝗯𝗮𝘇𝗶𝗮 𝗱𝗶 𝗙𝗮𝗿𝗳𝗮 troviamo una copia dell’editio princeps del 𝗗𝗲 𝗖𝗶𝘃𝗶𝘁𝗮𝘁𝗲 𝗗𝗲𝗶 di Sant’Agostino (scritta tra il 413 e il 426) realizzata a Subiaco nel 1467 dai monaci e prototipografi tedeschi 𝗖𝗼𝗻𝗿𝗮𝗱 𝗦𝘄𝗲𝘆𝗻𝗵𝗲𝘆𝗺 e 𝗔𝗿𝗻𝗼𝗹𝗱 𝗣𝗮𝗻𝗻𝗮𝗿𝘁𝘇 che portarono per la prima volta in Italia la stampa a caratteri mobili.
Tra le peculiarità dell’opera:
Volume di grande formato caratterizzato dalla novità del carattere tipografico e l’ariosa impaginazione su due colonne.
Il carattere venne definito sublacense perché i due monaci per realizzare i singoli caratteri usarono come modello quelli contenuti nei manoscritti conservati nel monastero di Subiaco.
Torniamo a quei giorni così rivoluzionari per la cultura! Dalla tradizione degli amanuensi si passava all’innovazione della stampa che presto divenne un processo irreversibile che portò ad una maggiore diffusione del sapere pur sempre limitata se paragonata all’odierna digitalizzazione!
Per fare un tuffo nel passato che con altre dinamiche ritorna nel nostro tempo, è possibile fare una visita guidata con la voce di esperti e studiosi!
Nel cuore della Sabina e dedicata alla 𝗠𝗮𝗱𝗼𝗻𝗻𝗮, l’Abbazia di Farfa risplende avvolta dai mutevoli colori della natura e dall’imperitura spiritualità dei monaci, viva testimonianza della Regola di 𝗦𝗮𝗻 𝗕𝗲𝗻𝗲𝗱𝗲𝘁𝘁𝗼 𝗱𝗮 𝗡𝗼𝗿𝗰𝗶𝗮: “Ora, Labora et Lege”. Dichiarata monumento nazionale nel 1928, è espressione di una pluralità di arti che raccontano la sua storia millenaria che l’ha vista cadere e rinascere, ogni volta. Architettura, scultura, pittura, musica e letteratura hanno ricamato questo lembo di terra diventando un prezioso tesoro da scoprire lungo un percorso che accoglie genti provenienti da ogni dove. Dalla Basilica alla Cripta, dalla Biblioteca al Museo, dai Chiostri alle caratteristiche vie animate dai Maestri artigiani che lavorano ed espongono le loro opere nelle botteghe che sanno di buono, di pace. Tutto questo si può assaporare in una giornata o in qualche giorno che si vuol dedicare al riposo fisico e spirituale, usufruendo anche delle strutture di accoglienza e di ristoro presenti nel borgo, nonché del parco e delle passeggiate nella proprietà della 𝗙𝗼𝗻𝗱𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 “𝗙𝗶𝗹𝗶𝗽𝗽𝗼 𝗖𝗿𝗲𝗺𝗼𝗻𝗲𝘀𝗶”.
Una meta facilmente raggiungibile per vivere un viaggio tra natura, cultura e spiritualità che coinvolge tutti, grandi e piccini!
𝗗𝗲 𝗖𝗶𝘃𝗶𝘁𝗮𝘁𝗲 𝗗𝗲𝗶 𝗱𝗶 𝗦𝗮𝗻𝘁’𝗔𝗴𝗼𝘀𝘁𝗶𝗻𝗼𝗗𝗲 𝗖𝗶𝘃𝗶𝘁𝗮𝘁𝗲 𝗗𝗲𝗶 𝗱𝗶 𝗦𝗮𝗻𝘁’𝗔𝗴𝗼𝘀𝘁𝗶𝗻𝗼𝗔𝗯𝗯𝗮𝘇𝗶𝗮 𝗱𝗶 𝗙𝗮𝗿𝗳𝗮-(RIETI)-Foto di Paolo Genovesi
Franco Leggeri Fotoreportage -Fontanili della Campagna Romana-
Roma-I fontanili nella Campagna Romana e abruzzese, abbeveratoio in muratura, alimentato con acque condottate, che si trova nelle tenute e nei procoi-
Il Fontanile cosa è ?
Una risorgiva, o fontanile, è una sorgente di acqua dolce di origine naturale (o talvolta fatta emergere dall’uomo) tipica dei terreni di fondovalle o di pianura alluvionale, in aree dotate di falde acquifere non troppo profonde né eccessivamente salate. L’uso del termine risorgiva è corretto quando l’affioramento è spontaneo, mentre si dovrebbe usare il termine fontanile quando l’affioramento è di origine antropica. La sovrapposizione dei due termini deriva dal fatto che spesso i fontanili venivano scavati in aree già interessate da risorgive. I fontanili o risorgive sono caratterizzati da flora e fauna tipiche. Le risorgive hanno da sempre catturato l’attenzione dell’uomo e, sebbene non esistano molte documentazioni specifiche sul loro uso massiccio, non si può escludere che esse abbiano avuto un ruolo fondamentale per l’approvvigionamento idrico di piccole comunità rurali.
L’archeologia ha dimostrato come molte risorgive costituissero un rischio per lo sviluppo urbano antico e non sono infrequenti, in antico, le condutture realizzate per far defluire l’acqua e, nel contempo, renderla utile per la vita della comunità.
Le acque piovane e fluviali che, trovando terreno molto permeabile, penetrano in profondità nel sottosuolo, formando una falda freatica, possono tornare in superficie in corrispondenza di terreni impermeabili. L’acqua che fuoriesce da fontanili e risorgive presenta una temperatura costante compresa fra i 9 – 10 °C in inverno e i 12 – 15 °C in estate.
Nella Pianura Padano-Veneta i livelli permeabili sono formati dalle ghiaie delle mega-conoidi alluvionali dell’alta pianura, mentre quelli impermeabili sono costituiti dai depositi di esondazione, formati da limo ed argilla della bassa pianura.
L’acqua, che sgorga spontaneamente o la cui sorgente viene individuata e scavata a poca profondità, emerge in quella che viene definita “testa” del fontanile e poi viene incanalata nella cosiddetta “asta”, dove può essere prelevata per l’irrigazione dei campi ed in particolare per le marcite. In alcuni casi, la moltiplicazione delle risorgive in una data situazione geologica dà luogo a veri e propri “fiumi di risorgiva”[1]. Tale è il caso del fiume Sile, nella Marca Trevigiana.
Risorgive in Italia
In Sicilia
Le risorgive talora erano considerate dei beni preziosi dalle prime civiltà, che attorno ad esse realizzavano i nuclei principali dei loro abitati. In epoca Greca è noto l’uso dell’acqua aretusea, a Siracusa, una sorgente di acque dolci le cui origini non erano ben chiare ai Greci stessi. La sua presenza al centro dell’isola ben difendibile di Ortigia garantì sicurezza alla città anche di fronte a lunghissimi assedi.
Le risorgive situate presso Santa Maria di Licodia furono incanalate in epoca romana all’interno di una grande struttura rettangolare che costituiva il serbatoio del grandioso acquedotto romano di Catania. Questo monumentale complesso idrico, una volta dismesso, venne frazionato e sfruttato per l’irrigazione. Ancora fino agli anni 1950 qualche contadino lo chiamava la saja do’ sarracinu (saia del saraceno). Le risorgive finirono per alimentare la fontana del cherubino e il vicino lavatoio pubblico. Sempre in età romana è evidente all’interno del teatro romano di Catania la presenza di una condotta atta a deviare il flusso delle risorgive del colle Montevergine affinché non ne allagassero l’orchestra. Tuttavia, non essendo più in funzione l’antico canale, oggi questa è costantemente allagata.
Tra le favare di Santa Domenica, ad Adrano, quella dei Greci è probabilmente la più antica di cui è attestato l’uso, per via delle incisioni parietali che riportano i nomi degli uomini che vi si dissetarono in età probabilmente bizantina.
Durante l’occupazione islamica della Sicilia si diffonde un tipo di agricoltura intensiva che fa largo uso di qualsiasi tipo di acqua, originata da qualsiasi tipo di sorgente, ivi compresi rudimentali, ma efficaci fontanili.
Agli inizi del XVII secolo le risorgive della Timpa della Leucatia vennero condotte sul grandioso acquedotto benedettino dei frati del monastero di San Nicolò l’Arena, affinché si provvedesse al bisogno idrico del convento e dal 1649 anche della città. La condotta alimentava anche diversi mulini, prima di giungere nella grande cisterna cui era destinata l’acqua. Verso la fine del XVIII secolo il principe Ignazio Paternò Castello fece realizzare la grande condotta sul fiume Simeto, alimentata dalle risorgive delle favare, la quale giovava ad una delle maggiori risaie di Sicilia. Per cavare l’acqua si fece ricorso a diversi fontanili.
Nell’hinterland catanese e nella stessa Catania (come ad esempio all’interno del Teatro romano) la formazione delle risorgive è dovuta alla presenza di strati impermeabili (in prevalenza argille) pressati da strati permeabili (roccia lavica). L’origine delle acque può essere pluviale o a seguito dello scioglimento delle nevi dell’Etna.
Analogamente nel territorio di Adrano, presso le forre, diverse risorgive alimentano piccoli affluenti del Simeto dette in siciliano favare[2]. Qui sono le lave del Mongibello Antico che, pressando le argille e le marne a ridosso delle lave dei centri alcalinici basali, fanno fuoriuscire le acque di falda, probabilmente da riserve sotterranee.
Un caso anomalo è certamente costituito dalle acque della fonte Aretusa, oggi in luogo ben diverso da quello originario. La situazione del sottosuolo, in prevalenza costituito da rocce calcaree, è stato fortemente alterato dall’uomo e oggi la risorgiva segue percorsi non del tutto chiari.
Nella Pianura Padana
La risorgiva è considerata una risorsa rurale e, sebbene l’archeologia testimoni diversamente, la storiografia antica non cita mai specificamente l’utilizzo di fontanili e risorgive per scopi agricoli. Il primo documento disponibile che riporta con certezza il termine fontanile risale infatti al 1386, ed è costituito da un atto notarile proveniente dalla zona di Segrate, oggi conservato nell’archivio dell’Ospedale Maggiore di Milano.
Si presume che i fontanili padani abbiano avuto origine solo nei primi secoli del II millennio, nell’ambito dei più ampi lavori di bonifica idraulica della pianura. In questi secoli furono effettuati i primi scavi per incanalare ed irregimentare le acque di profondità. Nelle aree più antropizzate i fontanili vanno rapidamente scomparendo: nel 1975 i fontanili attivi nella provincia di Milano erano almeno 430, con una portata media giornaliera complessiva di circa 28 m3/s, mentre nel 1995 ne erano rimasti solo 186 attivi.
Recuperi importanti di fontanili sono stati fatti in zona di Ozzero, località Cascina Selva con il recupero della testa e lo spurgo dell’asta di tre fontanili, riqualificando un ambiente naturale, già bello di suo, per la presenza di antiche marcite. Della flora arbustiva fa parte anche il biancospino, e altri arbusti.
Ad esempio a Montorio Veronese, dove l’acqua piovana della Lessinia filtrata attraverso le rocce permeabili che la caratterizzano riaffiora, a contatto con strati impermeabili di tipo argilloso, sono presenti ben sette risorgive, che generano due laghetti e diversi fossi, dando al paese le caratteristiche di una piccola Venezia.
Nella zona a nord di Castel Goffredo i fontanili sono probabilmente alimentati anche per effetto dell’infiltrazione delle acque del Garda attraverso i rilievi morenici.
Nella pianura friulana, il fenomeno delle risorgive si manifesta in una fascia continua di territorio che va da Polcenigo a Monfalcone con un’inclinazione nord-ovest sud-est, chiamata “linea delle risorgive”[3].
Dal libro:Fotografie per raccontare Roma e la sua Campagna Romana di Franco Leggeri.
” L’acqua della fontana scivola, scorre, quasi muta la verdognola pietra.” ( A. Machado )
Foto di Franco Leggeri-
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Nelle vicinanze del Cimitero, lato sn- spalle Roma- Fontanile costruito nel 1931-Foto Franco Leggeri-I Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di Cecanibbio- Foto Franco Leggeri-I Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di Cecanibbio- Foto Franco Leggeri-I Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di Cecanibbio- Foto Franco Leggeri-I Fontanili della Campagna Romana- Fontanile di Cecanibbio- Foto Franco Leggeri-Fontanili della Campagna Romana- Fontanile della Carosara Azienda Agricola Castel di Guido-Foto Franco Leggeri-Fontanili della Campagna Romana- Fontanile della Carosara Azienda Agricola Castel di Guido foto di Franco Leggeri
ABBAZIA di FARFA-(RI)
FONTANA FARNESE nota come :“LA FONTANA DEI MERCANTI.”
ABBAZIA di FARFA-FONTANA FARNESE
La fontana venne fatta costruita nel 1573, ad uso dei mercanti, dal Cardinal Alessandro Farnese che, in quel periodo, era Abate di Farfa. Il Cardinale ,nello stesso anno fece edificare anche la PORTA FARNESE a Poggio Mirteto . Sia la Fontana farfense sia la Porta di Poggio Mirteto hanno scolpito, ad eterna memoria, nell’architrave il nome del Cardinale Farnese nipote di Papa Paolo III e di Giulia la Bella amante di Papa Alessandro VI il Borgia.
Palazzo Brancaleoni ospita la sezione arcaica del Museo Civico Archeologico di Fara in Sabina e l’Archivio storico comunale mentre la sezione medievale è situata all’interno dell’Abbazia di Farfa. Il Palazzo è un edificio del XV secolo, appartenuto alla nobile famiglia Brancaleoni. Nasce dall’accorpamento di alcune strutture medievali, tra cui sono riconoscibili due case-torri inglobate nella ristrutturazione rinascimentale, adattate ai nuovi canoni architettonici ed abitativi quattrocenteschi che prevedevano piani di rappresentanza riservati ai proprietari, riccamente decorati con affreschi e soffitti lignei a cassettoni. Nella cinque sale del piano “nobile” sono esposti materiali per un arco cronologico compreso tra la preistoria e l’età romana. In particolare tra i reperti esposti sono presenti i materiali provenienti dalla capanna di Cures (VIII secolo a.C.) e le lamine in oro del corredo della sepoltura principesca di Colle del Forno (tomba XI-fine VII secolo a.C.). Al piano terra l’Archivio storico comunale conserva la documentazione del territorio a partire dalla fine del XV secolo.
Museo archeologico di Fara in Sabina-Piazza del duomo – 02032 Fara in Sabina (RI)
Dal 1° maggio 2022, cambiano le modalità di accesso ai luoghi della cultura e dello spettacolo, non sarà più richiesto il possesso del green pass e decade l’obbligo di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie. Se ne raccomanda comunque l’utilizzo
Poesie pubblicate a cura di Franco Leggeri sul gruppo facebook DEA SABINA-
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Chi è Sonia Trocchianesiinizia a scrivere poesie fin da piccola e coltiverà questa grande passione durante tutta la sua vita. Il rapporto con carta e penna è viscerale, la scrittura viene vissuta come cura di ogni male. Amore e sofferenza si contrappongono nei suoi scritti, i suoi versi trasudano a volte di emozioni fortissime. E qui è la sua Anima a mettersi a nudo ….
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Vanno a dormire
i colori
in silenzio
senza pretese
senza chiedersi
se siano dimorati nei cuori
almeno un giorno
almeno un’ora
almeno un attimo
La notte
intinge i pennelli nel nero
lasciando le stelle
sotto al cuscino
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Che poi niente va perso, niente.
Ogni gesto è un sasso nello stagno che, torna, amplificato.
E, l’orma di ognuno, resta.
Vicino, sopra, a fianco, dentro.
Nel bene e nel male.
E la mia, forse, resterà allo stesso modo.
Forse.
Come un granello di sabbia nell’immensità di questo deserto.
Io l’ho visto, il deserto.
Se hai lo sguardo pronto a ricevere, il deserto è bellissimo.
Sconfini tra le dune rosate come in una danza, come queste parole che imprimo nel vuoto di questa mia pagina.
Niente va perso.
Se sai vedere le briciole, una fetta di pane sarà il miracolo da farti bastare.
Sarà la cenere che sembra inutile ma che aiuta il nascere della nuova fiamma.
Niente va perso.
Trovarmi, spesso, qui ed ora, è il dono inaspettato di un’alba nuova.
Una nuova pagina.
Un nuovo verso a cui sto lavorando.
La vita è perfetta.
“Ti va di recitare una poesia in dialetto?”
Si, mi va!
Mi va mille volte.
Perché lì, i congiuntivi, non sono un cappio al collo,
perché non devo mettere in atto quel minimo che ricordo del corso di dizione, perché il mio intercalare da ignorante contadina diventa un più, un vezzo, un pregio, quasi.
Si, mi va!
Mi va mille volte.
Perché sono io senza ma e senza se.
Perché i miei limiti sono solo dei sorrisi che mi faccio, perché sono dei buchi neri che ho imparato ad amare.
Perché è andata così e ho capito che va bene.
Perché quel pezzo di carta che tanto ho rimpianto è stata la mia sfida per la vita.
Perché sò nata troppo presto.
Forse.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Nessuna stagione passa
senza lasciare orme
nessuna nuvola se ne va
senza avermi vestito di grigio
nessuna strada sassosa
so percorrere senza impolverarmi i piedi
Ho scelto il dolore
all’anestesia
le cicatrici sulle labbra
al sorriso plastico
la battaglia continua
alla resa
Vedi
essere viva
può essere un difetto
per chi guarda da lontano
immobile
C’è un tacito accordo nella Natura.
Tra il colore degli alberi, i campi, la strada, il sole che, sotto i nostri occhi stanchi e meravigliati, scompare.
Un accordo silenzioso.
Così tra noi.
Un accordo di rispetto, di mani che si aiutano, di occhi che sorridono, complici, sopra la mascherina.
Una firma di cuore.
Un “ci sono, tira su”
oppure “lascia, faccio io che pesa troppo per te”
Scoprire la gente.
Lasciarsi scoprire.
Grazie a tutti, grazie davvero.
nel nostro piccolo
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Giornata piovosa, oggi.
Ancora in pigiama ho scritto una poesia.
L’ho registrata, ascoltata, riascoltata.
*Più volte. *
Ho ascoltato i vari passaggi, il tono, le parole più dense.
I difetti.
*Gli errori. *
L’ho portata con me, fino a sera.
Vedi…
*non c’è balsamo più efficace, non c’è. *
Una poesia la partorisci, te la spalmi addosso, la respiri.
*E tutto il resto, tutto il resto che non funziona, passa in secondo piano. *
Anche solo un attimo
Mi chiedo perché mi viene in mente la tua storia.
Eppure non ti ho mai vista, né incontrata.
Ma quel che mi è stato raccontato non riesco a cancellarlo.
Troppo forte.
Usata e maltrattata psicologicamente, da uno pseudo amore.
Uno che ti amava a modo suo.
Molto a modo suo.
Indotta a fare cose assurde,
a sposare uno che non amavi, a rinnegare il tuo essere, per proteggere lui.
A cedere, a rinnegare te stessa.
Per finire sola.
Sola.
E ancora sola.
Non avevi un nome.
Eri il tuo lavoro.
Quello.
Ti chiamavi Speranza, l’ho saputo poi.
L’ennesima beffa del fato.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Me l’hanno detto ancora.
-Sei selvatica…-
Per me è un complimento.
La poesia, la scrittura in sé, deve essere selvatica.
Il divincolarmi per sfuggire alle regole, questo mio trattare di cose terrene e non, questo saliscendi vertiginoso, furioso, sfacciato, qualcuno mi ha detto.
Tutto questo è un rifiuto totale delle briglie, un cercarmi da sola, pezzo pezzo, costruirmi.
E ricostruirmi.
Selvatico è quell’animale che, anche se ha paura, va incontro dell’ostacolo.
Lo affronta, caparbio.
Sono selvatica.
Mi rifugio nella mia tana.
Ho fatto scorta di cibo e pensieri.
Lì, tra le righe, mi troverai arresa.
Ancora una volta…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Ci sono viaggi che devi fare da solo.
Scendere negli anfratti più nascosti e innominabili, stare attento a dove metti i piedi.
Poi cercare nelle anse più pericolose, quelle chiuse a chiave, quelle dove la luce non arriva neanche a mezzogiorno.
Spostare la polvere, le scuse inutili e datate, i giocattoli mai usati.
Poi sedersi, con le ginocchia sporche di tempo perduto, con gli abiti logori da certi rimorsi e con le tasche piene di nebbia.
Ritrovare piccole scatole di rimpianti, di forse, di chissà.
Buttarli dalla finestra, senza pensarci.
Leccarsi le ferite, in quella sacra solitudine così umana.
Mentre un pensiero si fa strada:
“Ogni volta che sono triste, forse, sono in viaggio verso la felicità”
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
E di questo tempo
e di questa pioggia lenta
e di questo disordine perfetto
faccio scorta
E di queste curve
e di questo azzurro mancante
e di queste parole intrecciate e chiare
mi cibo ad ogni pasto
non c’è stagione
che il tempo fermi
e riavvolga il nastro
Nessun caffè ristretto,
solo latte bollente
ad abbracciarmi tutta
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Mia mamma e mio figlio.
Io, muta.
E posso solo scrivere di voi.
Di quell’amore per la terra senza mezzi termini
di quello sporcarvi le mani con orgoglio
di quel sudore buttato senza lamentarvi mai.
Mi emoziono a guardarvi.
Io non sono come voi, no.
A me la fatica dei campi fa paura, lo ammetto.
Anche se l’ho provata.
Voi, preziosi.
Per me e non solo…
Avvalersi
della facoltà di non rispondere
quando la malinconia bussa
ha la chiave
in tasca
conosce la combinazione
entra
senza consenso alcuno
e sul mio giaciglio
s’addormenta
mi veste di nenie passate
mi scioglie i capelli
accarezzandoli piano
Si insinua dentro la penna
senza fare rumore
lei sa tutto di me
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Ci avete mai fatto caso alla bellezza del grano giovane?
La forza delle spighe,
di una primavera piena di promesse,
è commovente.
Eppure, io,
non ho ricordi della mia bellezza,
l’ho cercata poi,
cambiando gli occhi.
E il modo di scrutarmi
dentro uno specchio.
La capacità di un ragno,
la maestrìa con cui
disegna i suoi mandala,
ci dà lezione.
Niente è impossibile
se la tenacia vince,
se la bellezza è stampata
negli occhi,
anche di notte.
D’altronde, la rugiada,
da lontano,
è una lacrima d’amore.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
È un Luglio che scotta
nelle vene
e manca il respiro
spesso
La vita è una cassaforte
di cui ho smarrito la combinazione
non ho eredità
da lasciare al mondo
solo qualche poesia
vestita di un drappo rosso
e sangue amaro
Vedi,
dici che ti piacciono i miei pensieri…
Non so, a volte, quando me lo sento dire, non so crederci.
È che cerco di usare fili delicati per ricamarli, per fare piccole cornici intorno a quelle parole che reputo scontate, avvalermi di aghi molto sottili per non fare troppo male quando tratto con le mani la malinconia.
Non sono una sarta.
Non ho la finezza che servirebbe.
Sono un’autodidatta, una che si è forgiata passando attraverso il fuoco, che si è bruciata di mancanze, che mette ancora unguenti lenitivi su certe cicatrici.
Senza guarirle.
Sono piena di pensieri.
Messi a decantare su otri vecchi e impolverati.
Antichi come è antico l’amore.
E sempre attuale.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Vedi
sembra che l’acqua faccia carezze alla roccia
la sfiora
ci si appoggia appena
un attimo
solo il tempo di bagnarla
un tempo minimo
prima di tornare al suo posto
nell’andirivieni che qualcuno ha stabilito
eppure
quelle carezze scaveranno solchi
scriveranno di inverni freddi
di primavere ad attendere gabbiani
di venti arrabbiati senza capirne il motivo
così
mentre ci si passa accanto
mentre ci si sfiora
mentre ci si guarda
ognuno di noi scrive pagine
sulla vita degli altri
tu sulla mia
io sulla tua
ed anche se la calligrafia sarà delicata e composta
scriverai su di me in modo indelebile
ed io su di te
Poi
però
lascerò una scia di punti interrogativi
sospesi nell’aria
quando ce n’è
Lasciali così
fungeranno da bastoni
per la mia vecchiaia
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
(A mio padre)
Dei biancospini
ti chiedo il nome
che non ricordi
E dei colori
accesi come solo primavera sa fare
non cogli sfumatura
Ed io
quasi ti invidio
a tratti
per la mancata percezione
dei ponti crollati
dove i tuoi passi
vanno senza timore
tra le macerie
Avrei bisogno io
ora
che mi prendessi tu
la mano
(A mio padre)
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Si fa sera.
A volte il silenzio è un imperativo senza scampo.
Lo invoco, lo cerco.
Annullo ogni cosa che accenna rumore, ascolto le ciglia che si sfiorano, le narici che buttano aria, le mani che stringono il giorno finito.
Il giorno finito.
Ne restano, sui polpastrelli, solo le ultime briciole.
Le ultime.
Mi lecco le dita, trattengo ogni minima particella, ogni attimo vissuto.
Il giorno che muore.
Non posso sprecarlo, niente devo sprecare.
Mi sorprendo a muovere le labbra.
Sale, da sola, una preghiera.
Muta a tratti.
Poi urla.
Urla.
Urla.
Sale su.
Oltre l’azzurro di cui ti parlavo…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Prendo a morsi le stagioni
i giorni
gli attimi
ho bisogno di saziarmi di ciliegie
dopo ogni pasto
ma solo dall’albero
così
sotto gli occhi dei merli
invidiosi
(quelli non mancano mai,
non i merli,
gli invidiosi)
ho bisogno di saziarmi di inchiostro
di lettere
di virgole appena socchiuse
in piccoli spazi
ho bisogno di aprire parentesi
senza trovare il modo giusto per chiuderle
di mettere accenti
per farmi sentire di più
Lasciare che la vita accada
questo
non l’ho ancora imparato
lo so
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
La terra mia. Li campi, lo grà vattuto, la paja rrotolata.
Le stoppie, lu jemmete, lo callo e lu sudore.
Lo tribbulà de li contadì.
Quilli che è rmasti tali pure se fa natru lavoru.
Perché, contadì, lo si dentro, quanno non sopporti lo sprecà, quanno te rrizzi presto pure se non c’hai da fa có.
Pe non sprecà lu sòle.
Li contadì che d’è pieni de ignoranza ma che je vasta póco pe avé tutto.
Li contadì.
Comme me.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Cammino scalza.
Tentando, ma nemmeno poi tanto, di non tagliarmi i piedi.
Si trova sempre quel pezzo di vetro che qualcuno ha lasciato lì, sciaguratamente a terra, o quella conchiglia appuntita che sembra nascosta e poi te la ritrovi conficcata nella carne.
Capita a tutti, credo.
Ma ad una che scrive, forse, capita di più.
È una sorta di masochismo a cercare ciò che taglia, a non voler evitare niente di ciò che fa male, ad essere contraria alle anestesie, ai paraocchi, alle convenzioni.
Il coraggio si mischia alla sfida.
La paura si veste di sole trasparenze, di organza, di seta preziosa.
E si mostra, tutta, mentre i piedi vanno a tentoni.
Le cicatrici, autografate dalla vita, sono tante.
Ma di spazio, per nuovi tagli, ne ho ancora.
Il sangue sa d’inchiostro.
E questo scrivere fisiologico è l’unico cerotto che ho.
L’unico.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Forse, Gesù
Forse, Gesù, nascerà dentro la stanchezza di questi giorni, dentro l’ansia per il timore di non aver sufficiente memoria sul lavoro, dentro i sorrisi per molti e dentro l’irritazione trattenuta a stento per qualcuno.
Forse nascerà dentro i carboidrati distribuiti a una provincia intera, alle centinaia di pacchetti fatti, in mezzo ai fiocchi rossi messi a goccia sui regali.
Forse nascerà qui, tra le mie mani stanche e non curate, sulle occhiaie color caffè, sotto il mio cappello bianco da lavoro.
Nascerà nei miei auguri, fatti a pochissimi, e senza frasi fatte, in quelle due parole, a volte una, ma dette col cuore.
Nascerà.
Si, nascerà…
E muoio sempre un po’
anche stasera
nel giorno mesto
che taglia i minuti finali
li tiene per sé
li sfuma piano piano
e li promette a un’altra primavera
Mi abbraccia forte
mi cinge la vita
e i fianchi arrotondati dal tempo
la malinconia
mi invita a ballare
un lento
e coi piedi pesanti
calpesta i miei
stanchi
mentre i grilli
sembrano far festa
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Le foglie del ciliegio
stanno tremando
hanno diradato i respiri
per non sprecare le forze
Sono stanca anche io
di questo inverno
mentre mi fingo corteccia
dove non passa gelo
Ascolta
la senti la paura
che provo
quando giro l’angolo dei miei pensieri?
Capita che lascio il coraggio lì appeso
insieme ai vestiti logori
di certi giorni senza fine
ed esco nuda
con le mani ad elemosinare
spiccioli di domani
Sotto i piedi
i lucidi sampietrini
raccontano
sanno tante cose
sanno di me
sanno che piango
a volte
ma senza lacrime
Pochi hanno la fortuna di conoscere il vero olio.
L’olio di casa, spremuto a freddo, come una volta.
È faticossissimo ottenere un litro di oro verde, c’è un lavoro certosino lunghissimo, dietro.
Di monitoraggio, per capire quando i parassiti arrivano.
E prevenire dove si può.
Perché anche il contadino può sbagliare il periodo del trattamento, ed è solo veleno inutile per i frutti.
Ci vuole attenzione, passione, dedizione.
Mio figlio Luca ha superato il nonno, in questo.
Monitorare minuziosamente per un risultato più sano e naturale possibile.
Oro verde.
Prezioso.
Anche quest’anno.
Ore 20.
Stendo i panni appena lavati, in balcone.
L’aria di una mitezza rara, piacevole, dolce, si lascia respirare tutta.
Sulla provinciale nemmeno un’auto, niente, calma assoluta.
Sulla strada secondaria, stessa cosa.
C’è un silenzio beato, stasera.
Una pace dovuta, alla natura.
Il ciliegio, muto, è a riposo, dopo la lunga giornata d’amore con le api.
In fondo, tutto è meraviglioso.
Cosa ci manca, allora, per essere felici?
Passerò dal camino
tra la fuliggine che farà nere
le mie parole
e la tenacia delle streghe
che non temono il rogo
Avrò il peso sulla schiena
delle battaglie quotidiane
dei respiri corti
delle sottrazioni che ho subito
mi riconoscerai
dal naso lungo e i modi bruschi
e dalla testardaggine che non nascondo
Avrò in dono solo due mani
fredde
Vedi,
della neve ho poco o niente.
Non sono così leggera, da tenermi anche sul ramo più piccolo, come niente fosse;
non ho il suo innato equilibrio da stare in alto senza vacillare, senza sforzo alcuno, con totale naturalezza;
non ho la sua grazia di ballerina prima di fermarsi, io non ce l’ho davvero.
E del suo candore, che dire?
Non lo conosco.
Ho pensieri color carbone e, dopo essere stata fuoco,
di quelli difficili da domare,
incompresa,
resto cenere.
Le contraddizioni ci offuscano la strada da seguire.
Le chiese aperte e i teatri chiusi;
i viaggi all’estero e il divieto di sconfinare tra comuni;
la mascherina all’aria aperta e il naso fuori al chiuso;
i parrucchieri chiusi anche se rispettano le regole.
Le leggi vanno rispettate.
Ma non sempre ci rispettano.
Serve il sole.
In questo buio pesto.
I fiori sbocciano tra le pagine, come stelle nelle notti buie.
Non è sempre facile vederle, le stelle, non lo è affatto.
Come non è facile spogliarsi dentro un libro, spogliarsi tutta.
Senza tabù, togliendo il superfluo che appesantisce l’anima, scegliendo di assomigliare all’aria del mattino, quella ancora non contaminata.
Che strane le persone che scrivono!
Che strane a raccontarsi a chi, di loro, non interessa niente.
Sono piena di fiori e di stelle.
E di parole lievitate come il pane.
Cotte qui, nel cuore mio.
La seduzione dall’autunno
Dovremmo imparare l’arte della seduzione dall’autunno.
Fa spogliare gli alberi lentamente, foglia foglia, ne scopre le curve strette, le parti in eccesso, il corpo nodoso e i segni del tempo.
Lo fa con garbo, vestendoli prima di giallo, di un tessuto sempre più leggero, trasparente, minimal, per far sì che nessuno sia a disagio a mostrarsi.
Nessun corpo e nessun albero è perfetto ma, ognuno, può custodire una propria bellezza, una sua particolare dote d’attrazione.
Mostrare i rami, scarni e doloranti ad occhi clementi e meravigliati, questa la lezione da imparare.
I tabù sono foglie.
In attesa di cadere...
Ecco,
mi trovi in forma, dici.
Beh, rispondo che sono felice di dare questa impressione.
Ma se solo ti facessi un giro tra le mie parole, uno solo, tra gli spazi troveresti il mio respiro mancante.
E, dopo le virgole, quelle pause di paura e incertezza.
Troveresti i punti interrogativi appesi al buio e, le stelle, nascoste dietro i cespugli di perché.
Ma sono viva.
E, per rispettare il mio essere selvatico, assorbo tutto.
Tutta la tempesta.
E tutto l’azzurro.
Ho 55 anni, oggi.
55 nei che raccontano le volte in cui mi sono fermata.
55 rughe dove sono scritti i miei giorni neri.
Ma anche 55 ripartenze, 55 slanci al giorno per festeggiare l’aria che respiro, 55 parole per prostrarmi davanti a una nuova alba.
E 55 baci alla vita.
La vita tutta.
La mia.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Eccomi. Sono un mare di colori, ora che di tempo ne è passato…
Un po’ più triste, a volte, ma colorata, quello si.
Ricordi quel dì di Primavera, quando avevo quel foulard color prato, che tanto ti piaceva?
Ora indosso quello color ocra, come tutte le foglie che giacciono a terra, finite.
Ho il viso sbiadito e, di rossetto, lo sai, non he faccio uso.
Ho paura di sporcarmi quando parlo, perché sono sempre concitata, quando parlo, io.
Però ho le mani rosse, color melograno, perché mi piace abbracciarle, le persone, prenderle per mano.
E mi si scaldano.
E diventano rosse.
E ho un cesto di parole da dirti, nascoste tra i grappoli d’uva e tra le castagne di cui sono ghiotta.
Mi perderò nel bosco, prima o poi, mi perderò.
Nelle favole bisogna perdersi per trovarsi.
Sempre!
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Ha un peso, il cuore?
Sì, se dentro ci fai entrare tutto.
Tutto,
anche ciò che meriterebbe stare fuori,
al freddo.
Tutto.
La stanchezza,
la malinconia,
i gesti sbagliati
e i pensieri che non dovrebbero essere pensati.
Le delusioni,
le aspettative da non aspettare.
Il mare che ho dentro,
in tempesta.
La paura del buio.
Ho un paio di ali,
sdrucite.
Con le piume mancanti e l’apertura,
sempre più stretta.
Plano sui giorni, spaiati.
E sui sogni, scordati.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Mille attimi di eternità
Anche se il silenzio contiene mille stati d’animo, mille sensazioni, mille attimi di eternità…
ho sempre preferito le parole.
E le parole scritte, nello specifico.
Ci si può soffermare su ognuna di esse, respirare l’odore delle pause, degli spazi vuoti, dell’andare a capo con la stessa forza di una cascata tra le braccia di due montagne.
Vedi,
le parole sono gocce di sangue, spine di una rosa costretta a difendersi per proteggere i delicati petali, respiri nati nella parte più interna del cuore.
E sono anche proiettili, a volte, sparati con la speranza di oltrepassare il torpore, la rassegnazione, la delusione.
Ecco, davanti al silenzio mi inginocchio, a pregare, però, quel dio che sparge petali di versi, a firmare pensieri vergini, nuovi, pieni di vita.
In fondo cos’è la poesia, se non un delirio dal fascino indiscusso?
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Chissà se arriverai
Chissà se arriverai
immacolata come una sposa
come una poesia leggera
che si posa
sul cuscino
dove appoggerò le ciglia
indosserai fiocchi
tra i capelli
mentre i miei
ribelli
slegherò
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
La mia Fermo
Gira e rigira per trovare un parcheggio: niente.
La mia Fermo presa d’assalto, finalmente!
La fiera di Natale, i negozi aperti, la temperatura accettabile.
Una bella camminata poi al capolinea.
Manca il fiato, tanta è la bellezza.
Manca davvero.
La piazza, questo lussuoso salotto, strapieno di meraviglie.
E di gente.
Ammiro l’albero.
Calcinaro si è superato.
Come sempre.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
È notte, finarmente!
È notte, finarmente!
Sò fatto la pannella
la pizza
lo pà
pe passà tempu
pe divagamme
Ma lu tèmpu non passa
non passa mai
Tra póco vedo un filme
e po?
Tutte ‘ste notte sframicate
non saccio più do mettele
le stelle a se d’è smorte tutte,
la luna…
La luna
a no la vedo più…
olio vergine di oliva
In dialetto ce parla li contadì. Comme me.
Sò ricevuto vari messaggi de cumblimenti perché scrio in dialetto.
Perché non me vergògno a scrie cuscì.
È che, a d’è più facile,
non me sbajio co li congiuntivi, non devo mmattimme a troà parole strane, senzuali, dilicate.
In dialetto lu penzieru è già perfèttu, non gne manca co’.
In dialetto lu dolore a d’è dolore, la contentezza a d’è essa, pricisa, senza sinonimi pe fa finta che sò studiato.
Io non sò studiato.
Io so jita a parà le pecore quanno l’amiche mie java in piazza.
E in fabbrica quanno loro cuminciava le superiori.
Io parlavo in dialetto, jo li campi.
E in fabbrica.
Ce parlo ancora.
In dialetto ce parla li contadì.
Comme me.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Unico, impalpabile, inafferrabile.
Non si può pensare di sbocciare per un tempo indeterminato.
Tutto è così fugace, così rapido e scivoloso.
E ci si accorge di ciò solo mentre i petali cominciano a cedere.
Niente si trattiene, niente.
Però, quell’attimo resta per sempre, non si cancella.
Unico, impalpabile, inafferrabile.
Sono io quei petali che tremano, che sanno che, a breve, il vestito rosso…
scolorirà.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
E allora? Io ho già deciso.
Tirare dritto all’obiettivo può far incorrere in una serie di problematiche durante il tragitto.
A non essere accomodanti si rischia di restare soli.
E allora?
Niente, occorre solo capire se la destinazione merita il viaggio.
E se si ha voglia di rischiare.
Io ho già deciso.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
In un campo di papaveri
Ho bisogno di un bagno in un campo di papaveri
farne ghirlande
intrecciarle tra i capelli
vestirmi di rosso
di papaveri rossi
e niente altro
ubriacarmi di vento
e di un alfabeto che
solo io e te
conosciamo...
Sento le membra vacillare ad ogni alito di vento.
Sono di quei colori che il bosco dona a Novembre, i miei pensieri.
Caldi e poi subito freddi, deboli, impauriti.
Cadranno, lo so, cadranno.
In fondo, delle foglie, non importa niente a nessuno: cadono, muoiono, senza che nessuno ne abbia pena.
Sembra ovvio, scontato.
Le senti sotto i piedi, con quello scricchiolio che sa di fine, di mancanza di domani, di “forse saremo utili al terreno”.
Non so se sarò utile al terreno io, non credo.
Non si curerà nessuno del mio cadere ed essere morta.
Non resterà niente di me, niente che possa ricordare lontanamente il mio passaggio.
Sono Autunno, le mie parole.
Sono Autunno lento.
E inesorabile.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Febbraio,te lo ricordi ancora?
Febbraio,
quasi non ti riconosco.
Non riesci più a farmi ridere,
del tuo Carnevale non porto ricordo.
I carri carichi di paure sfilano nella mente, in bianco e nero.
Manca Arlecchino, mancano i colori.
Manca lo zucchero filato sulla punta delle dita,
mancano le risa giovani,
mancano i coriandoli dentro la maglietta,
incollati da un sudore di cose in divenire…
Resta l’odore del mare sulle labbra, di un anno fa.
Te lo ricordi ancora?
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
LA MERLA
La merla solitaria zitta zitta
rvistita co’ un mantèllu sculuritu
a fà du’ passi e se ne pprufitta
zumpetta vassa senza lu maritu
-Quist’anno stranamente sento callo-
a se lamènta mentre se llontana
-de ‘sti tramonti fatti de corallo
io staco mejio co’ la tramontana-
-E se cuscì continua la mmasciata
allora vojio fà comme me pare
a faccio comme una che conoscio
bbandono tutto e po… vaco a lu mare!-
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Se ci sarà un’altra vita
Se ci sarà un’altra vita
un’altra possibilità
un’altra forma da assumere
quando il tramonto incontrerà la notte
quando le dita
rattrappite
non stringeranno più la penna
quando
voltandomi
vedrò il grano diventato paglia
se ci sarà un’altra possibilità
dicevo
Dio degli abissi e delle risalite
concedimi di rinascere ninfea
leggera
a pelo d’acqua
in superficie
senza zavorre-
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Hai visto gli ulivi?
Hai visto gli ulivi?
Hanno miriadi di piccolissimi fiori.
I rami sono tempestati da quelli che, poi, diverranno preziosi frutti da spremere.
La storia si ripete eppure, pur sembrando identica agli altri anni, ogni volta è nuova e diversa.
E diverso sarà l’olio.
Niente, domani, sarà come ieri.
Niente.
Ciò che si era va custodito, riposto nell’angolo del comodino, gelosamente protetto.
Ma è del domani che dobbiamo parlare.
Gli ulivi hanno dimenticato il raccolto passato.
Aspettano nuove mani.
Se da sempre è così, un motivo ci sarà…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Che luna, stasera!
Che luna, stasera!
Io e te non abbiamo mai
festeggiato granché
tu eri schivo
a tutto ciò che di confezionato
il mondo proponeva
in questo
nel tempo
ti assomiglio sempre più
Che luna, stasera!
Babbo, la tua festa
non l’hai mai calcolata
calcolavi il sudore
spesso obbligato
Che luna…
a lei ti affidavi
come i saggi contadini fanno
a lei
a nessun altro
tanto eri orgoglioso
dei tuoi campi
Ora
in questa tua ultima fase
dove io ti imbocco
la torta di mele
inzuppata di latte
ora
la luna
sembra averti scordato
D’altra parte
volge lo sguardo
noncurante
Un paltò di neve
E tu pensi che un paltò di neve
possa bastare a coprirmi la pelle?
No, non basta.
Ciò che ho dentro è ibernato e perpetuo
in segrete stanze
chiuso
e fuori
dal mondo gelido
prendo le distanze.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Così sia.
Signore,
accogli le nostre croci.
Quelle in bella vista, che il mondo vede e commisera,
ma ancor di più quelle nascoste, quelle indicibili, quelle tenute nelle stanze più buie in attesa di speranza.
Ecco, donaci il pane del domani,
il pane come prima necessità dell’anima.
Non lasciarci attrarre dalle frivolezze ma dall’essenziale del quale abbiamo perso traccia.
Passaci attraverso.
Tagliaci dentro.
Facci uscire il sangue della vita: quella vissuta con l’accettazione di ciò che non si può cambiare e con la tenacia inesauribile per ciò che merita una svolta.
Armaci di coraggio, quello di mostrarci veri e fragili, in questo mondo che ci obbliga a mostrarci perfetti e forti.
Così sia.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Di fiori in bianco e nero
Di fiori in bianco e nero
di luce flebile
di quelle poche parole che passano oltre i lupi
che tentano di sbranare la preda
di labbra tagliate dall’inverno
e screpolate dai morsi
dell’impotenza
di solitudini scelte
ed altre pagate care
di ieri a cui non credere più
di domani di cui diffidare
e di cuori chiusi fuori dall’uscio
di tutto questo
si nutre una pagina vergine
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Profuma di Maggio
Profuma di Maggio, l’aria.
Di rose.
E ali di rondine sulla mia schiena.
E la mente torna a quella ragazzina, acerba ancora, che vestiva un profumo di ginestra per sognare due occhi.
Specie protetta, l’ho capito poi.
La ginestra.
E i sogni di lei.
Notte
Ci verrai a trovare prima, stasera.
Tra i rami nudi e sensuali degli alberi ai bordi della strada, tra l’erba umida della scarpata incolta, tra le luci delle finestre accese anzitempo.
Notte.
Un po’ ti temo, devo ammetterlo.
Sei troppo lunga e troppo silenziosa.
Troppo nera.
Ho impastato una torta per esorcizzare il timore che mi incuti.
Ho profumato la casa di burro, marmellata, mele cotte.
Non ho dosato gli ingredienti, non lo faccio mai.
Li metto a caso, così, a intuito, come faccio quando scrivo.
Comincio a battere le lettere (o le uova) e non so mai se parlerò d’amore o di matematica.
Poi inforno.
Ho un forno a forma di cuore.
Sforno cose che nemmeno io conosco.
Le assaggio…
Non sono una grande cuoca né una grande scrittrice.
Ma qui profuma di buono.
Notte, non ti temo!
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Nascita di un poeta..
A chi, tra due colori, ne vede mille altri
a chi si turba per una foglia a terra
a chi si accorge della nascita di un poeta..
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Giornate azzurre
Le giornate azzurre fuori e la paura dentro.
I contagiati vicino casa e una preghiera di supplica al cielo.
C’è un silenzio terribile!
E tanta tristezza per la durata senza tempo di questa pausa di vita.
E questa foto di un anno fa, a ricordarmi un panorama totalmente stravolto.
Mi manca il mio mare dalla finestra.
Mi manca vederlo da lontano…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Come ironizzare su una tragedia: copri-sterzo abbandonato.
A me non me nteressa
la jiornata dell’ambiente
chi la festeggia ojji
non ha capito gnènte
la festa se cumincia
da lu primu de Jennà
e non deve avé fine
manco dopo de Natà
l’ambiente se n’è ccòrtu
de èsse trascuratu
che ce ne frechemo tutti
anche se è tanto nominatu
Io intanto me preparo
co la sappa e co la vanga
se me mòro in ‘che scarpata
me potete anche fa santa
(O intitolarmi una scarpata)
Il ciliegio si è vestito di oro.
Prima di abbandonare i rami, le foglie, hanno voluto sfoggiare il loro abito più festoso.
Il vento di ieri, benché di una certa intensità, ne ha staccate poche.
Molte resistono, l’attaccamento alla vita è sempre forte.
Ecco, vedi…
è quando pensi che sei alla fine, è lì che serve l’ultimo sforzo.
Quando vorresti cedere al vento, alle intemperie, e invece senti dentro le foglie danzare, senza cadere, a darti forza.
Sono foglia, temo il vento della vita.
Sono foglia, vestita d’oro per l’ultima danza.
A ballare tra i rami, nella stagione più fredda.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Adesso
Non ho voglia di parlare.
Non ho voglia di spiegare, di parlare del vuoto, del nulla.
Ci si potrebbe sempre infilare nei miei assoli, tra le righe, tra punti e virgole, comunque.
E buongiorno, e buon pranzo, e c’è il sole oggi e meno male…
Sono vuote le parole, vuote di senso, vuote di percezioni.
Siediti.
Siediti sui miei fiumi.
Quei rivoli che sono un filo d’acqua ma che poi diventano dighe senza controllo.
Le dighe, fatte per contenere, non sempre fanno il loro dovere.
Siediti.
Ma ora basta.
Non ho più voglia di parlare.
Non più…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Gli orli sdruciti
e i bottoni attaccati alle ferite
trasformate in feritoie
per coprire il vuoto
stretto da darmi affanno
in certe nebbie oltre la collina
dei rimpianti
o largo fino a caderci
in quelle notti bucate di stelle
in cui mi sento piccola
e scompaio piano
ci vuole tempo per capire
che chi non dà non ha
e chi non ha
ha bisogno
di elemosina nel cappello
e di carezze
Perfetto, il sarto del tempo
che lascia qualche spillo
non a caso
in ogni abito
del suo atelier
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo-Foto di Franco Leggeri
Sfoglio i giorni e le stagioni.
La mimosa, la ginestra, i papaveri, i girasoli.
L’odore dei sogni, delle speranze, delle certezze sperimentate, delle delusioni cocenti.
Sfoglio il dolore.
Sfoglio le cicatrici
e gli oli con cui ho tentato
di lenirle.
Sfoglio le pagine
ora bianche
ora imbrattate di pensieri.
Pensieri come fiamme
che bruciano l’inverno.
E le stagioni
e i giorni
che sfoglio.
, sindaco di Belmonte
Sono una che scrive
È quel sottile confine d’azzurro che faccio fatica a delineare.
Dove l’acqua e il cielo si fondono, senza paura.
Il confine.
Tra l’essere e l’apparire.
Tra il pensiero intimo e lo scritto.
Tra il concreto e il sogno.
Tra la massa e l’io.
Tra l’immunità di gregge e la mia.
No, io non sarò mai immune.
Da niente.
Sono una troppo fragile.
Sono una che scrive.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Mi sto chiedendo se abbia sapore la Poesia.
Odore si, ne ha, evoca aromi dolcissimi, tra le righe.
Ma, sapore?
La mia si, sa di figlia di contadini, di colline coltivate a foraggio, dove pascolavano le pecore dalle quali, mia madre, mungeva il latte per fare il formaggio.
Sa di mani prive di crema all’orchidea ma che odorano di carne per riempire le olive.
E di pane, quello buono, usato per impanarle.
Sa di versi che sbocciano in bocca, mentre, alla cassa, sommo la spesa.
Sa di frutta matura, di zucchero tra le dita, mentre invaso la marmellata fumante.
Di pesche in vetro, di spicchi di sole custoditi per l’Inverno.
Sa di mare, del mio amatissimo mare, e del sale che lo fa tanto simile alle mie lacrime.
Sa di lievito, quello madre, che partorisce inni alla vita.
E che si moltiplica nella gioia.
Lontana da scrivanie di legno intarsiato, viva di fogli sparsi in ogni dove.
Ecco, io non so neanche se sono degna di chiamarla Poesia, la mia.
Ma questo è il suo sapore.
Dolce/amaro.
Come me
Grembiulino, fiocco e zainetto. Torno a scuola!
Faccio il terzo anno, quest’anno.
Ripetente, direte.
Si, ho ripetuto.
Ho ripetuto tutta la vita che ho un buco, una voragine, un vuoto incolmabile.
Niente e nessuno ha sostituito o riempito i miei anni di scuola mancati.
Niente.
E nessuno.
Poi, in una serata di Asino chi non legge, ascolto lui, Umberto Piersanti, mi piace.
Tempo dopo vengo a sapere della sua scuola.
Sono ignorante come una capra ma testarda come in mulo.
Ci provo, mi iscrivo, mi scapicollo per andarci, frequento, imparo.
Imparo, imparo, imparo…
Ma non sufficientemente.
Devo andare ancora.
Ancora, ancora, ancora…
Domenica rivedrò i miei compagni di classe.
Faremo anche la ricreazione.
Praticamente, sono già lì.
un campo arato
Regalami un campo arato
ci seminerò parole vergini
Se nasceranno
chiamale col mio nome
portale al mulino
fanne pane
Quando avrai fame
cibati di me
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Sto imparando a leggere il silenzio.
A percepirne le sfumature, i toni alti e bassi del dolore, il fiato che manca e le mani fredde.
Perché il silenzio è un mare di roba: è Inverno, è solitudine, è un albero privo di foglie, una porta chiusa, un caffè senza zucchero.
È avere paura.
Lo sto leggendo, lentamente, per non perdere nemmeno una parola.
Perché, in fondo, lo amo il tuo silenzio.
Ma io sono altro.
Sono il chiasso, lo schiamazzo, il tuono rumoroso.
Di quel silenzio a cui appartieni, io, sono solo l’urlo…
A pugni stretti
A pugni stretti
col domani a sottrarre
carezze
sorrisi
gesti consueti
ed ora impossibili
Tu
che la fatica hai divorato
costruendo certezze
e terreni
da lasciarci
tu
che non distingui più
il remoto dall’oggi
convivendo con fantasmi e suoni
ora scomparsi
Vedi
posso solo giocare
con te
col bambino nato
dai neuroni che muoiono
piano
senza fare rumore
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
ARSA
Mi sorprendi arsa
come certi giorni di Luglio
Disidratata
come sabbia scolpita dal Ghibli
sola
debole come non immagini
forte come non saprai mai
A bruciarmi i piedi
sulla sabbia rovente
scalza
per sentire ogni granello
di cui sono fatta
ARSA Sonia Trocchianesi
OMAGGIO AL MESE DI LUGLIO
Il mio sale
Era presto e, il mio presto, significa prima del sole.
La sabbia era priva di orme, le mie erano le prime.
Ho pensato che era bellissimo come la notte portasse via ogni traccia del giorno precedente e che, a volte, mi sarebbe piaciuto fare così.
Cancellare tutto.
E ricominciare.
Pagina pulita, bella calligrafia.
Errori da evitare, scelte da azzeccare, risposte precise da dare.
Invece, solo il mare ha questa facoltà.
Il mare si rinnova ad ogni onda, ad ogni alito di vento.
Si inventa, ogni attimo.
Un giorno mi ha fatto una promessa.
Avrebbe nascosto tutte le mie lacrime.
Il mio sale, in fondo, è come il suo…
scritta il 4 novembre 2019-ore 22:44-
Me faccio cucciòla
Me faccio cucciòla.
Me bbusco dentro de me, me rritiro, quasci ce rinuncio.
Divento muta, invisibbile, comme se non ce staco.
Perché là fòri, spesso, non gne sse fà a stacce, non gne sse fà.
Che vorrà succède, chi se ne ccorghierìa?
Penso nisciù, nisciuna proprio.
Ma se dovèsse sboccià ancora un fiore, forse me rreffaccerìo.
Forse.
Ne rparlemo più in là.
A primavera.
VEDI
Vedi,
ho avuto anche io paura di fiorire.
Ho avuto paura dell’aria gelida del mattino
e di quella tetra della sera che entra nelle ossa e che rende fragili come vetri sottili sottili.
Allora son rimasta gemma, a volte
son rimasta embrione, pensiero,
azione mai accesa.
E le parole sono rimaste inchiostro,
desideri nudi con la paura del buio.
Nudi.
Sotto una coltre di stracci.
Non saccio se je la poi fa,
Non saccio se je la poi fa,
a nasce,
ce semo barricati in ogni mòdu,
no, non è pe lu virusse,
quella è la scusa,
e tène pure,
perché la sapemo raccontà cuscì bè,
che ce credemo tutti.
Semo nchiavato lu còre
e semo vuttato via la chiae,
mejio a mette un muru,
a non fasse domande,
a non cercà risposte.
Semo legato le ma’,
mejio non toccacce
unu co natru,
mejio a facce l’auguri a sopra
comme è stato sempre fatto:
“Comme stai, tutto vè?”
“Se tira avanti”
e via lu prossimu
cuscì…
Semo leato lu sorrisu,
perché ammó,
finarmente,
la vocca non se vede,
a sta bbuscata.
Non jela poi fa, a nasce!
E comme fai?
Non se po’ scavargà,
lu cunfì,
tra l’amore che pórti
e l’ipocrisia che ce tè ritti.
Piccolo ciclamino-
Il piccolo ciclamino ha vissuto un sacco di inverni.
Lui, col freddo, sta bene.
Riesce a mettere foglie nuove, verdi, forti.
E fiorire.
Ha imparato che, quando fuori non è l’ambiente che vorrebbe, fare finta di morire sia l’unica soluzione.
Morire.
Ritirarsi, mettere la testa sottoterra, non respirare.
Non soffrire.
Non inutilmente.
Aspettare il momento giusto,
saperlo fare, in silenzio.
Prima o poi arriverà l’ora in cui tutto sarà.
Tutto.
E la mortificazione estiva apparirà come un ricordo lontano.
Il ciclamino ha da insegnare molto.
Sto prendendo appunti…
Ecco, vedi…
mi inviti a non mollare, a non darla vinta a chi tenta di ostruire un sogno, ad essere più forte delle barriere, ad insistere, ad essere me stessa.
Vedi…
tu non sai quanto io sia caparbia, quanto io sappia essere determinata, e quanta ribellione contengono le mie idee.
Però sono stanca, stanca di far finta di essere nel torto, stanca di chinare il capo.
Stanca di mani chiuse, stanca di voci dubbie.
In certi labirinti, si rischia solo di perdersi.
Resto fuori, con la delusione da gestire.
I papaveri, sbocceranno lo stesso.
Più rossi che mai!
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
All’alba sarò pronta.
All’alba sarò pronta.
Presto, prestissimo.
Prima che il rumore copra il canto degli uccelli, prima che il sole scaldi la fronte, prima…
Prima.
Prenderò una strada secondaria, quella con vista mare.
Lascerò spaziare i pensieri trattenuti dietro i vetri, scioglierò le ginocchia semi bloccate dalla quarantena.
Camminerò finché avrò fiato.
Domani.
La senti com’è fresca, l’aria?
La senti com’è fresca, l’aria?
Mi ricorda quando, ragazzina, la respiravo tutta, col naso, a bocca chiusa.
E, camminavo, senza ancora sapere dove volessi andare.
Perché, mi avevano detto che, non era importante cosa volessi fare ma, era importante fare ciò che si doveva.
Io mi nascondevo sotto le lenzuola, la sera, che sapevano di fieno o di paglia, a seconda delle stagioni.
Lì, nascosta, parlavo sola.
Mi ripetevo i desideri a voce alta, i sogni, le cose che avrei voluto fare.
Credevo che, se lo avessi detto a voce alta, qualcuno mi avrebbe sentita, esaudita.
Lo faccio ancora, quando vado a camminare.
C’è un piccolo tunnel che attraverso solitamente, lì mi escono i pensieri a voce alta; in quei venti passi mi ritrovo, torno indietro, volo via…
E, i pensieri rimangono lì, sotto il tunnel, adagiati nell’aria fresca…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
La senti com’è fresca, l’aria?
Mi ricorda quando, ragazzina, la respiravo tutta, col naso, a bocca chiusa.
E, camminavo, senza ancora sapere dove volessi andare.
Perché, mi avevano detto che, non era importante cosa volessi fare ma, era importante fare ciò che si doveva.
Io mi nascondevo sotto le lenzuola, la sera, che sapevano di fieno o di paglia, a seconda delle stagioni.
Lì, nascosta, parlavo sola.
Mi ripetevo i desideri a voce alta, i sogni, le cose che avrei voluto fare.
Credevo che, se lo avessi detto a voce alta, qualcuno mi avrebbe sentita, esaudita.
Lo faccio ancora, quando vado a camminare.
C’è un piccolo tunnel che attraverso solitamente, lì mi escono i pensieri a voce alta; in quei venti passi mi ritrovo, torno indietro, volo via…
E, i pensieri rimangono lì, sotto il tunnel, adagiati nell’aria fresca…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Vedi,
è arrivato settembre,
di già.
Un nuovo ciuffo di capelli sbiaditi,
un sorriso mancato,
una carezza stanca,
la sera.
Ho provato a seminare il coraggio,
nascondendo la paura
nella tasca di dentro;
non so se ce l’ho fatta,
non lo so.
Ho messo in moto le mani.
Le mani sono il fulcro
di ogni cosa.
Le mani sanno piangere,
accarezzare,
lottare.
Sanno fare l’amore.
Sanno stringere il tempo passato,
ricamando il domani
su finestre di vento.
Ho esorcizzato il dolore,
con le mani.
Ho cucito ferite di carne
e poesia.
Ci ho aperto la via,
nuova,
con le mani.
Ho invitato sui fiori
le api,
a impollinare la notte,
di stelle cadute
per me.
Le sensazioni sono immagini scritte sulla pelle.
E la pelle che invecchia è un album di foto.
Sto invecchiando, si, me ne accorgo dalla difficoltà a fare la salita.
Dal fiatone.
Dai piedi, uno in special modo, che appoggio male e che si ribella.
Manca l’acqua durante il percorso.
L’acqua fresca, di sorgente, quella che nasce per dissetarsi, per ristorare le labbra dall’arsura.
Gli odori però, li ho immagazzinati.
Ogni profumo una foto.
L’erba, il grano alto appena dieci centimetri, la borragine.
Le ho tutte qui, le loro immagini.
Sulla pelle piena di rughe.
Piena di curve.
Piena di poesia.
Immensa, stasera
Immensa, stasera
da contenermi tutta
me e tutte le mie paure
le mie angosce
le mie domande sospese
e il tuo ventre
accogliente grembo
dalla pelle bianca
sentiero degli amanti
palpito degli audaci
viatico dei coraggiosi
Non ti somiglio
sei troppo bella
luna
Vedi,
sembra alquanto inutile ripeterti in quale modalità va presa la vita.
Con leggerezza, con estrema leggerezza.
Senza entrare dentro alla sostanza, ai problemi, alle cose che le tue mani toccano.
Vedi,
dare poco di sé è sempre molto riduttivo ma, dare troppo, è da sempre penalizzante.
È una colpa.
Non ne trarrai benefici.
Dare tutta te stessa sarà il tuo male.
Il tuo difetto più grande.
Il tuo tarlo nello stomaco.
Rimani in superficie, cerca di capirlo.
Galleggia, se vuoi salvarti.
Di solito, dopo il mezzo secolo, si comincia a capire.
Di solito.
O anche no.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Gioia nel condividere una fetta di crostata
Scapijiata non póco
co l’aria de mare
sempre pronta a lottà
pe checcosa che vale
che fatica a fa der bène
a difende l’ambiente
sai lo vello che d’è?
Lu còre enorme de la jente!
(Su questa foto faccio schifo, mascherina e vestita di cenci, a fine raccolta, ma voglio farvi vedere quanta gioia porta il nostro gruppo.
Gioia nel condividere una fetta di crostata e sapere di aver lottato per una giusta causa)
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Le ali delle parole
Le parole hanno le ali.
Inutile tentare di trattenerle, tutto inutile.
Andate, adagiatevi su nuovi lidi, su nuove scogliere, su nuove pagine.
Non so se qualcuno vorrà leggervi, non lo so.
Ma non è a questo che penso, ora.
Penso alla grazia, alla leggerezza, alla profondità che dovrò donarvi.
Penso ai probabili sensi che, teoricamente, potrete accarezzare.
Il gusto, il tatto, la vista, l’udito.
E quell’odore, inconfondibile, che saprete emanare.
Spiccate il volo, andate.
E grazie a chi, ancora una volta, crede in me.
In voi.
È lenta la pioggia.
Come una carezza lieve, quella che si fa ad un bambino quando dorme e non lo si vuole svegliare.
Malinconica, però.
Come tutta la scala del grigio, così precariamente in equilibrio tra il bianco e il nero.
I colori, certo, quelli sono altro.
Come quel prato, dove mi riempivo i polmoni di vita.
Dove il silenzio firmava un patto d’alleanza col verde ed io mi sentivo una regina sul trono dell’infinito.
Piove.
Lento lento.
Il grano ringrazia.
Io…
scriverò della malinconia.
Ancora.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo-Foto di Franco Leggeri
Le pecore.
Quanto le ho odiate, le pecore.
Le ho odiate come non ho mai odiato niente altro.
Tantissimo.
Poverine, ma che c’entravano loro?
Ne avevano una quindicina, i miei, e mi mandavano a pascolarle.
Avevo il terrore che si venisse a sapere.
Magari dalle mie compagne di classe, quelle che, nei pomeriggi liberi, passeggiavano in piazza.
Oppure dai compagni, i maschi.
Cosa avrebbero pensato, se avessero saputo?
E poi, era tempo rubato ai compiti, ai miei amati libri.
Oh mio Dio!
Ci ho messo quasi quarant’anni per dirlo ad alta voce.
“Ho pascolato le pecore, si, io.”
Per tanti anni.
Lì, in quei prati verdi, dove qualcuno cantava che ci nascono speranze…
Vedi,
ci sono luoghi, nel corpo,
dove nessuno immagina il dolore.
Dove nessuno parla dei segni scalfiti nella carne,
a colorare il grigio di inverni sterili,
come murales astratti.
E questo carico,
che si fa peso e forza, qui, sulla mia schiena.
E tento di non curvarmi, saltando ostacoli
che faccio finta siano niente.
Scendono giù,
sulle vertebre stanche
come cerchi in uno stagno,
dove i sassi tirati recano fastidio.
E creano onde.
Ma quanto fascino hanno
le cose complicate
e quanto profumano
la pelle
le ostinazioni di cui mi vesto.
Sono questo.
Nuda e vulnerabile.
Poi forte.
Vestita solo di spine.
L’unico mio rifugio…
E poi mi dici… parla.
Che, il mio ammalarmi spesso, deriva da una stanchezza interiore, che il corpo sente le emozioni negative, il malessere, il sonno stentato.
Ma a chi vuoi che interessino le mie lagne?
Le mie paranoie malinconiche, il mio turbamento quando mi affaccio dalla finestra e non vedo più il mare?
Forse sono troppo sensibile, soffro pure per un saluto mancato, figurati…
No, non mi va di parlare.
L’unico amico sincero è questo foglio.
Il mio confidente.
Non fermarmi. Sto sognando. Abbiamo vissuto proni secoli d’ingiustizia. Secoli di solitudine. Ora no. Non fermarmi. Ora e qui, sempre e ovunque. Sto sognando la libertà. Facciamo sì che la bella unicità Di tutti Ripristini L’armonia dell’universo. Giochiamo. Conoscenza è gioia. Non certo un obbligo scolastico. Io sogno perché amo. Grandi sogni su nel cielo. Gli operai delle fabbriche occupate Produrranno cioccolato per il mondo. Io sogno perché SO e perché POSSO. Sono le banche a creare i “ladri”. Le prigioni i “terroristi”. La solitudine gli “emarginati”. I prodotti il “bisogno” I confini gli eserciti. Tutto deriva dalla proprietà. La violenza genera violenza. Ora no. Non fermarmi. È giunto il tempo per ristabilire L’etica come prassi finale. Fare della vita una poesia. Fare della vita una prassi. È un sogno possibile possibile possibile IO TI AMO E non fermarmi, non sto sognando. Io vivo. Tendo le mie mani Verso l’amore la solidarietà La libertà. Tutte le volte che ricomincia daccapo. Io difendo ANARCHIA.
(traduz. Carmine Mangone)
dal blog Pochi amici Molto amore di Carmine Mangone
*
Verrà il tempo
Verrà un tempo in cui le cose cambieranno. Ricordatelo, Maria. Ricorda, nelle pause del gioco, Maria, di quando correvamo impugnando il testimone – non guardarmi – non piangere. Sei tu la speranza, ascolta, verrà un tempo in cui saranno i figli a scegliere i genitori non verranno fuori a caso non ci saranno porte chiuse con persone curve là fuori e il lavoro saremo noi a sceglierlo non saremo come cavalli cui si guarda in bocca. Le persone – pensaci! – parleranno coi colori, con le note. Abbi solo cura di conservare in una grande bottiglia d’acqua parole e concetti come disadattati – oppressione – solitudine – prezzo – profitto – umiliazione serviranno per la lezione di storia. Non voglio mentirti, Maria, sono tempi difficili. E ce ne saranno altri. Non so – non aspettarti troppo da me – questo ho vissuto, questo ho imparato, questo io dico e di tutto ciò che ho letto una cosa conservo con cura: “L’importante è restare umani” Cambieremo la vita! Maria, nonostante tutto.
(trad. Carmine Mangone)
Our life is jack-knifings
Our life is jack-knifings in dirty dead-ends rotten teeth, faded slogans basso vestiario smell of piss, antiseptics and spoilt sperm. Ripped-off posters. Up and down, up and down Patission Ave Our life is Patission Ave. The powdered fetergent which does not pollute the sea And Mitropanos sang his way into our life but Dexameni has also swallowed him like those high ass ladies. But we are still here. We travel all our life in lust the same course. Humilation-loneliness-despair. And vice versa. Ok. We do not cry. We grew up. Only when it rains we secretly suck our thumb. And we smoke. Our life is pointless painting in programmed strikes snitches and patrols. That’s why I tell you. Next time they shoot us we shan’t run away. Count our strengh. Let’s not sell our skin so cheap, damn it! No. It’s raining. Give me a cigarette.
Biblioteca DEA SABINA Pino Miglino “Il lavoro in via di estinzione”
Primamedia editore
DESCRIZIONE
Ridurre l’orario di lavoro per salvarsi da automazione e intelligenza artificiale. Lo slogan in voga negli anni ’70 per combattere la disoccupazione, Lavorare meno lavorare tutti, è tornato prepotentemente di moda e sembra essere l’unico modo per salvarsi da automazione e IA in un mondo del lavoro in profonda e continua trasformazione. Anche perché, dopo anni di oblio, con l’avvento dell’intelligenza artificiale il rischio è di aprire una nuova era economica composta sempre più da macchine e sempre meno da lavoratori. Si intitola “Il lavoro in via di estinzione” (primamedia editore) ed è l’ultimo saggio di Pino Miglino in uscita il 29 novembre, in cui il giornalista analizza in forma di cronaca la disoccupazione intesa come malattia strutturale, il ruolo dei sindacati e della politica, ma anche gli esperimenti in corso nei principali paesi occidentali, il cambiamento imposto dalle crisi globali e dalla pandemia, oltre alla necessità di una rivoluzione culturale che porti a lavorare per vivere e non a vivere per lavorare.
Un quadro che si articola e si sviluppa anche attraverso interviste inedite a Pierre Carniti, Piergiovanni Alleva, Agostino Megale, Susanna Camusso e l’ultima intervista rilasciata da Domenico De Masi secondo cui “Non ridurre l’orario di lavoro non solo comporta rinunciare ad assorbire la disoccupazione presente e quella futura causata dall’automazione ma comporta anche danni collaterali. Insomma, – spiega De Masi all’autore – se l’imperativo è creare lavoro, allora non si tratta più di lavorare per produrre ma di produrre per lavorare. Si rischia inoltre di adottare un’organizzazione del lavoro adeguata al progresso tecnologico e all’enorme crescita della produttività solo sotto la pressione di sollevazioni violente, così come si è sperimentato in fretta e furia lo smart working solo sotto la frusta del Covid. Insomma, la nuova sfida che segnerà il XXI secolo è come inventare e diffondere una nuova organizzazione capace di elevare la qualità della vita riducendo il lavoro e facendo leva sulla forza silenziosa della felicità”. “L’occupazione si trova oggi a navigare tra Scilla e Cariddi. Dove Scilla è la scandalosa disuguaglianza che riduce la domanda dei consumatori. E Cariddi è l’automazione che, contrariamente al passato, non riesce a creare un numero equivalente di posti rispetto a quelli che distrugge. Due, dunque, sono le strategie su cui agire. Una più convenzionale e cioè la redistribuzione della ricchezza e l’altra quasi ignorata ma decisiva e cioè la redistribuzione dell’orario di lavoro” spiega l’autore. Il volume fa parte della collana Scritti&Resoconti diretta dal docente Francesco Ricci.
Contiene interviste a Pierre Carniti, Piergiovanni Alleva, Domenico De Masi, Agostino Megale, Susanna Camusso-
Pino Miglino
L’autore – Pino Miglino, già caporedattore de La Nazione, ha cominciato la carriera a Tv Libera Livorno. Ha quindi vinto una borsa di studio della Federazione editori (Fieg) e del sindacato dei giornalisti (Fnsi) che gli ha consentito uno stage retribuito a Panorama e a La Nazione, dove poi è stato assunto. Ha lavorato anche per Il Telegrafo e collaborato col magazine Economy. Sì è occupato principalmente di economia e di politica. Attualmente scrive per la rivista Storia e Storie di Toscana e ricopre l’incarico di fiduciario per la Toscana di Casagit, la mutua integrativa dei giornalisti.
Museo delle bande musicali di Toffia – Museo Maria Petrucci
TOFFIA (RI)-Museo Maria Petrucci
Descrizione
Il Museo, si trova al centro storico di Toffia in una casa del 17° secolo, nel dicembre 2011 compie 20 anni dalla sua fondazione. Inizialmente era denominato “Museo d’Arte Raniero” poi “Casa Museo Raniero”. Nel 1991, Maria Petrucci, aveva fondato il Museo dedicandolo a suo padre Raniero, poi, essendo artista e, sentendo che i visitatori continuavano a credevano che le opere esposte le avesse realizzate Raniero per amore della propria Arte, e di chi nel tempo aveva acquistata qualche opera, nel 2009, pur se a malincuore, lo ha rinominato a proprio nome “Museo Maria Petrucci” – Casa Raniero -. Il museo ha due entrate e cinque stanze espositive. In quattro stanze, dislocate in vari piani, si possono ammirare, sculture lignee, dipinti a olio e, interessanti passaggi artistici di svariati materiali, il fornello in muratura i ganci nelle travi, dove infilavano le canne per appendere le salsicce, il camino, gli orci dove conservavano l’olio i legumi, testimonianze che ci riconducono ai nostri antenati, e lo studio d’arte. Nella quinta stanza, entrata secondaria, vi sono esposti gli oggetti della civiltà contadina e curiosità della cultura popolare. Attorno al museo, un avvincente paesaggio a perdita d’occhio, cattura l’atten zione per fare foto ricordo. Il museo è fornito, di didascalie fisse e mobili, di libri sulla storia di Toffia, di grammatica del dialet to Toffiese, e molte cose avvincenti, oltre a libri di poesia, romanzi, scritti dall’ artista. Si possono vedere DVD, sulla sua arte, riprese della TV- RAI -I – nell’ottanta a Mantova con la regia di Luigi Faccini e della Regione Lazio nel duemilacinque a Toffia con la regia di Lorenzo Pizzi
Via della Rocca – 02039 Toffia (RI)
Contatti
Tel–0765326248
Mail–mubam@libero.it
Website–http://www.mubam.it/
MUSEO MARIA PETRUCCI (Toffia)
TOFFIA (RI)-Museo Maria Petrucci
Museo, casa d’artista, luogo di memoria e creatività. Entrando si percepisce un atmosfera particolare dove le sue sculture e tele si alternano alle memorie del tempo, i suoi ricordi. Ti giri e trovi ovunque oggetti della civiltà contadina, arnesi, utensili. Un posto da visitare con particolare attenzione ascoltando quello che Maria riesce a raccontare di sè delle sue opere. In queste foto ho cercato di cogliere parte di tutte queste emozioni, intagli del legno come stratificazioni di immagini, volti che solo la scultura riesce a tirar fuori. Il museo è sempre aperto e Maria saprà accogliervi con amicizia e gentilezza.
Per visitare il museo chiamare al0765-326248.
Per il sito web:http://www.museomariapetruccitoffia.it/
Martin Heidegger- L’inizio della filosofia occidentale-
Interpretazione di Anassimandro e Parmenide
-A cura di Peter Trawny-Edizione italiana a cura di Giovanni Gurisatti-
ADELPHI EDIZIONI-Milano
Risvolto
Tenuto nel 1932 e dedicato all’interpretazione di Anassimandro e Parmenide – insieme a Eraclito i «pensatori iniziali» della filosofia occidentale –, questo corso universitario rappresenta una vera e propria cesura nel percorso di Heidegger dopo Essere e tempo, e si inserisce nella celebre «svolta» inaugurata dal saggio del 1930 sull’Essenza della verità. Compito della filosofia è ormai per Heidegger, impegnato nella ricerca di tale essenza, quello di rievocare la forza delle parole più elementari del pensiero delle origini – phýsis, alétheia, noûs, lógos – mediante una comprensione prefilosofica, cioè preplatonica e prearistotelica, del fenomeno della verità. Si tratta cioè di compiere quel passo indietro che permette di ripensare in modo ancora più iniziale l’inizio del pensiero occidentale, prima della soglia che dà accesso alla storia della metafisica: non già per operare una ricostruzione filologica e storiografica, ma nella prospettiva che tale «inizio più iniziale» possa essere «ripetuto» e, soprattutto, trasformato in un nuovo inizio, promosso da un’umanità futura in modo ancora più originario. Sicché, conclude Heidegger, «l’inizio non sta più dietro di noi, alle nostre spalle, bensì sta davanti a noi in quanto compito essenziale della nostra più propria essenza».
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