Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana” -Rivista PAN 1935-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
-Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”-
Rivista PAN-n°12 del 1935
Roma, 14 aprile 2022– Ricorre oggi il 42esimo anniversario dalla scomparsa di Gianni Rodari, morto il 14 aprile del 1980 a Roma. Il 10 aprile 1980 venne ricoverato in una clinica a Roma per potersi sottoporre ad un intervento chirurgico alla gamba sinistra, data l’occlusione di una vena; morì quattro giorni dopo, il 14 aprile, per shock cardiogeno, all’età di 59 anni. Le sue spoglie furono sepolte nel cimitero del Verano, dove tuttora riposano.
Nato il 23 ottobre 1920 a Omegna, sul lago d’Orta, lo scrittore piemontese è stato anche pedagogista, giornalista, poeta e partigiano italiano, specializzato in letteratura per l’infanzia e tradotto in molte lingue. Con le sue storie, ha fatto viaggiare con l’immaginazione diverse generazioni di bambini. Dopo aver conseguito il diploma magistrale, per alcuni anni ha fatto l’insegnante. Al termine della Seconda guerra mondiale ha intrapreso la carriera giornalistica, che lo ha portato a collaborare con numerosi periodici, tra cui «L’Unità», il «Pioniere», «Paese Sera». A partire dagli anni Cinquanta ha iniziato a pubblicare anche le sue opere per l’infanzia, che hanno ottenuto fin da subito un enorme successo di pubblico e di critica. I suoi libri hanno avuto innumerevoli traduzioni e hanno meritato diversi riconoscimenti, fra cui, nel 1970, il prestigioso premio «Hans Christian Andersen», considerato il «Nobel» della letteratura per l’infanzia.
Negli anni Sessanta e Settanta ha partecipato a conferenze e incontri nelle scuole con insegnanti, bibliotecari, genitori, alunni. E proprio dagli appunti raccolti in una serie di questi incontri ha visto la luce, nel 1973, Grammatica della fantasia, che è diventata fin da subito un punto di riferimento per quanti si occupano di educazione alla lettura e di letteratura per l’infanzia. Gianni Rodari è morto a Roma nel 1980. Tra le sue opere più significative: Le avventure di Cipollino, Gelsomino nel paese dei bugiardi, Filastrocche in cielo e in terra, Favole al telefono, Il libro degli errori, C’era due volte il barone Lamberto.
Tra le sue innumerevoli opere ha scritto diversi testi con un messaggio pacifista. Qui sotto sono riportate due sue poesie contro la guerra.
Promemoria
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola
a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per non sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno, né di notte,
né per mare, né per terra:
per esempio, la guerra.
Dopo la pioggia
Dopo la pioggia viene il sereno,
brilla in cielo l’arcobaleno:
è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.
È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede – questo è il male –
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa si che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra
Eccole qua
le armi che piacciono a me:
la pistola che fa solo pum
(o bang, se ha letto qualche fumetto)
ma buchi non ne fa…
il cannoncino che spara
senza far tremare
nemmeno il tavolino…
il fuciletto ad aria
che talvolta per sbaglio
colpisce il bersaglio
ma non farebbe male
né a una mosca né a un caporale…
Armi dell’allegria!
le altre, per piacere,
ma buttatele tutte via!
Per Gianni Rodari i bimbi erano portavoce di grandi verità e meritavano di essere ascoltati; ecco quali motivi ritmati ha ideato appositamente per loro:
1) La cicala e la formica
Chiedo scusa alla favola antica
se non mi piace l’avara formica
io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende…
regala!
2) Bambini, imparate a fare cose difficili
È difficile fare le cose difficili:
parlare al sordo,
mostrare la rosa al cieco.
Bambini, imparate a fare cose difficili:
dare la mano al cieco,
cantare per il sordo,
liberare gli schiavi che si credono liberi.
3) Como nel comò
Una volta un accento
per distrazione cascò
sulla città di Como
mutandola in comò.
Figuratevi i cittadini
comaschi, poveretti:
detto e fatto si trovarono
rinchiusi nei cassetti.
Per fortuna uno scolaro
rilesse il componimento
e liberò i prigionieri
cancellando l’accento.
Ora ai giardini pubblici
han dedicato un busto
“A colui che sa mettere
gli accenti al posto giusto”.
4) Tutti gli animali
Mi piacerebbe un giorno
poter parlare
con tutti gli animali.
Che ve ne pare?
Chissà che discorsi geniali
sanno fare i cavalli,
che storie divertenti
conoscono i pappagalli,
i coccodrilli, i serpenti.
Una semplice gallina
che fa l’uovo ogni mattina
chissà cosa ci vuol dire
con il suo coccodè.
E l’elefante, così grande e grosso,
la deve saper lunga
più della sua proboscide:
ma chi lo capisce
quando barrisce?
Nemmeno il gatto
può dirci niente.
Domandagli come sta
non ti risponde affatto.
O – al massimo – fa “miao”,
che forse vuol dire “ciao”.
5) Il primo giorno di scuola
Suona la campanella;
scopa, scopa la bidella;
viene il bidello ad aprire il portone;
viene il maestro dalla stazione;
viene la mamma, o scolaretto,
a tirarti giù dal letto…
Viene il sole nella stanza:
su, è finita la vacanza.
Metti la penna nell’astuccio,
l’assorbente nel quadernuccio,
fa la punta alla matita
e corri a scrivere la tua vita.
Scrivi bene, senza fretta
ogni giorno una paginetta.
Scrivi parole diritte e chiare:
Amore, lottare, lavorare.
6) Il paese delle vacanze
Il Paese delle Vacanze
non sta lontano per niente:
se guardate sul calendario
lo trovate facilmente.
Occupa, tra Giugno e Settembre,
la stagione più bella.
Ci si arriva dopo gli esami.
Passaporto, la pagella.
Ogni giorno, qui, è domenica,
però si lavora assai:
tra giochi, tuffi e passeggiate
non si riposa mai.
7) Per la mamma
Filastrocca delle parole
si faccia avanti chi ne vuole.
Di parole ho la testa piena
con dentro “la luna” e “la balena”.
Ma le più belle che ho nel cuore
le sento battere: “mamma”, “amore”.
8) Filastrocca corta e matta
Filastrocca corta e matta:
il porto vuole sposare la porta;
la viola studia il violino;
il mulo dice: “Mio figlio è il mulino”;
la mela dice: “Mio nonno è il melone”;
il matto vuole essere un mattone.
E il più matto della terra
sapete che vuole?
Fare la guerra!
9) Filastrocca di primavera
Filastrocca di primavera
più lungo è il giorno,
più dolce la sera.
domani forse tra l’erbetta
spunterà la prima violetta.
Oh prima viola fresca e nuova
beato il primo che ti trova,
il tuo profumo gli dirà,
la primavera è giunta, è qua.
Gli altri signori non lo sanno
e ancora in inverno si crederanno:
magari persone di riguardo,
ma il loro calendario va in ritardo.
10) Dopo la pioggia
Dopo la pioggia viene il sereno
brilla in cielo l’arcobaleno.
E’ come un ponte imbandierato
e il sole ci passa festeggiato.
E’ bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede, questo è male
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa si che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.
11) Le favole al rovescio
C’era una volta
un povero lupacchiotto,
che portava alla nonna
la cena in un fagotto.
E in mezzo al bosco
dov’è più fosco
incappò nel terribile
Cappuccetto Rosso,
armato di trombone
come il brigante Gasparone,
Quel che successe poi,
indovinatelo voi.
Qualche volta le favole
succedono all’incontrario
e allora è un disastro:
Biancaneve bastona sulla testa
i nani della foresta,
la Bella Addormentata non si addormenta,
il Principe sposa
una brutta sorellastra,
la matrigna tutta contenta,
e la povera Cenerentola
resta zitella e fa
la guardia alla pentola.
12) A un bambino pittore
Appeso a una parete
ho visto il tuo disegnino:
su un foglio grande grande
c’era un uomo in un angolino.
Un uomo piccolo, piccolo,
forse anche
un po’ spaventato
da quel deserto bianco
in cui era capitato,
e se ne stava in disparte
non osando farsi avanti
come un povero nano
nel paese dei giganti.
Tu l’avevi colorato
con vera passione:
ricordo il suo magnifico
cappello arancione.
Ma la prossima volta,
ti prego di cuore,
disegna un uomo più grande,
amico pittore.
Perché quell’uomo sei tu,
tu in persona, ed io voglio
che tu conquisti il mondo:
prendi, intanto
tutto il foglio!
Disegna figure
grandi grandi,
forti, senza paura,
sempre pronte a partire
per una bella avventura.
13) Il punto interrogativo
C’era una volta un punto
interrogativo, un grande curiosone
con un solo ricciolone,
che faceva domande
a tutte le persone,
e se la risposta
non era quella giusta
sventolava il suo ricciolo
come una frusta.
Agli esami fu messo
in fondo a un problema
così complicato
che nessuno trovò il risultato.
Il poveretto, che
di cuore non era cattivo,
diventò per il rimorso
un punto esclamativo.
14) Tragedia di una virgola
C’era una volta
una povera virgola
che per colpa di uno scolaro
disattento
capitò al posto di un punto
dopo l’ultima parola
del componimento.
La poverina, da sola,
doveva reggere il peso
di cento paroloni,
alcuni perfino con l’accento.
Per la fatica atroce morì.
Fu seppellita
sotto una croce
dalla matita
blu del maestro,
e al posto di crisantemi e sempreverdi
s’ebbe un mazzetto
di punti esclamativi.
15) La famiglia Punto e virgola
C’era una volta un punto
e c’era anche una virgola:
erano tanto amici,
si sposarono e furono felici.
Di notte e di giorno
andavano intorno
sempre a braccetto:
“Che coppia modello”
la gente diceva
“che vera meraviglia
la famiglia Punto-e-virgola”.
Al loro passaggio
in segno di omaggio
perfino le maiuscole
diventavano minuscole:
e se qualcuna, poi,
a inchinarsi non è lesta
la matita del maestro
le taglia la testa.
16) Autunno
Il gatto rincorre le foglie
secche sul marciapiede.
Le contende (vive le crede)
alla scopa che le raccoglie.
Quelle che da rami alti
scendono rosse e gialle
sono certo farfalle
che sfidano i suoi salti.
La lenta morte dell’anno
non è per lui che un bel gioco,
e per gli uomini che ne fanno
al tramonto un lieto fuoco.
17) Chi è uomo
Con un gran frullo d’ali
dal campo, spaventati,
i passerotti in frotta
al nido son rivolati.
Raccontano ora al nonno
la terribile avventura:
“C’era un uomo! Ci ha fatto
una bella paura.
Peccato per quei chicchi
sepolti appena ieri.
Ma con quell’uomo… Ah, nonno,
scappavi anche tu, se c’eri.
Grande grande, grosso grosso,
un cappellaccio in testa,
stava li certamente
per farci la festa…”.
“E che faceva?”. “Niente.
Che mai doveva fare?
Con quelle braccia larghe
era brutto da guardare!”.
“Non lavorava?”. “O via,
te l’abbiamo già detto.
Stava ritto tra i solchi
con aria di dispetto…”.
“Uno spaventapasseri,
ecco cos’era, allora!
Non sapevate che
non è un uomo chi non lavora?”.
18) La bugia
Nel paese della bugia,
la verità è una malattia.
19) Quanto pesa una lacrima?
La lacrima di un bambino capriccioso
pesa meno del vento,
quella di un bambino affamato
pesa più di tutta la terra.
20) Il sole
Dica ognuno
quel che vuole:
la meglio stufa
è sempre sole.
21) Distrazione interplanetaria
Chissà se a quest’ora su Marte,
su Mercurio o Nettuno,
qualcuno
in un banco di scuola
sta cercando la parola
che gli manca
per cominciare il tema
sulla pagina bianca.
E certo nel cielo di Orione,
dei Gemelli, del Leone,
un altro dimentica
nel calamaio
i segni d’interpunzione …
come faccio io.
Quasi Io sento
lo scricchiolio
di un pennino
in fondo al firmamento:
in un minuscolo puntino
nella Via Lattea
un minuscolo scolaretto
sul suo libro di storia
disegna un pupazzetto.
Lo sa che non sta bene,
e anch’io lo so:
ma rideremo insieme
quando lo incontrerò.
22) La luna bambina
E adesso a chi la diamo
questa luna bambina
che vola in un “amen”
dal Polo Nord alla Cina?
Se la diamo a un generale,
povera luna trottola,
la vorrà sparare
come una pallottola.
Se la diamo a un avaro
corre a metterla in banca:
non la vediamo più
nè rossa nè bianca.
Se la diamo a un calciatore,
la luna pallone,
vorrà una paga lunare:
ogni calcio un trilione.
Il meglio da fare
è di darla ai bambini,
che non si fanno pagare
a giocare coi palloncini:
se ci salgono a cavalcioni
chissà che festa;
se la luna va in fretta,
non gli gira la testa,
anzi la sproneranno
la bella luna a dondolo,
lanciando grida di gioia
dall’uno all’altro mondo.
Della luna ippogrifo
reggendo le briglie,
faranno il giro del cielo
a caccia di meraviglie.
23) Girotondo in tutto il mondo
Filastrocca per tutti i bambini,
per gli italiani e per gli abissini,
per i russi e per gli inglesi,
gli americani ed i francesi;
per quelli neri come il carbone,
per quelli rossi come il mattone;
per quelli gialli che stanno in Cina
dove è sera se qui è mattina.
Per quelli che stanno in mezzo ai ghiacci
e dormono dentro un sacco di stracci;
per quelli che stanno nella foresta
dove le scimmie fan sempre festa.
Per quelli che stanno di qua o di là,
in campagna od in città,
per i bambini di tutto il mondo
che fanno un grande girotondo,
con le mani nelle mani,
sui paralleli e sui meridiani…
24) Il Paese Senza Errori
C’era una volta un uomo che andava per terra e per mare
in cerca del Paese Senza Errori.
Cammina e cammina, non faceva che camminare,
paesi ne vedeva di tutti i colori,
di lunghi, di larghi, di freddi, di caldi,
di così così:
e se trovava un errore là, ne trovava due qui.
Scoperto l’errore, ripigliava il fagotto
e ripartiva in quattro e quattr’otto.
C’erano paesi senza acqua,
paesi senza vino,
paesi senza paesi, perfino,
ma il Paese Senza Errori dove stava, dove stava?
Voi direte: Era un brav’uomo. Uno che cercava
una bella cosa. Scusate, però,
non era meglio se si fermava
in un posto qualunque,
e di tutti quegli errori
ne correggeva un po’?
25) L’odore dei mestieri
Io so gli odori dei mestieri:
di noce moscata sanno i droghieri,
sa d’olio la tuta dell’operaio,
di farina sa il fornaio,
sanno di terra i contadini,
di vernice gli imbianchini,
sul camice bianco del dottore
di medicina c’è un buon odore.
I fannulloni, strano però,
non sanno di nulla e puzzano un po’.
Grottaferrata-Roma -Fino al prossimo 28 febbraio 2025 il Villino Rosso ex frantoio di Villa Cavalletti, oggi Museo dell’Olio a Grottaferrata ospita la mostra “I Pini” dell’artista romano Claudio Spada, mentre, all’esterno, nel parco della Villa, è esposta l’opera di Andrea Roggi “Il Futuro è nelle radici”, esposizioni curate da Tiziana Todi, della storica Galleria Vittoria di Via Margutta a Roma.
Un progetto partito alla fine di novembre del 2024, quello del Museo dell’Olio, che ha visto protagonista il Gruppo Tierre che ha deciso di sviluppare e valorizzare il villino rurale rendendolo un luogo di cultura del territorio e di esperienze legate alla produzione agricola di qualità.
L’obiettivo è di mantenere l’identità storica del luogo aprendolo ai visitatori.
Una vera e propria experience in un connubio perfetto tra eccellenze del territorio ed arte contemporanea.
Raccontare un tempo recente, quindi, restaurando un manufatto del XVII secolo, tutelato come bene di notevole interesse storico dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
Attraverso un allestimento scenotecnico e illuminotecnico il Villino Rosso si è trasformato anche in uno spazio polivalente dove sono esposte le opere di Claudio Spada, della serie “I Pini”.
Come la curatrice Tiziana Todi dichiara: “Il lavoro di Claudio Spada è un’indagine profonda sul rapporto tra natura e città, tra memoria storica e sperimentazione artistica. I pini romani, protagonisti indiscussi del paesaggio urbano, trovano in Spada un interprete capace di restituirne la maestosità, non si limita a ritrarre questi alberi iconici, ma li trasforma in un ponte tra l’antico e il contemporaneo. Se la tradizione pittorica romana ha celebrato il paesaggio con una tavolozza naturale, Spada sovverte questa eredità. La sua pittura sperimenta accostamenti cromatici audaci: il blu elettrico, il rosso intenso e altre tonalità che amplificano l’impatto emotivo. In questo contesto, il Museo dell’Olio, ospitato nell’ex frantoio di Villa Cavalletti, diventa la cornice ideale per le opere di Spada. Anche il museo, seppur restaurato, conserva i colori originali e audaci che raccontano la sua lunga storia. I muri, con le loro tinte calde e vissute, dialogano perfettamente con le tele dell’artista, creando un connubio visivo e sensoriale unico.
Le pennellate di Spada, così come le pareti del museo, celebrano il tempo, la trasformazione e la continuità tra passato e presente. Le opere, immerse in un contesto che ha saputo preservare la sua autenticità, sembrano risuonare con la memoria storica del luogo, amplificandone la bellezza intrinseca. L’accostamento tra le tele di Spada e gli ambienti del museo non è solo un incontro estetico, ma un dialogo profondo tra due linguaggi: quello della pittura, che racconta il paesaggio e la sua anima, e quello architettonico, che conserva e tramanda le tracce di un tempo passato. In questo modo, la mostra diventa un’esperienza completa, in cui arte e spazio si intrecciano per offrire una riflessione sulla capacità della bellezza di sopravvivere, evolversi e continuare a ispirare.”
All’esterno del Villino, nel Parco di Villa Cavalletti troviamo la scultura di Andrea Roggi “Il Futuro è nelle Radici”, un’opera imponente in bronzo, con un basamento in travertino, ottenuta con la tecnica della fusione a cera persa e patina a fuoco.
Come dichiara Tiziana Todi: “Si tratta di un Albero della Vita, tema da sempre caro al Maestro Roggi. Questa scultura è il frutto di una riflessione intorno al tempo, legato alla compagine sociale di singoli individui. All’interno della produzione del Maestro Andrea Roggi, l’Albero della Vita agisce quale collegamento fra le meditazioni più teoretiche ed universali e quelle più pratiche e singolari. Come il tempo può essere suddiviso in passato, presente e futuro, infatti, l’Albero della Vita può essere suddiviso in radici, tronco e rami. Le radici corrispondono al passato giacché esse traggono nutrimento dalla terra, ossia da ciò che esiste prima di noi, come la cultura e la tradizione. Il tronco corrisponde al presente ed assume tratti antropomorfi dal momento che è l’unico segmento esistenziale entro il quale possiamo agire. Non basta semplicemente agire, tuttavia, sembra comunicarci il Maestro Roggi: dobbiamo agire con amore. Per questo il tronco è costituito da due individui immortalati in un abbraccio appassionato. Infine, i rami, i quali spuntano dal tronco come relativa e naturale prosecuzione, rappresentano il futuro, ossia l’effetto dell’incontro fra passato e presente. Essi sono carichi di frutti, giacché i valori e l’educazione ricevuti in passato, coniugati con le azioni dettate dall’amore operate nel presente, determinano un futuro virtuoso, positivo.”
Villa Cavalletti
Villa Cavalletti, compresa nell’area di Tusculum risalente al X secolo a.C, è una storica Villa Rustica romana e importante sito archeologico, protetta dal Ministero dei Beni Culturali e all’interno del Parco Regionale dei Castelli Romani. Questo luogo di pace e spiritualità, amato anche dai papi, comprende una tenuta agricola biologica con vigneti, oliveti monumentali e grani antichi, un parco secolare e varie strutture, tra cui il Villino Rosso, dedicato alla cultura agricola dei Castelli Romani. Il complesso è stato recentemente riqualificato dall’Azienda Agricola Biologica Tierre dell’omonimo gruppo italiano. Villa Cavalletti offre una collezione di prodotti e di esperienze con le quali vivere la tradizione dei Castelli Romani, antico locus amoenus per la salubrità dell’aria, l’esposizione felice e per la qualità del terreno vulcanico minerale: una memoria oggi riscoperta e attualizzata dalla proprietà, in una costante ricerca di alta qualità e sostenibilità produttiva.
Villa Cavalletti
Via XXIV Maggio 73/75 00046 Grottaferrata-Roma
CONTATTI:www.villacavalletti.it
info@villacavalletti.it
+39 06 945416001+39 3393877250
DESCRIZIONE
Della sua passione e dello studio per la Bibbia dice «Scopriamo che i personaggi biblici sono assolutamente imperfetti e proprio per questo veri. Amano, tradiscono, ci credono, sbagliano, gioiscono, soffrono, hanno coraggio o paura e il più delle volte fanno semplicemente quel che possono, proprio come noi. In una parola: vivono».
Di qui la sua considerazione: «La Bibbia è la più straordinaria biblioteca dell’esistenza». E anche lo scoprire che, come dice lo studioso Rav Jonathan Sacks, «La Bibbia è il primo testo dell’antichità a sostenere l’assoluta eguaglianza degli esseri umani e che l’umano è sempre all’insegna del numero due. In effetti, non vi è una sola vicenda che veda protagonista assoluto un uomo e nessuna impresa è compiuta senza una donna.(…) L’intento chiaro del testo è che la storia si fa insieme, uomini e donne, all’insegna dell’uguaglianza nella dignità e in una relazione di reciprocità.” Da queste premesse nascono le 21 storie d’amore (ma anche di amicizia, di sorellanza, di disparità e di condivisione, di coraggio e viltà, di fedeltà e tradimenti, di gioia e dolore ) sia nella Scrittura ebraica che nel Vangelo».
«Questo non è un testo di teologia o di esegesi stricto sensu- precisa l’autrice – e a me non interessa dimostrare alcuna teoria, ma semplicemente, a partire da una ricerca che ha occupato ormai oltre la metà dei miei anni, mi sono messa di fronte a quelle parole e mi sono fatta molte domande che, al netto delle competenze accademiche, restano le mie e nascono dal mio vissuto e dal mio modo di osservare il mondo. (…) Il testo evolve con noi e per poterlo abitare occorrono tempo, pazienza, consapevolezza della propria finitudine e un gran desiderio di conoscenza, anche di sè».
E inoltre : «Col tempo ho imparato a distinguere tra quel che è scritto e quel che è stato interpretato e trasmesso dalla tradizione e tengo a mente costantemente la regola di ogni buon filologo per cui “non bisogna mai far dire a un testo quel che il testo non intendeva dire”, nella profonda consapevolezza che la Bibbia non contiene dogmi, ma solo esperienze di vita e i livelli di letture sono infiniti; i suoi personaggi non sono modelli da seguire o da rifiutare, ma ‘pezzetti’ di noi, che ci fanno nascere domande importanti sul senso della vita, sulle relazioni e, per chi ne sente il bisogno, anche sul rapporto con Dio».
«Naturalezza e complessità», perciò, ha esordito Graziella Romano che presentava – mercoledì 7 febbraio in una sala stracolma della libreria Claudiana di Torino l’autrice e il testo – introdotti dal saluto della libraia Sara Platone e di cui è stata data una lettura di pagine scelte dall’attrice Nicoletta De Biasi.
Il tema dell’amore ci interroga sempre, dunque, e qui si tratta di un percorso inedito, fatto con “leggerezza”, secondo i temi fondamentali della libertà ( «che si vive come popolo, ma anche all’interno di una relazione») e della responsabilità, ma visti intrecciando letture le più varie, che vanno dai racconti non canonici , ai testi apocrifi e quelli gnostici ai Midrash a testi filosofici (e ci è inserito anche Woody Allen), alle poesie di ogni tempo, alle canzoni, e che sono illustrate con altrettanta colorata “leggerezza” dai disegni di un’altra donna , Alice Negri, a cui a sua volta «piace mischiare elementi vintage con elementi contemporanei».
«Non è una lettura femminile della Bibbia- precisa la studiosa- perché “maschio e femmina Dio li creò”. E le donne, che nella cultura ebraica sono presenti – come le matriarche – in altri ambienti sono state dimenticate». È anche un libro allegro, conclude, anche se magari ci sono storie drammatiche: «Lungi dall’essere un testo chiuso, la Bibbia è una forma incredibile di dialogo e in questo senso è un libro eterno, non perché contiene una verità immutabile, ma perchè sa interrogare chi legge rinnovandosi continuamente, senza chiudersi in un tempo e in uno spazio».
Maria Teresa Milano “21 Storie d’ Amore – La Bibbia come non te l’aspetti”- Presentazione di Marinella Perroni- Illustrazioni di Alice Negri, Edizioni Sonda, Milano,2023
Sassari-Si intitola I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer la mostra che sarà inaugurata al Padiglione dell’artigianato EugenioTavolara di Sassari il 1° febbraio alle 11.30. Organizzata dalla Fondazione Enrico Berlinguer della Sardegna con il Comune di Sassari, il contributo della Regione Sardegna, la collaborazione della Fondazione di Sardegna e il patrocinio dell’Università di Sassari, la mostra sarà visitabile gratuitamente sino al 19 marzo, mentre in seguito sarà trasferita a Cagliari.
Nella ricorrenza del quarantennale dalla morte di Enrico Berlinguer, l’obiettivo della mostra è quello di contribuire a ripensare il lascito politico di un leader di rara caratura morale, radicato nel Paese reale e stimato dai suoi oppositori. Attraverso un racconto storico e iconografico si ricostruisce l’itinerario di Berlinguer con documenti originali, audiovisivi e una selezione di fotografie da reportage.
Il materiale documentale è stato organizzato in cinque sezioni tematiche: gli affetti, il dirigente, la crisi italiana, la dimensione globale, l’attualità e il futuro. Si aggiungono focus specifici: il contributo del Partito Comunista Italiano alle riforme adottate in Italia dal 1968 al 1984, le relazioni internazionali intessute da Berlinguer che sottolineano la dimensione globale della sua leadership, la violenza politica e lo stragismo, drammatica costante di quegli anni, i libri a lui dedicati a evidenziarne il particolare rilievo storico-politico.
La mostra è stata ideata dall’Associazione Enrico Berlinguer di Roma assieme alla Fondazione Gramsci. La sua versione sarda è arricchita con una nuova sezione dedicata al rapporto tra il leader del Pci e la sua terra natia. Attraverso foto e documenti originali, particolarmente significativi, la sezione Berlinguer e la Sardegna illustra tre fasi: l’adesione al Partito comunista a Sassari e le prime esperienze di militanza attiva; il ritorno in Sardegna nel 1957, come vicesegretario regionale; il contributo alla politica sarda come vicesegretario e segretario nazionale.
Considerato il grande riscontro avuto dalla mostra a Roma e a Bologna, dove si è registrata la visita di oltre 100mila persone, gli organizzatori si aspettato altrettanto successo per le due tappe isolane.
La Fondazione Enrico Berlinguer, insieme con la Fondazione Nivola che gestirà la mostra, curerà in modo particolare il rapporto con le scuole affinchè gli studenti e le studentesse, con la visita e con la partecipazione ai laboratori didattici, possano approfondire la conoscenza della storia della seconda metà del Novecento di cui Enrico Berlinguer è stato un protagonista primario.
All’inaugurazione interverranno Salvatore Cherchi e Ugo Sposetti, presidenti rispettivamente della Fondazione Enrico Berlinguer e della Associazione Enrico Berlinguer, soggetti ideatori e realizzatori della mostra. Previsti gli interventi del sindaco di Sassari, Giuseppe Mascia, della presidente della Regione, Alessandra Todde, del presidente del Consiglio regionale, Piero Comandini, e della presidente dell’Anci, Daniela Falconi. Le conclusioni saranno affidate a Gavino Angius, componente della segreteria nazionale del Partito comunista nel periodo berlingueriano. Alla cerimonia parteciperanno le figlie di Enrico Berlinguer, Bianca e Maria, il vicepresidente della Regione, Giuseppe Meloni, l’assessorato regionale della cultura, l’assessora comunale alla Cultura, Nicoletta Puggioni, e tanti altri esponenti istituzionali, politici, sociali e culturali del territorio.
Il libro-– Giulio Einaudi editore–Nel quadro dell’intera produzione di Simone de Beauvoir, I Mandarini, insieme all’autobiografia – Memorie d’una ragazza perbene, L’età forte, La forza delle cose, A conti fatti -, è il romanzo piú significativo ed emblematico. Nessuno meglio di Beauvoir avrebbe potuto raccontare la tumultuosa stagione di questo dopoguerra, in cui gli intellettuali francesi, i Mandarini appunto, erano gli indiscussi protagonisti della vita culturale e politica (basti pensare a Sartre e a Camus). Le vicende di Henri, Nadine, Anne, Dubreuilh, dei giovani «esistenzialisti » e delle ragazze che girano a vuoto, riflettono le lacerazioni di un mondo che non sa trovare il suo equilibrio, sospeso com’è tra speranze, ideali e il duro confronto con la realtà.In appendice Simone de Beauvoir vista da Sartre.Il romanzo di una generazione di intellettuali nella Parigi esistenzialista del secondo dopoguerra.
Breve biografia di Simone de Beauvoir
Simone de Beauvoir (Parigi 1908 – 1986) compí i suoi studi letterari e filosofici alla Sorbona. L’incontro con Sartre, che le sarà compagno per tutta la vita, è del luglio 1929.
Gli anni della guerra e del dopoguerra furono fervidi di battaglie politiche, incontri e esperienze, come l’esordio della rivista «Les Temps Modernes» e l’amicizia con Camus, Leiris, Giacometti, Genet, Vian, Nelson Algren.Di Simone de Beauvoir Einaudi ha pubblicato I mandarini (Prix Goncourt 1954), Memorie di una ragazza perbene, L’età forte, La terza età, La forza delle cose, A conti fatti, Una morte dolcissima, Le belle immagini, Lo spirituale un tempo, Quando tutte le donne del mondo…, Una donna spezzata e La cerimonia degli addii.
Chi è Simone de Beauvoir?-Scrittrice, filosofa, figura chiave del femminismo della seconda ondata: l’intellettuale Simone de Beauvoir è uno dei fiori all’occhiello della cultura francese, per la quale è ormai diventata un’icona.
Infanzia e passione per la scritturaNacque a Parigi nel 1908, da una famiglia cattolica e borghese, che le consentì di avere un’infanzia felice. Si appassionò alla scrittura da piccola, divertendosi a imitare i libri che leggeva, nonché a «editarli», rilegandoli con tanto di copertina. Condivideva questa passione con l’amica Zaza, che morì prematuramente nel 1929, senza realizzare il sogno di scrivere.
ZazaZaza è uno dei personaggi principali di Mémoires d’une jeune fille rangée (Memorie di una ragazza per bene), primo degli scritti autobiografici, in cui Simone de Beauvoir racconta la sua infanzia e la genesi del suo percorso intellettuale. In questo mémoire, Zaza rappresenta la scrittura «uccisa» dalle convenzioni di una famiglia altoborghese, che le aveva impedito di emanciparsi spingendola al matrimonio. A lei fa da contrappunto la personalità indipendente di Simone de Beauvoir, che racconta le sue peregrinazioni notturne, in solitaria, nei bistrot parigini.
Simone De Beauvoir e Jean-Paul Sartre a Roma nel 1963 — Fonte: getty-images
La scrittura come strumento di liberazionePer scelta, Simone de Beauvoir non si sposò mai, e identificò nella scrittura il suo principale strumento di liberazione. In un modo o nell’altro, tutti i suoi scritti sono di ispirazione autobiografica: l’impegno in letteratura significò, per lei, partire sempre dalla sua condizione di donna.
La relazione d’amore e intellettuale con SartrePresto decise che voleva insegnare, così si iscrisse all’università. Nel 1929 passò il concorso dell’Agrégation in filosofia, arrivando seconda: il primo classificato era Jean-Paul Sartre, filosofo dell’esistenzialismo. Lei lo chiamava “Sartre”, lui la soprannominò “il Castoro”, animale industrioso (dall’assonanza del suo cognome con l’inglese beaver): tra i due iniziò una relazione d’amore e un sodalizio intellettuale che durò tutta la vita. Erano una coppia originale, non esclusiva, basata sulle idee di necessità, libertà e trasparenza.
I primi romanzi e la rivista “Tempi moderni”Simone de Beauvoir insegnò fino al 1943, poi, dopo il successo del suo primo romanzo L’invitée (L’invitata), si dedicò solo alla scrittura. Nel 1945 fondò, insieme a Sartre e altri, la rivista Tempi moderni, che si prefiggeva di dare spazio alla letteratura impegnata, e pubblicò Le Sang des autres (Il sangue degli altri). Nel 1947, negli Stati Uniti, incontrò lo scrittore Nelson Algren, di cui si innamorò.
Il secondo sesso: saggio sul femminismoNel 1949 pubblicò Le deuxième sexe (Il secondo sesso), che diventò un saggio cardine del femminismo, anche se Simone de Beauvoir si definì femminista solo a partire dal 1970: «Lo sono diventata soprattutto dopo che il libro [Il secondo sesso] è esistito per altre donne». Si impegnò per la legalizzazione dell’aborto, firmando nel 1971 il Manifesto delle 343.
L’autobiografiaNel 1954 il romanzo Les mandarins (I mandarini) valse a Simone de Beauvoir il premio Goncourt, e nel 1958 pubblicò Mémoires d’une jeune fille rangée, iniziando l’impresa autobiografica che continuò con La force de l’age (nella traduzione italiana L’età forte, 1960), La force des choses (La forza della cose, 1963), Une morte très douce (Una morte dolcissima, 1964), Tout compte fait (A conti fatti, 1972), La Cérémonie des adieux (La cerimonia degli addii, 1981).
Raccolta di raccontiNel 1967 Simone de Beauvoir pubblicò la raccolta di racconti La femme rompue (Una donna spezzata). Nel 1968 lei e Sartre parteciparono attivamente agli eventi del maggio.
Morte di Simone de BeauvoirSimone de Beauvoir continua a scrivere negli ultimi anni di vita nella sua casa di Parigi, fino al 14 aprile del 1986, giorno della sua morte. La scrittrice viene seppellita nel cimitero di Montparnasse, accanto a Jean-Paul Sartre, suo compagno di vita.
Quando Simone de Beauvoir morì, nel 1986, centinaia di donne parteciparono al suo funerale, e la scrittrice Elisabeth Badinter gridò: “Donne, a lei dovete tutto!”.
Le opere di de Beauvoir si dividono tra romanzi, memorie, saggi e scritti filosofici.
RomanziAl centro di tutti i suoi romanzi c’è il tema del rapporto con l’Altro come momento essenziale di presa di coscienza di ogni individuo:
MemoriePer Simone de Beauvoir scrittura e vita non potevano esistere l’una senza l’altra. L’impresa autobiografica accompagna quasi tutte le tappe della sua vita:
Saggi e scritti filosoficiSimone de Beauvoir scrisse alcuni saggi come Faut-il brûler Sade? (Bruciare Sade? 1955) e La vieillesse (La terza età, 1960), ma nessuno di ampiezza e importanza parti a Il secondo sesso.
Successo e criticaQuando il libro uscì alcuni lettori si aspettavano uno scabroso racconto sessuale: furono delusi di fronte alle quasi mille pagine di trattazione sulla condizione della donna. Il primo volume vendette 22.000 copie in una settimana, l’edizione tascabile del 1969 raggiunse le 750.000 e venne tradotto in 33 lingue. Messo all’indice dal Vaticano, fustigato sia da destra che da sinistra, il libro si fonda sull’assunto che «donna non si nasce, si diventa».
L’identità della donna in FranciaFin dal quindicesimo secolo, in Francia, le donne scrittrici iniziarono a scardinare il modello interpretativo dominante in letteratura: quello maschile. Nel 1405, la protofemminista Christine de Pizan, ne Le livre de la Cité des dames, considerava l’identità della donna non come un fatto di natura, ma come il risultato di influenze storiche, sociali e culturali. De Beauvoir compì questa operazione dal punto di vista filosofico, inaugurando la riflessione ontologica dal punto di vista di genere: «traducendo» cioè, per la prima volta, la filosofia nella lingua del femminismo.
Simone De Beauvoir, 1953 — Fonte: getty-images
StrutturaDal punto di vista della struttura, il libro nella prima parte analizza i punti di vista sulla donna adottati dalla biologia, dalla psicanalisi, dal materialismo storico, dalla letteratura. La seconda analizza come si è costituita la realtà femminile, e quali sono le conseguenze su di essa dei punti di vista maschili passati in rassegna in precedenza; quindi descrive il mondo, dal punto di vista delle donne, per come è stato loro proposto.
Come definire la natura della donnaPer definire la natura della donna, la filosofa rifiuta nozioni come «eterno femminino», e sostiene che sia necessario superare il dibattito – per lei conchiuso in sé stesso – su superiorità, inferiorità o uguaglianza tra uomo e donna, per ricominciare la discussione da zero, con altri termini.
Analizzare la condizione femminileA partire dall’assunto che la funzione biologica di femmina non è sufficiente a definire una donna, si chiede allora: che cos’è una donna? Se essere donna non è un mero dato naturale, ma una costruzione culturale, la condizione femminile va analizzata: quali circostanze limitano la libertà di una donna e può essa oltrepassarle? Se la risposta è sì, quali strade si aprono perché una donna si realizzi?
I riferimenti filosoficiPer rispondere a queste domande, i principali riferimenti filosofici che utilizza sono evidentemente l’esistenzialismo, e poi Hegel, Lacan e Lévi-Strauss.
Raggiungere l’indipendenzaSecondo De Beauvoir, per sottrarsi alla sua condizione di inferiorità imposta, una donna deve perseguire la propria emancipazione, tramite il raggiungimento dell’indipendenza economica e culturale.
Romanzi: il tema di fondo è sempre il rapporto con l’Altro
Memorie: Raccontano le tappe della sua emancipazione e il suo percorso intellettuale, prima da sola poi insieme a Sartre
Saggi e scritti filosofici:
Franco Leggeri Fotoreportage- Brani e foto da Murales Castelnuovesi -I tetti di Castelnuovo di Farfa, il mio Dedalo.Scoprire, o riscoprire Castelnuovo, cercando di aver gli occhi disincantati, mi permette comunque di vederne l’anima del mio Dedalo la più popolare, la più vissuta dalla gente comune. Scopro e riscopro, nuovo punto di vista, dopo tanti anni i vicoli del mio “Borgo Dedalo”, dove ho trascorso l’infanzia e la mia giovinezza che, nell’età dell’incoscienza, appare eterna. Se da adulti, in modo crudo, ci rendiamo conto che la vita passa in fretta, ci consola il pensiero che l’eterno rimane non nella materia, ma nelle vibrazioni, nelle sensazioni che aleggiano intorno a noi e che percepiamo secondo la nostra sensibilità e i nostri stati d’animo. Ora, osservando i tetti, vale la pena ricordare e raccontare e magari riflettere su queste nuove sensazioni che danno i tetti di Castelnuovo. Quante cose sono cambiate in queste vie , tante persone ,attori nella mia fanciullezza, non esistono più, altre sono invecchiate e altre ancora sono lontano altrove a cercare una vita diversa . E’ strano cercare dai tetti, di aprirli, e vedere, nei ricordi, le persone che abitavano la casa, scoprire l’atmosfera, rivivere gli stati d’animo con occhi diversi, con esperienza ,“lunga esperienza della vita”, reinventare ed animare anche i più piccoli dettagli del quotidiano la vita semplice e minimalista di una volta.
Vedo le vie di Dedalo là dove diventano più ripide, più stette , gli incroci e giù per i vicoli e scalette e ancora piccoli cortili e scale buie, soprattutto d’inverno. Nel mio paese, nel mio Dedalo ora sono cambiate molte, moltissime cose forse troppe .Sono cambiate le persone, le case, anche le storie non sono più le stesse. Ma il “Borgo Dedalo” , il mio Castelnuovo , quello carico di storie scritte su di epigrafi marmoree “inchiodate” nella mia anima. Queste storie, immutabili e solide, che parlano e raccontano alla mia memoria, come una canzone poetica infinita ,di un Castelnuovo tramontato per sempre. Il mio paese, Castelnuovo, il mio Dedalo è un posto così sconosciuto alla “nuova gente” che ora lo abita e lo “consuma” e che ne distrugge il verde e la sua storia. La “nuova gente” che non ha
l’abitudine di menzionarne il nome del mio Dedalo. La “nuova gente” non può ricordare la musica , dolci suoni, che uscivano da ogni porta , non può godere il trionfo delle emozioni e la purezza dei sogni che nascondono i cuori carichi di emozioni che creano le case del “mio paese” .
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Se Castelnuovo si legge come uno spartito musicale ……
……….ed è così che da quelle porte sarebbe uscito il suono di un pianoforte o un di violino o di un’arpa o di una batteria, in un trionfo di suoni, braccia aperte e cuori vibranti, e palpitante di emozioni.
Questo è il mio sogno più puro.
Un sogno che tengo ancora nascosto da qualche parte dentro di me, ma al quale ho smesso di credere.
A Castelnuovo è amministrato il razzismo ed è ancora in uso , forte consumo, il filo spinato che traccia il confino e i confini per gli esclusi.
Le vibrazioni dell’anima sono respinte da un muro di odio.
“ipocrisia, incapacità, odio e degrado morale.”
È questo l’inno, la lugubre nenia , che cantano e suonano gli assassini della Libertà.
La mia musica, quella che scrive la mia penna,
La musica che scrivo sul foglio bianco è in cerca dei tasti bianchi e neri.
Si ferma ad ascoltarmi e mi accarezza i capelli.
Castelnuovo non regge l’odio e l’astio.
Castelnuovo che naviga nel cielo e vola, lo prego, aggrappato alla mia fantasia.
Castelnuovo le prime note,
i primi palpiti di cuore, i tanti circoli viziosi ,
sì, questi sono i pensieri per un’opera incompiuta.
I ricordi dei volti rigati
con lacrime di dolore .
Castelnuovo non piangeva, ma non era triste, aveva capito.
Castelnuovo ,il suo volto rigato dalla commozione…………………..
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Brani tratti dal libro di Franco Leggeri-Castelnuovo, la riva Sinistra del Farfa
NOTA-la foto di Castelnuovo è del 1920, forse anche prima. Il Campanile , come si può vedere, ancora non è stato restaurato. I lavori di restauro, forma attuale, furono eseguiti nel 1935. Da questa foto mancano tante nuove costruzioni e sopraelevazioni..
Franco Leggeri brani dal libro “Murales Castelnuovesi” –Castelnuovo di Farfa-Il mattino a Castelnuovo, al risveglio, certe volte, mi piace prendere tempo per poi decidere se scriverò qualcosa. Ogni risveglio lo devo immaginare come il ritorno a Castelnuovo per la prima volta, cercando di pensarlo circondato da una terra sconosciuta :la Valle del Farfa. Poi prende il sopravvento il profumo del caffè e così inizio un nuovo giorno con il foglio bianco e una carovana di pensieri da trascrivere. Una collezione di immagini che pian piano si andranno, possibilmente, a sistemarsi nello spazio delle pagine non scritte. Poi uscire dalla staticità e, al terzo caffè, iniziare un viaggio negli scaffali dei libri che forse non leggerò .Muovo i libri come pedine nella scacchiera della mente , quasi sempre,poi, il desiderio di scrivere mi riporta alla scrivania. Sì, così esco dalla notte ,dai pensieri e dai disegni bui . Segni poggiati nel nulla e nel nero ma poi , pian piano, la planimetria e il progetto della pagina diventa chiaro e ben definito. E’ questo un Gennaio diverso, freddo ma con un silenzio che ricorda il momento triste della pandemia. Oggi è il GIORNO DELLA MEMORIA, e allora ecco di cosa scrivere su questo foglio bianco. Il 27 gennaio, qui a Castelnuovo, sono tutti eruditi e acculturati “storici “ .Peccato che i cosiddetti “storici” alla “castelnuovese” non ricordino perché e come iniziò l’orribile olocausto. Ma voi che vi riempite la bocca di “MEMORIA”, sì dico a voi che, con le vostre bocche piene delle parole “cultura e memoria”, gridate e vi stracciate le vostre giacchette “firmate” e continuate tutte le volte a dire e a scrivere :”Affinché non accada mai più! “. E anche oggi continuate a dirlo!E allora vi chiedo se veramente ricordate com’è iniziato l’orribile olocausto.Non certo con i campi di sterminio, non certo con i lager, non certo con le deportazioni di massa.Iniziò con l’eliminazione del dissenso, con il controllo e la paura. Iniziò con l’eugenetica. Iniziò con la divisione del popolo in categorie. Iniziò con il sospetto e la sfiducia del vicino. Voi che riempite le vostre bocche della parola “MEMORIA”, poi isolate le persone solo perché di intralcio alla vostra narrazione tesa a coprire le vostre politiche. Voi che predicate la Democrazia, siete stati i creatori del “LISTONE UNICO” , di triste memoria, oggi al “potere”. Voi isolate e cancellate la VERA STORIA CASTELNUOVESE, manovrandola e incanalandola nella direzione , a beneficio, del vostro “potere” . Credo che “la clessidra” e “il vostro tempo” si stia esaurendo, ma continuerete a cercare ogni scappatoia per galleggiare ancora per un po’. Credo che ognuno di voi avrà presto una casella che si è costruita nei “Gironi” del Nostro Castelnuovo. Concludo questa mia nota con i versi del Sommo Poeta:” E quindi uscimmo a riveder le stelle (Inferno XXXIV, 139)”.
Castelnuovo di Farfa :” La SMEMORIZZAZIONE” dei Giovani castelnuovesi e gli avvinazzati “AMARCOD da CANTINA” .
Castelnuovo di Farfa-A Castelnuovo è in atto una operazione di “SMEMORIZZAZIONE” . Operazione di pura barbarie porta avanti da individui “APPECORONATI” e “ACCAPEZZATI” che conducono, da sempre, una vita da servi e ascari dei vari capibastone. Questi personaggi, ahimè, sono addetti alla demolizione di Castelnuovo. Questi barbari ne distruggono la storia , le tradizioni ed esiliano, culturalmente, i nativi non graditi ai capibastone. Evidentemente questi ascari ,ed i vari sotto panza, non comprendendo che senza memoria storica le società , in particolare le piccole comunità, sono candidate all’autodistruzione se non a quella fisica: certamente a quella morale e culturale. Gli appecoronati castelnuovesi non comprendono che la storia serve certamente a conoscere il passato: ma in funzione del presente e nella prospettiva del futuro. E’ questo, a mio avviso, che sta avvenendo a Castelnuovo. La maggior parte dei giovani castelnuovesi è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale è mancato ogni tipo di rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono e non hanno radici che si nutrono dell’Orgoglio Castelnuovese. E dunque, se non è una scempiaggine, è per lo meno un’ingenuità ritenere che il passato sia passato del tutto o stia sepolto o fermo nella “teca del tempo”. Al passato, anche il più gravoso, – certo se ne abbiamo la forza e la capacità –, può essere restituita energia, fino a farne sprizzare fuori qualcosa di utile non solo per il presente ma anche per il futuro. Se tutto questo discorso vale per la storia in generale credo che sia ancor più valido per la storia locale. Voglio ricordare ai giovani castelnuovesi che la prima identità si forma nei luoghi dove nasciamo. L’identità è ,in gran parte, un abito dismesso da chi ci ha preceduto, noi lo ritroviamo, lo rattoppiamo e se il rammendo sarà eseguito bene allora l’abito diventa anche più bello di quello che abbiamo trovato. Ma se di quell’abito dismesso,-memoria-, ci vergogniamo e lo buttiamo allora indossiamo altri abiti e questo, ahimè, nel tentativo di travestirci da quello che non siamo e , quindi, noi crediamo di esistere solo se rassomigliamo a qualcuno visto in qualche altra parte ma sicuramente non a Castelnuovo allora , sicuramente, non saremo mai veri castelnuovesi.
Franco Leggeri –Castelnuovese
Franco Leggeri-POESIA Castelnuovo noi che siamo andati via-Biblioteca DEA SABINA
dall’introduzione Murales Castelnuvesi :“-………..E’ innegabile che la maggior parte dei morti tace. Non dice più niente. Ha – letteralmente – già detto tutto. Ho cercato di raccogliere, scrivere, un flusso tempestoso o calmo di pensieri: Emozioni che ho cercato di trasformare in poesia. Ho cercato di attraversare il confine verso la prateria della poesia, dove riposano i Castelnuovesi………..”.
Castelnuovo noi che siamo andati via.
Noi castelnuovesi che abbiamo viaggiato dietro la polvere
alzata dagli zoccoli dei cavalli del padrone.
Noi che abbiamo bevuto l’acqua del nostro fiume Farfa
e mangiato il pesce pescato in quelle Gole
maestre del nostro nuoto .
Castelnuovo , siamo andati via
seguendo la luna del mattino
tra gli sguardi nascosti dietro le finestre.
Siamo andati via cercando il sole,
il suo nascondiglio dietro Fara.
Siamo andati via , non ricordo, o non voglio ricordare la stagione
dei silenzi, madre dei nostri mille perché.
Siamo andati via noi che conoscevamo
il suono della cedra solo dal racconto dei vecchi castelnuovesi
guerrieri reduci di assurde e folli guerre in terre lontane.
Siamo andati via , noi poveri tra i poveri,
accolti da Pasolini e da Mamma Roma.
Siamo stati neorealismo e protagonisti
di pellicole in bianco e nero.
Castelnuovo, noi torniamo con le nostre cicatrici e i nostri racconti.
Noi castelnuovesi abbiamo nostalgia
dei vecchi sorrisi , di volti amici,
siamo tornati con lo zaino ancora pieno di perché.
Siamo tornati alla ricerca dei suoni e voci antiche,
quelle conservate in angoli chiusi e bui.
Siamo tornati per rileggere lapidi a noi care.
Castelnuovo, siamo tornati ora
tra sguardi estranei alle nostre cicatrici.
Eppure, Castelnuovo
noi non siamo mai andati via
perché abbiamo nelle nostre vene il tuo sangue.
Torniamo a prenderci e testimoniare quel che nessuno
potrà mai riscrivere o certificare: la nostra Storia.
La Storia quella che abbiamo lasciato
chiusa dietro le nostre vecchie porte.
Castelnuovo, si quelle porte dove aspettavamo
di uscire dietro i passi certi da seguire.
Castelnuovo, siamo tornati forti con il coraggio di terminare
l’inverno e l’amara stagione dei rancori e dell’odio.
Castelnuovo, siamo tornati per testimoniare,
per essere humus della nostra Storia .
Castelnuovo, riportiamo il tuo sangue
per nutrire il sogno vecchio e nuovo
di un Castelnuovo futuro.
Franco Leggeri, castelnuovese–
Dalla raccolta Murales Castelnuovesi
Il Comune di Viterbo e ATCL – Circuito multidisciplinare del Lazio sostenuto da MIC – Ministero della Cultura e Regione Lazio, presentano, al Teatro dell’Unione, domenica 9 febbraio alle ore 18,00, Italian Dire Straits Tribute Band. Il progetto di quella che viene oggi definita la miglior tribute band dei Dire Straits nasce nel dicembre del 2008. Da allora ha suonato in tutta Europa in club, teatri, festival e location open air. Riprodurre le sonorità dei Dire Straits non viene preso alla leggera e la band lo fa con grande professionalità e rispetto, grazie a sonorità molto vicine a quelle di Mark Knopfler, con un pizzico di interpretazione originale. Il repertorio spazia su tutta la discografia dei Dire Straits, alternando i grandi classici quali “Sultans of Swing”, “Tunnel of Love”, “Telegraph Road”, “Romeo and Juliet”, “Brothers in Arms”, “Money for Nothing”, “Private Investigations” a pezzi più particolari come “News”.
Biglietti
Platea €22 + prev – Ridotto €20 + prev
Palco I fila €20 + prev – Ridotto €18 + prev
Palco II fila €17 + prev – Ridotto €15 + prev
La biglietteria del Teatro è aperta dal martedì al sabato con orario 10.00 – 13.00 e 15.00 – 19.00.
Aperto anche di domenica, con gli stessi orari, solo in caso di spettacolo o altre attività.
Chiuso il lunedì.
Per informazioni:
teatrounioneviterbo@gmail.com
Tel. 388 95 06 826
www.teatrounioneviterbo.it
Teatro dell’Unione https://www.facebook.com/teatrounioneviterbo/
ATCL – Circuito Multidisciplinare del Lazio https://www.facebook.com/atcl1
Teatrounione https://www.instagram.com/teatrounione/
ATCL Lazio https://www.instagram.com/atcl_lazio/
il Teatro Unione (o Teatro dell’Unione) è il principale teatro della città di Viterbo. La sua costruzione ed il suo nome derivano dalla “unione” di un gruppo di cittadini viterbesi che nel 1844 formarono la “società dei palchettisti”, con a capo il conte Tommaso Fani Ciotti.[1]
Costruito su progetto dell’architetto Virginio Vespignani, il teatro venne inaugurato nel 1855 con il melodramma Rigoletto di Giuseppe Verdi, anche se a causa del censore pontificio Giuseppe Gioachino Belli per l’opera venne usato il titolo di Viscardello.[2][3][4]
Palco del Teatro Unione visto dalla platea
In seguito ai gravi danni dovuti ai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, vista la necessità di reperire ingenti somme per la sua ricostruzione, termina il condominio tra la Società dei Palchettisti ed il Comune, che fino a quel momento aveva amministrato il teatro. Dal 9 dicembre 1949, con decreto prefettizio, la proprietà è totalmente comunale.[5]
Foyer del Teatro Unione e Carrozza dei Priori (1700).
L’edificio è situato nel centro storico in piazza Verdi (comunemente detta piazza del Teatro).
Dopo un lungo periodo di chiusura di oltre sei anni dovuto a lavori di ristrutturazione, il Teatro è stato riaperto al pubblico il 13 giugno 2017 nell’occasione di un incontro con lo scrittore americano Jeffery Deaver.[6][7]
Dal dicembre 2017 la programmazione delle stagioni di prosa, danza e teatro ragazzi è curata dall’Associazione Teatrale fra i Comuni del Lazio.[8][9][10][11] Il teatro ospita inoltre il concorso internazionale di canto Premio Fausto Ricci che ha visto come Presidenti di Giuria personalità del mondo della lirica come Fiorenza Cossotto, Desirée Rancatore, Fiorenza Cedolins, Luciana Serra e Alfonso Antoniozzi nonché direttori e casting manager di importanti teatri d’opera italiani ed europei, e, per l’edizione 2020, il celebre tenore spagnolo José Carreras[12][13].
Soffitto del Teatro Unione.
Fino alla seconda metà dell’Ottocento, il teatro principale di Viterbo era il Teatro del Genio, ma era ormai ritenuto non più adeguato, sia per la capienza che per la sua scarsa connotazione sul tessuto urbano.[1]
Il Teatro dell’Unione divenne nell’Ottocento il primo per importanza e prestigio poiché l’impulso che ne permise l’edificazione fu la passione, comune a quasi tutte le principali città italiane, per l’opera lirica.
Il progetto prevedeva una nutrita partecipazione sia da parte della società dei palchettisti che da parte dello stesso Comune, il quale garantì l’acquisto di almeno cinque palchi. Il primo atto della società fu l’elezione della Deputazione Teatrale, composta dal Delegato Apostolico Mons. Orlandini e da sei deputati: Tommaso Fani, Antonio Calandrelli, Domenico Liberati, Giuseppe Signorelli, Cesare Calabresi e Vincenzo Federici, ingegnere comunale.[5]
La scelta della località dove erigere il Teatro ricadde sulla Contrada San Marco, dopo aver scartato l’idea di abbattere il Teatro del Genio e le abitazioni vicine per costruirvi il nuovo edificio. La Deputazione propose inoltre di dare all’Unione la forma del Teatro Argentina di Roma.[14]
Il 20 Giugno 1845 fu bandito l’appalto concorso per la costruzione del Teatro, l’incarico di valutare i progetti fu attribuito all’Accademia Nazionale di San Luca e la scelta ricadde sull’architetto Virginio Vespignani, esponente di spicco del tardo “classicismo eclettico”.[5]
Inaugurato nel 1855 con una stagione lirica che durò dal 4 agosto al 25 settembre e che comprendeva ben tre melodrammi e un balletto, la prima stagione si rivelò un vero e proprio successo. Negli anni successivi andò aumentando l’interesse del pubblico, sia con melodrammi che con lavori di prosa del repertorio dell’epoca e dai primi del ‘900 il teatro ospitò anche alcuni spettacoli cinematografici. Durante la seconda Guerra mondiale il teatro fu gravemente danneggiato e a causa della necessità di reperire ingenti somme per la ricostruzione il comune ne diventò unico proprietario.[5]
Facciata del Teatro dell’Unione di Viterbo
La sua conformazione architettonica propria dei teatri all’italiana è caratterizzata dalla separazione tra sala e scena, dalla simmetria e dalla prospettiva dell’impianto, il palco in declivio, la divisione “classistica” o “gerarchica” dei posti nonché le raffinate decorazioni fanno del Teatro dell’Unione un vero e proprio gioiello tra i teatri storici italiani.[5]
La capienza del teatro è di 574 posti, di cui 188 in platea a cui vanno aggiunti 4 posti per disabili e altrettanti per i relativi accompagnatori. I palchetti sono in totale 97 e sono disposti su 4 ordini. Il loggione non è agibile per motivi di sicurezza.
Dopo i lavori di restauro la graticcia è stata completamente rinnovata, così come la quadratura nera ed il sipario. Il palco ha 3 americane motorizzate.
Roma Capitale-Ingresso gratuito per tutti domenica 2 febbraio,2025 prima domenica del mese, nei siti del Sistema Musei di Roma Capitale e in alcune aree archeologiche della città. Saranno aperti a ingresso libero il Parco Archeologico del Celio (ore 7-17.30), con il Museo della Forma Urbis (10:00 – 16:00 con ultimo ingresso alle ore 15:00, iIngressi viale del Parco del Celio 20/22 – Clivo di Scauro 4); l’Area Sacra di Largo Argentina (via di San Nicola De’ Cesarini di fronte al civico 10, 9:30 – 16:00, ultimo ingresso ore 15), l’area archeologica del Circo Massimo (ore 9:30 – 16:00, ultimo ingresso ore 15), Villa di Massenzio (via Appia Antica 153, dalle 10 alle 16, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura) e i Fori Imperiali (ingresso dalla Colonna Traiana ore 9:00 – 16:30, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura).
Questi i musei civici aperti a ingresso gratuito per l’occasione: Musei Capitolini; Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali; Museo dell’Ara Pacis; Centrale Montemartini; Museo di Roma; Museo di Roma in Trastevere; Galleria d’Arte Moderna; Musei di Villa Torlonia (Casina delle Civette, Casino Nobile, Serra Moresca); Museo Civico di Zoologia.
L’iniziativa è promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Ingresso libero compatibilmente con la capienza dei siti. Prenotazione obbligatoria solo per i gruppi al contact center di Roma Capitale 060608 (ore 9-19).
A ingresso gratuito sia le collezioni permanenti che le esposizioni temporanee, a partire dai Musei Capitolini (piazza del Campidoglio 1) dove si potrà ammirare, nelle sale terrene del Palazzo dei Conservatori, Tiziano, Lotto, Crivelli e Guercino. Capolavori della Pinacoteca di Ancona, una selezione di grandi opere provenienti dalla Pinacoteca Civica ‘Francesco Podesti’ di Ancona. Sei prestigiose tele protagoniste di un percorso espositivo che racconta l’importanza della collezione della Pinacoteca. Nella Sala degli Arazzi del Palazzo dei Conservatori, Agrippa Iulius Caesar, l’erede ripudiato. Un nuovo ritratto di Agrippa Postumo, figlio adottivo di Augusto, tre ritratti di Agrippa Postumo, uno appartenente alle collezioni dei Musei Capitolini, un altro proveniente dagli Uffizi e il terzo della Fondazione Sorgente Group, in cui, solo di recente, si è riconosciuto lo sfortunato erede di Augusto.
Nelle sale di Palazzo Clementino l’ingresso gratuito comprende la visita a I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, un’ampia panoramica sull’uso dei marmi colorati, dalle origini fino al XX secolo, attraverso una raffinata selezione di pezzi provenienti dalla Fondazione Santarelli.
La prima domenica del mese può essere infine l’occasione per ammirare, nel giardino di Villa Caffarelli, l’imponente ricostruzione in dimensioni reali del Colosso di Costantino, una statua alta circa 13 metri realizzata attraverso tecniche innovative, partendo dai pezzi originali del IV secolo d.C. conservati nei Musei Capitolini. (www.museicapitolini.org).
Al Museo di Roma in Trastevere (piazza S. Egidio 1/b) sarà possibile visitare la nuova mostra L’albero del poeta. La quercia del Tasso al Gianicolo. Attraverso documenti, fotografie, grafiche, dipinti e testimonianze, molte delle quali esposte per la prima volta, il visitatore potrà riscoprire l’importanza di questo luogo caro a Torquato Tasso, e il suo legame indissolubile con la città di Roma.
Al piano terra l’esposizione Roma ChilometroZero, un lavoro fotografico di ricerca in cui 15 fotografi romani documentano la complessità, i cambiamenti e le particolarità della città. Infine, nella sala del pianoforte al primo piano, prosegue Testimoni di una guerra – Memoria grafica della Rivoluzione Messicana, 40 fotografie provenienti dal prestigioso Archivio Casasola, che percorrono le tappe fondamentali della Rivoluzione Messicana, periodo in cui sono sorte figure che hanno segnato la storia messicana. (www.museodiromaintrastevere.it).
Ai Musei di Villa Torlonia (via Nomentana 70) nelle sale del Casino dei Principi Titina Maselli nel centenario della nascita, un’ampia visione retrospettiva dell’opera di un’artista che ha attraversato con grande autonomia e libertà visiva molte correnti pittoriche, senza mai aderire a una in particolare.
Alla Casina delle Civette è possibile ammirare l’esposizione Niki Berlinguer. La signora degli arazzi, una panoramica completa della produzione di arazzi realizzati dall’eminente tessitrice e artista, pioniera nel tradurre la pittura in narrazioni tessili (www.museivillatorlonia.it).
Negli spazi della Galleria d’Arte Moderna (via Francesco Crispi 24), la mostra Estetica della deformazione. Protagonisti dell’Espressionismo Italiano, una selezione delle opere della collezione Iannaccone di Milano relative alla linea espressionista dell’arte italiana tra gli anni Trenta e Cinquanta – dalla Scuola Romana al gruppo Corrente.
Domenica 2 febbraio sarà anche l’ultima occasione per ammirare À jour. Laura VdB Facchini, un progetto site-specific in dialogo con il complesso monumentale tardo-cinquecentesco che oggi ospita il museo, ispirato dal ricamo à jour, come omaggio alle monache che per secoli hanno abitato questo luogo. Nelle sale al secondo piano prosegue il successo della mostra “La poesia ti guarda”. Omaggio al Gruppo 70 (1963-2023), una selezione di opere di uno dei sodalizi artistici più interessanti sorti nel contesto delle neoavanguardie e delle ricerche verbovisuali italiane. Sarà inoltre ancora possibile ammirare L’allieva di danza di Venanzo Crocetti. Il ritorno, una delle prime sculture di grande formato dedicate al tema della danza di Crocetti, tornata in tutta la sua magnificenza dopo un restauro da parte dei tecnici dell’ICR. (www.galleriaartemodernaroma.it).
Aperti regolarmente al pubblico anche i musei abitualmente ad ingresso libero: Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco; Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese; Museo Pietro Canonica a Villa Borghese; Museo Napoleonico; Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina; Museo di Casal de’ Pazzi; Museo delle Mura; Villa di Massenzio.
Al Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese (via Fiorello La Guardia 6 – viale dell’Aranciera 4) la mostra Sandro Visca – Fracturae, un’occasione unica per esplorare la produzione dell’artista abruzzese con particolare attenzione al suo continuo dialogo tra la materia e la sua messa in forma. (www.museocarlobilotti.it )
Al Museo Napoleonico (Piazza di Ponte Umberto I 1) si potrà ammirare Carolina e Ferdinando. E non sempre seguendo il dopo al prima, sculture, incisioni, installazioni multimediali di Gianluca Esposito che esplorano artisticamente le relazioni fra Maria Carolina d’Asburgo Lorena, il marito Ferdinando IV di Borbone e il Regno di Napoli. (www.museonapoleonico.it )
Per ulteriori informazioni contattare lo 060606 e consultare il sito www.museiincomuneroma.it