Grottaferrata a Villa Cavalletti- La Fusione Dinamica: dove l’Arte incontra la Scienza
A Grottaferrata a Villa Cavalletti-Un incontro con la fusione dinamica, il “caos controllato” che dà vita alle stelle e alla bellezza.Sarà il fil rouge che segnerà il viaggio alla scoperta di Arte, Scienza e Territorio, a cui si assisterà martedì 4 marzo nella splendida Villa Cavalletti.
Presentazione della Fusione Dinamica di Andrea Roggi
La fusione dinamica è la tecnica brevettata dallo studio dell’artista Andrea Roggi, che verrà presentata proprio nella prestigiosa Villa. Attraverso il movimento dello stampo durante la colata del bronzo, Roggi trasforma l’imprevedibilità in bellezza, creando opere uniche e irripetibili.
“Sono profondamente felice di partecipare a questo evento in un contesto storico così prestigioso, dove passato e innovazione si intrecciano armoniosamente. Villa Cavalletti, con la sua anima antica e la sua vocazione all’ospitalità, diventa il luogo ideale per celebrare l’incontro tra Arte e Scienza, due forze che hanno sempre guidato il mio percorso creativo e umano.
La fusione è molto più di un processo tecnico o artistico: è una metafora della vita stessa, dove l’unione di elementi differenti genera qualcosa di straordinario. Così come nel cuore delle stelle, in cui l’idrogeno si trasforma in luce e materia, anche nelle mie opere prende vita un’energia creativa che sfida il caos per trasformarlo in ordine”, afferma l’artista.
Grottaferrata a villa Cavalletti-Un incontro con la fusione dinamica
L’Arte incontra la Scienza
Questo concetto ci riporta all’istante iniziale dell’universo, quando, 13,8 miliardi di anni fa, il Big Bang diede origine al tempo e allo spazio. In quel caos primordiale, materia e antimateria si annichilarono quasi completamente, lasciando un lieve eccesso di materia che, raffreddandosi, iniziò a tessere la trama dell’esistenza. Grazie alla fusione nucleare, l’universo buio e informe si accese di luce, dando vita a stelle, pianeti e galassie.
Non è un caso che si parli di questi argomenti proprio a Frascati, nell’area di ricerca tuscolana – la più grande d’Europa – che ospita le sedi dei più importanti enti di ricerca nazionali ed europei e conta oltre 2.000 ricercatori. Qui si lavora al DTT (Divertor Tokamak Test), un esperimento chiave per il futuro della fusione come fonte di energia sicura e sostenibile. Questo progetto, guidato dall’ENEA, rappresenta un passo cruciale verso un’energia potenzialmente inesauribile, capace di rivoluzionare il nostro modo di produrre e consumare elettricità.
Villa Cavalletti, 4 marzo ore 16:30
Il 4 marzo, a partire dalle 16:30, Villa Cavalletti ospiterà l’incontro La Fusione Dinamica: dove l’Arte incontra la Scienza, realizzato in collaborazione con Frascati Scienza.
L’evento farà da cornice alla presentazione della tecnica della fusione dinamica, sviluppata dallo studio dell’artista Andrea Roggi, il quale dialogherà con Matteo Martini, professore all’Università Guglielmo Marconi e fisico, moderati dalla giornalista Giorgia Burzachechi.
Ogni occasione è buona per parlare di scienza, così, dopo la presentazione dell’artista, Matteo Martini, in compagnia del maestro gelatiere Dario Rossi, spiegherà tutti i processi chimico-fisici che avvengono durante la preparazione live del gelato con l’azoto.
La Villa è diventata un luogo simbolo per le attività di divulgazione scientifica dell’associazione Frascati Scienza: un punto d’incontro tra scienza, arte e vita quotidiana. Questo evento rafforza ulteriormente il legame, dimostrando come la scienza possa dialogare con l’arte per stimolare la curiosità e creare nuove connessioni.
Inaugurazione del Calendario Eventi 2025 di Villa Cavalletti
La presentazione sarà anche l’occasione per svelare il fitto calendario di eventi di Villa Cavalletti e del Museo dell’Olio.
Il Frantoio di Villa Cavalletti, situato nel Villino Rosso, è dedicato alla divulgazione e alla ricerca sulla cultura olivicola dei Castelli Romani: un luogo dove riscoprire le tradizioni e la qualità di una terra antica. Per l’anno in corso sono previsti numerosi eventi dedicati al grande pubblico tra arte, scienza, degustazioni, visite turistiche e yoga.
Per la realizzazione di questo calendario, una robusta sinergia è stata creata con importanti attori del territorio dei Castelli Romani, di Roma e non solo per sviluppare i format di eventi ed esperienze in particolare Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Frascati Scienza, Evooschool, Museo del Vino, Museo Tuscolano, The Circle of Life Art Gallery, Galleria Vittoria, Slow Food, Ospitalità Castelli Romani, Vignaioli in Grottaferrata, Greed, Erba Regina, Le Erbe della Luna.
In aggiunta cresce la proposta di Villa Cavalletti di spazi per eventi, team building aziendali, laboratori didattici ed esperienze per soggiorni cuciti sartorisalmente per far conoscere all’ospite l’identità e l’autenticità dei luoghi.
Aspetti della pittura barocca, in Amatrice. By Massimo Francucci
Descrizione del libro di Massimo Francucci–Piazze spaziose, alcuni bei palazzi e chiese gli danno aspetto di città. Tra queste è notevole la chiesa di San Francesco romanica, con un bel portale ogivale e una grande rosa, con l’interno ad una navata, con abside poligonale, deturpato da aggiunte di altari barocchi”. Declinata secondo i gusti del tempo, ancora incapaci di inserire il Barocco in un sistema critico coerente, questa descrizione di Amatrice inserita da Roberto Almagià nella voce dedicata alla cittadina nell’Enciclopedia Treccani (1929) esplicita inconsapevolmente la difficoltà di confrontarsi con la produzione pittorica amatriciana tra Seicento e Settecento. I problemi politici che nel secolo precedente erano culminati nel saccheggio da parte delle truppe imperiali nel 1528 e dieci anni più tardi nell’affidamento del feudo da parte di Carlo V al suo consigliere di guerra Alessandro Vitelli, si intensificarono ulteriormente nel Seicento, che vide il principe Alessandro Maria Orsini rinchiuso in Castel Sant’Angelo fino al 1683 con l’accusa di aver ucciso nel 1648 la moglie Anna Maria Caffarelli. Ai problemi politici vanno aggiunti i disastri naturali, quali i devastanti terremoti che colpiranno la zona e renderanno travagliata l’esistenza agli abitanti della cittadina laziale: il più terribile si verificò il 7 ottobre 1639 e produsse “la morte compassionevole di molte persone, la perdita di bestiami d’ogni sorta” 1 . In seguito l’evento sarebbe stato collegato alla maledizione lanciata contro Latino Orsini, signore della città, amante di spettacoli teatrali licenziosi, da San Giuseppe di Leonessa, il cui corpo venne trafugato dai suoi concittadini, approfittando proprio dell’assenza degli abitanti, che erano sfollati in seguito al sisma 2 . Non sorprenderà a questo punto che i dipinti di maggior pregio e interesse tra le opere seicentesche conservate precedano quel terremoto, di cui si sarebbero peraltro registrate repliche importanti nel 1672, nel 1703 e nel 1730. Ci si riferisce in particolare allo stupefacente San Lorenzo che adora la Trinità della chiesa di Sant’Agostino ( , un dipinto che sorprende per iconografia e composizione non propriamente canoniche e spicca per qualità pittorica. In basso a destra, con la dalmatica rossa, Lorenzo, inginocchiato al fianco della graticola, è colto nell’atto devoto di baciare il piede di Cristo, secondo un gesto che sembra richiamare il cerimoniale pontificio. A sinistra è raffigurato un desco con un libro aperto, penna e calamaio. Nella parte superiore si assiste a un aggrovigliarsi di figure che vede emergere come protagonista Cristo, volto a scrutare direttamente lo spettatore con sguardo fermo ma comprensivo, mentre con la destra benedice e con la sinistra sorregge un tomo con l’alfa e l’omega. Nelle pieghe dell’ampio manto rosso si 82. Paolo Guidotti, il “Cavalier Borghese”, San Lorenzo che adora la Trinità. Amatrice, chiesa di Sant’Agostino
Aspetti della pittura barocca, in Amatrice. Forme e immagini del territorio, a cura di A. Imponente, R. Torlontano. Milano, 2015, p. 132-143. By Massimo Francucci
Aspetti della pittura barocca, in Amatrice. By Massimo FrancucciAspetti della pittura barocca, in Amatrice. By Massimo FrancucciAspetti della pittura barocca, in Amatrice. By Massimo FrancucciAspetti della pittura barocca, in Amatrice. By Massimo FrancucciAspetti della pittura barocca, in Amatrice. By Massimo FrancucciAspetti della pittura barocca, in Amatrice. By Massimo Francucci
Allegate n.5 foto relative alla Processione del 1992.
Filetta , località sita a 5km. dal capoluogo Amatrice, dove il 22 maggio 1472 ,dalla pastorella Chiara Valente, fu trovata una piccola immagine incisa su di un cammeo , che fu venerata dal popolo.
AMATRICE-Santuario di Filetta del sec. XV:
Nello stesso anno(1472), nel luogo in cui avvenne il rinvenimento dell’Immagine , fu eretta la chiesa di Santa Maria dell’Ascensione.
Il Santuario, nella facciata principale , presenta un portale ad arco acuto, un campanile a doppia vela e, lateralmente, un secondo ingresso.
L’interno della chiesa è ad una sola navata, il soffitto è a carena. I dipinti, di notevole interesse, sono opera degli Artisti Dioniso Cappelli, Pier Paolo da Fermo e di altri pittori minori locali.
Ogni anno, la domenica dopo l’Ascensione, il reliquiario, contenente la Sacra immagine, è portato in processione , dalla chiesa di San Francesco di Amatrice sino al Santuario di Filetta.
La Processione, prima di avviarsi verso Filetta, sosta nella chiesa del Crocifisso in Amatrice, dove il reliquiario viene preso in consegna, dopo una piccola cerimonia, dal Parroco di S.S. Lorenzo a Flaviano, il quale ha la giurisdizione ecclesiastica su Filetta.
La processione dei fedeli riprende il cammino e giunta al torrente Mareta si congiunge con i cortei delle Confraternite di S.S. Lorenzo a Flaviano, che hanno il privilegio di accompagnare la Madonna del Santuario di Filetta, restando, come indica il cerimoniere, in prima fila. Questa processione , come è sopra descritta, si rinnova da secoli rispettando ogni parte del vecchio cerimoniale.
Le foto allegate al post:
A) Madonna di Filetta;
B) Santuario di Filetta del sec. XV:
C) Filetta di Amatrice – la casa della pastorella Chiara Valente, la quale, il 22 maggio del 1472, trovò la Sacra Immagine della Madonna;
D) Amatrice-Chiesa di San Francesco (sec.XIII)-Altare ligneo con fregi, capitelli e pregiati lavori d’intaglio. Al centro, la Sacra Immagine della Madonna di Filetta, custodita nell’artistico e prezioso reliquiario- Particolare :le famose 7 chiavi con cui viene chiusa.
E) Seguono n.5 foto relative alla Processione del 1992.
AMATRICE- Festa della Madonna della Filetta.AMATRICE-Santuario di Filetta del sec. XV:Filetta di Amatrice – la casa della pastorella Chiara Valente, la quale, il 22 maggio del 1472, trovò la Sacra Immagine della Madonna;AMATRICE-Sacra Immagine della Madonna di FilettaAMATRICE-foto relative alla Processione del 1992.AMATRICE-foto relative alla Processione del 1992.AMATRICE-foto relative alla Processione del 1992.AMATRICE-foto relative alla Processione del 1992.
ORVINIO SABINO -Carlo Magno e La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –
Si pensa che l’origine della struttura di Santa Maria del Piano possa risalire al IX secolo, collegata ad una vittoria dell’esercito di Carlo Magno sui Saraceni nella pianura adiacente. Dopo un periodo di notevole dinamismo e operosità, quando i monaci benedettini, legati alla potente abbazia di Farfa, estendevano i loro possedimenti su diversi paesi dei dintorni, a partire dal ‘500 iniziò una lunga fase di declino e abbandono in cui il sito veniva frequentato solo per alcune celebrazioni e le consuetudini rurali.
Un uso temporaneo come cimitero durante l’800, sommato a ripetuti crolli e saccheggi che i vari restauri non sono riusciti ad arginare, hanno condotto all’aspetto attuale. Il monumento, per quanto affascinante e armonicamente inserito nel paesaggio, risulta ormai privo di molti elementi architettonici impiegati per la sua costruzione e provenienti da resti di edifici romani e medievali della zona (capitelli, stipiti, fregi, bassorilievi). E’ interessante notare come per questi materiali, che in gergo tecnico vengono definiti “di spoglio” perché derivano dallo smantellamento di qualcosa di preesistente, il destino tenda a ripetersi.
Oggi di proprietà dello Stato, fino agli anni ’70 la struttura era del Comune di Orvinio , anche se dal punto di vista amministrativo l’area ricade nel comune di Pozzaglia Sabino . In tempi remoti, fra gli abitanti di questi due paesi si sono accese diverse contese per il possesso dell’abbazia e delle sue terre.
ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –
ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –
Pillole di storia
I ruderi della chiesa di Santa Maria del Piano e dell’attiguo monastero sorgono isolati sull’altopiano semideserto che si estende tra i due Borghi di POZZAGLIA e di ORVINIO subito a ridosso dei monti sabini all’estremità sud-orientale dell’antica Diocesi di Sabina.
L’edificio presenta delle originali rispondenze di carattere ubicazionale con la chiesa di Vescovio. Infatti entrambe le costruzioni sono isolate rispetto all’agglomerato urbano più vicino sia un CASTRUM o un semplice nucleo abitativo formatosi in epoca successiva.
La chiesa abbaziale dista dal Castrum di Canemorto, oggi ORVINIO circa 4 km. E sono collegati da una carrareccia rulare semiabbandonata, e questo fatto, evidentemente poco comune per un complesso edilizio di proporzioni così rilevanti, non trova giustificazione alcuna se non nella leggenda secondo la quale la chiesa costituirebbe un gesto di ringraziamento da parte di Carlo Magno per una vittoria da lui riportata nella zona. A questo proposito negli Atti della Visita Corsini (Acta sacrae visitationisPuteale) si legge:”eam a Carlo Magno ob insignem de Longobardis victoriam aedificatam fuisse atque in gratiarum actionem Deiparae Virginis dicatum, memoriae proditum est.” Questa traduzione del 1781 , è in contrasto palese con quella riferita da altri scrittori, quali F. Fiocca, F.Palmegiani e F.Di Geso, secondo i quali la chiesa sarebbe stata edificata da Re Carlo per una vittoria riportata su saraceni “tanto da costringerli ad abbandonare la zona”.
ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –ORVINIO SABINO-La chiesa abbaziale di Santa Maria del Piano –
Bolsena (VT)- Basilica di Santa Cristina: La “riscoperta” di una statua in terracotta invetriata di Benedetto Buglioni-
Bolsena (VT)- Basilica di Santa Cristina: La “riscoperta” di una statua in terracotta invetriata di Benedetto Buglioni –Bolsena-Nelle ultime settimane si è pervenuti con certezza all’identificazione di una porzione inedita di una preziosa statua a tutto tondo in terracotta invetriata, raffigurante la protettrice della vista, Santa Lucia, proveniente dalla Basilica di Santa Cristina a Bolsena, la cui postura sembra ispirata a celebri modelli verrocchieschi. La scoperta getta nuova luce su Benedetto Buglioni (Firenze, 1461 – 1521), rinomato scultore e ceramista che fu il principale concorrente dei Della Robbia nella produzione di grandi maioliche rinascimentali e che nella chiesa bolsenese realizzò moltissime opere, tra cui le lunette dei portali, una pala d’altare con la Crocifissione e il Miracolo eucaristico e il monumentale tabernacolo nella Cappella del Sacramento.
Bolsena (VT)- Basilica di Santa Cristina- Fonte battesimale
Il restauro della Santa Lucia, che già alla fine del XIX secolo era segnalata da Paolo Zampi come “mezza statua”, è stato voluto dalla Diocesi di Orvieto-Todi e dalla parrocchia dei Santi Giorgio e Cristina di Bolsena su proposta della Soprintendenza, che negli anni scorsi ha seguito, con la dott.ssa Luisa Caporossi, i lavori di restauro di un’altra preziosa opera di Buglioni, il simulacro di Santa Cristina giacente sul catafalco, che sormonta il sarcofago contenente le spoglie mortali della martire bolsenese, nella cosiddetta Basilica Ipogea.
Bolsena (VT)- Basilica di Santa Cristina
Bolsena (VT)- Basilica di Santa Cristina
“Gli interventi da programmare in occasione dell’anno giubilare – auspica il nuovo funzionario storico dell’arte di zona Saverio Ricci -, oltre alla ricomposizione della scultura frammentaria di Santa Lucia, dovrebbero includere anche il consolidamento e la pulitura di un fonte battesimale, anch’esso opera ‘dimenticata’ di Buglioni, che giace ormai inutilizzato nella chiesa del Santissimo Salvatore e che meriterebbe di essere collocato nella Basilica, così come un generale riassetto delle opere mobili dislocate all’interno delle navate; a cominciare dal pregevole Crocifisso ligneo, che dovrebbe ritrovare la sua posizione privilegiata nella cappella a destra dell’altare maggiore, chiamata non a caso nei documenti antichi ‘Cappella del Crocifisso’”.
La statua di Santa Lucia, il cui busto si trova nella medesima cappella, sarebbe databile al 1493-97 circa; il tronco inferiore, ritrovato in pezzi che erano stati murati a scopo conservativo nella parete di un’altra cappella, è stato ricomposto senza che si sapesse minimamente cosa rappresentasse, giungendo infine alla clamorosa scoperta. Questa porzione è attualmente depositata presso lo studio del restauratore Marziali in Acquapendente, che si è occupato di questa prima fase dell’intervento.
Attualmente, è stato avviato l’iter autorizzatorio per riconsegnare il bene alla parrocchia, per poi procedere all’esame di un progetto che preveda due interventi: la rimessione in pristino della statua nella sua integrità e la valorizzazione della stessa attraverso un riposizionamento che permetta di apprezzarne la tridimensionalità.
Margherita da Cortona, Santa Margherita: un profilo principesco, un fascino senza tempo, un “ploth” che prende il lettore e lo trasporta in pagine di storia che hanno tutto il carisma di fiaba, di racconto. Per iniziare questo racconto dobbiamo “trasferirci” a Laviano, località a una decina di chilometri a est del Lago Trasimeno. E qui che nasce, nel 1247, Margherita, in una famiglia contadina. Orfana di mamma, viene allevata da una matrigna gelosa: il rapporto tra le due è difficile, impossibile. A soli 18 anni, decide di scappare con un giovane di Montepulciano: lei, affascinante, diviene la sua amante, ma mai la sua sposa. Dalla loro unione nascerà un figlio. Il compagno morirà assassinato nove anni dopo.
Viene così allontana dai parenti del compagno. Si trasferisce, allora, a Cortona dove lavora come infermiera per le partorienti. Qui educa il figlio che si farà poi francescano, e si dedica agli ammalati poveri. Raccoglie alcune donne volontarie che si chiameranno “Poverelle”, promuovendo l’assistenza gratuita a domicilio. Fonda, poi, un’ospedale detto “della Misericordia”. In espiazione del suo passato, Margherita si taglia i capelli e si copre il capo con un velo. Porterà addirittura il cilicio. Si asterrà per sempre dalla carne, dalle uova e dal formaggio.
Tre anni dovranno passare prima di poter entrare – come era suo desiderio – nel Terz’Ordine francescano perché “era troppo bella e giovane”: frati avevano dei dubbi sulla sua perseveranza. Nel 1277 (secondo altre fonti nel 1275) crebbe sempre più in lei il desiderio di solitudine. Nella “Leggenda” si leggono queste parole attribuite alla Santa: “Non voglio più trattenere per me nessuna cosa necessaria per mangiare e per vestire. Voglio morire di fame per saziare i poveri; voglio svestirmi per rivestire loro; voglio dare una tunica nuova a loro e io mi accontenterò dei loro stracci e resterò povera di ogni cosa, perchè essi ne abbiano in abbondanza”. A Cortona spesso la gente va da lei, nella cella presso la Rocca dove risiede dal 1288. Nel 1289 Margherita è tra coloro che danno vita alla Confraternita delle Laudi. Muore a Cortona nel 1297.
La venerazione per lei cominciò subito dopo la morte, grazie soprattutto ai numerosi miracoli attribuiti alla sua intercessione. Papa Leone X ne autorizzò il culto a Cortona nel 1515, mentre fu Papa Urbano VIII ad esntenderlo – nel 1623 – a tutto l’Ordine francescano. Papa Clemente XI, nel 1715, inserì il nome di Margherita nel Martirologio romano. Ma la canonizzazione avvenne solo il 16 maggio 1728 ad opera di Benedetto XIII.
Articolo di Antonio Tarallo-Fonte ACI Stampa
Santa Margherita da Cortona
MARGHERITA da Cortona, santa. – Nacque a Laviano, presso Castiglione del Lago, a poca distanza dal lago Trasimeno, nel 1247. La famiglia era di umili origini: il padre coltivava terreni presi in affitto dal Comune di Perugia. A otto anni M. restò orfana di madre e il padre si risposò presto con una donna cui la Legenda di M. attribuisce i caratteri tipici della «cattiva matrigna». A sedici anni, all’età in cui avrebbe dovuto sposare un giovane del suo ceto, M. fuggì di casa per seguire un nobile di Montepulciano, Arsenio, di cui divenne la concubina per circa nove anni e cui diede un figlio.
In questo periodo, secondo il testo agiografico, avrebbe condiviso la vita del suo giovane amante, ricco e incurante della morale come della religione: M. amava mostrarsi vestita di abiti eleganti, ornata di gioielli e partecipare a feste e conviti. Questa vita spensierata si concluse con la morte, forse in un incidente di caccia, forse in un agguato, di Arsenio.
Data la sua situazione «irregolare», a M. non restò che tornare col figlio nella casa paterna, dove però non trovò solidarietà né comprensione. Decise allora di tentare la sorte a Cortona, dove poté contare sull’aiuto di due nobildonne, Marinaria e Raineria, che le offrirono alloggio. In un primo periodo M., per mantenere se stessa e il figlio, accudì le ricche cortonesi nel periodo del parto.
Ben presto venne a contatto con i francescani, presenti in città sin dagli inizi del Duecento; sotto la loro influenza M. maturò una radicale conversione. Confessò pubblicamente i propri peccati e assunse la forma di vita della penitente. Solo dopo alcuni anni (nel 1275 o, meno probabilmente, nel 1277) i frati minori l’accolsero formalmente tra i penitenti loro legati alla presenza di fra Rainaldo da Castiglione, superiore della custodia di Arezzo. Non è esatto definirla già in questa fase terziaria francescana, perché dal punto di vista del diritto canonico si può parlare di Terz’Ordine di S. Francesco solo dal 1289, quando il papa francescano Niccolò IV emanò la bolla Supra montem, nella quale la paternità dell’intero movimento penitenziale è attribuita anacronisticamente a Francesco, che invece aveva personalmente vissuto l’esperienza della penitenza come tanti suoi contemporanei; inoltre si tentò, senza successo, di collocare tutti i penitenti sotto la guida dei frati minori.
Santa Margherita da Cortona
Ma, al di là del fatto giuridico, è certo che M. prese dimora in una piccola cella presso la chiesa di S. Francesco e che la sua guida spirituale fu assunta prima da fra Giovanni da Castiglion Fiorentino e, quando questi fu trasferito ad Arezzo, da fra Giunta di Bevignate, autore, dopo la sua morte, della Legenda di Margherita.
Le più antiche testimonianze iconografiche che, certamente, vollero ritrarla in modo immediatamente riconoscibile, mostrano comunque che M. non assunse l’abito di colore bigio (né bianco né nero), che contraddistingueva di norma i penitenti: appare infatti spesso vestita di una tunica «a quadri», simile a quella indossata dalla più o meno contemporanea Chiara da Rimini.
Per essere più libera di consacrarsi totalmente a Dio, M. affidò il figlio a un precettore di Arezzo; dopo alcuni anni il giovane, evidentemente sotto l’influenza spirituale della madre, entrò nell’Ordine dei minori. Nella sua cella M. condusse una vita di durissima penitenza.
Se un tempo aveva amato le vesti costose; se nelle sue visioni le veniva promesso di comparire, dopo la morte, di fronte al Signore coperta di una tunica tutta intessuta d’oro, nel suo umile rifugio M. si accontentava delle vesti più povere, sempre di qualità scadente, rappezzate e sudice. Come Francesco, era sempre disposta a donare quei poveri indumenti a chi le sembrasse ancor più miserabile e non esitava a dare in elemosina le maniche della tunica (che allora erano spesso unite alla veste solo da nastri) o il velo che portava sul capo. Altrettanto austero era il suo vitto: pane, acqua, a volte qualche erba scondita, seguendo l’esempio dei padri del deserto.
Santa Margherita da Cortona
Ricchissima era invece la sua vita spirituale: le continue preghiere, le intense meditazioni della Passione di Cristo erano compensate da numerose visioni, in cui le venne più volte assicurata la salvezza eterna e la certezza di essere stata «eletta» dal Cristo a sua sposa. La mistica di M. è infatti cristocentrica e sponsale, come in altri casi di donne sotto l’influenza spirituale dei mendicanti; ma in lei il rapporto con lo Sposo raggiunge toni di intensità e di passionalità rare.
Anche in questa fase della sua vita M. non trascurò comunque di operare a favore del prossimo sofferente, fondando, grazie all’aiuto della nobiltà cortonese e forse dello stesso Uguccio Casali detto il Vecchio, che si avviava a diventare signore della città, un piccolo ospedale dove curare malati, poveri e pellegrini. Il gruppo di devoti che si unirono a lei nell’attività assistenziale diede vita alla Confraternita di S. Maria della Misericordia, che vide approvato lo statuto nel 1286 dal vescovo di Arezzo, della cui diocesi Cortona faceva parte. Come molti altri, chierici e laici, ispirati dalla pastorale mendicante, M. volle operare per la pace, proponendosi come mediatrice tra le fazioni che si disputavano il potere in città e tra Cortona e Arezzo, impegnate in un conflitto secolare.
Nel 1288 il suo consigliere spirituale, fra Giovanni da Castiglion Fiorentino, fu trasferito ad Arezzo e le fu assegnato come confessore fra Giunta di Bevignate. Ma proprio in quegli anni maturò in M. la decisione di sottrarsi alle distrazioni della vita cittadina, che le impedivano di raccogliersi in preghiera e meditazione come avrebbe voluto, per quanto già vivesse rinchiusa in una cella. Si trasferì allora in un’altra cella, a qualche distanza dal centro abitato, in prossimità della rocca, accanto alle rovine della chiesa di S. Basilio. Proprio dietro sua richiesta, il Comune di Cortona si impegnò a ricostruire il modesto edificio, segno questo dell’influenza e dell’autorità che M. esercitava sulla popolazione del luogo, che – sempre più spesso – si rivolgeva a lei per ottenerne l’intercessione presso Dio.
La nuova residenza si tradusse presto anche in un’interruzione del legame che la univa ai frati minori; nel 1290, quando, dopo l’emanazione della Supra montem, avrebbe dovuto rafforzare il proprio rapporto di dipendenza spirituale dai figli di S. Francesco, ormai gli unici autorizzati a esercitare il ruolo di visitatori nei confronti dei penitenti, M. si sottrasse invece alla loro cura; nei suoi ultimi anni di vita suo confessore fu infatti un secolare, ser Badia Venturi, rettore della restaurata chiesa di S. Basilio.
Fu ser Badia a fornire a fra Giunta i particolari relativi agli ultimi anni di vita di M., confluiti poi nel testo agiografico. M. morì a Cortona il 22 febbr. 1297.
Quando si diffuse la notizia della sua morte, la popolazione cortonese, che la venerava già come una santa, volle che il suo corpo venisse imbalsamato e, vestito di porpora, fosse esposto alla venerazione dei fedeli nella chiesa di S. Basilio. L’edificio, negli anni immediatamente successivi, fu ampliato e parzialmente ricostruito in forme gotiche. Venne inoltre ornato di un ciclo di affreschi (ora perduti, ma noti attraverso una copia ad acquerello, autenticata da un notaio, dai cui atti venne tratta nel 1634 e allegata agli atti del processo apostolico da poco autorizzato dalla S. Sede), opera di maestranze senesi, probabilmente legate a Pietro Lorenzetti. Di questa chiesa ben poco è rimasto, a causa di una radicale trasformazione del complesso nel sec. XIX.
La chiesa in cui fu sepolta M. divenne presto centro di una devozione civica favorita dai nuovi signori di Cortona, i Casali, che scelsero di farsi seppellire accanto alle spoglie di Margherita. Gli statuti del 1325, anno in cui Cortona fu affrancata dalla dipendenza da Arezzo ed eretta in diocesi, segnalano già il contributo economico del Comune in occasione della festa di M., la cui memoria veniva celebrata da una processione cui partecipavano tutte le istituzioni e i mestieri cittadini. I frati minori non si rassegnarono però a rinunciare a quella che consideravano una loro figlia spirituale. Pochi anni dopo la morte di M., e quando già si andava affermando il suo culto in città, fra Giunta ricevette l’incarico di scrivere la Vita di M., rivendicando il carattere francescano della sua religiosità, presentandola come una «novella Maddalena» e come «luce del Terz’Ordine francescano». Il testo di Giunta fu letto, come risulta da una nota apposta dallo stesso autore alla fine della sua opera, da molti eminenti personaggi dell’Ordine ma, soprattutto, dal cardinale legato Napoleone Orsini che, nel 1308, si fece consegnare una copia del testo, lo fece ricopiare, ne approvò il contenuto ed esortò tutti a favorire la circolazione dello scritto e a predicare vita, virtù e miracoli di Margherita. Il potente cardinale Orsini – membro di una delle famiglie romane di antica nobiltà e fautore non solo degli spirituali francescani, ma anche delle nuove forme di religiosità femminile, di cui M. è un fulgido esempio – si impegnò anche a far mettere per iscritto i miracoli operati grazie alla sua intercessione. L’intervento del cardinale a favore del riconoscimento della santità di M. fu immediatamente avvertito come di singolare importanza. La scena della registrazione notarile dei miracoli di fronte a Napoleone Orsini e al vescovo, anacronisticamente identificato col primo vescovo di Cortona (che non fu diocesi fino al 1325), fu inserita nel ciclo che decorava le pareti della chiesa-santuario ben presto nota col nome di S. Margherita.
Film Santa Margherita da Cortona
Ma anche se poté godere dell’appoggio del cardinale Orsini e della devozione di un’intera città, la causa di M. non trovò favorevole accoglienza presso i papi e la Curia. La santità femminile, con il suo carattere «non disciplinato» e segnata da un misticismo sospetto a molti uomini di Chiesa, dovette attendere secoli per essere riconosciuta. Solo grazie a una serie di favorevoli circostanze, Leone X, prestando ascolto alle insistenze del nobile cortonese e cardinale Silvio Passerini, che aveva avuto modo di conoscere e apprezzare prima della sua elezione al pontificato, concesse, nel 1516, la celebrazione della festa di M. nella diocesi di Cortona. Urbano VIII estese tale privilegio all’intero Ordine francescano; nel 1629 fu finalmente autorizzata l’apertura del processo apostolico, che portò il 16 maggio 1728 al riconoscimento formale della santità di Margherita.
La complessa figura spirituale di M. ha attirato l’interesse anche di scrittori dal forte afflato religioso: subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, il futuro premio Nobel F. Mauriac pubblicava Sainte Marguerite de Cortone (Paris 1945, trad. italiana Milano 1952), mentre nei primi anni del XX secolo il danese J.J. Jörgensen, neoconvertito al cattolicesimo, la collocava in un trittico femminile fortemente segnato dal francescanesimo insieme con Angela da Foligno e Camilla Battista da Varano (In excelsis: Angela da Foligno, M. da C., Camilla Battista Varano, Bari 1959).
Altrettanto successo ha riscosso M. nelle arti visive (cfr. Bibl. sanctorum, VIII, coll. 770-773). Il suo cenotafio, in S. Margherita a Cortona, è un superbo lavoro di scultura gotica di Agnolo e Francesco di Pietro. In pieno secolo XX, il cortonese Gino Severini ha dedicato a M. una grande immagine in mosaico, quale ex voto della città, sfuggita alle devastazioni della seconda guerra mondiale.
Fonti e Bibl.: Il testo di Giunta di Bevignate fu edito parzialmente per la prima volta in Acta sanctorum, Februarii, III, Antverpiae 1658, pp. 298-357; poi per intero da L. Bargigli da Pelago, Antica leggenda della vita e de’ miracoli di s. M. da C., Lucca 1793; poi ancora in Legenda de vita et miraculis beatae Margaritae de Cortona, a cura di F. Iozzelli, Grottaferrata 1997; per i manoscritti e le traduzioni si veda Repertorium fontium historiae Medii Aevi, VI, pp. 477 s.; gli atti del processo di canonizzazione, conservati in almeno cinque codici, sono stati editi, a partire da uno dei tre manoscritti cortonesi, tradotti in italiano da O. Montenovesi, I fioretti di santa M. da C., in Miscell. francescana, XLVI (1946), pp. 254-293.
La bibliografia relativa a M. è ricchissima ma sovente di taglio devozionale. Si segnalano qui le opere degli ultimi decenni che hanno maggiormente contribuito alla conoscenza storica del personaggio: F. Cardini, Agiografia e politica: M. da C. e le vicende di una città inquieta, in Studi francescani, LXXVI (1979), pp. 127-136; C. Frugoni, Le mistiche, le visioni e l’iconografia: rapporti ed influssi, in Temi e problemi nella mistica femminile trecentesca. Atti del XX Convegno del Centro di studi sulla spiritualità medievale-Acc. Tudertina… 1979, Todi 1983, pp. 137-179; E. Menestò, La mistica di M. da C., ibid., pp. 181-206; La «Supra montem» di Niccolò IV (1289). Genesi e diffusione di una regola, a cura di R. Pazzelli – L. Temperini, Roma 1988; A. Vauchez, La santità nel Medioevo, Bologna 1989, ad ind.; D. Mirri, Cronaca dei lavori edilizi della nuova chiesa di S. Margherita in Cortona, a cura di E. Mori, Cortona 1989; R. Rusconi, M. da C. peccatrice redenta e patrona cittadina, in E. Menestò – R. Rusconi, Umbria sacra e civile, Torino 1989, pp. 89-104; A. Vauchez, I laici nel Medioevo. Pratiche ed esperienze religiose, Milano 1989, ad ind.; A. Benvenuti, Cristomimesi al femminile, in Id., «In castro poenitentiae». Santità e società femminile nell’Italia medievale, Roma 1990, pp. 141-168; A. Benvenuti Papi, in Storia dei santi e della santità cristiana, VII, [Paris] 1991, pp. 185-190; A. Calufetti, L’esperienza della Croce nel racconto di due convertite: s. M. da C.… e la b. Angela da Foligno…, in Studi francescani, LXXXIX (1992), pp. 207-222; M.C. Iacobelli, Una donna senza volto. Lineamenti antropologico-culturali della santità di M. da C., Roma 1992; C. Perol, Les Marguerite de Cortone, lecture onomastique d’une cité toscane (XIVe-XXe siècle), in Mélanges de l’École française de Rome, CIV (1992), pp. 611-641; D. Bornstein, The uses of the body: the Church and the cult of s. M. da C., in Church History, LXII (1993), pp. 163-177; F. Iozzelli, I miracoli nella «Legenda» di s. M. da C., in Archivum Franciscanum historicum, LXXXVI (1993), pp. 217-276; J. Cannon, Marguerite et les Cortonais, in La religion civique à l’époque médiévale et moderne (chrétienté et islam). Atti del Colloquio…, Nanterre… 1993, a cura di A. Vauchez, Rome 1995, pp. 403-413; F. Iozzelli, M. da C. «nuova Maddalena», in Studi francescani, XCIII (1996), pp. 347-359; Mariano d’Alatri, S. M. da C. e il Terz’Ordine francescano, in M. da C., Quaderni di spiritualità francescana, XVIII (1997), pp. 87-99; M. Sensi, S. M. nel contesto storico sociale cortonese, ibid., pp. 9-49; A. Vauchez, Aspetti umani e mistico-religiosi nell’epoca di s. M., ibid., pp. 61-85; M. da C. Una storia emblematica di devozione narrata per testi e immagini, a cura di L. Corti – R. Spinelli, Milano 1998 (con ricca bibliografia soprattutto in materia storico-artistica); M.P. Alberzoni, L’«approbatio»: Curia romana, Ordine minoritico e Liber, in Angèle de Foligno. Le dossier, a cura di G. Barone – J. Dalarun, Rome 1999, pp. 293-310; J. Cannon – A. Vauchez, M. da C. e i Lorenzetti (con un contributo di C. Perol), Roma 2000; E. Pasztòr, Esperienze di povertà al femminile in Italia tra XII e XIV secolo, in Id., Donne e sante. Studi sulla religiosità femminile nel Medio Evo, Roma 2000, specialmente pp. 142-144; A. Vauchez, S. M. da C. (m. 1297) dalla religione civica al culto universale, in Id., Esperienze religiose nel Medioevo, Roma 2003, pp. 137-148; Wörterbuch der Mystik, a cura di P. Dinzelbacher, Stuttgart 1989, pp. 339 s.; Il grande libro dei santi, a cura di C. Leonardi – A. Riccardi – G. Zarri, Cinisello Balsamo 1998, pp. 1293-1298 (con bibl.); Bibliotheca sanctorum, VIII, coll. 759-773; Lexikon des Mittelalters, VI, 2, col. 233.Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
Les Éditions de la Découverte viennent de publier une étude, L’œuvre-vie d’Antonio Gramsci, que l’on peut considérer comme la plus complète et la plus actuelle en français sur la biographie et l’œuvre du philosophe italien Antonio Gramsci (1891-1937), l’un des penseurs majeurs et des plus convoqués du marxisme.Membre fondateur du Parti communiste italien, dont il fut un temps à la tête, il est emprisonné par le régime mussolinien de 1926 à sa mort. Les auteurs, Romain Descendre et Jean-Claude Zancarini, sont deux enseignants de l’École Normale Supérieure de Lyon, où ils animent depuis dix ans un séminaire d’études consacré à Gramsci et ses 33 Cahiers de prison. L’Œuvre-vie aborde les différentes phases de son action et de sa pensée – des années de formation en Sardaigne et à Turin jusqu’à sa mort le 27 avril 1937, en passant par ses activités de militant communiste et ses 11 années d’incarcération dans les geôles fascistes – en restituant leurs liens avec les grands événements de son temps : la révolution russe, les prises de position de l’Internationale communiste, la montée au pouvoir du fascisme en Italie, la situation européenne et mondiale de l’entre-deux-guerres. Grâce aux apports de la recherche italienne la plus actuelle, cette démarche historique s’ancre dans une lecture précise des textes – pour partie inédits en France –, qui permet de saisir le sens profond de ses écrits et toute l’originalité de son approche.
Antonio Gramsci
Analysant en détail la correspondance, les articles militants, puis les Cahiers de prison (I Quaderni) du révolutionnaire, cette biographie rend ainsi compte du processus d’élaboration de sa réflexion politique et philosophique, en en soulignant les leitmotive et en restituant « le rythme de sa pensée en développement ».
Au fur et à mesure que Gramsci progresse dans la rédaction des Cahiers, écrivent les auteurs, il comprend que la “philosophie de la praxis” a besoin d’outils conceptuels nouveaux, philosophiques et politiques à la fois, et il se charge de les inventer et de les faire évoluer au cours de son existence : «hégémonie», «guerre de position», «révolution passive», «classes subalternes». Autant de concepts qui demeurent utiles pour penser aujourd’hui encore notre propre monde «grand et terrible».
Evolena
LE LIVRE: L’œuvre-vie d’Antonio Gramsci, de Romain Descendre et Jean-Claude Zancarini Editions La Découverte
Alessandra Granito-Eugen Drewermann interprete di Kierkegaard-Orthotes Editrice
Descrizione del libro di Alessandra Granito-Eugen Drewermann interprete di Kierkegaard-Orthotes Editrice-Le quattro forme kierkegaardiane della disperazione rilette alla luce della psicoanalisi-Sulle macerie della destituzione del moderno disimpegno metafisico-sostanzialistico, la cultura contemporanea post-moderna ha costruito insidiose derive della soggettività, ne ha profilato il rovesciamento al di fuori di se stessa e ha plasmato un sé non più monolitico e ipertrofico, ma borderline, vulnerabile ed eccentrico, scisso in quello scarto tragico tra fattualità e pretesa che ne “La malattia per la morte” Søren Kierkegaard con acribia psicologica e sensibilità anacronistica definisce “disperazione”, intesa come epifenomeno di un’esistenza segnata dalla contestazione pessimistico-scettica del sé che de facto si è. Il presente lavoro inquadra e attualizza tale riflessione nella cornice ermeneutico-psicoanalitica di Eugen Drewermann, il quale presenta la fenomenologia kierkegaardiana del sé disperato come una fenomenologia del profondo, e la “disperazione” come la conseguenza dell’elaborazione distorta dell’angoscia esistenziale e di un rapporto sbagliato con se stessi che sfocia nel rifiuto di sé, nella stagnazione spirituale, in stati di disagio e di squilibrio psico-esistenziali (nevrosi).
-Autrice-
Alessandra Granito
Alessandra Granito, è dottore di ricerca in Filosofia presso l‘Università «G. d’Annunzio» di Chieti-Pescara. Borsista D.A.A.D., ha svolto attività di ricerca presso la «Eberhard Karls Universität» di Tübingen (Germania) ed è attualmente è impegnata come Research Fellow presso il Søren Kierkegaard Forskingscenter di Copenaghen. Gli interessi di ricerca sono principalmente la tematica esistenziale (la Existenzphilosophie tedesca), la meontologia, i rapporti tra filosofia, letteratura e critica della modernità. Oltre che contributi in tedesco e in inglese apparsi in volumi collettanei italiani e stranieri, è stata relatrice a convegni nazionali e internazionali
IGNAZIO SILONE:«Le guerre e le epidemie» disse il vecchio Zompa, «sono invenzioni dei Governi per diminuire il numero dei cafoni. Si vede che adesso siamo di nuovo in troppi.»
«Ma insomma, tu la tessera la prenderai?» chiesi a Baldissera, per farla finita.
«Prenderla? La prenderò» egli rispose. «Ma pagarla, puoi star sicuro, non la pagherò.»
Nonostante il diverso modo di esprimerci si può dire, dunque, che in fondo eravamo pienamente d’accordo. Quella sera molte altre cose furono dette sulla guerra e non ci fu famiglia in cui non se ne parlasse! Ognuno faceva all’altro la domanda : «Ma contro chi, la guerra?».
Ignazio SILONE-FONTAMARA
Fontamara fu il primo romanzo di Ignazio Silone e pubblicato nel 1929; lo scrittore abruzzese è il narratore esterno in questo romanzo di denuncia sociale; la storia racconta le prepotenze, gli abusi, la miseria cui sono condannate le popolazioni della valle del Fucino. Fontamara è un luogo immaginario situato nella Marsica in Abruzzo, si tratta di un paese povero dove i più poveri devono fare i conti con la prepotenza dei piccoli proprietari terrieri per cui lavoro e da cui vengono sistematicamente imbrogliato e fruttati, i cosiddetti GALANTUOMINI appoggiati e protetti dal governo fascista. Il tono della narrazione è lineare e piacevole, spesso veneta da una sottile ironia nei confronti del regime e dei suoi rappresentanti. Silone denuncia amaramente che nulla è cambiato nella storia dell’uomo: una volta c’erano gli schiavi, i servi della gleba, ora ci sono i “cafoni” , ossia uomini nati poveri e costretti a rimanere tali , soggetti a soggiacere all’ingiustizia e alle sopraffazioni del padrone, in tutto questo , e qui è molto amara dal denuncia, la legge non esiste, lo Stato è muto, anzi appoggia e tutela l’ingiustizia; il messaggio è che non si può discutere con l’autorità che non rispetta la legge, e la legge stessa è prigioniera piegata all’interesse di pochi a danno di tanti. Il messaggio valido purtroppo anche adesso, pur con alle dovute variazioni, è che nell’ignoranza c’è la sconfitta del più debole.
Chi vuole dominare e spadroneggiare ha bisogno di un popolo ignorante da controllare ed ha tutto l’interesse a lasciare nell’ignorante larghe fasce della popolazione da manipolare; in questo senso l’ignoranza è la primo nemico della democrazia e condanna all’immobilismo sociale. In conclusione, il messaggio universale da trarre è che un popolo di ignoranti è più facilmente manipolabile e questo vale in tutte le epoche.
Biografia di IGNAZIO SILONE-Pseudonimo dello scrittore e uomo politico italiano Secondo Tranquilli (Pescina 1900 – Ginevra 1978). Partecipò alla fondazione del Partito comunista (1921), allontanandosene nel 1931. Attivo nel Partito socialista clandestino (1942), diresse le riviste Europa socialista (1946-47) e Tempo presente (1956-68). Scritti nel gusto della narrativa verista, partecipi della drammatica urgenza degli avvenimenti storici e nutriti di un sentimento acutissimo dei limiti della giustizia umana e del richiamo ai valori di un cristianesimo evangelico, i suoi romanzi più noti (Fontamara, ed. ted. 1933, ed. it. 1947; Pane e vino, ed. ingl. 1936, ed. ted. 1937, 1a ed. it. riveduta e col tit. Vino e pane, 1955) raffigurano per lo più situazioni e ambienti di paesi dell’Italia meridionale nel loro lento processo di redenzione sociale.
Arch. Maurizio Pettinari-POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
Arch. Maurizio Pettinari-POGGIO NATIVO: Convento di S. Paolo. Cenacolo del Refettorio.
Un’analisi al particolare del pregevole affresco.
Nota e Foto sono dell’Arch. Maurizio Pettinari
Nota e Foto sono dell’Arch. Maurizio Pettinari–Un’analisi al particolare del pregevole affresco.La vecchia chiesa del monastero fu trasformata in Coro, che fu arredato con magnifici scanni in legno intarsiato tuttora ben conservati: l’opera fu ultimata nel 1482 e questa data la si trova scolpita nell’architrave di una porticina situata nella parete di sinistra, che mette dal Coro alla torre campanaria. Fu costruito un nuovo refettorio, lo stesso attualmente in funzione, ed il vecchio fu trasformato in magazzino; recentemente in una parete di quest’ultimo sono venuti alla luce affreschi di pregevole fattura, raffiguranti Gesù assiso tra gli apostoli nell’Ultima Cena ed un S. Francesco d’Assisi.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
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Convento di San Paolo – Poggio Nativo (Rieti)
Nei pressi dell’abitato sorge la Badia delle suore benedettine di S. Paolo che, rimasta disabitata per circa dieci anni dopo le guerre del papa Pio II, fu ceduta nel 1471 ai frati minori di San Francesco. Di questa badia si trova una prima menzione nel Codice Barberiniano Latino nell’anno 1322. Fu edificata in una zone ove quasi certamente era esistita una villa romana, poiché , quando passò ai francescani che ampliarono il monastero e la chiesa, vennero alla luce sepolture e grosse tegole di terracotta, simili a quelle rinvenute negli antichi cimiteri di Roma e numerosi altri reperti. “molte fabbriche sotterranee alla foggia di conserve di acqua, non più grandi di una gran cassa capace di due grandi cadaveri, molte vittine di terracotta… quantità grande di pezzi di finissimo marmo et un cavallo di bronzo vuoto dentro, di peso di 40 libbre romane e così ben formato dall’arte che non haveva di che invidiar la natura che nella vita. Molte monete di Roma di bronzo et una anche d’oro, di valore di sei scudi romani, cioè di Vespasiano, Galba e Caracolla. Onde parmi si possa dire in questo luogo medesimo fosse in quei trasandati secoli qualche nobile e ragguardevole edificio romano”.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
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La costruzione dell’abbazia risale alla metà del XIII secolo (1261). Ne fa fede un’iscrizione ancora leggibile, scolpita nell’architrave dell’attuale porta della chiesa del convento, che doveva essere lo stesso architrave della porta della primitiva chiesa abbaziale delle suore:
AD PORTV(M) VI(TA)E QVI Q
FERT VENIT E TER(R)AM
CALCANTES SVRSVM PIA(M)
CORDA(M) LEVANTES
ARCHIPR. ODO HOC OP(VS)
ANN(O) DMNI MCCLXI
Secondo P. Ludovico da Modena fu il monastero di Farfa “assai famoso per lunga giurisdizione, che fabbricò un divoto monastero di Monache in detto territorio, sotto l’invocazione di S. Paulo, assegnandoli tutto il territorio in dote con l’aggiunta di due altre considerevoli tenute chiamate anche hoggi S. Severino una e Carpignano l’altra, delle quali tenute si vede il monastero suddetto in pacifico possesso, come consta da un antichissimo instromento fatto dalla Madre Abbadessa, con un tale di Toffia, a cui diede le mole del Poggio Nativo in affitto, et essa si sottoscrisse in tale forma = Suor Massimilla Abbatissa S. Pauli S. Severini et Carpignani =”.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
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Le suore vi rimasero fino al 1460 (la loro presenza è attestata già nel 1343 nel Registrum Jurisdictionis Episcopatus Sabinensis in cui sono registrate tutte le visite effettuate in quell’anno dal vescovo della diocesi di Sabina, Cardinal Pietro Gomez de Barcos), poi papa Pio II ordinò che si trasferissero a Roma, ove furono accolte (e qui le notizie sono discordi) o nel monastero di Campo Marzio o in quello di Tor de’ Specchi o di S. Ambrogio. Il monastero rimase disabitato per oltre dieci anni, durante i quali non vi si celebrarono funzioni religiose. Minacciava di andare in rovina ed il pontefice Paolo II, pochi giorni prima di morire, accogliendo le insistenti preghiere della popolazione e su istanza stessa del Capitolo della Basilica vaticana, cui il castello confiscato era stato assegnato, nel 1471ordinò la cessione del monastero ai frati Minori Osservanti di San Francesco (che nel 1596 passò ai Padri Riformati di San Francesco), “perché abitandolo ne evitassero la ulteriore rovina.
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Nel novembre dello stesso anno papa Sisto IV ratificò la concessione, che divenne pertanto operante. Ne riporta la notizia il Wadding: Extra muros castri Podii Donadei, vulgo Poggio Nativo, Dioc. Sab. constitit olim Monasterium S. Pauli Monalium S. Benedicti, quod ruinae proximum, et incolsi destitutum, unicum et Capitulo Basilicae Principis Apostolorum de Urbe. Castri universitas et Capitulum praedictum, cuius temporali dominio praedictum castrum tunc erat subiectum, rogarunt Paulum pontificem ut liceret illud in Conventum Minorum converti. Annuit Paulus, paucis ante obitum diebus, non scilicet Kalendis Augusti; sed cum, superveniente morte, de hac re litterae non fuissent confectate, suas dedit Sixtut hoc anno 8 kalendis septembris quibus rata voluti Pauli concessionem. Commodus est Conventus paretque fratribus strictioris observantiae Provinciae Romanae Anno 1471 Sisto IV anno I – Federico III imp. A. 32.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
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I frati, con l’aiuto della popolazione (oppidanorum sumptibus) presero, appena possibile, a ricostruire e ad ingrandire il convento. La vecchia chiesa del monastero fu trasformata in Coro, che fu arredato con magnifici scanni in legno intarsiato tuttora ben conservati: l’opera fu ultimata nel 1482 e questa data la si trova scolpita nell’architrave di una porticina situata nella parete di sinistra, che mette dal Coro alla torre campanaria. Fu costruito un nuovo refettorio, lo stesso attualmente in funzione, ed il vecchio fu trasformato in magazzino; recentemente in una parete di quest’ultimo sono venuti alla luce affreschi di pregevole fattura, raffiguranti Gesù assiso tra gli apostoli nell’Ultima Cena ed un S. Francesco d’Assisi. Fu ex novo costruita l’attuale chiesa (nel pavimento in cotto furono inclusi i magnifici marmi intarsiati con mosaici di fattura cosmatesca che erano nella vecchia chiesa) ed il monumentale altare maggiore, che ai due lati ha le statue di S. Giacomo e S. Filippo, fu riccamente ornato di pregevoli marmi.
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Nell’unica navata sono sei cappelle, concesse in patronato alle nobili famiglie del luogo, i cui stemmi gentilizi fanno tuttora mostra di se negli archi delle stesse. Il portale della vecchia chiesa venne riutilizzato anche per la nuova. P. Ludovico da Modena così lo descrive: “ ha soglie di finissimo marmo listato di antico e pretioso mosaico con lettere e millesimo apportato di sopra et è probabile, anzi comune opinione, siino quelle soglie le medesime che servirono alla porta dell’antichissima chiesa delle Monache”. Ai lati del portale sono due pitture murali rappresentanti la decollazione di S. Paolo e la crocifissione di S. Pietro.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
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Dal citato manoscritto del P. Ludovico da Modena si apprende ancora: “in prosieguo di tempo, vedendo i religiosi esserci necessarie più stanze per dare ai poveri passeggeri religioso e comodo ricovero, determinarono nuovo dormentorio fabbricare, e con tale occasione anche nuove officine e fu cominciato l’anno 1672, quando il feudo era già stato acquistato dai Borghese. Avendo cominciata la fabbrica soverchiamente maestosa e più da ricchi monaci che da poveri Riformati, non è per anche finita benché siino ad hora 26 anni trascorsi, e vi siano fatte considerabili spese, provenienti dalla bontà et amorevolezza delle povere genti. Sono in convento stanze abitabili in ambedue li dormitori, vecchio e nuovo, sino al numero di 31, oltre le officine che di tutta comodità vi godono tanto superiori quanto anche inferiori e sotterranee. Vi è una assai comoda Libraria, ricca di 685 pezzi di libri”.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
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Questa fu successivamente dotata di altri pregevoli libri per le sollecite cure del reverendo padre Francesco Antonio da Collelungo, come è tramandato dalla seguente epigrafe:
D.O.M.
UT SUORUM CONSODALIUM
PROSPICERET
BIBLIOTHECAM HANC EXCITAVIT SELECTISQUE LIBRIS
LOCUPLETAVIT
FRANCISUA ANTONIUS A COLLILUNGO LECTOR EMERITUS
CONCILII ROMANI SUB BENEDICTO XIII THEOLOGUS
SACRORUMQUE RITUUM CONGREGATIONIS CONSULTOR
ANNO MDCCXL
Nell’interno del convento è un chiostro con il caratteristico pozzo d’acqua al centro e con spaziosi porticati, nelle cui pareti, nelle lunette, sono affrescate scene della vita di S. Francesco d’Assisi.
In questi ultimi anni la chiesa ha subito nuovi rifacimenti di gusto molto discutibile, in quanto soffitto e pavimento modernissimi offrono un contrasto troppo stridente con quello che è lo stile prevalentemente barocco della chiesa. Sono di conseguenza scomparse dal pavimento le lastre di marmo intarsiate con il mosaico cosmatesco che dava austerità e solennità all’ambiente.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
“nel Coro eranvi a quel tempo ragguardevoli quadri in tela rappresentanti i diversi misteri dell’humanato Iddio, della Sua dolcissima Madre e altri Santi del cielo. Vedevasi nel mezzo della volta del Coro un Salvatore dipinto, a cui hanno dato li nimici dell’antichità ai tempi nostri il bianco, che mostravasi fosse posto un principio della sua erezione, cioè quando fu edificato per chiesa delle Monache”. Sopra il detto Coro si vede ancora il vecchio campanile delle suore: “sono nella Tribuna per vago ornamento di essa dui quadri riguardevoli che ne rappresentano quello in corno epistulae S. Salvatore d’Horto… vedesi anche in alto nella Tribuna medesima, sopra un pezzo di finissimo marmo il seguente millesimo scolpito: …”.
Il Guardabassi vide “presso l’altar maggiore una tavola a tempra in fondo oro: Maria in trono con Gesù e ai lati S. Paolo e S. Francesco; nel gradino si legge Anthonatius Romanus pinxit”. Il dipinto rimase ignorato per moltissimi anni, finché Diego Angeli, solerte studioso e ricercatore di antichità, lo ritrovò “sotto un cumula di immondizie nel convento di S. Paolo”. Il campo artistico nazionale ed internazionale si interessò alla ritrovata tavola ed Adolfo Venturi ottenne che la Sovrintendenza alle Bella Arti l’acquistasse per curarne il restauro e l’esposizione al pubblico: acquistata dallo Stato fu restaurata ed esposta nel museo di Palazzo Venezia, quindi alla Galleria Nazionale Romana di Palazzo Barberini, ove si trova tuttora. La tavola misura 1,66m x 1,55m ed il primo a studiarla minuziosamente fu lo stesso Venturi il quale, parlando dell’attività di Antonio Aquilio, detto Antoniazzo Romano, così ne scrive: “ma il campo maggiore dell’attività dell’artista dovette essere la Sabina, donde proviene il quadro della Galleria Nazionale segnato Anthonatius Romanus pinxit e con la data in una tabellina MCCCCLXXXVIII.
A Poggio Nativo, ove si trova un’altra pittura di Antonizzo, il quadro stava sulla parete della soppressa chiesa di S. Paolo. Rappresenta la Madonna in trono di marmo rosso col Bambino in piedi benedicente sulle sue ginocchia, S. Paolo a sinistra e S. Francesco a destra su fondo oro. L’opera eseguita con la rapidità propria di un frescante; e molte parti si disegnano di primo acchitto, con segni facili e pronti, sulle carni e sulle vesti condotte a tratti e sfumate. Il divin Bambino non manca di bellezza nelle forme sane e forti, né S. Paolo della sua energia; la Vergine è meno piacente per la pienezza delle forme e così S. Francesco per la poca spiritualità. È opera dell’età matura di Antoniazzo, quando si erano in lui affievoliti gli influssi del suo grande maestro Melozzo da Forlì”.
Gino Focolari a proposito del trittico dello stesso artista, conservato nell’antica cattedrale di S. Pietro in Fondi, che riproduce in maniera identica la figura della Vergine e di S. Paolo, così scrisse: “il trittico di Antoniazzo assomigliano un poco al quadro che si conserva nella Galleria Nazionale di Roma, proveniente da Poggio Nativo; la Madonna ha la stessa faccia stretta e lunga, con l’alta fronte e il naso diritto che si unisce alle sopracciglia con disegno schematico un poco duro, gli occhi dalle pupille tonde e nere che guardano fisse e come trasognate, le labbra strette insieme e sporgenti come nella Madonna e nella S. Lucia della tavola di Antoniazzo nel duomo di Capua. La Madre divina stende intorno alla nudità del Bambino lo stesso velo trasparente, e le mani aperte con le lunghe dita piegate leggermente stanno nell’atteggiamento di chi tocchi e suoni un istromento a corde. Nello sportello di destra il pittore ha ripetuto la figura di S. Paolo con lo spadone e col libro, imponente nella sua rigida immobilità…”.
La datazione controversa colloca il quadro tra il 1460 e il 1489.
La tradizione locale attribuisce all’Antoniazzo anche l’affresco che è nella lunetta della Porta di S. Paolo del paese, che fu innalzata verso la fine del XV secolo, dopo il ritorno del castello dei Savelli; l’affresco non è purtroppo ben conservato, essendo esposto alle intemperie e non mostra pertanto caratteristiche sufficienti per poterne stabilire con esattezza la paternità; il dipinto riproduce la figura di S. Michele.
Appesa alle pareti del coro sono rimaste alcune tele di qualche pregio e precisamente: nella tribuna un quadro raffigurante la conversione di S. Paolo (restaurato dalle mani di un artista locale in obsequium Divi Pauli magis crescens ac magis Johanna Crescentii Pauletti hanc renovavit iconem MDCCXXVIII), una discreta Deposizione nella parete di destra, una Natività ed un S Antonio in quella di sinistra, un grande quadro nella parete di fondo che raffigura S. Anna nell’atto di insegnare la scrittura alla Madonna che ha ai suoi lati S. Francesco e S. Bernardino.
Altare maggiore: ha incorniciata una grande tela di ottima scuola raffigurante S. Paolo che mostra a S. Francesco e a S. Pasquale una sua epistola; nella parte più alta un quadro di minori dimensioni ma di ottima fattura che rappresenta la Santissima Vergine col Bambino attribuito forse a torto ad Antoniazzo Romano.
I cappella: con l’altare dedicato alla Madre degli Angeli per la presenza di un grande quadro “con la bellissima effigie dipinta in nuovo, che da numerosa moltitudine d’Angeli coronata ne La rappresenta, insieme con li Santi Antonio Abate et Egudin similmente Abate”. È ora sostituito da un quadro con l’immagine della Vergine col Bambino. L’arco della cappella è sormontato da un elaborato stemma gentilizio della famiglia Sassi, poiché la cappella fu concessa in patronato a questa famiglia e vi furono tumulate le salme di persone appartenenti alle famiglie Ruffetti, Ottaviani e Mazzetti.
II cappella: con l’altare dedicato a S. Anna in quanto vi era collocato il quadro che attualmente è nel coro, ora sostituito da un dipinto di buona maniera raffigurante Cristo sotto la croce e S. Giovanni. Nell’arco della cappella, che appartenne alle famiglie Pascazi e Giordani, è lo stemma gentilizio attribuibile a una delle suddette famiglie.
III cappella: detta della Circoncisione, essendovi delineato da buona mano “in muro il misterioso fatto della circoncisione di Cristo et anche il nostro S. Padre stigmatizzato, che in tanto mistero devotamente adora”. La cappella appartiene alle famiglie Colantoni e Farsarelli.
IV cappella: con l’altare dedicato a S. Antonio, appartenente ai Pisauri, poi agli Angelici-Traversa ed in ultimo ai Pompei. Vi era una tela “con S. Antonio che accarezza il Bambino e dipinta in muro la gloriosa S. Barbara Vergine e Martire”. Attualmente sono venute alla luce pitture murali raffiguranti S. Giovanni a destra e S. Biagio a sinistra con la seguente iscrizione: “Clara Christi germina immaculatae Virginis Beatorum Johannis Baptistae Blasii atque Antonii vos precarum supplices pro nobis Deo supplicare ut vestris meriti set precibus de regnum consequamur. Amen Pisaurus Podii Donadei Archypresbiter Palumbariae fieri curavit die X 8bris MDLX (segue stemma gentilizio)”.
V cappella: con l’altare dedicato alla conversione di S. Paolo, appartenente ai signori Paletti prima, poi concesso ai marchesi Ciccalotti. Vi era una tela raffigurante la conversione dell’apostolo, ora situato nella tribuna del coro ed al suo posto è stata collocata la statua di S. Francesco.
VI cappella: altare dedicato a S. Pietro d’Alcantara, è più recentemente detta del Crocifisso e posta sotto il patronato della famiglia dei baroni Brunetti. Di un certo pregio artistico sono pure i 14 quadretti delle stazioni della Via Crucis, opera firmata da “F. Joseph Venetus inventor. Anno 1737”.
L’ultimo rinnovamento della chiesa fu fatto dopo il terremoto del 1915, che vi produsse serie lesioni, ad opera di P. Atanasio Pecci dei Minori si S. Francesco che ne fu parroco. In quell’occasione fu riparato il tesso, fu abbellito il soffitto, furono convenientemente rafforzate le mura maestre e fu rifatto il pavimento, avendo cura di lasciare in si tu le epigrafi sepolcrali.
La pavimentazione: La mancanza di documentazione precisa riguardo l’originaria sistemazione interna della chiesa antica di S. Paolo, prima della sua trasformazione nel Coro dell’attuale impianto, non permette di stabilire con esattezza assoluta la collocazione dei cinque pannelli. Da una attenta analisi dei manufatti in questione sono emersi dati significativi per la ricostruzione della loro funzione primitiva: la tecnica dell’intarsio e le dimensioni dei pannelli inducono a pensare ad un loro impiego come elementi verticali. Sappiamo da Padre Ludovico da Modena che al momento della costruzione della chiesa del XV secolo, nel nuovo pavimento si inclusero i marmi intarsiati di fattura cosmatesca che provenivano dal vecchio edificio e che il nuovo altare maggiore fu riccamente ornato di pregevoli marmi. Supponendo che il nuovo altare ne abbia sostituito uno più antico, ma altrettanto importante, l’ipotesi più plausibile sembra essere quella per cui i cinque pannelli facessero parte dell’antica decorazione dell’altare maggiore, poi smembrati e riutilizzati disordinatamente nel pavimento della chiesa del XV secolo. Se così fosse, questa sarebbe stata la posizione dei pannelli nell’altare: al centro il pannello E con quincunx con croce, al lati i pannelli A e B con fiori a quattro petali lanceolati, sui lati minori le lastre C e D.
Si tratta di cinque lastre in marmo bianco venato con decorazioni a commesso marmoreo:
– Pannello A: l’unico ad esserci pervenuto in buono stato di conservazione, è composto di una lastra di marmo bianco venato (dimensioni: 60cm x 43cm; spessore: 3cm circa) mutila nella parte alta e decorata da una doppia incisione (quella più esterna è larga ca. 1,5cm, mentre quella esterna solamente pochi millimetri). La lastra marmorea mostra un incavo di 20cm x 50cm al cui interno è presente la decorazione ad intarsio nella quale si può riconoscere il motivo a cerchi intersecanti che generano fiori a quattro petali lanceolati, che includono un quadrato in porfido rosso di 3cm x 3cm posto diagonalmente e negli spazi di risulta triangolini in porfido rosso e porfido verde alternati a triangolini di calcare bianco. Nella zona inferiore è inserita una stretta fascia di riempimento composta da listelli di porfido verde dello spessore di ca 2,5cm. Completano la decorazione sui lati lunghi e nella parte superiore del pannello listelli porfiretici verdi e rossi alternati.
– Pannello B: giunto a noi quasi del tutto privo delle tarsie marmoree appartenenti alla decorazione, mostra caratteristiche tipologiche (dimensioni: 60cm x 43cm; spessore: 3cm circa) e decorative del tutto analoghe al pannello A. composto da una lastra di marmo bianco venato mutila nella parte bassa e decorata da una doppia scanalatura, presenta uno schema decorativo uguale a quello già visto e descritto nel pannello precedente.
– Pannello C: Anche esso di marmo bianco (dimensioni: 67cm x 52cm; spessore: 3,5cm circa) è giunto a noi piuttosto danneggiato. Si può riconoscere uno schema disegnativo a quincunx del tipo più canonico con cinque rotae annodate, di cui quella centrale (24cm di diametro) probabilmente a disco centrale in porfido e fascia circolare, quelle periferiche, anch’esse con dischetto porfiretico al centro e fascia che si annoda secondo lo schema consueto. Dei quattro dischetti in porfido contenuti nelle rotae angolari rimane solamente quello in basso a sinistra di 4,5cm ca. di diametro. Nella campitura dello spazio lungo nel lato corto superiore è da notare, oltre ai soliti triangoli in porfido e calcare, anche l’uso di listelli e quadratini anch’essi di materiale porfiretico.
– Pannello D: si presenta mutilo di tutta la porzione angolare superiore di sinistra. Anche esso di marmo bianco con venature (dimensioni: 67cm x 52cm; spessore: 3,5cm circa), riproduce un disegno decorativo che ricorda espressamente il quincunx a quadrato centrale. Tale quadrato, privo della decorazione ad intarsio, si raccorda, tramite le annodature caratteristiche dello stile cosmatesco, con quattro rotae a fascia che si impostano al centro dei quattro lati del quadrato stesso. La campitura dell’annodatura e della rota superiore, di dimensioni minori rispetto a quella inferiore, presenta un intarsio marmoreo del tutto analogo a quello descritto per il pannello C. Nella rota inferiore invece si apprezza uno schema a clessidre composto da triangolini di porfido verde e di calcare bianco intervallato da elementi di forma quadrata e trapezoidale in porfido rosso. Gli spazi di risulta al centro dei quattro lati e negli spazi angolari sembrano anch’essi campiti dallo stesso motivo. Al centro di ciascuna rota un dischetto in porfido rosso di ca. 4-5cm di diametro completa il motivo decorativo secondo la consuetudine dello stile cosmatesco.
– Pannello E: Pervenutoci interamente spogliato dell’antica decorazione, presenta solamente alcuni piccolissimi frammenti di porfido su un braccio della croce. Del tutto integra è invece la lastra di marmo bianco venato di forma perfettamente quadrata (dimensioni: 70cm x 70cm; spessore: 3-4cm circa). Dal disegno dell’incavo, nel quale alloggiava il commesso marmoreo, si può ricostruire facilmente lo schema del pannello. Anch’esso presenta il quincunx a quadrato centrale con quattro rotae a fascia che si impostano al centro dei quattro lati dello stesso, ciascuna con dischetto centrale. Quadrato e roate sono raccordati tramite annodature spezzate. Il quadrato centrale presenta un motivo decorativo composto da una croce a quattro bracci di eguali dimensioni (10cm di lunghezza) e da quattro sfere di 8cm di diametro poste tra i bracci. Al centro si trova un incavo di forma quadrata di 6cm di lato
Il borgo sorge su uno scosceso sperone di roccia a 455 metri s.l.m. sulle propaggini meridionali dei monti Sabini. Il territorio comunale è di tipo collinare, tipico delle colline della Sabina, ed è caratterizzato da un andamento ondulato e ricco di vegetazione. La caratteristica morfologia collinare del terreno favorisce, principalmente, la coltura della vite, dell’ulivo, mentre il grano è coltivato negli appezzamenti più grandi. Nelle zone più impervie si conservano le macchie, caratteristiche dei colli sabini.
Nella maggior parte dei documenti medievali disponibili, la denominazione di Podium de Donadei (o Podium Donadei) deriva probabilmente dal nome di quello che viene identificato come il fondatore del paese, un possidente locale chiamato Donadeo (o Donadio). Non esiste però una documentazione concreta che possa permettere di identificare in modo inequivocabile il presunto Donadeo. Una versione più accreditata sull’origine del nome è invece legata alla posizione arroccata in cima ad una collina che il paese occupa. Tale posizione lo rendeva difficilmente accessibile e, in epoca medievale, ciò rappresentava un grande vantaggio per la difesa del paese, in quanto questo offriva un sicuro rifugio alla popolazione durante le invasioni barbariche del periodo e venne per questo battezzato “podium donum Dei”, dono di Dio.
Qualunque sia stata la sua origine, tuttavia, l’antica denominazione “Podium de Donadei” o solamente ”Podium Donadei”, negli anni, attraverso le corruzioni linguistiche del latino e l’evoluzione del volgare, si sarebbe evoluta in “Podium Donadei, poi Podio Donadeo, per passare a Poggio Donadio, Poggio Nadio, Poggio Natio ed infine a Poggio Nativo, come lo conosciamo oggi.
Storia
Il territorio di Poggio Nativo risulta abitato già durante l’età del Bronzo. In località Casali di Poggio Nativo, lungo le pareti del Fosso di Riana, sono presenti due grotticelle che hanno restituito reperti ceramici pertinenti all’età del Bronzo antico e medio, entrambe indicate con il toponimo di Battifratta. Accanto ai frammenti ceramici vennero rinvenute anche parti scheletriche umane, pertinenti ad una sepoltura “in grotta”. Questo fece supporre che entrambe le grotte fossero destinate ad uso funerario ed adibite a sepolcreto. Tuttavia la presenza di fauna selvatica, tra cui i resti osteologici di cervo, cinghiale, capriolo, tasso e lupo, farebbe supporre che la prima grotticella venisse utilizzata anche come postazione durante i periodi di caccia[5].
Il primo nucleo abitato, databile all’alto Medioevo, si trovava probabilmente nella parte più alta. In quel luogo, ben protetto e più sicuro, si erano rifugiati gli abitanti del contado in seguito all’invasione saracena. Nella metà del XII secolo, il possessore del Podium Donadei era Rainaldo Senibaldi che lo donò al papa, sotto la cui giurisdizione rimase fino al ‘400, quando passò ai Savelli, sotto il cui dominio il borgo fu protagonista di un episodio ricordato nei Commentarii di papa Pio II. Poggio Nativo, dopo aver ospitato in paese per ordine di Jacopo Novelli le truppe del Piccinino al soldo dei Braccesi, fu cinto d’assedio dalle truppe pontificie guidate da Antonio Piccolomini. Il castello si arrese, ma quando il Piccolomini, con la scorta, ebbe varcato l’accesso al centro le porte furono chiuse e il drappello catturato. L’esercito papale reagì e fece irruzione nel paese sottoponendolo a saccheggio e distruzione. Vent’anni più tardi, nel 1480, Poggio Nativo tornò in possesso dei Savelli e nel XVII secolo passò sotto il dominio dei Borghese, che ne furono proprietari per lungo tempo. Durante il secondo dominio della famiglia Savelli fu eretto il castello, fu ricostruita dalle fondamenta la chiesa di San Paolo, con l’annesso convento (risalenti al XIII secolo), e furono apportati considerevoli miglioramenti all’assetto urbano.
I Borghese nel 1600 ne divennero duchi, esercitandone i diritti fino all’abolizione della feudalità (1816), cui spontaneamente rinunciarono.
Poggio Nativo è patria dell’insigne umanista Francesco Floridio.
Simboli
Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica del 18 ottobre 2002.[6] Lo stemma si può blasonare:
«d’azzurro, al monte di tre cime all’italiana di verde, movente dalla punta, sostenente una colomba sorante dello stesso, con la testa rivolta, tenente col becco un ramoscello di verde. Ornamenti esteriori da Comune.»
Il gonfalone è un drappo di bianco.
Monumenti e luoghi d’interesse
Della rocca-palazzo ben poco rimane, soprattutto in conseguenza del funesto terremoto del 1915 che lo rase al suolo quasi completamente: ne rimangono oggi, al centro del paese, due livelli di finestre quattrocentesche murate ed un bastione poligonale.
Fonte-Wikimedia-enciclopedia multilingue liberamente consultabile sul Web.
Nota e Foto sono dell’Arch. Maurizio Pettinari
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
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