Città del Vaticano-Giubileo 2025, una quattro giorni dedicata agli artisti e alla cultura –
Città del Vaticano-Giubileo 2025-Si è svolta stamattina, 12 febbraio, presso la Sala Stampa della Santa Sede, nella cornice del Giubileo della Speranza 2025, la presentazione del Giubileo degli Artisti e del Mondo della Cultura che si terrà dal 15 al 18 febbraio. Il palinsesto ufficiale dell’evento, rivolto non solo agli artisti ma anche a quanti operano nelle istituzioni culturali e museali, si configura, nelle parole del cardinale José Tolentino de Mendonça, nonché prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, come «un grande incontro veramente mondiale, dal momento che riunisce più di 10mila partecipanti iscritti, provenienti da oltre 100 nazioni dei cinque continenti». Oltre al cardinale, hanno preso parte alla conferenza Lucia Borgonzoni, sottosegretario di Stato al Ministero della Cultura, Lina Di Domenico, capo del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia della Repubblica Italiana, Barbara Jatta, direttrice dei Musei Vaticani Cristiana Perrella, curatrice dello spazio Conciliazione 5 per l’Anno Santo 2025, Raffaella Perna, curatrice della mostra «Global Visual Poetry: traiettorie transnazionali nella Poesia Visiva», e Umberto Vattani, curatore del progetto «Bill Fontana. Gli echi muti di una grande scultura sonora».
De Mendonça ha esordito citando le parole del Santo Padre nella Bolla d’indizione del Giubileo: «Tutti sperano. Questa frase programmatica, che è alla base delle diverse iniziative che promuoveremo, da un lato rafforza la coscienza che la speranza è un’esperienza antropologica globale, che pulsa al cuore di ogni cultura, e dall’altro ci pone la sfida concreta di dare vita a occasione creative che consentano a tutti e a ciascuno di rianimare la speranza. Ci interrogheremo su come l’arte contemporanea possa veicolare questo sentimento».
Il programma dell’appuntamento giubilare seguirà il seguente calendario: sabato 15, a partire dalle ore 10, i Musei Vaticani ospiteranno l’incontro internazionale «Sharing hope-Horizons for Cultural Heritage», dove i responsabili dei grandi musei e delle istituzioni culturali, sempre nelle parole del cardinale «immagineranno forme di impegno comune». Come ha precisato Barbara Jatta, «abbiamo voluto celebrare non solo il Giubileo degli artisti, ma anche di tutti gli operatori del mondo dell’arte, storici, direttori, curatori. Con loro sottoscriveremo un Manifesto educativo sulla trasmissione del codice culturale delle religioni, un impegno che ci prendiamo in nome della speranza». Alle ore 18 si terrà l’inaugurazione dello spazio espositivo Conciliazione 5, «una galleria su strada, ha spiegato il de Mendonça, su via della Conciliazione, destinata a rimanere aperta anche oltre il Giubileo. La mostra inaugurale è un progetto del maestro Yan Pei-Ming, curato da Cristiana Perrella, che mette al centro affettivo e visivo dell’attenzione la comunità del Regina Coeli, il carcere “a km zero” da San Pietro. I ritratti di detenuti, detenute e operatori del carcere, saranno esposti presso lo spazio Conciliazione 5, e proiettati sulla facciata dello stesso Istituto penitenziario». Il progetto di Yan Pei-Ming, come ha illustrato Perrella «consiste in un polittico dal titolo “Oltre il muro. Regina Coeli Roma”, composto da 27 ritratti ad acquerello, di grande formato, realizzati dall’artista nel suo studio di Shangai in venti giorni, sulla base di fotografie scattate nel carcere da Daniele Molajoli. Conciliazione 5 è uno spazio di piccole dimensioni, grande poco più di 30 metri ma che ha grandi intenzioni, e uno scopo altrettanto forte».
Domenica 16 le iniziative si concentreranno in San Pietro, dove papa Francesco presiederà la celebrazione dell’Eucarestia, aperta a tutti e in particolare a quanti operano nelle arti e nella cultura. Dalle ore 20 si svolgerà, sempre a San Pietro, la Notte Bianca. Sotto il portico della basilica, i pellegrini saranno accolti dall’installazione sonora «Gli echi muti di una grande scultura sonora-Il Campanone di San Pietro», dell’artista Bill Fontana, curata da Umberto Vattani e Valentino Catricalà. Seguirà la visita alla basilica che avverrà, sempre secondo le parole del cardinale, «secondo una sorprendente coreografia spirituale».
Lunedì 17, alle ore 10, si terrà la prima visita di un pontefice a Cinecittà. Il papa incontrerà una delegazione di artisti e protagonisti del mondo della cultura, e sarà accolto da un coro molto speciale, quello degli Amici della Nave, composto da detenuti, ex-detenuti e volontari del carcere San Vittore di Milano. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con il Ministero della Cultura della Repubblica Italiana e Cinecittà SpA.
Martedì 18, infine, sarà inaugurata, negli spazi del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, la mostra «Global Visual Poetry», curata da Raffaella Perna, in collaborazione con Frittelli Arte Contemporanea. «Si tratta di una mostra, spiega Perna, che raccoglie 267 opere realizzate da 87 artisti (fra gli anni Cinquanta e Settanta) operanti in varie regioni del mondo. Una caratteristica della poesia visiva è proprio la sua capacità di superare steccati geografici, identitari e barriere ideologiche, creando una comunanza di ricerca artistica e scientifica sulla parola. Altra peculiarità di questa corrente è la sua istanza pacifista, quanto mai attuale. Proprio per questo abbiamo scelto, come immagine guida della mostra, l’opera di Lucia Marcucci “Pax”, un valore in cui tutti possiamo riconoscerci».
Gli appuntamenti del Giubileo degli Artisti e del Mondo della Cultura sono realizzati in collaborazione e con il supporto di: Ministero della Cultura della Repubblica Italiana; Ministero della Giustizia e Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria; Musei Vaticani; Cinecittà SpA; Enel SpA.; Società Italiana degli Autori ed Editori (Siae); St. Simon Parish, Los Altos (California); Montalvo Arts Centre, Saratoga (California).
Torri in Sabina (Rieti)- Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio : Studio del sistema idraulico sotterraneo –
Torri in Sabina (Rieti)– Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio, Avvio delle nuove indagini “Studio del sistema idraulico sotterraneo dell’antico municipio romano”. Il Gruppo ha ripreso le attività di ricerca nell’area archeologica di Vescovio, nel territorio del Comune di Torri in Sabina.
Il progetto, condotto sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma e la provincia di Rieti, è finalizzato allo studio del sistema di adduzione e deflusso delle acque dell’antico municipio romano di Forum Novum.
Le ricerche, in corso da diversi anni, hanno già portato alla scoperta di un cunicolo idraulico di epoca romana, attribuito all’acquedotto fatto realizzare da Publio Faiano.
L’obiettivo attuale è approfondire lo studio delle strutture ipogee ancora inesplorate, concentrandosi su pozzi, cunicoli e ambienti sotterranei collegati all’assetto idraulico del sito.
Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio-Foto di Cristiano Ranieri
Indagini in un’area finora inesplorata
Gli speleologi stanno operando in una zona del foro mai indagata dal punto di vista speleo-archeologico. La dott.ssa Nadia Fagiani, della Soprintendenza, sottolinea l’importanza di queste ricerche per comprendere le diverse fasi di sviluppo del municipio romano.
La presenza di numerosi elementi idraulici suggerisce un sistema complesso di gestione delle acque, che potrebbe fornire nuove informazioni sull’urbanistica e sull’organizzazione funzionale del sito.
L’uso della tecnologia Lidar permetterà di ottenere una mappatura tridimensionale dettagliata delle strutture sotterranee, mettendole in relazione con le evidenze murarie e gli ambienti di superficie.
Questo approccio consentirà di ricostruire il funzionamento del sistema idrico e di identificare eventuali ulteriori strutture non ancora documentate.
Partecipanti alla prima fase delle ricerche
Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio-Foto di Cristiano Ranieri
Alla prima fase della nuova campagna di studio hanno preso parte Giorgio Filippi, Arianna Armeni, Giorgio Pintus, Giovanna Politi, Alessandro Cardinale, Fabrizio Marincola, Michele Marinelli, Giulia Petroni, Giacomo Frongia, Maria Fierli, Maria Piro, Simone Del Cavallo e Cristiano Ranieri. Il gruppo proseguirà nei prossimi mesi con ulteriori esplorazioni e rilievi, al fine di acquisire dati utili alla ricostruzione del sistema idraulico di Forum Novum.
Foto di Cristiano Ranieri
Logo-Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio-Foto di Cristiano Ranieri
l Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio nasce a Salisano, un piccolo paese della provincia reatina, nel dicembre del 1993. Tra il 1994 ed 1997 il Gruppo ha svolto ricerche paletnologiche nel territorio sabino scoprendo e valorizzando numerosi siti preistorici sia in grotta che lungo i crinali dei Monti Sabini. Alcuni dei reperti paletnologici rinvenuti sono oggi conservati ed esposti al Museo Protostorico di Magliano Sabina. Dal 1997 proseguono senza sosta le esplorazioni e le ricerche di testimonianze preistoriche nelle grotte del territorio sabino tra cui Grotta Scura nel comune di Castelnuovo di Farfa e la Grotta Pila nel comune di Poggio Moiano oggetto quest’ultima di indagini negli anni ’50 da parte del Prof. Aldo Segre. Lungo il costone di Battifratta a Poggio Nativo, il Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio ha scoperto nuove cavità naturali al cui interno sono stati rinvenuti reperti ceramica di epoca protostorica. Dal 1997 il Gruppo ha avviato un’intensa collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio per la tutela e salvaguardia delle cavità naturali e degli ipogei antichi di origine antropica esplorando e scoprendo nuove cavità naturali al cui interno vengono rinvenuti reperti di epoca romana riferibile al culto della dea Vacuna. Resti ceramici di epoca romana vengono individuati e recuperati per la prima volta dal Gruppo anche nella Grotta Formicara a Scandriglia e nella Grotta Grande di Muro Pizzo a Monteleone Sabino. Inoltre il Gruppo scopre nuove cavità naturali tra cui la Risorgenza delle Venelle sempre a Monteleone Sabino e la Grotta Arocaro a Salisano al cui interno sono stati recuperati reperti archeologici di epoca romana. I risultati delle ricerche vengono pubblicati su riviste e bollettini del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Le indagini sono ancora in corso sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio. Dal 1999 il gruppo si sta occupando della revisione dei dati catastali delle cavità naturali presenti in Sabina con aggiornamenti topografici del territorio. Nel 1997 il Gruppo avvia le prime ricerche di speleologia urbana in Sabina che si rivela essere un territorio ricco di cavità artificiali, in particolare cunicoli e acquedotti di epoca preromana. Le esplorazioni e le scoperte di nuovi ipogei artificiali sono ancora in corso. Dal 2002 il Gruppo inizia a collaborare con la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma con ricerche speleologiche negli ipogei di Roma e nel territorio circostante. Nel 2003 viene portato a termine l’esplorazione completa del Colosseo e l’anno seguente iniziano le prime ricerche speleologiche lungo le pendici nord-orientali del Palatino. Dal 2005 il Gruppo inizia lo studio sistematico di tutto il sistema idraulico sotterraneo del Foro Romano. Le ricerche sono ancora in corso. Il Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio organizza annualmente campi speleo e corsi di speleoarcheologia. Collabora con la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, con il Dipartimento di Archeologia dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e con numerosi enti ed università straniere. Ha preso parte inoltre alla realizzazione di documentari e programmi tv partecipando a convegni sia in Italia che all’estero.
Il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS) è una struttura operativa del Club Alpino Italiano, dotata di un proprio atto costitutivo, uno statuto e un regolamento generale, approvati dall’assemblea nazionale che è l’organo sovrano di autogoverno. L’organizzazione è articolata in Servizi Regionali, coordinati da una direzione nazionale, alla quale fanno capo anche le scuole nazionali. Ogni servizio regionale si articola in Delegazioni (alpine) e Zone (speleologiche) che a loro volta sono costituite da più stazioni (alpine o speleologiche). Gli oltre 7000 operatori del CNSAS sono tutti alpinisti o speleologi di provata esperienza e capacità, in possesso delle nozioni di base di soccorso sanitario. La specifica preparazione e il costante aggiornamento sono la garanzia di un’elevata professionalità, che si esplica in caso di soccorso in ambiente disagiato, impervio od ostile. Il CNSAS interviene per tutti gli incidenti che possono verificarsi nel corso di attività escursionistiche o alpinistiche (sentiero, parete, cascata di ghiaccio, crepaccio ecc.), speleologiche (grotta), speleosubacquee (grotte allagate, laghi di montagna), torrentistiche (forra e canyon), in caso di calamità naturali (valanghe, alluvioni, terremoti ecc.), per arresto di impianti a fune (seggiovie, funivie ecc.), ma anche per eventi ordinari che si verificano in luoghi difficilmente raggiungibili dalle normali èquipes sanitarie. La regione Lazio ricade interamente nella V Zona di Soccorso Speleologico, all’interno della quale il CNSAS opera tramite il Soccorso Alpino e Speleologico del Lazio (SASL).
Il Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio ha sede a Salisano, un piccolo paese della Sabina in provincia di Rieti e a pochi chilometri da Roma. Passando al di sotto della Porta Calvina si accede all’antico borgo medievale di Salisano. Dalla piazza principale su cui si affaccia il municipio e la chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo, tre strade parallele ed unite tra di loro da vicoli traversi immettono alle antiche contrade comunali.
Percorrendo Via Umberto I°, la strada centrale, si giunge al “Perticolle”, ove un tempo sorgeva la Porta del Colle. Questa via era chiamata “Strada Dritta” ed indicava appunto la Contrada della Strada Diritta. Le altre due vie principali del paese sono Via degli Archi (Contrada dei Ponti) caratteristica per la presenza di ponti e case torri del 1300 e Via Regina Elena (Contrada dell’Olmo). Proprio a via degli Archi, nell’antica spezieria medievale del castello di Salisano, ha sede e si riunisce il nostro gruppo
Logo-Gruppo Speleo Archeologico Vespertilio-Foto di Cristiano Ranieri
Descrizione del libro di Ranuccio Bianchi Bandinelli -L’arte etrusca– Editori Riuniti-Biblioteca DEA SABINA-Gli scritti etruscologici di Ranuccio Bianchi Bandinelli coprono l’intero arco dei cinquant’anni della sua attività di studioso: dal 1925, quando venne pubblicata la sua tesi di laurea su Chiusi, fino al 1973, quando apparve l’ultima sua monumentale opera “Etruschi e Italici prima del dominio di Roma”. I saggi raccolti in questo volume sono disposti cronologicamente e servono a documentare il percorso critico e intellettuale di Bianchi Bandinelli, caratterizzato da un lato da una costante continuità di interesse per il fenomeno artistico etrusco-italico, dall’altro da un fondamentale e profondo rinnovamento delle sue posizioni negli anni successivi al 1960.
Ranuccio Bianchi Bandinelli (1900-1975) è stato uno dei maggiori archeologi e intellettuali italiani del Novecento. Alla attività di studio, come autore di ricerche specialistiche e come docente universitario, ha sempre associato un diretto impegno civile e militante, nell’Amministrazione dei beni culturali e nella diretta partecipazione politica come esponente di spicco del partito comunista. Ha svolto opera di informazione presso il largo pubblico attraverso la direzione di enciclopedie e volumi a grande diffusione.
Ranuccio Bianchi Bandinelli
INDICE
Premessa
Nota del curatore
Parte prima. Storia e problemi dell’arte etrusca
Arte etrusca
La città etrusca
La casa etrusca
La posizione dell’Etruria nell’arte dell’Italia antica
“Illusionismo” nel bassorilievo italico
Datazione e motivi dell’arte tardoetrusca
Parte seconda. Topografia
Questioni generali di topografia etrusca
Riassunto storico e delimitazione del territorio chiusino
Roselle
L’esplorazione di Roselle
Parte terza. Pittura
Necropoli di Vulci
Un “pocolom” anepigrafie del museo di Tarquinia
Le tombe tarquiniesi delle Leonesse e dei Vasi dipinti
Le pitture delle tombe arcaiche
La mostra di pittura etrusca a Firenze
Parte quarta. Scultura
I caratteri della scultura etrusca a Chiusi
Il “Bruto” capitolino scultura etrusca
Il putto cortonese del museo di Leida
Marmora Etruriae
La kourotrophos Maffei del museo di Volterra
Qualche osservazione sulle statue acroteriali di Poggio Civitate (Murlo)
Ranuccio Bianchi Bandinelli
Ranuccio Bianchi Bandinelli (1900-1975) è stato uno dei maggiori archeologi e intellettuali italiani del Novecento. Alla attività di studio, come autore di ricerche specialistiche e come docente universitario, ha sempre associato un diretto impegno civile e militante, nell’Amministrazione dei beni culturali e nella diretta partecipazione politica come esponente di spicco del partito comunista. Ha svolto opera di informazione presso il largo pubblico attraverso la direzione di enciclopedie e volumi a grande diffusione.
Giulio Carlo Argan-Vi parlo di un nostro maestro. La milizia intellettuale di Ranuccio Bianchi Bandinelli [1]
in «Annali dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, fondata da Giulio Carlo Argan», n. 17, Graffiti editore, Roma 2005, pp. 121-124.
Intitolando la sua rivista «Dialoghi di Archeologia» Bianchi Bandinelli pensava sicuramente ai suoi allievi, perché nella sua scuola tutto era dialogo, nulla sapere impartito. Amava molto la scuola, la lasciò quando si persuase che, per salvare la scuola, bisognava lasciare l’università. La lasciò, anche, per dedicarsi interamente ad una grande impresa scientifica, l’Enciclopedia dell’Antichità. Il dialogo seguitava, un’enciclopedia è un lavoro di gruppo: convoca gli studiosi da ogni parte del mondo per fare il punto dello stato di avanzamento di una disciplina, ma anche per inquadrarla in una cultura generale. Aveva il senso profondo dell’etica del lavoro scientifico; amava la ricerca, ma non ricusava i doveri che ne discendevano. La prima forma dell’intelligenza, per lui, era la generosità e quindi l’impegno, anche politico. Subito dopo la guerra accettò di fare il Direttore generale delle Belle Arti: sapeva benissimo ch’era un arido lavoro burocratico in condizioni, poi, particolarmente difficili. Ma era un dovere, verso la cultura e verso il Paese. L’Italia era ancora in rovine, molte opere d’arte italiane rubate dai nazisti erano ancora in Germania (e molte ci sono ancora) dove Siviero si dava da fare a recuperarle. Io ero alle sue dipendenze dirette e quel lavoro comune per me fu una scuola.
Era già comunista, un’altra ragione per essere intransigente quando si tratta del pubblico interesse. Lasciò la direzione generale perché non poteva fare tutto ciò che la coscienza gli imponeva: magari denunciare per collaborazionismo e truffa qualche gran signore che vendeva quadri antichi a Goering ma, conoscendone i gusti più autentici, vi aggiungeva in regalo il vino e i salumi dei suoi poderi.
Ranuccio Bianchi Bandinelli- L’arte etrusca-
Lo ammirai soprattutto perché, davanti al disastro e senza soldi in cassa, riusciva a trovarne abbastanza per finanziare qualche scavo. Pensava che soprattutto era importante mantenere vivo lo spirito della ricerca: per conservare le cose bisogna conservare la mentalità che vuole conservate le cose. L’importante era non rompere l’unità teorico-pragmatica della scienza. Il teorico deve sapere discendere alle cose se vuole che poi dalle cose si possa risalire al grande disegno storico e alla teoresi, magari alla filosofia dell’arte. Mi sovvenni di Lui e del suo impegno pratico, e della serenità e dello spirito con cui lo adempiva, quando imprevedutamente fui fatto sindaco di Roma e mi trovai travolto in una valanga di cure che non avevano niente a che fare con i miei studi. Mi accorsi che non erano poi tanto estranee, forse niente è estraneo alla cultura: cercare di tenere pulita Roma (invano, purtroppo) è come nettare un’opera d’arte imbrattata.
Oggi rifletto a molte strane coincidenze del mio destino col suo e naturalmente anche alla comune scelta politica. Nulla di casuale: tutt’e due ci eravamo formati nella tradizione della scuola viennese di storia dell’arte, dove si partiva dalla scheda per arrivare al trattato, ma senza mai perdere di vista la cosa artistica, il suo essere un manufatto soggetto ai guasti del tempo. Studiare la storia dell’arte era lo stesso che prender cura delle cose, besorgen.
Fin da quando, giovanissimo ancora, esordì brillantemente con gli studi sulla cultura etrusca di Roselle e Sovana lo tormentava il dilemma che non l’abbandonò mai più: archeologia o storia dell’arte? È il nodo di tutto il suo lavoro. Come tutti gli studiosi della sua e poi della mia generazione è stato idealista e crociano: solo al tempo della guerra, credo, ebbe l’illuminazione di Gramsci. Il disgusto della rettorica, che per la verità il Croce ha sempre alimentato negli intellettuali, portava ad una critica radicale dell’archeologia italiana: per la ritardata mentalità antiquariale, anzitutto, ma anche per l’asservimento alla megalomania fascista, per gli scempi che autorizzava a cominciare da Roma, per lo scarso rigore nella ricerca e nel restauro dei monumenti, per l’abuso di falsi concetti come quello di «romanità». Indubbiamente l’idealismo lo avviò a scelte di gusto molto severe, ma del tutto spregiudicate.
Oggi è di moda dire che il criterio di qualità implica una valutazione soggettiva, che una scienza rigorosa non ammette; e in fondo è giusto che i mediocri difendano i mediocri. Eppure è proprio con le sue scelte qualitative che Bianchi Bandinelli ha rovesciato il quadro della storia dell’arte classica. Quando uscì laStoricità dell’arte classica fu come ci cadessero le bende dagli occhi. Non era una questione di arte o non- arte. La storia dell’arte classica che ci avevano insegnato gli archeologi era in realtà la storia di una cultura figurativa aulica o ufficiale e dunque non storia dell’arte, ma storia del potere vista attraverso l’arte. Benché assai più complesso, il punto di vista di Bianchi Bandinelli riportava ai primi storici romantici come il Fauriel, che preferiva la civiltà dei conquistati a quella dei conquistatori: Bianchi Bandinelli accantonava gli artisti di palazzo, parlava di provincia invece che di metropoli, di artigiani pieni di genio o di spirito invece che di artisti laureati. E non era una veduta populista: l’analisi, come nell’ammiratissimo Riegl, era sempre scrupolosamente condotta sulle forme.
Come sempre Bianchi Bandinelli, pur così bravo nel disegnare grandiose sintesi di epoche intere, ha dedotto dalla sua teoria tutte le conseguenze d’ordine pratico: al punto che proprio da quella generale premessa critica è disceso un nuovo modo di concepire e condurre lo scavo: non più per trovare tesori o documenti sensazionali, ma il modesto tessuto di una cultura, gli strumenti della vita quotidiana, le testimonianze delle attività quotidiane. In una parola, la trama di quella che oggi chiamiamo cultura materiale e che, in verità, ci porge una quantità d’informazioni infinitamente maggiore che quelle che può dare un imponente monumento, espressione delle grandi istituzioni del tempo.
Da questa prima formulazione, almeno in Italia, di una metodologia fondamentalmente marxista degli studi di archeologia uscì anche, e fu portata avanti dai discepoli, una nuova modalità della progettazione, dell’attuazione, dell’interpretazione dello scavo: non più concepito come caccia al tesoro, ma come ricostruzione organica del tessuto della cultura. Ciò che doveva, o almeno avrebbe dovuto, essere il principio di un mutamento radicale della politica della tutela del patrimonio culturale: ancora fatta di divieti e di limiti sempre meno rispettati invece che di interventi diretti, in positivo, nello sviluppo della politica della città e del territorio. Era una prospettiva culturale e politica estremamente promettente, quella ch’egli aprì in Italia dopo la Liberazione; ma fu precipitosamente richiusa da quel provincialismo culturale che Bianchi Bandinelli odiava e che ancora non soltanto prospera, ma viene coltivato con sollecito zelo nei patrii giardini.
Forse il dialogo che questa rivista, con il suo nuovo corso, dovrà coraggiosamente portare avanti non è precisamente un dialogo tra maestri ed allievi, ma un dialogo più aperto tra civiltà antiche e civiltà moderna. Bianchi Bandinelli volle chiarire, vivendolo in proprio in tutte le sue contraddizioni, anche drammatiche, che cosa sia la civiltà moderna, ardentemente desiderando che il suo confronto con l’antico fosse il confronto tra due momenti della storia e non tra una storia e una cronaca, talvolta nera. Nessuno può vedere realizzato tutto ciò che spera. Ma certo tutto ciò che poteva essere fatto, nella sua disciplina e nella sua pratica esistenza, affinché l’epoca moderna fosse un’epoca storica, Bianchi Bandinelli lo ha fatto con un’intelligenza, un coraggio, una fermezza e una serenità da rimanere, per gli intellettuali di tutto il mondo, esemplari.
[1] L’articolo, uscito su «L’Unità» del 1° novembre 1979, è il testo dell’intervento di Argan alla cerimonia dedicata a Bianchi Bandinelli tenutasi in Campidoglio il 31 ottobre 1979 in occasione della pubblicazione della nuova serie dei «Dialoghi di Archeologia».
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Franco Leggeri Fotoreportage- L’Alba nella Campagna Romana-
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana è un’immersione nel silenzio che suscita emozioni , evoca suggestioni che poi si perdono nell’infinità del cielo romano. Fotografare è come toccare a mani nude la purezza della rugiada ancora addormentata sull’erba e godere , a beneficio della fotocamera, dei chiarori dell’alba, di questa luce e di questo immenso silenzio per avere delle immagini irripetibili . Farsi accarezzare dai raggi del sole che si è “appena svegliato” e accende i colori di questa Campagna,significa gioire dell’intimità di questo luogo d’incontro che è un vero e grandioso dono di Dio.
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Sono le 5:30 di un mattino estivo e mi resta ancora poco tempo per vivere in compagnia di questa bellezza ammantata di pace. Ora sta iniziando il traffico e le auto infrangono e distruggono il silenzio. Tra poco inizia il caos della “civiltà “, ma restano ancora momenti per essere con me stesso e fotografare ancora una volta l’Alba e il suo disperdersi nel giorno . Questi sono attimi che, se li sai centellinare, possono diventare infiniti e dare un piacevole senso di assenza di gravità e anche l’illusione che sia possibile fluttuare nell’armonia della bellezza. Sono tantissimi anni che godo la magia della Campagna Romana così carica di storia che gli alberi, i cespugli e le pietre sanno raccontare a chi sa ascoltare i loro sussurri. Ormai mi rimane difficile immaginare come sarebbero le mie mattine senza la bellezza di questa visione, dove i colori che la dipingono nascono da una tavolozza infinita che ogni giorno la trasforma in un affresco di stupefacente potenza che incide la mia anima, oltre il limite oscuro .
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
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Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
La Campagna Romana o Agro Romano, in senso storico o tradizionale, non coincide con nessuna delle odierne suddivisioni amministrative e neppure con l’area che potrebbe definirsi come banlieue di Roma. Essa comprende il comune di Roma (1507,6 km2) eccetto l’area occupata dalla città coi quartieri e suburbî (222 km2) cioè 1285,6 km2 cui sono peraltro da aggiungere il comune di Aprilia (177,6 km2) costituito nel 1937, e parte dei comuni di Anzio, Nettuno, Pomezia e Marino; in quest’ultimo comune si trova l’aeroporto di Ciampino coi nuclei abitati dipendenti, compresa la così detta Città giardino Appia (v. ciampino, in questa App.). Il fatto più notevole che caratterizza l’ultimo ventennio è il progressivo rapido ripopolamento della Campagna. Limitandoci al territorio pertinente al Comune di Roma, i 62.500 ab. (residenti) del 1936, sono divenuti 120.781 nel 1981 e 161.886 nel 1956. L’incremento è dovuto non tanto al moltiplicarsi delle case sparse, quanto al costituirsi di nuclei che sono spesso antichi casali trasformati, dotati di chiesa, scuola, stazione sanitaria, ovvero di nuove unità rurali, o infine di veri e proprî centri. Di questi il più recente censimento ne annovera 42, dei quali uno, il Lido di Ostia è ormai una cittadina di circa 20.000 ab., altri due o tre hanno popolazione superiore a 5000 ab. (oltre a Ciampino) e sette o otto popolazione superiore a 1000 ab. Il richiamo della popolazione verso il mare è evidente. Dopo il Lido, il centro più popoloso è Fiumicino, che acquisterà nuovo incremento con l’apertura al traffico (1961) del grande aeroporto intercontinentale; a nord di Fiumicino è Fregene; a sud del Tevere Tor Vaianica, a prescindere dalle altre recenti “marine” che si succedono fino ad Anzio. Altra ben visibile trasformazione della Campagna, del resto connessa con la precedente, è la riduzione delle aree pascolive a vantaggio delle coltivazioni. Tra queste predomina ancora il grano, ma nelle zone periferiche compare la vite (anche per frutto), altri alberi fruttiferi, prati da foraggio e, in plaghe più ricche di acqua, colture orticole. La Campagna comprende due grandi bonifiche effettuate secondo piani predisposti, la bonifica di Maccarese e quella di Porto-Isola Sacra, oltre ad altre minori; comprende anche taluni grossi centri di allevamento, come Torrimpietra. L’allevamento bovino si sviluppa, quello ovino declina a causa della accennata riduzione del pascolo naturale. Manifesta è anche la trasformazione o integrazione della rete stradale. Le antiche vie consolari irraggianti dalla città che ancora costituiscono lo schema fondamentale, sono collegate da vie trasversali (a cominciare dal “grande raccordo anulare” corrente a 11-15 km dal centro di Roma), da collegamenti secondarî, da strade vicinali e di bonifica. La parte della Campagna più vicina alle aree suburbane viene a poco a poco assorbita dalla espansione del Suburbio stesso sia verso il mare (dove i quartieri dell’EUR sono, secondo il reparto del 1951, ancora fuori del Suburbio), sia verso est (via Tiburtina), sia verso sud-est (vie Prenestina e Casilina), sia anche verso nord (via Cassia).e (via Aurelia) Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Storia
Secondo Carocci e Vendittelli la struttura fondiaria e produttiva della Campagna Romana risale al tardo medioevo e si è conservata senza soluzione di continuo fino alla riforma agraria a metà del XX secolo.
Le invasioni barbariche, la guerra greco-gotica e la definitiva caduta dell’Impero romano d’Occidente favorirono il generale spopolamento delle campagne, compresa quella romana, e i grandi latifondi imperiali passarono nelle mani della Chiesa, che aveva ereditato le funzioni assistenziali e di governo già assolte dai funzionari imperiali, e le esercitava nei limiti del possibile.
A partire dall’VIII secolo le aziende agricole (villae rusticae) di epoca imperiale si trasformarono – dove sopravvissero – in domuscultae, entità residenziali e produttive autosufficienti e fortificate, dipendenti da una diocesi – o una chiesa, o un’abbazia – che deteneva la proprietà delle terre e le assegnava in enfiteusi ai contadini residenti. Questi spesso ne erano gli originali proprietari, ed avevano conferito la proprietà dei fondi alla Chiesa in cambio di un piccolo canone di affitto e dell’esenzione dalle tasse. Queste comunità godevano di completa autonomia, che implicava anche il diritto ad armarsi per autodifesa (da dove la costruzione di torri e torrette), e in alcuni casi giunsero anche a battere moneta.
Già dal X secolo, tuttavia, la feudalizzazione costrinse i contadini ad aggregarsi attorno ai castelli dei baroni ai quali veniva man mano attribuito il possesso – a vario titolo – di molte proprietà ecclesiastiche, e la coltivazione della pianura impaludata e malarica fu abbandonata, col tempo, quasi completamente. Là dove si continuava a coltivare, questi nuovi latifondi ormai deserti, nei quali sorgevano sparsi casali fortificati, furono destinati a colture estensive di cereali e a pascolo per l’allevamento di bestiame grande e piccolo. Il loro scarso panorama umano era costituito da pastori, bovari e cavallari, braccianti al tempo delle mietiture, briganti.
L’abbandono delle terre giunse a tal punto che con la conseguente scomparsa degli insediamenti urbani nel territorio circostante Roma attorno alle vie Appia e Latina, l’ex Latium Vetus, venne ripartito in “casali”, tenute agricole di centinaia di ettari dedicato all’allevamento di bestiame, soprattutto ovini, e alla coltivazione di cereali, a cui erano addetti lavoratori salariati spesso stagionali. Questi latifondi in età rinascimentale e moderna divennero proprietà delle famiglie legate al papato. A seguito dello spopolamento delle terre pianeggianti ritornate a pascolo, si aggravò il grave problema dell’impaludamento e della malaria.
Nel XVII secolo, dopo la redazione del Catasto Alessandrino[1], furono concessi ai contadini, ai piccoli proprietari e agli abitanti dei borghi l’uso civico dei terreni spopolati e abbandonati ed esenzioni fiscali (mentre venivano aggravate le imposizioni sui proprietari noncuranti), allo scopo di stimolare il ripopolamento di quelle campagne.
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Franco Leggeri Fotoreportage- L’alba nella Campagna Romana
Descrizione-dek kibro di Roberto De Giorgi-L’Archeologo di Dio –Thriller, fantareligione, inchieste, ricerche, esoterismo, horror, viaggi nel tempo, c’è di tutto in questo romanzo che raccoglie 60 anni di vita di un professore texano con la passione dell’archeologia. Lo vediamo nel 1925 negli scavi a Megiddo per scoprire le scuderie del Re Salomone, nel 1945 a Napoli alla fine del secondo conflitto mondiale, nel 1965 in Messico in una sorta di ricerca sull’archeologia dell’esistenza. Per finire, l’ultimo racconto vede protagonista Kate, una sua ex allieva e ora professoressa nella sua stessa scuola di El Paso, che deve sconfiggere la maledizione della nipote di Belzebù. Nelson Bentham Mill, è un personaggio inventato che rispecchia la tradizione biblista dei ricercatori statunitensi, racconta in prima persona la sua vita nei primi tre racconti; la sua è una religione dei primordi, legata al mondo del mistero, calata dentro una realtà densa di sentimenti di amicizia, amore, passione, paura e sofferenze. Ma vi sono risvolti della camorra a Napoli e del narcotraffico in Messico, come fenomeni di contorno che entrano con la loro prepotenza e arroganza nelle storie.
Quarta di copertina
Il personaggio di Nelson, presente in questo romanzo, è realmente esistito: Nelson Glueck vissuto dal 1900 al 1970, il quale per tutta la vita si è speso per trovare conferme e prove archeologiche a conferma della Bibbia.
Ispirandosi al filone dell’archeologia americana, l’autore inventa un nuovo Nelson, stavolta Bentham Mills, del quale si racconta la vita nel periodo dal 1925 al 1965 attraverso viaggi avventurosi e fantastici, dall’esodo biblico, passando dall’esoterismo nazista durante il 1945, per finire alla ricerca di un gesuita scomparso nelle montagne nel 1965. Avventura, suspense, mistero, viaggi nel tempo, soprannaturale vissuto senza eccedere, cammino della fede, indagini, e altro in un romanzo originale che inserisce una vera “saga del personaggio” che il lettore segue nella sua vita in tre avventure psico-religiose.
Con molti risvolti di contorno, la fede religiosa, tratti semplici di teologia, il paesaggio sociale, la realtà autentica come la camorra a Napoli o il narcotraffico in Messico
Si tratta quindi di romanzo che racconta tutta la vita del personaggio con un titolo inequivocabile. L‘autore, sin dall’inizio si pone le stesse domande del lettore, rispetto agli avvenimenti fantastici vissuti. Una lettura che non ha riscontri violenti che mantiene il giusto pathos che serve a raccontare e vivere le vicende, i cambi di scena con l’arcano che domina sempre. L’archeologia descritta parte dal Dio biblico punitivo dei primordi per arrivare al Dio che si fa amare, come indagine fondamentale dove si capisce il senso archeologico della vera religiosità.
La sua è un archeologia dei primordi, più ancestrale, più legata al mondo del mistero. Un racconto che però divulga, assume informazioni reali, come reali sono gli scavi, i reperti, come reale è la società di contorno, i paesaggi aspri e meno contorti, i riferimenti biblici, le persone che si incontrano, i sentimenti e le passioni, le paure e le sofferenze.
E’ possibile acquistare il libro nella pagina di streetlib qui, scegliendo le due opzioni, o il formato ebook da leggere sul proprio device (smartphon, tablet) oppure ordinare come libro cartaceo vero e proprio come da cover in copertina dell’articolo. All’atto del pagamento il libro va in stampa ed entro due settimane arriva a casa con le spese di trasporto comprese nel prezzo di copertina (con il servizio postale). Se si vuole accelerare c’è il servizio col corriere express che va pagato a parte.
Sara Parcak ha inventato l’archeologia spaziale, utilizzando immagini satellitari per cercare indizi dei luoghi perduti delle civiltà passate, cambiando il modo di studiare le rovine del mondo antico. Dal suo laboratorio in Alabama, sfruttando le mappe dei satelliti, questa trentasettenne ha già scandagliato mille tombe, 17 piramidi, scovato insediamenti di cui si ignorava persino l’esistenza. Il suo lavoro aiuterà ora a ricostruire Palmira, distrutta dall’Isis nella Siria in guerra.
La rivoluzione tecnologica nell’archeologia dai tempi di Indiana Jones
Ammettiamolo, Indiana Jones era un archeologo piuttosto scarso. Distruggeva i suoi siti, usava una frusta al posto di una spatola ed era più probabile che uccidesse i suoi colleghi piuttosto che scrivere insieme a loro resoconti archeologici.
Indipendentemente da ciò, “I predatori dell’arca perduta”, che ha festeggiato il suo 30° anniversario lo scorso 12 giugno, ha reso affascinante lo studio del passato per una intera generazione di scienziati.
Gli archeologi moderni che si sono ispirati ai “predatori” hanno però fortunatamente imparato dagli errori del dottor Jones, e ora utilizzano tecnologie avanzate come le immagini satellitari, la mappatura laser aerea, robot e scanner medici. Niente più fruste scientificamente inutili.
Tali innovazioni hanno permesso agli archeologi di individuare dallo spazio piramidi sepolte, creare mappe 3-D di antiche rovine Maya dal cielo, esplorare i relitti di navi romane e trovare prove di malattie al cuore in mummie di 3.000 anni. La maggior parte di questi strumenti proviene da settori quali biologia, chimica, fisica o ingegneria, così come da gadget commerciali, tra cui GPS, portatili e smartphone.
“Se scaviamo parte di un sito, lo distruggiamo”, dice David Hurst Thomas, curatore di antropologia al Museo americano di storia naturale di New York. “La tecnologia ci permette di scoprire molto di più prima ancora di entrare, come i chirurghi che fanno uso di TAC e risonanza magnetica”.
Gli archeologi hanno sfruttato queste tecnologie per scoprire antichi siti di interesse più facilmente che mai. Si può scavare con maggiore fiducia e meno danni collaterali, applicare le più recenti tecniche di laboratorio su antichi manufatti o resti umani, e datare meglio persone o oggetti.
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I satelliti indicano il luogo
Una delle rivoluzioni in corso nell’archeologia si basa sui satelliti in orbita sopra la Terra. Sarah Parcak, egittologa presso l’University of Alabama a Birmingham, e un team internazionale hanno recentemente usato immagini satellitari a raggi infrarossi per scrutare fino a 10 metri al di sotto del deserto egiziano. Hanno trovato migliaia di nuovi siti tra cui, credono, 17 piramidi.
Le immagini rivelano inoltre strade sepolte e case dell’antica città egizia di Tanis, un noto sito archeologico presente anche ne “I predatori dell’arca perduta” tre decenni fa. “Ovviamente, non zoommiamo le immagini satellitari per trovare l’Arca dell’Alleanza e il Pozzo delle Anime”, rassicura la Parcak.
Anche le immagini satellitari ordinarie di Google Earth sono utili. Molti dei siti egizi contengono sepolti edifici in mattoni di fango che si sgretolano nel tempo e si mescolano con la sabbia o il limo. Quando piove, i suoli con i mattoni di fango trattengono l’umidità più a lungo e appaiono scoloriti nelle foto satellitari.
“In passato, sarei saltato su una Land Rover e sarei andato a vedere un possibile sito”, dice Tony Pollard, direttore del Centre for Battlefield Archaeology presso l’Università di Glasgow in Scozia. “Ora, prima di fare questo, vado su Google Earth”.
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Scavando facendo meno danni
Strumenti come il georadar possono anche aiutare gli archeologi a evitare di distruggere dati preziosi quando scavano antichi siti, spiega Thomas. “Molte tribù di nativi americani sono molto interessate nel telerilevamento che non è invasivo né distruttivo, perché a molti non piace l’idea di disturbare i morti o i resti sepolti”.
I magnetometri sono in grado di distinguere tra metalli sepolti, rocce e altri materiali in base alle differenze nel campo magnetico della Terra. I rilevamenti della resistività del terreno trovano invece gli oggetti in base alle variazioni della velocità della corrente elettrica.
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Dare una spolverata a vecchie ossa
Una volta che gli oggetti o le ossa sono riportati alla luce, gli archeologi possono consegnarli al laboratorio per un’analisi forense che impressionerebbe qualsiasi agente di CSI. Le scansioni con tomografia computerizzata comunemente utilizzate in medicina hanno rivelato arterie bloccate in una principessa egizia che finì mummificata 3.500 anni fa.
Questa tecnica è stata usata per identificare le origini di decine di soldati trovati in una fossa comune di 375 anni in Germania. “Alcuni venivano dalla Finlandia, alcuni dalla Scozia”, dice Pollard.
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“Quando ero un cattivo ragazzo e andai a fare archeologia invece di medicina, mia
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madre pensò che avrei speso tutto il mio tempo nel passato”, dice Thomas. “Ciò non potrebbe essere più lontano dalla verità; facciamo tutto il possibile per tenerci al passo con la tecnologia”.
Per il momento la tecnologia non eliminerà il bisogno di scavare, dicono gli archeologi. Ma se quel giorno arrivasse, “l’archeologia diventerebbe molto più noiosa”, afferma Pollard. E non è il solo a pensarlo.
“Va molto bene usare le immagini satellitari, ma fino a quando non vai sul campo sei bloccato in laboratorio”, conclude la Parcak. “È una costante nell’archeologia; devi scavare ed esplorare.”
“Da Sharaja a Roma, lungo la via delle spezie”, la mostra ospitata dalla Cura Iulia
Roma Capitale-La mostra “Da Sharjah a Roma lungo la via delle spezie”, ospitata all’interno della Curia Iulia, antica sede del Senato Romano, è il frutto della collaborazione tra il Parco archeologico del Colosseo e la Sharjah Archaeological Authority, promossa da Sua Altezza lo sceicco Dr. Sultan bin Al Qasimi, membro del Consiglio supremo e sovrano di Sharjah.
L’esposizione, a cura di Eisa Yousif e Francesca Boldrighini, illustra al pubblico, per la prima volta in Italia, gli straordinari ritrovamenti archeologici dell’Emirato di Sharjah: le città di Mleiha e Dibba, fiorite tra l’epoca ellenistica ed i primi secoli dell’Impero Romano, città sorte al centro delle antiche vie carovaniere che collegavano l’India e la Cina con il Mediterraneo e con Roma.
Da Sharaja a Roma lungo la via delle spezie la mostra ospitata dalla Cura Iulia
Testimonianza di questi stretti contatti culturali e commerciali tra Oriente ed Occidente sono gli splendidi oggetti esposti, rinvenuti nelle necropoli e negli abitati: anfore da vino da Rodi e dall’Italia, contenitori dalla Mesopotamia e dalla Persia; unguentari in alabastro dall’Arabia e in vetro dal Mediterraneo orientale; pettini di avorio e gioielli indiani e orecchini di fattura ellenistica; statuine di Afrodite e dediche alla divinità al-Lat; monete indo-greche e romane, originali e di imitazione locale. Tutto concorre a delineare un affresco di grande varietà e ricchezza, una società aperta a numerose e diverse influenze, che potremmo definire ante litteram “multiculturale”.
La mostra, arricchita da un catalogo breve e da un’evocativa videoproiezione, permette inoltre di sottolineare l’importanza dei commerci con l’Oriente per il mondo romano. Le spezie, prima fra tutte l’incenso, prodotto in Arabia erano tra i prodotti più importati e richiesti, e proprio per questo il commercio era regolato dall’autorità imperiale. Il legame con Roma si evidenzia nella presenza nel Foro Romano, a pochi metri dalla sede della mostra, degli Horrea Piperataria, i magazzini voluti da Domiziano per la conservazione del pepe e di altre spezie, che il PArCo ha recentemente restaurato e reso accessibili al pubblico.
Con questa nuova esposizione il Parco archeologico del Colosseo intende proseguire il percorso di divulgazione e ricerca scientifica ampliandolo alla dimensione mediterranea ed internazionale – commenta Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo. I legami tra l’Arabia e l’area mediterranea sono antichi, e i commerci contribuirono ad ampliare le connessioni tra le due regioni, plasmando la storia del Mediterraneo e del Vicino Oriente per secoli.
Ci auguriamo che questa mostra offra ai visitatori l’opportunità di esplorare una storia globale condivisa: questi oggetti non sono semplici reliquie silenziose; sono storie vibranti che ci raccontano come civiltà e città come Roma e Sharjah abbiano stabilito legami che si estendevano lungo migliaia di chilometri – afferma Eisa Yousif, curatore della mostra e direttore della Sharjah Archaeological Authority.
SHARJAH
Sharjah è uno dei sette emirati che compongono la federazione degli Emirati Arabi Uniti. Si trova nella parte centrale della penisola dell’Oman, con accesso sia dal Golfo Arabico a ovest, sia dal mare dell’Oman a est. Rinvenimenti risalenti al periodo Paleolitico in diverse zone dell’emirato di Sharjah testimoniano l’insediamento umano nell’area, fino al Neolitico (9000-4000 a.C.), e all’età del Bronzo
(4000-1250 a.C.) e del Ferro (1250-300 a.C.). In questo periodo nell’area si attesta la domesticazione del cammello, così come la creazione di un sistema di irrigazione che permise un rapido sviluppo dell’agricoltura.
Il periodo di Mleiha (III secolo a.C. – III secolo d.C.) è il tema principale dell’attuale esposizione che narra la storia del misterioso mondo dell’antico Regno dell’Oman durante il periodo ellenistico e romano. Sebbene l’impero di Alessandro e gli stati ellenistici non siano giunti a mettere sotto il loro controllo queste terre, il Golfo ed il lato sud-est della penisola arabica si trovavano al crocevia dei commerci del continente eurasiatico. Mleiha, infatti, costituiva un importante punto di snodo lungo la Via della Seta marittima che collegava l’Occidente, con l’Egitto,
Roma e la Grecia, all’Oriente, con la Mesopotamia, l’India e l’Asia centrale, fino alla Cina, favorendo lo scambio non solo di merci e beni preziosi, ma anche di uomini e di idee che arricchirono la cultura, la religione e la visione del mondo della popolazione locale.
Tra i beni di lusso che giungevano a Roma attraverso la penisola di Oman c’erano le spezie e soprattutto l’incenso. Utilizzate per scopi alimentari, religiosi e medici, le spezie erano talmente richieste e apprezzate che la loro importazione era rigidamente regolamentata dallo Stato, tanto che gli imperatori Flavi fecero costruire nel Foro Romano un apposito magazzino: gli Horrea Piperataria, di recente resi pienamente fruibili alla visita a conclusione delle campagne di scavo archeologico.
Nel sito di Mleiha sono stati rinvenuti vasti cimiteri con tombe monumentali, appartenenti ai membri più importanti della comunità, circondate da tombe più modeste. Le tombe, risalenti al III- inizio del I secolo a.C., erano individuali e variavano in dimensione in base ai corredi funerari ospitati. La più importante tra le tombe monumentali, scoperta nel 2015, costruita con mattoni di gesso intonacato, presentava una pianta a forma di “H” con un lungo corridoio d’ingresso. Saccheggiata in antichità, la tomba fu riutilizzata e un muro di mattoni chiuse il passaggio tra le due camere. Tra i mattoni, uno recava un’iscrizione bilingue (sudarabica e aramaica) datata al 222/221 o 215/214 a.C., che attribuisce la tomba a un ispettore reale del regno dell’Oman. Questo è il primo riferimento storico al regno omanita, citato poi successivamente nel Periplus Maris Erythraei e nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. I reperti rinvenuti, tra cui un’anfora da vino di Rodi, una ciotola in bronzo decorata con iconografie ellenistiche, africane e arabe, e un set da vino in bronzo, testimoniano non solo l’alto rango del defunto ma anche il prestigio culturale e la consolidata tradizione dell’importazione di vino dal Mediterraneo.
Da Sharaja a Roma lungo la via delle spezie la mostra ospitata dalla Cura Iulia
SHARJAH, ROMA E IL MEDITERRANEO
I legami tra l’Arabia e l’area mediterranea sono antichi e non toccano solo il Mediterraneo orientale, ma anche Roma e la Spagna. Con le conquiste di Alessandro Magno l’Egitto e la Mesopotamia divennero parte del mondo ellenistico. Il Mediterraneo orientale entrò poi a far parte dell’Impero Romano, che si estese più tardi, con Traiano, alla Mesopotamia e all’Arabia.
Nel 24 a.C. Elio Gallo, prefetto d’Egitto, fu inviato dall’imperatore Augusto in Arabia per aprire una via commerciale verso l’India. L’obiettivo era il controllo delle importazioni di merci, e soprattutto delle spezie: secondo Plinio il Vecchio, ogni anno arrivavano a Roma 3000 tonnellate di solo incenso. Ma si importavano anche avorio, seta, pietre preziose, perle, pepe e mirra. L’importanza di queste merci è testimoniata dalla costruzione nel Foro Romano degli Horrea Piperataria – per
immagazzinare pepe (in latino piper) e altre spezie – e della Porticus Margaritaria, dove venivano vendute perle (margaritae).
Le navi romane trasportavano a loro volta verso Oriente tessuti, corallo, gioielli, vetro e oggetti in metallo. Il vino proveniva da Rodi e dal Mediterraneo orientale, ma anche dalla Spagna. Oggetti in vetro, come gli unguentari, venivano spesso importati da Siria ed Egitto. L’influenza romana è attestata anche dai ritrovamenti di monete, sia originali sia imitazioni.
Roma Capitale – Domenica 2 febbraio 2025 Musei e siti archeologici gratis-
ROMA-Campidoglio-Marco Aurelio
Roma Capitale-Ingresso gratuito per tutti domenica 2 febbraio,2025 prima domenica del mese, nei siti del Sistema Musei di Roma Capitale e in alcune aree archeologiche della città. Saranno aperti a ingresso libero il Parco Archeologico del Celio (ore 7-17.30), con il Museo della Forma Urbis (10:00 – 16:00 con ultimo ingresso alle ore 15:00, iIngressi viale del Parco del Celio 20/22 – Clivo di Scauro 4); l’Area Sacra di Largo Argentina (via di San Nicola De’ Cesarini di fronte al civico 10, 9:30 – 16:00, ultimo ingresso ore 15), l’area archeologica del Circo Massimo (ore 9:30 – 16:00, ultimo ingresso ore 15), Villa di Massenzio (via Appia Antica 153, dalle 10 alle 16, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura) e i Fori Imperiali (ingresso dalla Colonna Traiana ore 9:00 – 16:30, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura).
Questi i musei civici aperti a ingresso gratuito per l’occasione: Musei Capitolini; Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali; Museo dell’Ara Pacis; Centrale Montemartini; Museo di Roma; Museo di Roma in Trastevere; Galleria d’Arte Moderna; Musei di Villa Torlonia (Casina delle Civette, Casino Nobile, Serra Moresca); Museo Civico di Zoologia.
L’iniziativa è promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Ingresso libero compatibilmente con la capienza dei siti. Prenotazione obbligatoria solo per i gruppi al contact center di Roma Capitale 060608 (ore 9-19).
A ingresso gratuito sia le collezioni permanenti che le esposizioni temporanee, a partire dai Musei Capitolini (piazza del Campidoglio 1) dove si potrà ammirare, nelle sale terrene del Palazzo dei Conservatori, Tiziano, Lotto, Crivelli e Guercino. Capolavori della Pinacoteca di Ancona, una selezione di grandi opere provenienti dalla Pinacoteca Civica ‘Francesco Podesti’ di Ancona. Sei prestigiose tele protagoniste di un percorso espositivo che racconta l’importanza della collezione della Pinacoteca. Nella Sala degli Arazzi del Palazzo dei Conservatori, Agrippa Iulius Caesar, l’erede ripudiato. Un nuovo ritratto di Agrippa Postumo, figlio adottivo di Augusto, tre ritratti di Agrippa Postumo, uno appartenente alle collezioni dei Musei Capitolini, un altro proveniente dagli Uffizi e il terzo della Fondazione Sorgente Group, in cui, solo di recente, si è riconosciuto lo sfortunato erede di Augusto.
Nelle sale di Palazzo Clementino l’ingresso gratuito comprende la visita a I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, un’ampia panoramica sull’uso dei marmi colorati, dalle origini fino al XX secolo, attraverso una raffinata selezione di pezzi provenienti dalla Fondazione Santarelli.
La prima domenica del mese può essere infine l’occasione per ammirare, nel giardino di Villa Caffarelli, l’imponente ricostruzione in dimensioni reali del Colosso di Costantino, una statua alta circa 13 metri realizzata attraverso tecniche innovative, partendo dai pezzi originali del IV secolo d.C. conservati nei Musei Capitolini. (www.museicapitolini.org).
Al Museo di Roma in Trastevere (piazza S. Egidio 1/b) sarà possibile visitare la nuova mostra L’albero del poeta. La quercia del Tasso al Gianicolo. Attraverso documenti, fotografie, grafiche, dipinti e testimonianze, molte delle quali esposte per la prima volta, il visitatore potrà riscoprire l’importanza di questo luogo caro a Torquato Tasso, e il suo legame indissolubile con la città di Roma.
Al piano terra l’esposizione Roma ChilometroZero, un lavoro fotografico di ricerca in cui 15 fotografi romani documentano la complessità, i cambiamenti e le particolarità della città. Infine, nella sala del pianoforte al primo piano, prosegue Testimoni di una guerra – Memoria grafica della Rivoluzione Messicana, 40 fotografie provenienti dal prestigioso Archivio Casasola, che percorrono le tappe fondamentali della Rivoluzione Messicana, periodo in cui sono sorte figure che hanno segnato la storia messicana. (www.museodiromaintrastevere.it).
Ai Musei di Villa Torlonia (via Nomentana 70) nelle sale del Casino dei Principi Titina Maselli nel centenario della nascita, un’ampia visione retrospettiva dell’opera di un’artista che ha attraversato con grande autonomia e libertà visiva molte correnti pittoriche, senza mai aderire a una in particolare.
Alla Casina delle Civette è possibile ammirare l’esposizione Niki Berlinguer. La signora degli arazzi, una panoramica completa della produzione di arazzi realizzati dall’eminente tessitrice e artista, pioniera nel tradurre la pittura in narrazioni tessili (www.museivillatorlonia.it).
Negli spazi della Galleria d’Arte Moderna (via Francesco Crispi 24), la mostra Estetica della deformazione. Protagonisti dell’Espressionismo Italiano, una selezione delle opere della collezione Iannaccone di Milano relative alla linea espressionista dell’arte italiana tra gli anni Trenta e Cinquanta – dalla Scuola Romana al gruppo Corrente.
Domenica 2 febbraio sarà anche l’ultima occasione per ammirare À jour. Laura VdB Facchini, un progetto site-specific in dialogo con il complesso monumentale tardo-cinquecentesco che oggi ospita il museo, ispirato dal ricamo à jour, come omaggio alle monache che per secoli hanno abitato questo luogo. Nelle sale al secondo piano prosegue il successo della mostra “La poesia ti guarda”. Omaggio al Gruppo 70 (1963-2023), una selezione di opere di uno dei sodalizi artistici più interessanti sorti nel contesto delle neoavanguardie e delle ricerche verbovisuali italiane. Sarà inoltre ancora possibile ammirare L’allieva di danza di Venanzo Crocetti. Il ritorno, una delle prime sculture di grande formato dedicate al tema della danza di Crocetti, tornata in tutta la sua magnificenza dopo un restauro da parte dei tecnici dell’ICR. (www.galleriaartemodernaroma.it).
Aperti regolarmente al pubblico anche i musei abitualmente ad ingresso libero: Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco; Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese; Museo Pietro Canonica a Villa Borghese; Museo Napoleonico; Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina; Museo di Casal de’ Pazzi; Museo delle Mura; Villa di Massenzio.
Al Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese (via Fiorello La Guardia 6 – viale dell’Aranciera 4) la mostra Sandro Visca – Fracturae, un’occasione unica per esplorare la produzione dell’artista abruzzese con particolare attenzione al suo continuo dialogo tra la materia e la sua messa in forma. (www.museocarlobilotti.it )
Al Museo Napoleonico (Piazza di Ponte Umberto I 1) si potrà ammirare Carolina e Ferdinando. E non sempre seguendo il dopo al prima, sculture, incisioni, installazioni multimediali di Gianluca Esposito che esplorano artisticamente le relazioni fra Maria Carolina d’Asburgo Lorena, il marito Ferdinando IV di Borbone e il Regno di Napoli. (www.museonapoleonico.it )
Roma- Museo Galleria Borghese-“C’era una volta”è un percorso di approfondimento condotto dal personale del museo e dedicato al ciclo delle volte dipinte che inizia martedì 4 febbraio e termina venerdì 11 aprile 2025.L’iniziativa nasce per valorizzare lo straordinario lavoro di riqualificazione della villa promosso dal Principe Marcantonio IV Borghese alla fine del Settecento (1770-1800). Un lavoro straordinario, poco conosciuto, che vide una radicale ristrutturazione dell’edificio e l’aggiornamento della decorazione interna.
Roma- Museo Galleria Borghese
L’incarico fu affidato all’architetto Antonio Asprucci (1723-1808), di grande fama e talento, uno dei primi ad introdurre a Roma il Neoclassicismo come stile architettonico. Asprucci, che si avvalse della collaborazione di una rinomata equipe di artisti italiani e stranieri, tra cui Gavin Hamilton, Tommaso Conca, Mariano Rossi, il quadraturista Giovan Battista Marchetti e altri, concepì le superfici degli ambienti come scenari per i marmi antichi e moderni già presenti nell’edificio. Le pareti si rivestirono di policromie a stucco marmoreo, i bellissimi camini seicenteschi furono sostituiti con altri detti “alla francese”, addossati al muro e ornati di materiali preziosi, e le volte furono scompartite da eleganti quadrature architettoniche, con preziose cornici a stucco e al centro quadri il cui soggetto era in stretto dialogo con il capolavoro posto al centro. Tutto il ciclo decorativo delle volte assumeva un carattere descrittivo, destinato all’ospite della Villa Pinciana, e volto ad esaltare la famiglia Borghese e le antiche origini.
L’iniziativa è gratuita e la prenotazione è obbligatoria chiamando il numero: 06 67233755 (da lunedì a venerdì, dalle 14.00 alle 17.00).
Le visite si svolgono dal martedì al venerdì.
L’appuntamento è alle ore 14.30 presso il banco Informazioni del museo, situato accanto alla Biglietteria. Il percorso dura circa 40 minuti e prevede la visita delle sale I, II e III.
L’ingresso al museo non dà diritto alla visita delle altre sale.
Museo Galleria Borghese-Piazzale Scipione Borghese 5, 00197 Roma, Italia Tel. +39 068413979 mail. ga-bor@cultura.gov.it pec. ga-bor@pec.cultura.gov.it Per acquisto biglietti: +39 06 32810
Il Museo Galleria Borghese custodisce ed espone una collezione di sculture, bassorilievi e mosaici antichi, nonché dipinti e sculture dal XV al XIX secolo. Tra i capolavori della raccolta, il cui primo e più importante nucleo risale al collezionismo del cardinale Scipione (1579-1633), nipote di Papa Paolo V, ci sono opere di Caravaggio, Raffaello, Tiziano, Correggio, Antonello da Messina, Giovanni Bellini e le sculture di Gian Lorenzo Bernini e del Canova.
Le opere sono esposte nelle 20 sale affrescate che, insieme con il portico e il Salone di ingresso, costituiscono gli ambienti del Museo aperti al pubblico. Oltre 260 dipinti sono custoditi nei Depositi della Galleria Borghese, collocati sopra il piano della Pinacoteca e allestiti come una quadreria. I Depositi della Galleria Borghese sono visitabili su prenotazione.
Per ragioni di sicurezza legate alla conformazione dell’edificio storico, l’accesso al Museo è regolamentato in turni di visita di due ore l’uno, per un massimo di 360 persone ciascuno, con uscita obbligatoria a fine turno.
Roma-Museo del Corso -Dopo Chagall arriva Picasso –
Roma Capitale-Il nuovo Museo del Corso – Polo museale, la nuova istituzione culturale voluta e promossa da Fondazione Roma, ha registrato in soli due mesi oltre 120mila visitatori con le visite alla Collezione permanente e all’Archivio storico di Palazzo Sciarra Colonna e l’esposizione della Crocifissione bianca di Marc Chagall, visibile a Palazzo Cipolla dal 27 novembre 2024 al 27 gennaio 2025.
Roma, Museo del Corso
Roma, Museo del Corso
Roma, Museo del Corso
“Chagall a Roma – la Crocifissione bianca, oltre a rappresentare uno degli eventi culturali più rilevanti del Giubileo, ha avuto soprattutto un ruolo simbolico e spirituale per il messaggio di evangelizzazione e di difesa della dignità di ogni individuo. Lo testimonia anche la visita di Papa Francesco venuto ad ammirare l’opera, tra le sue preferite proprio per il messaggio di unità tra culture religiose che ispira”, ha dichiarato Franco Parasassi, Presidente di Fondazione Roma. “Il nuovo Museo del Corso – Polo museale, inaugurato a fine novembre, sta riscuotendo un grande successo. Stiamo ricevendo un altissimo numero di richieste di prenotazione. Tutto questo dimostra come Roma sia una città in cui c’è ancora spazio per l’arte e la bellezza e per promuovere tante iniziative culturali, ed è a questo bisogno che Fondazione Roma vuole rispondere attraverso un impegno costante, che conferma con la prossima prestigiosa mostra dedicata a Pablo Picasso, attesa per il 27 febbraio”.
Roma, Museo del CorsoPICASSO-LO-STRANIERO-27febbr-29giugno-2025
Picasso lo straniero dal 27 febbraio – 29 giugno 2025
Ideata da Annie Cohen-Solal, la mostra esplora l’identità dell’artista come immigrato in Francia, dove, nonostante la fama mondiale, non ottenne mai la cittadinanza. Un percorso che unisce estetica e politica per raccontare come Picasso abbia rivoluzionato l’arte del Novecento vivendo la condizione di “straniero”. La mostra Picasso lo straniero, organizzata dalla Fondazione Roma in collaborazione con Marsilio Arte, aprirà a Palazzo Cipolla dal 27 febbraio 2025.
Dopo il successo per la Crocifissione bianca di Chagall, il Museo del Corso – Polo museale accoglierà infatti dal 27 febbraio al 29 giugno 2025 la mostra Picasso lo straniero, a cura di Annie Cohen-Solal con un intervento di Johan Popelard del Musée national Picasso-Paris, organizzata da Fondazione Roma con Marsilio Arte, realizzata grazie alla collaborazione con il Musée national Picasso-Paris (MNPP), principale prestatore, il Palais de la Porte Dorée di Parigi, il Museu Picasso Barcelona, il Musée Picasso di Antibes, il Musée Magnelli – Musée de la céramique di Vallauris e importanti e storiche collezioni private europee.
Saranno esposte per l’occasione più di cento opere di Picasso, oltre a documenti, fotografie, lettere e video: per la seconda tappa italiana dopo Palazzo Reale di Milano e Palazzo Te a Mantova il progetto espositivo si arricchisce di un nucleo di opere inedite, selezionate dalla curatrice appositamente per lo spazio espositivo romano. In particolare l’esposizione presenta un’importante sezione dedicata alla primavera romana del 1917 trascorsa da Pablo Picasso con Jean Cocteau, Erik Satie, Serge de Diaghilev e Leonid Massine.
La mostra dedicata a Picasso sarà visitabile al pubblico a Palazzo Cipolla dal martedì alla domenica dalle 10 alle 20; lunedì dalle 15 alle 20; giovedì dalle 10 alle 22.30.
Oggi Palazzo Sciarra Colonna, antico palazzo nobiliare e sede della Fondazione Roma, rappresenta il cuore del Museo del Corso – Polo museale. Al suo interno è custodita una ricca Collezione permanente tra cui spiccano opere di artisti come Pietro da Cortona, Piermatteo d’Amelia, Lucio Fontana, Giacomo Balla, Mario Schifano, Mimmo Paladino e Igor Mitoraj.
La raccolta di opere sviluppa attraverso i secoli il rapporto tra l’arte e la Capitale. La Collezione accoglie al proprio interno dipinti, sculture e arazzi connessi alla storia di Roma e ad artisti che vi soggiornarono, abbracciando un ampio arco temporale, dal XV secolo ai giorni nostri.
Conservato nel Palazzo anche un medagliere prestigioso e ricco, la cui gran parte è costituita da emissioni dei Pontefici romani. Seconda solo alla collezione vaticana, la raccolta numismatica del Museo del Corso – Polo museale si compone di oltre 2500 pezzi, alcuni dei quali unici o estremamente rari, come l’eccezionale medaglione di Pio IX, in oro, che al rovescio presenta la veduta della navata centrale della basilica di San Pietro.
Parte integrante di alcuni percorsi di visita anche l’Archivio storico della Fondazione Roma e gli appartamenti cardinalizi di grande valore architettonico, che completano il suntuoso aspetto del Palazzo: realizzati nel ‘700 da Luigi Vanvitelli, il Gabinetto degli Specchi e la Biblioteca del Cardinale Prospero Colonna rappresentano un esempio magistrale e pregiatissimo di stile rococò e rocaille.
Informazioni di accesso
Presso Palazzo Sciarra Colonna si effettuano visite guidate completamente gratuite che prevedono percorsi sia a carattere generale che tematico. Inoltre, si possono prenotare, sempre gratuitamente, laboratori didattici e visite dedicate alle scuole. Si informano i visitatori che non è consentito l’accesso con animali di qualsiasi taglia, cibo e bevande.
Le visite guidate sono gestite interamente da Museo del Corso – Polo museale, pertanto non è possibile effettuare visite guidate organizzate da guide esterne. Il servizio di visita guidata per scoprire gli ambienti di Palazzo Sciarra Colonna è offerto gratuitamente da Museo del Corso – Polo museale
Museo del Corso – Polo museale Palazzo Sciarra Colonna via Minghetti 22, Roma
Palazzo Cipolla via del Corso 320, Roma
Tel. +39.06.22877077 dalle 9.30 alle 18.00 – info@museodelcorso.com
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