londra
Dennis Hunt Fotoreportage-Brighton-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Dennis Hunt – Fotoreportage-Brighton-
Brighton…..where else could you find such a variety in a small area in a short space of time-
Brighton è una città balneare inglese. Situata a circa un’ora in treno a sud di Londra, è una destinazione molto amata per le gite in giornata. La sua ampia spiaggia di ghiaia è caratterizzata da sale giochi ed edifici in stile regency. Il Brighton Pier, nella sezione centrale del lungomare, è stato inaugurato nel 1899 e ora ha di giostre e punti di ristoro. La città è nota anche per la vita notturna, la scena artistica, i negozi e i festival.
Emily Dickynson Poesia Sogno D’inverno Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesia di Emily Dickynson
Sogno D’inverno
Simone Belladonna “Gas in Etiopia”-NERI POZZA EDITORE
Biblioteca DEA SABINA
Simone Belladonna “Gas in Etiopia” -NERI POZZA EDITORE
«La guerra d’Etiopia non è stata soltanto la più grande campagna coloniale della Storia contemporanea, ma anche, probabilmente, la miccia che ha fatto scoppiare la seconda guerra mondiale. Mussolini cominciò a prepararla…
SINOSSI-
Dall’introduzione di Angelo Del Boca: «La guerra d’Etiopia non è stata soltanto la più grande campagna coloniale della Storia contemporanea, ma anche, probabilmente, la miccia che ha fatto scoppiare la seconda guerra mondiale. Mussolini cominciò a prepararla sin dal 1925 e volle che fosse una guerra rapida, micidiale, assolutamente distruttiva. Per questa ragione mandò in Africa orientale mezzo milione di uomini armati alla perfezione, tanti aeroplani da oscurare il cielo, carri armati e cannoni in numero tale da sguarnire le riserve della madrepatria. E per essere sicuro della vittoria, autorizzò anche l’uso di un’arma proibita, l’arma chimica, sulla quale l’autore in questo libro ha raccolto con grande perizia tutte le informazioni possibili.
Per cominciare, ha esplorato, per primo, gli archivi americani del FRUS, dove sono raccolti i dispacci degli alti funzionari degli Stati Uniti sulla preparazione della campagna fascista contro l’Etiopia. Si tratta di documenti di estrema importanza, perché rivelano le mosse del fascismo in armi e ne analizzano, giorno dopo giorno, la pericolosità per la pace nel mondo.
Poiché il libro costituisce, in primis, la denuncia dell’impiego dei gas velenosi e mortali e di tutti gli inganni perpetrati negli anni per nascondere quei crimini, l’autore non ha trascurato dati accurati che offrissero un quadro completo dei diversi gas utilizzati, dei sistemi per utilizzarli, dei risultati ottenuti. Si tratta di migliaia di tonnellate di iprite e di fosgene scaricate soprattutto dagli aeroplani sui combattenti etiopici e sulle popolazioni indifese […].
Gli orrendi crimini del fascismo vennero, come è noto, cancellati dalla propaganda del regime, rimossi dai documenti e dai moltissimi libri pubblicati dai massimi protagonisti della guerra, come Badoglio, Graziani, Lessona, De Bono, dai gerarchi, dai giornalisti e da semplici gregari. Questa sconcertante autoassoluzione proseguì anche nel dopoguerra e nei decenni a seguire, mentre ogni tentativo di ristabilire la verità veniva prontamente ostacolato […].
Perché l’Italia venga a conoscere la verità su quei tremendi crimini bisognerà attendere il 1996, quando il ministro della Difesa, Domenico Corcione, farà alcune parziali ammissioni. Inutilmente, il governo imperiale etiopico ha cercato di trascinare Badoglio, Graziani e altre centinaia di criminali di guerra sul banco degli imputati. Tanto Londra che Washington hanno esercitato sull’imperatore Hailé Selassié ogni sorta di pressioni per dissuaderlo dall’istituire, come era giusto e legittimo, una Norimberga africana».
Dall’introduzione di Angelo Del Boca
L’Autore-
Simone Belladonna è laureato in Scienze Internazionali e Studi Europei. È da sempre appassionato di politica e storia. Fa parte del consiglio di redazione di Rivista Europae e lavora come Account Strategist a Google, in Irlanda. Gas in Etiopia è il suo primo libro.
La casa editrice
Neri Pozza Editore S.p.a.
Via Enrico Fermi, 205
36100 Vicenza
tel. +39 0444 396 323
email redazione@neripozza.it
Silvia Plath poetessa e scrittrice statunitense
Biblioteca DEA SABINA
Una poesia in ricordo di Silvia Plath- poetessa e scrittrice statunitense.
(Boston, 27 ottobre 1932 – Londra, 11 febbraio 1963)
di Sylvia Plath , poetessa americana
Io sono verticale
Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un’aiuola
ultradipinta che susciti grida di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell’uno la lunga vita, dell’altra mi manca l’audacia.
Stasera, all’infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo piu’ perfetto –
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me piu’ naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.
– in ricordo di Silvia Plath- (Boston, 27 ottobre 1932 – Londra, 11 febbraio 1963) è stata una poetessa e scrittrice statunitense.
Conosciuta principalmente per le sue poesie, ha anche scritto il romanzo semi-autobiografico La campana di vetro (The Bell Jar) sotto lo pseudonimo di Victora Lucas. La protagonista del libro, Esther Greenwood, è una brillante studentessa dello Smith College, che inizia a soffrire di psicosi durante un tirocinio presso un giornale di moda newyorkese. La trama ha un parallelo nella vita di Plath, che ha trascorso un periodo presso la rivista femminile Mademoiselle, successivamente al quale, in preda a un forte stato di depressione, ha tentato il suicidio.
Assieme ad Anne Sexton, Plath è stata l’autrice che più ha contribuito allo sviluppo del genere della poesia confessionale, iniziato da Robert Lowell e William De Witt Snodgrass. Autrice anche di vari racconti e di un unico dramma teatrale a tre voci, per lunghi periodi della sua vita ha tenuto un diario, di cui sono state pubblicate le numerose parti sopravvissute. Parti del diario sono invece state distrutte dall’ex-marito, il poeta laureato inglese Ted Hughes, da cui ebbe due figli, Frieda Rebecca e Nicholas. Morì suicida all’età di trent’anni.
Ebbe difficoltà ad integrarsi a scuola, forse proprio per la sua spiccata intelligenza, che un test dell’epoca dava ad un quoziente di 166 (praticamente un genio). La prima volta che incontrò il suo futuro marito, Ted Hughes, era così agitata che lo morse a sangue sulla faccia. Si suicidò in un appartamento londinese un tempo occupato da W.B.Yeats, il suo poeta preferito.
Viriginia Woolf “Momenti di essere”- La Tartaruga Edizioni
Biblioteca DEA SABINA
Viriginia Woolf “Momenti di essere”,
La Tartaruga Edizioni, Milano 1977
Frammenti da “Momenti di essere”: “Il passato ritorna soltanto quando il presente scorre così liscio da parere la superficie mobile di un fiume profondo. Allora si vede attraverso la superficie fino in fondo. In quei momenti ritrovo la soddisfazione più grande, che non è di pensare al passato; ma di vivere, in quei momenti, più appieno il presente (…) scrivo per ritrovare il senso del presente nell’ombra che il passato getta su questa superficie frantumata.Lasciate dunque, come un bimbo che avanzi scalzo nelle acque fredde di un fiume, che io discenda di nuovo in quella corrente.”
“Non è dunque possibile, mi sono chiesta spesso, che le cose vissute con grande intensità posseggano una vita indipendente dalla nostra mente; continuino anzi tuttora a esistere? E se è così, non sarà possibile in futuro inventare una macchina per intercettarle? L’immagino, il passato, come un viale alle mie spalle; un lungo nastro di scene, di emozioni. E laggiù, alla fine del viale, stanno gli orti e la stanza dei bambini (…) Le emozioni intense non possono non lasciare traccia; si tratta solo di scoprire come ricollegarsi di nuovo con esse, e potremo rivivere per intero la nostra vita dall’inizio.”
“Fino ai quarant’anni e oltre -potrei stabilire la data controllando quando scrissi “Gita al faro”, ma non ho voglia ora di prendermi la briga- fui ossessionata dalla presenza di mia madre. Ne udivo la voce, la vedevo, mi immaginavo cosa avrebbe detto o fatto in ogni momento della mia giornata. Era una delle presenze invisibili che svolgono tanta parte in ogni vita umana (…) ebbene, se non sappiamo analizzare queste presenze invisibili, sapremo ben poco del soggetto delle memorie; e allora, che futile attività diventa scrivere biografie. Mi vedo come un pesce nella corrente; sospinto altrove; trattenuto; ma non so descrivere la corrente.”
“Poi un giorno, mentre attraversavo Tavistock Square pensai, come mi accade talvolta con i miei libri, pensai “Gita la faro” (..) scrissi il libro molto rapidamente; e quando l’ebbi finito, smisi di essere ossessionata da mia madre: non odo più la sua voce; non la vedo. Probabilmente feci a me stessa quello che gli psicoanalisti fanno ai loro pazienti. Diedi espressione a qualche emozione antica e profonda. Ed esprimendola ne trovai la spiegazione e la potei riportare placata.”
“Eccola, mia madre, al centro della vasta cattedrale che era l’infanzia; era là dall’inizio (…) E, s’intende, era il centro di tutto. Il centro:forse è questa la parola che esprime meglio la diffusa sensazione che avevo di vivere immersa così totalmente nell’atmosfera di lei, da non distaccarmi mai abbastanza da vederla come persona (…) Quante cose sconnesse ricordo di mia madre, se lascio scorrere il pensiero; ma tutte di lei in compagnia; di lei in mezzo ad altri; di lei generalizzata; dispersa, onnipresente, di lei come creatrice di quell’affollato, allegro mondo ruotante al centro della mia infanzia. “
28 marzo 1941-Viriginia Woolf: “Lasciate dunque, come un bimbo che avanzi scalzo nelle acque fredde di un fiume, che io discenda di nuovo in quella corrente.”
Biografia di Adeline Virginia Woolf, nata Stephen (Londra, 25 gennaio 1882 – Rodmell, 28 marzo 1941),
è stata una scrittrice, saggista, editrice e femminista attivista britannica.
Nata il 25 gennaio 1882 e figlia di Leslie Stephen, celebre storiografo e critico, crebbe in un ambiente coltissimo, frequentato da artisti, letterati, storici e critici. Secondo le regole della buona società vittoriana, venne educata privatamente.Tramite il fratello Thoby, entrato a Cambridge nel 1899, strinse amicizia con i discepoli del filosofo G.E. Moore, gli «Apostoli» del Trinity College (tra essi B. Russell, G. Lytton Strachey, J.M. Keynes, L. Wittgenstein, E.M. Forster, D. Garnett, L. Woolf, C. Bell, R. Fry).
Nel 1904 i fratelli Stephen si trasferirono nel quartiere di Bloomsbury, dove, intorno a Thoby (morto nel 1906), a Virginia e a sua sorella Vanessa, gli ex Apostoli di Cambridge formarono il gruppo che venne chiamato Bloomsbury set, destinato a dominare per quasi un trentennio la vita intellettuale londinese. Virginia, che nel 1912 sposò Woolf, divenne uno dei membri più brillanti e importanti del gruppo.
Soggetta per tutta la vita a ricorrenti crisi depressive con passeggere manifestazioni di squilibrio mentale, poté condurre tuttavia un’esistenza normale, che si riflette nel felice matrimonio, nelle numerose amicizie (attestate dal vastissimo epistolario) e nella stessa attività letteraria.
Nel 1913 pubblica il suo primo romanzo, “La crociera” (“The voyage out”), e inizia il Diario (parzialmente pubblicato, col titolo Diario di una scrittrice, “A writer’s diary”, nel 1953).
Nel 1917 collabora al «Times literary supplement», e fonda insieme al marito The Hoarth Press, dove usciranno, insieme a quasi tutte le opere della W., quelle di molti dei maggiori scrittori del tempo, come T.S. Eliot, K. Mansfield, E.M. Forster, R. Graves.
Nel 1919 pubblica il racconto Kew gardens; nel 1920 il romanzo “Giorno e notte” (“Night and day”); nel 1921 una raccolta di racconti, “Lunedì o martedì” (“Monday or tuesday”); nel 1922 il romanzo “La stanza di Giacobbe” (“Jacob’s room”); nel 1924 il saggio critico “Mr. Bennett e Mrs. Brown”; nel 1925 la raccolta di saggi intitolata “Il lettore comune” (“The common reader”) e il romanzo “La Signora Dalloway” (“Mrs. Dalloway”). “Gita al faro” (“To the lighthouse”) esce nel 1927 e, nel 1928, “Orlando”. L’importante studio sociologico “Una stanza tutta per sé” (“A room of one’s own”) è del 1929. Pubblica il romanzo “Le onde” (“The waves”) nel 1931, anno della stesura di “Flush, vita di un cane” (“Flush”), le «memorie» del cane della poetessa Elizabeth Browning. Nel 1932 pubblica la seconda serie di saggi del “Lettore comune” e inizia il romanzo “Gli anni” (“The years”), che uscirà nel 1937. Segue il saggio “Le tre ghinee (“Three guineas”, 1938).
Nell’estate del 1940, mentre si combatte la battaglia d’Inghilterra, la W. lavora al romanzo “Tra un atto e l’altro” (“Between the acts”), che viene terminato nel febbraio del 1941 e scrive anche “Roger Fry”, un saggio dedicato all’amico e critico d’arte britannico. Un mese dopo la W., atterrita dai primi segni di una nuova grave crisi depressiva, si uccide.
Fonte: Enciclopedia della letteratura, Garzanti 2007
MARTHA ARGERICH- L’enfant et les sortilèges-Zecchini Editore
Biblioteca DEA SABINA
MARTHA ARGERICH- L’enfant et les sortilèges-
Zecchini Editore
Martha Argerich puoi conoscerla attraverso la sua biografia scritta da Olivier Bellamy: un libro interessante, intrigante e ricco di aneddoti, corredato di cronologia, premi, galleria fotografica, repertorio, discografia e videografia, documentari, indici dei nomi, delle etichette, delle opere citate, dei musicisti, dei cantanti, dei cori, dei luoghi, delle orchestre e degli ensemble che hanno collaborato con la grande pianista argentina.
Olivier Bellamy
MARTHA ARGERICH- L’enfant et les sortilèges-
Presentazione di Carlo Piccardi
pagine XII+356 – formato cm. 17×24 – illustrato
Collana “Personaggi della Musica”, 19 – euro 25,00
Genio del pianoforte”, “miracolo della natura”, “ciclone argentino”, o ancora “leonessa della tastiera”: non mancano certo le definizioni per evocare la dirompente personalità di Martha Argerich. Nata nel 1941, la leggendaria pianista argentina, applaudita sulle scene internazionali da decenni, affascina per la potenza delle sue esecuzioni e per il mistero della sua personalità. Il suo temperamento indomabile, il carattere libero e indipendente ne fanno un personaggio davvero atipico nel mondo della musica classica. In una narrazione costellata di aneddoti inediti e di sorprendenti rivelazioni, Olivier Bellamy dipana le fila di una vita ricca di eventi e di sviluppi imprevedibili: dall’infanzia in Argentina, quand’era bambina prodigio a Buenos Aires, passando per gli studi di perfezionamento dapprima a Vienna con Friedrich Gulda e quindi ad Arezzo e Moncalieri con Arturo Benedetti Michelangeli, per arrivare alle decisive affermazioni del Premio Busoni di Bolzano e del Concorso di Ginevra e all’apoteosi dello “Chopin” di Varsavia, fino agli anni più recenti, caratterizzati anche da momenti di profonda crisi, da rinunce ai concerti e ancora da trionfali ritorni… Di città in città (Buenos Aires, Vienna, Bolzano, Amburgo, New York, Ginevra, Bruxelles, Londra, Rio de Janeiro, Mosca…), attraverso i suoi colleghi musicisti, gli amori, le amicizie, il libro delinea il ritratto intimo di un’artista dalla profonda umanità.
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Renée Vivien poetessa britannica
Biblioteca DEA SABINA
Renée Vivien poetessa britannica
la ricordiamo con tre sue poesie-
Renée Vivien, pseudonimo di Pauline Tarn (Londra, 11 giugno 1877 – Parigi, 18 novembre 1909), è stata una poetessa britannica che scrisse in francese, soprannominata “Saffo 1900”. Si trasferì giovanissima in Francia. Lì venne a contatto con l’ambiente articonformista parigino. La Vivien era apertamente lesbica, viveva lussuosamente e amava viaggiare. Morì a trentadue anni a causa di una pleurite contratta a Londra, ma le sue condizioni erano già deboli e precarie a causa di continui digiuni..La Tarn aderì ai modi del Simbolismo, Parnassianesimo e fu anzi fra gli ultimi poeti ad aderire a tale scuola.
Somiglianza inquietante
Ho visto sulla tua fronte bassa il fascino del serpente.
Le tue labbra hanno inumidito il sangue di una ferita,
e qualcosa dentro mi disgusta e si pente
mentre il tuo freddo bacio mi punge con un morso.
Uno sguardo da vipera è nei tuoi occhi socchiusi,
e la tua testa furtiva e piatta si raddrizza
più minacciosa dopo il languore del riposo.
Ho sentito il veleno in fondo alla tua carezza.
Duranti i giorni d’inverno nervosi e ghiacciati,
tu sogni i tepori di profonde vallate,
e ci si immagina, al vedere il tuo lungo corpo ondulato,
delle scaglie d’oro lentamente spiegate.
Ti odio, ma la tua plastica e luminosa bellezza
mi prende e m’affascina e m’attira senza fine,
e il mio cuore, pieno di spavento davanti alla tua crudeltà,
ti disprezza e t’adora, o Rettile e Dea
Versi d’amore
Tu conservi negli occhi la voluttà delle notti,
o gioia inaspettata al termine delle solitudini!
Il tuo bacio è come il sapore dei frutti
e la tua voce fa sognare meravigliosi preludi
mormorati dal mare nella bellezza delle notti.
Tu porti sulla fronte il languore e l’ebbrezza,
i giuramenti eterni e le confessioni d’amore,
sembri evocare la timida carezza
il cui ardore trafuga la luminosità del giorno
e ti lascia sulla fronte l’ebbrezza e il languore
I solitari
Coloro che hanno per mantello lenzuoli funerari
provano la voluttà divina di essere solitari.
La loro castità ha pena dell’ebbrezza delle coppie
della stretta di mano, dei passi dal ritmo lieve.
Coloro che nascondono la fronte nei lenzuoli funerari
sanno la voluttà divina di essere solitari.
Contemplano l’aurora e l’aspetto della vita
senza orrore, e chi li compatisce prova invidia.
Coloro che cercano la pace della sera e dei lenzuoli funerari
conoscono la spaventosa ebbrezza di essere solitari.
Sono i beneamati della sera e del mistero.
Ascoltano nascere le rose sottoterra
e percepiscono l’eco dei colori, il riflesso
dei suoni… Si muovo in un’atmosfera grigio-viola.
Gustano il sapore del vento e della notte,
hanno occhi più belli delle torce funerarie.
La poesia di Renée Vivien fu per molti motivi celata, ancora oggi è sconosciuta, e proprio per questo motivo è interessante scoprirla e apprezzarla. Vivien scrisse del suo amore omosessuale per Natalie Clifford Barney, condannò nei suoi versi certi schemi patriarcali e maschilisti, creò addirittura un salotto letterario di sole donne in risposta all’Accademia francese che ne escludeva la partecipazione. Della sua poesia tradotta in italiano non abbiamo moltissimo, ma ricordiamo Cenere e polvere, a cura di Teresa Campi.
Sylvia Plath- Lettera d’amore e altre Poesie-
Biblioteca DEA SABINASylvia Plath- Lettera d’amore e altre Poesie.
Lettera d’amore
Non è facile dire il cambiamento che operasti.
Se adesso sono viva, allora ero morta
anche se, come una pietra, non me ne curavo
e me ne stavo dov’ero per abitudine.
Tu non ti limitasti a spingermi un po’ col piede, no-
e lasciare che rivolgessi il mio piccolo occhio nudo
di nuovo verso il cielo, senza speranza, è ovvio,
di comprendere l’azzurro, o le stelle.
Non fu questo. Diciamo che ho dormito: un serpente
mascherato da sasso nero tra i sassi neri
nel bianco iato dell’inverno
come i miei vicini, senza trarre alcun piacere
dai milioni di guance perfettamente cesellate
che si posavano a ogni istante per sciogliere
la mia guancia di basalto. Si mutavano in lacrime,
angeli piangenti su nature spente,
Ma non mi convincevano. Quelle lacrime gelavano.
Ogni testa morta aveva una visiera di ghiaccio.
E io continuavo a dormire come un dito ripiegato.
La prima cosa che vidi fu l’aria, aria trasparente,
e le gocce prigioniere che si levavano in rugiada
limpide come spiriti. Tutt’intorno giacevano molte
pietre stolide e inespressive,
Io guardavo e non capivo.
Con un brillio di scaglie di mica, mi svolsi
per riversarmi fuori come un liquido
tra le zampe d’uccello e gli steli delle piante
Non m’ingannai. Ti riconobbi all’istante.
Albero e pietra scintillavano, senz’ombra.
La mia breve lunghezza diventò lucente come vetro.
Cominciai a germogliare come un rametto di marzo:
un braccio e una gamba, un braccio, una gamba.
Da pietra a nuvola, e così salii in lato.
Ora assomiglio a una specie di dio
e fluttuo per l’aria nella mia veste d’anima
pura come una lastra di ghiaccio. E’ un dono..
Io sono verticale
Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
Succhiante minerali e amore materno
Così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
Né sono la beltà di un’aiuola
Ultradipinta che susciti gridi di meraviglia,
Senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
E la cima d’un fiore, non alta, ma più clamorosa:
Dall’uno la lunga vita, dell’altra mi manca l’audacia.
Stasera, all’infinitesimo lume delle stelle,
Alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo, ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
Forse assomiglio a loro nel modo più perfetto –
Con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me più naturale.
Allora il cielo e io siamo in aperto colloquio,
E sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
Finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.
(da “Lady Lazarus e altre poesie”, traduzione di Giovanni Giudici, con postfazione di Teresa Franco, 2023)
Limite (Febbraio 1963, scritta poco prima di morire)
La donna ora è perfetta
Il suo corpo
morto ha il sorriso della compiutezza,
l’illusione di una necessità greca
fluisce nei volumi della sua toga,
i suoi piedi
nudi sembrano dire:
Siamo arrivati fin qui, è finita.
I bambini morti si sono acciambellati,
ciascuno, bianco serpente,
presso la sua piccola brocca di latte, ora vuota.
Lei li ha raccolti
di nuovo nel suo corpo come i petali
di una rosa si chiudono quando il giardino
s’irrigidisce e sanguinano i profumi
dalle dolci gole profonde del fiore notturno.
La luna, spettatrice nel suo cappuccio d’osso,
non ha motivo di essere triste.
E’ abituata a queste cose.
I suoi neri crepitano e tirano.
Monologo delle 3 del mattino
È meglio che ogni fibra si spezzi
e vinca la furia,
e il sangue vivo inzuppi
divano, tappeto, pavimento
e l’almanacco decorato con serpenti
testimone che tu sei
a un milione di verdi contee da qui,
che sedere muti, con questi spasmi
sotto stelle pungenti,
maledicendo, l’occhio sbarrato
annerendo il momento
che gli addii vennero detti, e si lasciarono partire i treni,
ed io, gran magnanimo imbecille, così strappato
dal mio solo regno.
Sylvia Plath e Ted Hughes, l’amore finito in tragedia
Quello tra Sylvia Plath e Ted Hughes non fu un rapporto felice, ma anzi tormentato e ambiguo, terminato definitivamente con il suicidio della poetessa
Papaveri a luglio
Piccoli papaveri, piccole fiamme d’inferno,
Non fate male?
Guizzate qua e là. Non vi posso toccare.
Metto le mani tra le fiamme. Ma non bruciano.
E mi estenua il guardarvi così guizzanti,
Rosso grinzoso e vivo, come la pelle di una bocca.
Una bocca da poco insanguinata.
Piccole maledette gonne!
Ci sono fumi che non posso toccare.
Dove sono le vostre schifose capsule oppiate?
Ah se potessi sanguinare, o dormire! –
Potesse la mia bocca sposarsi a una ferità così!
O a me in questa capsula di vetro filtrasse il vostro liquore,
Stordente e riposante. Ma senza, senza colore.
Ariel
Stasi nel buio. Poi
l’insostanziale azzurro
versarsi di vette e distanze.
Leonessa di Dio,
come in una ci evolviamo,
perno di calcagni e ginocchi! –
La ruga
s’incide e si cancella, sorella
al bruno arco
del collo che non posso serrare,
bacche
occhiodimoro oscuri
lanciano ami –
Boccate di un nero dolce sangue,
ombre.
Qualcos’altro
mi tira su nell’aria –
cosce, capelli;
dai miei calcagni si squama.
Bianca
godiva, mi spoglio –
morte mani, morte stringenze.
E adesso io
spumeggio al grano, scintillio di mari.
Il pianto del bambino
nel muro si liquefà.
E io
sono la freccia,
la rugiada che vola
suicida, in una con la spinta
dentro il rosso
occhio cratere del mattino.
Sylvia Plath (Boston, 27 ottobre 1932 – Londra, 11 febbraio 1963) è stata una poetessa e scrittrice statunitense. Assieme ad Anne Sexton, la Plath è stata l’autrice che più ha contribuito allo sviluppo del genere della poesia confessionale, un genere di poesia sviluppatosi negli Stati Uniti negli anni Cinquanta e Sessanta in cui gli scrittori raccontano le proprie esperienze personali e i loro turbamenti interiori. Autrice anche di vari racconti e di un unico dramma teatrale a tre voci, per lunghi periodi della sua vita ha tenuto un diario, di cui sono state pubblicate le numerose parti sopravvissute. Parti del diario sono invece state distrutte dall’ex-marito, il poeta laureato inglese Ted Hughes, da cui ebbe due figli, Frieda Rebecca e Nicholas. Morì suicida all’età di trent’anni. Ecco di seguito una delle sue poesie più belle.
Sylvia Plath-Tutte le Poesie-Mondadori
Descrizione-
Sylvia Plath, voce tra le più potenti e limpide della letteratura americana, dopo la tragica morte divenne rapidamente e a lungo rimase un simbolo delle rivendicazioni femministe. Educata ai rigidi valori della società statunitense, nella sua breve vita la Plath riuscì a coniugare potenza espressiva e realizzazione estrema di sé, evadendo dalle sbarre imposte dalla condizione di “moglie” e trovando proprio in questo tentativo di superamento la suprema forza creativa. Nei suoi versi il tono è assoluto, ogni parola, e ciò che essa rappresenta, non potrebbe essere altrimenti: «suono e senso» scrive Seamus Heaney nel brano che introduce il volume «si alzano come una marea dalla lingua per trascinare l’espressione individuale su una corrente più forte e profonda di quanto l’individuo potesse prevedere». In tutto il percorso lirico della Plath, e fino alle perfette composizioni di Ariel, istanze psicologiche, biografiche e poetiche si fondono con un tono di libertà e perentorietà unico, un senso di urgenza e spontaneità che emerge dalla disciplina di metro, metafore, rime con la potenza di un fiat, con l’euforia di una mente che crea e supera il dolore personale, per approdare a un sentimento stupefatto, meravigliato dell’esistere.
Ugo Foscolo-Nato a Zante il 6 febbraio 1778
Biblioteca DEA SABINA
Ugo Foscolo-Nato a Zante il 6 febbraio 1778
“Io non odio persona alcuna,
ma vi son uomini ch’io ho bisogno di vedere soltanto da lontano.”
Ugo Foscolo- 10 poesie
All’amata
Meritamente, però’ch’io potei
Abbandonarti, or grido alle frementi
Onde che batton l’alpi, e i pianti miei
Sperdono sordi del Tirreno i venti.
Sperai, poiché mi han tratto uomini e Dei
In lungo esilio fra spergiure genti
Dal’bel paese ove or meni sì rei,
Me sospirando, I tuoi giorni fiorenti,
Sperai che il tempo, e i duri casi, e queste
Rupi ch’io varco anelando, e le eterne
Ov’io qual fiera. dormo atre foreste,
Sarien ristoro al mio cor sanguinente;
Ahi, vóta speme! Amor fra l’ombre inferne
Seguirammi immortale, onnipotente.
.
Autoritratto
Solcata ho fronte, occhi incavati intenti;
Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto;
Labbro tumido acceso, e tersi denti,
Capo chino, bel collo, e largo petto;
Giuste membra, vestir semplice eletto;
Ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti,
Sobrio, umano, leal, prodigo, schietto;
Avverso al mondo, avversi a me gli eventi.
Talor di lingua, e spesso di man prode;
Mesto i più giorni e solo, ognor pensoso,
Pronto, iracondo, inquieto, tenace:
Di vizi ricco e di virtù, do lode
Alla ragion, ma corro ove al cor piace:
Morte sol mi darà fama e riposo.
.
In morte del fratello Giovanni
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentil anni caduto.
La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.
Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quiete.
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.
.
Alla sera
Forse perché della fatal quiete
tu sei l’immago, a me si cara vieni,
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all’universo meni,
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
.
.
A Zacinto
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
Di se stesso
Perché taccia il rumor di mia catena
Di lagrime, di speme, e di amor vivo,
E di silenzio; ché pietà mi affrena,
Se con lei parlo, o di lei penso e scrivo.
Tu sol mi ascolti, o solitario rivo,
Ove ogni notte Amor seco mi mena,
Qui affido il pianto e i miei danni descrivo.
Qui tutta verso del dolor la piena.
E narro come i grandi occhi ridenti
Arsero d’immortal raggio il mio core,
Come la rosea bocca, e i rilucenti
Odorati capelli, ed il candore
Delle divine membra, e i cari accenti
M’insegnarono alfin pianger d’amore.
L’ultimo addio
T’amai, dunque, t’amai, e t’amo ancor
di un amore che non si può concepire
che da me solo. È poco prezzo,
o mio angelo, la morte per chi
ha potuto udir che tu l’ami,
e sentirsi scorrere in tutta
l’anima la voluttà del tuo bacio,
e pianger teco – io sto col piè
nella fossa; eppure tu anche
in questo frangente ritorni,
come solevi, davanti a questi occhi
che morendo si fissano in te,
in te che sacra risplendi
di tutta la tua bellezza…
Io muoio… pieno di te,
e certo del tuo pianto…
Non son chi fui
Non son chi fui; perì di noi gran parte:
questo che avvanza è sol languore e pianto.
E secco è il mirto, e son le foglie sparte
del lauro, speme al giovenil mio canto.
Perché dal dì ch’empia licenza e Marte
vestivan me del lor sanguineo manto,
cieca è la mente e guasto il core, ed arte
la fame d’oro, arte è in me fatta, e vanto.
Che se pur sorge di morir consiglio,
a mia fiera ragion chiudon le porte
furor di gloria, e carità di figlio.
Tal di me schiavo, e d’altri, e della sorte,
conosco il meglio ed al peggior mi appiglio,
e so invocare e non darmi la morte.
All’Italia
Te nudrice alle muse, ospite e Dea
le barbariche genti che ti han doma
nomavan tutte; e questo a noi pur fea
lieve la varia, antiqua, infame soma.
Ché se i tuoi vizi, e gli anni, e sorte rea
ti han morto il senno ed il valor di Roma,
in te viveva il gran dir che avvolgea
regali allori alla servil tua chioma.
Or ardi, Italia, al tuo Genio ancor queste
reliquie estreme di cotanto impero;
anzi il Toscano tuo parlar celeste
ognor più stempra nel sermon straniero,
onde, più che di tua divisa veste,
sia il vincitor di tua barbarie altero.
Alla Musa
Pur tu copia versavi alma di canto
su le mie labbra un tempo, Aonia Diva,
quando dè miei fiorenti anni fuggiva
la stagion prima, e dietro erale intanto
questa, che meco per la via del pianto
scende di Lete ver la muta riva:
non udito or t’invoco; ohimè! Soltanto
una favilla del tuo spirto è viva.
E tu fuggisti in compagnia dell’ore,
o Dea! Tu pur mi lasci alle pensose
membranze, e del futuro al timor cieco.
Però mi accorgo, e mel ridice amore,
che mal ponno sfogar rade, operose
rime il dolor che deve albergar meco.
Biografia di UGO FOSCOLO-Poeta (Zante 1778 – Turnham Green, presso Londra, 1827). Tra i massimi esponenti della letteratura italiana del neoclassicismo e del primo romanticismo, nella sua produzione si distinguono due linee letterarie principali: una di indirizzo romantico (i sonetti In morte del fratello Giovanni, A Zacinto, Alla sera, e il carme I Sepolcri), l’altra di indirizzo neoclassico (le odi A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All’amica risanata, e il poema incompiuto Le Grazie). Nella corrente romantica si collocano anche le Ultime lettere di Jacopo Ortis, romanzo epistolare dal carattere autobiografico; ispirata ai romanzi di J.-J. Rousseau (La nuova Eloisa) e di W. Goethe (I dolori del giovane Werther), quest’opera si può considerare il primo romanzo italiano moderno.
Vita e opere
Il nome di battesimo era Niccolò; ma sin dal 1796 alternò le firme “Niccolò Ugo” e “Ugo”. Di madre greca (Diamantina Spàthis) e di padre veneziano (Andrea), nato in un’isola greca governata da Venezia, egli riconobbe sempre in sé le due patrie, anche quando, venuta meno la libertà di Venezia, la sua seconda patria fu quella italiana. La madre, vedova, si stabilì nel 1793 a Venezia, e qui Ugo, precoce poeta e amatore (s’innamorò giovanissimo d’Isabella Teotochi Albrizzi), fu fervido propugnatore con l’azione e la poesia delle libertà proclamate dalla Rivoluzione francese (ode A Bonaparte liberatore, 1797; dello stesso anno è la rappresentazione di Tieste, tragedia di spiriti alfieriani, veementemente antitirannici). Nel 1797, deluso dal trattato di Campoformio, passò a Milano, dove conobbe G. Parini e divenne amico di V. Monti. Intensa qui l’attività di F. sia politica (1797-99), in senso ormai meno giacobino e più italiano, sia militare (dal 1799). Combatté contro gli Austro-Russi, partecipò alla difesa di Genova assediata, dove fu ferito (1800); fu poi dal 1804 al 1806 in Francia – scontento e amareggiato – ufficiale della divisione italiana che avrebbe dovuto partecipare all’invasione dell’Inghilterra progettata da Napoleone. Ma la sua intensa attività non gli impedì una complessa vita sentimentale: s’innamorò via via, in questi e negli anni successivi, di Teresa Pikler, moglie di V. Monti, di Isabella Roncioni, Antonietta Fagnani Arese (l'”amica risanata” dell’ode famosa), l’inglese Fanny Emerytt (dalla quale ebbe una figlia: Floriana), Marzia Martinengo, Maddalena Bignami, Quirina Mocenni Magiotti (la “donna gentile”), che lo confortò e soccorse durante il suo esilio. Fervido fu, sin dalla giovinezza, il lavoro da lui svolto di critico, erudito, pubblicista politico, poeta. Risalgono infatti a questi anni il commento dottissimo, anche se segretamente inteso a satireggiare la pedanteria, alla catulliana Chioma di Berenice (1803), l’edizione delle Opere di Raimondo Montecuccoli (1807-08), la composizione e la pubblicazione, attraverso complicati rimaneggiamenti e travestimenti, delle Ultime lettere di Jacopo Ortis (1798-1802), la raccolta in volume (1803) delle odi All’amica risanata e A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e di 12 sonetti, la pubblicazione dei Sepolcri (1807). Nominato nel 1809 professore di eloquenza a Pavia, vi pronunciò la celebre prolusione Dell’origine e dell’uffizio della letteratura, e cinque altre lezioni; ma la cattedra fu subito soppressa. F. partecipò allora, con la veemenza che gli era naturale, ad aspre polemiche letterario-politiche, di cui restano documento gli scritti satirici Ragguaglio d’un’adunanza dell’Accademia de’ Pitagorici (1810), e l’Hypercalypsis, cominciata nel 1810 e pubblicata nel 1816, come opera di Didimo Chierico (v.). Rappresentata nel 1811 una seconda tragedia, Aiace, subito proibita per le sue allusioni a potenti personaggi e allo stesso Napoleone, F. lasciò Milano e dopo varie peregrinazioni si stabilì (1812) a Firenze. Qui riprese e rifece la traduzione del Viaggio sentimentale di Yorick di L. Sterne, già cominciata in Francia, e la pubblicò (1813); lavorò, secondo un proposito balenatogli forse già nel 1803, avvalendosi anche di frammenti prima composti, alle Grazie, che tuttavia non condusse a compimento. Tornato nel 1813 a Milano, si adoperò coraggiosamente in favore del pericolante Regno Italico. Gli Austriaci vittoriosi gli furono benevoli ed entrarono in rapporto con lui, pensando di affidargli la direzione di un giornale letterario; ma al punto di dover prestare, come gli altri ufficiali, giuramento di fedeltà, vi si sottrasse con l’esilio (1813), donando così all’Italia, come disse C. Cattaneo, “una nuova istituzione”, cioè l’esilio volontario per amore di libertà. Fu in Svizzera sino all’anno seguente, in lotta con la miseria; poi passò a Londra (e visse ad alterni periodi nel centro della città e nei sobborghi), dove fu assai bene accolto e poté sulle prime, con i grandi guadagni che gli procuravano i suoi lavori letterarî, condurre vita agiata. Qui ebbe un ultimo, ma non corrisposto, amore per Carolina Russel (da lui celebrata col nome di Calliroe); ritrovò la figlia naturale Floriana (1822), insieme con la quale visse gli ultimi anni, tristi per miseria, per l’assillo dei creditori, per malattie. Il periodo londinese – sebbene F. lavorasse anche alle Grazie e alla traduzione dell’Iliade – fu contrassegnato letterariamente da una produzione storico-filologico-critica: lo scritto Della servitù d’Italia, iniziato in Italia e steso in massima parte in Svizzera, e la Lettera apologetica, nei quali, difendendo il proprio operato, F. indaga acutamente le ragioni della caduta del Regno Italico; la Narrazione della fortuna e della cessione di Parga, critica della politica inglese, non divulgata per ragioni di opportunità; le frammentarie Lettere scritte dall’Inghilterra, di cui fa parte il Saggio d’un Gazzettino del Bel Mondo, gustose osservazioni di costume e di psicologia sociale; gli studî d’alta filologia Sul digamma eolico, Storia del testo di Omero; e soprattutto i saggi critici innovatori, sulla nuova scuola drammatica romantica, su Tasso, Boccaccio, Petrarca, Dante, ecc. Il poeta si spense, assistito da pochi amici, il 10 sett. 1827 e fu seppellito nel cimitero di Chiswick, donde nel 1871 le ceneri furono trasportate nella chiesa di S. Croce a Firenze.
Strettamente intrecciate si presentano le vicende personali e l’attività letteraria di F., nell’immagine di lui più divulgata e attendibile. Attraverso un autobiografismo enfatico e compiaciuto, ancorché stilizzato e ridotto ad alcuni grandi motivi, F. incarna tempestivamente l’ideale ottocentesco del poeta, incline fatalmente all’eroismo e alla trasgressione (“bello di fama e di sventura”), e, solo in questo senso, appartiene davvero alla temperie culturale del romanticismo europeo. Le opere più note illustrano con didascalica nettezza la sua prepotente personalità e alludono continuamente ai dati essenziali e emblematici della realtà vissuta, ponendo l’una e l’altra sotto il segno di una passione intollerante, quella amorosa come quella patriottica e civile. Il romanzo epistolare Ultime lettere di Jacopo Ortis, sul quale lo scrittore, dopo avergli affidato la testimonianza di una precisa delusione storica e esistenziale, tornò ripetutamente nel corso di un ventennio, costituisce, con la sua vena diffusamente autobiografica, il banco di prova decisivo del personaggio Foscolo. Quando si rende conto che “altamente oprar non è concesso”, Ortis reagisce con il suicidio all’impossibilità di realizzare i suoi sogni d’amore e di libertà, fornendo un esemplare sbocco tragico all’intransigenza foscoliana e offrendola a un vero e proprio culto risorgimentale. Il personaggio non è più disperato o meno ragionevole del poeta che, messo alle strette, si risolve piuttosto all’esilio e ripiega naturalmente sulla creazione letteraria (“fama tentino almen libere carte”); ma l’identificazione tra lui e l’autore è appunto imperfetta, rinunciando F. alla diretta proiezione romanzesca del proprio Io, quale gli potrebbe consentire una vera autobiografia, pur di non rinunciare alle risorse della letteratura, al potere consolatorio della bellezza e alla tutela artistica, se non al controllo intellettuale sul proprio stesso incoercibile temperamento. Anziché ricorrere al canonico confronto con I dolori del giovane Werther di J. W. Goethe – che, prima ancora della traccia narrativa, aveva fornito al romanzo foscoliano la prova della duttilità di uno strumento espressivo capace di conciliare introspezione lirica e racconto – è dunque preferibile cercare nei dodici sonetti e nelle due celebri odi, unici superstiti della più vasta produzione rifiutata dall’autore, la conferma di come F. volesse rappresentare non sé stesso, ma la figura del poeta, già nelle Ultime lettere: un irriducibile campione dell’individualismo che nulla o ben poco concedesse alle concrete determinazioni individuali. Mentre persegue un idoleggiamento neoclassicistico della bellezza, sulla base di un’esperienza diretta dei capolavori della grecità, e trasforma questa illusione in un valore etico e gnoseologico, il poeta indulge volentieri ai forti chiaroscuri (“quello spirto guerrier ch’entro mi rugge”) di un autoritratto di ascendenza alfieriana; e arriva a paragonarsi agli eroi del mito o a confessare un proprio privatissimo strazio (“Un dì s’io non andrò sempre fuggendo”, che riecheggia un celebre componimento catulliano), sempre in funzione del mito personale che vuole stabilire e del tipo universale corrispondente. Analogamente, la fedeltà alla più recente tradizione italiana, tra Parini, Cesarotti e Monti, che gli farà dichiarare “sdegno il verso che suona e che non crea” e lo persuaderà a misurarsi nell’esercizio cruciale della traduzione omerica, non esclude la ricerca di più remote e prestigiose autorizzazioni per una poesia lungamente tentata da un sogno archeologico di emulazione con gli antichi e incontentabile nel suo sforzo di perfezione. Con il carme Dei sepolcri, indicativo di una vocazione all’eloquenza complementare e forse più spontanea rispetto alla insistita ricerca dell’eleganza neoclassica, la poesia si propone esplicitamente come supremo valore di un’umanità disillusa dalla vanità del tutto (“involve Tutte cose l’Oblio nella sua notte”) e generosamente protesa alla pietosa perpetuazione (“finché il Sole Risplenderà su le sciagure umane”) della “corrispondenza di amorosi sensi” e di quant’altro può sottrarsi al fato luttuoso cui soggiace, “tranne la memoria, tutto”, secondo una coerente concezione materialistica. Senza tradursi in un improbabile atteggiamento estetistico, l’esaltazione dell’ideale poetico dovrebbe scongiurare d’altro canto il rischio che una ricerca letteraria molto più complessa si riduca a un protagonismo quasi romanzesco. Di tale complessità e problematicità, costituisce una proverbiale dimostrazione lo stato frammentario nel quale F. ha lasciato Le Grazie, da molti ritenute il suo capolavoro. I tre inni dell’incompiuto poema, intitolati rispettivamente a Venere, a Vesta e a Pallade, celebrano la missione civilizzatrice delle arti, unitariamente considerate, proponendosi come un’audace continuazione moderna della tradizione classica, arricchita di un nuovo mito e rivissuta come una dimensione dello spirito. Il significato allegorico che dovrebbe sostenere concettualmente il vagheggiamento della bellezza antica, e rappresentarne il potere conoscitivo, non riesce però a imporsi su di esso e a contenerne la tendenza alla dispersione, confermando F. poeta di “rade, operose Rime”. Antesignano della leopardiana poesia sermoneggiante, F. sembra quasi sottrarsi ad essa, preferendo l’evidenza delle sue figure mitologiche, e al limite il silenzio poetico, al discorso più articolato e eloquente inaugurato dai Sepolcri. Basta del resto considerare l’esiguità della produzione poetica in un’opera vastissima e comprensiva di tragedie estremisticamente alfieriane, mirabili traduzioni, prose narrative romanticamente ispirate o divertenti, saggi letterarî acutissimi e accesi scritti politici (come risulta dai ventitré volumi dell’edizione nazionale, avviata nel 1933 e ora quasi conclusa, uno solo dei quali contiene Poesie e carmi), per correggere ogni interpretazione unilaterale. Una singolare tensione tra la lucida consapevolezza critica e lo slancio passionale, ribadita perfino dalla materiale scissione tra lo scrittore e il fondatore dei nostri moderni studî letterarî, conferisce a F. la sua inconfondibile fisionomia; fisionomia che qualcuno ha visto emblematicamente rappresentata nell’alternanza tra un’ispirazione ortisiana e un’ispirazione didimea, riferendosi, con quest’ultima espressione, alla produzione polemica e satirica (che lo stesso F. scherzosamente attribuiva al suo nuovo alter ego, il Didimo Chierico della Notizia che accompagnava la sua traduzione del Viaggio sentimentale di L. Sterne), e più in genere all’animosità estrosa e ironica che serpeggia perfino nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis.
Fonte-TRECCANI Enciclopedia on line