Francesco Giuliani-Cercando la rivoluzione. Vita di Enrico Russo
un comunista tra la guerra civile spagnola e la resistenza antifascista europea (1895-1973)
Editore- Red Star Press -Roma
«Probabilmente, le sconfitte dei movimenti rivoluzionari nei quali si era battuto in prima fila nella Spagna del 1936-1937 e nella Napoli del 19431945 esaurirono la sua forza. Ma non del tutto. Non gli mancò, infatti, la forza per non integrarsi in nessuna burocrazia politica, stalinista o socialdemocratica, contro le quali aveva combattuto negli anni più tempestosi e ardenti della sua vita. Avvisati dai dipendenti del cronicario del decesso del proprio parente, il figlio Alberto e il nipote Enrico curarono il funerale di Enrico Russo. Il nipote, mosso da affetto, cercò nelle bancherelle del quartiere una copia de Il Capitale di Karl Marx da porre nella bara del nonno come omaggio. Questo lavoro, al di là dei suoi aspetti scientifici, vorrebbe essere anche una ripresa di quel gesto»
DESCRIZIONE-
Non esiste avventura più grande, né romanzo in grado di eguagliare la forza di una vita vissuta dalla parte della classe operaia. Una vita come quella di Enrico Russo, metalmeccanico. Già protagonista del «biennio rosso» e ultimo segretario della Camera del Lavoro di Napoli, fu costretto dal fascismo alla clandestinità, non certo all’inazione. Non è certo un caso, dunque, se troveremo Russo in seno ai gruppi comunisti di lingua italiana in Francia e, in Spagna, al comando della Columna Internacional Lenin, in prima linea sul fronte di Aragona. Internato in un campo di concentramento in Francia, quindi destinato al confino in Italia, riguadagnerà la libertà nel 1943, quando svolgerà un ruolo determinante nella rifondazione della Confederazione Generale del Lavoro, la celebre «CGL rossa»: una pagina di storia fondamentale per il sindacalismo italiano che, grazie al lavoro di Francesco Giliani, si fa materia viva, carne e sangue del proletariato italiano nel cuore di una stagione di riscatto a cui, senza sconti per gli opportunisti e i rinnegati, si diede il nome di «rivoluzione».
Red Star Press
Viale di Tor Marancia 76
Roma, Italia
CAP 00147
È inverno-
E improvvisamente,
la neve,
caduta all’insaputa nella notte.
Il mattino comincia con i corvi
in fuga tra i rami tutti bianchi.
È inverno,
inverno a perdita d’occhio.
Così la stagione muta
d’un tratto
e sotto la terra, laboriosa
e fiera, la vita prosegue.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d’estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Alla vita
La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla dal di fuori o nell’al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.
La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla è più bello, più vero della vita.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Amo in te
Amo in te
l’avventura della nave che va verso il polo
amo in te
l’audacia dei giocatori delle grandi scoperte
amo in te le cose lontane
amo in te l’impossibile
entro nei tuoi occhi come in un bosco
pieno di sole
e sudato affamato infuriato
ho la passione del cacciatore
per mordere nella tua carne.
amo in te l’impossibile
ma non la disperazione.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Anima mia
Anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
e come s’affonda nell’acqua
immergiti nel sonno
nuda e vestita di bianco
il più bello dei sogni
ti accoglierà
anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
abbandonati come nell’arco delle mie braccia
nel tuo sonno non dimenticarmi
chiudi gli occhi pian piano
i tuoi occhi marroni
dove brucia una fiamma verde
anima mia.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Angina pectoris
Se qui c’è la metà del mio cuore, dottore,
l’altra metà sta in Cina
nella lunga marcia verso il Fiume Giallo.
E poi ogni mattina, dottore,
ogni mattina all’alba
il mio cuore lo fucilano in Grecia.
E poi, quando i prigionieri cadono nel sonno
quando gli ultimi passi si allontanano
dall’infermeria
il mio cuore se ne va, dottore,
se ne va in una vecchia casa di legno, a Istanbul.
E poi sono dieci anni, dottore,
che non ho niente in mano da offrire al mio popolo
niente altro che una mela
una mela rossa, il mio cuore.
È per tutto questo, dottore,
e non per l’arteriosclérosi, per la nicotina, per la prigione,
che ho quest’angina pectoris…
Guardo la notte attraverso le sbarre
e malgrado tutti questi muri che mi pesano sul petto
il mio cuore batte con la stella più lontana.
Nazim Hikmet- Poeta turco
I tuoi occhi
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che tu venga all’ospedale o in prigione
nei tuoi occhi porti sempre il sole.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
questa fine di maggio, dalle parti d’Antalya,
sono così, le spighe, di primo mattino;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
quante volte hanno pianto davanti a me
son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi,
nudi e immensi come gli occhi di un bimbo
ma non un giorno han perso il loro sole;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che s’illanguidiscano un poco, i tuoi occhi
gioiosi, immensamente intelligenti, perfetti:
allora saprò far echeggiare il mondo
del mio amore.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
così sono d’autunno i castagneti di Bursa
le foglie dopo la pioggia
e in ogni stagione e ad ogni ora, Istanbul.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
verrà un giorno, mia rosa, verrà un giorno
che gli uomini si guarderanno l’un l’altro
fraternamente
con i tuoi occhi, amor mio,
si guarderanno con i tuoi occhi.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Ho sognato della mia bella
Ho sognato della mia bella
m’è apparsa sopra i rami
passava sopra la luna
tra una nuvola e l’altra
andava e io la seguivi
mi fermavo e lei si fermava
la guardavo e lei mi guardava
e tutto è finito qui
Nazim Hikmet- Poeta turco
L’uomo
Le piante, da quelle di seta fino alle più arruffate
gli animali, da quelli a pelo fino a quelli a scaglie
le case, dalle tende di crine fino al cemento armato
le macchine, dagli aeroplani al rasoio elettrico
e poi gli oceani e poi l’acqua nel bicchiere
le stelle
il sonno delle montagne
dappertutto mescolato a tutto l’uomo
ossia il sudore della fronte
la luce nei libri
la verità e la menzogna
l’amico e il nemico
la nostalgia la gioia il dolore
sono passato attraverso la folla
insieme alla folla che passa.
Nazim Hikmet- Poeta turco
.
Ti sei stancata di portare il mio peso
Ti sei stancata di portare il mio peso
delle mie mani
dei miei occhi, della mia ombra
le mie parole erano incendi
le mie parole eran pozzi profondi
verrà un giorno un giorno improvvisamente
sentirai dentro di te
le orme dei miei passi
che si allontanano
e quel peso sarà il più grave.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d’estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro-
Nazim Hikmet- Poeta turco
Nazim Hikmet: la poetica libera da ogni reclusione.
E’ il 1902 a Salonicco, quando viene al mondo Nazim Hikmet, in una famiglia aristocratica e privilegiata. Sua madre, un’appassionata pittrice, è una grande amante della poesia francese, specialmente di Baudelaire e Lamartine. Suo padre è un diplomatico, ma anche lui di tanto in tanto butta giù qualche verso e qualche testo in prosa. L’interesse magnetico per la parola, scorre nel DNA della famiglia: persino il nonno di Hikmet ne subisce il fascino e di professione è filologo.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Una vita turbolenta
La vita di Nazim Hikmet è tutt’altro che serena e lineare. Da adolescente frequenta l’Accademia di Marina a Istanbul, che ben presto lascia, trovando la sua strada altrove. La vera svolta arriva quando decide di intraprendere gli studi di sociologia in Russia. All’università di Mosca ha modo di studiare e fare propri i principi di Karl Marx. Inizia a frequentare quelli che saranno i grandi nomi della storia, tra i quali Lenin e Majakovskij e si consacra definitivamente al partito comunista.
Insieme alle sue scelte politiche, arriva anche la definizione di uno dei suoi maggiori nemici per tutta la vita: il governo turco. Le condanne non tardano ad arrivare e caratterizzano lunghi anni della vita di Hikmet, condannandolo a terribili torture e lunghi anni di reclusione in condizioni indegne.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Nazim Hikmet e gli anni di reclusione
La prima volta nel 1928 viene arrestato per affissione irregolare di manifesti politici. Dopo dieci anni, torna ancora una volta in carcere con l’accusa di propaganda comunista e complotto contro il governo. Nei dodici anni di reclusione, la vita di Hikmet si alterna tra momenti di febbrile produzione poetica e pesanti tentativi di protesta.
Il più importante è un lungo sciopero della fame, dopo il quale sviluppa i problemi cardiaci che lo porteranno alla morte. Nonostante la reclusione, Nazim Hikmet scrive dei versi memorabili, come il suo capolavoro Poesie d’amore, che inizia in carcere e porta avanti pressoché fino alla sua morte, che coincide con la data di pubblicazione dell’opera stessa.
Nazim Hikmet- Poeta turco
La poetica di Nazim Hikmet
L’amore per la patria e la malinconia per il passato si permeano di un estremo attaccamento alla vita. La presenza costante della speranza, rende la sua opera un inno alla libertà, al rispetto della dignità umana e al suo immenso valore. Attraverso un lessico non troppo ricercato, l’autore delinea dei sentimenti con una delicatezza sbalorditiva, se si pensa alla durezza degli eventi che lo toccano.
Con uno stile eterogeneo, caratterizzato da una visione quasi mistica e al ritmo incalzante della scrittura di avanguardia francese, Nazim Hikmet può essere considerato il più grande poeta turco del secolo scorso.
Gli ultimi anni
Nel 1950 esce dal carcere, grazie all’intervento di una commissione internazionale d’eccellenza formata tra gli altri da Picasso, Tzara e Neruda. Ma dopo i dodici anni di reclusione, il governo continua a opprimere Hikmet, organizzandogli due attentati e costringendolo a un lungo esilio itinerante.
Nazim Hikmet si spegne nel 1963, dopo aver visto i suoi scritti tradotti in molte lingue, tranne la sua. Solo nel 2002, in occasione del centenario della sua nascita, il governo turco gli restituirà la tanto agognata cittadinanza.
BERLINO costruita una TORRE DEI LIBRI per ricordare il Rogo dei Libri avvenuto nel 1933 ad opera dei nazisti
TORRE DEI LIBRI, costruita a BERLINO per ricordare il Rogo dei Libri, avvenuto il 10 maggio del 1933 ad opera dei nazisti. “Nessuno può uccidere le idee”, scriveva il poeta Heinrich Heine nel 1820, eppure furono proprio le idee contrarie al “puro spirito tedesco” che i nazisti cercarono di distruggere in quella terribile notte. Più di 25.000 volumi furono bruciati fra inni e manifestazioni di gioia davanti a 40.000 cittadini. Goebbels presenziò all’evento e tenne un discorso volto alla tutela dell’uomo tedesco contro le influenze “ebree e immorali”.
L’incendio di libri nella Germania nazista
Erano passati poco più di quattro mesi da quando Adolf Hitler salì al potere quando, il 10 maggio 1933 , ebbe luogo a Berlino e in altre città tedesche il Bücherverbrennungen, il rogo dei libri .
Il nazionalsocialismo, già in quei primi mesi di governo, aveva gettato le basi per la dittatura e mosse quei primi passi che avrebbero portato alle tragedie degli anni successivi: Hitler ottenne poteri speciali dal Parlamento, aprì il primo campo di concentramento a Dachau e prese iniziò il boicottaggio dei negozi ebraici. Questi primi atti, che cominciarono a influenzare direttamente la vita di uomini che l’ideologia nazista considerava nemici della Germania , furono subito accompagnati dalla loro prima uccisione simbolica, quella dei libri .
I falò sono stati promossi dall’Associazione nazionalsocialista degli studenti tedeschi e il ministro della Propaganda Joseph Goebbels li ha coordinati per darvi il massimo risalto. Nella notte del 10 maggio, decine di migliaia di libri, 25.000 volumi nella sola Berlino, furono dati alle fiamme davanti a politici, professori, studenti e migliaia di altri sostenitori nazisti .
Tra le opere in fiamme c’erano i libri dei più grandi teorici e figure letterarie del socialismo, da Karl Marx a Bertold Brecht, autori stranieri come Ernest Hemingway e Jack London, scrittori tedeschi contrari al nazismo come Thomas Mann, Erich Kästner, Heinrich Mann e Ernst Gläser. Furono bruciate anche Bibbie e pubblicazioni dei Testimoni di Geova , la biblioteca e gli archivi dell’Istituto per la scienza della sessualità, accusato agli occhi dei nazisti per le sue opinioni liberali sull’omosessualità e il transessualismo, e i libri di autori ebrei. Franz Kafka, Arthur Schnitzler, Franz Werfel, Max Brod e Stefan Zweig. In quello che è stato il più grande libro in fiamme mai visto nel mondo occidentale,Venne Bruciata Tutta la cultura considerata anti-tedesca per motivare politici e razziali : la lunga storia del fanatismo aveva raggiunto nella Germania nazista il suo apice.
Negli anni dopo il 1933, in Germania e nei territori occupati dai nazisti durante la guerra, ci furono numerosi altri fuochi di libri, ma fu da quel 10 maggio che fu sancito il principio totalitario per il quale ogni opera scritta doveva conformarsi ‘ Ideologia nazionalsocialista. La battaglia per la distruzione di tutte le diverse espressioni culturali interesserebbe poi anche l’arte e la musica considerate “degenerate” .
Gli incendiari volevano colpire sia chi aveva scritto e letto quei volumi, sia l’unica possibilità di poterli ripensare. I libri Furon Bruciata alter ego in quanto di uomini che quegli quegli volevano EliminaçÃ, e che poi Sarann uccisi nei lager . “Dove bruci libri, finisci per bruciare anche uomini”, aveva avvertito un secolo prima il poeta tedesco Heinrich Heine. Nel 1933 le sue opere furono date alle fiamme anche dagli incendi nazisti.
Durante l’ incendio di Berlino , avvenuto nella piazza davanti all’Università, Goebbels ha pronunciato un odioso discorso sull ‘”intellettualismo ebraico”, dicendo che gli studenti farebbero bene a “dare fuoco allo spirito malvagio del passato” . Oggi, nella stessa piazza , un’opera d’arte dell’israeliana Micha Ulmann ricorda quanto accaduto . Si tratta di un vero e proprio monumento commemorativo, sotterraneo, ma visibile a tutti attraverso una lastra trasparente posta all’altezza del pavimento: chi la guarda vede una piccola biblioteca, con scaffali vuoti.
Fonte: Scuola e memoria – L’incendio di libri nella Germania nazista
10 maggio 1933 , L’incendio di libri nella Germania nazista
Articolo di Renato Caputo:”Stato e società civile nel giovane Karl Marx”-
Karl Marx
Al contrario delle illusioni degli idealisti, per Karl Marx nella modernità a dominare è il duro realismo, il particolarismo imperante nella società civile con il suo fondamento meramente empirico, immediato: il bisogno pratico dell’individuo egoista, la brama di profitto e l’implacabile legge del mercato.
La rivoluzione politica borghese ha costituito per Karl Marx e Friedrich Engels un progresso decisivo nella storia spazzando via la commistione immediata di vita sociale e politica propria del mondo feudale che separava il cittadino dalla comunità statuale, negando ogni sovranità popolare, essendo il popolo confinato in una serie di corporazioni, ceti e gilde gelose custodi delle proprie libertà-privilegi. “L’emancipazione politica è al tempo stesso la dissoluzione della vecchia società. La rivoluzione politica è la rivoluzione della società civile. Quale era il carattere della vecchia società? La feudalità. La vecchia società civile aveva immediatamente un carattere politico ossia gli elementi della vita borghese, come per esempio la proprietà, famiglia o il tipo di lavoro erano, nella forma della signoria fondiaria, del ceto e della corporazione, innalzati a elementi della vita statale. In tale forma essi determinavano il rapporto del singolo individuo verso la totalità dello Stato, vale a dire il suo rapporto politico, cioè il suo rapporto di separazione ed esclusione dalle altre parti costitutive della società civile. Quell’organizzazione della vita del popolo, infatti, non elevava il possesso e il lavoro ad elementi sociali, ma piuttosto portava a compimento la separazione dalla totalità statale e li costituiva (possesso e lavoro) in società particolari all’interno della società” [1].
Dunque, nel sistema feudale l’uomo non era libero, né la società civile indipendente, ma la posizione dell’individuo rispetto allo Stato era fissata dalla nascita e le libertà in quanto privilegi determinavano sfera politica e civile. Come osserva a ragione a questo proposito Marx: “le funzioni e le condizioni vitali della società civile rimanevano ancor sempre politiche, anche se politiche nel senso della feudalità, ovvero che escludevano l’individuo dalla totalità statale, trasformavano il rapporto particolare della sua corporazione con la totalità dello Stato nel suo proprio rapporto universale con la vita del popolo, così come la sua determinata attività e situazione civile nella sua attività e situazione universale. Come conseguenza di questa organizzazione, l’unità dello Stato, come coscienza, volontà e attività dell’unità dello Stato, il potere universale dello Stato, appare altrettanto necessariamente come affare particolare di un sovrano separato dal popolo e dai suoi servitori” [2]. D’altra parte a un certo grado di sviluppo dei mezzi di produzione e di scambio, feudali “le condizioni nelle quali la società feudale produceva e scambiava, vale a dire l’organizzazione feudale dell’agricoltura e della manifattura, in una parola i rapporti feudali di proprietà, non corrisposero più alle forze produttive già sviluppate. Quelle condizioni, invece di favorire la produzione, la inceppavano. Esse si trasformarono in altrettante catene. Dovevano essere spezzate, e furono spezzate” [3].
La rivoluzione “fece necessariamente a pezzi (… ) tutte le espressioni della separazione tra il popolo e la sua comunità” [4] e sostituì al privilegio quale espressione politica dell’età feudale “il diritto puro e semplice, il diritto uguale” [5]. In tal modo la gestione della cosa pubblica, dello Stato cessava d’esser affare particolare d’un sovrano o d’un ceto politico particolare per divenire “affare universale”.
Nella fase più radicale e avanzata della lotta per il potere le esigenze politiche erano talvolta entrate in contraddizione con il loro presupposto strutturale, la proprietà privata borghese, fondamento della società civile moderna. Tale contraddizione era stata astrattamente superata mediante il terrore. I giacobini si erano illusi di poter riplasmare, configurare lo Stato politico moderno sul modello antico, reprimendo nel terrore le “manifestazioni vitali” della società civile borghese. “Robespierre, Saint-Just ed il loro partito sono caduti perché hanno scambiato la comunità antica, realisticamente democratica, che poggiava sul fondamento della schiavitù reale, con lo Stato moderno rappresentativo, spiritualisticamente democratico, che poggia sulla schiavitù emancipata, sulla società civile. Che colossale illusione essere costretti a riconoscere e sanzionare nei diritti dell’uomo la società civile moderna, la società dell’industria, della concorrenza generale, degli interessi privati perseguenti liberamente i loro fini, dell’anarchia, dell’individualità naturale e spirituale alienata a se stessa, e volere poi nello stesso tempo annullare nei singolo individui le manifestazioni vitali di questa società, e volere modellare la testa politica di questa società nel modo antico!” [6].
Nel fuoco della lotta la differenza fra emancipazione politica e sociale tendeva a sfumare, dal momento che la rivoluzione costituiva un passaggio necessario e decisivo alla realizzazione d’entrambe e l’inadeguato sviluppo delle forze produttive impediva il porsi di problematiche che non corrispondevano a un bisogno storico reale. Così i giacobini, per difendere la rivoluzione di contro a conservatori e reazionari, avevano finito per doverne combattere lo stesso presupposto reale, la struttura sociale per cui si battevano, come appare evidente nel conflitto con la Montagna e i Girondini.
La rivoluzione permanente, dunque, non poteva superare il momento del terrore quale negazione determinata del feudalesimo, ma solo astratta delle proprie basi strutturali, della proprietà privata, se in contrasto con le superiori esigenze dello Stato che le impedivano di realizzare l’emancipazione sociale. “Certo: in tempi in cui lo Stato politico nasce violentemente, come Stato politico, dalla società borghese, quando l’emancipazione umana cerca di realizzarsi sotto forma di emancipazione politica, lo Stato può e deve giungere fino a sopprimere la religione, ad annientare la religione; ma solo nel modo in cui perviene a sopprimere la proprietà privata, cioè coll’imposizione di un limite massimo, colla confisca, coll’imposta progressiva, appunto come giunge alla soppressione della vita con la ghigliottina. Nei momenti in cui la vita politica sente più specialmente se stessa, essa cerca di soffocare il proprio presupposto, la società borghese e i suoi elementi, e di porsi per l’uomo come la reale e perfetta vita del genere umano. E questo può aver luogo soltanto tramite una violenta opposizione alle proprie condizioni di vita, solo in quanto la rivoluzione si dichiari permanente, e il dramma politico termina perciò necessariamente con la restaurazione della religione, della proprietà privata, di tutti gli elementi della società borghese, come la guerra si conclude con la pace” [7]. L’emancipazione politica è, in effetti, “gravata da un limite interno, strutturale, che le impedisce di rispondere alla questione cui essa conduce (con il suo stesso «fallimento»), quella dell’avvento dell’universalità concreta” [8].
Non erano sorte le condizioni oggettive per l’emancipazione sociale, in quanto “una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che non siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza” [9]. Né era sorta l’esigenza soggettiva nei suoi rappresentanti più avanzati – non essendo germogliato un bisogno effettivo dell’emancipazione sociale neppure nei sanculotti.
Dunque, solo la prima negazione: la rivoluzione della società civile, la dissoluzione dei precedenti assetti di proprietà su cui si fondava il feudalesimo era conforme ai bisogni effettuali dell’epoca, mentre la seconda negazione era destinata a restare un mero dover essere [10]. La borghesia manteneva salde nelle proprie mani le redini del processo storico e così, compiuta la prima negazione, la seconda venne archiviata, ridotta dal Termidoro a fantasma o utopia. Del resto, “non basta che il pensiero spinga verso la realizzazione; la realtà stessa deve spingersi verso il pensiero” [11]. Tanto più che “la sentimentale borghesia ha dovunque sacrificato la rivoluzione al suo dio, la Proprietà. La controrivoluzione ora ripudia questo dio” [12]. Riassumendo: non appena la furia trasformatrice dell’intero assetto della vecchia società si arrestò, il poetico, l’epico cittadino rivoluzionario lasciava progressivamente il campo al prosaico uomo borghese [13].
Articolo di Renato Caputo
Note:
[1] B. Bauer, K. Marx, La questione ebraica, traduzione italiana di M. Tomba, Manifestolibri, Roma 2004, p. 197.
[2] Ibidem.
[3] K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista [1848], in Id., Opere complete 1845-1848, vol. VI, tr. it. di P. Togliatti, Ed. Riuniti, Roma 1978, p. 491.
[4] B. Bauer, K. Marx, La questione…, op. cit., p. 197
[5] K. Marx e F. Engels, L’ideologia tedesca, tr. it di F. Codino, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 311.
[6] Id., La sacra famiglia [1845], traduzione italiana di A. Zanardo, Editori riuniti, Roma 1967, p. 160.
[7] B. Bauer, K. Marx, La questione…, op. cit., pp. 368-69.
[8] E. Kouvélakis, Critica della cittadinanza; Marx e la “Questione ebraica”, tr. it. di N. Augeri, in «Marxismo Oggi» 1, Milano 2005, p. 74.
[9] K. Marx, Per la critica dell’economia politica [1859], tr. it. di E. Cantimori Mezzomonti, Editori Riuniti, Roma, 19693, p. 5.
[10] Così, per esempio, “fintanto che le forze produttive non sono ancora abbastanza sviluppate da rendere superflua la concorrenza, e quindi continueranno a provocare sempre di nuovo la concorrenza, le classi dominate vorrebbero l’impossibile se avessero la «volontà» di abolire la concorrenza e con essa lo Stato e la legge. Del resto, prima che le condizioni siano sviluppate al punto di poterla produrre, questa «volontà» nasce soltanto nell’immaginazione degli ideologi.” K. Marx e F. Engels, L’ideologia tedesca, tr. it di F. Codino, Ed. Riuniti, Roma 1967, p. 314.
[11] K. Marx, Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione [1843], in Id., Scritti politici giovanili, a cura di Luigi Firpo, Einaudi, Torino 1975, p. 406.
[12] K. Marx, F. Engels, Opere complete, marzo 1853 – febbraio 1854, tr. it. di F. Codino, vol. XII, Ed. Riuniti, Roma 1978, p. 39.
[13] Non appena la potenza trasformatrice si arresta, proprietà privata e religione finiscono per riprodursi su nuove basi. Prodotto della rivoluzione politica, anche al di là degli scopi dei differenti attori, non è altro che la rivoluzione borghese, il cui risultato sancisce quali leggi dello Stato i rapporti fondamentali della società civile. Il dibattito sul superamento dello Stato in Marx è in parte viziato dal fatto che il giovane Marx aveva in mente lo Stato hegeliano-borghese, lo Stato politico de La questione ebraica, lo Stato che definisce democratico. Solo in seguito al sorgere dell’idea di uno Stato socialista questa problematica sarà in parte superata.
Fonte- Associazione La Città Futura- | Via dei Lucani 11, Roma | Direttore Responsabile Adriana Bernardeschi – Articolo di Renato Caputo
BERLINO-10 maggio 1933 :”L’incendio di libri nella Germania nazista”.
L’incendio di libri nella Germania nazista Berlino 10 maggio1933
Erano passati poco più di quattro mesi da quando Adolf Hitler salì al potere quando, il 10 maggio 1933 , ebbe luogo a Berlino e in altre città tedesche il Bücherverbrennungen, il rogo dei libri .
Il nazionalsocialismo, già in quei primi mesi di governo, aveva gettato le basi per la dittatura e mosse quei primi passi che avrebbero portato alle tragedie degli anni successivi: Hitler ottenne poteri speciali dal Parlamento, aprì il primo campo di concentramento a Dachau e prese iniziò il boicottaggio dei negozi ebraici. Questi primi atti, che cominciarono a influenzare direttamente la vita di uomini che l’ideologia nazista considerava nemici della Germania , furono subito accompagnati dalla loro prima uccisione simbolica, quella dei libri .
I falò sono stati promossi dall’Associazione nazionalsocialista degli studenti tedeschi e il ministro della Propaganda Joseph Goebbels li ha coordinati per darvi il massimo risalto. Nella notte del 10 maggio, decine di migliaia di libri, 25.000 volumi nella sola Berlino, furono dati alle fiamme davanti a politici, professori, studenti e migliaia di altri sostenitori nazisti .
Tra le opere in fiamme c’erano i libri dei più grandi teorici e figure letterarie del socialismo, da Karl Marx a Bertold Brecht, autori stranieri come Ernest Hemingway e Jack London, scrittori tedeschi contrari al nazismo come Thomas Mann, Erich Kästner, Heinrich Mann e Ernst Gläser. Furono bruciate anche Bibbie e pubblicazioni dei Testimoni di Geova , la biblioteca e gli archivi dell’Istituto per la scienza della sessualità, accusato agli occhi dei nazisti per le sue opinioni liberali sull’omosessualità e il transessualismo, e i libri di autori ebrei. Franz Kafka, Arthur Schnitzler, Franz Werfel, Max Brod e Stefan Zweig. In quello che è stato il più grande libro in fiamme mai visto nel mondo occidentale,Venne Bruciata Tutta la cultura e nazista considerata anti-tedesca per motivare politici e razziali : la lunga storia del fanatismo aveva raggiunto nella Germania nazista il suo apice.
Negli anni dopo il 1933, in Germania e nei territori occupati dai nazisti durante la guerra, ci furono numerosi altri fuochi di libri, ma fu da quel 10 maggio che fu sancito il principio totalitario per il quale ogni opera scritta doveva conformarsi ‘ Ideologia nazionalsocialista. La battaglia per la distruzione di tutte le diverse espressioni culturali interesserebbe poi anche l’arte e la musica considerate “degenerate” .
Gli incendiari volevano colpire sia chi aveva scritto e letto quei volumi, sia l’unica possibilità di poterli ripensare. I libri Furon Bruciata alter ego in quanto di uomini che quegli quegli volevano EliminaçÃ, e che poi Sarann uccisi nei lager . “Dove bruci libri, finisci per bruciare anche uomini”, aveva avvertito un secolo prima il poeta tedesco Heinrich Heine. Nel 1933 le sue opere furono date alle fiamme anche dagli incendi nazisti.
Durante l’ incendio di Berlino , avvenuto nella piazza davanti all’Università, Goebbels ha pronunciato un odioso discorso sull ‘”intellettualismo ebraico”, dicendo che gli studenti farebbero bene a “dare fuoco allo spirito malvagio del passato” . Oggi, nella stessa piazza , un’opera d’arte dell’israeliana Micha Ulmann ricorda quanto accaduto . Si tratta di un vero e proprio monumento commemorativo, sotterraneo, ma visibile a tutti attraverso una lastra trasparente posta all’altezza del pavimento: chi la guarda vede una piccola biblioteca, con scaffali vuoti.
Fonte: Scuola e memoria – L’incendio di libri nella Germania nazista
Il “Berlinguer rivoluzionario” che vogliamo ricordare
-articolo di Alba Vastano-La storia del segretario del Pci e i temi cardine della politica berlingueriana nel libro di Guido Liguori. L’uomo e il politico che ha contribuito alla costruzione del Partito Comunista Italiano negli anni Settanta e Ottanta. Da funzionario togliattiano alla segreteria di Luigi Longo.
Enrico Berlinguer
La storia del segretario del Pci e i temi cardine della politica berlingueriana nel libro di Guido Liguori. L’uomo e il politico che ha contribuito alla costruzione del Partito Comunista Italiano negli anni Settanta e Ottanta. Da funzionario togliattiano alla segreteria di Luigi Longo. Il compromesso storico e la questione morale. La politica internazionale. L’invito rivolto ai giovani, ma soprattutto la svolta finale a Sinistra.
Come non ricordarlo nel trentennale della sua scomparsa. Come non ricordarlo sempre. Come non ripercorrere oggi con la memoria quegli anni della nostra gioventù in cui c’era lui. Ripercorrerli per avere delle risposte a quel che é stato l’uomo e il politico, a quel che è stato il Partito Comunista Italiano. E il feedback della sua storia, della storia del partito di quel periodo è sicuramente positivo e vincente.“Un uomo introverso e malinconico, di immacolata onestà e sempre alle prese con una coscienza esigente”, lo ricordò così Indro Montanelli, in occasione dei suoi funerali nel 1984. Gli anni Settanta del Novecento sono stati per la storia del comunismo italiano gli anni di Berlinguer, anni che hanno segnato la storia della nostra “bella gioventù”. Berlinguer ci faceva sognare un’Italia migliore “..un’Italia che non era famosa solo per il cibo e per il vino, ma anche per la ricerca di un’originale coniugazione di democrazia e socialismo che suscitava interesse e rispetto in tutto il mondo”.
Così descrive quel periodo felice, Guido Liguori nella premessa del suo ultimo saggio “Berlinguer rivoluzionario”, edito da Carocci. E ci voleva questo saggio. Ci voleva per pensare, per ricordare e per riflettere sul senso che davamo alla politica, su cosa significava un tempo essere comunisti. L’appartenenza a un partito in cui non c’erano altre forze che quella dell’unità e della lotta di classe, soprattutto non c’erano tante sinistre, né divisioni in correnti. Non c’era altro che la lotta di classe per contrastare il capitalismo e per conquistare l’egemonia in un paese già allora dilaniato dalla corruzione. Di quel comunismo, di quel modo di fare le nostre lotte, Berlinguer ne era il protagonista. Un politico in “totus”. Soprattutto un uomo di grande integrità morale e intellettuale che ha saputo coinvolgere le masse popolari. Vi era un tempo quindi, il tempo di Berlinguer, in cui la politica era una cosa seria e priva di interessi personali, un tempo in cui le idee erano gli ideali, i nostri ideali da sventolare con orgoglio e con convinzione. E, riferendosi alla possibilità reale di fare una buona politica, scrive Liguori “ ..chi si sacrifica per essa e a essa dedica la vita, è un uomo da rispettare, come fu rispettato universalmente, quel comunista forte e timido insieme che fu Enrico Berlinguer”.
Già dalla copertina del libro curiosità e attrazione per i contenuti sono inevitabili. Perché l’uomo del compromesso storico e del sostegno ai governi di solidarietà nazionale viene definito un rivoluzionario? In realtà l’autore, nel suo libro avanza molte riserve sul compromesso storico, pur riconoscendo le motivazioni che spinsero tutto il Pci a proporlo alla Dc. È soprattutto nel secondo Berlinguer, quello dei primi anni Ottanta che riconosciamo il politico “rivoluzionario”, citato così dall’autore. Non solo l’uomo della ‘questione morale”, ma il fautore dei grandi movimenti dell’epoca, come sono stati il movimento femminista e quello pacifista, ma anche quello ecologista, oltre a quello operaio. Questa è stata la migliore politica di sinistra di Berlinguer, quella più viva e vivace, quella che più è rimasta nel cuore del Pci.
Fra una presentazione e l’altra della sua ultima opera letteraria su Berlinguer, Guido Liguori, docente universitario dell’Universita’ della Calabria, scrittore e saggista di molti testi gramsciani, si è fermato a parlarne, il 15 novembre, anche alla “BiblioGramsci”, la biblioteca popolare del circolo Prc di Valmelaina-Tufello, “nata” il quattro ottobre scorso. Intervistato da Valerio Strinati, presidente dell’Università popolare “Antonio Gramsci”, ha risposto con un’accurata analisi sui punti cardine della politica berlingueriana. «Partire dalle questioni internazionali per delineare la figura di Berlinguer è giusto e necessario. Berlinguer ha sempre avuto una vocazione per la politica internazionale, perché negli anni Cinquanta il giovane segretario faceva parte della Fgci e per un paio d’anni fu il principale esponente del movimento che comprendeva tutti i giovani comunisti a livello mondiale. Tant’è che fa la spola tra Budapest (sede dell’organizzazione) e l’Italia. Ha modo quindi di conoscere, fin da giovane, il mondo sovietico e il mondo del comunismo internazionale e di avere rapporti con i compagni dell’Unione sovietica». Liguori poi prosegue sulla scelta di Longo di affidare la direzione del partito a Berlinguer: «All’indomani dei fatti di Praga, Berlinguer scavalca il candidato numero uno, Giorgio Napolitano, e viene scelto come futuro segretario del Pci, proprio per la sua esperienza internazionale. Napolitano non aveva, né la frequentazione, né la capacità che aveva Berlinguer di dialogare con i sovietici e di non cedere alle loro pressioni». «Ovviamente questo è un processo contradditorio», continua l’autore. «Il fatto di rivendicare l’autonomia dei comunisti italiani e poi sempre più negli anni di marcare l’importanza della visione del partito comunista italiano, fa sì che la divisione con l’Unione Sovietica cominci ad essere una divisione di fondo sull’idea di socialismo da costruire nella democrazia». Liguori ricorda al proposito il famoso “Memoriale di Yalta” che Togliatti scrive pochi giorni prima di morire, da consegnare ai sovietici, in cui ribadiva la possibilità di raggiungere il socialismo attraverso vie diverse dal modello dell’Urss.
Il saggio di Liguori è davvero un tuffo in quel ventennio di storia vissuta con passione, una storia che non va dimenticata. Si potrà riattualizzare il pensiero del segretario del Partito Comunista Italiano in questa “povera” Italia e in una possibile (?) altra Europa? E nella ricorrenza del trentennale della sua morte, strumentalizzata da alcune correnti politiche che hanno paragonato il compromesso storico alle larghe intese, come ricordare onestamente Berlinguer? «Non è detto che bisogna fermarsi a Berlinguer e alle sue idee, ma sicuramente esse non vanno rimosse o mal interpretate. Bisognerebbe rileggere tutto ciò che lui ha scritto per renderci conto che le sue sono idee ancora importanti e valide che hanno ancor oggi molto da insegnarci», pensa l’autore.
E un invito ai giovani dall’autore (nella premessa del libro). “Mi piacerebbe che anche i più giovani, le ragazze e i ragazzi di oggi, imparassero a capire chi è stato e che cosa ha pensato Berlinguer. Vorrei che innanzitutto loro fossero i destinatari di questo libro”.
Autore dell’Articolo Alba Vastano “La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re. Non si rende conto che in realtà è il re che è il Re, perché essi sono sudditi” (Karl Marx)-
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