Fatto prigioniero dopo l’8 settembre e deportato nei lager della Germania nazista per il rifiuto di continuare la guerra a fianco dei tedeschi e dei repubblichini di Salò, il giovane sottotenente valdese Giorgio Girardet tiene fortunosamente un diario, ritrovato quasi integro dalla figlia. Qui se ne propone la parte che va dal marzo 1944 al gennaio 1945 quando, nel campo di Sandbostel – lo stesso di Alessandro Natta, Giovannino Guareschi, Gianrico Tedeschi e tanti altri –, fu il pastore di una piccola rappresentanza evangelica e dove, sorretto da una grande fede e da una forte volontà di reazione, moltiplicherà le occasioni per incontri, gruppi di studio e stabilirà i primi rapporti “ecumenici” con alcuni dei cattolici più aperti presenti nel lager. In quei mesi getterà le basi per la sua lunga vita professionale di pastore, giornalista e studioso, sempre innovatore e sempre aperto al futuro. Al di là del valore di testimonianza storica, queste pagine, attraverso le lenti di una prospettiva certamente parziale, ci permettono di scoprire come alcuni protagonisti di una generazione ora rimpianta abbiano saputo in condizioni drammatiche confrontarsi e gettare le basi culturali e morali per la ricostruzione del Paese.
Indice testuale
Prefazione. Pensiero teologico e fede alla prova di Bruno Rostagno Introduzione di Hilda Girardet
1. Gli Internati Militari Italiani
2. L’antefatto: la resistenza a Lero
3. Silenzi e omissioni
4. Famiglia e formazione
5. Foto e parole: le tracce
6. Quali e quanti lager?
7. A Sandbostel: attività e personaggi
8. Tre sorprese Avvertenza
Parte prima. Lager di Sandbostel
Parte seconda
Parte terza. Studi, conferenze, interventi pubblici nel Lager
Postfazione. Che il mio spirito sia alto o basso, Signore, sii tu con me… di Mirella Abate
Giorgio Girardet-Pastore valdese e giornalista,ha diretto il Centro ecumenico di Agape (To), ha fondato e diretto il settimanale “Nuovi Tempi” e diretto l’Agenzia di Stampa NEV, ed è stato docente di Teologia pratica presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma. Autore di numerose pubblicazioni, si ricorda la trilogia Cristiani perché, Bibbia perché, Protestanti perché, editi da Claudiana.
Hilda Girardet-Laureata in Pedagogia, è stata segretaria di redazione, docente elementare, ricercatrice ed esperta di Psicologia dell’Educazione presso l’Università La Sapienza di Roma. Specializzata nella didattica della storia, è autrice di alcune pubblicazioni sull’insegnamento della storia nella scuola di base.
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Beppe Fenoglio- I ventitré giorni della città di Alba-
Einaudi editore Torino
Centro Studi Beppe Fenoglio-DESCRIZIONE
“Difesero Cascina Miroglio e, dietro di essa, la città di Alba per altre due ore, sotto quel fuoco e quella pioggia. Ogni quarto d’ora l’aiutante si staccava dal telefono e si sporgeva a gridare: – Tenete duro che vi arrivano i rinforzi! – Ma fino alla fine arrivarono solo per telefono. […] Tutti avevano già spallato armi e cassette, ma non si decidevano, vagabondavano per l’aia, al bello scoperto. Pensavano che Alba era perduta, ma che faceva una gran differenza perderla alle tre o alle quattro o anche più tardi invece che alle due. Sicché il Comandante fu costretto a urlare: – Ritirarsi, ritirarsi o ci circondano tutti! – e arrivava di corsa alle spalle dei più lenti, come fanno le maestre coi bambini delle elementari. Scesero la collina, molti piangendo e molti bestemmiando, scuotendo la testa guardavano la città che laggiù tremava come una creatura.”
In foto il Capitano Fede, Comandante della difesa di Alba nei 23 giorni, insieme a Pinot Gallizio, Teodoro Bubbio, membri del CLN delle Langhe, e i comandanti dei partigiani il primo anniversario della battaglia per Alba libera.
«”I ventitre giorni della città di Alba”- sono il primo capitolo di un unico grande libro fenogliano». (Davide Longo). Storie partigiane trattate con piglio disincantato, antiretorico, talora epico-burlesco; storie di Alba e delle Langhe, vicende sanguigne e beffarde, drammi di miserie antiche e di speranze impossibili: con quel suo linguaggio crudo, privo di ostentazione, con quel suo stile asciutto ed esatto, Fenoglio restituisce le prime cronache veramente sincere delle contraddizioni vitali della Resistenza e penetra il «mistero» della spietatezza dei rapporti umani. Con una ‘Presentazione’ di Dante Isella e la cronologia della vita e delle opere.
Ilse Koch -la “cagna di Buchenwald”-la “donnaccia di Buchenwald”
Articolo di Fabio Casalini
Il 15/01/1951 veniva condannata all’ergastolo Ilse Koch, la “cagna di Buchenwald”, la “donnaccia di Buchenwald”. Uno dei peggiori esseri umani che mai abbia calpestato il suolo terrestre.
La Koch era già stata processata e condannata all’ergastolo nel 1947, pena poi commutata in 4 anni “perché non erano state fornite prove evidenti”.
Fu rilasciata però nel 1949 dal Generale Lucius Clay, comandante statunitense della zona tedesca, ma venne subito arrestata e processata dalla corte tedesca, viste le proteste che si erano scatenate per la sua liberazione.
Chi era questo essere immondo?
La sua crudeltà iniziò nel 1936, quando diventò sorvegliante presso il campo di concentramento di Sachsenhausen. Qui conobbe e sposò il comandante Karl Otto Koch. Nel 1937 arrivò al campo di concentramento di Buchenwald, come moglie del comandante: influenzata dal potere e dalla posizione del marito, iniziò a torturare gli internati.
Nel processo a suo carico venne riferito che la Koch fosse solita annotarsi i numeri dei prigionieri che avevano tatuaggi particolarmente originali, che li facesse uccidere e utilizzasse la loro pelle per realizzare paralumi, copertine di libri, album di foto e guanti.
l’ex internato Herbert Froeboeß testimoniò che: “Nell’estate del 1940 stavamo lavorando nello stadio delle SS. Era una giornata calda, e abbiamo lavorato con la parte superiore del corpo esposta. Avevamo un giovane francese o belga che lavorava per noi, di nome Jean Collinette. Era conosciuto in tutto il campo per i suoi tatuaggi. Particolarmente vistosi erano un serpente cobra colorato arrotolato intorno al suo braccio sinistro fino in cima, e un veliero a quattro alberi particolarmente ben tatuato sul petto. Ilse Koch passò a cavallo, tenne il suo cavallo davanti a Jean, guardò i tatuaggi e scrisse il suo numero. Quella sera Jean fu chiamato al cancello e non lo vedemmo più. Sei mesi dopo,nel dipartimento di patologia del campo, ho riconosciuto un pezzo di pelle con il veliero di Jean. Più tardi ho visto la stessa nave in un album di foto dei Koch“.
Karl Otto Koch nello stesso anno, 1937, fu nominato comandante del campo di concentramento di Majdanek.
Il tenore di vita dei coniugi Koch mutò radicalmente dal loro arrivo a Buchenwald. L’espropriazione di quelli che erano stati i beni dei prigionieri del campo e il loro sfruttamento come schiavi fecero sì che la coppia si arricchisse in modo spropositato.
Tale comportamento non passò inosservato, sia a livello locale che nazionale.
L’operato di Koch a Buchenwald in qualità di comandante del campo destò l’attenzione dell’Obergruppenführer Josias di Waldeck e Pyrmont, nel 1941. Scorrendo la lista dei morti di Buchenwald, Josias aveva fatto una croce accanto al nome del dottor Walter Krämer, del quale si ricordava poiché era stato suo paziente in passato. Josias investigò il caso e scoprì come Koch avesse ordinato l’uccisione di Krämer e Karl Peixof, altro aiutante all’ospedale del campo, come “prigionieri politici”, perché lo avevano curato dalla sifilide ed egli temeva che potessero diffondere la voce
Nel 1943 furono arrestati entrambi dalla Gestapo per malversazione e altri crimini.
Nel 1945 suo marito fu condannato a morte dalla corte SS a Monaco di Baviera e giustiziato in aprile.
Ilse fu rilasciata e andò a stabilirsi con la propria famiglia a Ludwigsburg. Fu nuovamente arrestata dalle autorità statunitensi il 30 giugno 1945.
Si impiccherà nella sua cella in Baviera nel 1967.
Troppo tardi.
Articolo di Fabio Casalini
Nella fotografia uno dei cani che usava aizzare contro i detenuti.
Appendice e nota di redazione
Lo scenario della II Guerra Mondiale è sicuramente uno dei più sanguinosi e violenti che l’umanità ancora oggi ricordi. Tutti conoscono Hitler e l’olocausto e purtroppo tutti conosciamo gli orrori che si consumarono in quegli anni. Stasera, nella FASCIA DARK, parliamo però nello specifico di un caso in cui il nazismo incontrò il sadismo. Stasera parliamo di Ilse Koch, la “strega di Buchenwald”, “cagna di Buchenwald”, “donnaccia di Buchenwald” o “iena di Buchenwald”. Graziosa e gentile, viene scelta come moglie per Karl Otto Koch, con il fine di formare la coppia modello del regime nazista, quella a cui tutti i tedeschi dovrebbero aspirare. Niente fa presupporre la sua natura sadica e violenta. Tutto ha inizio nel 1937 quando suo marito viene nominato comandante del campo di concentramento di Buchenwald. Ilse viene influenzata dal potere e dalla posizione del marito conducendo una vita agiata, circondata da lusso e privilegi e godendo della sofferenza altrui finché non inzia a torturare lei stessa gli internati.
Agli inizi si concede dei piccoli vezzi, come farsi chiamare dai prigionieri con titoli nobiliari, ma poi, accortasi del piacere che le procura ammirare i flagelli e le piaghe degli “elementi antisociali” si spinge ben oltre, frustando i detenuti che incrociano il suo cammino o aizzando il suo cane contro le donne incinte.
Il marito non è da meno, è solito torturare i prigionieri con un frustino modificato con lame di rasoio, approva l’uso degli schiaccia pollici e dei ferri per marchiare, ma più di tutto ama l’uso degli animali. Tra le numerose perversioni di Ilse, pare ci sia una vera e propria ossessione per il corpo umano che la porta ad organizzare orge saffiche con le mogli degli ufficiali per poi passare agli altri componenti delle SS. Si dice che scateni la sua fame sessuale anche all’interno del campo, costringendo gli internati ad eseguire qualsiasi sua richiesta a sfondo sessuale e girando in topless all’arrivo di ogni nuovo convoglio di prigionieri, massacrando chiunque si giri a guardarla. Queste potrebbero essere solo dicerie è vero, ma è nella dimora dei coniugi Koch che si nascondono le prove dei loro orrori: casa Koch è infatti decorata con paralumi di pelle umana, quadri con lembi di pelle tatuata e tsantsa (teste rimpicciolite), tutto ovviamente preso dagli internati del campo. È troppo anche per la Gestapo che nel 1943 arresta i coniugi Koch per malversazione, eccessiva brutalità, infamia e corruzione. Ilse viene imprigionata nel 1944 l’anno dopo il marito viene condannato a morte e giustiziato. Un tribunale delle SS che arresta due aguzzini può sembrare un paradosso che però aiuta a comprendere il livello di follia omicida che avevano raggiunto Ilse e Otto Koch.
Ilse viene assolta per mancanza di prove, finché nel 1947 viene nuovamente arrestata. Durante la sua permanenza in carcere rimane incinta di un detenuto e approfitta della situazione per rimandare il processo finchè, finalmente, dopo svariati errori giudiziari,viene processata e condannata. La pubblica accusa dichiarò “Se mai un grido è stato udito nel mondo, è quello degli innocenti torturati e morti per mano sua”.
Frida Kahlo è senza ombra di dubbio la pittrice messicana più famosa e acclamata di tutti i tempi, famosa anche per la sua vita assai travagliata.
Sosteneva di essere nata nel 1910, figlia della rivoluzione messicana e del Messico moderno. La sua attività artistica troverà grande rivalutazione dopo la sua morte, in particolare in Europa con l’allestimento di numerose mostre.
Frida Kahlo biografia-Avv.Irene Bertazzo-Autrice della Biografia
Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón (1907 – 1954) nasce da genitori ebrei tedeschi emigrati dall’Ungheria a Città del Messico, il 6 luglio del 1907, anche se lei dichiarava di essere nata nel 1910, con la rivoluzione, con il nuovo Messico.
Del padre, Frida dice «grazie a mio padre ebbi un’infanzia meravigliosa, infatti, pur essendo molto malato (ogni mese e mezzo aveva un attacco epilettico, nda) fu per me un magnifico modello di tenerezza, bravura (come fotografo e pittore, nda) e soprattutto di comprensione per tutti i miei problemi».
Della madre, invece, diceva che era molto simpatica, attiva e intelligente, ma anche calcolatrice, crudele e religiosa in modo fanatico.
A 6 anni Frida si ammala di poliomelite: piede e gamba destra rimangono deformi, tanto che Frida li nasconde prima con pantaloni e poi con lunghe gonne messicane. Così, se quando è piccola viene soprannominata dagli altri bambini “Frida pata de palo” (gamba di legno), quando diventa grande è ammirata per il suo aspetto esotico.
Nel 1922, dopo il liceo presso il Colegio Alemán, la scuola tedesca in Messico, Frida si iscrive alla Escuela Nacional Preparatoria di Città del Messico con l’obiettivo di diventare medico.
Durante questo periodo Frida fa parte dei “cachucas”, un gruppo di studenti che sostiene le idee socialiste nazionaliste del ministro della pubblica istruzione, Vasconcelos, richiedendo riforme scolastiche; inoltre mostra interesse per le arti figurative ma non ha ancora pensato di intraprendere la carriera artistica.
Il 17 settembre 1925, l’autobus diretto a Coyoacàn, su cui Frida Kahlo era salita con il suo ragazzo, Alejandro Gomez, per tornare a casa dopo la scuola, si scontra con un tram.
«Salii sull’autobus con Alejandro.. Poco dopo, l’autobus e un treno della linea di Xochimilco si urtarono.. Fu uno strano scontro; non violento, ma sordo, lento e massacrò tutti. Me più degli altri. È falso dire che ci si rende conto dell’urto, falso dire che si piange. Non versai alcuna lacrima. L’urto ci trascinò in avanti e il corrimano mi attraversò come la spada il toro».
Frida rimane tra le aste metalliche del tram. Il corrimano si spezza e la trapassa da parte a parte… Alejandro la raccoglie e nota che Frida ha un pezzo di metallo piantato nel corpo. Un uomo appoggia un ginocchio sul corpo di Frida ed estrae il pezzo di metallo.
La prima diagnosi seria sopraggiunge un anno dopo l’incidente: frattura della terza e della quarta vertebra lombare, tre fratture del bacino, undici fratture al piede destro, lussazione del gomito sinistro, ferita profonda dell’addome, prodotta da una barra di ferro entrata dall’anca destra e uscita dal sesso, strappando il labbro sinistro. Peritonite acuta. All’ammalata viene prescritto di portare un busto di gesso per 9 mesi, e il completo riposo a letto per almeno 2 mesi dopo le dimissioni dall’ospedale.
«Da molti anni mio padre teneva…una scatola di colori a olio, un paio di pennelli in un vecchio bicchiere e una tavolozza.. nel periodo in cui dovetti rimanere a lungo a letto approfittai dell’occasione e chiesi a mio padre di darmela…Mia madre fece preparare un cavalletto, da applicare al mio letto, perché il busto di gesso non mi permetteva di stare dritta. Così cominciai a dipingere il mio primo quadro».
La madre di Frida, Matilde, poi trasforma il letto di Frida in un letto a baldacchino e ci monta sopra un enorme specchio, in modo che Frida, immobilizzata, possa almeno vedersi.
Così nascono quegli autoritratti che ce la ricordano, con i suoi occhi sovrastati dalle sopracciglia scure, particolarmente marcate, che si uniscono alla radice del naso come ali d’uccello: «dipingo me stessa perché trascorro molto tempo da sola e perché sono il soggetto che conosco meglio».
Con queste rappresentazioni Frida infrange i tabù relativi al corpo e alla sessualità femminile. Diego Rivera, suo futuro marito, dirà di lei «la prima donna nella storia dell’arte ad aver affrontato con assoluta ed inesorabile schiettezza, in modo spietato ma al contempo pacato, quei temi generali e particolari che riguardano esclusivamente le donne».
Via via che i mesi passano, Frida si dedica con crescente consapevolezza alla pittura. Avanza lentamente, produce a piccole dosi e piccoli formati: ciò che la sua salute le permette di fare, a seconda del fatto che riesca a star seduta o solamente distesa: «i miei quadri sono dipinti bene, non con leggerezza bensì con pazienza. La mia pittura porta in sé il messaggio del dolore».
Più di un anno dopo, verso la fine del 1927 si riprende, tanto da poter condurre una vita abbastanza normale, nonostante i dolori dovuti ai vari busti, e le cicatrici derivate dalle diverse operazioni.
Nel 1928 Frida si unisce ad un gruppo di artisti e di intellettuali che sostengono un’arte messicana indipendente, lontana dall’accademismo e legata all’espressione popolare: il mexicanismo, che si esprime nella pittura murale, particolarmente incoraggiata dallo Stato anche per le sue finalità edificanti e la possibilità di raccontare la storia nazionale anche alla grande massa analfabeta.
Frida, dal canto suo, per esprimere idee e sentimenti, crea un proprio linguaggio figurativo; il mondo contenuto nelle opere di Frida si rifà soprattutto all’arte popolare messicana e alla cultura precolombiana; vi sono infatti, immagini votive popolari, raffigurazioni di martiri e santi cristiani, ancorati nella fede del popolo; negli autoritratti, inoltre, Frida si rappresenta quasi sempre in abiti di campagna o con costume indio. Del Messico, poi, ritroviamo, nelle opere di Frida, la flora e la fauna, i cactus, le piante della giungla, le scimmie, i cani itzcuintli, i cervi e i pappagalli.
Nei primi mesi del 1928, German del Campo, uno dei suoi amici del movimento studentesco, le fa conoscere un gruppo di giovani raccolto intorno al comunista cubano Julio Antonio Mella, che si trova in esilio in Messico e che ha una relazione con la fotografa Tina Modotti. È proprio Tina a far conoscere a Frida Diego Rivera: un pittore e muralista molto famoso, anche se i due, in realtà si erano già conosciuti nel 1923, mentre Diego lavorava nell’anfiteatro Bolivar. Di quell’incontro Diego ricorda di questa ragazza «…aveva una dignità e una sicurezza di sé del tutto inusuali e negli occhi le brillava uno strano fuoco».
Quando Frida incontra Diego per la seconda volta, lui è un uomo pesante, gigantesco, Frida lo prende in giro chiamandolo “elefante”: è già stato sposato due volte e ha quattro figli.
Il 21 agosto del 1929 si sposano. Lei ha 22 anni, lui quasi 43.
A causa della malformazione pelvica, dovuta all’incidente, Frida non riesce a portare a termine le sue gravidanze, e così, 3 mesi dopo il matrimonio, Frida deve abortire. È la prima volta. Nel novembre del 1930 Frida e Diego si trasferiscono per 4 anni negli Stati Uniti per motivi artistici e politici. A Detroit Frida rimane incinta per la seconda volta, ma la tripla frattura delle ossa del bacino ostacola la corretta posizione del bambino. Frida decide comunque di tenere il bambino, nonostante la sua pessima condizione fisica ed il rischio. Tuttavia, il 4 luglio perde il bambino per un aborto spontaneo.
Nel 1934 ritornano in Messico, Frida è costretta ad abortire per la terza volta, e si separa da Diego che, nel frattempo, aveva avuto diverse avventure con altre donne, compresa la sorella di Frida, Cristina.
Frida comincia ad avere rapporti con altri uomini e con donne e ad essere molto attiva anche dal punto di vista politico. Nel 1936 in Spagna scoppia la guerra civile e se, Tina Modotti, l’amica di Frida, lascia immediatamente Mosca per andare in Spagna, lei si impegna a distanza nella lotta per la difesa della Repubblica Spagnola, organizzando riunioni, scrivendo lettere, raccogliendo viveri di prima necessità, pacchi di vestiti e di medicine per inviarli al fronte.
Nel 1937, poi, nella sua Casa Azul, ospita Lev e Natalja Trotskij, i quali sono in viaggio dal 1929, espulsi dall’Unione Sovietica.
Negli anni Quaranta, la fama di Frida è talmente grande che le sue opere vengono richieste per quasi tutte le mostre collettive allestite in Messico.
Nel 1943 viene chiamata ad insegnare, assieme ad altri artisti, alla nuova scuola d’arte della pedagogia popolare e liberale: l’Esmeralda. Frida, per ragioni di salute, è presto costretta a tenere le lezioni nella sua casa. I suoi metodi sono poco ortodossi: «Muchacos, chiusi qui dentro, a scuola, non possiamo fare niente. Andiamo fuori, in strada, dipingiamo la vita della strada». I suoi alunni la ricordano: «l’unico aiuto che ci dava era quello di stimolarci….non diceva niente sul modo in cui dovevamo dipingere o sullo stile, come faceva il maestro Diego…Ci insegnò soprattutto l’amore per la gente, ci fece amare l’arte popolare».
Nel 1950 subisce sette operazioni alla colonna vertebrale e trascorre nove mesi in ospedale. Dopo il 1951, a causa dei dolori, non riesce più a lavorare se non ricorrendo a farmaci antidolorifici; forse è proprio dovuta a questi la pennellata più morbida, meno accurata, il colore più spesso e l’esecuzione più imprecisa dei dettagli.
Nel 1953, alla sua prima mostra personale, allestita dalla amica fotografa Lola Alvarez Bravo, partecipa sdraiata su un letto, dato che se i medici le hanno assolutamente proibito di alzarsi. È Diego ad avere l’idea di trasportare il grande letto a baldacchino di Frida fin nel centro di Città del Messico. Stordita dai farmaci, partecipa alla festa rimanendo a letto, bevendo e cantando con il pubblico accorso numeroso. Nell’agosto dello stesso anno, i medici decidono di amputarle la gamba destra fino al ginocchio.
Nel 1954 si ammala di polmonite. Durante la convalescenza, il 2 luglio, partecipa ad un dimostrazione contro l’intervento statunitense in Guatemala, reggendo un cartello con il simbolo della colomba che reca un messaggio di pace. Muore per embolia polmonare la notte del 13 luglio, nella sua Casa Azul, sette giorni dopo il suo quarantasettesimo compleanno. La sera prima di morire, con le parole «sento che presto ti lascerò», aveva dato a Diego il regalo per le loro nozze d’argento.
Autrice della Biografia Avv. Irene Bertazzo
Irene Bertazzo–Avvocato … ma sta cercando di uscire dal tunnel del diritto. Diplomata in pianoforte, vorrebbe sperimentare l’arte dell’insegnare ai bambini. Appassionata di libri, arte, giardinaggio e tutto ciò che è vivo e colorato. Adora ascoltare la radio e le piacerebbe, magari, lavorarci; per ora, come volontaria, collabora in una radio locale (Radio Cooperativa) alla trasmissione Partecipare è cambiare, come conduttrice e autrice di rubriche; attualmente si occupa della rubrica Grandi donne: storie di donne rimaste nella storia, grazie alla quale ha incontrato l’enciclopedia delle donne.
Frida Kahlo opere d’arte più importanti
Tra le numerose opere della grande pittrice messicana vanno almeno citate:
The Frame (autoritratto) (1938)
Due nudi nel bosco (1939)
Le due Frida (1939)
Il Sogno (Il Letto) (1940)
La colonna rotta (1944)
Mosè (o Nucleo solare) (1945)
Cervo ferito (1946)
Autoritratto (1948)
L’amoroso abbraccio dell’universo, la terra (Messico), io, Diego e il signor Xólot (1949)
Fonte- Enciclopedia delle donne –Società per l’enciclopedia delle donne APS, via degli Scipioni 6, 20129, MILANO,
Un episodio della Resistenza toscana passato quasi in sordina. Il sabotaggio di un treno tedesco zeppo di esplosivi, la notte tra il 10 e l’11 giugno del ‘44, che i partigiani di una Squadra d’azione patriottica, a costo della propria vita, fecero saltare in aria nei pressi di Carmignano. E il ruolo di Ottone Rosai e degli intellettuali fiorentini nella lotta di Resistenza, il loro contributo alla liberazione di Firenze e della Toscana. Storia, ricerca accurata delle fonti, scrittura brillante si fondono nell’affresco fiorentino a cavallo della seconda guerra mondiale tracciato dal giornalista Nicola Coccia nel suo ultimo libro, “La strage del Masso delle Fate. Ottone Rosai, Bogardo Buricchi ed Enzo Faraoni dal 1933 alla Liberazione di Firenze” (Ets). Martedì 26 aprile la presentazione ai lettori in palazzo comunale a Bagno a Ripoli (ore 17.00, sala consiliare “Falcone e Borsellino”, ingresso libero). Accanto all’autore, storica firma del quotidiano La Nazione, saranno presenti il professore di Storia dell’Università di Firenze, Giovanni Cipriani, il sindaco Francesco Casini e l’assessora alla cultura Eleonora Francois. L’iniziativa si svolge in collaborazione con la Biblioteca comunale.
Frutto di quindici anni di ricerche e interviste, il libro di Coccia racconta l’attività di una piccola formazione partigiana guidata da un poeta, Buricchi, e da un pittore, Rosai, fino al più importante attacco alle linee ferroviarie dell’Italia centrale e alla fabbrica di armi nel pratese. La chiave di volta, per l’autore, è il ritrovamento all’Archivio centrale dello Stato di un documento inedito che gli consente di svelare, più di mezzo secolo dopo, come il tritolo dei tedeschi servisse per rallentare l’avanzata degli Alleati.
Gli effetti dell’assalto al treno si intrecciano con la vita di Rosai, che aprirà le porte di casa ad uno dei superstiti del sabotaggio, Enzo Faraoni, così come a Bruno Fanciullacci, il gappista più ricercato della Toscana. Ma anche con l’uccisione di Giovanni Gentile, la cattura del famigerato Mario Carità e del suo degno allievo Pietro Koch, che per una settimana aveva rinchiuso in un armadio Luchino Visconti. Una serie di persone e fatti concatenati nella Firenze degli anni Trenta e Quaranta, dove la gente era affamata d’arte, poesia e libertà.
Nicola Coccia ha cominciato a collaborare all’Avanti nel 1966 per poi passare alla redazione fiorentina del Lavoro di Genova. Per La Nazione si è occupato dei principali fatti di cronaca che hanno segnato la storia di Firenze degli ultimi trent’anni. Con il libro “L’arse argille consolerai. Carlo Levi, dal confino alla Liberazione di Firenze attraverso testimonianze, foto e documenti inediti” (2016) ha vinto il Premio Carlo Levi.
Il Comune di Bagno a Ripoli si trova in piazza della Vittoria 1. Per informazioni: 055.6390211.
20/04/2022 15.05 Ufficio stampa Comune di Bagno a Ripoli
Circa venti anni addietro, il grande storico britannico Eric Hobsbawm pubblicò un’ampia voce biografica su Karl Marx nell’Oxford Dictionary of National Biography. Questo scritto, che rispecchia la riflessione più matura di Hobsbawm sulla figura e sul pensiero di Marx , segna, nonostante la brevità, un passo avanti e, si potrebbe dire, conclusivo nell’ambito della riflessione di lunga durata dedicata da Hobsbawm alla figura di Marx. Il testo è preceduto da una ricerca di Luciano Canfora incentrata sulle indicazioni politiche operative lanciate in modo discontinuo da Marx durante la sua lunga militanza, e soprattutto durante il lungo esilio. Ciò che viene qui messo in evidenza è il peso costituito dalla rilettura che Engels diede di quelle indicazioni sommarie e discontinue: rilettura che determinò il modo di essere e di condurre la propria azione politica da parte della socialdemocrazia europea e tedesca in particolare. Al termine di questa vicenda vi è lo scontro durissimo tra gli eredi di Engels e l’emergente leninismo. Un’attenzione particolare viene dedicata all’esito italiano di questo scontro, imperniato sulla originalità, sanamente eretica dei maggiori esponenti del marxismo italiano Gramsci e Togliatti.
Biografia degli autori
Luciano Canfora è professore emerito dellʼUniversità di Bari. Dirige i «Quaderni di storia» e collabora con il «Corriere della Sera». Tra le sue pubblicazioni più recenti ricordiamo: La meravigliosa storia del falso Artemidoro (Sellerio, 2011); Il mondo di Atene (Laterza, 2011); Gramsci in carcere e il fascismo (Salerno, 2012); Spie, URSS, antifascismo. Gramsci 1926-1937 (Salerno, 2012); La guerra civile ateniese (Rizzoli, 2013); La crisi dell’utopia. Aristofane contro Platone (Laterza, 2014); Augusto. Figlio di dio (Laterza, 2015); Tucidide. La menzogna, la colpa, l’esilio (Laterza, 2016); La schiavitù del capitale (il Mulino, 2017).
Eric Hobsbawm (1917-2012), già docente a Cambridge (King’s College, Birkbeck College), è stato il maggiore storico del socialismo e dell’Europa otto e novecentesca. Tra le sue pubblicazioni: Il secolo breve (Rizzoli, 1995), Storia d’Europa, vol. I, L’età contemporanea. Secoli XIX-XX (Einaudi, 1996), Gente che lavora. Storie di operai e contadini (Rizzoli, 2001), Imperialismi (Rizzoli, 2007), La fine della cultura (Rizzoli, 2013). Ha diretto l’ampia e polifonica Storia del marxismo per Einaudi.
POGGIO NATIVO: Convento di S. Paolo. Cenacolo del Refettorio. Un’analisi al particolare del pregevole affresco.
Nota e Foto sono dell’Arch. Maurizio Pettinari
La vecchia chiesa del monastero fu trasformata in Coro, che fu arredato con magnifici scanni in legno intarsiato tuttora ben conservati: l’opera fu ultimata nel 1482 e questa data la si trova scolpita nell’architrave di una porticina situata nella parete di sinistra, che mette dal Coro alla torre campanaria. Fu costruito un nuovo refettorio, lo stesso attualmente in funzione, ed il vecchio fu trasformato in magazzino; recentemente in una parete di quest’ultimo sono venuti alla luce affreschi di pregevole fattura, raffiguranti Gesù assiso tra gli apostoli nell’Ultima Cena ed un S. Francesco d’Assisi.
Diderot, Denis – d’Alembert, Jean-Baptiste Le Rond
Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, 1751
DESCRIZIONE
Paris, Briasson, David, Le Breton, S. Faulche, 1751-’65 [ultimo volume: Neufchastel, Samuel Faulche]. In 2°. 404 x 270 mm. – Table Analytique et Raisonée du Dictionnaire… Paris/Amsterdam, Panckoucke-Marc-Michgel rey, 1780. In 2°, 2 voll. – Recueil de Planches sur le s Sciences…Paris, Briasson, David, Le Breton, S. Faulche, 1762-1772. – Nouveau Dictionnaire pour servir de Supplement. Paris, Panckoucke, Stoupe, Brunet, 1776-’77. In 2° 5 voll. incluso un tomo di Planches au Supplement, 1777. 244 tavole. Insieme completo di 35 volumi, di cui 23 di testo e 12 di tavole. Legature coeva in bazzana con dorso a sei nervi e taglia spruzzo, cinque volumi presentano una diversa legatura, sempre in bazzana ma con un vitello più scuro e i tagli sono rossi. Ex libris al contropiatto Aldo Maffey.
Nota a chiariento
L’Encyclopédie è stata originariamente concepita dall’editore, André le Breton, come una semplice traduzione della Cyclopaedia di Chambers, dall’inglese al francese. Denis Diderot, in qualità di editore, insieme al matematico Jean Le Rond d’Alembert, spinse il lavoro ben oltre tanto da essere annoverata, in qualità di editore insieme al matematico Jean Le Rondessere d’Alembert, nella tradizione illuminista. Un gran numero di scrittori del sec. XVIII contribuirono al lavoro e Diderot, in qualità di editore, prendeva gli scritti e li rimodellava sottilmente alla sua veduta del mondo.
Giovanni Grasso racconta la vita di Lauro De Bosis , un giovane poeta antifascista-
Roma, 1928. Ruth Draper, attrice newyorkese, è una donna colta, indipendente, schiva. Si è votata al teatro come una vestale al tempio e non ha mai ceduto alle lusinghe dell’amore. Fino a quando, nella Città Eterna per una tournée, non incontra il giovane e fascinoso Lauro De Bosis. Dandy per eccellenza, poeta per vocazione, antifascista per scelta, aviatore per necessità, Lauro è un visionario ma è anche un uomo coraggioso capace di passare all’azione: con due amici infatti ha fondato un’organizzazione segreta che diffonde messaggi clandestini di propaganda contro il regime. Tra il giovanissimo Lauro e la matura Ruth, nonostante diciassette anni di differenza, scoppia un amore travolgente e tragico, che si cementa nella lotta al fascismo. Sullo sfondo, l’Italietta del regime, ma anche l’inquieto mondo dell’antifascismo in esilio, tra Parigi, Londra e Bruxelles e l’America divisa tra i fremiti del jazz, la cappa del Proibizionismo e la Grande depressione. Dopo Il caso Kaufmann, Giovanni Grasso torna a mescolare storia e invenzione, ricostruendo nei dettagli l’epopea e il ricco mondo di relazioni di un eroe dimenticato che fece tremare la dittatura: la sera del 2 ottobre 1931, a bordo di un piccolo monoplano, Lauro De Bosis sorvolò Roma, beffando clamorosamente il regime, prima di scomparire nel Tirreno al termine di un volo fatale compiuto in nome della libertà
Articolo di Riccardo Borgia-I protagonisti della storia e le loro gesta d’impatto in alcuni casi rimangono sottotraccia. Questa è la storia di un uomo, Lauro de Bosis, un giovane poeta antifascista, aviatore improvvisato che il 3 ottobre del 1931 compì un gesto forte raccontato in “Icaro, il volo su Roma” per esprimere la sua lotta all’antifascismo. Lauro, sganciò dal suo aereo su Roma quattrocentomila volantini contro Mussolini e poi nel tentativo di ritornare in Corsica si inabissò nel Tirreno. La storia di Lauro De Bosis, però parte da una prima infatuazione per il fascismo, come molti altri italiani. In seguito, però aprì gli occhi in seguito al delitto Matteotti. La sua lotta antifascista, quindi inizia con la fondazione di una società segreta, Alleanza nazionale, che operò imbucando volantini antifascisti nelle cassette delle lettere degli italiani.
Questa fu l’inizio della storia di uno scrittore e poeta. Icaro, il volo su Roma è il primo romanzo di Giovanni Grasso, giornalista parlamentare e saggista e racconta appunto come Lauro de Bosis. Quest’ultimo isolato dagli altri antifascisti e accusato di essere interessato alla monarchia. La motivazione era legata alla sua convinzione che Mussolini dovesse essere abbattuto convincendo il re, il Vaticano e l’esercito a togliergli il potere.
L’evento di presentazione di Icaro, il volo su Roma
La pubblicazione dedicato alla figura di quest’uomo impegnato nella lotta all’antifascismo è stato presentato in un luogo iconico, ovvero la Sala Rossa del Foro Italico, ex palestra proprio di Benito Mussolini e realizzato in collaborazione tra il Comitato provinciale dell’Ansmes di Roma e il Club del Panathlon di Roma. I partner, Sport e Salute e Olympialex, sono quelli delle grandi occasioni. Lo stesso autore Giovanni Grasso fa una ricostruzione precisa della vita di Lauro De Bosis. Lo stesso parte dalla dedica con il nome dato alla piazza dove è ubicato il Comitato Olimpico Nazionale Italiano.
“Insegante negli Stati Uniti e un antifascista che in una sua azione, l’ultima prima di morire, nell’ottobre 1931 sorvolando Roma con il suo piccolo aerea lanciò migliaia di volantini contro il fascismo. Sulla via del ritorno a Marsiglia, lui avrebbe voluto tornare a Barcellona, l’aeroplano sul quale volava è scomparso in mare, probabilmente per mancanza di carburante”. Queste alcune parole e passaggi di un libro che racconta anche il suo amore per l’attrice newyorkese Ruth Draper, più grande di lui di quasi vent’anni, che gli rimarrà accanto per tutto il resto della vita.
Questo evento ha quindi evidenziato non solo l’importanza di raccontare in una presentazione un personaggio di così elevata caratura ma l’attenzione per determinate figure. Le quali, dovrebbero avere nell’impatto sulla storia del nostro paese.
Il Borgo di TRAGLIATA-La Storia di Tragliata in pillole-Fotoreportage di Franco Leggeri
Al km 29 della Via Aurelia, tra Torrimpietra e Palidoro, sulla destra, in direzione delle colline, si dirama la Via del Casale Sant’Angelo, che porta verso Bracciano.Percorrendo questa strada che si snoda in aperta campagna tra i grandi poderi coltivati o lasciati a pascolo per bovini e ovini, sulla destra al km 8,5 si diparte la via di Tragliata che porta al castello omonimo per terminare dopo pochi chilometri al crocevia con la Via di Santa Maria di Galeria, Via dell’Arrone e la Via di Boccea. Il toponimo di Tragliata, riportato in antichi documenti come Talianum o Taliata, sembra derivare da “tagliata”, nome dato ai sentieri scavati nel tufo di origine etrusca.
Il Castello di Tragliata-Località molto suggestiva, abitata fin dall’antichità più remota, come testimoniato da ritrovamenti etruschi e romani inglobati nelle costruzioni successive. Il castello, eretto tra il IX e il X secolo, aveva una funzione di difesa e di avvistamento ed era collegato visivamente con altre torri circostanti, come la vicina Torre del Pascolaro; trasformato successivamente in un grande casale ad uso abitativo ed agricolo, in alcuni tratti si possono notare avanzi di muratura precedente appartenenti alle opere di sostegno del fortilizio.
Allo stato attuale, Tragliata si presenta come un borgo in magnifica posizione elevata, situato com’è su di una specie di rocca isolata in mezzo alla vallata del Rio Maggiore, ed è costituito da vari fabbricati che si affacciano su di un grande spazio erboso.I fianchi della collina sono scavati in più parti dalle tipiche grotte, utilizzate nel corso dei secoli come magazzini o ricovero di animali. Di proprietà privata, il castello è stato recentemente convertito in azienda agrituristica adibita a ricezione. Interessanti i grandi silos sotterranei di epoca etrusca utilizzati per la conservazione dei cereali.
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