TESTA di LEPRE-Edicola Madonnina degli Allevatori- via Arrone-BIVIO di FREGENE- Fiumicino (RM)
Piazzale Coop. Allevatori Bestiame TESTA di LEPRE–Edicola Madonnina degli Allevatori.
Testa di Lepre- 25 giugno 2018- Laboratorio della memoria -Eseguire una ricerca sui manufatti popolari che incarnano non solo lo spirito religioso ma anche la più antica visione cosmogonica delle comunità rurali, significa provare ad uscire da una lettura stereotipata degli elementi presenti sul territorio per coniugarla alle simbologie dell’immaginario che ancora è possibile trovare nella popolazione anziana locale. Le Croci: in legno, pietra o ferro battuto infisse a terra o su colonne di pietra. La croce sostituisce l’albero sacro, come supporto del divino.
EPIGRAFE “ LA NOSTRA MADRE CELESTE CI HA GUIDATI NELLA LUNGA E TORMENTATA VICENDA PER LA DIFESA DEI DIRITTI SULLE QUOTE LATTE DI TUTTI NOI ALLEVATORI-1997-2000”
Franco Leggeri–Ricerche per un Saggio Storico sulla Campagna Romana–
Fonti :
Ministero Beni Culturali-MIBAC;
Biblioteca Nazionale ;
Biblioteca Privata dei Principi ()-
Cartografia:
– EUFROSINO DELLA VOLPAIA 1547;
-Catasto Alessandrino;
-CABREO ;
RICERCHE SPECIFICHE :
-Storia dei fontanili e dispute sull’Acqua nel medioevo;
-Tasse e tributi nel medioevo ;
-Studi sulla condizione contadina nel medioevo.
Roma- Municipio XIII- Associazione Cornelia Antiqua-Le Catacombe della via Boccea-
Articolo e fotoreportage di Franco Leggeri
Articolo e fotoreportage di Franco Leggeri
Il Vescovo della Diocesi di Porto e Santa Rufina, Mons. Diego BONA, recentemente scomparso, ha riportato al culto dei fedeli e all’attenzione degli archeologi le Catacombe dei Santi martiri MARIO, MARTA, AUDIFAX e ABACUC- Il 19 gennaio 1994 ,festa di San Mario, il Mons. Diego BONA guidò una processione di circa 500 fedeli verso le Catacombe ripristinando così un’antica tradizione popolare che si era persa nel corso degli anni. Nei pressi delle Catacombe vi è una piccola chiesetta dedicata a San Mario e Marta, eretta nel 1700 e restaurata nel 1871. In questa chiesetta ,nel 1909, il giovane sacerdote Don Giuseppe RONCALLI, futuro papa Giovanni XXIII- il Papa Buono, venne a celebrare la messa in memoria del fratello Mario. Papa Giovanni XXIII amava la via Boccea e la Campagna Romana durante le sue escursioni egli si deliziava nel gustare “ la buona ricotta di Boccea” che Gli veniva offerta dai pastori romani. A ricordo della presenza in questi luoghi di Papa Giovanni è stata posta in essere, nel 2004, una epigrafe marmorea nella chiesetta di Santa Maria sita all’interno del Castello della Porcareccia nel quartiere Casalotti.
Breve Storia dei Santi MARIO, MARTA, AUDIFAX e ABACUC.
Ultimo santuario della via Cornelia era quello dei martiri MARIO, MARTA, AUDIFAX e ABACUC. Nel Martirologio Geronimiano sono ricordati il 16 e 20 gennaio. Sembrerebbe che il vero dies natalis fosse il 20 gennaio, in cui sono stati commemorati nel Sacramentario Gelasiano antico ( Saccr.Gel.,p.131; nel Gelasiano di S.Gallo invece sono anticipati al giorno 19 e vi mancano ABACUC e AUDIFAX (Gel. S. Gallo, p.20) .Di questi Martiri non si hanno notizie sicure.Secondo la passio (Acta SS. Gennaio, II, Parigi, 1863, pp. 578-583.) Mario e Marta erano nobili persiani; al tempo di Claudio il Gotico vennero a Roma , insieme con i figli Abacuc e Audifax per venerare i sepolcri degli Apostoli e aiutare i carcerati per la Fede. Arrestati a loro volta furono condannati dal prefetto Musciano e condotti sulla “ via Cornelia miliaro tertio decimo ad Nymphas Catabassi”: Mario, Abacuc e Audifax furono “decollati sub arenario” e i loro corpi bruciati; Marta invece “in Nympha necata est”. La Matrona Felicita raccolse i resti dei primi tre, Mario,Abacuc e Audifax, ed il corpo di Marta dal pozzo in cui era stato gettato, e li seppellì “ sub die tertio decimo Kalendas febraurium” (B.SS.VIII, p.165. Dall’indicazione topografica “ ad Nymphas” è nata la fantomatica martire Ninfa-cf.B.SS.,IX,p.1009).
I corpi dei Martiri sarebbero stati trasferiti da Papa Pasquale I nella Basilica di S. Prassede ( Lib. Pont.II, p. 64.).
Articolo e fotoreportage di Franco Leggeri per l’Associazione Cornelia Antiqua
Franco Leggeri Fotoreportage Il Borgo di TRAGLIATA
Associazione CORNELIA ANTIQUA
Il Borgo di TRAGLIATA e la sua Storia in pillole
Al km 29 della Via Aurelia, tra Torrimpietra e Palidoro, sulla destra, in direzione delle colline, si dirama la Via del Casale Sant’Angelo, che porta verso Bracciano.Percorrendo questa strada che si snoda in aperta campagna tra i grandi poderi coltivati o lasciati a pascolo per bovini e ovini, sulla destra al km 8,5 si diparte la via di Tragliata che porta al castello omonimo per terminare dopo pochi chilometri al crocevia con la Via di Santa Maria di Galeria, Via dell’Arrone e la Via di Boccea. Il toponimo di Tragliata, riportato in antichi documenti come Talianum o Taliata, sembra derivare da “tagliata”, nome dato ai sentieri scavati nel tufo di origine etrusca. Il Castello di Tragliata-Località molto suggestiva, abitata fin dall’antichità più remota, come testimoniato da ritrovamenti etruschi e romani inglobati nelle costruzioni successive. Il castello, eretto tra il IX e il X secolo, aveva una funzione di difesa e di avvistamento ed era collegato visivamente con altre torri circostanti, come la vicina Torre del Pascolaro; trasformato successivamente in un grande casale ad uso abitativo ed agricolo, in alcuni tratti si possono notare avanzi di muratura precedente appartenenti alle opere di sostegno del fortilizio. Allo stato attuale, Tragliata si presenta come un borgo in magnifica posizione elevata, situato com’è su di una specie di rocca isolata in mezzo alla vallata del Rio Maggiore, ed è costituito da vari fabbricati che si affacciano su di un grande spazio erboso.I fianchi della collina sono scavati in più parti dalle tipiche grotte, utilizzate nel corso dei secoli come magazzini o ricovero di animali. Di proprietà privata, il castello è stato recentemente convertito in azienda agrituristica adibita a ricezione. Interessanti i grandi silos sotterranei di epoca etrusca utilizzati per la conservazione dei cereali.
FIUMICINO- Borgo TESTA di LEPRE- Il Casale Doria Pamphilj
Cenni storici
Il Casale Doria Pamphilj a Testa di Lepre è un granaio del XVI secolo, conosciuto come luogo dove fermarsi sin dai tempi degli Etruschi, la tenuta di Testa di Lepre è fra i possedimenti della famiglia Pamphilj sin dal 1649.La fattoria Testa di Lepre nel 1649 diventa proprietà della famiglia Pamphilj, in seguito all’acquisto fatto a opera di Olimpia Maidalchini, che era amministratrice dei possedimenti di famiglia oltre che cognata del Papa Innocenzo X.
Questa cornice romantica e ricca di storia può essere vostra per festeggiare le vostre nozze a soli 20 chilometri da Roma.
Il casale dispone di una chiesa dove poter celebrare la funzione religiosa.
Spazi e capienza
Immerso nella suggestiva campagna romana, il casale è un luogo rilassante, con ampi spazi dedicati al vostro evento. Dispone infatti di sale interne che saranno finemente allestite in occasione del banchetto e di un grande giardino per celebrare la festa all’aperto durante la stagione estiva.
Servizi offerti
Sarete accompagnati da una squadra di professionisti che si occuperanno di organizzare il ricevimento che avete sempre sognato, con particolare attenzione alla cura degli allestimenti, alla rapidità del servizio e alla cortesia in ogni momento della giornata.
Ristorazione
La cucina propone i sapori della tradizione regionale e seleziona attentamente le migliori materie prime del territorio. Il menù nuziale sarà pensato e personalizzato per soddisfare tutti i presenti, con la possibilità di scegliere piatti adatti a tutti i tipi di dieta (vegetariani, vegani, celiaci).
Altri spazi
L’agriturismo dispone di otto eleganti alloggi per gli ospiti che scelgano di soggiornare presso il Casale. Ogni alloggio può accogliere da due a sei persone e offre tutti i più moderni comfort.
INFORMAZIONI
TESTA di LEPRE- Il Casale Doria Pamphilj
Indirizzo: Via Onorato Occioni, 12, 00050 Testa di Lepre, Fiumicino RM
Il lancio del trattore 180-90, uno dei modelli base di quella che viene definita “la serie 90 alta” di Fiatagri, risale al 1984. Fu senza dubbio il modello di maggior successo della gamma, elegante, aggressivo e potente, grazie al motore Fiat-OM 8365.25 a 6 cilindri turbo oilcooler da 8.102 centimetri cubi.
Questo motore, tarato in fabbrica a 180 cavalli a 2.200 giri, aveva un “difetto” particolare: poteva essere facilmente manipolato e portato a potenze ben superiori ai 200 cavalli. Ne furono trovati alcuni con 220 CV alla presa di forza, che corrispondevano a circa 240 CV al volano. Chiaramente, una trasmissione tarata per un massimo di 200 CV non poteva non risentire di tale sbalzo di potenza e questo spiega perché una parte di contoterzisti non “manipolatori” non abbia mai avuto problemi di affidabilità, mentre altri sì. Anche non manipolato il 180-90 “tirava” sul serio, e non era neppure asssetato di carburante: test ufficiali attestavano un consumo di 32 kg di gasolio per ora alla potenza massima, e di 23 a coppia massima: un buon risultato per un motore di 8,1 litri con quel rendimento.
Al momento del suo lancio erano offerte due trasmissioni meccaniche a marce e gamme sincronizzate: una 24+8 con superriduttore, con velocità da 0,2 a 31 km/h, oppure una 16+16 con inversore al posto del superriduttore e velocità da 2,2 a 31 km/h. Tuttavia i concorrenti in questa fascia di potenza, quasi tutti americani, offrivano già cambi idraulici in powershift, meno efficienti ma più moderni e versatili. Per questo motivo, a due anni dal lancio, alla Fiera di Verona del 1986, la Fiatagri aggiornò la serie 90 gamma alta rendendo disponibile a richiesta il cambio in powershift, il sollevatore elettronico e la presa di forza con sollevatore anteriore. Il powershift consentiva di inserire le quattro marce di ogni gamma sotto carico, in movimento, senza l’uso della frizione, e di adattare istantaneamente il trattore alle variazioni di sforzo di trazione, con vantaggi anche per l’affidabilità del cambio e per il comfort di guida.
La Maremmana è conosciuta come la razza della maremma toscana e laziale, e discende dal Bos Taurus Macroceros, il bovino dalle grandi corna (razza grigia della steppa) che dalle steppe asiatiche si è diffuso in Europa. I reperti archeologici di Caere (Cerveteri) e la testa taurina del museo di Vetulonia sono la conferma che la razza Maremmana occupava le attuali aree di allevamento (maremma toscana e laziale) fin dai tempi degli Etruschi. Nel tempo i bovini sono stati poi esportati in varie zone e diversi Paesi. Ad esempio, i Granduchi di Toscana esportavano i tori maremmani nei loro possedimenti in Ungheria per rinsanguare la razza Pustza. Con la progressiva bonifica dei terreni paludosi, la razza ebbe un notevole impulso tra le due guerre mondiali, grazie anche ad una intensa opera di selezione. La Maremmana in passato era una razza “da lavoro” e “da carne” ed il secondo dopoguerra, contraddistinto dalla meccanizzazione agricola e dalla riforma agraria, è stato l’evento che ha portato alla sua diminuzione in termini numerici. Oltre ciò, anche gli incroci hanno ulteriormente ridotto il numero dei capi in purezza.
Oggi continua il mantenimento e la valorizzazione della razza Maremmana che è conosciuta come “razza da carne”, ma anche come simbolo di biodiversità.
Questa razza è diffusa maggiormente nella sua culla d’origine, ovvero nelle regioni Lazio e Toscana, in particolare nelle province di Grosseto, Viterbo, Roma, Terni, Latina, Pisa, Livorno e Arezzo, ma possiamo trovare bovini maremmani, in minor numero, anche in altre regioni, come Marche, Umbria, Basilicata e Puglia. L’interesse verso questa razza è cresciuto anche da parte di operatori stranieri, in particolare spagnoli e centro americani, che vedono nella Maremmana il mezzo ideale per la valorizzazione di ambienti particolarmente difficili.
L’allevamento è di tipo brado: gli animali vivono all’aperto per tutto l’anno, riparandosi nelle macchie durante l’inverno. Le mandrie al pascolo vengono gestite, ancora oggi, dai butteri in sella ai cavalli maremmani. In primavera avviene la marcatura a fuoco dei soggetti di 1 anno e le vacche vengono imbrancate con i tori. La stagione delle monte dura circa 3 mesi: vengono formati dei gruppi di monta in cui il toro viene inserito con un rapporto di 1:20/30. Riguardo l’alimentazione, oltre all’erba di pascolo e ghiande dei boschi, vengono integrati fieno e granaglie; i bovini maremmani può essere somministrato anche foraggio di qualità inferiore.
Associazione allevatori
Nel 1957 è stata fondata l’Associazione Nazionale Allevatori Bovini da Carne (ANABIC) con sede a S. Martino in Colle (PG), che promuove il miglioramento genetico, valorizza e diffonde le razze bovine autoctone italiane (Marchigiana, Chianina, Romagnola, Maremmana e Podolica) e detiene il Libro Genealogico Nazionale unico delle Razze Bovine Italiane da Carne, il cui Regolamento fu approvato nel 1969. L’associazione partecipa anche alle iniziative di carattere promozionale e divulgative, collabora ai programmi di ricerca degli Organismi statali competenti ed Università, e fornisce l’assistenza tecnica agli operatori stranieri interessati ad allevare le Razze Italiane.
Consistenza
I capi di razza maremmana iscritti all’ANABIC* sono 11593. Le regioni più rappresentative della razza sono quelle d’origine: il Lazio (con 8844 capi e 168 allevamenti) e la Toscana (con 2543 capi e 65 allevamenti). E’ diffusa anche in altre regioni italiane come Basilicata (con 93 capi e 5 allevamenti) e Puglia 8con 86 capi e 3 allevamenti).
Secondo i dati della BDN – Anagrafe Nazionale Zootecnica (aggiornati al 31/12/2020), che include anche i capi iscritti, in Italia sono allevati 14785 bovini di razza Maremmana. Nel dettaglio, in base alla categoria di animali sono così suddivisi in: 809 da 0 a 6 mesi, 2059 da 6 a 12 mesi, 1715 da 12 a 24 mesi, e 10202 da 24 mesi in su. In particolare, nel Lazio sono presenti 10269 capi ed in Toscana 3468, in totale.
Caratteristiche morfologiche
I bovini maremmani sono di taglia grande e sono caratterizzati da elevata rusticità, solidità, robustezza scheletrica e tonicità muscolare. Inoltre, sono longevi e raggiungono anche i 15-16 anni di età.
Di seguito sono riportate le caratteristiche morfologiche indicate dallo “standard di razza”.
La grande struttura ossea è leggera, gli arti sono molto solidi, gli unghioni sono duri, gli appiombi sono generalmente perfetti ed i piedi sono forti e ben serrati, con talloni alti. La capacità addominale è idonea a contenere alimenti a bassa digeribilità, e il dorso è lungo e largo. La pigmentazione è nera nelle parti del musello, fondo dello scroto, nappa della coda ed unghioni. La persistenza di peli rossi è limitata alla regione del sincipite, la coda è grigia e la depigmentazione è parziale nelle aperture naturali. La cute è fine, elastica e nera. La testa è leggera, con musello ampio.
Il dimorfismo sessuale in questa razza è rappresentato dal colore del mantello e dalla forma delle corna. Il mantello è di colore grigio, più scuro nei tori e più chiaro nelle vacche. Le corna sono un tratto caratteristico della razza: a forma di semiluna nei maschi ed a forma di lira nelle femmine; negli adulti il colore delle corna è bianco-giallastro alla base e nero in punta.
Maschi: per i tori il peso medio è di 10-12 quintali e l’altezza media è di 150 cm. Hanno il mantello grigio scuro. Il collo è ben proporzionato e muscoloso con giogaia sviluppata; il profilo superiore è marcatamente convesso.
Femmine: per le vacche adulte il peso medio è di 6 – 8 quintali e l’altezza media è di 145 cm. Le bovine hanno il mantello grigio chiaro, il collo è lungo e leggero con giogaia sviluppata, e il profilo superiore è più rettilineo. La mammella appare sviluppata e vascolarizzata, con tessuto elastico e spugnoso, quarti regolari e con capezzoli ben diretti e di giuste dimensioni per l’allattamento. I parti sono spontanei e sono concentrati in primavera. Le vacche possiedono una spiccata attitudine materna ed assicurano una produzione di latte abbondante per l’accrescimento giornaliero del vitello ( > 1 kg).
I vitelli nascono con i mantello color fromentino che, dopo 3 mesi d’età, diventa grigio. Alla nascita pesano 30-40 kg e rimangono con la madre fino ai 6/7 mesi d’età. Vengono poi svezzati e venduti, oppure rimangono in azienda per l’ingrasso.
*(dati ANABIC aggiornati al 31/12/2020): le consistenze del Libro Genealogico includono sia gli animali iscritti ai Registri Principali Vacche e Tori, che hanno almeno due generazioni di ascendenti note (definiti dalla normativa comunitaria “di razza pura”), sia quelli iscritti al Registro Supplementare Vacche ed al Registro del Giovane Bestiame, che, pur appartenendo alla razza ed essendo iscritti al Libro, non possiedono una genealogia completa fino alla seconda generazione.
Fonte-Rivista online: RUMINANTIA®Web Magazine del mondo dei Ruminanti
Franco Leggeri Fotoreportage-Fiume ARRONE-Confine di Roma-Fiumicino
L’Arrone è un fiume del Lazio; scorre nella provincia di Roma, è lungo 35 chilometri, nasce nella parte sud-orientale del lago di Bracciano ad Anguillara Sabazia e sfocia a Fiumicino nel mar Tirreno tra Maccarese e Fregene. Il bacino misura 125 km² di superficie.
Pur configurandosi emissario del lago di Bracciano, il contributo del lago alla portata del fiume è esiguo, e in alcuni mesi dell’anno del tutto nullo. Nell’alto bacino sono presenti le sorgenti dell’Acqua Claudia.
Dall’estremità sudorientale del lago, a quota 164 nsln, il fiume si dirige da Nord Ovest a Sud Est per circa 3 km, poi si dirige a Sud per 12 km e quindi a Sud Ovest fino alla foce. In questo tratto confluisce il Rio Maggiore, affluente di destra. Subito a valle di questa confluenza il bacino dell’Arrone è attraversato dalla Strada Statale Aurelia.
Alla foce è presente un prezioso ambiente umido che, insieme a tutta l’area contigua coperta da macchia mediterranea detta Bosco Foce dell’Arrone, fa parte della Riserva naturale Litorale romano.
Curiosità
“Sulle rive dell’Arrone” è il titolo di una canzone di Daniele Silvestri, contenuta nell’album “Il Latitante” (2007), in cui si parla della prospettiva, raggiungibile dalle rive del fiume, con cui si riescono a vedere diversamente le cose.
All’Arrone accenna in tutt’altri termini lo spettacolo teatrale “Storie di scorie” di Ulderico Pesce, in cui si affronta il problema delle scorie nucleari, come quelle stoccate nel deposito nucleare alla Casaccia che avrebbero contaminato in passato anche il fiume, con danni incalcolabili all’ambiente.
della VILLA ROMANA delle COLONNACCE di Castel di Guido-
Fotoreportage di Franco Leggeri Associazione CORNELIA ANTIQUA-
ROMA MUNICIPIO XIII- Castel di Guido-I visitatori , anche a seguito delle varie manifestazioni organizzate dalla LIPU, ospiti del GAR nella Villa Romana delle Colonnacce, sono stati guidati dal mitico Archeologo Luca nel tour tra gli scavi archeologici. Durante la visita alla Villa Romana, molti partecipanti sono stati incuriositi dalla presenza di alcuni alberi con alla base un cartello con la descrizione dell’essenza tratta dalle Opere di Plinio. Gli alberi costituiscono una riproduzione di un”GIARDINO ANTICO” e si trovano in un angolo in fondo all’area archeologica. Ne elenco alcuni esemplari : CIPRESSO,LECCIO,FRASSINO e NOCCIOLO.
Questi alberi sono qui nella antica Villa Romana delle Colonnacce a testimoniare che, tra fine dell’età repubblicana e primi decenni dell’epoca imperiale, come si può anche leggere nelle Opere di Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane, Catone e Columella , il giardinaggio non è più considerato un’occupazione produttiva, ma anche attività svolta per piacere e diletto. Celebre il brano di Plinio il Vecchio: “I decoratori di giardini distinguono, nell’ambito del mirto coltivato, quello tarantino a foglia piccola, il nostrano a foglia larga, l’esastico a fogliame densissimo, con le foglie disposte a file di sei” ed ancora: “Esistono anche dei platani nani, che sono costretti artificialmente a rimanere di piccola altezza”.
Articolo e foto sono di Franco Leggeri per l’Associazione CORNELIA ANTIQUA-
-I colori e le bacche nell’autunno della Campagna Romana-
-Fotoreportage di Franco Leggeri-
Roma Municipio XIII-L’autunno è magico, le atmosfere diventano più rarefatte e i colori caldi ritornano a sorprenderci con mille sfumature di giallo. Dai cespugli ricoperti di bacche, scopriamo i colori tenui e la poesia di questa sinfonia di bellezza. Gli alberi , assieme agli arbusti, con le loro cortecce e le loro cromie, contribuiscono a creare quell’atmosfera fiabesca, romantica e sorprendente che delizia gli amanti dell’autunno.
Il Castello di Torre in Pietra, detto anche Castello Falconieri, è un castello situato a Torrimpietra, frazione del comune di Fiumicino, in provincia di Roma. Inizialmente il borgo era un castra attorniato da torri e da mura di cinta. Nel 1254 il castello era proprietà della famiglia normanna degli Alberteschi, poi passò agli Anguillara che, nel 1457, per mano di Lorenzo e Felice Anguillara, per 3000 ducati d’oro lo vendettero a Massimo di Lello di Cecco dei Massimo, quindi passò ai Peretti. Nel 1639 fu venduta ai principi Falconieri. Ferdinando Fuga realizzò la chiesa e lo scalone del piano nobile del castello, indi Pier Leone Ghezzi ne realizzò gli interni, perlopiù gli affreschi inerenti all’anno giubilare 1725. Il Castello che oggi ammiriamo è sostanzialmente quello che ci hanno lasciato i Falconieri. Gli affreschi sono perfettamente conservati: possiamo rivivere i fasti dell’anno giubilare 1725, quando il Ghezzi viene chiamato da Alessandro Falconieri a decorare il piano nobile con scene celebranti la visita al castello del Papa Benedetto XIII. All’interno della chiesa ottagonale, gli affreschi sugli altari laterali sono ulteriori testimonianze della sua opera. Infine, nella seconda metà dell’ottocento, i Falconieri si estinguono e Torre in Pietra conosce un’epoca di decadenza[2]. Nel 1926 passò al senatore Luigi Albertini che ne bonificò le terre secondo le moderne tecniche e la rese tra le più prestigiose aziende zootecniche italiane. Nel 1941 passò a sua figlia Elena Albertini, sposata con il conte Nicolò Carandini, i cui eredi tuttora risultano proprietari del castello-Fonte Wikipedia-
Foto di Franco Leggeri-Le foto del Castello di Torre in Pietra , sono stati scatti eseguiti per provare vari obiettivi e fotocamere Reflex-:NIKON e CANON-
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