Franco Leggeri:POESIA “Castelnuovo noi che siamo andati via”-
dall’introduzione Murales Castelnuvesi :“-………..E’ innegabile che la maggior parte dei morti tace. Non dice più niente. Ha – letteralmente – già detto tutto. Ho cercato di raccogliere, scrivere, un flusso tempestoso o calmo di pensieri: Emozioni che ho cercato di trasformare in poesia. Ho cercato di attraversare il confine verso la prateria della poesia, dove riposano i Castelnuovesi………..”.
Castelnuovo noi che siamo andati via.
Noi castelnuovesi che abbiamo viaggiato dietro la polvere
alzata dagli zoccoli dei cavalli del padrone.
Noi che abbiamo bevuto l’acqua del nostro fiume Farfa
e mangiato il pesce pescato in quelle Gole
maestre del nostro nuoto .
Castelnuovo , siamo andati via
seguendo la luna del mattino
tra gli sguardi nascosti dietro le finestre.
Siamo andati via cercando il sole,
il suo nascondiglio dietro Fara.
Siamo andati via , non ricordo, o non voglio ricordare la stagione
dei silenzi, madre dei nostri mille perché.
Siamo andati via noi che conoscevamo
il suono della cedra solo dal racconto dei vecchi castelnuovesi
guerrieri reduci di assurde e folli guerre in terre lontane.
Siamo andati via , noi poveri tra i poveri,
accolti da Pasolini e da Mamma Roma.
Siamo stati neorealismo e protagonisti
di pellicole in bianco e nero.
Castelnuovo, noi torniamo con le nostre cicatrici e i nostri racconti.
Noi castelnuovesi abbiamo nostalgia
dei vecchi sorrisi , dei volti amici,
siamo tornati con lo zaino ancora pieno di perché.
Siamo tornati alla ricerca dei suoni e voci antiche,
quelle conservate in angoli chiusi e bui.
Siamo tornati per rileggere lapidi a noi care.
Castelnuovo, siamo tornati ora
tra sguardi estranei alle nostre cicatrici.
Eppure, Castelnuovo
noi non siamo mai andati via
perché abbiamo nelle nostre vene il tuo sangue.
Torniamo a prenderci e testimoniare quel che nessuno
potrà mai riscrivere o certificare: la nostra Storia.
La Storia quella che abbiamo lasciato
chiusa dietro le nostre vecchie porte.
Castelnuovo, si quelle porte dove aspettavamo
di uscire dietro i passi certi da seguire.
Castelnuovo, siamo tornati forti con il coraggio di terminare
l’inverno e l’amara stagione dei rancori e dell’odio.
Castelnuovo, siamo tornati per testimoniare,
per essere humus della nostra Storia .
Castelnuovo, riportiamo il tuo sangue
per nutrire il sogno vecchio e nuovo
di un Castelnuovo futuro.
Franco Leggeri, castelnuovese–
Dalla raccolta Murales Castelnuovesi
Castelnuovo di Farfa
La FONTANELLA della PIAZZETTA-Disegno di Tatiana CONCASCastelnuovo di Farfa :IL GIORNO DELLA MEMORIA
Greccio(Rieti) Nel 2023 la ricorrenza pluricentenaria del primo Presepe vivente-
800 anni, se vi sembran pochi!
Articolo di Roberta Rondini
GRECCIO –Nel 2023 ricorre a Greccio, lì dove si trova uno dei santuari francescani più visitati e amati del Paese, l’ottavo centenario della prima rappresentazione del Presepe vivente. Il paese reatino, un piccolo borgo di fronte al Terminillo, si è guadagnato l’appellativo di Paese del presepe per essere stato scelto nel 1223 da Francesco d’Assisi, luogo fortemente voluto, per la prima rappresentazione della Natività. Adottando le parole del Vescovo Domenico Pompili (individuato dalla CEI quale Interlocutore della Chiesa italiana per tutto ciò che rientra nelle attività di rilievo e interesse nazionale dell’ottavo centenario francescano 2023-2026), avremo chiaro meglio di mille discorsi il senso di quella ‘novità’: “ Al tempo di Francesco nelle chiese si presentava un Dio che comanda e deve essere temuto e obbedito. Non è difficile immaginare il tono delle omelie, con l’invito rivolto ai fedeli a fare penitenza, a soffrire, a espiare i propri peccati per placare l’ira di Dio che incombe su tutti gli uomini… In una Chiesa in cui non c’era più spazio per la povertà unita alla predicazione del Vangelo, Francesco ha il genio e l’ardire di proporre Gesù che nasce a Betlemme per aprire a tutti, e in particolare ai più poveri, l’accesso al volto di Dio”. Da allora, la consuetudine del presepe si è rinnovata anno per anno, allargandosi ben oltre quei ristretti confini e diventando in tutto il mondo cristiano la manifestazione religiosa per eccellenza per celebrare il Natale. Anche Papa Francesco è intervenuto sul valore e significato del presepe con la Lettera apostolica Admirabile signum, resa pubblica nel dicembre del 2019 durante la sua visita al Santuario di Greccio. Si tratta di uno scritto non solo di vibrante attualità sul presepe “che suscita sempre stupore e meraviglia” ma un attestato straordinario per il paese reatino perché “il luogo stesso dove si realizzò il primo presepe esprime e suscita questi sentimenti. Greccio diventa un rifugio per l’anima che si nasconde sulla roccia per lasciarsi avvolgere nel silenzio.” Admirabile signum si rifà al vivo della cronaca medievale attingendo alle Fonti francescane, soprattutto Tommaso da Celano, primo biografo del Santo, che ci tramanda come San Francesco volle nel giorno di Natale del 1223 che fosse fatta rivivere in quel piccolo borgo la nascita di Gesù Cristo: “vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”[1]. L’intero paese, con concretezza e piena umanità, rinnovò così la Natività insieme a Francesco e ai suoi confratelli, bue e asinello compresi. Nel tredicesimo secolo Greccio era un piccolo e poverissimo paese sperduto tra boschi e montagne, con un territorio simile per conformazione a quello della Terra Santa, perciò idoneo per Francesco ad ospitare la rievocazione di quanto era successo a Betlemme. Un sogno che il Santo aveva coltivato durante il suo soggiorno in quei luoghi e che aveva tenacemente voluto concretizzare al ritorno in Italia. Le istituzioni grecciane nel 1972 hanno ripristinato la tradizione del Presepe vivente, rinnovandola anno dopo anno, e nel 1992 il sindaco Angelo Ilari firmò il gemellaggio con la città di Betlemme, del quale ricorre quest’anno il trentennale. Greccio è uno dei quattro luoghi di culto francescani in provincia di Rieti, edificati nei luoghi dove Francesco soggiornò con i confratelli, lasciandovi un segno indelebile della sua presenza e della sua azione. Sono, oltre a quello di Greccio, i santuari di Fonte Colombo, Poggio Bustone, Santa Maria della Foresta, tutti e quattro posti quasi a custodia della Valle Santa, la valle reatina ai piedi del Monte Terminillo sulla quale si affacciano, circondata da colline e montagne, di storia millenaria, abitata e colonizzata già al tempo degli antichi Romani. Questo territorio rappresenta uno dei tre luoghi elettivi di Francesco insieme ad Assisi e a La Verna. Il Santo si rifugiò in un eremo a Poggio Bustone già nel 1209 e tornò nella Valle Santa nel 1223 prima a Fonte Colombo, dove scrisse la Regola dell’Ordine dei Frati Minori, e poi a Greccio dove avvenne la rievocazione della Natività. Nel 1225, infine, un anno prima della morte, dimorò a Santa Maria della Foresta, dove secondo alcuni cronisti, molto malato agli occhi, scrisse il Cantico delle creature. I quattro santuari rappresentano ancora oggi un alto valore simbolico e di vita concreta del francescanesimo, meta di pellegrinaggi e incontri da ogni parte del mondo.
Le quattro ricorrenze francescane dell’Ottavo centenario
-Nel 2023 ricorre l’Ottavo centenario sia del Primo Presepe sia della Regola dei Frati Minori (Regola Bollata), scritta a Fonte Colombo e approvata dal papa Onorio III il 29 novembre dello stesso anno. Le ricorrenze successive saranno nel 2024 per le stimmate ricevute a La Verna, nel 2025 per la composizione del Cantico delle Creature e nell’anno successivo, il 2026, per la morte del Santo ad Assisi, con una scia che include il Giubileo del 2025. Queste ricorrenze esaltano non solo per l’importanza religiosa e storica ma anche per il profondo e duraturo valore che assumono questi temi nella nostra contemporaneità, in un momento molto travagliato, complessa ma anche così fragile nelle sue tante criticità, umane, sociali, economiche e ambientali. Infatti – segno della rilevanza e dello spessore che va ben oltre l’ambito cristiano – le istituzioni religiose e civili, locali e nazionali, sono parimenti coinvolte e protagoniste con le comunità ecclesiali francescane nella pianificazione delle iniziative in programma. La fase organizzativa, iniziata già da un paio di anni, è culminata nell’ottobre del 2020 con l’istituzione, da parte del Ministro della Cultura di allora, Dario Franceschini, del Comitato nazionale per l’ottavo centenario della prima rappresentazione del presepe, composto dal Sindaco di Greccio, dr. Emiliano Fabi, che lo presiede, da quello di Rieti, da rappresentanti del Ministero della Cultura, della Diocesi di Rieti e della Provincia di San Bonaventura del Frati minori, dal Presidente della Fondazione Varrone, dallo storico Franco Cardini e da esperti della progettazione culturale. Il dr. Paolo Dalla Sega, in qualità di Manager della progettazione culturale, è stato chiamato da pochi mesi ad affiancare l’organismo nella sua attività. Il Comitato, di durata triennale, è incaricato di pianificare iniziative in ambito culturale, artistico e sociale, e interventi per rafforzare le infrastrutture nei territori interessati, avvalendosi di una dotazione di 1.300.000 euro per ciascun anno del triennio. La fase preparatoria è entrata nel pieno dell’operatività nello scorso mese di settembre con la prima conferenza stampa che ha indicato i tre i macro-filoni del programma culturale dei festeggiamenti. Le Traiettorie: saranno indirizzate verso Betlemme, per il trentennale del gemellaggio con Greccio, verso Roma, con il progetto di un presepe monumentale in Piazza San Pietro per il Natale 2023 e verso Assisi e Chiusi per le altre ricorrenze francescane. Il Grande Racconto: sarà svolto attraverso il teatro di parola e le altre declinazioni artistiche, danza, musica e cinema francescano. La Terra: la conoscenza dei luoghi di Francesco nella Valle Santa si svilupperà per il tramite del turismo culturale, ambientale e sportivo, in forte coprogettazione con territori, comunità, associazioni e scuole. Lo scorso 4 ottobre, nella ricorrenza di San Francesco, c’è stata un’anteprima dei festeggiamenti con la visita ufficiale a Greccio di una delegazione palestinese, guidata dal vice sindaco di Betlemme, a suggello e rinnovo del gemellaggio trentennale tra le due città. Nel prossimo dicembre, una delegazione di Greccio ricambierà la visita a Betlemme. Per saperne di più sul programma e su altri aspetti collegati, merita di essere visitato il sito dell’Ottavo centenario del Presepe di Greccio https://greccio-2023.com/ ricco di notizie storiche, informazioni, foto e suggestioni interessanti.
Articolo di Roberta Rondini –
Le due foto allegate sono particolari del presepe in terracotta realizzato dallo scultore Luigi Venturini nel 1962 – che si trova nella chiesa moderna del santuario, edificata nel 1959 – meno conosciuto rispetto agli affreschi del santuario antico.
FIANELLO SABINO(RIETI): SCRIGNO DI STORIA, LEGGENDA, ARTE E CULTURA-
Comitato Salviamo Fianello
Comitato Salviamo Fianello
BREVI CENNI STORICI-Comitato Salviamo Fianello–Nell’Abbazia di Farfa è custodito un documento dal quale risulta che nel 1036 d. C. il Castello di Fianello fu “ceduto” all’Abbazia da un certo Berlengario con le quote della moglie Bizanna e delle figlie Susanna ed Erlengarda. Da qui sono scattate, ad opera dell’Associazione Fianello, le ricerche storiche, dalle quali è risultato che, nel Medioevo, Fianello è stato possedimento del Ducato longobardo di Spoleto (591-800 d. C.), poi dei Savelli e, nel Rinascimento, degli Orsini.
Paolo Genovesi Fotoreportage FIANELLO SABINO
Nell’antichità la regione fu abitata dai Sabini e definitivamente sottomessa a Roma nel 290 a. C. . Dopo Costantino fu annessa alle provincie di Tuscia ed Umbria. Dal 591 d. C. l’intera Sabina fu controllata stabilmente dai Longobardi del ducato di Spoleto. Le prime incursioni dei Saraceni in Sabina si ebbero nell’877, cui seguirono quelle degli Ungari finchè, all’inizio dell’anno 1000 incominciò, per motivi di difesa, il fenomeno dell’incastellamento quando i borghi si insediano sulle cime più elevate, intorno ad un castello e ad una chiesa, e tutto il territorio circostante viene quasi a far da corona a quelle alture fortificate e piene di vita.
Fianello-Foto Paolo Genovesi
Prima di giungere al paese si trova sulla destra il cimitero, addossato alle rovine della chiesa romanica di S. Maria. Nel 1950, eseguendosi lavori per l’apertura di una strada di accesso, si scoprì una fossa entro cui, gettate alla rinfusa, c’erano numerose sculture. Erano tutte incrostate di calce, per cui l’ipotesi più probabile è che, al tempo della costruzione della chiesa, il materiale marmoreo della villa antico-romana sia stato adoperato per fare calce.
Fianello-Foto Paolo Genovesi
Di queste statue, attualmente conservate a Roma, se ne sono interessati alcuni autori: Andreae Bernard “Statuette einer Tanzerin ans Fianello Sabino” (Mainz 1962); D. Faccenna “Rinvenimento di un gruppo di sculture” in Fianello Fraz. di Montebuono (1951).
Nel 1997, la studiosa tedesca Christiane Vorster, ha tenuto una conferenza su tali statue datandole intorno al 100 a. C.
Sul retro della chiesa di S. Maria, ancora esiste la ghiera di uno speco dell’acquedotto antico romano che adduce tutt’ora acqua “saluberrima” da una sorgente lontana circa mezzo chilometro.
Paolo Genovesi Fotoreportage FIANELLO SABINO
La formazione del borgo di Fianello risale al periodo medioevale. Le fortificazioni erano surrogate da una cintura di case addossate le une alle altre; gli abitanti delle quali andavano a costituire l’anello più estremo dell’organizzazione sociale del borgo. E’ evidente l’estrema aderenza dell’abitato alla situazione geomorfologica del terreno: struttura anulare, pseudoconcentrica, il cui margine era abitato dai soggetti più umili e le cui fasce più interne dai cittadini via via più vicini ai gentili. Il borgo è arroccato su un colle di media altezza, un centinaio di metri rispetto al fondovalle.
La struttura urbanistica, chiusa da due porte, non presenta le smagliature assai frequenti negli abitati medievali italiani dove, man mano che la popolazione aumentava, si occupavano anche i versanti dei colli.
Paolo Genovesi Fotoreportage FIANELLO SABINO
Fianello, secondo il Tomassetti, -“delizioso castello posto in una valle con fecondo territorio e buoni fabbricati”- possedeva un monte dei pegni ed un monte frumentario ed una Fondazione per l’Ospedale, la cui attività consisteva nel distribuire pane a tutte le famiglie il giorno del sabato santo. Questa enorme quantità di pane veniva cotta nel Forno Monumentale, ancora esistente e funzionante.
Paolo Genovesi Fotoreportage FIANELLO SABINO
La chiesa di S. Giovanni Battista, difronte al Palazzo, è stata edificata su altra preesistente d’impianto tardo romanico. All’interno vi sono quadri restaurati dalle Belle Arti ed una statua lignea della Madonna del 1600.
Il Palazzo sorge su un lato della piazza, che è l’unico slargo topograficamente definito in tutto il piccolo abitato. Una piazza che, malgrado le sue ristrettissime dimensioni (è larga appena una decina di metri), riassume in sè tutti i simboli cardine della gerarchia medievale. Infatti è presente sul lato opposto la chiesa, ricostruita nel 1571 e la Torre medievale longobarda, che prima era forse isolata ed aveva funzioni difensive e cultuali, raro esemplare di torre pentagonale con volta a vela (sec. VI°-VII° d. C.).
Paolo Genovesi Fotoreportage FIANELLO SABINO
Il primo nucleo del palazzo è databile tra l’XI e XII secolo, mentre la rimanente parte, unita alla prima mediante un sovrappasso, è databile intorno alla fine del 1500, come si evince anche dal portale che è chiaramente rinascimentale, tuttora in ottimo stato di conservazione.
Fianello-Foto Paolo Genovesi
Gli scantinati, voltati a botte o a crociera, presentano ancora i segni della loro primitiva utilizzazione: depositi di olio e vino, che venivano lavorati negli stessi ambienti (buche scavate nel terreno e rivestite di laterizi).
Fianello possedeva alcuni frantoi ove si produceva l’olio con macine in pietra mosse dall’asino (ne restano due).
Paolo Genovesi Fotoreportage FIANELLO SABINO
L’atto di cessione di Fianello all’abbazia di Farfa fu formalizzato nel 1036 ed è conservato negli archivi dell’Abbazia, ove risultò registrato per pochi anni. Poi, Fianello riappare nella documentazione nel 1191 soggetto al Papato, cui versava un censo annuo. Ma il cattivo governo dei rettori pontifici portò vari paesi della Sabina alla ribellione (Fianello 1352, Rieti 1375): i territori ribelli furono messi al sacco.
Luigi Melilli :Poeta, Scrittore, Saggista, Musicista, Direttore Didattico –
La sua vena poetica, repressa da tanti interessi , preoccupazioni di ordine familiare, sociale scolastico e politico gli impone , di tanto in tanto, una tregua, uno spazio considerevole per cui comincia a pubblicare le sue prime Poesie nel 1957. Luigi Melilli, scrittore alquanto versatile, oltre a comporre liriche, inventa racconti per gli alunni, scrive articoli per riviste scolastiche ed anche un melodramma in versi da musicare. Per un uomo colto e studioso come Luigi Melilli, scrivere poesie è un modo di chiarire a se stesso i problemi esistenziali di ogni giorno; è un modo di appropriarsi delle cose senza essere costretto ad analizzare sempre la logicità; è un modo di dare spazio alla emotività , alla sua sensibilità, facoltà ugualmente importanti per esprimere la propria personalità in quanto ne fanno parte integrante.
Nel 1983 Natalia Ginzburg entrava in Parlamento, dove sarebbe rimasta per due legislature. I suoi interventi in aula furono accomunati da quella ricerca di una società più umana e più mite che permeò la sua opera e la sua vita: dal prezzo del pane al disarmo nucleare, dalle misure contro la violenza sulle donne alla valorizzazione dell’ambiente rurale. Raccolti per la prima volta in volume insieme a una scelta di articoli e interviste dello stesso periodo, questi discorsi ci mostrano una Natalia Ginzburg immediatamente riconoscibile nella fedeltà a quei valori di chiarezza e semplicità che tutti abbiamo amato nelle sue opere.
Natalia Ginzburg
Brevi cenni biografici di Natalia Ginzburg nata Levi (Palermo 1916-Roma 1991), crebbe a Torino in una famiglia e in un ambiente antifascista. Sposò in prime nozze Leone Ginzburg, che seguì al confino in Abruzzo e al quale rimase accanto sino alla morte di lui, avvenuta nel 1944 nel carcere di Regina Coeli. Nel 1950 sposò l’anglista Gabriele Baldini. Esordì nel 1942, pubblicando il romanzo La strada che va in città. Entrata all’Einaudi, casa editrice per la quale lavorò per decenni, si affermò come una tra le scrittrici più significative nel panorama letterario italiano. Nel 1963 vinse il Premio Strega per il romanzo autobiografico Lessico famigliare. Dal 1983 sino alla morte fu deputata della Sinistra indipendente.
L’Autrice-Michela Monferrini- nata a Roma 1986 ha pubblicato il romanzo Chiamami anche se è notte (2014, finalista Premio Calvino 2012 e Zocca 2015), Muri maestri (2018) e Dalla parte di Alba (2023), romanzo biografico su Alba de Céspedes. È inoltre autrice di una guida letteraria dedicata al Portogallo di Antonio Tabucchi (Cercando Tabucchi, 2016) e del ritratto Grazia Cherchi (2015). Ha pubblicato due libri per ragazzi. Nel 2017 le è stato conferito in Campidoglio il Premio Simpatia per l’impegno nel sociale.
Edizioni di Storia e Letteratura
via delle Fornaci, 38
00165 Roma
tel. 06.39.67.03.07
Cronache e protagonisti del primo antifascismo (1920-1923)
BFS Edizioni
DESCRIZIONE
Fra il 1920 e il 1923 anche le strade di Livorno videro l’inizio di una lunga guerra civile in cui le differenze ideali tra quanti si affrontarono furono nette e l’ostilità profonda, anticipando quella combattuta un ventennio dopo. In quegli anni, il fascismo livornese incontrò infatti nei quartieri popolari una decisa opposizione, così come emerge dall’impressionante cronologia dei conflitti avvenuti. Oltre a quella degli Arditi del popolo, fu una quotidiana resistenza, nel segno dell’appartenenza di classe e dello storico sovversivismo, di persone disposte a impugnare le armi per contrastare lo squadrismo e la reazione padronale, in difesa delle libertà sociali. Soltanto nell’agosto 1922, grazie all’intervento dell’esercito e con lo stato d’assedio disposto dal governo, i fascisti e i nazionalisti poterono imporre le dimissioni del sindaco Mondolfi e dell’amministrazione “rossa”, democraticamente eletta. Il marchese Dino Perrone Compagni che assieme a Costanzo Ciano aveva guidato le squadre fasciste toscane, seminando morte e devastazione, nel comunicare la “caduta” di Livorno al segretario del Partito fascista, ammise che: «Fra le mie battaglie questa più faticosa».
Marco Rossi- La battaglia di Livorno
BFS Edizioni-Biblioteca Franco Serantini
La Biblioteca Franco Serantini è un centro di documentazione sulla storia politica e sociale del 19. e 20. secolo nato nel 1979 in ricordo di Franco Serantini, un giovane anarchico di origine sarda, morto a Pisa nel 1972 nel carcere del Don Bosco, dopo essere stato percosso e fermato dalla polizia mentre partecipava ad una manifestazione antifascista.
Scopo principale del centro è quello della conservazione e della valorizzazione della memoria del movimento anarchico, operaio e sindacalista dalla nascita ai giorni nostri; delle “eresie politiche” della sinistra; delle organizzazioni di base, dei gruppi antimilitaristi, femministi e dei movimenti studenteschi sorti in Italia dalla fine degli anni ’60 in poi. Dal 1995, inoltre, è attivo un progetto speciale dedicato a reperire e conservare i documenti e le testimonianze riguardanti l’antifascismo, la Resistenza e la lotta di liberazione a Pisa e provincia.
La Biblioteca F. Serantini è gestita dall’omonimo circolo culturale, associazione di promozione sociale regolarmente iscritta nel nuovo Albo regionale, articolazione provinciale di Pisa (det. n. 4628/4654 del 17.11.2003), che si occupa di mantenere aperto il Centro, offrire i servizi al pubblico, promuovere studi e ricerche su argomenti di storia sociale e contemporanea, conservare e valorizzare il patrimonio posseduto attraverso iniziative culturali di vario genere (mostre, convegni, seminari, pubblicazioni scientifiche), mantenere relazioni con altre associazioni, enti e istituti ugualmente dedicati o interessati alla memoria storica.
L’Archivio della biblioteca è stato riconosciuto di notevole interesse storico dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana (notifica n.717/1998), e uno dei principali fondi archivistici – il Fondo P.C. Masini – è stato inserito nel progetto della stessa Soprintendenza denominato «Archivi della cultura del Novecento in Toscana» (notifica n. 751/2000).
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E così rimasi a casa. Sola.
A filare il filo bianco dei giorni,
il filo nero delle notti,
a tessere la tela grigia della mia solitudine.
In me si aprivano territori
popolati da mostri e da paure,
incantesimi di maghe, senza scopo,
seduzioni di ninfe, del tutto inutili,
richiami di sirene, inascoltati.
Io, moglie di eroe per usucapione,
fedele per definizione,
morirò inesplorata.
*
LA CASA NUOVA
È la casa dove andrò per morire
l’occaso, il mio occidente,
la sceglierò con cura, la renderò perfetta,
sarà ampia, luminosa e ben disposta,
avrà spazio e scaffali sul muro
per collocare presente passato e futuro.
All’orizzonte della mia cucina
potrò avvistare l’Oriente e la Cina
senza muovermi dalla finestra
porcellane e sete nella mia testa.
Darò una festa il primo giorno
per festeggiare il non ritorno
siete invitati tutti quanti
mi raccomando … guanti bianchi!
*
LUMACHINA
Lumachina bellissima
amabile sorpresa
su questa verde grumosa
foglia di ortaggio
che condividiamo per cena
nitida e matematica
morbida carne d’ostrica
in convolvolo di lucida scaglia
tu non sai nulla
della spirale logaritmica (1)
non te ne cale
della sezione aurea
di Fibonacci
tu te ne stropicci
lenta e implacabile
attraversi le età
con te porti te stessa
e ogni tua proprietà
in equilibrio fragile
tra il caso e la necessità
(1) il guscio della chiocciola (al pari di altri fenomeni del mondo naturale, quali la disposizione dei semi di girasole e delle squame dell’ananas, o la spaziatura delle foglie lungo uno stelo) presenta uno schema riconducibile a quello della sezione aurea e dei numeri di Fibonacci. L’elemento comune di questi fenomeni è rappresentato dalla spirale logaritmica detta anche “spirale aurea”, attraverso la quale lo sviluppo armonico della forma è legato alla necessità degli esseri viventi di accrescere “secondo natura” in maniera ottimale e meno dispendiosa possibile.
*
NOVELLA SPOSA
Tu mi hai fatto comprare un orologio
per prima cosa
novella sposa
tu mi hai fatto comprare un orologio
e ti sei insediato nel quadrante
hai preso a scandire le mie ore
che prima battevano presso il cuore
eccomi qua
avvinta ad una molla
che ora mi tira
e ora mi sgrolla
e non mi lascia
strettamente mi fascia
mi strozza
mi strizza la gargozza
sputo a fatica
negli ultimi sobbalzi
ore minuti
secondi vuoti
con le lancette mi percuoti
mi frusti
esulti
è straordinario
muoio
in perfetto orario!
*
COMICA FINALE
Ho il cuore vecchio questa sera,
un vecchio cuore
che indossa un parrucchino di parole,
un’assurda dentiera di metafore,
ha le labbra tinte con sangue non suo
e finge un trasporto che non c’è.
Volteggia, piroetta, ammicca,
si esibisce su un liso tappeto
di vocaboli,
si inchina,
vuole gli applausi, il meschino.
Scivola su un accento sdrucciolo,
batte la testa su un sostantivo,
è trafelato, suda,
non sa cosa dire,
non sa come dire.
Cola il cerone delle rime
e il rimmel degli artifici
gli appiccica gli occhi.
Boccheggia,
sta per piangere,
ma una vecchia solerte
-la badante di Euterpe-
lo prende sottobraccio
e passo passo lo accompagna
verso la parola: FINECarla Buranello
Biografia di Carla Buranello è nata a Venezia, dove ha studiato, (laureandosi presso l’Università Ca’ Foscari in Lingue e Letterature Straniere Facoltà di Anglo-Americano), e dove vive tuttora.Ha lavorato per molti anni come dirigente presso un’azienda internazionale. Lasciato il lavoro, e ritornata padrona del proprio tempo, ha deciso di dedicarsi agli interessi da lungo tempo trascurati iniziando, per pura passione, a tradurre, soprattutto poesie di autori inglesi e americani. Tramite internet, si è messa in contatto con la poetessa angloamericana Anne Stevenson, iniziando una corrispondenza trasformatasi presto in amicizia. Ne è nata la prima edizione italiana di una selezione di poesie di Stevenson, pubblicata nel 2018 dall’editore Interno Poesia. Ha tradotto anche un libro inglese di racconti ispirati alla scienza, non ancora pubblicato. Dall’amore per il linguaggio poetico, e dalla profonda vicinanza con esso che il tradurre determina, è nato anche il desiderio di cimentarsi nella scrittura. E in alcuni casi di tradurre in inglese le sue stesse poesie. Non ha mai pubblicato nulla, ma ha accettato con piacere di affidare alcuni suoi versi a Margutte.-
-dalla Rivista QUINTA GENERAZIONE n°103/104 anno XI 1983-
Biblioteca DEA SABINA – GILDA MUSA- Poesie del 1983-Biblioteca DEA SABINA – GILDA MUSA- Poesie del 1983-Gilda-MusaBiblioteca DEA SABINA – GILDA MUSA- Poesie del 1983-Biblioteca DEA SABINA – GILDA MUSA- Poesie del 1983-Gilda-MusaBiblioteca DEA SABINA – GILDA MUSA- Poesie del 1983-
Gilda Musa – Un incontro e Un piccolo ritratto, di Vittorio Curtoni / con intro di Nino Martino
29 agosto 2020 ~ GiuliaStudio83
Pubblichiamo oggi un post dedicato alla scrittrice Gilda Musa, poetessa, germanista e autrice di fantascienza fino alla fine degli anni ’70.
Gli articoli sono entrambi a firma di Vittorio Curtoni: uno è un’intervista a Musa, uscita sul numero 21 (anno 1977) della rivista di fantascienza ROBOT, che a quei tempi era edita da Armenia.
Nell’altro pezzo, lo scrittore e traduttore, che tanta parte ebbe a sua volta nel panorama SF italiano, ricorda la scrittrice a poco tempo dalla scomparsa della donna.
Entrambi gli articoli ci sono stati gentilmente mandati da Nino Martino, autore di racconti e romanzi e finalista al Premio Odissea, che lo ha trascritto per intero e ce lo ha inviato. Lasciamo quindi a lui la parola per introdurlo. A te, Nino, e GRAZIE!
Ogni tanto, per curiosità prendo qualche cosa dalla mia biblioteca e provo a sfogliare a caso. Un libro mi sembra di non averlo mai letto? Vado a vedere ed è fittamente annotato di mio pugno. Cose così. E l’altro giorno mi sono imbattuto in un vecchio numero di Robot, in cui il compianto Vittorio Curtoni intervistava Gilda Musa.
Di lì ho fatto un po’ di ricerche, per mettere una toppa alla mia ignoranza (o oblio di cose che conoscevo? Spero la seconda ipotesi).
Ho scoperto che Gilda Musa è stata una importante scrittrice di fantascienza degli anni ‘70 insieme al marito Inisero Cremaschi.
Ho scoperto che entrambi hanno avuto un ruolo importante per la crescita della fantascienza italiana, anche organizzativo. Ed è a loro, forse, che si deve molto della qualità oggi.
L’intervista mi è sembrata di strepitosa attualità. Gilda musa ha idee chiarissime e le esprime in modo perfetto. Ci sono, di fatto, tutti i temi che sono in dibattito presso di noi.
Buona lettura e fateci sopra qualche piccola riflessione… Serve a noi tutti.
Incontro con Gilda Musa
Vittorio Curtoni
Qual è stata la spinta che ti ha indotto a scrivere? E perché ti dedichi, da anni, alla fantascienza?
Questa è la domanda che ogni scrittore desidera sentirsi fare. Poi succede che nessuno sa veramente, seriamente, concretamente, e profondamente rispondere. Escluso forse Asimov, il quale però sembra che abbia cominciato a raccontare le proprie vicende, biografiche e letterarie, da quando era in culla.
Visto che non sono Asimov, risponderò in modo molto più conciso: la spinta che mi ha indotta a scrivere è stata la necessità di interpretare la misteriosa complessità della realtà in movimento. Quanto alla fantascienza, la spinta è stata data dal fatto che è un tipo di narrativa che con maggiore efficacia e prontezza segue, anzi anticipa, le mutazioni del nostro mondo. Ho sempre desiderato che il mondo cambiasse, da quando ho cominciato ad avere l’uso della ragione. Può darsi che la fantascienza non incida molto nelle pieghe dell’esistenza individuale e collettiva dei nostri contemporanei. Ma, se non altro, ci offre un’illusione della realtà. E non è forse questo il maggiore fascino della fantascienza?
Quale differenza esiste fra l’attività di poetessa e quella di scrittrice di sf?
La poesia agisce verticalmente, affondando nella psicologia con gli strumenti di un linguaggio-laser, privilegiando essenzialmente le immagini e le forme. La fantascienza agisce anche orizzontalmente, in lungo e in largo, in tutti gli aspetti dell’esistenza: occupa le zone della sociologia, della politica, della progettazione scientifica, della psicologia individuale e di massa. Nella fantascienza, in breve, si rispecchia l’intero crogiolo del mondo. E la narrativa di fantascienza mi consente di esprimerlo nella sua poliedricità, attraverso personaggi e vicende. Per questo motivo, nel mio lavoro, poesia e fantascienza si integrano e si completano.
Fra i tuoi racconti, quale ricordi con maggiore soddisfazione? E perché?
Sarebbe facile rispondere: tutti, quelli già pubblicati e quelli ancora inediti. Ma non sarebbe legittimo, vero? Allora restringerò la rosa a un paio: Memoria totale e Max, tutti e due raccolti in Festa sull’asteroide, dopo essere usciti in riviste e antologie.
Memoria totale rivela, di me, l’aspetto più segreto e più poetico. Max, vicenda oggettiva sul tema dell’uomo nato in laboratorio, apre la mia coscienza sul mondo esterno. I due racconti, che non a caso molti lettori preferiscono, rappresentano appunto i miei campi di ricerca. Posso aggiungere che anche fra i miei racconti inediti ho i miei prediletti.
Tu lavori in questo campo sin dai tempi di «Futuro». Come sono stati gli inizi? Quali differenze ti sembra esistano oggi, a più di dieci anni da allora ?
Come tutti sanno, quando ho cominciato a scrivere, non sono partita dalla fantascienza, ma dalla poesia, dalla letteratura tedesca moderna, dalla letteratura atipica. La fantascienza è arrivata proprio con «Futuro», quando Inìsero Cremaschi e Lino Aldani rivelarono a me stessa che Memoria totale era un racconto di science-fiction. Avevo scritto una vicenda fantascientifica, senza sapere che potesse essere definita tale. Dopo quel primo racconto, tutto si è svolto con naturalezza, per me. Quanto alla situazione odierna, direi che il lavoro dei «pionieri» sia servito a spianare la strada ai nuovi autori.
Qual è la tua concezione del racconto di sf?
Novità, anticonformismo, suspense. Se manca uno di questi elementi, è possibile scrivere, forse, un capolavoro, ma non un buon racconto di autentica fantascienza.
Con che metodo (o metodi) scrivi?
Tutti i metodi sono buoni: pensarci su, rompersi le meningi fino a scovare un buon plot, ma il metodo migliore resta ancora quello di «pensare ad altro», cioè vivere guardandosi in giro. La realtà che mi sta attorno è un’immensa miniera per immaginare, e quindi scrivere, una storia di sf. Quanto alla resa narrativa, posso dire che non mi stanco di scrivere e riscrivere la medesima pagina anche otto o dieci volte, fino alla sua trasparente chiarezza e alla sua efficacia rappresentativa.
Che cosa ti ha insegnato l’esperienza del romanzo? La ritenteresti?
Del romanzo darei questa definizione: una fatica tremenda, almeno dieci volte quella che ci vuole per un racconto. Però, alla fine, viene decuplicata anche la soddisfazione morale, quella che compensa l’autore di tutto il tempo e l’energia psichica consumata sulle pagine. Se la ritenterei? L’ho già ritentata. Ho iniziato e finito nel 1977 un romanzo psicotecnologico destinato ai giovani, dal titolo ancora provvisorio Marinella Seconda, che sarà pubblicato dalla S.E.I. Inoltre, sto lavorando a una particolarissima space-opera, un romanzo più complesso e più «avventuroso» di Giungla domestica.
Scrivere un romanzo è un’esperienza importante, che consiglio. Ci si sente più maturi, dopo.
Quali sono, a tuo giudizio, i migliori autori nel campo della sf oggi in attività?
In Italia? All’estero? In ogni caso, non mi è possibile dare una risposta. Nel campo della sf avviene uno strano fenomeno: quasi tutti gli autori, anche i meno bravi, offrono sempre suggestioni, incantesimi, proposte, idee inedite; un fenomeno che avviene con minore frequenza nel campo della narrativa normale.
La tua opinione sul fandom in genere e in particolare?
Il fandom è l’habitat dello scrittore di fantascienza. Ci è indispensabile, come l’aria che respiriamo. A volte, ma non troppo spesso, l’aria è un pochino inquinata. Ma non per questo è meno preziosa.
Segui le vicende della sf americana? Se sì, come giudichi gli ultimi sviluppi del settore?
Seguo la sf americana anche da un punto di vista critico: infatti fin dal 1976 collaboro con il quotidiano “Paese Sera” con l’incarico della narrativa fantascientifica straniera e italiana.
Ho letto, su ROBOT, che alcuni scrittori americani intendono abbandonare la fantascienza. Li capisco. A casa loro, la sf è considerata ancora da molti come un «genere», una sottocategoria letteraria. Forse è per questo che, in generale, la sf statunitense sta prendendo strade meno ortodosse della sf delle origini: fantasy, speculative fiction, un pizzico di horror, una spruzzata di sesso, eccetera. Secondo me, però, lo sviluppo più interessante è dato da quegli autori che affondano i bisturi nei rapporti fra scienza e potere.
La tua reazione ai racconti del premio ROBOT?
Quando, insieme con Aldani, Cremaschi, Raiola, Anna Rinonapoli e altri, cominciai a scrivere, eravamo in pochi. Ora ci troviamo davanti a un reggimento di nuovi scrittori, o aspiranti scrittori. Quasi cinquecento racconti, al premio ROBOT! E l’aspetto più interessante è che il valore medio degli esordienti sia cosi alto, così maturo.
Che epitaffio vorresti per la tua vita?
Esiste una mia poesia, intitolata Tu, lontano lettore: è una sorta di coraggiosa epigrafe e un messaggio al futuro.
Però, per brevità, ne invento un altro:
Visse in tempi di mutamenti / e amò quei mutamenti.
Un piccolo ritratto di Gilda Musa
Vittorio Curtoni
È recentemente scomparsa Gilda Musa, una delle autrici più importanti per la storia della fantascienza italiana. Vittorio Curtoni ne traccia un ricordo.
Non ho incontrato Gilda Musa poi troppe volte in vita mia, e non la vedevo da almeno una quindicina d’anni; ma la notizia della sua morte, avvenuta a fine febbraio, mi ha lasciato un vuoto dentro. Se n’è andata in punta di piedi, con discrezione, com’era nello stile di questa signora minuta, tanto amabile, sempre pronta ad accendersi in discussioni vivacissime sulla natura del lavoro letterario, sul senso e sul perché della scrittura. Per questo, forse, ne conservo un ricordo così vivido: Gilda era una di quelle persone che puoi vedere poco, magari in occasioni particolari come una convention o la riunione di una giuria di un premio letterario, ma quegli incontri ti restano impressi per la vigoria, il calore intellettuale che sprigionano.
Gilda era un vulcano d’idee, di proposte, di voglia di fare; sembrava un po’ la metà, come dire?, iper-attiva della coppia che formava con Inisero Cremaschi. Anche Inisero è sempre stato una fucina intellettuale d’alto livello, come dimostra la sua produzione letteraria, come si vede benissimo dai suoi troppo rari racconti di fantascienza, ma il suo comportamento è più pacato, tranquillo. Inisero porge con garbo, suggerisce, propone; Gilda era irruenta, sicura di sé, assertiva. Forse (l’ho sempre pensato) è stato proprio grazie a questa diversità d’indole che i due hanno dato vita a un matrimonio tanto riuscito; o almeno, diciamo che entrando in casa loro si aveva l’impressione di una coppia in grande sintonia e armonia. Il che è bellissimo in linea generale ed è, mi si permetta dirlo, piuttosto raro in un universo come quello della letteratura, dove tanta gente è perennemente pronta a scannare tanta altra gente. Basta, ad esempio, rileggere l’introduzione di Inisero a “Giungla domestica” (Dall’Oglio, 1975) per rendersi conto di come il marito scrittore si tiri in disparte per lasciare tutto lo spazio possibile alla moglie scrittrice: io di coppie così ben assortite ne ho conosciute poche.
Il mio rapporto con Gilda Musa è iniziato molto prima che avessi il piacere di conoscerla di persona. Lei era di una generazione precedente alla mia, sicché io, da ragazzo, mi sono spesso trovato a incontrare quei bellissimi racconti seminati tra le pagine della rivista Futuro e delle antologie Interplanet: storie come “Memoria totale”, “Trenta colonne di zeri”, o “Max” mi si sono stampate nel cervello, colmandomi di meraviglia e reverente ammirazione. Non l’ho ancora detto, ma Gilda è sempre stata uno degli autori italiani di science fiction più dotati di capacità stilistiche; una grande autrice e narratrice nel senso più pieno dei termini. Non a caso era anche poetessa e germanista: una personalità multiforme incentrata su una consapevolezza dei mezzi letterari che ben pochi hanno eguagliato. Era l’epitome (e lo dico con la consapevolezza di esporre me e lei a critiche anche feroci, ma tant’è, la verità si impone da sé, non si discute) di quella “fantascienza umanista” che in Italia ha dato per anni frutti non indifferenti. Il rigore stilistico era per lei condizione necessaria e imprescindibile, sulla quale innestare lo sviluppo di idee fantastiche tanto innovative quanto pregnanti sul versante dei contenuti. Era scrittrice dotata di capacità di discernimento in sommo livello, sino ad arrivare alla rigorosa meticolosità di distinguo sottilissimi. C’è un episodio che ricordo molto bene e che illustra in maniera esemplare, credo, il concetto. Quando scrissi il capitolo a lei dedicato del mio volume “Le frontiere dell’ignoto”, glielo portai a leggere per avere il suo placet (sì, lo so, con tanti altri non l’ho fatto, ma Gilda era una signora, e che signora), e lei approvò tutto, fu molto contenta, mi ringraziò. Mi chiese però una lievissima modifica: dove, parlando della sua antologia “Strategie”, avevo scritto che si trattava di “strategie letterarie”, lei mi chiese di mettere invece (e io obbedii, s’intende) “strategie narrative”.
Questioni di pelo caprino? Non credo proprio. Questo è rigore. È attenzione spasmodica alla singola parola. È quello che uno scrittore veramente scrittore dovrebbe sempre fare, quando maneggia la lingua. È quello che tanti sedicenti autori non hanno mai imparato e che invece per lei era una sorta di seconda natura.
Se ben rammento, il primo contatto diretto con lei l’ho avuto allo SFIR (così si chiamavano all’epoca le convention nazionali: Science Fiction Italian Rundabout) di Ferrara del 1976. Gilda trattò mia moglie e me con una cordialità, una familiarità che davvero mi riempì di gioia. Un pochino anche d’orgoglio, lo confesso: essere accettato alla pari, di primo acchito, senza discussioni, da uno dei miei scrittori preferiti! Ancora oggi la ringrazio di questo. Gilda era nel pieno della sua querelle con la RAI, che aveva mandato in onda uno sceneggiato, “La traccia verde”, che a suo giudizio plagiava il suo romanzo “Giungla domestica”. Non so come si sia risolta, a livello legale, la questione, ma di certo ho sempre pensato che Gilda avesse ottime ragioni: per quanto sia vero che all’epoca le ricerche sulla supposta “sensibilità delle piante” fossero uno dei piatti forti della parapsicologia mondiale, è altrettanto vero che le due trame rivelavano coincidenze sconcertanti. E il suo romanzo era uscito prima che venisse prodotto lo sceneggiato. In sostanza, in entrambe le storie il colpevole di un delitto viene smascherato grazie alle reazioni “emotive” di una pianta… Vedete un po’ voi. Come minimo, il suo sacro furore era pienamente giustificato.
Con lei e con Inisero, Giuseppe Caimmi, Giuseppe Lippi e io siamo stati compagni di giuria per le due edizioni del “Premio Robot”. Ci siamo ritrovati negli uffici dell’Armenia, e dopo un pranzo in compagnia abbiamo passato il pomeriggio a discutere in maniera piuttosto accesa delle virtù e dei vizi dei racconti che avevamo letto. Debbo dire, riandando a quegli anni, che se nella seconda edizione Mauro Gaffo si impose all’unanimità, la vittoria di Morena Medri con “In morte di Aina” il primo anno fu dovuta soprattutto ai coniugi Cremaschi: loro due puntavano senza la minima esitazione su quel racconto, e invece noialtri tre avevamo una rosa di papabili troppo estesa e variegata. E non riuscimmo a trovare una piattaforma d’accordo. Non che mi dispiaccia, intendiamoci; ma insomma, se volete, anche questa è una riconferma delle ferree convinzioni e delle capacità di persuasione di Gilda Musa (e Inisero Cremaschi, come no). Una donna straordinaria, lasciatemelo dire.
Sono stato un po’ di volte a casa loro, sempre accolto con estrema cordialità. Avevano sotto casa una pizzeria che era un punto di ritrovo per gli scrittori milanesi, e oltre tutto la pizza era anche ottima! (Be’, io sono fanatico di pizza e ho canoni piuttosto rigorosi in merito.) Una volta andai da loro, ai mitici tempi di ROBOT, con Giuseppe Lippi, e quel che ricordo più di tutto è il fatto che non mi avvidi, a pianterreno, della presenza di una vetrata ORRIBILMENTE trasparente e mi ci fiondai contro col non indifferente peso del mio corpo. Una craniata fantozziana da restarci secco! Arrivai all’appartamento dei Cremaschi suonato come una campana e, suppongo, apparentemente sbronzo, anche se in realtà non avevo bevuto un goccio… Ma fu una serata ugualmente bella, calorosa, nell’ormai consueta pizzeria. Anche la botta disumana alla fronte è entrata a fare parte dei miei ricordi più dolci. Visto che mi trovai in fulgida compagnia.
So che, per anni, Gilda e Inisero sono stati il fulcro di riunioni periodiche (settimanali, credo) di autori che si davano convegno a casa loro per discettare dell’arte di scrivere. Un cenacolo, in parole povere.
Nonostante i loro ripetuti inviti, non ho partecipato una sola volta a questi incontri, per banali questioni logistiche: io vivo a Piacenza, loro a Milano. Talora la geografia e’ d’intoppo. E come non ricordare l’antologia “I labirinti del terzo pianeta” (Nuova Accademia, 1964), curata da loro due in anni in cui il semplice parlare di sf italiana era atto di smisurato orgoglio? Un’antologia nella quale riuscirono a coinvolgere nomi come Mario Soldati e Libero Bigiaretti, oltre a quelli che potremmo definire i “professionisti” indigeni della fantascienza. E un’altra impresa notevole è stata, negli anni Settanta, la serie “La Collina”, pubblicata dalla Nord: quattro intensi volumi a metà tra saggistica e narrativa nei quali si è tentato di lanciare la nuova etichetta di “neofantastico” per i narratori italiani. Il termine non ha avuto, è vero, grande successo, e le vendite non sono state eccezionali, come d’altronde è quasi sempre accaduto in Italia alle iniziative “diverse” in un campo tutto sommato molto conservatore; ma provate a sfogliare quelle pagine e vedrete quanto fervore, quanto attivismo, quanto discutere. Il curatore ufficiale di “La Collina” è stato Inisero, ma non è difficile vedere dietro la mano complice della moglie, che con lui condivideva la passione smisurata per il lavoro letterario.
Rammento queste cose per testimoniare l’importanza che la presenza di Gilda Musa ha avuto, nel farsi della fantascienza italiana, non solo per le sue virtù d’autrice ma anche per le attività concomitanti ideate e gestite col compagno della sua vita. E chissà quanto ho dimenticato. Ma non volevo offrire di lei un ritratto globale quanto piuttosto un’immagine, un’impressione; l’istantanea che rimarrà fissata nella mia memoria. Quel che penso di lei come narratrice l’ho detto nello scritto che potete leggere su questo numero di DELOS. Per il resto, che aggiungere? Carissima Gilda Musa, tu hai arricchito la mia esistenza con quello che hai scritto e con la tua presenza umana. Cose delle quali non si può mai essere grati a sufficienza.
Grazie di tutto, e a rivederci prima o poi, chi lo sa?
SCRITTRICI: E’ MORTA GILDA MUSA, SIGNORA DELLA FANTASCIENZA
AVEVA 72 ANNI ED ERA LA MOGLIE DELLO SCRITTORE CREMASCHI
Milano, 26 feb. (Adnkronos)- E’ morta ieri notte in una clinica a Milano, a causa di un tumore, all’eta’ di 72 anni, la scrittrice e poetessa Gilda Musa, autrice di libri per ragazzi, conosciuta come ”la signora italiana della fantascienza”. Condivideva la sua grande passione per le storie fantascientifiche con il marito, lo scrittore Inisiero Cremaschi, insieme al quale piu’ di vent’anni fa scrisse ”Dossier extraterrestri” (Rusconi).
Nata a Forlimpopoli (Forli’) nel 1926, dopo la laurea in lettere si era dedicata interamente all’insegnamento, ma nel tempo libero ha sempre coltivava la passione per la poesia e gli studi di letteratura tedesca. Grazie alla vita in comune con Cremaschi, si decise, ormai in eta’ matura, a 49 anni, a pubblicare il suo primo romanzo: ”Giungla domestica”, stampato da Dall’Oglio nel 1975, che ottenne il premio Citta’ di Ferrara. Nel ’79 dette alle stampe ”Esperimento donna”, mentre il primo lavoro di fantascienza e’ di due anni piu’ tardi, ”Fondazione Id”. Alcuni dei suoi racconti sono tradotti in inglese, francese, russo e tedesco: il piu’ fortunato e’ ”Marinella super” (’92), destinato ai ragazzi, ristampato oltre venti volte dall’editore torinese Sei. E sempre da Sei e’ uscito il suo ultimo libro, ”La grotta della musica” (’94).
(Pam/As/Adnkronos)
Gilda-Musa
MUSA GILDA – Nata in Emilia Romagna, a Forlimpopoli, nel 1926, figlia dello xilografo Romeo Musa, Gilda Musa si laurea in Lettere a Milano e si specializza in Germanistica a Heidelberg, per poi diplomarsi in lingua inglese a Cambridge. Considerata una delle voci più rilevanti del panorama fantascientifico italiano, la sua forma espressiva originaria è rappresentata dall’attività poetica: la raccolta d’esordio, dal titolo ungarettiano, è Il Porto quieto (1953), a cui faranno seguito Amici e nemici (1961), Gli onori della cronaca (1964)e La notte artificiale (1965), attraverso le quali Gilda Musa passa a un maggior coinvolgimento morale e a un’attenzione sempre più precisa per quegli aspetti malati e violenti della società neocapitalistica, per arrivare infine alla rappresentazione della totale alienazione del soggetto. All’accresciuta importanza che assume la riflessione critico-ideologica sulla realtà contemporanea, si lega l’esigenza di estendere il proprio pubblico, cui è derivativo l’avvicinamento alla fantascienza, con il racconto Memoria totale (apparso sulla rivista «Futuro» nel 1963), cui si affiancheranno la partecipazione all’antologia I labirinti del terzo pianeta. Nuovi racconti italiani di fantascienza (1964)e la collaborazione alla rivista «La collina», la quale ha contribuito a delineare il filone narrativo del neofantastico. Lungo tutto questo percorso di lavoro, Gilda Musa non utilizza mai alcuno pseudonimo: un fattore significativo di una fantascienza italiana in grado di rivendicare un proprio spazio e una propria autonomia dai modelli stranieri. Con il racconto L’unico abitabile (1963), Gilda Musa segna l’inizio di una serie di racconti concentrati su un singolo protagonista e sul suo dramma interiore; seguiranno poi Giungla domestica (1975), Fondazione «ID» (1976), Marinella super (1978), Esperimento donna (1979) e L’arma invisibile (1982),opere in cui l’autrice cerca di promuovere un progetto di crescita e civiltà nel pieno rispetto della risorse umane e naturali: in una società basata sempre più sull’individuo e sullo sfruttamento delle sue risorse naturali, con l’arroganza di piegare il proprio habitat al servizio dell’uomo e della scienza, il messaggio ecologico veicolato da Musa diventa mezzo di riavvicinamento alla propria Terra, ritrovando un rapporto armonico e naturale con essa, e di riscoperta di se stessi in una dimensione più “umana” e innocente. Gilda Musa muore a Milano nel febbraio del 1999.
– RivistaCOLLETTIVO R–POESIE pubblicate sul n° 56-57 del 1991-
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« Non c’è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens. Ogni uomo infine, all’infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un “filosofo”, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare. »
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