Poesie inedite di Daniele Giustolisi,pubblicate dalla Rivista Atelier-
Daniele Giustolisi è nato a Catania nel 1989 e vive a Bologna. In versi ha pubblicato Se scendevi per strada (Capire edizioni, 2019) con cui ha vinto il Premio Le stanze del tempo. Si occupa da sempre di arti figurative, musica e letteratura. Oltre a contributi di critica letteraria e di arte su ClanDestino, Nuova Ciminera, AlmaPoesia, ha pubblicato, in saggistica, L’officina del vivere: attraverso il Diario di Angelo Fiore (Centro Studi Angelo Fiore, 2018) e Alla finestra. Sguardi, soglie, fratture tra pittura e cinema (Industria&Letteratura, 2023). Collabora con il Centro di poesia contemporanea di Catania. Ha inciso dischi e suonato in ambito rock, metal e jazz come batterista e percussionista. Gli inediti sono tratti da “La condizione dell’orma”, di prossima pubblicazione nel 2025.
Daniele Giustolisi
a Diana che arriva
Ancona è questo tempo che scioglie i pendii,
sei tu entrata al mattino
in un movimento d’alba,
quando agosto è l’acqua ferma del porto,
risveglio di tavolo, radio, pane,
la resa che s’innalza da terra,
la sua somiglianza alle vele,
a questa rotta adriatica
che della tua forma consegna il nome.
*
Da questa finestra chiusa,
a te che dormi,
si ostina il breve viale,
superstite soglia della sera
che non dà voci,
solo luci in lontananza.
*
Nell’ora più buia
posso percorrerti senza vederti,
ritrovarti come madre cieca col figlio
nei passi d’ansia della notte.
Portami ancora a sentire la tua voce,
Oriente che sferza santuari.
Portami da te, alle tue rive,
foce che tiene le pietre della mia casa,
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
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Gianni RODARI muore il 14aprile 1980-Il Partigiano e lo Scrittore e Poeta dei bambini-
Roma, 14 aprile 2022– Ricorre oggi il 42esimo anniversario dalla scomparsa di Gianni Rodari, morto il 14 aprile del 1980 a Roma. Il 10 aprile 1980 venne ricoverato in una clinica a Roma per potersi sottoporre ad un intervento chirurgico alla gamba sinistra, data l’occlusione di una vena; morì quattro giorni dopo, il 14 aprile, per shock cardiogeno, all’età di 59 anni. Le sue spoglie furono sepolte nel cimitero del Verano, dove tuttora riposano.
Gianni RODARI
Nato il 23 ottobre 1920 a Omegna, sul lago d’Orta, lo scrittore piemontese è stato anche pedagogista, giornalista, poeta e partigiano italiano, specializzato in letteratura per l’infanzia e tradotto in molte lingue. Con le sue storie, ha fatto viaggiare con l’immaginazione diverse generazioni di bambini. Dopo aver conseguito il diploma magistrale, per alcuni anni ha fatto l’insegnante. Al termine della Seconda guerra mondiale ha intrapreso la carriera giornalistica, che lo ha portato a collaborare con numerosi periodici, tra cui «L’Unità», il «Pioniere», «Paese Sera». A partire dagli anni Cinquanta ha iniziato a pubblicare anche le sue opere per l’infanzia, che hanno ottenuto fin da subito un enorme successo di pubblico e di critica. I suoi libri hanno avuto innumerevoli traduzioni e hanno meritato diversi riconoscimenti, fra cui, nel 1970, il prestigioso premio «Hans Christian Andersen», considerato il «Nobel» della letteratura per l’infanzia.
Negli anni Sessanta e Settanta ha partecipato a conferenze e incontri nelle scuole con insegnanti, bibliotecari, genitori, alunni. E proprio dagli appunti raccolti in una serie di questi incontri ha visto la luce, nel 1973, Grammatica della fantasia, che è diventata fin da subito un punto di riferimento per quanti si occupano di educazione alla lettura e di letteratura per l’infanzia. Gianni Rodari è morto a Roma nel 1980. Tra le sue opere più significative: Le avventure di Cipollino, Gelsomino nel paese dei bugiardi, Filastrocche in cielo e in terra, Favole al telefono, Il libro degli errori, C’era due volte il barone Lamberto.
Tra le sue innumerevoli opere ha scritto diversi testi con un messaggio pacifista. Qui sotto sono riportate due sue poesie contro la guerra.
Promemoria
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola
a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per non sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno, né di notte,
né per mare, né per terra:
per esempio, la guerra.
Dopo la pioggia
Dopo la pioggia viene il sereno,
brilla in cielo l’arcobaleno:
è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.
È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede – questo è il male –
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa si che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra
Armi dell’allegria
Eccole qua
le armi che piacciono a me:
la pistola che fa solo pum
(o bang, se ha letto qualche fumetto)
ma buchi non ne fa…
il cannoncino che spara
senza far tremare
nemmeno il tavolino…
il fuciletto ad aria
che talvolta per sbaglio
colpisce il bersaglio
ma non farebbe male
né a una mosca né a un caporale…
Armi dell’allegria!
le altre, per piacere,
ma buttatele tutte via!
Per Gianni Rodari i bimbi erano portavoce di grandi verità e meritavano di essere ascoltati; ecco quali motivi ritmati ha ideato appositamente per loro:
Gianni RODARI
1) La cicala e la formica
Chiedo scusa alla favola antica
se non mi piace l’avara formica
io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende…
regala!
2) Bambini, imparate a fare cose difficili
È difficile fare le cose difficili:
parlare al sordo,
mostrare la rosa al cieco.
Bambini, imparate a fare cose difficili:
dare la mano al cieco,
cantare per il sordo,
liberare gli schiavi che si credono liberi.
3) Como nel comò
Una volta un accento
per distrazione cascò
sulla città di Como
mutandola in comò.
Figuratevi i cittadini
comaschi, poveretti:
detto e fatto si trovarono
rinchiusi nei cassetti.
Per fortuna uno scolaro
rilesse il componimento
e liberò i prigionieri
cancellando l’accento.
Ora ai giardini pubblici
han dedicato un busto
“A colui che sa mettere
gli accenti al posto giusto”.
4) Tutti gli animali
Mi piacerebbe un giorno
poter parlare
con tutti gli animali.
Che ve ne pare?
Chissà che discorsi geniali
sanno fare i cavalli,
che storie divertenti
conoscono i pappagalli,
i coccodrilli, i serpenti.
Una semplice gallina
che fa l’uovo ogni mattina
chissà cosa ci vuol dire
con il suo coccodè.
E l’elefante, così grande e grosso,
la deve saper lunga
più della sua proboscide:
ma chi lo capisce
quando barrisce?
Nemmeno il gatto
può dirci niente.
Domandagli come sta
non ti risponde affatto.
O – al massimo – fa “miao”,
che forse vuol dire “ciao”.
5) Il primo giorno di scuola
Suona la campanella;
scopa, scopa la bidella;
viene il bidello ad aprire il portone;
viene il maestro dalla stazione;
viene la mamma, o scolaretto,
a tirarti giù dal letto…
Viene il sole nella stanza:
su, è finita la vacanza.
Metti la penna nell’astuccio,
l’assorbente nel quadernuccio,
fa la punta alla matita
e corri a scrivere la tua vita.
Scrivi bene, senza fretta
ogni giorno una paginetta.
Scrivi parole diritte e chiare:
Amore, lottare, lavorare.
6) Il paese delle vacanze
Il Paese delle Vacanze
non sta lontano per niente:
se guardate sul calendario
lo trovate facilmente.
Occupa, tra Giugno e Settembre,
la stagione più bella.
Ci si arriva dopo gli esami.
Passaporto, la pagella.
Ogni giorno, qui, è domenica,
però si lavora assai:
tra giochi, tuffi e passeggiate
non si riposa mai.
7) Per la mamma
Filastrocca delle parole
si faccia avanti chi ne vuole.
Di parole ho la testa piena
con dentro “la luna” e “la balena”.
Ma le più belle che ho nel cuore
le sento battere: “mamma”, “amore”.
8)Filastrocca corta e matta
Filastrocca corta e matta:
il porto vuole sposare la porta;
la viola studia il violino;
il mulo dice: “Mio figlio è il mulino”;
la mela dice: “Mio nonno è il melone”;
il matto vuole essere un mattone.
E il più matto della terra
sapete che vuole?
Fare la guerra!
9) Filastrocca di primavera
Filastrocca di primavera
più lungo è il giorno,
più dolce la sera.
domani forse tra l’erbetta
spunterà la prima violetta.
Oh prima viola fresca e nuova
beato il primo che ti trova,
il tuo profumo gli dirà,
la primavera è giunta, è qua.
Gli altri signori non lo sanno
e ancora in inverno si crederanno:
magari persone di riguardo,
ma il loro calendario va in ritardo.
10) Dopo la pioggia
Dopo la pioggia viene il sereno
brilla in cielo l’arcobaleno.
E’ come un ponte imbandierato
e il sole ci passa festeggiato.
E’ bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede, questo è male
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa si che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.
11) Le favole al rovescio
C’era una volta
un povero lupacchiotto,
che portava alla nonna
la cena in un fagotto.
E in mezzo al bosco
dov’è più fosco
incappò nel terribile
Cappuccetto Rosso,
armato di trombone
come il brigante Gasparone,
Quel che successe poi,
indovinatelo voi.
Qualche volta le favole
succedono all’incontrario
e allora è un disastro:
Biancaneve bastona sulla testa
i nani della foresta,
la Bella Addormentata non si addormenta,
il Principe sposa
una brutta sorellastra,
la matrigna tutta contenta,
e la povera Cenerentola
resta zitella e fa
la guardia alla pentola.
Poesie dell’autore de Grammatica della fantasia
12) A un bambino pittore
Appeso a una parete
ho visto il tuo disegnino:
su un foglio grande grande
c’era un uomo in un angolino.
Un uomo piccolo, piccolo,
forse anche
un po’ spaventato
da quel deserto bianco
in cui era capitato,
e se ne stava in disparte
non osando farsi avanti
come un povero nano
nel paese dei giganti.
Tu l’avevi colorato
con vera passione:
ricordo il suo magnifico
cappello arancione.
Ma la prossima volta,
ti prego di cuore,
disegna un uomo più grande,
amico pittore.
Perché quell’uomo sei tu,
tu in persona, ed io voglio
che tu conquisti il mondo:
prendi, intanto
tutto il foglio!
Disegna figure
grandi grandi,
forti, senza paura,
sempre pronte a partire
per una bella avventura.
13) Il punto interrogativo
C’era una volta un punto
interrogativo, un grande curiosone
con un solo ricciolone,
che faceva domande
a tutte le persone,
e se la risposta
non era quella giusta
sventolava il suo ricciolo
come una frusta.
Agli esami fu messo
in fondo a un problema
così complicato
che nessuno trovò il risultato.
Il poveretto, che
di cuore non era cattivo,
diventò per il rimorso
un punto esclamativo.
14) Tragedia di una virgola
C’era una volta
una povera virgola
che per colpa di uno scolaro
disattento
capitò al posto di un punto
dopo l’ultima parola
del componimento.
La poverina, da sola,
doveva reggere il peso
di cento paroloni,
alcuni perfino con l’accento.
Per la fatica atroce morì.
Fu seppellita
sotto una croce
dalla matita
blu del maestro,
e al posto di crisantemi e sempreverdi
s’ebbe un mazzetto
di punti esclamativi.
15)La famiglia Punto e virgola
C’era una volta un punto
e c’era anche una virgola:
erano tanto amici,
si sposarono e furono felici.
Di notte e di giorno
andavano intorno
sempre a braccetto:
“Che coppia modello”
la gente diceva
“che vera meraviglia
la famiglia Punto-e-virgola”.
Al loro passaggio
in segno di omaggio
perfino le maiuscole
diventavano minuscole:
e se qualcuna, poi,
a inchinarsi non è lesta
la matita del maestro
le taglia la testa.
16) Autunno
Il gatto rincorre le foglie
secche sul marciapiede.
Le contende (vive le crede)
alla scopa che le raccoglie.
Quelle che da rami alti
scendono rosse e gialle
sono certo farfalle
che sfidano i suoi salti.
La lenta morte dell’anno
non è per lui che un bel gioco,
e per gli uomini che ne fanno
al tramonto un lieto fuoco.
17) Chi è uomo
Con un gran frullo d’ali
dal campo, spaventati,
i passerotti in frotta
al nido son rivolati.
Raccontano ora al nonno
la terribile avventura:
“C’era un uomo! Ci ha fatto
una bella paura.
Peccato per quei chicchi
sepolti appena ieri.
Ma con quell’uomo… Ah, nonno,
scappavi anche tu, se c’eri.
Grande grande, grosso grosso,
un cappellaccio in testa,
stava li certamente
per farci la festa…”.
“E che faceva?”. “Niente.
Che mai doveva fare?
Con quelle braccia larghe
era brutto da guardare!”.
“Non lavorava?”. “O via,
te l’abbiamo già detto.
Stava ritto tra i solchi
con aria di dispetto…”.
“Uno spaventapasseri,
ecco cos’era, allora!
Non sapevate che
non è un uomo chi non lavora?”.
Poesie di Gianni Rodari, brevi o che arrivano fino nello spazio
18) La bugia
Nel paese della bugia,
la verità è una malattia.
19) Quanto pesa una lacrima?
La lacrima di un bambino capriccioso
pesa meno del vento,
quella di un bambino affamato
pesa più di tutta la terra.
20) Il sole
Dica ognuno
quel che vuole:
la meglio stufa
è sempre sole.
21)Distrazione interplanetaria
Chissà se a quest’ora su Marte,
su Mercurio o Nettuno,
qualcuno
in un banco di scuola
sta cercando la parola
che gli manca
per cominciare il tema
sulla pagina bianca.
E certo nel cielo di Orione,
dei Gemelli, del Leone,
un altro dimentica
nel calamaio
i segni d’interpunzione …
come faccio io.
Quasi Io sento
lo scricchiolio
di un pennino
in fondo al firmamento:
in un minuscolo puntino
nella Via Lattea
un minuscolo scolaretto
sul suo libro di storia
disegna un pupazzetto.
Lo sa che non sta bene,
e anch’io lo so:
ma rideremo insieme
quando lo incontrerò.
22)La luna bambina
E adesso a chi la diamo
questa luna bambina
che vola in un “amen”
dal Polo Nord alla Cina?
Se la diamo a un generale,
povera luna trottola,
la vorrà sparare
come una pallottola.
Se la diamo a un avaro
corre a metterla in banca:
non la vediamo più
nè rossa nè bianca.
Se la diamo a un calciatore,
la luna pallone,
vorrà una paga lunare:
ogni calcio un trilione.
Il meglio da fare
è di darla ai bambini,
che non si fanno pagare
a giocare coi palloncini:
se ci salgono a cavalcioni
chissà che festa;
se la luna va in fretta,
non gli gira la testa,
anzi la sproneranno
la bella luna a dondolo,
lanciando grida di gioia
dall’uno all’altro mondo.
Della luna ippogrifo
reggendo le briglie,
faranno il giro del cielo
a caccia di meraviglie.
I versi che abbiamo apprezzato a scuola
23)Girotondo in tutto il mondo
Filastrocca per tutti i bambini,
per gli italiani e per gli abissini,
per i russi e per gli inglesi,
gli americani ed i francesi;
per quelli neri come il carbone,
per quelli rossi come il mattone;
per quelli gialli che stanno in Cina
dove è sera se qui è mattina.
Per quelli che stanno in mezzo ai ghiacci
e dormono dentro un sacco di stracci;
per quelli che stanno nella foresta
dove le scimmie fan sempre festa.
Per quelli che stanno di qua o di là,
in campagna od in città,
per i bambini di tutto il mondo
che fanno un grande girotondo,
con le mani nelle mani,
sui paralleli e sui meridiani…
24)Il Paese Senza Errori
C’era una volta un uomo che andava per terra e per mare
in cerca del Paese Senza Errori.
Cammina e cammina, non faceva che camminare,
paesi ne vedeva di tutti i colori,
di lunghi, di larghi, di freddi, di caldi,
di così così:
e se trovava un errore là, ne trovava due qui.
Scoperto l’errore, ripigliava il fagotto
e ripartiva in quattro e quattr’otto.
C’erano paesi senza acqua,
paesi senza vino,
paesi senza paesi, perfino,
ma il Paese Senza Errori dove stava, dove stava?
Voi direte: Era un brav’uomo. Uno che cercava
una bella cosa. Scusate, però,
non era meglio se si fermava
in un posto qualunque,
e di tutti quegli errori
ne correggeva un po’?
25)L’odore dei mestieri
Io so gli odori dei mestieri:
di noce moscata sanno i droghieri,
sa d’olio la tuta dell’operaio,
di farina sa il fornaio,
sanno di terra i contadini,
di vernice gli imbianchini,
sul camice bianco del dottore
di medicina c’è un buon odore.
I fannulloni, strano però,
non sanno di nulla e puzzano un po’.
Poesie di Alessandro Canzian- raccolta poetica “IN ABSENTIA” Editore Interlinea-
Alessandro Canzian (Pordenone1977) è molto attivo come editore e operatore culturale. Ha fondato la casa editrice Samuele, e ideato il ciclo di incontri letterari “Una Scontrosa Grazia” a Trieste, l’osservatorio poetico on line Laboratori Poesia e la rivista semestrale “Laboratori critici”. Collabora con Pordenonelegge pubblicando le collane “Gialla” e “Gialla Oro”.
ALESSANDRO CANZIAN, IN ABSENTIA –Editore INTERLINEA, NOVARA
Versi sull’assenza di pietà
Articolo di Alida Airaghi-La raccolta poetica di Alessandro Canzian mette in luce, con uno stile stringato e severo, la durezza del mondo verso chi vive ai margini e non può difendersi nemmeno rivolgendosi al cielo, che rimane indifferente e mutoScritte tra il 2020 e il 2024, e pubblicate a tiratura limitata dalle edizioni Interlinea lo scorso anno, le poesie di Alessandro Canzian già dal titolo sembrano voler sottolineare un’aspirazione al distacco o il riscontro di una mancanza, suggerite anche dalla scelta ricercata e differenziante della lingua latina. In effetti, la prima impressione che si ricava dalla lettura del libro, è quella di una privazione, affiorante dalle situazioni evocate nei versi, dalle immagini che li accompagnano e soprattutto dalla severa secchezza dello stile. Privazione di pietà, in primis, davanti alla sofferenza che affiora in ogni composizione, dove protagonisti sono esseri umani e non-umani privi di importanza, quasi insignificanti agli occhi del mondo: anziani, bambini, bestiole, oggetti comuni. Il poeta si sofferma su di essi con uno sguardo constatativo, lontano dal giudizio, quindi esso pure segnato dalla privazione di una partecipe empatia, come a dire “le cose sono queste, la vita funziona così”: l’esibita non adesione, che superficialmente può sembrare impassibilità, in realtà vuole proibirsi la facile retorica di una commozione ostentata. Che invece si evidenzia nella contrapposizione dei concetti, che spesso affiancano a una descrizione di ordinaria normalità la visione brutale che ne scalfisce l’ovvia piattezza. Le poesie delle tre sezioni che compongono l’opera (Minimalia, Sul fondo, In absentia) sono per lo più strofe di cinque versi, non rimate e costruite sull’antitesi dei tre primi versi e dei due ultimi: “così la poesia diventa un piccolo dispositivo drammatico basato sul contrasto fra una cosa vista e la sua iscrizione nella sensibilità”, secondo il postfatore Martin Rueff.
Si prono davanti agli occhi quadri di desolazione, miseria, talvolta sporcizia, sia negli ambienti domestici che nei paesaggi esterni, prevalentemente di periferia: “La tovaglia piena di briciole / e mosche, a terra / tra la polvere un grano. / Alla finestra un latrato”, “Per anni la cucina lasciata così com’era”. Ancora: le tende sporche, la persiana sfondata, e “grate, gronde e greppi” ripetono nei loro “gr” sinistri cigolii. I suoni e gli odori sono disturbanti, le architetture dismesse, il tempo atmosferico alterna pioggia insistente al “caldo di un’estate dei rospi e dei cani”.
In tutta la raccolta si respira la violenza del più forte contro chi non sa difendersi, nella guerra, nel sesso, nella crudeltà verso gli animali, che soffrono quanto le persone, e vengono descritti nella loro storpiata fisicità (un geco mozzato, una zampa spezzata sotto il cancello, le rane scoppiate, un insetto senz’occhi, corpi di mosca caduti). Addirittura un topo – che nella postfazione è assimilato a “una presenza enigmatica, quasi metafisica” – aggirandosi giorno e notte nella casa del poeta, lascia le sue tracce escrementizie in cucina e in bagno, quasi a indicare una negatività persecutoria verso il mondo degli umani. Di questi Canzian rimarca la fragilità morale e fisica (“L’uomo è un ramo / che si spezza facilmente”), in particolare quando si sofferma a osservare le adolescenti: ragazza e ragazzina sono sostantivi ripetuti dodici volte nelle varie poesie, e raccontano di una violenza a cui l’ingenuità giovanile non sa opporsi, se non nella decisione tragica di un rifiuto definitivo: “La ragazzina a lato dei binari / con le calze smagliate e le / unghie scolorite domani / risolverà tutti i problemi / bevendo ammoniaca”.
I corpi straziati con prepotenza rimangono inermi, incapaci di difendersi fisicamente (la scheggia incarnita nella schiena, un buco tra le costole, la pancia scoperchiata, una maglietta strappata), e ancor di più mentalmente, producendo un’indifferenza che si risolve alla fine in estraneità a ciò che accade, alla storia personale e collettiva: “La storia accade / ma non se ne ha memoria”, “Il mondo passa e non la tocca”. In questa situazione di totale ostilità umana, nemmeno Dio può rappresentare un’ancora di salvezza: se interrogato non risponde, chiuso nella sua indifferenza. È un Dio che “ha confessato d’essere / solo un buio, uno sbaglio”; “vendicativo e geloso… scuro come un topo… sinonimo di mai”.
Alessandro Canzian (Pordenone1977) è molto attivo come editore e operatore culturale. Ha fondato la casa editrice Samuele, e ideato il ciclo di incontri letterari “Una Scontrosa Grazia” a Trieste, l’osservatorio poetico on line Laboratori Poesia e la rivista semestrale “Laboratori critici”. Collabora con Pordenonelegge pubblicando le collane “Gialla” e “Gialla Oro”.
ALESSANDRO CANZIAN, IN ABSENTIA – INTERLINEA, NOVARA 2024
Simone de Beauvoir il romanzo “I Mandarini”-Giulio Einaudi editore-
Simone de Beauvoir-romanzo I Mandarini”
Il libro-– Giulio Einaudi editore–Nel quadro dell’intera produzione di Simone de Beauvoir, I Mandarini, insieme all’autobiografia – Memorie d’una ragazza perbene, L’età forte, La forza delle cose, A conti fatti -, è il romanzo piú significativo ed emblematico. Nessuno meglio di Beauvoir avrebbe potuto raccontare la tumultuosa stagione di questo dopoguerra, in cui gli intellettuali francesi, i Mandarini appunto, erano gli indiscussi protagonisti della vita culturale e politica (basti pensare a Sartre e a Camus). Le vicende di Henri, Nadine, Anne, Dubreuilh, dei giovani «esistenzialisti » e delle ragazze che girano a vuoto, riflettono le lacerazioni di un mondo che non sa trovare il suo equilibrio, sospeso com’è tra speranze, ideali e il duro confronto con la realtà.In appendice Simone de Beauvoir vista da Sartre.Il romanzo di una generazione di intellettuali nella Parigi esistenzialista del secondo dopoguerra.
Breve biografia di Simone de Beauvoir
Simone de Beauvoir
Simone de Beauvoir (Parigi 1908 – 1986)compí i suoi studi letterari e filosofici alla Sorbona. L’incontro con Sartre, che le sarà compagno per tutta la vita, è del luglio 1929. Gli anni della guerra e del dopoguerra furono fervidi di battaglie politiche, incontri e esperienze, come l’esordio della rivista «Les Temps Modernes» e l’amicizia con Camus, Leiris, Giacometti, Genet, Vian, Nelson Algren.Di Simone de Beauvoir Einaudi ha pubblicato I mandarini (Prix Goncourt 1954), Memorie di una ragazza perbene, L’età forte, La terza età, La forza delle cose, A conti fatti, Una morte dolcissima, Le belle immagini, Lo spirituale un tempo, Quando tutte le donne del mondo…, Una donna spezzata e La cerimonia degli addii.
Simone de Beauvoir: vita e opere
Chi è Simone de Beauvoir?-Scrittrice, filosofa, figura chiave del femminismo della seconda ondata: l’intellettuale Simone de Beauvoir è uno dei fiori all’occhiello della cultura francese, per la quale è ormai diventata un’icona.
Infanzia e passione per la scritturaNacque a Parigi nel 1908, da una famiglia cattolica e borghese, che le consentì di avere un’infanzia felice. Si appassionò alla scrittura da piccola, divertendosi a imitare i libri che leggeva, nonché a «editarli», rilegandoli con tanto di copertina. Condivideva questa passione con l’amica Zaza, che morì prematuramente nel 1929, senza realizzare il sogno di scrivere.
ZazaZaza è uno dei personaggi principali di Mémoires d’une jeune fille rangée (Memorie di una ragazza per bene), primo degli scritti autobiografici, in cui Simone de Beauvoir racconta la sua infanzia e la genesi del suo percorso intellettuale. In questo mémoire, Zazarappresenta la scrittura «uccisa» dalle convenzioni di una famiglia altoborghese, che le aveva impedito di emanciparsi spingendola al matrimonio. A lei fa da contrappunto la personalità indipendente di Simone de Beauvoir, che racconta le sue peregrinazioni notturne, in solitaria, nei bistrot parigini.
Simone De Beauvoir e Jean-Paul Sartre a Roma nel 1963 — Fonte: getty-images
La scrittura come strumento di liberazionePer scelta, Simone de Beauvoir non si sposò mai, e identificò nella scritturail suo principale strumento di liberazione. In un modo o nell’altro, tutti i suoi scritti sono di ispirazione autobiografica: l’impegno in letteratura significò, per lei, partire sempre dalla sua condizione di donna.
La relazione d’amore e intellettuale con SartrePresto decise che voleva insegnare, così si iscrisse all’università. Nel 1929 passò il concorso dell’Agrégation in filosofia, arrivando seconda: il primo classificato era Jean-Paul Sartre, filosofo dell’esistenzialismo. Lei lo chiamava “Sartre”, lui la soprannominò “il Castoro”, animale industrioso (dall’assonanza del suo cognome con l’inglese beaver): tra i due iniziò una relazione d’amore e un sodalizio intellettuale che durò tutta la vita. Erano una coppia originale, non esclusiva, basata sulle idee di necessità, libertà e trasparenza.
I primi romanzi e la rivista “Tempi moderni”Simone de Beauvoir insegnò fino al 1943, poi, dopo il successo del suo primo romanzo L’invitée (L’invitata), si dedicò solo alla scrittura. Nel 1945 fondò, insieme a Sartre e altri, la rivista Tempi moderni, che si prefiggeva di dare spazio alla letteratura impegnata, e pubblicò Le Sang des autres (Il sangue degli altri). Nel 1947, negli Stati Uniti, incontrò lo scrittore Nelson Algren, di cui si innamorò.
Il secondo sesso: saggio sul femminismoNel 1949 pubblicò Le deuxième sexe (Il secondo sesso), che diventò un saggio cardine del femminismo, anche se Simone de Beauvoir si definì femminista solo a partire dal 1970: «Lo sono diventata soprattutto dopo che il libro [Il secondo sesso] è esistito per altre donne». Si impegnò per la legalizzazione dell’aborto, firmando nel 1971 il Manifesto delle 343.
L’autobiografiaNel 1954 il romanzo Les mandarins (I mandarini) valse a Simone de Beauvoir il premio Goncourt, e nel 1958 pubblicò Mémoires d’une jeune fille rangée, iniziando l’impresa autobiografica che continuò con La force de l’age (nella traduzione italiana L’età forte, 1960), La force des choses (La forza della cose, 1963), Une morte très douce (Una morte dolcissima, 1964), Tout compte fait (A conti fatti, 1972), La Cérémonie des adieux (La cerimonia degli addii, 1981).
Raccolta di raccontiNel 1967 Simone de Beauvoir pubblicò la raccolta di racconti La femme rompue (Una donna spezzata). Nel 1968 lei e Sartre parteciparono attivamente agli eventi del maggio.
Morte di Simone de BeauvoirSimone de Beauvoir continua a scrivere negli ultimi anni di vita nella sua casa di Parigi, fino al 14 aprile del 1986, giorno della sua morte. La scrittrice viene seppellita nel cimitero di Montparnasse, accanto a Jean-Paul Sartre, suo compagno di vita.
Curiosità
Quando Simone de Beauvoir morì, nel 1986, centinaia di donne parteciparono al suo funerale, e la scrittrice Elisabeth Badinter gridò: “Donne, a lei dovete tutto!”.
2Simone de Beauvoir: opere
Le opere di de Beauvoir si dividono tra romanzi, memorie, saggi e scritti filosofici.
2.1Romanzi
RomanziAl centro di tutti i suoi romanzi c’è il tema del rapporto con l’Altro come momento essenziale di presa di coscienza di ogni individuo:
L’invitée è la storia di un ménage à trois. Françoise e Pierre vogliono sperimentare nuove modalità di relazione, e invitano una ragazza, Xavière, all’interno della loro coppia. La presenza di Xavière scombussola gli equilibri preesistenti al punto che Françoise finisce per ucciderla.
Le sang des autres è ambientato durante l’occupazione nazista e ha per protagonisti gli uomini e le donne della Resistenza alle prese con i loro dilemmi.
Les mandarins parla dei rapporti tra gli intellettuali di sinistra nel dopoguerra: il titolo fa riferimento ai “mandarini” della Cina del XVI secolo, i funzionari che detenevano il potere culturale.
La femme rompue si compone di tre racconti scritti in prima persona, nei quali l’introspezione femminile di tre donne in crisi mette in luce il loro ruolo all’interno della famiglia e della società.
2.2Memorie
MemoriePer Simone de Beauvoirscrittura e vita non potevano esistere l’una senza l’altra. L’impresa autobiografica accompagna quasi tutte le tappe della sua vita:
Mémoires d’une jeune fille rangée racconta infanzia e adolescenza, e la formazione che l’ha portata a intraprendere il suo personale percorso di emancipazione. Si chiude sulla morte di Zaza e sull’incontro con Sartre.
La force de l’age e La force des choses raccontano la vita adulta con Sartre: l’impegno politico e l’esistenzialismo.
Une morte très douce è incentrato sulla morte della madre.
Tout compte fait è una sorta di bilancio della sua vita.
La céremonie des adieux scritto dopo la morte di Sartre, ne racconta gli ultimi anni di vita.
2.3Saggi e scritti filosofici
Saggi e scritti filosoficiSimone de Beauvoir scrisse alcuni saggi come Faut-il brûler Sade? (Bruciare Sade? 1955) e La vieillesse (La terza età, 1960), ma nessuno di ampiezza e importanza parti a Il secondo sesso.
Il secondo sesso di Simone de Beauvoir – Le deuxième sexe
Successo e criticaQuando il libro uscì alcuni lettori si aspettavano uno scabroso racconto sessuale: furono delusi di fronte alle quasi mille pagine di trattazione sulla condizione della donna. Il primo volume vendette 22.000 copie in una settimana, l’edizione tascabile del 1969 raggiunse le 750.000 e venne tradotto in 33 lingue. Messo all’indice dal Vaticano, fustigato sia da destra che da sinistra, il libro si fonda sull’assunto che «donna non si nasce, si diventa».
L’identità della donna in FranciaFin dal quindicesimo secolo, in Francia, le donne scrittrici iniziarono a scardinare il modello interpretativo dominante in letteratura: quello maschile. Nel 1405, la protofemminista Christine de Pizan, ne Le livre de la Cité des dames, considerava l’identità della donna non come un fatto di natura, ma come il risultato di influenze storiche, sociali e culturali. De Beauvoir compì questa operazione dal punto di vista filosofico, inaugurando la riflessione ontologica dal punto di vista di genere: «traducendo» cioè, per la prima volta, la filosofia nella lingua del femminismo.
3.1Il secondo sesso: struttura del libro
Simone De Beauvoir, 1953 — Fonte: getty-images
StrutturaDal punto di vista della struttura, il libro nella prima parte analizza i punti di vista sulla donna adottati dalla biologia, dalla psicanalisi, dal materialismo storico, dalla letteratura. La seconda analizza come si è costituita la realtà femminile, e quali sono le conseguenze su di essa dei punti di vista maschili passati in rassegna in precedenza; quindi descrive il mondo, dal punto di vista delle donne, per come è stato loro proposto.
Come definire la natura della donnaPer definire la natura della donna, la filosofa rifiuta nozioni come «eterno femminino», e sostiene che sia necessario superare il dibattito – per lei conchiuso in sé stesso – su superiorità, inferiorità o uguaglianza tra uomo e donna, per ricominciare la discussione da zero, con altri termini.
Analizzare la condizione femminileA partire dall’assunto che la funzione biologica di femmina non è sufficiente a definire una donna, si chiede allora: che cos’è una donna? Se essere donna non è un mero dato naturale, ma una costruzione culturale, la condizione femminile va analizzata: quali circostanze limitano la libertà di una donna e può essa oltrepassarle? Se la risposta è sì, quali strade si aprono perché una donna si realizzi?
I riferimenti filosoficiPer rispondere a queste domande, i principali riferimenti filosofici che utilizza sono evidentemente l’esistenzialismo, e poi Hegel, Lacan e Lévi-Strauss.
Raggiungere l’indipendenzaSecondo De Beauvoir, per sottrarsi alla sua condizione di inferiorità imposta, una donna deve perseguire la propria emancipazione, tramite il raggiungimento dell’indipendenza economica e culturale.
Simone de Beauvoir: la vita
Nasce nel 1908 a Parigi da una famiglia borghese e cattolica
Si appassiona alla scrittura fin da piccola, condivide questa passione con l’amica Zaza
Decide di voler fare l’insegnante e si iscrive all’università
Nel 1929 muore l’amica Zaza, mentre lei passa il concorso dell’Agrégation in filosofia e incontra Sartre
La relazione intellettuale e amorosa con Sartre durerà per tutta la vita, sebbene entrambi avessero altre esperienze al di fuori della coppia
Erano due intellettuali impegnati, protagonisti dell’esistenzialismo
De Beauvoir insegnò fino al 1943, quando uscì il suo primo romanzo, poi si dedicò solo alla scrittura
Lei e Sartre parteciparono attivamente al maggio francese del ‘68
A partire dagli anni ’70, lei si dedicò all’impegno femminista, soprattutto in favore della legalizzazione dell’aborto
Morì nel 1986
Simone de Beauvoir: le opere
Romanzi: il tema di fondo è sempre il rapporto con l’Altro
L’invitée, 1943
Le sang des autres, 1944
Les mandarins, 1954, vince il premio Goncourt
La femme rompue, 1968.
Memorie: Raccontano le tappe della sua emancipazione e il suo percorso intellettuale, prima da sola poi insieme a Sartre
Mémoires d’une jeune fille rangée, 1958
La force de l’age, 1960
La force des choses, 1963
Une morte très douce, 1964
Tout compte fait, 1972
La Cérémonie des adieux, 1981
Saggi e scritti filosofici:
Il più importante è Le deuxième sexe, uscito nel 1949 e diventato un testo cardine del pensiero femminista
Il libro ha un successo enorme, vende centinaia di migliaia di copie
È una trattazione filosofica di quasi mille pagine sulla condizione della donna
Inaugura la riflessione ontologica da un punto di vista di genere
Si compone di due parti: la prima analizza i punti di vista maschili sulle donne attraverso varie discipline, la seconda analizza la realtà dal punto di vista delle donne.
L’affermazione principale del libro è che “donna non si nasce, si diventa”: significa che essere donna non è un dato naturale ma una costruzione culturale
I riferimenti filosofici utilizzati sono l’esistenzialismo, Hegel, Lacan, Lévi-Strauss
Per superare una condizione di inferiorità imposta, sostiene che per le donne sia necessario perseguire l’indipendenza economica e culturale
Franco Leggeri Fotoreportage- Murales Castelnuovesi -I tetti di Castelnuovo di Farfa, il mio Dedalo.
Castelnuovo di Farfa (Rieti)
Franco Leggeri Fotoreportage-Brani e foto da Murales Castelnuovesi -I tetti di Castelnuovo di Farfa, il mio Dedalo.Scoprire, o riscoprire Castelnuovo, cercando di aver gli occhi disincantati, mi permette comunque di vederne l’anima del mio Dedalo la più popolare, la più vissuta dalla gente comune. Scopro e riscopro, nuovo punto di vista, dopo tanti anni i vicoli del mio “Borgo Dedalo”, dove ho trascorso l’infanzia e la mia giovinezza che, nell’età dell’incoscienza, appare eterna. Se da adulti, in modo crudo, ci rendiamo conto che la vita passa in fretta, ci consola il pensiero che l’eterno rimane non nella materia, ma nelle vibrazioni, nelle sensazioni che aleggiano intorno a noi e che percepiamo secondo la nostra sensibilità e i nostri stati d’animo. Ora, osservando i tetti, vale la pena ricordare e raccontare e magari riflettere su queste nuove sensazioni che danno i tetti di Castelnuovo. Quante cose sono cambiate in queste vie , tante persone ,attori nella mia fanciullezza, non esistono più, altre sono invecchiate e altre ancora sono lontano altrove a cercare una vita diversa . E’ strano cercare dai tetti, di aprirli, e vedere, nei ricordi, le persone che abitavano la casa, scoprire l’atmosfera, rivivere gli stati d’animo con occhi diversi, con esperienza ,“lunga esperienza della vita”, reinventare ed animare anche i più piccoli dettagli del quotidiano la vita semplice e minimalista di una volta.
Castelnuovo di Farfa-Disegno di Tatiana Concas
Castelnuovo di Farfa
Castelnuovo di Farfa-Disegno di Tatiana Concas
Vedo le vie di Dedalo là dove diventano più ripide, più stette , gli incroci e giù per i vicoli e scalette e ancora piccoli cortili e scale buie, soprattutto d’inverno. Nel mio paese, nel mio Dedalo ora sono cambiate molte, moltissime cose forse troppe .Sono cambiate le persone, le case, anche le storie non sono più le stesse. Ma il “Borgo Dedalo” , il mio Castelnuovo , quello carico di storie scritte su di epigrafi marmoree “inchiodate” nella mia anima. Queste storie, immutabili e solide, che parlano e raccontano alla mia memoria, come una canzone poetica infinita ,di un Castelnuovo tramontato per sempre. Il mio paese, Castelnuovo, il mio Dedalo è un posto così sconosciuto alla “nuova gente” che ora lo abita e lo “consuma” e che ne distrugge il verde e la sua storia. La “nuova gente” che non ha
l’abitudine di menzionarne il nome del mio Dedalo. La “nuova gente” non può ricordare la musica , dolci suoni, che uscivano da ogni porta , non può godere il trionfo delle emozioni e la purezza dei sogni che nascondono i cuori carichi di emozioni che creano le case del “mio paese” .
…………………………………………..
Se Castelnuovo si legge come uno spartito musicale ……
……….ed è così che da quelle porte sarebbe uscito il suono di un pianoforte o un di violino o di un’arpa o di una batteria, in un trionfo di suoni, braccia aperte e cuori vibranti, e palpitante di emozioni.
Questo è il mio sogno più puro.
Un sogno che tengo ancora nascosto da qualche parte dentro di me, ma al quale ho smesso di credere.
A Castelnuovo è amministrato il razzismo ed è ancora in uso , forte consumo, il filo spinato che traccia il confino e i confini per gli esclusi.
Le vibrazioni dell’anima sono respinte da un muro di odio.
“ipocrisia, incapacità, odio e degrado morale.”
È questo l’inno, la lugubre nenia , che cantano e suonano gli assassini della Libertà.
La mia musica, quella che scrive la mia penna,
La musica che scrivo sul foglio bianco è in cerca dei tasti bianchi e neri.
Si ferma ad ascoltarmi e mi accarezza i capelli.
Castelnuovo non regge l’odio e l’astio.
Castelnuovo che naviga nel cielo e vola, lo prego, aggrappato alla mia fantasia.
Castelnuovo le prime note,
i primi palpiti di cuore, i tanti circoli viziosi ,
sì, questi sono i pensieri per un’opera incompiuta.
I ricordi dei volti rigati
con lacrime di dolore .
Castelnuovo non piangeva, ma non era triste, aveva capito.
Castelnuovo ,il suo volto rigato dalla commozione…………………..
………………………………………..
Brani tratti dal libro di Franco Leggeri-Castelnuovo, la riva Sinistra del Farfa
Castelnuovo di Farfa (Rieti) Panorama (prima del 1935)
NOTA-la foto di Castelnuovo è del 1920, forse anche prima. Il Campanile , come si può vedere, ancora non è stato restaurato. I lavori di restauro, forma attuale, furono eseguiti nel 1935. Da questa foto mancano tante nuove costruzioni e sopraelevazioni..
Castelnuovo di Farfa e i suoi particolariCastelnuovo di Farfa e i suoi particolariCastelnuovo di Farfa-Castelnuovo di Farfa e i suoi particolariCastelnuovo di Farfa e i suoi particolariCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di FarfaCastelnuovo di Farfa-Porta CastelloCastelnuovo di Farfa -40simoPremio letterario “LA TORRE D’ARGENTO”-1982-2022Castelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa (Rieti)Castelnuovo di Farfa la notte e i Bar di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte e i Bar di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte e i Bar di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte e i Bar di via Roma.Castelnuovo di Farfa la notte e i Bar di via Roma.Castelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARECastelnuovo di Farfa (Rieti) nei disegni di Francesca Vanoncini- La CampagnaCastelnuovo di Farfa (Rieti) nei disegni di Francesca Vanoncini-La Torre dell’OrologioCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Foto 1950-Castelnuovo di Farfa (Rieti) Foto del 1889Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Foto anni 1950/60-Loc. LA VIGNACastelnuovo di Farfa (Rieti) – Foto inizio 1900-Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Foto inizio 1900-Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Foto inizio 1900-Castelnuovo di Farfa (Rieti) –Castelnuovo di Farfa (Rieti) –Castelnuovo di Farfa (Rieti) – La FontanaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – chiesa Madonna degli AngeliCastelnuovo di Farfa (Rieti) – chiesa Madonna degli AngeliCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Monte Cavallo -La PorticinaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via GaribaldiCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via CoronariCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Porta Fonte CisternaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Arco CherubiniCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Porta Fonte CisternaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Il GhettoCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Arco CherubiniCastelnuovo di Farfa (Rieti) – La PorticinaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Roma OvestCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via CoronariCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Guglielmo Marconi-La FontanellaCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via CoronariCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Garibaldi-Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Via CoronariCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via CoronariCastelnuovo di Farfa (Rieti) – Via Guglielmo Marconi-Via Arco Cherubini
Sonia Petroni Poesie da Di*vento-Rivista l’Altrove-Eretica Edizioni
Sonia Petroni
Sonia Petroni è nata a Roma nel 1977. Psicologa Psicoterapeuta vive a Bari dove svolge il suo lavoro privatamente. Dipinge, crea oggetti di design ed ama immensamente la natura da cui trae ispirazione. Il mare è suo padre adottivo. Gli ulivi suoi fratelli. Di*vento è il suo primo componimento in versi.
Di*vento di Sonia Petroni (Eretica Edizioni, 2023) eleva la saggia persuasione del tempo umano in relazione all’infinito, consuma il primitivo desiderio del silenzio in un patrimonio d’armonia e di pienezza emotiva, nella riflessione di una sorgente formata nel linguaggio simbolico della natura incontaminata e rivelatrice d’ispirazione.
DESCRIZIONE
Ecco di seguito alcuni testi tratti dalla raccolta:
Il dolore come inizio la luce mi attraversa nulla inizia né finisce in me. Accade. Non sono l’ombra sul pavimento né il muro che s’accende. Sono il vetro che lascia entrare la misericordia del sole.
Sentire le cose senza ragione. Arrivare dove loro sono ed io non ancora.
Posso essere ferma come gli alberi che non è immobilità, ma movimento fisso. Lo vedo nei riccioli dei rami, nei miei capelli. Accogliere è restare anche per il fuoco. Le radici continueranno a cercare.
La poesia è il mio posto luminoso come può esserlo una fiamma protetta dal vento. Il raggio trova aperture e si posa dritto nell’oscurità della caverna. Tra il nero e la luce eccomi essenziale a brillare come pietra scheggiata.
La felicità è come neve tra i capelli l’azzurro ne detta la fine ma il bianco resta a contornare le attese la mimosa zavorra i sogni l’ulivo ispessisce le forze tra i campi pettinati di fragilità.
Radunare le radici ed i rami farsi uliveto e fiori di mandorlo per i nidi e poi per i voli per il Silenzio che disperde i rumori richiamando a sé le erbe, anche quelle secche i legni spezzati i segreti degli iris e le verità delle foglie verdi. Discende nel cadere dei petali per farti dire la tua prima parola dopo aver detto la sua.
Ho fiducia nella paglia su questo accenno di strada vegetale l’invito al nido per il nascere tra il verde delle ere, dei passi, i crepitii.
Finisce la mia assenza dentro l’intreccio d’un pezzo di rovo un gioiello luminoso, carte colorate resti presi per gusto, per gioco.
Tra il dare ed il ricevere senza alcun debito ad uno ad uno si posa il mio essere qui.
A cura di Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
L’AUTRICE
Sonia Petroni
Sonia Petroni è nata a Roma nel 1977. Psicologa Psicoterapeuta vive a Bari dove svolge il suo lavoro privatamente. Dipinge, crea oggetti di design ed ama immensamente la natura da cui trae ispirazione. Il mare è suo padre adottivo. Gli ulivi suoi fratelli. Di*vento è il suo primo componimento in versi.
Di*vento di Sonia Petroni (Eretica Edizioni, 2023) eleva la saggia persuasione del tempo umano in relazione all’infinito, consuma il primitivo desiderio del silenzio in un patrimonio d’armonia e di pienezza emotiva, nella riflessione di una sorgente formata nel linguaggio simbolico della natura incontaminata e rivelatrice d’ispirazione.
Sonia Petroni concede, all’immanente qualità dei suoi immacolati versi, il prezioso e raffinato intuito meditativo per trascrivere la direzione della transitorietà esistenziale e indicare la successione delle presenze e la tessitura delle assenze lungo le stagioni itineranti del sentire. Accoglie la dimensione contemplativa del pensiero nella compassione, nella capacità di alleggerire il dolore attraverso la comunanza cognitiva della coscienza. L’autrice modula il suo respiro poetico con l’intonazione essenziale di una esperienza interiore, concentrando l’appassionato perimetro espressivo nell’inesauribile, sapiente equilibrio tra il nutrimento lirico del naturalismo e il vincolo della materia, declinando il solco dei versi nella percezione del percorso vitale e nella sensazione dello smarrimento e del rinvenimento. Seduce l’autentico miracolo della poesia con la disposizione a cogliere in ogni disposizione d’animo la dimensione interpretativa del molteplice, a ritrovare, nella diffusione del battito in relazione ricorrente con la natura, il richiamo della realtà come applicazione della proiezione all’ascolto. L’analisi costante e spontanea del mistero umano compone il mosaico della conversazione intorno alla frammentaria erosione dell’esistenza, permette di cogliere il flusso di connessione e di attenzione ai doni della vita, aggrappati alla devozione della luce.
La poesia di Sonia Petroni intensifica la corrispondenza dell’incanto, l’improvvisa e imprevedibile risonanza dell’orizzonte emotivo, commuove l’inclinazione all’applicazione letteraria della spiritualità in ogni sentimento, abitato dalla fiduciosa generosità di una permanenza nella vibrazione della meraviglia, dialoga intorno alla benedizione di una preghiera invisibile che attende di ricevere l’immensità delle promesse avvolte nelle radici della terra. “Di*vento” racconta il territorio dell’identità, nel confine tra la timorosa solitudine delle domande e la condivisione silenziosa delle risposte, illustra l’inviolabile requisito stilistico di inaugurare il rifugio intimista tra noi e il significato dei valori nella sfera sensibile, riempie le pagine con una declinazione scultorea delle parole, nell’intesa confidente dell’energia divinatoria della consapevolezza, nella compiutezza della prospettiva profetica che gravita intorno a noi.
Sonia Petroni lascia intatta la località tumultuosa del buio per aggirare il tragitto iniziatico della sofferenza, immerge nella ferita del dolore l’incisione del riflesso luminoso, dissolve il raccoglimento di ogni vincolo verso la benevola meditazione, rinnova la cadenza di una conversione panteistica che assimila l’apertura, intensamente viva, di ogni luogo a essere definito un luogo dell’anima. Sonia Petroni alberga con la sua poesia l’entità indivisibile suggerita dalla congiunzione tra il corpo e la mente, sussurrata dalla delicatezza di un alito di vento che accarezza l’insegnamento della voce nuda, trattiene il torpore della sacralità, conforta la religiosità dell’abbraccio universale nel paesaggio rapito dallo sguardo primordiale.
FERMO-Palazzo dei Priori-la mostra “Steve McCurry – Children”-
Fermo- Torna a Palazzo dei Priori di Fermo il nuovo appuntamento con “Il tempo delle mostre“, questa volta dedicato all’arte del celebre fotografo americanoSteve McCurry. Dal 20 dicembre 2024 al 4 maggio 2025 le sale del Palazzo ospitano la mostra “Steve McCurry – Children”, ideata e curata di Biba Giacchetti. La mostra inaugura un percorso emozionante sull’infanzia vista attraverso l’obiettivo di Steve McCurry, uno dei fotografi più amati al mondo
Fermo- Steve McCurry fotografo americano
Con oltre 50 fotografie, il pubblico avrà l’occasione di ammirare l’unica esposizione tematica interamente dedicata ai bambini, realizzata nell’arco di quasi cinquant’anni di carriera. Le immagini, provenienti da ogni angolo del mondo, ritraggono i più piccoli in scene di vita quotidiana, offrendo un omaggio a questo periodo straordinario della vita.
Spiega Steve McCurry: “Ho avuto il grande privilegio di fotografare i bambini di tutto il mondo e ora che ho una figlia anch’io apprezzo ancora di più la loro energia, la loro curiosità, le loro potenzialità. Nonostante il contesto difficile in cui molti di loro nascono, i bimbi hanno la capacità di giocare, sorridere, ridere e condividere piccoli momenti di gioia. C’è sempre la speranza che un bambino possa crescere e cambiare il mondo.”
Fermo- Steve McCurry fotografo americano
L’inaugurazione della mostra si terrà giovedì 19 dicembre alle ore 17. La mostra è promossa dal Comune di Fermo con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo, in collaborazione con Orion57, partner Mus-e del Fermano. L’organizzazione è affidata a Maggioli Cultura e Turismo.
Fermo- Steve McCurry fotografo americano
A Fermo una straordinaria galleria di ritratti esplora tutte le sfaccettature dell’infanzia, accomunate da un elemento universale: lo sguardo dell’innocenza. I bambini immortalati da McCurry, pur diversi per etnia, abiti e tradizioni, condividono la stessa energia inesauribile, la gioia di vivere e la capacità di giocare anche nei contesti più difficili, spesso segnati da povertà, conflitti o condizioni ambientali estreme. Il visitatore sarà guidato in un viaggio ideale accanto a McCurry, attraverso paesi come India, Birmania, Pakistan, Tibet, Afghanistan, Libano, Etiopia e Cuba….
Steve McCurry fotografo americano
Biografia di Steve McCurry Fotoreporter statunitense (n. Filadelfia, Pennsylvania, 1950). Dopo la laurea in Teatro alla Penn State University e l’esperienza in un quotidiano locale, ha iniziato a lavorare come freelance in India. Poco dopo l’invasione russa dell’Afghanistan, è riuscito ad attraversare il confine con il Pakistan e a fotografare la situazione del paese: nel 1980 il servizio è stato premiato con la Robert Capa Gold Medal. Da quel momento in poi, M. ha continuato a seguire i conflitti internazionali (dalla Guerra del Golfo al conflitto Iran-Iraq), sempre animato dal desiderio di mostrare le conseguenze delle guerre sui volti e sui paesaggi. Noto al grande pubblico per la “Ragazza afgana” (foto pubblicata nel 1985 sul National Geographic), ha vinto prestigiosi premi quali il Magazine Photographer of the Year, il National Press Photographers Award e per quattro volte il World Press Photo Contest. M. è uno dei fotografi più riconoscibili e apprezzati al mondo; fra le mostre che hanno ospitato i suoi lavori si ricordano Viaggio intorno all’uomo (Genova, 2012), Oltre lo sguardo (Monza – Roma 2014-15), Icons and Women (Forlì, 2015), Leggere (Brescia, 2017).Fonte- Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
Orari di apertura: dal martedì al venerdì 10:30 – 13 / 15:30 – 18; sabato e domenica 10:30 – 13 / 15:30 – 19. lunedì chiuso. Previste aperture straordinarie in occasione di eventi e festività.
Biglietto: unico Fermo Musei € 9,00; ridotto € 7,00 (ragazzi dai 14 ai 25 anni, gruppi composti da più di 15 persone, soci FAI, soci Touring Club Italia, soci Italia Nostra); gratuito under 13, disabili, soci Icom, giornalisti con tesserino. Il biglietto include l’ingresso al circuito museale della città.
È possibile acquistare il biglietto online sul sito web fermomusei.it.
Carmelo Pecora- Noi che siam stati partigiani-Uomini e donne della Resistenza
Edizioni del Loggione -Modena
Descrizione del libro di Carmelo Pecora- Noi che siam stati partigiani-Edizioni del Loggione -Modena-Noi che siam stati partigiani propone tre storie, una al femminile e due al maschile, tutte romagnole, e ambientate a non molta distanza o nei pressi della linea Gotica che fu, come è noto, l’ultimo baluardo tedesco e “repubblichino” contro le armate alleate che risalivano da sud per dilagare nella pianura Padana, e vide un’intensa attività partigiana con terribili orrori, stragi ed eccidi perpetrati dai nazifascisti. Raccontate, alternando la prima o la terza persona, le storie incrociano la grande storia dove trovano un posto degno. Ma eccone i protagonisti. Mario Bonazza, classe 1928, nome di battaglia Calipso, partigiano ravennate, di Marina di Ravenna per l’esattezza, combattente col leggendario comandante Bulow, Arrigo Boldrini, 28ª brigata Garibaldi. Sergio Giammarchi, forlivese, sale in montagna con Adriano Casadei per unirsi alla banda di Silvio Corbar. Nara Lotti, staffetta partigiana di Santa Sofia, si schiera, sull’esempio dei fratelli combattenti nella Resistenza, contro la prepotenza criminale dei nazifascisti: durissime ma letterariamente bellissime l’infanzia e la giovinezza di questa donna che non piegò mai la testa. (Dalla prefazione di Gianfranco Miro Gori)
Edizioni del Loggione srl
Via Piave, 60 – 41121 – Modena – Italy
I nostri libri sono distribuiti da diversi distributori regionali:
Per l’Emilia Romagna, Marche, Abruzzo: EUROSERVIZI, Via Agucchi 84/12. 40133 Bologna. Tel. 051/3140183 – 333/1222979 – euroservizibologna@gmail.com
Per la Lombardia e il Canton Ticino DISTRIBOOK , Via M.F. Quintiliano 20 – 20138 Milano tel. +39-02.58.01.23.29 – fax +39-02.58.01.23.39 distribook@gmail.com
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da “Tutte le poesie“Mondadori- dalla Rivista Avamposto
Giovanni Giudici nasce il 26 giugno 1924 a Le Grazie (La Spezia). Vive per molti anni a Roma, dove si laurea in Lettere. Giornalista professionista dal 1° gennaio 1948, nel 1956 viene assunto alla Olivetti di Ivrea con l’incarico formale di bibliotecario, ma in realtà per dirigere, secondo la volontà di Adriano Olivetti, il settimanale «Comunità di fabbrica».
Mi chiedi cosa vuol dire
Mi chiedi cosa vuol dire
la parola alienazione:
da quando nasci è morire
per vivere in un padrone
che ti vende – è consegnare
ciò che porti – forza, amore,
odio intero – per trovare
sesso, vino, crepacuore.
Vuol dire fuori di te
già essere mentre credi
in te abitare perché
ti scalza il vento a cui cedi.
Puoi resistere, ma un giorno
è un secolo a consumarti:
ciò che dài non fa ritorno
al te stesso da cui parte.
È un’altra vita aspettare,
ma un altro tempo non c’è:
il tempo che sei scompare,
ciò che resta non sei te.
Il benessere
Quanti hanno avuto ciò che non avevano:
un lavoro, una casa – ma poi
che l’ebbero ottenuto vi si chiusero.
Ancora per poco sarò tra voi.
Dal cuore del miracolo
Parlo di me, dal cuore del miracolo:
la mia colpa sociale è di non ridere,
di non commuovermi al momento giusto.
E intanto muoio, per aspettare a vivere.
Il rancore è di chi non ha speranza:
dunque è pietà di me che mi fa credere
essere altrove una vita più vera?
Già piegato, presumo di non cedere.
La vita in versi
Metti in versi la vita, trascrivi
fedelmente, senza tacere
particolare alcuno, l’evidenza dei vivi.
Ma non dimenticare che vedere non è
sapere, né potere, bensì ridicolo
un altro voler essere che te.
Nel sotto e nel soprammondo s’allacciano
complicità di visceri, saettano occhiate
d’accordi. E gli istanti s’affacciano
al limbo delle intermedie balaustre:
applaudono, compiangono entrambi i sensi
del sublime – l’infame, l’illustre.
Inoltre metti in versi che morire
è possibile a tutti più che nascere
e in ogni caso l’essere è più del dire.
GIOVANNI GIUDICI
Quando piega al termine
Quando piega al termine l’età,
la nostra età, l’età del mondo, quando
aspettare il nulla che accadrà
è chiaramente un inganno – si mette al bando
volontario colui che il sorriso rifiuta
e non sopporta di essere vile
più, non chiede più complici e muta
persona diventa, facile preda ostile.
Ciao, Sublime
Tu, cosa della cosa
o Sublime.
Al di là della fine
e senza fine.
Senza principio
al di qua del principio.
Sublime – esser per essere.
Sublime – divenire.
Crisma dell’immanenza.
Sublime – stella fissa del durare.
Superfluità della coscienza.
Ciao, Sublime.
Ciao, Sublime.
Sublime che non si volta.
Sublime che non si ascolta.
Sublime senza prima
né ultima volta.
Io no – che sempre aspetto
il cominciare, l’apertura.
Io no – per poca fede.
Per poca paura.
Io – senza occhi per contemplarti.
Io che non ho ginocchi per adorarti.
Cosa della cosa.
Rosa della rosa.
Tu – rosa e cosa
ma senza le parole cosa e rosa.
Tu – non foglia che cresce
ma crescersi di foglia.
Tu – non mare che splende
ma splendersi del mare.
Tu – amore nell’amare.
Ciao, Sublime.
Ciao, Essere Umano semplicemente.
E io che passeggio con te.
Io che posso prenderti per mano.
Io che mi brucio di te
nel corpo, nella mente.
Maria de las angustias
Un massimo di impostura è inevitabile
Considerato quanto futile è il cuore:
Anche dalla finzione tuttavia il vero può nascere
Smascherata maschera all’incerto amore.
Egli fabbrica e notturno arzigògola
La via donde buscar el Levante:
A te sale e ti osa, Maria de las angustias,
Ti chiama presenza/assenza, essenza miracolante.
Ma tu per mano a angoli d’acque lo guidavi,
Che in ombre marezzavano le arcate discrete:
E lui con te così tortuosamente naturale
Nell’estraneità di quella quiete.
***
Maestra di enigmi
Affermate che basta una parola
E quella sola che nessuno ha –
Lei che trasvola via dalla memoria
Lucciola albale e falena
È nera spina di pena
Brùscolo a un occhio di storia –
Venisse al mio parlare
Èffeta e poi per sempre bocca muta
Al servo vostro stretto
Frugando sul sentiero
Dove non scende lume di pietà –
Se la felicità sia il nostro vero
O il nostro vero la felicità
L’amore dei vecchi
In una gloria di sole occidente
Vaneggi, mente stanca:
Inseguito prodigio non si adempie
Nell’aldiquà del fiore che s’imbianca
Ma tu, distanza, torna a ricolmarti
Tu a farti terra in questa ferma fuga
Mare di nuda promessa
Ai nostri balbettati passi tardi
E tu, voce, rimani
Persuàdici – un poco, un poco ancora
Nostro non più domani,
Usignolo dell’aurora.
Il mio delitto
Se scrivere era vivere
Vissuto fu lo scritto
Cercavo appena un’isola di spazio
Un silenzio un sorriso intorno a me
E blando vino e modica allegria
Un quieto conversare a lume spento
Esserne perdonato non sapendo
Il mio delitto
GIOVANNI GIUDICI
Breve biografia di Giovanni Giudici nasce il 26 giugno 1924 a Le Grazie (La Spezia). Vive per molti anni a Roma, dove si laurea in Lettere.Giornalista professionista dal 1° gennaio 1948, nel 1956 viene assunto alla Olivetti di Ivrea con l’incarico formale di bibliotecario, ma in realtà per dirigere, secondo la volontà di Adriano Olivetti, il settimanale «Comunità di fabbrica». Dopo un breve periodo trascorso a Torino, nel 1958 è nella sede Olivetti di Milano, dove lavora come copywriter nella Direzione pubblicità e stampa. Nel 1953 pubblica la prima raccolta di versi, Fiorì d’improvviso. La vita in versi, uscito nel 1965, lo impone definitivamente all’attenzione di lettori e critici. Negli anni successivi dà alle stampe Autobiologia (1969, Premio Viareggio), O beatrice (1972), Il male dei creditori (1977), Il ristorante dei morti (1981), Lume dei tuoi misteri (1984), Salutz (1986, Premio Librex-Guggenheim Montale), Prove del teatro (1953-1988) (1989), Fortezza (1990), Poesie (1953-1990) (1991), Quanto spera di campare Giovanni (1993), Empie stelle (1996), Eresie della sera (1999). Nel 2000 la sua opera poetica è raccolta nel Meridiano I versi della vita. Nel 2004 esce l’ultima raccolta, Da una soglia infinita. Prove e poesie 1983-2002. Muore a La Spezia il 24 maggio 2011.
Testi selezionati da Tutte le poesie (Mondadori, 2014) dalla RIVISTA «Avamposto»
«Avamposto»è uno spazio di ricerca, articolato in rubriche di approfondimento, che si propone di realizzare un dialogo vivo rivolto allo studio della poesia attraverso un approccio multidisciplinare, nella consapevolezza che una pluralità di prospettive sia maggiormente capace di restituirne la valenza, senza mai sfociare in atteggiamenti statici e gerarchizzanti. Ma «Avamposto» è anche un luogo di riflessione sulla crisi del linguaggio. L’obiettivo è interrogarne le ragioni, opponendo alla tirannia dell’immediatezza – e alla sciatteria con la quale viene spesso liquidata l’esperienza del verso – un’etica dello scavo e dello sforzo (nella parola, per la parola). Tramite l’esaltazione della lentezza e del diritto alla diversità, la rivista intende suggerire un’alternativa al ritmo fagocitante e all’omologazione culturale (e linguistica) del presente, promuovendo la scoperta di autori dimenticati o ritenuti, forse a torto, marginali, provando a rileggere poeti noti (talvolta prigionieri di luoghi comuni) e a vedere cosa si muove al di là della frontiera del già detto, per accogliere voci nuove con la curiosità e l’amore che questo tempo non riesce più a esprimere.
CONTATTI- RIVISTA «Avamposto»
Via Lupardini 4, 89121 Reggio Calabria (c/o Sergio Bertolino)
Poeta cileno VICENTE HUIDOBRO-Poesia MONUMENTO AL MARE-
VICENTE HUIDOBRO
Vicente García-Huidobro Fernández (Santiago del Cile, 10 gennaio 1893 – Cartagena, 2 gennaio 1948) è stato l’ideatore del “creazionismo poetico” ed è considerato tra i quattro maggiori poeti cileni insieme a Neruda, De Rokha e Mistral.
MONUMENTO AL MARE
Pace sulla costellazione cantante delle acque Scontrate come gli ombri della moltitudine Pace nel mare alle onde di buona volontà Pace sulla lapide dei naufragi Pace sui tamburi dell’orgoglio e le pupille tenebrose E se io sono il traduttore delle onde Pace anche su di me.
Ecco qui lo stampo pieno di frantumi del destino Lo stampo della vendetta Con le sue frasi iraconde che si staccano dalle labbra Ecco qui lo stampo pieno di grazia Quando sei dolce e stai lì ipnotizzato dalle stelle
Ecco qui la morte inesauribile dal principio del mondo Perché un giorno nessuno se ne andrà a spasso per il tempo Nessuno lungo il tempo lastricato di pianeti defunti
Questo è il mare Il mare con le sue onde proprie Con i suoi propri sensi Il mare che cerca di rompere le sue catene Che vuole imitare l’eternità Che vuole essere polmone o nebbiolina di uccelli in pena O il giardino degli astri che pesano nel cielo Sulle tenebre che trasciniamo O che forse ci trascinano Quando volano di repente tutte le colombe della luna E si fa più oscuro dei crocevia della morte
Il mare entra nel carro funebre della notte E si allontana verso il mistero dei suoi paraggi profondi S’ode appena il rumore delle ruote E l’ala degli astri che soffrono nel cielo Questo è il mare Che saluta laggiù lontano l’eternità Che saluta gli astri dimenticati E le stelle conosciute.
Questo è il mare che si desta come il pianto di un bambino Il mare che apre gli occhi e cerca il sole con le piccole mani tremanti Il mare che spinge le onde Le sue onde che mescolano i destini
Alzati e saluta l’amore degli uomini
Ascolta le nostre risa e anche il nostro pianto Ascolta i passi di milioni di schiavi Ascolta la protesta interminabile Di quell’angoscia che si chiama uomo Ascolta il dolore millenario dei petti di carne E la speranza che rinasce dalle proprie ceneri ogni giorno.
Anche noi ti ascoltiamo Rimuginando tanti astri catturati nelle tue reti Rimuginando eternamente i secoli naufragati Anche noi ti ascoltiamo
Quando ti rigiri nel tuo letto di dolore Quando i tuoi gladiatori si battono tra di loro
Quando la tua collera fa esplodere i meridiani Oppure quando ti agiti come un gran mercato in festa Oppure quando maledici gli uomini O fingi di dormire Tremante nella tua grande ragnatela in attesa della preda.
Piangi senza sapere perché piangi E noi piangiamo credendo di sapere perché piangiamo Soffri soffri come soffrono gli uomini Che tu possa ascoltare digrignare i tuoi denti nella notte E rigirarti nel tuo letto Che l’insonnio non ti lasci placare le tue sofferenze Che i bambini prendano a sassate le tue finestre Che ti strappino i capelli Tosse tosse faccia esplodere in sangue i tuoi polmoni Che le tue molle si arrugginiscano E tu venga calpestato come cespuglio di tomba
Però sono vagabondo e ho paura che mi ascolti Ho paura delle tue vendette Dimentica le mie maledizioni e cantiamo insieme stanotte Fatti uomo ti dico come io a volte mi faccio mare Dimentica i presagi funesti Dimentica l’esplosione delle mie praterie Io ti tendo le mani come fiori Facciamo la pace ti dico Tu sei il più potente Che io stringa le tue mani nelle mie E sia la pace tra di noi
Vicino al mio cuore ti sento Quando ascolto il gemito dei tuoi violini Quando stai lì steso come il pianto di un bambino Quando sei pensieroso di fronte al cielo Quando sei dolorante tra le tue lenzuola Quando ti sento piangere dietro la mia finestra Quando piangiamo senza ragione come piangi tu.
Ecco qui il mare Il mare dove viene a scontrarsi l’odore delle città Col suo grembo pieno di barche e pesci e altre cose allegre Quelle barche che pescano sulla riva del cielo Quei pesci che ascoltano ogni raggio di luce Quelle alghe con sonni secolari E quell’onda che canta meglio delle altre
Ecco qui il mare Il mare che si distende e si afferra alle sue rive Il mare che avvolge le stelle nelle sue onde Il mare con la sua pelle martirizzata E i sussulti delle sue vene Con i suoi giorni di pace e le sue notti di isteria
E all’altro lato che c’è all’altro lato Che nascondi mare all’altro lato L’inizio della vita lungo come un serpente O l’inizio della morte più profonda di te stesso E più alta di tutti i monti Che c’è all’altro lato La millenaria volontà di fare una forma e un ritmo O il turbine eterno dei petali troncati
Ecco lì il mare Il mare spalancato Ecco lì il mare spezzato all’improvviso Affinché l’occhio veda l’inizio del mondo Ecco lì il mare Da un’onda all’altra c’è il tempo della vita Dalle sue onde al mio occhio c’è la distanza della morte.
Traduzione di Gianni Darconza per Raffaelli Editore
Breve biografia di Vicente García-Huidobro Fernández (Santiago del Cile, 10 gennaio 1893 – Cartagena, 2 gennaio 1948) è stato l’ideatore del “creazionismo poetico” ed è considerato tra i quattro maggiori poeti cileni insieme a Neruda, De Rokha e Mistral. Il creazionismo vuole fare della poesia uno strumento di creazione assoluta, in modo che i segni linguistici acquistino valore per la loro capacità di esprimere bellezza in sé e non per il loro significato sostanziale. Huidobro stesso descrisse, nella sua raccolta di saggi Manifesti, del 1925, cosa sia una poesia creata: «È una poesia nella quale ogni parte che la costituisce, e tutto l’insieme, mostra un fatto nuovo, indipendente dal mondo esterno, slegato da qualunque altra realtà che non sia la propria, che prende il suo posto nel mondo come fenomeno singolo, a parte, distinto dagli altri. Questa poesia è qualcosa che non può esistere se non nella testa del poeta. E non è bella perché ricorda qualcosa, perché ricorda cose viste, a loro volta belle, né perché descriva cose belle che potremmo anche vedere. È bella in sé e non ammette termini di comparazione. E nemmeno può essere concepita fuori dal libro. Niente le somiglia del mondo esterno; rende reale quel che non esiste, cioè si fa realtà a se stessa. Crea il meraviglioso e gli dà vita propria. Crea situazioni straordinarie che non potranno mai esistere nel mondo oggettivo, per cui dovranno esistere nella poesia perché esistano da qualche parte. Quando scrivo: “L’uccello fa il nido nell’arcobaleno”, si presenta un fatto nuovo, qualcosa che non avevate mai visto, che mai vedrete e che tuttavia vi piacerebbe molto vedere. Il poeta deve dire quelle cose che mai si direbbero senza di lui. Le poesie create acquisiscono proporzioni cosmogoniche; ci danno in ogni momento il vero sublime, quel sublime del quale i testi ci presentano esempi tanto poco convincenti. E non si tratta del sublime eccitante e grandioso, ma di un sublime senza pretese, senza terrore, che non vuole opprimere o schiacciare il lettore: un sublime da taschino. La poesia creazionista si compone di immagine create, di situazioni create, di concetti creati; non stiracchia alcun elemento della poesia tradizionale, salvo che in essa quegli elementi sono integralmente inventati, senza preoccuparsi assolutamente della loro realtà o veridicità precedenti l’atto della realizzazione».
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