Franco Leggeri Fotoreportage-Fiume ARRONE-Confine di Roma-Fiumicino
L’Arrone è un fiume del Lazio; scorre nella provincia di Roma, è lungo 35 chilometri, nasce nella parte sud-orientale del lago di Bracciano ad Anguillara Sabazia e sfocia a Fiumicino nel mar Tirreno tra Maccarese e Fregene. Il bacino misura 125 km² di superficie.
Pur configurandosi emissario del lago di Bracciano, il contributo del lago alla portata del fiume è esiguo, e in alcuni mesi dell’anno del tutto nullo. Nell’alto bacino sono presenti le sorgenti dell’Acqua Claudia.
Dall’estremità sudorientale del lago, a quota 164 nsln, il fiume si dirige da Nord Ovest a Sud Est per circa 3 km, poi si dirige a Sud per 12 km e quindi a Sud Ovest fino alla foce. In questo tratto confluisce il Rio Maggiore, affluente di destra. Subito a valle di questa confluenza il bacino dell’Arrone è attraversato dalla Strada Statale Aurelia.
Alla foce è presente un prezioso ambiente umido che, insieme a tutta l’area contigua coperta da macchia mediterranea detta Bosco Foce dell’Arrone, fa parte della Riserva naturale Litorale romano.
Curiosità
“Sulle rive dell’Arrone” è il titolo di una canzone di Daniele Silvestri, contenuta nell’album “Il Latitante” (2007), in cui si parla della prospettiva, raggiungibile dalle rive del fiume, con cui si riescono a vedere diversamente le cose.
All’Arrone accenna in tutt’altri termini lo spettacolo teatrale “Storie di scorie” di Ulderico Pesce, in cui si affronta il problema delle scorie nucleari, come quelle stoccate nel deposito nucleare alla Casaccia che avrebbero contaminato in passato anche il fiume, con danni incalcolabili all’ambiente.
Il Medioevo nel XIII Municipio, Quartiere Casalotti. Fuori dal traffico della Via Boccea, in una discontinuità edilizia, c’è il Castello della Porcareccia , noto anche con il nome “Castello aureo”, che domina il suo borgo medievale. Il fortilizio, in posizione strategica, è costruito su di uno sperone roccioso. Anticamente vi era una torre di avvistamento, ora scomparsa. Il Castello attualmente presenta modifiche strutturali evidenti. Il toponimo deriva da “Porcaritia”. Nel passato questa era una località al centro di boschi di querce e,quindi, luogo più che mai adatto all’allevamento dei maiali. Il primo documento che parla del Castello è una lapide del 1002, che si trova nella Chiesa di Santa Lucia delle Quattro Porte ,dove si legge che un prete “romanus” dona la tenuta della Porcareccia ai canonici di Monte Brianzo. Nel 1192 Papa Celestino III dà la cura del fondo ai canonici di Via delle Botteghe Oscure. Il Papa Innocenzo III affidò una parte della tenuta all’Ordine Ospedaliero di Santo Spirito. La tenuta passò, dopo la crisi fondiaria del 1527, ai principi Massimo e nel 1700 ai Principi Borghese, quindi ai Salviati e ai Lancillotti. Attualmente proprietaria del Castello è la Famiglia Giovenale che lo possiede dal 1932. Il portale d’ingresso è imponente e su di esso vi è lo stemma di Sisto IV. Prima di accedere al cortile interno, nel “tunnel”, in alto, si notano dei fori passanti sedi di una grata metallica che,alla bisogna, veniva calata per impedire assalti ed irruzioni di nemici .Nel giardino del Castello vi è, in bella mostra, una stele commemorativa di un funzionario imperiale delle strade. La stele probabilmente era riversa in terra perché presenta evidenti segni di ruote di carro. Vicino vi è una lapide funeraria con incisi dei pavoni, antico simbolo di morte. Sono visibili altri reperti di epoca romana, come frammenti di capitelli e spezzoni di colonne. In bella mostra, montata alla rovescia, vi è una vecchia macina a mano, una simile è nel cortile della Chiesa di Santa Maria di Galeria. Nel piazzale interno c’è la Chiesetta di Santa Maria la cui costruzione risale al 1693. Ciò che colpisce nella chiesa è la bellezza dell’Altare in legno intagliato, come dice uno dei proprietari, il Sig. Pietro Giovenale:”l’Altare è stato costruito dai prigionieri austriaci della Grande Guerra che qui erano stati internati”. Nel 1909, giusto un secolo fa, in questa Chiesa celebrava la Messa il giovane prete Don Angelo Roncalli, il futuro Papa Buono,Giovanni XXIII il quale veniva in questi luoghi per goderne la bellezze naturali e gustare”la buona ricotta” che Gli veniva offerta. La tenuta della Porcareccia fu anche antesignana della “guerra delle quote latte”. Ci narra la storia che nel periodo di carestia si diede il massimo sviluppo all’allevamento dei suini per sfamare la popolazione di Roma, come si legge in una bolla di Papa Urbano V nel 1362 che decretava “libertà di pascolo ai suini in qualsiasi terreno e proprietà…”. Per segnalare la presenza degli animali furono messi dei campanelli alle loro orecchie e chiunque ne impediva il pascolo incorreva in pene severissime. A seguito delle proteste della Germania,all’epoca maggior produttrice ed esportatrice di suini in Europa, il Papa Sisto IV nel 1481, riaffermò il documento di Avignone di Urbano V. Davanti al Castello, divisa dalle case del Borgo a chiudere la Piazza, c’è la chiesa parrocchiale, costruita negli anni 1950/54, dedicata alle S.s. Rufina e Seconda, martiri della Via Boccea. Come tutti i castelli che si rispettano, anche questo ha il suo fantasma che si aggira nei cunicoli sotterranei inesplorati che si diramano dal Castello nella campagna circostante. Ma alla domanda che rivolgo al Sig. Giovenale se esiste il fantasma egli risponde con un sorriso.
N.B. Le foto originali sono di Franco Leggeri- Fonte articolo: Autori Vari- Si Evidenzia che gli Alunni di Casalotti hanno realizzato un pregevole lavoro sulle origini e la Storia del Castello- Intervista con il Sig. Giovenale di Franco Leggeri- L’articolo è solo una sintesi di uno studio molto più esaustivo e completo sul Medioevo e i sistemi difensivi di Roma e della Campagna Romana – TORRI SARACENE-TORRI DI SEGNALAZIONI – realizzato da Franco Leggeri
La via Aurelia aveva origine dal ponte Emilio (l’attuale Ponte Rotto), e, dopo aver attraversato il quartiere Trastevere, risaliva il Gianicolo per puntare direttamente sui territori etruschi. Probabilmente, ripercorreva, unificandoli, vecchi tracciati lungo la costa tirrenica con funzione di collegamento tra le città poste sul mare.
Strutturata forse da C. Aurelio Cotta, censore nel 241 a.C., la strada si inoltrava nel territorio della vicina Cerveteri, diventando fin da subito l’asse portante del sistema coloniale (Forum Aurelii e Cosa) e della presenza romana fino a Vulci. Nel territorio settentrionale vennero stabilite le praefecturae di Saturnia, divenuta colonia nel 183 a.C., di Statonia e forse la colonia di Heba. Il suo tracciato da Cosa fu prolungato a Luni e, nel 109 a.C., fino a Genova: da qui manteneva il suo nome fino ad Arles in Francia.
La via Aurelia, nel primo tratto subito dopo il ponte Emilio, a causa della depressione del terreno e dei rischi di impaludamento per il vicino fiume, correva sopraelevata su un viadotto realizzato con arcate in opera quadrata di tufo, alto almeno cinque metri ed esplorato, durante moderni scavi nell’area di piazza Sonnino, per almeno una settantina di metri. Subito dopo, il tracciato antico sembra coincidesse con via della Lungaretta e, in direzione del Gianicolo, con via di Porta S. Pancrazio.
All’altezza di S. Maria in Trastevere una diversa arteria si staccava dall’Aurelia per dirigersi, con un percorso oggi ricalcato da via della Lungara, verso l’ager Vaticanus.
La Porta Aurelia (oggi Porta S. Pancrazio) del circuito della mura di Aureliano fu distrutta, assieme al tracciato della mura stesse, da papa Urbano VIII (1628-1644) che decise di rinforzare le difese della città su questo lato, facendo costruire una nuova e diversa cinta muraria, che, partendo al fiume (presso l’attuale Porta Portese) racchiudesse tutta la zona destra del Tevere fino a congiungersi con le mura già esistenti del Vaticano. La porta di età romana, a unico fornice con due torri quadrate ai lati, è rappresentata in piante di Roma nell’epoca antecedente i lavori di papa Urbano VIII. Oltre la Porta S. Pancrazio il percorso della via antica coincide con l’attuale e in punti diversi sono stati rinvenuti resti del suo lastricato.
Nei vecchi itinerari sui cimiteri cristiani posti lungo la via Aurelia, sono elencate almeno cinque località in cui si trovavano altrettanti santuari dedicati ai martiri: il cimitero di S. Pancrazio, di Calepodio, di Processo e Martiniano, dei due Felici e di Basilide. Con l’esclusione di quest’ultimo, posto al XII miglio dell’Aurelia, in località Castel di Guido, gli altri siti sono da ricercare nel primo tratto extraurbano della via. Un ipogeo, visibile in via S. Pancrazio 15, nei pressi del ristorante Scarpone, noto fin dal 1880, è costituito da una galleria centrale, sei cubicoli e due nicchioni laterali. Nato probabilmente come ipogeo privato a carattere familiare, sembra che si sia trovato inserito in una struttura cimiteriale più vasta con modifiche strutturali assai vistose. Sono ancora parzialmente visibili tracce della decorazione pittorica a carattere floreale dell’ipogeo di età più antica.
Il cimitero di Processo e Martiniano, legato secondo la tradizione alle figure dei due presunti carcerieri pentiti di Pietro, è da collocare nell’area di Villa Abamelek, presso l’ingresso della quale è stato visto anche un ipogeo composto da due gallerie e un cubicolo. La notizia della sepoltura di papa Felice I in un cimitero al II miglio della via Aurelia è riportata nel Liber pontificalis ma è in aperto contrasto con altre fonti. Sembra probabile che almeno Felice II, antipapa, fosse stato sepolto dai suoi seguaci, ad latus forma Traiana, in un complesso cimiteriale oggi individuato con una struttura esistente nell’area della ex vigna Pellegrini o piuttosto sulla sinistra della via Aurelia nell’area della ex vigna Farsetti. Di altri gruppi cimiteriali più piccoli abbiamo traccia nell’area compresa tra l’ingresso della Villa Doria Pamphilj e Villa Vecchia ma non possiamo attribuirli con certezza a un preciso complesso. Poco dopo l’Arco di Tiradiavoli, che segna il passaggio dell’acquedotto Paolo, sulla sinistra, si estende la vasta necropoli di Villa Doria Pamphilj. Nel tratto extraurbano il passaggio della via antica, parzialmente rettificata dal tracciato moderno, è segnato dalla presenza di aree di frammenti fittili relativi a insediamenti sia di carattere agricolo sia residenziale. Il percorso antico si diversifica in particolare dall’attuale in località Castel di Guido dove sembra doversi posizionare il praedium imperiale di Lorium.
Nel 1976, al km 18 della moderna Aurelia, che rappresenta la variante rispetto alla direzione di Castel di Guido, in località Colonnacce, è stata scoperta, ed è attualmente in fase di valorizzazione, una sontuosa villa di età imperiale. Nei pressi del casale la Bottaccia si trovano importanti resti di opere idrauliche: cisterne a cunicoli e conserve per la raccolta dell’acqua piovana, di cui una a pianta circolare con un diametro di m 7,40 posta a 500 m circa a sud-est del casale. Nella stessa località è stato scoperto nel 1987 un mitreo databile al II secolo d.C.
A Castel di Guido, sotto la chiesa di S. Spirito, di cui ne costituisce le fondamenta, si trova un mausoleo in laterizio databile al IV secolo d.C., la cui cella, a pianta circolare, è articolata con grandi nicchie, coperte da volte a botte. Nel 1993, al km 19 furono individuate strutture forse pertinenti all’impianto di una villa rustica o alla mansio di Lorium, ricordata negli itinerari antichi al XII miglio della via antica.
Fiorenzo Catalli
dal libro “ROMA ARCHEOLOGICA” II ed., ADN Kronos libri – Roma 2005
I BUTTERI dell’Azienda agraria di Castel di Guido , del Comune di Roma, governano un nutrito branco di vacche maremmane dalle lunga corna , circa cinquecento, una specie protetta dall’Unione Europea. Nonostante sia stata introdotta qualche modesta forma di modernizzazione , l’allevamento di questi bovini viene tuttora praticato da butteri a cavallo secondo antiche modalità ; nelle diverse operazioni lavorative ( spostamenti, “sbrancamanti”, recupero di capi ecc.), i butteri si servono di fischi, richiami , grida, con cui comunicano (alluccano) con le vacche : frutto di un lungo apprendimento orale fatto di “saperi “e di tecniche tramandati di padre in figlio.
Testo tratto da GRIDA E RICHIAMI : Domenico Frascarelli, Mario Sfascia, Massimo Sfascia-
Roma, Castel di Guido, 29 novembre 2000.Archivio del Centro Regionale per la Documentazione dei Beni culturali e Ambientali , REGIONE LAZIO.
Le foto originali sono di Franco Leggeri- settembre 2012-
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