Tersilio Leggio-Abbazia di Farfa- L’anello sigillare dell’abate Benedetto (802-815)

Biblioteca DEA SABINAMarca/Marche-rivista di storia regionale n°8/2017-AndreaLivi Editore

Tersilio Leggio-Abbazia di Farfa- L’anello sigillare dell’abate Benedetto (802-815)

𝗧𝗲𝗿𝘀𝗶𝗹𝗶𝗼 𝗟𝗲𝗴𝗴𝗶𝗼
Prof. 𝗧𝗲𝗿𝘀𝗶𝗹𝗶𝗼 𝗟𝗲𝗴𝗴𝗶𝗼

Marca/Marche-rivista di storia regionale n°8/2017-

AndreaLivi Editore

Non avviene tutti i giorni che si possa scrivere una nuova pagina della storia dell’abbazia di Farfa nel periodo carolingio grazie al riapparire improvviso e del tutto inatteso di un nuovo documento, che, come si vedrà, cambierà dalle fondamenta le vicende delle strutture materiali del monastero sabino all’epoca di Carlomagno, colmando molti vuoti ed aprendo nuovi e stimolanti itinerari di ricerca.

L’8 dicembre scorso l’abbazia di Farfa ed il suo priore Dom Eugenio Gargiulo ricevevano una mail che li informava che il giorno successivo presso la casa d’a- ste parigina Piasa era in vendita tra i vari lotti uno che riguardava l’anello-sigillo dell’abate Benedetto (802-815). Molto cortesemente Dom Eugenio mi ha girato la mail chiedendo una mia opinione in merito. Debbo dire di essere andato immediatamente a controllare sul sito della Piasa con molta circospezione e con numerosissimi dubbi, convinto che non si trattasse di nulla di importante. Quando però ho visto l’oggetto in questione confesso di essere rimasto stupefatto ed attonito per la sua bellezza e per la sua importanza.

Battuto all’asta con un prezzo di stima che era molto elevato e compreso tra 35.000 e 45.000 euro data la rarità dell’oggetto, non è stato aggiudicato o almeno così sembra. Le sue dimensioni sono h 2,6 x l 2,5 cm; il peso 31,4 g, con leggere mancanze nella niellatura. L’anello è in oro con incastonato al centro un cristallo di rocca di forma quadrata intorno al quale si sviluppa la legenda:

+ S[IGILLUM] ·BENEDICTI ·AB[BATIS]· FARFENSI[S]

Abbazia di Farfa-Anello sigillo dell’abate Benedetto (Foto dal catalogo casa d’aste parigina Piasa)
Abbazia di Farfa-Anello sigillo dell’abate Benedetto (Foto dal catalogo casa d’aste parigina Piasa)

Le spalle dell’anello sono ornate da motivi niellati costituiti da una croce greca con estremità svasate racchiusa in un doppio cerchio e da fogliame stilizzato. Quel che è maggiormente interessante è costituito dall’intaglio nel cristallo di rocca che rappresenta una facciata di una chiesa abbaziale fiancheggiata da due torri tonde, scandite da due cordonature, che culminano con un tetto conico con spiovente sormontato da due globi, mentre sul culmine del prospetto, che ha un frontone decorato , è rappresentata l’immagine della Madonna. Secondo gli esperti della casa d’aste, che escludono categoricamente la possibilità di un falso, il probabile luogo dove l’anello fu realizzato è da individuare in un atelier di Costantinopoli.

Il sigillo era appartenuto in passato al principe Ludovico Spada Veralli Potenziani di Rieti, con palazzo di abitazione anche a Roma, in via in Lucina. Il principe Potenziani era un personaggio di spicco dei suoi tempi. Governatore di Roma dal 1926 al 1928, senatore del Regno dal 1929, tanto per citare. Intimamente legato al periodo fascista, nel 1946 fu dichiarato decaduto dalla carica di senatore. Dopo la sua morte avvenuta nel 1971, l’archivio familiare è stato donato, quasi completa- mente a causa di alcune dispersioni, all’Archivio di Stato di Rieti1, nel quale sarà necessario indagare per chiarire come e quando l’anello-sigillo dell’abate Benedet- to sia finito nel possesso suo o della sua famiglia. Dalla collezione di Ludovico il sigillo passò nel 1919 al parigino Louis-Henri-Emile Moutier e da lui a Gustave Léon Schlumberger (1844-1929) ben noto storico e numismatico dell’impero bi- zantino, per finire poi in una collezione privata.

L’abate Benedetto

L’abate Benedetto, secondo il racconto della cosiddetta Constructio monasterii Farfensis2, era l’undicesimo abate eletto dopo la seconda fondazione avvenuta in età longobarda. Le brevi note con il quale l’anonimo monaco cronista della metà del IX secolo lo descrisse ne fanno un abate molto attento alla devozione verso Dio ed alla salvezza sua e dei confratelli. Molto premuroso nel curare l’aspetto esteriore degli ornamenti ritenuti più utili per i culti da celebrare nella chiesa monastica. Fu inoltre sagacissimo nel provvedere Farfa di libri, di paramenti sacri per l’altare e di altri strumenti, dei quali parte era sopravvissuta fino al momento nel quale il monaco cronista registrò la scheda a lui dedicata. Benedetto fu a capo della comunità monastica per dieci anni, cinque mesi e tre giorni e morì il 26 marzo. Da osservare comunque che è molto difficile far conciliare le note biografiche degli abbaziati con l’effettivo esercizio della funzione che si ricava invece dalla documentazione scritta conservata. Più concisa la nota biografica che lo riguarda premessa da Gregorio da Catino3 alle carte riguardanti il suo abbaziato, con la discrepanza di una diversa data di morte che sarebbe avvenuta l’11 agosto, anche se la durata la funzione riportata è identica. L’attività dell’abate Benedetto, del quale è omessa l’origine, fu molto intensa. Il suo pieno inserimento nel mondo carolingio è dimostrato dai diplomi che gli furono concessi a partire da quello emanato da Carlomagno il 13 giugno dell’803, che riconfermava tutti i possessi dell’abbazia su esplicita richiesta dello stesso Benedetto, ai due da Ludovico II il 3 agosto dell’815. Lo Schuster4, partendo da questa data, ha avanzato l’ipotesi che Benedetto in persona si sarebbe recato presso la corte imperiale a

  1. 1  ASRieti, Inventario dell’Archivio Potenziani, Rieti 2011-2012.
  2. 2   Balzani, a cura di, Il Chronicon farfense di Gregorio da Catino, I, Forzani e C., Roma 1903,
  3. 21.

3 Balzani, a cura di, Il Chronicon farfense cit., pp. 170-178; I. Giorgi, U. Balzani, a cura di, Il Regesto di Farfa, II, Presso la Società, Roma 1878, pp. 143-177.

4 I. Schuster, L’imperiale abbazia di Farfa. Contributo alla storia del Ducato romano nel Medio Evo, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1921, pp. 62-63.

Francoforte per impetrare la concessione dei due diplomi, dove sarebbe morto l’11 agosto subito dopo averli ottenuti. L’anello-sigillo rappresentava un’immagine adeguata al rango sociale al quale apparteneva il suo possessore, sia per lo stato, sia per la funzione ricoperta. Diversamente  dagli anelli-sigillo civili coevi non riproduceva la figura del possesso- re, basti ricordare la lunga e consolidata tradizione di età longobarda5, né è stato riutilizzato qualche oggetto che si richiamava al passato – cammei, monete od altro –, ma intenzionalmente si è voluto realizzare una tipologia nuova, volendo per certi aspetti guardare al futuro piuttosto che rifarsi all’antico, mostrando uno spiccato senso di affermazione di una precisa identità monastica e di una salda appartenenza ad una comunità di cui l’abate era il rappresentante pro tempore, mentre la chiesa abbaziale ne costituiva il carattere peculiare, fondante e nel contempo duraturo.

L’anello-sigillo di Benedetto costituisce, inoltre, un caso del tutto particolare, perché modifica nella sostanza la cronologia della loro presenza nello scenario europeo dove sarebbero apparsi soltanto in XI secolo, mentre in precedenza rappresentavano una prerogativa pressoche esclusiva delle cancellerie sovrane, regie o imperiali che fossero, nel campo dell’ordine temporale e di quella pontificia nello spirituale6. Credo che su questo punto si debba avviare una riflessione critica sull’uso degli anello-sigillo, seguendo le linee tracciate dalla Bedos-Rezak, la quale ha dimostrato, comparando i cartari medievali con i sigilli regi e vescovili, quanto fosse importante nelle società medievali comunicare, utilizzando gli strumenti simbolici a disposizione, un’immagine coordinata e forte della persona rivestita di un’autorità pubblica7 ed in questo caso specifico della auctoritas che derivava all’abate dall’essere a capo di una potente abbazia intimamente legata all’impero carolingio e che esercitava un potere quasi egemonico in una vasta zona dell’Italia centrale appenninica.

Un altro aspetto che merita di essere sottolineato è comprendere se, quando e su quali atti il sigillo venisse apposto dall’abate come strumento di validazione e con quale formula di corroborazione. Il fatto stesso che l’anello-sigillo si sia conserva- to quasi intatto induce ad inferire che ci si trovi di fronte ad un riferimento agli usi ed alle tradizioni di area germanica e in conseguenza abbia seguito il proprio possessore nella tomba, piuttosto che a quelle di area romana dove invece veniva spezzato o comunque reso inutilizzabile.

5 S. Lusuardi Siena, a cura di, Anulus sui effigii. Identità e rappresentazione negli anelli-sigillo longobardi, Atti della giornata di studi, Milano, Università Cattolica, 29 aprile 2004, V&P, Milano 2006.

  1. 6   Fabre, Sceau médiéval. Analyse d’une pratique culturelle, L’Harmattan, Paris 2013, pp. 31-32.
  2. 7  M. Bedos-Rezak, When Ego Was Imago. Signs of Identity in the Middle Ages, Brill, Leiden

2010, in particolare pp. 55-74.

Farfa in età carolingia: la chiesa abbaziale

Nel caso di Farfa, non ostante la ricchezza dei cartulari e delle fonti narrative per quanto riguarda in particolar modo il periodo altomedievale, non sono molte le in- formazione ed i dati che permettano di leggere meglio l’evoluzione delle strutture monastiche e le loro specifiche funzioni, importanti per identificare i vari aspetti della celebrazione delle funzioni liturgiche benedettine8, anzi le poche notizie con- tenute hanno alimentato interpretazioni fortemente divergenti. In parallelo si sono sviluppati molti studi e molte ricerche sull’argomento ad incominciare da Ildefon- so Schuster9. Intorno agli ’80 del secolo scorso le ricerche ebbero un notevole im- pulso grazie a Charles McClendon10 ed a David Whitehouse, sotto la cui direzione si sono avute alcune campagne di scavo, con pubblicazione di dati preliminari i cui risultati finali non sono mai stati editi compiutamente, con grave danno per la storia degli studi sul monastero e con la perdita di un’importante opportunità di conoscenza. Una ulteriore breve stagione fu effettuata nel 1993 ad opera sempre della British School at Rome11.

Uno dei temi maggiormente dibattuti sulle strutture monastiche altomedievali farfensi è senza dubbio quello dell’orientamento della chiesa altomedievale e della sua cronologia. Due in particolare gli elementi di forte dubbio: la datazione della cripta semianulare12, che era compiutamente emersa soltanto a cavaliere degli anni ’60 del secolo scorso, e la collocazione spaziale dell’oratorio del Salvatore che l’abate Sicardo (830-842) aveva aggiunto alla chiesa di S. Maria.

Le ipotesi più accreditate sembravano orientate verso una datazione al secolo IX della cripta ed al secolo XI della così detta abside quadrata, che si trova nel cortile seicentesco di ingresso al complesso monastico, fiancheggiata da due torri campa- narie, delle quali soltanto una è superstite.

8 W. Jacobsen, Il problema dell’utilizzazione: l’architettura altomedievale e la liturgia nei conventi monastici, in F. De Rubeis, F. Marazzi, a cura di, Monasteri in Europa occidentale (secoli VIII-XI): topografia e strutture, Atti del Convegno Internazionale, Museo Archeologico di Castel San Vincenzo, 23-26 settembre 2004, Viella, Roma 2008, pp. 309-319.

9 Se ne veda una rassegna in T. Leggio, L’abbazia di Farfa: fonti scritte, cultura materiale e strutture edilizie. Un profilo storico, in Farfa, storia di una fabbrica abbaziale, Vivi l’Arte, Farfa 20062, pp. 135-141. 10 Le sue ipotesi sono state edite separatamente: Ch.B. McClendon, The Imperial Abbey of Farfa. Architectural Currents of the Early Middle Ages, Yale University Press, New Haven and London 1987. 11 O. Gilkes, J. Mitchell, The early medieval church at Farfa: its orientation and date, in «Archeologia

medievale», XXII (1995), pp. 343-364.
12 Sulla diffusione delle cripte semianulari e sulla loro cronologia in Italia cfr. C.M.C. Mancuso,

Genesi e sviluppo della cripta semianulare in Italia, in «Quaderni del Centro di Studi Lunensi», ns 2 (1996), pp. 143-166, che data, p. 159, la cripta di Farfa alla metà del secolo IX. Cfr. anche F. Betti, Fondi e il Lazio meridionale. La formazione del Patrimonium Sancti Petri e la diffusione dell’arte carolingia nella regione, in M. Gianandrea, M. D’Onofrio, a cura di, Fondi nel Medioevo, Gangemi ed., Roma 2016, pp. 63-78.

Più recentemente, però, John Mitchell ha avanzato l’ipotesi che la cripta semia- nulare possa risalire alla seconda metà dell’VIII secolo, attribuendone la costruzio- ne all’abate Probato (770-779)13, e che la così detta abside quadrata possa essere attribuita invece all’abate Sicardo, riprendendo un’ipotesi che avevo formulato più di un trentennio fa14.

Del resto, anche da un punto di vista delle strutture edilizie del complesso monastico, le fonti scritte sembrano suggerire che Farfa già alla metà dell’VIII secolo avesse raggiunto aspetti monumentali caratterizzati da grandi effetti sia formali sia simbolici, adeguati al ruolo centrale che aveva assunto nel regnum Italiae. Come si può constatare, pur sommariamente riassunte, le posizioni sul- la dinamica temporale e sull’articolazione spaziale dei primi secoli di vita far- fense sono molte e variegate a testimoniare la complessità degli interventi che si sono succeduti, stimolati anche dalla ricchezza sempre crescente dell’abbazia sabina e, quindi, dalla possibilità per i suoi abati di poter investire molto sulla continua trasformazione delle sue strutture materiali e sul loro abbellimento, con chiari ed evidenti fini simbolici15. Un altro momento nel quale si sviluppa- rono interventi di grande importanza fu la prima metà del secolo IX, quando Farfa ormai costituiva un polo centrale del governo dell’impero carolingio nel regnum Italiae. È soprattutto nel periodo dell’abate Sicardo (830-842) che si concentrarono i lavori per la costruzione dell’oratorio dedicato al Salvatore, come sopra ricordato.

L’ultima rilettura delle architetture del monastero farfense e della loro storia, in particolare per il periodo altomedievale, è stata compiuta da Fabio Betti16, che ha sintetizzato le ipotesi precedentemente avanzate, mettendo nuovamente in evidenza la notevole produzione di capitelli a stampella, ben trentanove, inquadrabile cronologicamente tra il VI e l’VIII decennio dell’VIII secolo, realizzata da numerosi artisti con influssi e apporti, anche diretti, derivati dalle principali correnti artistiche altomedievali europee, dalla longobarda, all’aqui- tanica, alla visigotica, che avevano forse costituito ex-novo un’unica bottega

13 J. Mitchell, The display of cript and the use of painting in Longobard Italy, in Testo e immagine nell’alto Medioevo, Atti della XLI settimana di studio, Presso la sede del Centro, Spoleto 1994, p. 949 nota 149; Gilkes, Mitchell, The early medieval church cit., pp. 360-362.

  1. 14   Leggio, Farfa: problemi e prospettive di ricerca, in «Il territorio», 1 (1984), pp. 78-81.
  2. 15  Per una interessante e approfondita analisi della dinamica di accrescimento dei patrimoni

fondiari dei grandi monasteri benedettini italiani, F. Marazzi, San Vincenzo al Volturno tra VIII e IX secolo: il percorso della grande crescita. Una indagine comparativa con le altre grandi fondazioni benedettine italiane, in Id., a cura di, San Vincenzo al Volturno. Cultura, istituzioni, economia, Abbazia di Montecassino, Cassino 1996, pp. 58-66, in particolare per Farfa, pp. 46-51.

16 F. Betti, Farfa nell’Alto Medioevo fra storia, arte e archeologia, in I. Del Frate, a cura di, Spazi della Preghiera, Spazi della Bellezza. Il Complesso Abbaziale di Santa Maria di Farfa, Palombi ed., Roma 2015, pp. 29-45.

 

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