Il romanzo estremamente coinvolgente di Rosella Postorino prende spunto da una storia vera. Nel 1992, durante l’assedio di Sarajevo, i bambini dell’orfanatrofio di Bjelave vennero trasferiti in Italia per essere messi in salvo. Molto furono adottati anche se i genitori biologici erano ancora in vita e non tornarono più in Bosnia. Se l’intento era buono, togliergli dal pericolo dei bombardamenti, dalla crudeltà dei cecchini, dalla fame e dagli orrori della guerra, il risultato finale non fu altrettanto degno di lode. Figli e genitori che non hanno mai smesso di cercarsi né di rassegnarsi alla perdita. In questo dramma si ambienta la storia di Omar, Nada e Danilo i tre indimenticabili bambini protagonisti principali del romanzo. Con storie familiari, personalità e atteggiamenti nel corso degli eventi, completamente diversi tra loro, hanno in comune l’esodo verso l’Italia e la difficoltà nell’integrazione. Ognuno di essi con la sua vicenda personale, ognuno con il suo fardello di ricordi e orrori, ma uniti dalla solidarietà di chi soffre insieme e la sofferenza crea legame.
Senza addentrarci troppo nella trama, per non togliere gusto al lettore, di può dire che questo libro è di un’attualità estrema. Le guerre sono oscene, privano gli esseri viventi della loro umanità, portano la crudeltà e l’inimmaginabile limite di accettazione del male a livelli inconcepibili. Quando tutto questo colpisce bambini innocenti e lascia su di loro segni indelebili, che siano fisici o psicologici, è inaccettabile. Sono solo bambini. Pensiamo all’Ucraina, pensiamo al conflitto israelo/palestinese e a tanti altri su tutto il pianeta. Non ci interessi chi ha ragione o chi ha torto, i bambini sono sempre non colpevoli e pagano lo scotto più alto per guerre assurde e immorali.
Brava Postorino a portare l’attenzione su questa vicenda in particolare e sull’insensatezza delle guerre fratricide in generale. Facciamo tutti parte di questa tormentata umanità, non si può ignorare o fingere di non sapere.
Romanzesca vicenda di una enigmatica donna ospite del CAMPO PROFUGHI di GRANICA-
Ricerca a cura di Franco Leggeri-
-Cronaca del processo svoltosi a Trento e concluso al Campo di GRANICA di Castelnuovo Farfa-
Castelnuovo di Farfa (Rieti) -Campo Profughi -Loc. Granica-
Campo Profughi di GRANICA -anno 1953-Von Pless, principessa polacca o Sonia Balasch, avventuriera tedesca? – Processata e condannata per una clamorosa rapina in casa del barone Hoepfner, ritorce le accuse contro questi denunciandolo per collaborazionismo – Voleva farsi suora ma poi ha cambiato idea .
-Cronaca del processo svoltosi a Trento e concluso al Campo di GRANICA di Castelnuovo Farfa-
Trento- 24/04/1953-– La romanzesca vicenda di Sonia Balasch, alias principessa Elfi von Pless, sarà quanto prima rievocata alla Corte di Assise d’appello della nostra città. Di fronte al giudice che esaminavano il suo “ caso “, la giovane straniera ha sostenuto di essere la principessa von Pless, figlia naturale di un principe polacco fucilato dai nazisti e fuggita in Italia subito dopo l’occupazione per sottrarsi all’arresto e alle persecuzioni. Essa ha aggiunto orgogliosamente: “ Dio mi vede e sa che dico la verità “. Sostenevano invece i suoi accusatori che li vero nome di lei era Sonia Balasch, una strana donna emersa da quel mondo equivoco di trafficanti, di spie e di poliziotti segreti calati in Italia al seguito delle truppe naziste: una tedesca nata nel 1910 in Slesia, figlia di Ignoti.
Queste accuse furono ribadite al processo svoltosi contro di lei alle Assise di Bolzano, Il 10 giugno 1950. La misteriosa Sonia doveva rispondere di una grave rapina, compiuta in circostanze romanzesche, ma della quale si proclamava innocente, dicendosi vittima di uno scambio di persona. Il fatto era avvenuto il 15 febbraio 1946 in una villa di Maia Alta presso Merano abitata dal barone Alessandro e Frida Hoepfner.
La sera era appena calata, quando alla porta della palazzina fu suonato il campanello Una cameriera si affacciò all’uscio e scorse cinque sconosciuti, due dei quali tenevano minacciosamente spianati i fucili mitragliatori. La banda, al seguito della quale era una donna, entrò nell’appartamento qualificandosi come una formazione partigiana. La baronessa e la cameriera vennero rinchiuse a chiave in una stanza, mentre il barone Alessandro, trasferito nel salotto, fu legato e imbavagliato. La banda, rovistando minuziosamente ogni locale, si impossessa di oggetti preziosi e di vestiario per un valore denunciato di venti milioni, e si allontanò quindi rapidamente a bordo di un’automobile.
Per molto tempo le indagini della polizia riuscirono infruttuose. Soltanto dieci mesi più tardi si affacciò alla ribalta, in un modo veramente strano e tuttora incomprensibile, il nome della bionda enigmatica Sonia. Essa aveva infatti presentato a Milano, dove risiedeva, una circostanziata denuncia contro il barone Hoepfner e sua moglie per rapina e collaborazionismo con i nazisti.
Sosteneva l’accusatrice che, giunta a Roma profuga dalla Polonia nel 1951, era stata denunciata alla polizia germanica dal barone che gestiva nella Capitale un’azienda commerciale ma che sarebbe stato l’eminenza grigia, del Ministero dell’Economia del Reich, un pezzo grosso al servizio del Comando tedesco. Incarcerata sotto l’accusa di aver svolto propaganda contraria agli interessi della Germania in guerra, fu rinchiusa nelle segrete di una caserma della polizia tedesca, mentre il suo appartamento venne perquisito dal barone che, sempre secondo la denuncia della donna, ne aveva asportato gioielli e denari per circa quaranta milioni. Dopo un mese di prigione fu liberata e si occupò, come interprete, prima a Roma e poi a Milano.
In seguito a questa precisa denuncia, i baroni Hoepfner vennero arrestati, ma successivamente, dopo una lunga e accurata istruttoria, nulla essendo risultato a loro carico, riebbe la libertà. Fu a questo punto che il barone Alessandro passò decisamente alla controffensiva e denunciò a sua volta la donna, che egli sosteneva essere l’avventuriera Sonia Balasch, come la protagonista della brigantesca aggressione di Maia Alta.
Arrestata, fu riconosciuta tanto dal barone quanto dalla cameriera che le aveva aperto la porta, ma protestò subito vivacemente sostenendo la sua innocenza e dichiarando che l’accusa del barone era soltanto una manovra tattica per stornare gli effetti penali e politici della precedente denuncia che essa aveva presentato contro di lui.
Tradotta in carcere, prima a Trento e poi a Bolzano, la enigmatica straniera dimostrò subito la sua insofferenza. Rispose malamente al giudice istruttore, pronunciò frasi oltraggiose contro chi metteva in dubbio, anche sulla scorta di documenti ufficiali, le sue origini principesche.
Nelle movimentate udienze del processo di Bolzano furono citati nomi grossi e illustri, strani ambienti romani dell’ultimo periodo bellico prima della liberazione della città. Sfilano in questa colorita rassegna rievocativa le figure del colonnello Kappler, responsabile della strage alle Fosse Ardeatine, del gen. Moetzler e di altre personalità germaniche, e affiorano curiosi retroscena: segrete poliziesche, anticamere di ministeri, circoli mondani, amori di un’ora e di un minuto.
Sonia fu feroce contro il barone. “ Lei è un criminale di guerra! — gli gridò in faccia non è tornato in Germania perché l’avrebbero impiccato “, e lo accusò di aver “pizzicato” parecchi ebrei. A sua volta il barone fu altrettanto spietato verso di lei: “Sono sicuro tre milioni di volte che essa fu la mia rapinatrice “, disse al giudice. E un teste importante, il milanese Giovanni Masten, riferì queste strane parole che il barone aveva pronunciato in sua presenza: “ Ho commesso un solo errore facendo togliere di mezzo una persona di meno, la Balasch. Con un colpo di pollice l’avrei fatta scomparire per sempre, l’avrei atomizzata”.
Fra le due tesi principali, colpevolezza totale o completa innocenza, fu inserita una ipotesi intermedia, ossia che la giovane straniera fosse stata travolta in una vicenda cui avrebbe voluto dare diverso Indirizzo. Tale ipotesi venne accolta dalla Corte che accordò infatti alla donna la speciale attenuante prevista dal codice quando un imputato corrispondeva in un reato diverso da quello inizialmente voluto.
Secondo i giudici, la donna sarebbe partita da Milano con presunti poliziotti per un’avventura di carattere non bene definito ma che aveva comunque un fine arbitrario.
A Merano gli pseudo poliziotti avrebbero gettata la maschera e la donna che era con loro avrebbe assistito e partecipato nolente ad un delitto non premeditato. Per questi motivi la condanna per la rapina fu contenuta nella mite pena di due anni e otto mesi di reclusione interamente condonati per gli indulti.
Il pubblico foltissimo che assisteva al dibattimento applaudi la sentenza e alcune signore portarono un omaggio floreale alla bionda Sonia che, scarcerata qualche giorno dopo, fu internata in un campo di concentramento per i profughi stranieri a Farfa Sabina nel Lazio.
Sembrava a questo punto che la vicenda pirandelliana dovesse concludersi. Sonia aveva espresso l’intenzione di entrare nell’Ordine delle Carmelitane scalze e di essere consacrata suora, perché, secondo le sue parole, “ solamente una vita claustrale poteva sollevarla dall’angoscia morale che per tanti anni aveva travagliato la sua esistenza “.
Giunta invece nel campo di concentramento per i profughi stranieri a Farfa Sabina nel Lazio, essa decideva di ricorrere contro la sentenza e chiedeva che il processo fosse rinnovato per poter dimostrare che una principessa von Pless non poteva essere una rapinatrice. Rivendicava cioè il suo nobile lignaggio e difendeva il suo onore. Chi aveva commesso il grave reato, di cui era stata ritenuta responsabile, era un’altra donna, forse l’avventuriera tedesca della quale le si era attribuito il nome.
Castelnuovo di Farfa (Rieti) -Campo Profughi -Loc. Granica-
Ricerca Storica Campi profughi in Sabina-A cura di Franco Leggeri
-Piccole Storie dal
di GRANICA di Castelnuovo di FARFA (Rieti)-
Bibliografia- Ricerca Archivio Biblioteche varie.
L’ordine pp. 88-89,225-L’Italia Libera del 25 settembre 1943.D.Sensi, “pagine partigiane”, in Corriere Sabino del 15 aprile del 1945. G.Allara, “ Dopo Anziao: la battaglia del Monte Tancia”, in Aa.Vv., La guerra partigiana in Italia, Edizioni Civitas, Roma 1984, pp.66 e 67. Musu-Polito, Roma ribelle, pp. 114-115. Bentivegna-De Simone, Operazione via Rasella pp. 89-90., Roma e Lazio 1930-1950 pp.542,545. Piscitelli, Storia della Resistenza pp.325,326,327.Giuseppe Mogavero- La resistenza a Roma-1943-1945-Massari Editore.
Castelnuovo di Farfa (Rieti) – Campo Profughi -Loc. Granica-foto anni 1950
Benvenuti nell’atmosfera incantata dell’Autunno a Farfa con le foto di Paolo Genovesi
F.L:”Farfa è un Borgo di straordinaria bellezza naturale e storica e Paolo Genovesi, con la sua fotocamera, ha saputo catturare l’ atmosfera e la calma di questa stagione, trasformando con le foto la routine in un’esperienza autunnale indimenticabile. L’autunno è una stagione ricca di dettagli e sfumature, e le foto di Paolo possono essere il mezzo per catturare questa bellezza. Esprimere l’autunno richiede sensibilità e attenzione ai dettagli: dai colori delle foglie cadenti e al suono dei passi che immaginiamo su un sentiero coperto di foglie secche. Le immagini possono rendere tangibili le emozioni che l’autunno suscita, come la nostalgia per l’estate appena passata o l’attesa per l’inverno in arrivo. Questo è il messaggio che Paolo Genovesi trasmette con le sue foto.
Grazie Paolo”.
Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”Paolo Genovesi Fotoreportage:”Farfa in Autunno”
L’incredibile vita di Robert Benoist, pilota e partigiano
Articolo di Fabio Casalini
Robert Marcel Charles Benoist nacque ad Auffargis, comune della regione dell’Île-de-France, il 20 marzo 1895.
Figlio di Gaston Benoist, guardiacaccia della famiglia Rothschild, Robert nacque nella frazione di Saint-Benoît e prese contatto con i motori durante la prima guerra mondiale, quando fu assegnato all’aeronautica militare, conseguendo il brevetto di volo nel 1915.
Al termine del conflitto, iniziò la sua carriera di pilota d’automobili e motociclette che lo vedrà vittorioso nelle più importanti competizioni europee.
Dopo una prima esperienza di collaudatore con la De Marçay, colse alcune vittorie in sella alle moto Salmson, marchio che non brillò solo per i risultati in sé stessi ma perché fece da trampolino di lancio per piloti destinati a lasciare un segno nella storia dello sport, e ritornò definitivamente alle quattro ruote, nel 1924, ingaggiato dalla Delage. L’anno successivo, in coppia con Albert Divo, vinse il Gran Premio di Francia, nell’edizione che fu segnata dalla tragica scomparsa di Antonio Ascari, padre del più noto Alberto, a causa di un incidente.
Al volante della Delage, nel 1927, riuscì a conquistare i “Grands Prix” di Francia, Italia, Spagna e Gran Bretagna, portando il titolo mondiale costruttori, primo campionato del mondo d’automobilismo organizzato nella storia delle corse, alla casa francese e ricevendo, per questa sua impresa, la Legion d’onore.
Nonostante il titolo conseguito, la Delage si ritirò dalle gare e, nel 1928, Benoist venne assunto come direttore del “Garage Banville”, esclusivista parigino del marchio Bugatti.
Nel 1929, in coppia Attilio Marinoni, conquistò la 24 Ore di Spa, a bordo di una Alfa Romeo 6C 1750.
Al termine della stagione sospese l’attività di pilota per ritornare alla Bugatti e, in seguito, divenirne il responsabile corse con l’incarico di preparare una vettura per vincere la 24 Ore di Le Mans.
L’impegno fu coronato da successo nel 1937, riuscendo ad allestire una vincente “T57G” che egli stesso condusse al traguardo, in coppia con Jean-Pierre Wimille. Dopo questa vittoria, Benoist si ritirò definitivamente dalle competizioni, pur continuando a dirigere il reparto corse della Bugatti, fino al suo richiamo alle armi per la seconda guerra mondiale.
In seguito all’occupazione tedesca della Francia, Benoist fu coinvolto nelle resistenza dall’amico e collega William Grover-Williams. Quest’ultimo, dopo un lungo addestramento in Inghilterra nelle scuole del SOE, era stato paracadutato in Francia nella primavera del 1942 per creare e dirigere la rete Chestnut, un’organizzazione di spionaggio e sabotaggio operante nella zona di Parigi. Benoist fornì al gruppo un nascondiglio per armi e rifornimenti nella sua proprietà di Auffargis.
Arrestato dalla Gestapo nel 1943, riuscì a fuggire e raggiungere Londra. Nell’ottobre del 1943 tornò in Francia per una nuova missione che porterà a termine senza intoppo, riparando in Inghilterra nel febbraio 1944.
Nel mese di giugno, durante la sua terza missione nella zona di Nantes, fu arrestato e subito trasferito nel campo di concentramento di Buchenwald, dove fu impiccato l’11 settembre 1944.
Suad Amiry- Sharon e mia suocera: Se questa è vita-
Traduttore-M. Nadotti- Feltrinelli Editore
DESCRIZIONE
Una donna palestinese, colta, intelligente e spiritosa, tiene un ‟diario di guerra”. Gli israeliani sparano ma, nella forzata reclusione fra le pareti domestiche, ‟spara” anche la madre del marito, una suocera proverbiale. In pagine scoppiettanti di humour e di lucidità politica e sentimentale, i colpi bassi di Sharon e del suo governo finiscono per fare tutt’uno con le idiosincrasie della suocera petulante, con la quale l’autrice si trova a trascorrere in un involontario tête à tête il tempo dell’assedio. Ma, come la guerra, neanche l’avventura cominciata con Sharon e mia suocera finisce ed ecco che Suad Amiry con Se questa è vita ci regala una nuova puntata del suo irresistibile diario di guerra e di vita quotidiana dai Territori occupati. Con l’indiavolato humour che la contraddistingue e sfoderando un’ormai piena e affilata sapienza narrativa, ci conduce da una stazione all’altra del calvario palestinese, facendoci piangere, ridere, sdegnare, riflettere, connettere, ricordare. Portandoci, con tono lieve e tragicomico, a scoprire i piccoli e grandi contrattempi del vivere nel devastato scenario mediorientale. Al centro del suo affresco narrativo, come sempre, l’ingombrante e svagata suocera Umm Salim, che resiste alla brutalità dell’occupazione militare con abitudini da tempi di pace, orari, buone maniere. Attorno a lei un balletto indiavolato di vicini di casa, parenti, amici, funzionari israeliani, spie e collaboratori, cani, muri in costruzione, paesaggi splendidi e violati, checkpoint e soldati.
Un’eredità permanente L’estesa opera omnia di Helmut Newton Abbracciando un periodo di più di cinquant’anni e coprendo una quantità di ambiti impareggiabile, la fotografia del visionario Helmut Newton (1920–2004) ha raggiunto milioni di persone grazie alla pubblicazione su riviste del calibro di Vogue e Elle. La sua opera ha trasceso i generi, portando eleganza, stile e voyerismo nella fotografia di moda e nel ritratto, configurandosi in un corpus che resta inimitabile e insuperato. La padronanza dell’arte della fotografia di moda raggiunta all’inizio della sua carriera, ha fatto sì che, nei suoi scatti, Newton andasse regolarmente oltre la pratica comune, sfumando i confini fra realtà e illusione e spesso infondendo in essi una vena di surrealismo o la suspense di un film di Alfred Hitchcock. Un’estetica pulita pervade ogni ambito del suo lavoro, in particolare la fotografia di moda, di nudo e i ritratti. Le donne occupano una posizione centrale e fra i suoi soggetti figurano Catherine Deneuve, Liz Taylor, e Charlotte Rampling. Superando gli approcci narrativi tradizionali, la fotografia di moda di Newton è permeata non solo da un’eleganza sfarzosa e una sottile seduzione, ma anche da riferimenti culturali e un sorprendente senso dell’umorismo. Negli anni ’90 Newton ha pubblicato le sue fotografie nelle edizioni tedesca, americana, italiana, francese e russa di Vogue, scattandole prevalentemente a Monte Caldo e nei dintorni, dove si era trasferito nel 1981. Era solito trasformare locali, come il suo garage, in veri e propri palcoscenici teatrali dai particolari fortemente contrastanti o decisamente minimalisti, e in queste ambientazioni insoliti ritraeva spesso le vite eccentriche di personaggi ricchi e belli in scatti traboccanti di erotismo ed eleganza. Usava, e allo stesso tempo metteva in discussione, cliché visivi, talvolta con autoironia o una certa dose di parodia, ma sempre mostrando empatia. Coniugava con estrema sobrietà nudità e moda, trasformando così il suo lavoro in una testimonianza e un’analisi dei cambiamenti nel ruolo della donna nella società occidentale. Helmut Newton. Legacy, pensato per accompagnare la mostra internazionale itinerante dei lavori di Helmut Newton, presenta le opere principali di uno dei corpus più pubblicati della storia della fotografia, unitamente a svariate immagini riscoperte di recente. Questo volume celebra l’intramontabile influenza sulla fotografia moderna e l’arte visiva di Helmut Newton, prolifico creatore di immagini e autentico visionario. “Sono un voyeur professionista.” — Helmut Newton Il fotografo: Helmut Newton (1920–2004) è stato uno dei fotografi più influenti di tutti i tempi. Raggiunse la fama internazionale negli anni ’70, quando lavorava principalmente per l’edizione francese di Vogue, dove si fece apprezzare per le ambientazioni controverse delle sue fotografie. La sua abilità più originale consisteva nel far sembrare spontanei e dinamici scatti che erano in realtà accuratamente pianificati. Fra i numerosi titoli e riconoscimenti che ottenne spicca quello di Commandeur de l’Ordre des Arts et des Lettres. Il curatore e autore: Matthias Harder ha studiato storia dell’arte, archeologia classica e filosofia a Kiel e Berlino. È un membro della German Society of Photography e membro del comitato consultivo dello European Month of Photography. Curatore capo della Helmut Newton Foundation di Berlino dal 2004 e suo direttore dal 2019, ha scritto numerosi contributi per svariati libri e cataloghi di mostre. L’autore: Philippe Garner è un esperto di fotografia del XX secolo, design e arte decorativa. Ha scritto numerosi saggi e libri, spaziando dagli studi delle vite del designer Émile Gallé e dei fotografi Cecil Beaton e John Cowan, al volume Sixties Design pubblicato da TASCHEN. Ex dirigente di Christie’s, ha curato anche alcune mostre per musei di Londra, Parigi e Tokyo. HELMUT NEWTON. LEGACY sarà in mostra alla Helmut Newton Foundation, Jebensstraße 2, 10623 Berlino dal 31 ottobre 2021 al 22 maggio 2022
Illustrazioni di Giulia Ananìa- Prefazione di Pino Cacucci
-Red Star Press-
DESCRIZIONE
Le vite intrecciate, la musica senza tempo e le lotte grandi come il mondo di Violeta Parra, Mercedes Sosa e Chavela Vargas
Violeta Parra, Mercedes Sosa e Chavela Vargas: tre interpreti straordinarie, tre donne che, nel loro canto, sono riuscite ad abbracciare il mondo, intonando i temi universali dell’amore e della lotta, della libertà e del desiderio, della giustizia negata e del cambiamento necessario. Lavinia Mancusi raccoglie un’eredità imponente e, scavando nello sconfinato repertorio di queste icone della musica popolare di ogni tempo e paese, torna a dare voce a vite straordinarie, nate nelle periferie della Terra, costrette a fare i conti con la repressione e l’esilio eppure sempre capaci di librarsi al di là di qualunque confine. Tre grandi classici che, in questo libro, impreziosito dalle illustrazioni di Giulia Ananìa, tornano a raccontare le storie terribili e meravigliose che le hanno rese simboli universali di bellezza e riscatto.
Lavinia Mancusi- ¡REVOLUCIONARIA!-
Red Star Press Viale di Tor Marancia 76 Roma, Italia
Con grande dispiacere apprendiamo la notizia della scomparsa di Pietro Polverini, giovanissimo autore, poeta e filosofo.
Pietro era nato nel 1992 a Fiastra, in provincia di Macerata, ed era laureato in Filosofia all’università di Macerata con una tesi incentrata sulla figura e la poesia di Amelia Rosselli. Molti i suoi contributi critici pubblicati su diverse riviste e libri.
La sua era una scrittura elegante, elaborata in ogni sua parte. Il suo esordio, Indicesommario di sbiadimento pubblicato dalla Casa Editrice Italic Pequod, porta con sé un lavoro di grande attenzione durato anni. Una lirica non affatto semplice nella sua immediatezza di lettura, piena di ricordo, presenze tastate, pathos.
Vogliamo quindi ricordare con voi questo fine poeta leggendo alcuni suoi testi tratti proprio da Indice sommario di sbiadimento:
Pietro Polverini
Poesie di Pietro Polverini
Da sempre l’eternità è china su di voi: per commozione straniera vi slegate dagli oggetti, dall’ultimo lenzuolo verderame di cui sarete ospiti.
E dal velo della cresima cosparso sulla fronte, l’incidenza dell’aria vi sottrae dalla posa.
È questo poco sole nostro vero ricovero o fresca croce d’oblio l’obliquo uscio dalla nebbia latebra: la vita ch’era diventata seria al principio dell’azzurro dove s’assiepa il gelo parla stanca e scompare.
Vorrei sapere delle parole il numero: apprese obliate, annotate. Ora ho una corolla di nomi che si spunta e sbiadisce: non lasceranno traccia sulle increspature delle labbra. Delle parole vorrei sapere forse fiato, forse voce quale sarà la mia ultima: tutto pieno di sonno e nebbia potrei dire “acqua” o “lenzuolo”.
Pietro Polverini
È uno stelo, non una selva che si imbianca, perde liquore ora stilo senza vena.
È uno stelo poi torna in questo acquario terso senza selva
con luce che non torna: resta in un piccolo punto riportami là, lì ero tutto.
spesso a voi ritorno col pensiero che siate vivi o morti poco conta: circondati in un cerchio di betulla, senza ago di luce, ma di foschia solo lo spazio ha dovere di mischiare le acque, sporgersi di fronte ad un bosco – “locus a non lucendo” per dirti che se gli occhiali si fanno appannati di coltre biancofumo o di bruma senza visione, resti ancora in controcampo.
Fiastra piange la scomparsa di Pietro Polverini a soli 30 anni: comunità in lutto.
La comunità di Fiastra piange la scomparsa di Pietro Polverini, a soli 30 anni. Il giovane si è spento questa notte, intorno alle 5, a seguito dell’improvviso aggravarsi delle sue condizioni di salute mentre era ricoverato all’istituto Santo Stefano di Porto Potenza Picena. Pietro lascia la mamma Maria Grazia, il papà Emilio, il fratello Martino e la nonna Angela. Grande appassionato di poesia, ricopriva il ruolo di senior tutor all’università di Macerata.
“Di Pietro dovrei ricordare quella sua sensibilità uscita da un altro tempo, dominata dal presentimento di ciò che misteriosamente poi è accaduto e che non era solo un limite, erano le tenebre dentro cui vegliare quelle parole così dense ed eleganti che ha fatto appena in tempo a donarci in forma di poesie – così lo ricorda in un toccante post su Facebook il professor Sergio Labate, docente di filosofia teoretica dell’università di Macerata -. Ma non è solo questo che mi commuove. Mi commuove pensarlo mentre giocando a tennis si ostinava a giocare il dritto in back solo perché il suo modello tennistico era l’improbabile stile di Marion Bartoli, oppure quando ostentava il suo tifo per il Sassuolo. Una vita pesante che improvvisamente diventava leggera come quella dei bambini e si scioglieva in un sorriso”.
Il rito funebre si svolgerà martedì 14 novembre, alle ore 10:30, nella Basilica di San Nicola di Tolentino, muovendo dalla casa funeraria Rossetti in via La Malfa, a Tolentino. La salma verrà poi accompagnata al cimitero di Camporotondo di Fiastrone. Anche la redazione di Picchio News si stringe attorno al dolore della famiglia per l’improvvisa quanto dolorosa scomparsa di Pietro, ricordandone il sorriso e la competenza per il periodo in cui ci siamo pregiati della sua collaborazione.
“La notizia di una giovane vita spezzata crea sempre sgomento e smarrimento – sottolinea il rettore dell’università di Macerata, John McCourt in una nota di cordoglio -. Con ancora più forza vorrei far sentire ai genitori e a tutta la famiglia di Pietro la vicinanza dell’intera comunità universitaria e mia personale. Uno studente brillante e di spirito generosissimo, un ragazzo gentile il cui sorriso resterà per sempre nel ricordo dei suoi compagni di studio e dei professori che hanno avuto il privilegio di condividere con lui gli anni universitari, dentro e, soprattutto, fuori le aule”. Fonte–PICCHIO.news
Pietro Polverini
Addio a Pietro, poeta e filosofo
Pietro Polverini, poeta e filosofo originario di Fiastra, è scomparso a soli trent’anni. L’ultimo saluto sarà reso oggi a Tolentino. L’intero territorio si stringe alla famiglia. Ricordato con le sue parole, Pietro lascia un capolavoro e un pensiero profondo.
Se n’è andato a soli trent’anni il poeta e filosofo Pietro Polverini (nella foto), originario di Fiastra. Laureato in Filosofia all’università di Macerata, dove era diventato anche Senior Tutor, era anche redattore di MediumPoesia. In passato aveva lavorato anche alla scuola media di Fiastra. Si è spento domenica all’alba all’istituto Santo Stefano di Porto Potenza, dove era ricoverato a seguito di una malattia che affrontava da tempo. L’ultimo saluto è stato fissato per questa mattina alle 10.30 a Tolentino, basilica di San Nicola, muovendo dalla casa funeraria Rossetti; poi Pietro sarà accompagnato al cimitero di Camporotondo. L’intero territorio si stringe a mamma Maria Grazia, papà Emilio, al fratello Martino, a nonna Angela. In tanti hanno ricordato il giovane con le sue stesse parole, prese dal libro di esordio “Indice sommario di sbiadimento” (Pequod, 2022). “Ci hai lasciato tutti senza parole, dopo un anno sospeso e muto – scrive per lui un amico –. Si perdono una mente e una sensibilità rare, perdiamo un poeta e un pensatore visionario e profondo, perdo una delle poche persone davvero corrette e leali che ho incontrato nel mio percorso letterario. Ci resta tutto di te, i tuoi sguardi, i tuoi pensieri, i tuoi articoli critici per MediumPoesia e soprattutto il tuo breve unico capolavoro Indice sommario di sbiadimento”. Sullo stesso manifesto funebre ci sono alcuni versi di Pietro: “Dovremmo perdonarci tutto alla stregua dei giorni che si cancellano l’uno nella luce dell’altro”.Fonte- “Il Resto del Carlino”
Pietro Polverini
In lacrime per Pietro, poeta morto a soli 30 anni-
Il cordoglio del professore Labate dell’Università di Macerata
Fiastra piange la scomparsa di Pietro Polverini a soli 30 anni. Si è spento questa notte, a seguito dell’improvviso aggravarsi delle sue condizioni di salute mentre era ricoverato all’istituto Santo Stefano di Porto Potenza Picena. Grande appassionato di poesia, ricopriva il ruolo di senior tutor all’Università di Macerata. “Di Pietro dovrei ricordare quella sua sensibilità uscita da un altro tempo, dominata dal presentimento di ciò che misteriosamente poi è accaduto e che non era solo un limite, erano le tenebre dentro cui vegliare quelle parole così dense ed eleganti che ha fatto appena in tempo a donarci in forma di poesie – così lo ricorda in un post su Facebook il professor Sergio Labate, docente di filosofia teoretica dell’Università di Macerata -. Ma non è solo questo che mi commuove. Mi commuove pensarlo mentre giocando a tennis si ostinava a giocare il dritto in back solo perché il suo modello tennistico era l’improbabile stile di Marion Bartoli, oppure quando ostentava il suo tifo per il Sassuolo. Una vita pesante che improvvisamente diventava leggera come quella dei bambini e si scioglieva in un sorriso“.
Pietro lascia la mamma Maria Grazia, il papà Emilio, il fratello Martino e la nonna Angela. I funerali si terranno domani 14 novembre alle ore 10:30 nella Basilica di San Nicola di Tolentino.Fonte –yoy/tvrs
Rivista L’Altrove :Chi siamo
“La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”. (Federico García Lorca)
Con questo presupposto, L’Altrove intende ripercorrere insieme a voi la storia della poesia fino ai giorni nostri.
Si propone, inoltre, di restituire alla poesia quel ruolo di supremazia che ultimamente ha perso e, allo stesso tempo, di farla conoscere ad un pubblico sempre più vasto.
Troverete, infatti, qui tutto quello che riguarda la poesia: eventi, poesie scelte, appuntamenti di reading, interviste ai poeti, concorsi di poesia, uno spazio dedicato ai giovani autori e tanto altro.
Noi de L’Altrove crediamo che la poesia possa ancora portare chi legge a sperimentare nuove emozioni. Per questo ci auguriamo che possiate riscoprirvi amanti e non semplici seguaci di una così grande arte.
Vittorio Sereni (1913-1983)-Poeta italiano, è il capostipite della variante lombarda del novecentismo poetico, detto “Linea Lombarda”. Ufficiale di fanteria, viene fatto prigioniero dopo l’8 settembre 1943. Nel dopoguerra è direttore letterario di Mondadori e cura la prima edizione dei Meridiani.
“Le Sabine” è un dipinto Jacques-Louis David–Particolare Bambini
“Le Sabine” è un dipinto ad olio su tela di grandi dimensioni – misura infatti 385 x 522 – eseguito da Jacques-Louis David tra il 1796 e il 1799 ed esposto a Parigi al Museo del Louvre. Il soggetto non rappresenta il RattodelleSabine da parte dei Romani, tema già trattato da Giambologna e Poussin, per esempio, ma un episodio leggendario delle origini di Roma nell’VIII secolo, di cui parlano Plutarco e Livio (Ab Urbe condita, I, 9, 5-10).Si tratta di un dipinto di genere storico appartenente alla corrente neoclassica, che segna un’evoluzione nello stile di David dopo la Rivoluzione francese e qualificato da lui stesso come puramente greco. David iniziò il dipinto all’inizio del 1796 e la sua realizzazione durò quasi quattro anni. Il maestro fu assistito da Delafontaine, responsabile della documentazione, e da Jean-Pierre Franque, che in seguito fu sostituito da Jérôme-Martin Langlois e da Jean-Auguste-Dominique Ingres. David dipinse Le Sabine senza aver ricevuto da qualcuno la commissione del quadro e alla fine del 1799 espose il dipinto al Louvre nell’ex gabinetto di architettura.
Ersilia, moglie di Romolo, “Le Sabine” è un dipinto Jacques-Louis David
Nonostante la sua mostra fosse a pagamento, LeSabine attirò un gran numero di visitatori fino al 1805.
Anche la scelta di esporre un quadro e di farlo vedere previo pagamento di un biglietto d’entrata, può sembrare a noi moderni un fatto normale ma, nella mentalità del tempo, costituì un importante passo avanti nella definizione della libertà creativa dell’artista, il quale, precedentemente alla Rivoluzione, era stato in qualche modo sottomesso alla volontà della committenza: per la Francia, in particolare, a quella del re. In questa occasione, David scrisse un testo che giustificava sia questa forma di esposizione sia la nudità dei guerrieri che avevano scatenato grandi polemiche.
“Le Sabine” è un dipinto Jacques-Louis David-Tito Tazio Particolare
Dopo l’espulsione degli artisti dal Louvre tra cui lo stesso David, il dipinto fu spostato nell’ex chiesa del Collegio Cluny in Place de la Sorbonne che fungeva ormai da personale laboratorio di David. Nel 1819 David vendette LeSabine e la sua tela gemella LeonidaalleTermopili” ai musei reali per 100.000 franchi. Prima esposto al PalaisduLuxembourg e, dopo la morte del pittore, il dipinto tornò al Louvre nel 1826.
“Le Sabine” è un dipinto Jacques-Louis David-Particolare Romolo
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