Il pane fra sacro e umano il libro di Zefferino CIUFFOLETTI
E’ uscito recentemente il volume di Zeffiro Ciuffoletti “Il pane fra sacro e umano.
Dal Medioevo cristiano al Novecento” (Le Lettere). Ne riportiamo la Prefazione dell’Autore.
Zefferino CIUFFOLETTI
Zeffiro Ciuffoletti:“Carlo Levi scrisse che il pane costituisce “la prima prova della civiltà e la più profonda delle sue espressioni”. Questa frase mi colpì molto mentre scrivevo un saggio sulle Origini della dieta mediterranea per il terzo volume della Storia dell’Agricoltura Italiana dell’Accademia dei Georgofili (Firenze, 2002). Da qui il mio interesse per la storia plurisecolare del pane e da qui nasce questo lavoro che si concentra sulla concatenazione fra le carestie, le guerre e le pestilenze che ha caratterizzato la storia dell’Europa dal Medioevo alla prima guerra mondiale. Non si tratta di stabilire una gerarchia, come spesso si è fatto, all’interno di questo “ciclo infernale”, ma di dimostrare che queste disgrazie si presentano sempre intrecciate e che, nonostante le terribili conseguenze sociali e demografiche, non è mai venuta meno la spinta ad andare avanti. Spesso senza fare tesoro dell’esperienza del passato. Le pandemie, ad esempio, hanno sempre accompagnato il processo di espansione della civiltà europea, che tuttavia, nonostante gli sviluppi delle conoscenze scientifiche e della potenza economica, non è mai riuscita a interrompere il ciclo infernale. Ciclo che, infatti, si è ripresentato con il suo intreccio fino alla “grande guerra”. Il dopo è oggi, ma già la Seconda guerra mondiale, sorta dalle “ideologie del male”, di cui ha parlato nelle sue Memorie Papa Wojtyla, Giovanni Paolo II, aveva dimostrato che era possibile spezzare il ciclo infernale che dal Medioevo tormentava l’umanità. Nel secondo dopoguerra si sconfisse, anche se mai del tutto, la fame con la “rivoluzione verde” e con lo sviluppo dello stato sociale, ma si combatterono anche le malattie con i sistemi sanitari e con le vaccinazioni, non solo nel mondo occidentale. Oggi siamo davanti alla sfida del coronavirus, una pandemia globale che è una sfida non solo alla ricerca scientifica, ma anche alla nostra coscienza storica. Se, nonostante il ripetersi del ciclo infernale per secoli e secoli nella storia europea, l’umanità e la civiltà è andata avanti, bisognerà riconoscere che la spinta alla vita, la forza vitale ha sempre superato la disperazione e la morte. Il filosofo francese Pierre Teilhard de Chardin, uno dei pensatori più importanti del Novecento, ci ricorda che “il pericolo maggiore che possa temere l’umanità non è una catastrofe che venga dal di fuori, non è né la fame, né la peste: è invece quella malattia spirituale – la più terribile, perché il più direttamente umano dei flagelli – che è la perdita del gusto di vivere”. Sicuramente grave la perdita della memoria e della consapevolezza storica degli ultimi decenni, quelli delle “magnifiche sorti e progressive “ del mondo globalizzato. A proposito della “spagnola”, che tanto spesso viene evocata in relazione alla pandemia del coronavirus che sta sconvolgendo il mondo intero, Stefan Cunha Ujvari, epidemiologo e storico insigne delle epidemia, già nel 2003 così scriveva: “Chi immagina che la storia dell’influenza spagnola appartenga solo al passato si sbaglia. Una nuova epidemia, mortale tanto quella vissuta nel 1918, è una minaccia costante ancora oggi […]. Non si può sottovalutare il potenziale di insorgenza di nuovo tipo di virus di influenza ad alto tasso di mortalità”. In questo senso la storia può servire”.
ROMA-E’ morto lo scrittore Raffaele La Capria, aveva 99 anni
Raffaele La Capria
(ANSA)-Articolo di Paolo Petroni–Era una delle voci più significative della letteratura italiana del secondo ‘900, Raffaele La Capria, che avrebbe compito 100 anni a ottobre e si è spento questa notte nell’ospedale romano Santo Spirito.
Nato a Napoli nel 1922 e dal 1950 che viveva a Roma.
Nel 1961 aveva vinto il Premio Strega con “Ferito a morte”, ritratto di Napoli e di una generazione seguita con complessi sbalzi temporali lungo l’arco di un decennio. Ha ricevuto per la sua carriera il Premio Campiello (2001), il Premio Chiara (2002), il Premio Alabarda d’oro (2011) e il Premio Brancati (2012). Nel 2005 aveva vinto il Premio Viareggio per la raccolta di scritti memorialistici “L’estro quotidiano”.
Con la sua opera di narratore, La Capria ha raccontato i vizi e le virtù della sua Napoli, dove era nato il 3 ottobre 1922. Oltre che scrittore, è stato giornalista, collaboratore di diverse riviste e quotidiani tra cui “Il Mondo”, “Tempo presente” e il “Corriere della Sera” e dal 1990 era condirettore della rivista letteraria “Nuovi Argomenti”.
Trascorse lunghi periodi in Francia, Inghilterra e Stati Uniti, per poi stabilirsi a Roma. Ha collaborato con la Rai come autore di radiodrammi e ha scritto per il cinema, co-sceneggiando molti film di Francesco Rosi, tra i quali “Le mani sulla città” (1963) e “Uomini contro” (1970) ed ha collaborato con Lina Wertmüller alla sceneggiatura del film “Ferdinando e Carolina” (1999).
È stato autore di numerosi romanzi, tra i quali “Un giorno d’impazienza” (1952), “Amore e psiche” (1973), “La neve del Vesuvio” (1988), “L’amorosa inchiesta” (2006); saggi, quali “Letteratura e salti mortali” (1990), “L’occhio di Napoli” (1994), “La mosca nella bottiglia” (1996), “Napolitan Graffiti” (1998), Lo stile dell’anatra (2001) e il saggio-intervista “Me visto da lui stesso. Interviste 1970-2001 sul mestiere di scrivere” (2002).
Ha anche tradotto opere per il teatro di autori come Jean-Paul Sartre, Jean Cocteau, T. S. Eliot, George Orwell.(ANSA)
Biblioteca DEA SABINA-Rivista Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” dll’11 al 28 nov. 2001Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” anno 2001-Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” anno 2001-Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” anno 2001–Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” anno 2001-Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” anno 2001-Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” anno 2001-Collettivo R-PAOLO TASSI “Da Sonia a Sonia” anno 2001-
BERLINO-10 maggio 1933 :”L’incendio di libri nella Germania nazista”.
L’incendio di libri nella Germania nazista Berlino 10 maggio1933
Erano passati poco più di quattro mesi da quando Adolf Hitler salì al potere quando, il 10 maggio 1933 , ebbe luogo a Berlino e in altre città tedesche il Bücherverbrennungen, il rogo dei libri .
Il nazionalsocialismo, già in quei primi mesi di governo, aveva gettato le basi per la dittatura e mosse quei primi passi che avrebbero portato alle tragedie degli anni successivi: Hitler ottenne poteri speciali dal Parlamento, aprì il primo campo di concentramento a Dachau e prese iniziò il boicottaggio dei negozi ebraici. Questi primi atti, che cominciarono a influenzare direttamente la vita di uomini che l’ideologia nazista considerava nemici della Germania , furono subito accompagnati dalla loro prima uccisione simbolica, quella dei libri .
I falò sono stati promossi dall’Associazione nazionalsocialista degli studenti tedeschi e il ministro della Propaganda Joseph Goebbels li ha coordinati per darvi il massimo risalto. Nella notte del 10 maggio, decine di migliaia di libri, 25.000 volumi nella sola Berlino, furono dati alle fiamme davanti a politici, professori, studenti e migliaia di altri sostenitori nazisti .
Tra le opere in fiamme c’erano i libri dei più grandi teorici e figure letterarie del socialismo, da Karl Marx a Bertold Brecht, autori stranieri come Ernest Hemingway e Jack London, scrittori tedeschi contrari al nazismo come Thomas Mann, Erich Kästner, Heinrich Mann e Ernst Gläser. Furono bruciate anche Bibbie e pubblicazioni dei Testimoni di Geova , la biblioteca e gli archivi dell’Istituto per la scienza della sessualità, accusato agli occhi dei nazisti per le sue opinioni liberali sull’omosessualità e il transessualismo, e i libri di autori ebrei. Franz Kafka, Arthur Schnitzler, Franz Werfel, Max Brod e Stefan Zweig. In quello che è stato il più grande libro in fiamme mai visto nel mondo occidentale,Venne Bruciata Tutta la cultura e nazista considerata anti-tedesca per motivare politici e razziali : la lunga storia del fanatismo aveva raggiunto nella Germania nazista il suo apice.
Negli anni dopo il 1933, in Germania e nei territori occupati dai nazisti durante la guerra, ci furono numerosi altri fuochi di libri, ma fu da quel 10 maggio che fu sancito il principio totalitario per il quale ogni opera scritta doveva conformarsi ‘ Ideologia nazionalsocialista. La battaglia per la distruzione di tutte le diverse espressioni culturali interesserebbe poi anche l’arte e la musica considerate “degenerate” .
Gli incendiari volevano colpire sia chi aveva scritto e letto quei volumi, sia l’unica possibilità di poterli ripensare. I libri Furon Bruciata alter ego in quanto di uomini che quegli quegli volevano EliminaçÃ, e che poi Sarann uccisi nei lager . “Dove bruci libri, finisci per bruciare anche uomini”, aveva avvertito un secolo prima il poeta tedesco Heinrich Heine. Nel 1933 le sue opere furono date alle fiamme anche dagli incendi nazisti.
Durante l’ incendio di Berlino , avvenuto nella piazza davanti all’Università, Goebbels ha pronunciato un odioso discorso sull ‘”intellettualismo ebraico”, dicendo che gli studenti farebbero bene a “dare fuoco allo spirito malvagio del passato” . Oggi, nella stessa piazza , un’opera d’arte dell’israeliana Micha Ulmann ricorda quanto accaduto . Si tratta di un vero e proprio monumento commemorativo, sotterraneo, ma visibile a tutti attraverso una lastra trasparente posta all’altezza del pavimento: chi la guarda vede una piccola biblioteca, con scaffali vuoti.
Fonte: Scuola e memoria – L’incendio di libri nella Germania nazista
-Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982-
Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982Lidia SENES- Poesie “Le Parole della Notte”-Lalli Editore 1982
Timbuctù -Abdel Kader Haidara, dopo essersi preso cura della raccolta e del restauro di 350.000 manoscritti di valore incommensurabile, un giorno torna da un viaggio di lavoro e trova la sua città invasa. Così, di nascosto, inizia una silenziosa opera per salvarli dalla furia fondamentalista
Il bibliotecario eroe di Timbuctù
Lo abbiamo visto così tante volte negli ultimi anni che quasi ci siamo abituati: i talebani che abbattono i Buddha di Bamiyan con le cariche esplosive, i miliziani dell’Isis che prendono a martellate le statue nel museo di Mosul, la distruzione del sito archeologico di Palmira e l’uccisione dell’uomo che lì dirigeva gli scavi. E’ la “pulizia culturale” dei fondamentalisti, il tentativo di negare molteplicità e differenze in favore del pensiero unico. E quindi addio a tesori inestimabili e meravigliose testimonianze di un passato in cui i popoli convivevano nella tolleranza.
In questo desolante panorama, alcune storie di coraggio vanno invece raccontate. Come quella di Abdel Kader Haidara, il cui amore per i libri e i manoscritti antichi ha permesso di salvare l’immenso patrimonio culturale del Mali.
Tutto comincia nell’aprile del 2012, quando Abdel, tornato da un viaggio di lavoro in Burkina Faso, trova la sua città, Timbuctù, invasa dai miliziani di una delle affiliate africane ad Al Qaeda. Saccheggi, spari, bandiere nere che sventolano sui palazzi governativi e sui pickup che sollevano nuvole di terra per le strade.
Il bibliotecario eroe di Timbuctù
Abdel di mestiere fa il bibliotecario e il conservatore di manoscritti antichi. Dal XVI secolo, la sua famiglia si è dedicata alla raccolta di volumi centenari e ha fondato l’Ahmed Baba Institute, in cui questi tesori dimorano. Suo padre si è dedicato per anni ai viaggi in tutta l’Africa, raccogliendo centinaia di manoscritti in Chad, in Sudan e in Egitto.
Alla sua morte, nel 1981, Abdel ha solo 17 anni. Il direttore dell’istituto offre a lui il posto. «Non volevo fare questo – racconta – gli risposi che non ero interessato. Volevo buttarmi nel mondo degli affari e guadagnare un sacco di soldi, non lavorare in una biblioteca». Il direttore però non si arrende. «Mi disse: “Questo è il tuo lavoro, il tuo destino. Hai una grande responsabilità. Sei il custode di una grande tradizione intellettuale”». Dopo mesi d’insistenza, Abdel cede. Studia intensamente e impara in fretta tutto quello che c’è da sapere, dalle tecniche di conservazione a come attribuire un valore economico ai singoli pezzi.
Trent’anni dopo, quando nel 2012 i miliziani invadono la sua città, della collezione fanno parte 350.000 manoscritti raccolti, chiesti in dono o comprati in ogni parte del paese. Molti sono secolari. Tra questi, anche un Corano dalla forma irregolare del XII secolo, scritto su una pergamena fatta con pelli di pesce e rilucente di lettere vergate in blu e oro. E poi testi di astronomia, matematica, scienze occulte e medicine tradizionali. «Molti dei manoscritti mostrano che l’Islam è una religione di tolleranza» racconta.
Ma ovviamente questa visione non è quella dei fondamentalisti. Anzi, gli antichi esempi di disquisizioni intellettuali e analisi del mondo sono proprio ciò che i jihadisti puntano a distruggere. Abdel sa che presto o tardi, i libri saranno in pericolo. Per un po’ fa finta di niente. Cammina per le strade senza guardare negli occhi nessuno e apre la biblioteca come se tutto fosse normale. Ma sa che deve fare qualcosa.
Qualche giorno più tardi, incontra i colleghi all’associazione delle biblioteche, da lui stesso fondata 15 anni prima. «Penso che sia necessario portar via i manoscritti da dove sono – dice loro – e disperderli nelle case qui in città. Non vogliamo che trovino le collezioni e le rubino o le distruggano».
Mesi prima, l’ufficio della Fondazione Ford a Lagos, in Nigeria, gli ha concesso una borsa di studio di 12.000 dollari per studiare inglese a Oxford. I soldi sono stati tenuti da parte in un libretto di risparmio. Abdel scrive alla fondazione e chiede l’autorizzazione per ricollocare i fondi: vuole usarli per proteggere i manoscritti. I soldi arrivano in tre giorni.
Abdel recluta suo nipote e a seguire i bibliotecari, gli archivisti, le segretarie, le guide turistiche di Timbuctù oltre a mezza dozzina di parenti. Il risultato è un colpo degno di “Ocean’s Eleven”.
Comprano casse di metallo o di legno al ritmo di 50 e persino di 80 al giorno, finché nessuno nei dintorni ne ha più. Ma non bastano. Allora incominciano a comprare barili di olio vuoti e li portano da un artigiano in una città vicina perché li batta col martello fino a trasformarli in casse, e identificano le case sicure dove nasconderle, in città o nelle periferie. Organizzano un piccolo esercito di imballatori che lavorano silenziosamente nel buio e organizzano i trasporti a dorso d’asino fino ai nascondigli.
Nel corso di otto mesi, quando neanche le case della città sembrano più sicure, le operazioni finiscono per coinvolgere centinaia di imballatori e corrieri. Contrabbandano i manoscritti fuori da Timbuctù, lungo le strade e i fiumi, oltre i checkpoint dei jihadisti e – dove ancora il governo è al potere – le sospettose truppe del Mali.
Quando i militari francesi arrivano, a gennaio 2013, la maggior parte del tesoro culturale è salvo: i libri andati distrutti nei roghi dei fondamentalisti sono 4000 sui 350.000 originari. «Se non lo avessimo fatto – racconta Abdel – sono sicuro che molti altri sarebbero andati in fumo».
Abdel è particolarmente orgoglioso di aver salvato un manoscritto: un volume che sembra pronto a sbriciolarsi, nel quale si racconta della risoluzione di un conflitto tra i regni di Borno e Sokoto, in quella che è l’attuale Nigeria. E’ l’opera di un intellettuale e sacro guerriero Sufi che governò brevemente Timbuctù nel XIX secolo. Quest’uomo, sostiene Abdel, era un jihadista nel senso originale e migliore della parola: un uomo che conduce una guerra dentro di sé contro le idee malvage, i desideri e la rabbia e li soggioga alla ragione e all’obbedienza ai comandamenti di Dio. «Una bella lezione – commenta Abdel – per chi invece semina il terrore».
Bruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- Poesie Edizione Collettivo R-1981Bruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- PoesieBruno Francisci :”DENTRO il LABIRINTO”- Poesie
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MURALES CASTELNUOVESI -“Castelnuovo, la riva sinistra del Farfa”
Brano tratto dal libro di Franco Leggeri
“Castelnuovo, la riva sinistra del Farfa”
………..Al termine della salita che porta dalla campagna al borgo di Castelnuovo , si trova un vecchio edificio ricoperto di edera, muschi e arbusti vari che crescono sul muro , ma vi è anche l’immancabile pianta di fico. All’interno delle vecchie mura , frammenti di mura, cresce spontaneo un giardino incolto che alimenta la fantasia di architetture fantastiche , scenografia di storie medievali in quel che resta del manufatto. Eppure questo rudere assume, nella fantasia del visitatore attento e non superficiale, una valenza magica ch’è l’unione tra realtà e immaginario letterario. Chissà se il rudere la sera si veste di colori bluastri, scala del “bleu gotico” l’ora amica dei fotografi e dei pittori, oppure ha lo stesso colore del vecchio insediativo storico racchiuso nelle mura di cinta costruite in pietrame a difesa dell’antico borgo di Castelnuovo. Rudere che potrebbe essere un eremo solitario posto ai confini del mondo, ma anche luogo dove si consuma da secoli l’instancabile opera dell’uomo per conquistare e domare la natura del colle dove sorge il Borgo di Castelnuovo di Farfa………….
dal libro di Franco Leggeri-“Castelnuovo, la riva sinistra del Farfa”
-IL DIARIO di IRENE BERNASCONI Anno scolastico 1915-16-
Premessa:
PALIDORO-IL DIARIO di IRENE BERNASCONI con i bambini
Nell’anno scolastico 1915-16, aveva inizio a Palidoro l’attività della scuola materna . La prima maestra che vi prese servizio fu una giovane svizzera che, conseguito il diploma in Italia, aveva una sede, anche disagiata, nella quale l’opera della scuola fosse particolarmente necessaria. Fu così che Irene Bernasconi di Chiasso, nel Canton Ticino, lasciò la sua famiglia benestante e si immerse in una realtà sociale e umana molto diversa da quella che si lasciava alle spalle. In pagine di diario, documentò tali sue esperienze e quelle che successivamente ebbe modo di vivere in altri luoghi, sempre animata da un alto spirito umanitario e professionale. Presentiamo qui alcune parti dell’inedito Diario di Palidoro (ringraziando la figlia dell’Autrice, la Signora Linda Gabrielli Socciarelli che ce ne ha offerto l’opportunità), dalle quali emerge lo stato di miseria , ma anche la genuinità di quegli abitanti di Palidoro di altri tempi. (N.d.R.)
Trascrizione del testo e ricerca foto a cura di Franco Leggeri
per WWW.ABCVOX.INFO-Agenzia REDREPORT
PALIDORO-
Dal Diario
La mattina del 6 dicembre 1915 giungevo a Palidoro. Una mattina fredda, grigia, malinconica. Non pioveva, ma nell’aria c’era umidità e le staccionate del grande viale di olmi avevano un leggero strato di muschio; nelle cunette , ai lati dell’antica via Aurelia, vi era del fango e i ciottoli squadrati del fondo stradale apparivano lucidi. Nella notte era venuto un acquazzone . Che silenzio suggestivo nella sterminata Campagna Romana! Non una persona per strada; la capanne di canne, le prime che vedevo, mi parvero disabitate; i <rimessini> coi bovi dalle <lunate corna> e i rozzi bufali erano immagini nuove per me ; guardavo tutto con occhi sgranati. La bellezza selvaggia, l’indicibile calma, la torre silenziosa che si ergeva sul mugghiante Tirreno come una sentinella, le persone diverse da noi settentrionali nelle linee del viso e nei costumi (che avevo notato appena scesa dal treno), i cavalli snelli, i bufali, le pecore, i somari, il vasto orizzonte che in quel primo giorno mi impressionò e quasi mi faceva paura, la linea azzurra rigida del mare a ponente… tutto mi conquise!
Avevo scelto di fare scuola in un posto dove non voleva andare nessuno, fra gente primitiva, bisognosa di affetto; fra bambini anche sporchi, scalzi, stracciati: Bambini vicini alla terra. In questo posto perduto nel fondo di qualche valle poco conosciuta o in un luogo abbandonato nelle desolate lande della maremma… e Palidoro è, al dire dei ciociari, la < Maremmaccia>. Era il posto che faceva per me , quello che andavo cercando … Mi dissi fortunata di averlo trovato e decisi di restare.
PALIDORO-
Il giorno 8 dicembre a mezzodì, un buttero della tenuta aveva recato da Rom i commestibili e il vasellame per la refezione scolastica; la mattina del 9, alle ore 8 e mezzo, l’asilo, o meglio < la casa dei bambini secondo il metodo Montessori> apriva, per la prima volta , i battenti per ricevere 27 iscritti che, nel marzo del 1916, arrivarono a 36; nella maggior parte si trattava di figli di richiamati alle armi.
La scuola era costituita da due locali abbastanza capaci: uno era l’aula, l’altro la cucina; a questi si accedeva da un piccolo atrio e, attraverso una porticina a vetri, ci si immetteva in una specie di corridoio che aveva gli attaccapanni e che in origine era un pollaio; da questo, per mezzo di pochi gradini, si scendeva nel prato percorso dalla <marana>: il gabinetto dei miei piccoli scolari.
Non tardai molto ad accorgermi che la scuola era una vera manna per questa gente nomade che, lasciate le case di Ciociaria, viene qui a lavorare ogni autunno per fuggirsene via all’inizio dell’estate scacciata dallo spettro della malaria.
11 dicembre, sabato. Parlano in modo per me incomprensibile; chiedo spiegazioni alla cuciniera che mi chiarisce il linguaggio a modo suo : si inquieta perché non comprendo e le sembra impossibile che io non sappia che cosa sia la <pizza> che i piccoli chiedono ad ogni istante . <Ammàppete-dice-manco sai che è la pizza? Ma è la pizza ,la pizza>. Io resto perplessa e allora si leva da tasca del grembiule un pezzo di pane di granoturco e me lo mostra:<Eccola la pizza>.
L’apparizione della prima scodella di minestra era stata salutata da un rumoroso picchiare di piedi , da manine protese, da visi rasserenati, da lunghi e profondi sospiri, da tante voci:<A me, a me!>.
Poveri piccoli cari! Le piccine, a refezione ultimata, non volevano levarsi la “bavarola” e i maschi nascondevano il cucchiaio.
PALIDORO-
5 gennaio, mercoledì. Noto che in questi piccini ( ma anche nei grandicelli di 8, 10 12 anni che vedo per strada) un nonnulla basti a scatenare l’istinto aggressivo; e non mi lascio sfuggire le occasioni per dire di essere gentili , usare cortesia con tutti, di volersi bene; ma in genere fanno ciò solo quando vedono in mano a un compagno qualche ghiottoneria della quale sperano di essere messi a parte , sia pure in minima dose.
Mi sento più scoraggiata nel rilevare questi loro modi di fare che non quando me li vedo comparire davanti orribilmente sporchi.
8 gennaio, sabato. Mattina uggiosa: l’Elementare non ha aperto i battenti e così anche i miei piccoli, quelli che abitano lontano e che vengono accompagnati dai fratelli più grandi , si sono concessa una vacanza. Alla fine , prima di lasciare che i pochi venuti tornassero a casa, vincendo una certa ripugnanza, ho indossato un grembiule da cucina e….avanti! Ho lavato loro il viso, il collo, gli orecchi, le mani, le braccia.
Penso : ciò che adesso si fa con amore, al fine di condurre queste persone a tenere un altro regime di vita, vale ben poco , è seme gettato sull’argilla.
La casa e l’ambiente in cui vivono queste creature, così colme d’una naturale freschezza interiore, distruggono ciò che alla scuola si edifica.
Non si potrebbe fare per questa gente qualche casetta, anche di legno, a due, a quattro locali? Allora sì che l’individuo potrebbe cambiare un po’ i costumi. Ma, col vivere in massa in questi porticati, lassù all’Osteriaccia, a Statua, come possono migliorare? I bambini vivono due esistenze ben distinte che non si integreranno mai a formare la loro personalità.
Talvolta mi sento scoraggiata, ma poi guardo all’avvenire, a quel futuro del dopoguerra e scorgo una speranza.
21 gennaio, venerdì. Amalia è stata tutta la mattinata con la testina sul banco; tossiva con urli strazianti; l’ho portata al casale sul tardi : ardeva di febbre, che occhi lucidi aveva!
PALIDORO-
Angelo e Mariannina Paparozzi sono andati, con la madre, in montagna, probabilmente non ritorneranno che a Pasqua.
24 gennaio, lunedì. A Toto è morto un fratellino di pochi giorni e stamane gli ho chiesto:< Ti dispiace che sia morto il tuo fratellino?>.
Subito si è rizzato sul sedile e, spalancando gli occhi, mi ha risposto tutto d’un fiato, come se avesse fretta di dirlo:< E’ meglio che è morto se no io dovevo dormire sulla panchina con il cappotto>.
Parole dure, e forse non del tutto estranee alla lotta per la sopravvivenza che si svolgeva sotto quei porticati.
12 febbraio, sabato. Poveri piccini, alle volte mi fanno proprio compassione: sono lì pieni di freddo, col nasino moccioso, con le dita fuori dalle cioce, vestiti, o meglio coperti con stracci di cotonina.
E in che modo parlano? Ancora non si sono abituati a dire <faccia> invece di <muso>; alcuni si puliscono bravamente il naso con le mani.
E’ certo che qui bisogna vincere ogni ripugnanza, rimboccarsi le maniche e… avanti col cuore sereno.
8 marzo, mercoledì. Peppinella è morta…. Nel guardarla mi si stringeva il cuore; la cicatrice del labbro superiore quasi non si notava, la morte l’aveva fatta più bella.
I pochi bambini presenti l’accompagnavano in chiesa portando ceri…..
9 marzo, giovedì. Ho una sensazione di sfacelo: Armando Bellardi, dopo 10 giorni di malattia, stanotte è spirato…. Una ghirlanda di rose di stoffa, di colore chiassoso, la stessa che avevo visto sulla testolina di Peppinella, posava sul capo, una veste da neonato, bianca, lunga con merletto, lo copriva interamente. Le mani gliele avevano accomodate in atto di preghiera e fra le dita gli avevano posto una piccola croce formata da due ceri sottili.
11 marzo, sabato. Stamane Checchinello è venuto tardi, gliene ho chiesto il motivo e ha risposto :< Mamma è malata, Nerina deve cucinare e l’acqua pe’ sciacquarmi non c’era; so’ sceso , ho cercato una pozza pe’ ‘l viso e le mani e ho fatto tardi>. Non voleva presentarsi sporco.
Pure Angelo Bellardi ieri mattina non voleva venire a scuola perché < mamma non teneva l’acqua pe’ sciacquarmi il muso>.
E’ già un bel passo avanti, forse il più importante, il primo per arrivare ad altri.
PALIDORO-MACCARESE
13 marzo, lunedì. Il morbillo si estende sempre più e degenera in polmonite.
Alfredo Toppi è morto; non sono andata a vederlo, è uno spettacolo troppo triste!
Santino è venuto alla scuola sudicio; gli ho fatto osservare il grembiulino sporco e le dita dei piedi che uscivano dalle cioce mal legate; si è messo un dito in bocca e mi ha guardato dicendo :< Sai, signorì , Marianna è morta e mamma le ha fatto un cuscino di paglia>.
20 marzo, lunedì. Anche Checchinello si è ammalato; ormai non sono che cinque i presenti; si dovrebbe chiudere, ma come si fa? Penso che questi poverini stiano meglio nella scuola che lassù, in quei portici affumicati dove il vento fischia e giuoca a suo talento. Almeno qui trovano una buona e fumante minestra e…..l’acqua non scarseggia: si lavano così volentieri, adesso, che è un piacere il constatarlo.
15 aprile, sabato. Toto guarda sempre con occhi avidi i compagni che mangiano. A merenda si mette davanti a quelli che hanno qualche ghiottoneria ( cipolle, carciofi, lardo, aglio) appoggia i gomiti sul banco, affonda il mento nelle mani, gira gli occhi da un compagno all’altro e si affretta a raccogliere le briciole che cadono. Lo fa per pura golosità, perché la mamma gli prepara perfino la frittata con le erbe, ma lui si ingozza per finire in fretta e poi assaggiare un pochino di tutto ciò che recano i compagni. In uno dei passati giorni, per avere un pezzetto di pizza da Anito si strappo un bottone dalla giacchettina e glielo dette in paga.
25 aprile, martedì. Arrivano tutti con mezze pagnotte di pizza odorante di anice; la pizza di Pasqua rappresenta per questi bambini il dolce più squisito che ci possa essere .
Oggi hanno fatto la gara nel raccontarmi quello che fecero durante le vacanze. Toto e Rosina sono andati a Roma a trovare il papà che è militare:< Quante case e quanti tramve!>.
Peppinello no:<Nessuno me porta a Roma, mamma ha sciacquato li panni e io stavo co’ Attilio solo>.
Checchinello ha ricevuto dolci da una zia che abita lontano :< Il paese c’è, ma non lo so il nome suo>.
Bellardi ha mutato la camicia:< Tengo la camicia e la giacchettina lavati da mamma e li bottoni elloli (eccoli)>.
PALIDORO-IL DIARIO di IRENE BERNASCONI
Remo e Irma sono stati al mare ed hanno portato un fazzoletto pieno di conchiglie:< Le cucchiole che ci hanno dentro il mare>.
Anito e Suntarella sono venuti con una pezzuola da naso nuova e Anito non finiva mai di stenderla per terra, così che ogni volta che la usava lasciava del sudiciume sul viso.
Pasqualina con un abituccio bianco e delle mutandine candide:< Sai, papà mio ha magnato troppo e mò gli ha ripigliato la febbre>.
Nel pomeriggio , mentre mi salutava per ritornarsene al casale, Peppinello mi ha detto:< Non c’eri in chiesa quando faceva festa , perché? A lu loco teo non ci stevi, perché?>.
Ho risposto che ero andata a Roma.
<Dalla mamma tea?>.
<No , la mia mamma è lontano, lontano>.
Nel dire così mi è venuto il magone; se ne è accorto il piccino, mi ha baciato la mano, povero caro , e :< Mmbèh, te vojo bene!>. i suoi occhi grandi, vivi, espressivi, la personcina infagottata nei poveri panni ebbero, in quel momento, il potere di confortarmi tanto, tanto.
3 maggio, mercoledì. Appena sentono, anche se da molto lontano, il rumore delle automobili, che passano sovente, i maschietti corrono fuori tutti festosi a salutare e gridare: <La benzina corre pe’ la strada romana (l’Aurelia) quanta polvere!>.
4 maggio, giovedì. Con un gran mazzo di margherite fissato in uno strappo della giacca, è comparso stamane Augusto Bellardi : le ciocie mal legate, le calze a buchi, una nera, l’altra a righe nere e marrone, i calzoni che mostravano la pelle , il cappello troppo grande e tutto sforacchiato con una margherita in ogni foro. Teneva in mano due fette di pizza, cotta da chissà quanto tempo, si è avvicinato con un sorriso furbo, le guance rosse, lo sguardo vivo , certo che in mente aveva qualcosa; mi ha porto la mano senza parlare, ha posato la pizza, si è seduto vicino a Remo che stava contando le conchiglie e, approfittando di una distrazione del compagno , si è cacciato in tasca , con incredibile tre conchiglie. Poco dopo, si è alzato invitando fuori Anito per fare <piccichino> con lui.
19 maggio, venerdì. Checchino sta poco bene, ricominciano le febbri; i suoi occhi hanno delle fissità strane come se il suo pensiero fosse fermo su cose dolorose: è stanco , mi si appoggia, mi accarezza, mi guarda, ma non una sola parola esce dalla sua bocca. Quando far sta male la malaria!
20 maggio, sabato. Nelle prime ore pomeridiane, i grandicelli cantano le canzoncine religiose che ascoltano in chiesa ; i bambini dell’Osteriaccia formano un gruppo a parte e cantano le litanie e una preghiera per la < Madonna del Divino Amore che fa le grazie a tutte l’ore >, la stessa preghiera che la sera, sul tardi, le mamme e le sorelle cantano davanti ad una immagine della Vergine che hanno appesa all’esterno di una delle porte del casale , mentre arde un lumicino ad olio.
30 maggio, martedì. Nella prima quindicina di questo mese, come ho già detto, le donne del casale dell’Osteriaccia si riunivano per cantare le litanie in onore di Maria. Cantavano con una bella voce robusta, con cadenza molle, davanti ad una sacra immagine fissata sul muro , dove è pure attaccato il pezzo di una pagina del < Giornale d’Italia>, e incorniciata da una ghirlanda di fiori campestri. Però, da oltre una settimana, non fanno più sentire i loro canti; stamane ne chiesi il motivo ai bambini che vengono da lassù e Peppino mi rispose che le < le ragazze sono stanche e non tengono la fantasia per cantare>.
Bellardi, invece, mi disse:<Sai? Non cantano perché li fiori si sono seccati>. E Amelia:< Ma che fiori! Io lo saccio, non cantano perché non c’è più l’olio per il lume>.
2 giugno, venerdì. Stamane Angelino è venuto accompagnato da una sua sorella grande; una ragazza che avevo sempre vista disordinata nell’abito e sporca più di tutte le altre del casale, spettinata al punto che il viso le restava nascosto , ma che , questa mattina, appariva linda e pettinata, tanto da sembrare quasi un’altra persona. Mi ha detto:< Va bene così signorina?>. Al mio sguardo compiaciuto, ha ripreso:< Ho sciacquato Angelino e nel barattolo grande mi sono pulita da sola per lu loco alla marana>.
Ogni anno, terminata la mietitura, questi contadini lasciano la tenuta, così che Palidoro resta quasi deserto; se ne vanno in montagna ad Anticoli Corrado, perché qui, come a Maccarese, la malaria impera più che in ogni altro luogo dei dintorni. Lassù, la loro abitazione deve essere migliore di quella che hanno qui; così credo stando ai discorsi che mi fanno i piccoli e poi< l’aria è boona, non ci stanno le zanzare>. Peppinello mi ha detto che ad Anticoli ha una casa bella con cinque finestre e che adesso, quando vi tornerà, metterà i fiori alla finestra della camera,< ma no la camera in dove stemo a dormi, no, quella indove tenemo lu tavolo e le scodelle>.
Augusto Bellardi racconta che ci stanno tre chiese: una della Trinità, una di S.Giuseppe e l’altra di :Rocco col cane, < se tu senti come so belle le messe a Anticoli!>.
Anito s’è fatto buono, non bestemmia , non morde più.
5 giugno, lunedì. Cari piccoli! Mi parlano di Anticoli Corrado con una marcata punta di nostalgia nelle parole, nel timbro della voce mentre gli occhi s’illuminano e il pensiero corre lassù in montagna . <Quando me ne rivado in montagna vieni pure tu-mi ha detto Anito- io ti faccio posto agliu treno e alla casa mea, sa, ci sta lo “cucciaro” (cucchiaio) perché ti mangi le “ciammaruche” (lumache)>
10 giugno, sabato. Mario mi si siede vicino e racconta dei lavori che fanno i bifolchi e le donne in campagna :< Stanno a prepara i fienili e già le macchine legano l’avena; è bello si lavora così, si suda, si diventa rossi, ma il padrone ti dà il pane, cipolle e una fojetta di vino, hai voglia a finire tutto quel vino!>.
21 giugno, mercoledì. Ieri Toto non è venuto perché è andato con la madre a mietere il grano; stamane, appena entrato , ha chiamato i compagni e, in gran segreto, ha rivelato loro che in campagna si sta meglio perché < se magna la zuppa di vino!>.
22 giugno, giovedì. Sono venuti i bambini di Statua per una mezz’ora perché i fratelli maggiori dovevano recarsi in dispensa a comprare del petrolio e così hanno creduto bene lasciare i piccoli alla mia scuola. Quando sono tornati , c’era con loro pure la figlia di Gigi lo zampognaro, quello che ogni anno, a Natale, viene chiamato a corte per suonare. La ragazza è una bella ciociara robusta che mi ha detto:< E’ vero che te ne rivai?>.
<Si>. <Allora vieni pure a Statua a salutacce, sa(i) ricòrdatelo, non te lo scordà(re)>.
La bontà di questa gente mi commuove.
27 giugno, martedì. Qualcuno mi rimproverò la confidenza che uso quando mi reco nelle capanne di canna di Statua, all’Osteriaccia, dai ciociari:<Come fa ad andare da quella gente; ci vuole del fegato, con tante pulci che ci sono>.
Non capisco; perché non dovrei fare quattro chiacchere con quei lavoratori? Sono così contenti quando vado lassù al casale; mi vedono da lontano e mi chiamano:< Signorì, vieni e sbrigate, stasera ti metti a sède(re) alla porta mea, nevvero nì?> Non poche volte ebbi occasione di notare che i vecchi, appena mi scorgono, vanno frettolosamente dietro le capannelle per pulirsi il naso a modo loro, prima di venirmi davanti; le donne si sbattono il grembiule, con le mani danno un colpo ai capelli, si aggiustano il corsetto e sempre dicono:< I nostri fiarelli ti vogliono bene e noi pure>.
29 giugno, giovedì. Oggi, alle due del pomeriggio, le ragazze hanno accompagnato i pochi bambini alla stazione, per salutarmi; tutti avevano nelle mani dei rami di ginestra, delle spighe di lavanda, dei mazzetti di frumento… il treno si è mosso….< Addio, addio, signorì, rivieni, t’aspettamo, addio, addio…>.
Bambini di Palidoro, faccine gialle, piccoli malarici dagli occhi di fuoco, ciociaretti insaccati in povere vesti, piccini di appena due anni, ometti e donnine di quattro di cinque anni, dal passo silenzioso, dal grave portamento; piccoli cari che, con la vostra rude dolcezza, con la vostra esuberanza d’affetto, con la freschezza gioconda delle vostre trovate (che non trovai nei bambini del settentrione), mi faceste tornare fanciulla, vi incontrerò ancora sul mio cammino?
Bifolchi di Palidoro, butteri di Castel Campanile, ragazze buone, premurose, mamme affettuose e riconoscenti, vi vedrò ancora?
Troverò ancora l’animo squisitamente cortese e buono di quella egregia Signora che si chiama Teresina Bozzi? E la cara Compagnia che mi tenne con tutta l’ottima famiglia, per non farmi sentire troppo la nostalgia della mia casa? (Erano affittuari della tenuta).
L’augurio migliore che mi posso fare è quello di tornare in quella landa dell’Agro Romano. Un lavoro caro mi aspetta laggiù.
Ricordo quando la domenica mi recavo nei casali a chiedere alle mamme alcune notizie riguardanti i bambini: l’anno di nascita, le malattie avute, il numero dei componenti la famiglia , l’eventuale consanguineità dei genitori; lo facevo per tentare la compilazione di una carta anagrafica per mio uso, ma confesso che potei ricavare ben poco.
A una madre chiesi quanti figli avesse, mi rispose :< Ne ho fatti tanti che manco mi ricordo, certi sono morti>. A un’altra chiesi quanti anni avesse:< Che vuoi che sappia quanti anni tengo, manco è ora d’andà(re) agli cipressi>.
Una terza mi fu larga di dati, chiesi:< Siete perente con vostro marito?>. E lei:< Che te devo dì, so’ nata a Maenza vicino a Terracina, dopo pochi giorni m’hanno portata all’Ospedale di Santo Spirito a Roma, pure mio marito viene da Santo Spirito>.
Come altre donne non ricorda il proprio cognome da ragazza.
Nei sette mesi trascorsi a Palidoro, ho avvertito il bisogno che ha l’Agro di avere scuole , insegnanti affettuose e con qualche iniziativa propria , perché non né detto che qui si debba procedere col programma delle Normali sul tavolo.
Ho cercato di fare il mio dovere, ma ora mi si permetta una confessione: ebbi modo di leggere alcuni diari di <Case dei Bambini> nei quali le Signorine vantavano modi <graziosi> dei loro allievi. Non lo nascondo , rimasi male; i miei piccoli non sanno essere sgarbati tra di loro, usano modi cortesi raramente e solo quando non trovano ostacoli al loro volere, e ciò nonostante i miei sforzi per migliorarli in questo senso. Io ne soffro e, per rasserenarmi un poco, mi dico: i bambini dell’Agro sono naturali, più sinceri! Se non riuscii a rendere più graziosi i loro modi , sono però fiera di constatare che questi piccoli, i quali in principio venivano sporchi e assai trascurati nell’abito e nella persona, e di ciò non sembra darsi pena, ora chiedono grembiulini e bavarole sempre puliti.
Trascrizione del testo e ricerca foto a cura di Franco Leggeri per WWW.ABCVOX.INFO-Agenzia REDREPORT
PALIDORO – IRENE BERNASCONI E LA FAMIGLIAPALIDORO-PALIDORO-PALIDORO-IPALIDORO-IL DIARIO di IRENE BERNASCONI con i bambini
PALIDORO-IL DIARIO di IRENE BERNASCONI-Castel Campanile foto del 1920
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