Nacque a Roma da Augusto e da Angela Zeri nel 1884. Il cognome rivela le origini castigliane della famiglia: discendeva infatti da Juliano Muñoz, ufficiale in servizio presso l’ambasciata di Spagna che nel Settecento si era definitivamente stabilito nell’Urbe sposando una donna romana[1].
Frequentò l’Università di Roma dove ne uscì nel 1906 laureato in lettere. Seguì quindi un corso di perfezionamento in storia dell’arte tenuto da Adolfo Venturi. Durante gli studi accademici aveva trascorso un periodo a Parigi per seguire alcuni corsi dell’Académie des beaux-arts; nello stesso periodo visitò il Medio Oriente, l’Austria e la Russia e, a partire dal 1903, cominciò a pubblicare articoli per la rivista L’Arte[1].
Il 21 aprile 1930 inaugurò il Museo di Roma, di cui fu anche il primo direttore. Il museo era allora ubicato nella vecchia sede del Pastificio Pantanella, in piazza della Bocca della Verità, nel 1952 venne poi trasferito nella sede attuale di Palazzo Braschi, in piazza San Pantaleo.[8]
Scrisse, fin da giovane, numerosi articoli e volumi di storia dell’arte e archeologia. Tra le sue opere troviamo anche raccolte di poesie e poemetti romaneschi[9] ed un divertente e singolare Sinonimi del dialetto romanesco. Novanta modi per dire imbecille, pubblicato nel 1947.[10]
Nel 1936 fondò la rivista L’Urbe, Rivista Romana di storia, arte, lettere, costumanze, bimestrale edito dai Fratelli Palombi, e la diresse per circa un ventennio. Alla rivista collaborarono, nel corso del tempo, alcuni tra i maggiori romanisti[11] tra i quali Ceccarius.
Morì nel 1960, a settantacinque anni, nella città natale. Il comune di Roma, nel 1971, ha intitolato al suo nome una via di Ostia Antica (Zona XXXV, Municipio XIII).[12]
Opere (elenco parziale)
I codici greci miniati delle minori biblioteche di Roma, Firenze, Alfani e Venturi, 1905
Iconografia della Madonna: studio delle rappresentazioni della Vergine nei monumenti artistici d’Oriente e d’Occidente, Firenze, Alfani e Venturi, 1905
Monumenti d’arte medioevale e moderna, Pubblicazione a fascicoli, Roma, Danesi, 1906
La Galleria Borghese in Roma, Roma, W. Modes, 1909
Studi d’arte medievale, Roma, Modes, 1909
Basilica di S. Pietro, Collezione Monumenti d’Italia, Roma, Garzoni Provenzani, 1910
Il restauro della chiesa e del chiostro dei ss. Quattro Coronati, Roma, Ed. Danesi, 1914
Elogio del Borromini, Roma, Stab. tip. E. Armani, 1918
La basilica di Santa Sabina in Roma: descrizione storico-artistica dopo i recenti restauri, Milano, Alfieri e Lacroix, 1919
Roma barocca, Roma-Milano, Casa editrice d’arte Bestetti e Tumminelli, 1919
G. B. Piranesi, Roma-Milano, Casa editrice d’arte Bestetti e Tumminelli, 1920
Roma di Dante, Roma-Milano, Casa editrice d’arte Bestetti e Tumminelli, 1921
S. Pietro in Vaticano, Collezione Le chiese di Roma illustrate, Roma, Casa ed. Roma, 1924
Campidoglio, Roma, Stab. Tip. Arte della stampa, 1930
Il Museo di Roma, Roma, Governatorato di Roma, 1930
Via dei monti e via del mare, Roma, Biblioteca d’arte, 1932
La via del Circo Massimo, Roma, Tumminelli, 1934
Roma di Mussolini, Milano, Treves, 1935
Architettura gotica: appunti di storia dell’arte medioevale, Roma, Gruppo dei fasci dell’Urbe, 1937
Il restauro della Basilica di Santa Sabina, Roma, Palombi, 1938
Roma medioevale, Roma, Edizioni Italiane, 1939
Rembrandt, Collezione I grandi pittori, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1941
Van Dyck, Collezione I grandi pittori, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1941
Velazquez, Collezione I grandi pittori, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1942
L’isolamento del colle capitolino, Roma, Arti graf. fratelli Palombi, 1943
La basilica di S. Lorenzo fuori le mura, Roma, Palombi, 1944
Domenico Fontana architetto (1543-1607), Bellinzona, Ist. Edit. Ticinese, 1944
Figure romane, Roma, A. Staderini, 1944
D’Annunzio a Roma (Muñoz ed altri), Roma, Palombi, 1955
-articolo di Piero TORRIANO scritto per la Rivista PAN n°5 del 1934-
Biografia di Alberto Salietti (Ravenna, 1892 – Chiavari, 1961) è stato un pittore italiano.
Alberto Salietti-Nasce a Ravenna il 15 marzo 1892, figlio e nipote di decoratori murali. Dopo aver iniziato a lavorare con il padre, frequenta fino al 1914 l’Accademia di Brera, ove ha come maestri Cesare Tallone e Mentessi.
Dopo aver partecipato alla Prima guerra mondiale, riprende la sua attività, esponendo dal 1920 alle Biennali di Venezia (nel 1942, ricevendo il Gran Premio per la pittura). Altre esposizioni: l’Internazionale di Barcellona, 1929; l’Internazionale di Budapest, 1936; la Mostra dell’Istituto Carnegie di Pittsburg, 1936; l’Esposizione mondiale di Parigi, 1937; la II e III Quadriennale Roma; la mostra La Bella Italiana, a Milano, nel 1952; il Premio Marzotto, nel 1955 e 1956; il Premio Garzanti nel 1957; il Premio del Comune di Milano nel 1959; la medaglia d’oro a Firenze, al Premio del Fiorino, nel 1961; la XXII Biennale d’Arte alla Permanente di Milano, nel 1961, il premio Bagutta-Vergani.
Salietti è fra i pittori che l’imprenditore Giuseppe Verzocchi contatta per la sua grande raccolta di quadri sul tema del lavoro: Salietti realizza così La vendemmia (1949-1950), quadro che, insieme all’Autoritratto, è oggi conservato nella Collezione Verzocchi, presso la Pinacoteca Civica di Forlì.
È uno dei fondatori del Novecento Italiano, movimento del quale ha ricoperto il ruolo di segretario. I suoi principali soggetti sono paesaggi, ritratti e nature morte. Ha opere in pubbliche gallerie: a Roma (Galleria nazionale d’arte moderna), Firenze, Milano, Torino, Berlino, Zurigo, Monaco, Berna, Montevideo, Cleveland, Mosca, Parigi, Varsavia. Dopo la sua morte, una mostra commemorativa gli venne dedicata a Milano, nel 1964, al Palazzo della Permanente; nel 1967, a Milano, alla Galleria Gian Ferrari; nuovamente alla Gian Ferrari, nel 1969, per le tempere; nel 1970, a La Panchetta di Bari; nel 1971, ancora a Milano, alla Galleria Cortina, per le opere grafiche. Una mostra postuma venne pure organizzata dall’Azienda di Soggiorno e Turismo di Chiavari, nel 1972, a Palazzo Torriglia, con una selezione di opere pittoriche e grafiche.
Biografia di Alberto Salietti (Ravenna, 1892 – Chiavari, 1961) è stato un pittore italiano.
Alberto Salietti-Nasce a Ravenna il 15 marzo 1892, figlio e nipote di decoratori murali. Dopo aver iniziato a lavorare con il padre, frequenta fino al 1914 l’Accademia di Brera, ove ha come maestri Cesare Tallone e Mentessi.
Dopo aver partecipato alla Prima guerra mondiale, riprende la sua attività, esponendo dal 1920 alle Biennali di Venezia (nel 1942, ricevendo il Gran Premio per la pittura). Altre esposizioni: l’Internazionale di Barcellona, 1929; l’Internazionale di Budapest, 1936; la Mostra dell’Istituto Carnegie di Pittsburg, 1936; l’Esposizione mondiale di Parigi, 1937; la II e III Quadriennale Roma; la mostra La Bella Italiana, a Milano, nel 1952; il Premio Marzotto, nel 1955 e 1956; il Premio Garzanti nel 1957; il Premio del Comune di Milano nel 1959; la medaglia d’oro a Firenze, al Premio del Fiorino, nel 1961; la XXII Biennale d’Arte alla Permanente di Milano, nel 1961, il premio Bagutta-Vergani.
Salietti è fra i pittori che l’imprenditore Giuseppe Verzocchi contatta per la sua grande raccolta di quadri sul tema del lavoro: Salietti realizza così La vendemmia (1949-1950), quadro che, insieme all’Autoritratto, è oggi conservato nella Collezione Verzocchi, presso la Pinacoteca Civica di Forlì.
È uno dei fondatori del Novecento Italiano, movimento del quale ha ricoperto il ruolo di segretario. I suoi principali soggetti sono paesaggi, ritratti e nature morte. Ha opere in pubbliche gallerie: a Roma (Galleria nazionale d’arte moderna), Firenze, Milano, Torino, Berlino, Zurigo, Monaco, Berna, Montevideo, Cleveland, Mosca, Parigi, Varsavia. Dopo la sua morte, una mostra commemorativa gli venne dedicata a Milano, nel 1964, al Palazzo della Permanente; nel 1967, a Milano, alla Galleria Gian Ferrari; nuovamente alla Gian Ferrari, nel 1969, per le tempere; nel 1970, a La Panchetta di Bari; nel 1971, ancora a Milano, alla Galleria Cortina, per le opere grafiche. Una mostra postuma venne pure organizzata dall’Azienda di Soggiorno e Turismo di Chiavari, nel 1972, a Palazzo Torriglia, con una selezione di opere pittoriche e grafiche.
– Prof. GIUSEPPE LUGLI-Il Tempio di Venere genitrice nel Foro di Cesare
Copia anastatica dalla Rivista PAN –n° uno del 1934-diretta da UGO OJETTI
Editore RIZZOLI e C. Milano-Firenze-Roma.
Dalla Rivista PAN –n° uno del 1934- diretta da UGO OJETTI-Al centro del lato settentrionale della piazza del Foro di Cesare era inserito il Tempio di Venere Genitrice, eretto da Giulio Cesare nel 46 a. C. per celebrare la mitica antenata della sua famiglia: la dea Venere. Il Tempio, innalzato su un podio, era decorato sulla fronte da otto colonne scanalate in marmo bianco di Carrara. Esso divenne nel tempo un vero e proprio museo di sculture, dipinti e oggetti preziosi. La stessa statua di culto conservata nella cella e che raffigurava la dea Venere con un Amorino sulla spalla, era stata commissionata da Cesare allo scultore greco Arcesilao.
L’edificio fu completamente ricostruito da Traiano nel 113 d.C. nel quadro del più ampio intervento urbanistico legato alla realizzazione del suo Foro. In questa fase l’interno della cella di culto fu ornato con un doppio colonnato a parete separato da un fregio con Amorini, un frammento del quale è esposto nel Museo dei Fori Imperiali.
Nel 283 d.C. un violentissimo incendio danneggiò gravemente il Foro di Cesare e il Tempio di Venere Genitrice, che fu restaurato pochi anni dopo, nel primo decennio del IV secolo: per sostenere il timpano l’antico colonnato fu tamponato con un muro molto spesso, al centro del quale si apriva un solo accesso.
Del Tempio rimangono oggi tre colonne, rialzate con parte della trabeazione nel 1933.
IL FORO DI CESARE ED IL TEMPIO DI VENERE GENITRICE AI FORI IMPERIALI
La piazza del foro di Cesare è costruita sul modello architettonico dei portici greci con inserimento di un tempio al centro di uno dei suoi lati corti secondo la moda etrusco-italica. Il foro, a pianta rettangolare, era infatti circondato su tre lati da portici con negozi ed uffici, mentre al centro del quarto lato si ergeva il tempio di Venere Genitrice. A ridosso del tempio di Venere Genitrice esisteva un rilievo collinare che fu sbancato per la costruzione del foro di Traiano tra il 112 e il 113 d.C. questo intervento comportò importanti lavori anche nel foro di Cesare e la ricostruzione del tempio stesso.
n particolare, sul fianco occidentale del foro di Cesare, a ovest del tempio, fu costruito un edificio a due navate, la Basilica Argentaria, sulle cui pareti si leggono ancora numerosi graffiti. Sempre all’epoca di Traiano risale la grande latrina pubblica a pianta semicircolare, con ingresso dal Clivo Argentario. La demolizione del foro di Cesare per il recupero del materiale da costruzione fu avviata nei primi secoli del Medioevo: già nel X secolo infatti, la piazza era occupata da campi coltivati, vigneti e frutteti, con poche case ad un piano e dall’impianto molto semplice. Al centro del lato settentrionale della piazza del foro di Cesare era inserito il tempio di Venere Genitrice, eretto da Giulio Cesare nel 46 a.C. per celebrare la mitica antenata della sua famiglia: la dea Venere. Il tempio, innalzato su un podio, era decorato sulla fronte da otto colonne scanalate in marmo bianco di Carrara. Esso divenne nel tempo un vero e proprio museo di sculture, dipinti e oggetti preziosi. La stessa statua di culto conservata nella cella e che raffigurava la dea Venere con un Amorino sulla spalla, era stata commissionata da Cesare allo scultore greco Arcesilao. L’edificio fu completamente ricostruito da Traiano nel 113 d.C. nel quadro del più ampio intervento urbanistico legato alla realizzazione del suo foro. In questa fase l’interno della cella di culto fu ornato con un doppio colonnato a parete separato da un fregio con Amorini, un frammento del quale è esposto nel Museo dei fuori imperiali. Nel 283 d.C. un violentissimo incendio danneggiò gravemente il foro di Cesare e il tempio di Venere Genitrice, che fu restaurato pochi anni dopo, nel primo decennio del IV secolo: per sostenere il timpano l’antico colonnato fu tamponato con un muro molto spesso, al centro del quale si apriva un solo accesso. Del tempio rimangono oggi tre colonne rialzate con parte della trabeazione nel 1933
Prof. GIUSEPPE LUGLI e il Tempio di Venere genitrice nel Foro di Cesare– Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967); prof. di topografia romana nell’univ. di Roma (1933-61); socio nazionale dei Lincei (1946). Pubblicò, tra l’altro, un ampio manuale (I monumenti antichi di Roma e suburbio, 3 voll. e un Supplemento, 1930-40), e ricerche sulla tecnica costruttiva e sull’architettura (La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio, 2 voll., 1957). Iniziò la pubblicazione sistematica dei Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes/”>pertinentes e la collana della Forma Italiae.Fonte- Enciclopedia TRECCANI
-Articolo di Giuseppe De Robertis -Rivista PEGASO n°8 dell’Agosto 1931-
Breve biografia di Eugenio Montale – nato a Genova nel 1896. Dopo aver seguito studi tecnici, si è dedicato per alcuni anni allo studio del canto. Chiamato alle armi, ha preso parte alla prima guerra mondiale come sottotenente di fanteria. Legato ai circoli intellettuali genovesi, dal 1920 ha avuto rapporti anche con l’ambiente torinese, collaborando al Baretti di Gobetti. Trasferitosi a Firenze (1927), dove ha frequentato il caffè delle Giubbe Rosse vicino agli intellettuali di Solaria, dal 1929 è stato direttore del Gabinetto scientifico-letterario Vieusseux, rimosso nel 1938 perché non iscritto al partito fascista (nel 1925 aveva aderito al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce). Ha svolto un’attività di traduttore, soprattutto dall’inglese (da ricordare il suo contributo all’antologia Americana di E. Vittorini, 1942; le traduzioni sono in Quaderno di traduzioni, 1948, ed. accr. 1975, con versioni poetiche da Shakespeare, Hopkins, Joyce, Eliot, ecc.). Iscritto per breve tempo al Partito d’azione, ha collaborato con Bonsanti alla fondazione del quindicinale Il Mondo di Firenze (1945-46). Nel 1948 si è trasferito a Milano come redattore del Corriere della sera, occupandosi specialmente di critica letteraria e di quella musicale sul Corriere d’informazione. Importanti riconoscimenti gli giunsero con la nomina a senatore a vita (1967) e il premio Nobel per la letteratura (1975). Ha pubblicato: Ossi di seppia (1925; ed. defin. 1931), Occasioni (1939, il cui primo nucleo è costituito da La casa dei doganieri e altri versi, 1932); La bufera e altro (1956, che include anche i versi di Finisterre, 1943), Satura (1971, in cui confluiscono anche, con altre successive, le liriche del volumetto Xenia del 1966, scritte per la morte della moglie Drusilla Tanzi); Diario del ’71 e del ’72 (1973), Quaderno di quattro anni (1977); Altri versi (1981); le due parti di Diario postumo (1991 e 1996). Alla sua lunga attività pubblicistica e giornalistica si devono i libri: i bozzetti, elzevirini, culs-de-lampe riuniti sotto il titolo Farfalla di Dinard (1956; edd. accr. 1960 e 1969), le prose di viaggio Fuori di casa (1969), le prose saggistiche di Auto da fé (1966) e di Nel nostro tempo (1972), quelle riunite in Sulla poesia (1976), il volume Sulla prosa (1982), le note del Quaderno genovese (1983). Come critico musicale ha pubblicato Prime alla Scala (1981). È morto a Milano nel 1981.
Fu uno dei più notevoli esponenti letterari italiani del periodo a cavallo fra Settecento e Ottocento, nel quale si manifestarono e cominciarono ad apparire in Italia le correnti neoclassiche e romantiche, durante l’età napoleonica e la prima Restaurazione.
Costretto fin da giovane ad allontanarsi dalla sua patria (l’isola greca di Zacinto/Zákynthos, oggi nota in italiano come Zante), allora territorio della Repubblica di Venezia, si sentì esule per tutta la vita, strappato da un mondo di ideali classici in cui era nato e cresciuto, tramite la sua formazione letteraria e il legame con la terra dei suoi antenati (nonostante un fortissimo legame con l’Italia, che considerava la propria madrepatria). La sua vita fu caratterizzata da viaggi e fughe, a causa di motivi politici (militò nelle forze armate degli Stati napoleonici, ma in maniera molto critica, e fu un oppositore degli austriaci, a causa del suo carattere fiero, dei suoi sentimenti italiani e delle sue convinzioni repubblicane), ed egli, privo di fede religiosa e incapace di trovare felicità nell’amore di una donna, avvertì sempre dentro di sé un infuriare di passioni.[3]
Come molti intellettuali della sua epoca, si sentì però attratto dalle splendide immagini dell’Ellade, simbolo di armonia e di virtù, in cui il suo razionalismo e il suo titanismo di stampo romantico si stemperavano in immagini serene di compostezza neoclassica, secondo l’insegnamento del Winckelmann.[4]
Tornato per breve tempo a vivere stabilmente in Italia e nel Lombardo-Veneto (allora ancora parte del Regno d’Italia napoleonico) nel 1813, partì presto in un nuovo volontario esilio e morì povero qualche anno dopo a Londra, nel sobborgo di Turnham Green. Dopo l’Unità d’Italia, nel 1871, le sue ceneri furono riportate per decreto del governo italiano in patria e inumate nella basilica di Santa Croce a Firenze, il Tempio dell’Itale Glorie da lui cantato nei Sepolcri (1806).
recensione di Leone Ginzburg scritta per la Rivista PEGASO n°10 1932 diretta da Ugo Ojetti
ISAAC BABEL -Scrittore russo (n. Odessa 1894 – m. 1940), autore di bozzetti e racconti – giustamente chiamati miniature – che ritraggono gli avvenimenti della lotta rivoluzionaria (Konnarmija “L’armata a cavallo”, 1926), a cui B. stesso partecipò nell’armata di Budënnyj e che ci descrive in prima persona, oppure la vita e la graduale scomparsa della piccola borghesia ebraica di Odessa (Odesskie rasskazy “Racconti di Odessa”, 1931; Istorija moej golubiatni “Storia della mia colombaia”). È autore inoltre di due drammi: Zakat (“Il tramonto”, 1928) e Marija (“Maria”, 1935). Vittima delle epurazioni staliniane, fu arrestato nel 1939 e non si ebbero più notizie di lui; nel 1956 la sua memoria fu ufficialnente riabilitata.
ISAAC BABEL-Biografia da Enciclopedia TRECCANI
Babel´ ⟨bàb’il’⟩, Isaak Emmanuilovič. – Scrittore russo (n. Odessa 1894 – m. 1940), autore di bozzetti e racconti – giustamente chiamati miniature – che ritraggono gli avvenimenti della lotta rivoluzionaria (Konnarmija “L’armata a cavallo”, 1926), a cui B. stesso partecipò nell’armata di Budënnyj e che ci descrive in prima persona, oppure la vita e la graduale scomparsa della piccola borghesia ebraica di Odessa (Odesskie rasskazy “Racconti di Odessa”, 1931; Istorija moej golubiatni “Storia della mia colombaia”). È autore inoltre di due drammi: Zakat (“Il tramonto”, 1928) e Marija (“Maria”, 1935). Vittima delle epurazioni staliniane, fu arrestato nel 1939 e non si ebbero più notizie di lui; nel 1956 la sua memoria fu ufficialnente riabilitata.
Leone Ginzburg- Nacque a Odessa dagli ebrei Fëdor Nikolaevič Ginzburg e Vera Griliches.Era l’ultimo di tre fratelli: lo precedevano Marussa (1896) e Nicola (1899). Era in realtà figlio naturale dell’italiano Renzo Segré, con cui la madre aveva avuto una fugace relazione mentre si trovava in villeggiatura a Viareggio; Fëdor lo aveva però riconosciuto come suo e Leone stesso lo considerò sempre come il proprio padre. Figura importantissima nell’infanzia di Leone fu l’italiana Maria Segré (sorella del suo padre naturale) che sin dal 1902 viveva presso la famiglia in qualità di istruttrice. Insegnò ai tre fratelli il francese e l’italiano e fu lei a creare i rapporti tra i Ginzburg e l’Italia. Leone fu per la prima volta in Italia nel 1910, quando trascorse le vacanze a Viareggio con la madre e i fratelli. Questa consuetudine si ripeté anche negli anni successivi sino allo scoppio della Grande Guerra, nel 1914: in quell’occasione la madre e i fratelli maggiori tornarono a Odessa mentre il figlio minore, per evitargli un pericoloso viaggio in mare, rimase nella Penisola con la Segré che divenne per lui quasi una seconda madre. Il giovane Ginzburg visse in Italia per tutta la durata del conflitto, dividendosi tra Roma e Viareggio. Frattanto, passati attraverso la Rivoluzione di ottobre, i parenti rimasti in Russia si trovavano in difficoltà: nonostante avessero sostenuto la rivolta, i Ginzburg dovevano soffrire nuove pesanti limitazioni. Il primo a lasciare Odessa, nel 1919, fu Nicola il quale, temendo il richiamo alle armi, si trasferì a Torino dove si iscrisse al Politecnico. L’anno successivo tutta la famiglia si era stabilita a Torino e fu raggiunta da Leone che si iscrisse alla seconda classe del “Liceo Classico Vincenzo Gioberti”. Nel 1921 i Ginzburg si spostarono ancora una volta: furono a Berlino dove il padre aveva avviato una nuova società commerciale assieme a un amico. Leone dovette quindi riprendere la lingua russa e fu iscritto alla scuola russa della città dove proseguì gli studi ginnasiali. Nell’autunno 1923, mentre il padre restava in Germania per lavoro, la famiglia si riportò a Torino e qui Leone preparò, nel 1924, l’esame ginnasiale. Tra il 1924 e il 1927 concluse gli studi classici frequentando il liceo Massimo d’Azeglio. Fu studioso e docente di letteratura russa, partecipò allo storico gruppo di intellettuali di area socialista e radical-liberale (tra gli altri, Norberto Bobbio, Vittorio Foa, Cesare Pavese, Carlo Levi, Elio Vittorini, Massimo Mila, Luigi Salvatorelli) che collaborarono alla nascita a Torino della casa editrice Einaudi. In campo politico fu un federalista convinto, attivo antifascista, dopo aver ottenuto la cittadinanza italiana nel 1931 aderì al movimento “Giustizia e Libertà”. Fu per questo arrestato il 13 marzo 1934 in seguito alle ammissioni dell’antifascista giellino Sion Segre, arrestato con Mario Levi l’11 marzo, e su segnalazione del chimico francese René Odin, informatore dell’OVRA. Condannato a quattro anni di carcere, con cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, beneficiò di due anni di condono condizionale. Rilasciato nel 1936, proseguì la sua attività letteraria e di antifascista. Nel 1938 sposò Natalia Levi (meglio nota come Natalia Ginzburg), dalla quale ebbe due figli e una figlia: Carlo Ginzburg, poi divenuto noto storico, Andrea, economista, e Alessandra, psicanalista. Nel giugno del 1940 fu mandato al confino a Pizzoli, in Abruzzo, fino alla caduta del fascismo. Liberato nel 1943 alla caduta del fascismo, si spostò a Roma dove fu uno degli animatori della Resistenza nella capitale. Nuovamente catturato e incarcerato a Regina Coeli, fu torturato dai tedeschi perché rifiutò di collaborare. Morì in carcere, in conseguenza delle torture subite, la mattina del 5 febbraio 1944. È sepolto presso il Cimitero del Verano di Roma.
Note biografiche tratte e riassunte da Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Leone_Ginzburg
Articolo scritto per la Rivista PEGASO N°8 del 1932 diretta da Ugo OJETTI
Biografia completa è in fondo – Diego VARERI- – Nacque il 25 gennaio 1887 a Piove di Sacco (Padova)- da Abbondio e da Giovanna Fontana, ultimo di tre figli, dopo Silvio e Ugo-Morì a Roma il 27 novembre 1976.
Biografia di Diego VARERI- – Nacque il 25 gennaio 1887 a Piove di Sacco (Padova)-da Abbondio e da Giovanna Fontana, ultimo di tre figli, dopo Silvio e Ugo-Morì a Roma il 27 novembre 1976.
Nonostante le condizioni agiate della famiglia, l’infanzia del piccolo Diego fu turbata dalla separazione dei genitori, avvenuta poco dopo la sua nascita, in seguito alla quale la madre si trasferì a Padova portandolo con sé. Presenza discontinua, ma molto influente sulla formazione di Valeri, fu quella del fratello Ugo, pittore e illustratore dalle qualità notevoli, morto nel 1911 a Venezia, cadendo (o forse gettandosi) da una finestra della galleria Ca’ Pesaro: ne restò a Valeri un dolore insanabile.
L’origine della vocazione poetica fu sempre, nel ricordo di Valeri, associata, oltre che a un sentimento malinconico generato quasi dal contatto con una pianura che egli percepiva galleggiante sull’acqua, all’arte del fratello, al mondo inventato dai suoi segni e colori, alle novità artistiche che Ugo riportava dalla Biennale di Venezia. Sempre grazie al fratello, il giovane Diego pubblicò due sue liriche nella rivista Poesia (IV (dicembre 1908-gennaio 1909), 11-12) diretta da Filippo Tommaso Marinetti.
Dopo aver frequentato il liceo classico Tito Livio di Padova, nella locale università conseguì la laurea in lettere nel 1908 discutendo una tesi su L’efficacia del teatro francese sul teatro di Paolo Ferrari (pubblicata in Rivista d’Italia, XII (1909), 2, pp. 257-328), orientandosi di lì in poi a studi di francesistica e italianistica. All’università conobbe la futura moglie, sposata nel 1911: Maria Minozzi, vicentina, dedicataria della sua prima silloge di versi, Monodia d’amore (Padova 1908), in seguito rifiutata dall’autore. Laureato, intraprese l’insegnamento nelle scuole tecniche e poi nei licei, con numerosi cambiamenti di sede (Fermo, Castiglione delle Stiviere, Monza, Pinerolo, Ravenna, Voghera, Rovigo, Cremona), prima del definitivo approdo a Venezia (1926), dove si stabilì nella casa (in fondamenta dei Cereri) che divenne sua dimora stabile. Il disagio dei trasferimenti fu d’altra parte bilanciato da frequentazioni con importanti personalità del mondo dell’arte e della letteratura (Filippo De Pisis, Marino Moretti, Clemente Rebora, per esempio).
Nel 1912-13, unico intervallo tra gli insegnamenti scolastici, Valeri fu a Parigi con una borsa di perfezionamento in letteratura francese; lì ricevette la notizia della morte dell’amata madre. Per motivi di salute evitò l’arruolamento e la partenza per la guerra ma non poté evitare, sulle prime, lo scontro con il fascismo. Era a Cremona con la famiglia, accresciuta delle due figlie (Giovanna, nata nel 1913, e Marina, nata nel 1915), quando, insegnante e conferenziere stimato, oltre che poeta dalla crescente notorietà, firmò sul quotidiano La Giustizia (9 luglio 1924) un appello di protesta per la scomparsa di Giacomo Matteotti. Ne ebbe una dura reprimenda, alla quale conseguì il trasferimento da Cremona a Venezia, dove comunque continuò a essere, se non attaccato (come accadde almeno in un’occasione, nel novembre del 1926), ostacolato dalla federazione del fascio locale, presso il quale cercò a più riprese, ma invano, di tesserarsi. Intimamente incompatibile con il fascismo per ragioni umane ed estetiche, oltre che per le idee socialiste, Valeri non si espose più in aperte contestazioni, e tuttavia, privo della tessera del Partito nazionale fascista, dovette abbandonare nel 1931 l’insegnamento al liceo Marco Polo per assumere una posizione più defilata, da funzionario delle belle arti, alla soprintendenza di Venezia. Manteneva nel frattempo, come libero docente, l’incarico per il corso di letteratura francese all’Università di Padova, che ebbe dal 1924 al 1934, quando gli fu sospeso per la mancanza della tessera, e che tuttavia riottenne dal 1939, per intercessione di Ugo Ojetti presso il ministro Giuseppe Bottai.
Grazie alla stima e alla protezione di personaggi eminenti dell’establishment politico-culturale italiano (godeva anche dell’appoggio del rettore padovano Carlo Anti), Valeri, che pure era ostacolato dai federali veneziani, ottenne dall’Accademia d’Italia prestigiosi premi (nel 1931, 1939, 1943) per la sua poesia. Incontrò un successo abbastanza largo, anche di pubblico, a partire dalla pubblicazione dell’autoantologia Poesie vecchie e nuove (Milano 1930), che selezionava i testi delle raccolte precedenti – Le gaie tristezze (Milano-Palermo-Napoli 1913), Umana (Ferrara 1915); Crisalide (Ferrara 1919); Ariele (Milano-Roma 1924) – con l’aggiunta di altri più recenti, che mostravano come dall’iniziale impronta pascoliana e simbolista Valeri andasse mettendo a fuoco il proprio postsimbolismo di fondo su forme e atmosfere meno evanescenti, più salde. Raggiunse l’apice della fama nel decennio 1930-40, quando, con la sua lirica cantabile, malinconica e sensuale, formalmente legata alla tradizione, ma sempre più individuabile nella sua originalità, poté contendere notorietà e favore critico alle posizioni più innovative di Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale. Fu inoltre conferenziere e pubblicista richiesto e apprezzato (v. la scelta di articoli del 1925-35 riuniti in Saggi e note di letteratura francese moderna, Firenze 1941).
Dopo il 25 luglio 1943 Valeri, vicino al Partito d’azione, assunse la direzione del giornale Il Gazzettino, incarico che, quando tedeschi e fascisti ripresero il potere nel Nord Italia, gli costò una condanna a trent’anni di carcere; nel frattempo, però, era riuscito a entrare in Svizzera e a trovare riparo a Mürren. Tornato in Italia, ottenne la revisione dei concorsi da cui era stato escluso per motivi politici e quindi, alla fine del 1948, il ruolo di professore di letteratura francese all’Università di Padova, dove lavorò, anche con affidamenti di letteratura italiana contemporanea, fino al 1962.
Valeri si impegnò attivamente in politica, presentandosi nelle liste del Movimento di unità popolare nelle elezioni del 1953 (per la Camera) e come candidato sindaco dei socialisti alle amministrative di Venezia del 1956.
L’ampio successo professionale e istituzionale arrivò per Valeri in tempi meno adatti alla ricezione della sua poesia e del suo gusto rispetto a quando, negli anni Trenta, si era affermato: in confronto alle nuove tendenze, sia nella lirica sia nella critica, poteva sembrare ad alcuni attardato se non superato. Testimonianze autorevoli degli ultimi allievi ricordano però che, libero da costrizioni metodologiche, Valeri continuava a esercitare il suo magistero incantando l’uditorio per il modo «cordiale e umanissimo» e al tempo stesso «elegante, aristocratico» di avvicinare i testi letterari (Mengaldo, 2000).
Giorgio Caproni e Andrea Zanzotto (che era stato suo alunno a Padova negli anni Trenta) hanno inoltre riconosciuto un affinamento e un approfondimento introspettivo nella fase tarda (da Metamorfosi dell’angelo, Milano 1957) ed estrema della poesia di Valeri, che culmina nelle raccolte Verità di uno (Milano 1970) e Calle del vento (Milano 1975), non incluse per motivi cronologici nell’autoantologia definitiva delle Poesie (Milano 1962 e 1967), che ci ha dato della sua lirica un’immagine più classica, tradizionale e impressionistica (in senso pittorico), nondimeno rappresentativa del suo collocarsi al di fuori delle linee portanti dell’evoluzione della lirica novecentesca (Baldacci, 1972, 1974).
Largamente condiviso dalla critica è il giudizio positivo delle traduzioni di Valeri, che fin dal 1912 si esercitò su autori prevalentemente francesi ma anche tedeschi: si ricordino almeno i due volumi antologici Lirici tedeschi (Milano 1959) e Lirici francesi (Milano 1960). Interessante e originale la sua scrittura saggistica, riflessiva e nitidamente comunicativa, che si muove a partire da momenti della vita interiore o da sollecitazioni della poesia (Tempo e poesia, Milano 1962) e dell’arte (Scritti sull’arte, a cura di G. Tomasella, Venezia 2005). Importanti, e attualmente ancora fortunate in termini editoriali (lo stesso non si può dire delle poesie, mai più riedite dal 1977), le prose di Valeri dedicate all’amata città d’adozione: Fantasie veneziane (Milano 1934; Bagno a Ripoli 2016) e Guida sentimentale di Venezia (Padova 1942; Bagno a Ripoli 2009); ma va ricordato anche il volume Padova città materna, scritto e pubblicato nel mezzo della guerra civile (Padova 1944 e 1995). Morì a Roma il 27 novembre 1976.
Opere. Mentre si attende una ripubblicazione complessiva delle poesie (imminente presso Il Ponte del sale di Rovigo l’edizione di un’ampia antologia, a cura di C. Londero, dal titolo Il mio nome nel vento. Poesie 1910-1977), ci si può rifare, per la prima fase, alla riedizione di Umana (a cura di M. Giancotti, Genova 2008); per il resto, alle singole raccolte su cui Valeri operò selezioni compilando i volumi antologici Poesie vecchie e nuove (cit.), Terzo tempo (Milano 1950), Poesie (cit.), meglio che alla scarna cernita delle Poesie scelte 1910-1975 (a cura di C. Della Corte, Milano 1977). Da segnalare, inoltre, le poesie per bambini: Il campanellino (Torino 1928) e Poesie piccole (Milano 1965). I più importanti saggi sulla letteratura italiana sono raccolti in Conversazioni italiane (Firenze 1968). Esaustiva, fino al 1960, la bibliografia degli scritti curata da C. Cordiè in Studi in onore di Vittorio Lugli e D. V., I, Venezia 1961, pp. LI-LXXVIII.
Fonti e Bibl.: Lettere a Valeri di corrispondenti vari sono conservate a Venezia, presso il Fondo Diego Valeri della Fondazione Giorgio Cini (catal. consultabile sul sito www.diegovaleri.it e nel volume Fondo D. V. della Fondazione Giorgio Cini. Inventario della corrispondenza. Album fotografico, a cura di A. Venturini – R. Zannato, introduzione di G. Manghetti, Piove di Sacco 2010). Una biografia basata sulle fonti archivistiche, oltre che sugli imprescindibili contributi di L. Montobbio (La giovinezza di D. V., in Una precisa forma. Studi e testimonianze per D. V. Atti del Convegno internazionale… 1987, Padova 1991, pp. 141-165) e G. Manghetti (So la tua magia: è la poesia, Milano 1994), è in M. Giancotti, D. V., Padova 2013.
Per la critica si vedano, fra gli atti: Omaggio a D. V. Atti del Congresso…, Venezia … 1977, a cura di U. Fasolo, Firenze 1979; Una precisa forma… Atti del Convegno internazionale…, cit.; L’opera di D. V. Atti del Convegno nazionale di studi… 1996, a cura di G. Manghetti, Piove di Sacco 1998; D. V. e il Novecento. Atti del Convegno di studi nel 30° anniversario della morte del poeta, Piove di Sacco… 2006, a cura di G. Manghetti, presentazione di P.V. Mengaldo, Padova 2007. Fra gli altri contributi: P. Pancrazi, Poesie vecchie e nuove di D. V. (1930), in Id., Ragguagli di Parnaso. Dal Carducci agli scrittori d’oggi, a cura di C. Galimberti, II, Milano-Napoli 1967, pp. 369-373; A. Zanzotto, Il maestro universitario, in La Fiera letteraria, 3 marzo 1957, p. 3; L. Baldacci, Per un’antologietta di D. V. (1972), in Id., Libretti d’opera e altri saggi, Firenze 1974, pp. 108-129; F. Fortini, I poeti del Novecento (1977), Roma-Bari 1988, p. 43; Poeti italiani del Novecento, a cura di P.V. Mengaldo, Milano 1978, pp. 353-356; Dal simbolismo al Déco. Antologia poetica cronologicamente disposta per cura di Glauco Viazzi, II, Torino 1981, pp. 433 s.; P.V. Mengaldo, Ricordo di D. V. (1996), in Id., La tradizione del Novecento. Quarta serie, Torino 2000, pp. 44 s.; A. Zanzotto, Scritti sulla letteratura, a cura di G.M. Villalta, I, Fantasie di avvicinamento, Milano 2001 (in partic. V. italiano e francese [1957], pp. 47-52; Nella «Calle del vento» [1976], pp. 53-55); G. Caproni, «Il flauto a due canne» di V., in Id., Prose critiche, a cura di R. Scarpa, II, 1954-1958, Torino 2012, pp. 1073-1077.
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