“Exodus – Il pittore Safet Zec” di Marc De Tollenaere-Biblioteca DEA SABINA

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“Exodus – Il pittore Safet Zec” di Marc De Tollenaere

L’Artista Safet Zec è nato in Bosnia nel 1943, ultimo di otto figli di un calzolaio che, durante la seconda guerra mondiale, si trasferisce a Sarajevo da Rogatica, un paese a est della Bosnia. Il suo straordinario talento si manifesta sin dall’infanzia; si forma alla Scuola superiore di arti applicate di Sarajevo e all’Accademia di Belgrado è considerato quasi un prodigio. Tuttavia l’isolamento interiore di quegli anni lo porta a distruggere quasi tutti i suoi primi lavori. A Belgrado incontra la moglie artista Ivana, restaura una vecchia casa nel quartiere ottomano dell’antica città di Pocitelj, vicino a Mostar, luogo amato da molti artisti, che mantiene anche quando, nel 1987, torna a vivere a Sarajevo, da pittore ormai affermato anche a livello internazionale. Con lo scoppio della guerra, il mondo in cui Zec è cresciuto, di armoniosa convivenza tra persone di diverse culture e religioni, è sconvolto. Pocitelj viene distrutta e, con essa, tutte le sue opere incisorie. Morte e distruzione a Sarajevo lo costringono a fuggire con la famiglia. Nel 1992 è a Udine dove ricomincia a lavorare grazie all’aiuto generoso dello stampatore Corrado Albicocco, per poi giungere a Venezia nel 1998. Dalla fine del conflitto l’artista ha ripreso un’assidua frequentazione con la sua terra. Nel cuore di Sarajevo, lo Studio-collezione Zec è stato riaperto ed è ora un centro di iniziative culturali, oltre che sede espositiva delle sue opere. Nel 2004, in occasione dell’apertura del nuovo ponte di Mostar, è stato presentato un libro di incisioni curato dalla Scuola di Urbino su lastre di Zec. In futuro, la sua casa-studio di Pocitelj, ora restaurata, ospiterà una scuola di grafica.

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Passeggio per Venezia con mio padre che non veniva in Italia da molti anni, convinto che gli avrei mostrato qualcosa di nuovo, ma invece è proprio lui ad indicarmi lo sconosciuto ingresso al mondo di Safet Zec. Avevo notato spesso quella saracinesca abbassata, oppure la sedia messa a bada davanti alla porta di quello che si rivelerà essere uno dei luoghi più nascosti e affascinanti di Venezia, ma non avevo mai considerato l’idea di entrare.

La guerra ha reso Safet silenzioso, per lui parlano le sue opere, e in questo luogo infatti, viene naturale stare in silenzio.

Da quel giorno sono tornato a trovare Safet molte volte, condividendo con lui la nascita delle sue grandi tele per la mostra “Exodus”, ma ho anche condiviso il suono della sua chitarra e un cesto di frutta, che da lui non manca mai.

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