In occasione dei 110 anni dalla nascita di Robert Capa (22 ottobre 1913) rendiamo omaggio al grande fotografo ungherese con una mostra personale che ripercorre i principali reportage di guerra e di viaggio che Capa realizzò durante vent’anni di carriera, anni che coincisero con i momenti cruciali della storia del Novecento.
Realizzata grazie alla collaborazione con l’agenzia Magnum Photos, la mostra riunisce un eccezionale corpus di fotografie: oltre 80 stampe originali, alcune delle quali mai esposte prima in una mostra italiana, accompagnate da una rara intervista rilasciata dal fotoreporter a una radio americana nel 1947 e da alcuni documenti d’epoca provenienti dalla collezione di Magnum.
Attraverso sette sezioni e con un percorso diacronico vengono raccontati i più importanti reportage in bianco e nero realizzati da Robert Capa, dagli esordi a Berlino e Parigi (1932-1936) alla guerra civile spagnola (1936-1939); dall’invasione giapponese in Cina (1938) alla seconda guerra mondiale (1941-1945); dal reportage di viaggio in Unione Sovietica (1947) a quello sulla nascita di Israele (1948-1950), fino all’ultimo incarico come fotografo di guerra in Indocina (1954).
Nei suoi vent’anni di carriera ha raccontato la storia restando sempre fedele al suo celebre aforisma: “se le tue foto non sono abbastanza buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino”.
L’azione – con tutta la sua dinamicità e forza propulsiva – spicca tra gli scatti come un fil rouge, che si dipana anche nei ritratti presenti in mostra, volutamente pochi e scelti per ricordare al pubblico i volti della Storia – come quello di Trockij ardente oratore – o della sua storia personale, come quello di Picasso, fotografato nel suo studio di Parigi dove era rimasto anche durante l’occupazione, e dell’amico Steinbeck con cui intraprese il viaggio oltre la cortina di ferro, nel ’47.
Robert Capa e Gerda Taro:la fotografia, l’amore, la guerra
in mostra fino al 2 giugno 2024 a CAMERA-
– Centro Italiano per la Fotografia di Torino –
Robert Capa e Gerda Taro
TORINO-A CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino continua la mostra Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra, con 120 immagini che raccontano una delle stagioni più intense della storia della fotografia del XX secolo: il rapporto professionale e affettivo fra Robert Capa e Gerda Taro. Dai cafè della Parigi degli anni Trenta ai campi di battaglia della Guerra civile spagnola, il percorso espositivo segue le vicende di Endre – poi francesizzato André – Friedmann e Gerta Pohorylle (questi i loro veri nomi). Fuggita dalla Germania nazista lei, emigrato dall’Ungheria lui, si incontrano nella capitale francese nel 1934. In un momento in cui trovare committenze è sempre più difficile, i due inventano il personaggio di Robert Capa, un famoso fotografo americano arrivato da poco nel continente, alter ego con il quale André si identificherà per il resto della sua vita. Anche Gerta cambia nome e assume quello di Gerda Taro.
La svolta decisiva però arriva nel 1936, con l’inizio del conflitto civile spagnolo. Proprio nello scenario della prima guerra ‘fotografica’ della storia, Capa e Taro realizzano i loro scatti più noti – immagini realizzate seguendo da vicino le battaglie ma anche i momenti di vita quotidiana dei miliziani – trovando in questo impiego terreno fertile per esprimere le proprie idee antifasciste. Un impegno che costerà la vita di Gerda nel luglio del 1937, nel mezzo di una ritirata a Brunete, rendendola la prima reporter a morire sul campo. La mostra è curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, attraverso le fotografie e la riproduzione di alcuni provini della celebre “valigia messicana”, scomparsa dal 1939 e ritrovata a fine anni Novanta, contenente 4.500 negativi scattati in Spagna dai due fotoreporter e dal loro amico David Seymour, detto “Chim”.
Informazioni 14 febbraio – 2 giugno 2024 camera.to
Orari di apertura (Ultimo ingresso, 30 minuti prima della chiusura)
Lunedì 11.00 – 19.00
Martedì 11.00 – 19.00
Mercoledì 11.00 – 19.00
Giovedì 11.00 – 21.00
Venerdì 11.00 – 19.00
Sabato 11.00 – 19.00
Domenica 11.00 – 19.00
Sede espositiva
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, via delle Rosine 18, Torino
Fred Stein, Gerda Taro e Robert Capa, Cafe de Dome, Parigi, 1936
Estate Fred Stein. Courtesy International Center of Photography
Robert Capa, Morte di un miliziano lealista, nei pressi di Espejo Fronte di Cordoba, Spagna, inizio settembre, 1936
The Robert Capa and Cornell Capa Archive, Gift of Cornell and Edith Capa, 2010. Courtesy International Center of Photography
Gerda Taro, Miliziana repubblicana si addestra in spiaggia. Fuori Barcellona, 1936
Gift of Cornell and Edith Capa, 1986. Courtesy International Center of Photography
Nota per i suoi reportage di guerra, è anche conosciuta per essere stata la compagna di Robert Capa[1] e per aver stabilito con il fotoreporterungherese un forte sodalizio professionale. È considerata insieme a Capa una dei più importanti fotografi di guerra. La sua morte violenta a 26 anni (fu travolta da un carro armato durante la Guerra civile spagnola [2]) contribuì a mitizzarla come donna rivoluzionaria e coraggiosa caduta per le proprie idee e per il suo lavoro[3].
Biografia di Gerda Taro
Gerda Taro gettyimages-
Gerda Taro, il cui vero nome era Gerta Pohorylle, nasce da una famiglia di ebrei polacchi. È portata per lo studio, è una buona giocatrice di tennis, ama vestirsi bene e fin da bambina dimostra di avere un carattere forte. Nonostante le sue origini borghesi, giovanissima entra a far parte di movimenti socialisti e di lavoratori. Per questo motivo e per la sua origine ebraica, l’avvento del nazismo in Germania le crea molti problemi. Finisce in carcere in quanto attiva nel Partito Comunista Tedesco, interrogata non parla e, grazie al suo passaporto polacco, viene liberata. Con un amico lascia la Germania alla volta di Parigi, mentre i suoi genitori decidono di rifugiarsi in Palestina ed i fratelli in Inghilterra[4].
Gerda Taro i funerali
Nel 1935 a Parigi grazie alla sua intelligenza e adattabilità, la poliglotta Gerta trova lavori come dattilografa e segretaria. Tramite l’amica e coinquilina Ruth conosce l’ungherese Endre Friedman. Come lei è ebreo, comunista, antifascista e ha conosciuto il carcere e sbarca il lunario facendo il fotografo. Endre e Gerta si fidanzano e sarà proprio lui ad iniziarla alla fotografia. Insieme, un po’ per sfida, un po’ per opportunità, inventano il personaggio “Robert Capa”, un fantomatico celebre fotografo americano giunto a Parigi per lavorare in Europa. Grazie a questo curioso espediente la coppia moltiplica le proprie commesse e guadagna parecchi soldi.
Nel 1936 entrambi decidono di seguire sul campo gli sviluppi della guerra civile spagnola, guerra che inciderà parecchio sulla vita dei due. Giunti in Spagna diventano immediatamente importanti testimoni della guerra, realizzando molti reportage pubblicati in periodici come “Regards” o “Vu.”
Nota fra le milizie antifasciste per la sua freschezza, coraggio ed eccezionale bellezza, rischiò sempre la vita per realizzare i propri servizi fotografici. All’inizio il marchio “Capa-Taro” fu usato indistintamente da entrambi i fotografi. Successivamente, i due divisero la ‘ragione sociale’ – CAPA – e Endre Friedman adottò definitivamente lo pseudonimo Robert Capa per sé[6].
Gerda realizzò, in un periodo in cui Capa era per alcuni giorni a Parigi per rapporti con le agenzie, il suo più importante reportage durante la battaglia di Brunete. All’inizio parve una grande vittoria repubblicana. Il contrattacco franchista ribaltò presto la situazione e Gerda fu allora testimone dei selvaggi bombardamenti dell’aviazione nazionalista, scattando numerose fotografie sempre con estremo rischio per la propria vita.
Testimoni raccontano che spesso incitava lei stessa i combattenti “all’attacco”; la sua fede rivoluzionaria e antifascista era puro slancio. L’articolo che venne pubblicato sulla rivista Regards, diede un grande lustro alla reporter tedesca.
Gerda-Taro-prima-fotogiornalista-guerra-di Spagna
La morte
Al ritorno dal fronte di Brunete, Gerda Taro perse la vita a causa di un terribile incidente. Gerda viaggiava aggrappata al predellino esterno della vettura del generale polacco “Walter” (Karol Świerczewsky), colma di feriti; Walter era un noto comandante delle Brigate Internazionali. Quando aeroplani tedeschi volarono a bassa quota sul convoglio repubblicano mitragliandolo, nel trambusto generale un carro armato urtò l’auto alla quale era aggrappata Gerda, che cadde sotto i cingoli del carro armato restando schiacciata dallo stomaco in giù.
Gerda Taro
Gerda non perse conoscenza e durante il penoso trasferimento, che durò ore, all’ospedale di Madrid ‘El Goloso’ (zona dell’Escorial) si mantenne le viscere in sede con la pressione delle proprie mani; i testimoni ricordano un’incredibile freddezza e coraggio nella ragazza. Alcuni tra i migliori medici delle Brigate Internazionali le trasfusero plasma e tentarono di operarla senza anestetici e senza antibiotici (di cui non vi era disponibilità), di suturare la devastante ferita ma si resero subito conto che ogni tentativo non l’avrebbe mai salvata; il suo organismo non poteva più svolgere alcuna funzione vitale che si protraesse oltre le poche ore.
Gerda Taro_Photo Robert Capa
All’infermiera che dovette vegliarla fu indicato di somministrarle tutta la morfina possibile per non farla soffrire, in quanto il decesso era inevitabile. La ragazza si preoccupava comunque delle proprie macchine fotografiche chiedendo “se si erano rotte”. Restò in vita e vigile sino all’alba del 26 luglio 1937; morì intorno alle ore 5 semplicemente “chiudendo gli occhi”. Gerda aveva 26 anni.
Gerda Taro
Il suo corpo fu traslato a Parigi e, accompagnato da 200.000 persone, fu tumulato al Père-Lachaise con tutti gli onori dovuti ad un’eroina repubblicana. Allo scultore Alberto Giacometti venne chiesto di realizzare il monumento funebre. Pablo Neruda e Louis Aragon lessero un elogio ‘in memoriam’. Il suo compagno Capa non si riprese mai più dalla morte della dolce e vivacissima Gerda, prima donna reporter a morire sul lavoro. Da allora anch’egli rischierà sempre la morte sul lavoro, incontrandola poi nel 1954 nella guerra d’Indocina.
Gerda Taro
Un anno dopo la morte di Gerda, nel 1938, Robert Capa pubblicherà in sua memoria Death in the Making, riunendo molte foto scattate insieme. La sua tomba a Parigi giace dimenticata nella zona del Père-Lachaise dedicata ai rivoluzionari e alla Resistenza, vicino al noto “Mur des Federés”.
Nel 1942 il regime collaborazionista fascista francese censurò l’epitaffio inciso sulla tomba di Gerda, epitaffio mai più restaurato. La tomba, dopo le modifiche occorse nel 1953, è accessibile da un viottolo posteriore, quindi posta “alla rovescia” rispetto a quando fu costruita. La tomba di Gerda Taro fu l’unica ad essere violata dalla mano nazi-fascista, forse per l’influenza che la giovane rivoluzionaria, caduta nella guerra contro il fascismo, ancora esercitava sulla crescente Resistenza francese.
Rimasta a lungo nell’ombra del più noto fidanzato Robert Capa e relegata al ruolo di sua compagna (e in qualche cronaca anche di moglie), dalla metà degli anni 1990 Gerda Taro è oggetto di interesse storico per il suo ruolo di giovanissima donna contro-corrente, rivoluzionaria militante sino al sacrificio massimo e protagonista della storia della fotografia e della resistenza al fascismo[6][7][8].
Robert Capa- Nasce in Ungheria da una famiglia ebrea proprietaria di una avviata casa di moda. Capa è un bambino vitale e rissoso che in famiglia viene soprannominato “Cápa”, squalo in ungherese. Ha appena diciassette anni quando viene arrestato per le sue simpatie comuniste; appena liberato abbandona la terra natale alla volta di Berlino. Là s’iscrive all’università alla facoltà di scienze politiche, sognando di diventare giornalista. Per mantenersi trova un impiego presso uno studio fotografico, cosa che lo avvicina al mondo della fotografia. Inizia a collaborare con l’agenzia fotogiornalistica Dephot sotto l’influenza di Simon Guttmann[3]. Autodidatta, nel 1932 è a Copenaghen, dove Lev Trockij tiene una conferenza. Nonostante il divieto di fare fotografie, elude la sorveglianza e realizza alcuni scatti. È il suo primo servizio pubblicato[4].
A causa dell’avvento del nazismo, Capa nel 1933 lascia Berlino per Vienna, per poi, l’anno successivo, partire alla volta di Parigi. Ma in Francia incontra difficoltà nel trovare lavoro come fotografo freelance. Al caffè A Capoulade, nel Quartiere Latino, nel settembre 1934 fa la conoscenza di Gerda Taro, una studentessa tedesca di origine galiziana, anch’essa fotografa autodidatta. Robert e Gerda stabiliscono un solido rapporto sentimentale e professionale[4].
A Parigi Capa conosce anche David Seymour (nato Szymin), che a sua volta lo presenterà ad Henri Cartier-Bresson, tutti giovani fotografi di origini sociali e geografiche diverse, ma legati dal linguaggio dell’immagine. Il suo primo servizio importante è quello del maggio 1936 che documenta le manifestazioni per l’ascesa al potere del Fronte Popolare; una sua foto diventa la copertina della rivista «Vu» (“Visto” in italiano).
Nell’agosto del 1936 Gerda Taro riesce a procurargli un accredito stampa per documentare la guerra civile spagnola ed assieme prendono un aereo per Barcellona.[5] Qui, un po’ per sfida, un po’ per opportunità, i due inventano il personaggio di “Robert Capa”, un fantomatico fotografo americano giunto a Parigi per lavorare in Europa. Lo pseudonimo Robert Capa viene scelto per il suono più familiare all’estero e per l’assonanza con il nome del popolare regista italo-statunitense Frank Capra. Grazie a questo curioso espediente, la coppia moltiplica le proprie commesse e guadagna parecchi soldi. All’inizio, in effetti, il marchio “Capa-Taro” fu usato indistintamente da entrambi i fotografi. Successivamente i due divisero la “ragione sociale” CAPA e Endre Friedmann adottò definitivamente lo pseudonimo Robert Capa per sé.
Foto Robert Capa. SPAGNA -Vallecas en 1938
Il 26 luglio 1937 Gerda muore tragicamente a Brunete, nei pressi di Madrid (rimane schiacciata durante un errore di manovra di un carro armato “amico”). L’anno dopo Robert pubblica un libro in omaggio alla sua amata, Death in making, che contiene anche le fotografie, scattate da entrambi, della guerra in Spagna.
In ricordo della antifascista Gerda Taro,( l’altra metà di Robert Capa)
la prima reporter donna uccisa nella guerra di Spagna.
Ma la lotta di resistenza antifascista non fu appannaggio dei soli uomini come apprendiamo dalle mille testimonianzeche attestano i mille sacrifici ed eroismi delle donne in quel teatro mondiale di lotta al nazifascismo ancor prima che esso si affermasse con i suoi regimi in mezza Europa. Lo testimonia il sacrificio di Rosa Luxemburg , ma anche delle donne della Repubblica spagnola contro il fascista Franco appoggiato da Mussolini ed Hitler. A render pubblico il loro ruolo contribuirono i reporter internazionali antifascisti che con le loro foto testimoniarono tuti gli aspetti di quella sanguinosa guerra civile. Tra essi/e , oggi , in questo luglio 2017, a 80 anni dalla sua crudele morte , vogliamo ricordare, per non dimenticare la bellissima, coraggiosissima nonostante la sua giovane età (26 anni) Gerda Taro, l’altra metà di Robert Capa. Quanto il suo esempio di donna tedesca antifascista e ribelle fosse temuto e lo sia ancor oggi lo testimonia l’accanimento col quale i nazisti di ieri e di oggi cerchino di distruggere il suo ricordo. Durante la seconda guerra mondiale i nazisti profanarono la sua tomba , a Parigi e distrussero l’epitaffio che nessuno ha voluto ricostruire. L’anno scorso nel 2016 , nella sua natìa Germania, fu esposta una mostra di sua fotografie e al termine di quel festival fotografico a Leipzig rimase una grande riproduzione della sua opera. Il 4 agosto 2016, esattamente un anno fa, ignoti hanno distrutto l’opera con della vernice nera. I sospetti sono caduti sulle organizzazioni neo-naziste antisemite che protestano contro la presenza dei migranti. Un accanimento contro la sua memoria che ricorda quello dei nazisti contro quella della rivoluzionaria comunista Rosa Luxemburg . Tra le tantissime foto scattate da lei nella guerra di Spagna ne abbiamo scelte due , la prima quella di un combattente antifascista che cancella l’Arriba Spagna e con il pennello sul muro scrive Arriba Russia, disegnado una falce e martello, testimonianza di come la Rivoluzione d’Ottobre fosse un punto di riferimento dei “proiletari di tutto il mondo”. L’altra è quella di un miliziano repubblicano rannicchiato con il suo moschetto che difende più che con il suo corpo che con il fucile che impugna , la donna che gli sta a fianco, sorridente. Infine la fotyo scattata dal suo compagno di fede e di amore Firedman alias la metà maschile di Robert Capa. Una foto che la vede riposarsi stremata dopo la vittoriosa battaglia di Brunete, appoggiata ad un cippo miliare di una strada.Una stanchezza di chi vive intensamente una vita vissurta pericolosamente al servizio della Rivoluzione. In quel corpo fragile , in quel viso quasi angelico, si nascondeva una grande donna che noi salutiamo a pugno chiuso! Il ricordo della sua vita , rintracciabile anche su wikipedia lo lasciamo all’articolo scritto da un’altra donna, Maria Grazia Giordano Paperi, sul sito librario l’Undici alla pagina http://www.lundici.it/2016/07/gerda-taro-laltra-meta-di-capa/
Di lei vogliamo ricordare un paio di8 libri anche se diverse sono le pubblkicazioni internazionali che la ricordano:” L’ombra di una fotografa” di François Maspero Ed. Archinto. “Gerda Taro. Una fotografa rivoluzionaria nella Guerra civile spagnola” di Irme Schaber Ed. Derive Approdi
Portrait of photographers Gerda Taro (1910 – 1937) (left) and Robert Capa (1913 – 1954), 1936. (Photo by Fred Stein Archive/Archive Photos/Getty Images)
Gerda Taro. L’altra metà di Capa
All’alba del 26 luglio 1937 a Madrid, in un ospedale allestito all’Escorial, moriva Gerda Taro, il 1° di Agosto avrebbe compiuto 27 anni.
Al suo funerale, celebrato a Parigi proprio quel 1°di Agosto, parteciparono personalità di spicco della politica e della cultura, mentre una banda suonava la Marcia Funebre di Chopin, una folla di oltre 100.000 persone seguiva il feretro.
Pablo Neruda, fra gli altri, lesse un elogio funebre in memoria di Gerda e Alberto Giacometti realizzò il monumento sepolcrale per la tomba che fu collocata al Père Lachaise, nella zona dedicata ai rivoluzionari.
Negli anni dell’occupazione tedesca e del regime collaborazionista francese il sepolcro di Gerda fu violato e l’epitaffio danneggiato, non fu mai restaurato. La memoria stessa di Gerda per decenni fu smarrita nell’oblio del tempo.
Anni fa ho passato un’intera mattinata alla ricerca di quella tomba, senza successo.
Chi era Gerda Taro? Nacque a Stoccarda nel 1910 con il nome di Gerta Pohorylle in una famiglia della buona borghesia ebraica di origini galiziane. Crebbe a Lipsia, adolescente spensierata, studentessa eccellente. Bella, estroversa, ribelle, il 19 marzo 1933 venne arrestata e imprigionata perchè sospettata di aver partecipato alla distribuzione di volantini antinazisti. Il 30 gennaio di quello stesso anno tale Adolf Hitler era diventato cancelliere, eletto dalla maggioranza del popolo tedesco. Gerta non era, e probabilmente non fu mai, iscritta ufficialmente ad alcuna organizzazione o partito comunista, ma la sua educazione e la sua cultura erano squisitamente laici e di sinistra e la sua natura profondamente rivoluzionaria.
Di quella esperienza di detenzione ci è arrivata la testimonianza di una compagna che racconta come Gerta al suo ingresso in cella si fosse scusata con le altre detenute per il proprio abbigliamento “(…) le SA mi hanno arrestata proprio mentre stavo uscendo per andare a ballare”. Divenne presto la Liebling, l’idolo, delle prigioniere: distribuiva le sigarette che il padre riusciva a farle arrivare, cantava arie americane, insegnava alle compagne parole di inglese e francese, lingue che lei padroneggiava con disinvoltura. Gerta escogitò ed insegnò anche a comunicare con le celle vicine con l’alfabeto dei colpi.
Restò in prigione 17 giorni, salvata anche dal proprio passaporto polacco, dopo il suo rilascio decise, o i suoi genitori per lei, di lasciare la Germania. Alla fine dell’estate del 1933, raggiunse Parigi , come tanti esuli antifascisti italiani o tedeschi.
A Parigi i primi tempi furono duri, sistemazioni di fortuna presso amici o conoscenti, piccoli lavori: ragazza alla pari, segretaria, modella. Parigi era il centro di un’intensa attività artistica, letteraria e politica e molti dei protagonisti erano emigrati come Gerta. Nei caffè che anche lei frequentava si potevano incontrare grandi nomi, Walter Benjamin, Joseph Roth, Ernest Hemingway e personaggi meno conosciuti. Era il settembre del 1934 quando Gerta incontrò un giovane fotografo ungherese, Endre Friedmann, francesizzato in Andrè Friedmann. Fu l’incontro del destino.
Nelle parole di chi conobbe Gerta e Andrè sono descritti belli, affascinanti, traboccanti di vita e intensamente liberi. Dopo il loro incontro si innamorarono, vissero insieme, si separarono, si ritrovarono, non si persero mai di vista.
Gerta si avvicinò alla fotografia e grazie ad Andrè ottenne un impiego fisso all’ agenzia anglocontinentale Alliance di cui, per un anno, fu la factotum, dove perfezionò la tecnica della fotografia e della stampa e imparò a conoscere e trattare il mercato del fotogiornalismo in crescita.
E’ a questo punto che la storia di Gerta e Andrè si confonde alla leggenda.
I due giovani innamorati, ambiziosi, talentuosi e decisi a conquistare il mondo, si inventarono un personaggio, un fotografo americano, ricco, famoso e molto costoso, temporaneamente in Europa. Il personaggio doveva avere un nome, la scelta cadde su Robert Capa, che ricordava il cognome del famoso regista Frank Capra. Pare che l’idea venne a Gerta, magari dopo essersi amati, nell’esaltazione della passione reciproca, o forse dopo una sera al cinema, quando ci si lascia trasportare dai sogni, o dopo qualche bicchiere di vino buono non accompagnato da regolare cena, la vita da giovani bohemien non sempre contemplava pasti regolari.
Anche Gerta cambiò il proprio nome in Gerda, Taro. Entrambi gli pseudonimi avevano il vantaggio di suonare esotici e dall’origine poco riconoscibile.
Lo stratagemma funzionò. Robert Capa nel giro di qualche mese diventò un fotografo richiestissimo e molto apprezzato.
Nel luglio del 1936 scoppiò l’insurrezione franchista, Gerda e Bob si recarono in Spagna. Avevano due macchine fotografiche una Rolleiflex e una Leica, entrambi usavano entrambe, fotografavano la folla, il fermento, le barricate, le milizie, il fronte. Entrambi firmavano indifferentemente le proprie fotografie “CAPA”.
Ritornarono a Parigi e poi diverse volte in Spagna. Il sodalizio professionale e sentimentale era intenso e proficuo. Erano una coppia, ma Gerda rifiutò ripetutamente di sposare Andrè. Voleva “rimanere un essere libero. La sua compagna, pari in ogni campo, compreso l’amore: non sua moglie”.
Nel Luglio del 1937 i Capa erano ancora in Spagna a documentare la guerra. Andrè doveva rientrare a Parigi per trattare con alcune agenzie e cercare finanziatori per un viaggio in Cina. Gerda rimase a Madrid. Si lasciarono con l’intesa di ritrovarsi a Parigi dopo una decina di giorni. Non si videro più.
Se una foto non è buona non eri abbastanza vicino”. (Robert Capa)
In quei giorni di assenza di Robert Gerda realizzò il suo più importante reportage sulla battaglia di Brunete e fu proprio di ritorno da quel fronte che la giovane fotoreporter perse la vita, era stata troppo vicina. Aveva lavorato intensamente, incurante del pericolo, dopo ore passate in un buco a fotografare aveva terminato i rullini, così aveva trovato un passaggio per rientrare a Madrid viaggiando aggrappata al predellino di un’auto colma di feriti.
Inaspettatamente aerei tedeschi attaccarono il convoglio. Un carro armato “amico” perse il controllo e investì l’auto a cui era attaccata Gerda che cadde rimanendo schiacciata sotto i cingoli.
“Avete messo al sicuro le mie macchine? Sono nuove” Chiedeva. Raccontarono che “Durante tutto il trasporto, con le mani sulla pancia, tenne premute le sue stesse viscere”. Si mostrò incredibilmente forte e coraggiosa, ma era ferita molto gravemente. Fu sottoposta a trasfusione e operata. Il medico che l’aveva in cura raccomandò di non farle mancare la morfina per renderle più sopportabili quelle ore. Le ultime. All’alba del 26 Luglio chiuse gli occhi. Per sempre. Ecco dunque chi era Gerda Taro, una giovane donna bella, affascinante, talentuosa e libera che è stata, sia pur brevemente, l’altra metà del grande artista e fotografo celato dallo pseudonimo Robert Capa e poi troppo a lungo fu dimenticata. Più volte Robert Capa raccontò che all’alba di quel 26 luglio 1937 era morto anche lui.
Maria Grazia Giordano Paperi
Gerda Taro i funeraliGerda Taro gettyimages-Gerda Taro
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