Franco Leggeri- Fotoreportage -Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese (RIETI)
Chiesa di Santa Croce <Passo Corese, Fara in Sabina>
Notizie Storiche
1950 (costruzione intero bene)
Costruzione della chiesa parrocchiale, ad una sola navata con abside semicircolare che prende il posto di una piccola cappella.
1967 (costruzione navate laterali)
Sul finire degli anni Sessanta del XX secolo sono state costruite le navate laterali della chiesa; negli stessi anni sono stati spostati gli altari nelle navate laterali, compreso il tabernacolo che, dall’abside, viene spostato nella navata laterale destra.
1985 (costruzione campanile)
Costruzione del campanile.
1989 (restauri intero bene)
Lavori di restauro interessano tutto l’edificio, con particolare riguardo al presbiterio che viene completamento ricostruito nelle forme che ancora oggi si vedono.
1990 – 1995 (rifacimento vetrate)
Sono state rifatte tutte le vetrate della chiesa.
Descrizione
La chiesa parrocchiale di Passo Corese sorge nel punto più alto dell’abitato a poche centinaia di metri dalla ferrovia. La chiesa nel suo complesso è un opera recente, costruita nell’immediato secondo dopoguerra , è il risultato di un ampliamento di una cappella distrutta a causa dei bombardamenti e presenta annesse canonica e locali parrocchiali. Semplice nel profilo a capanna, la facciata si presenta con un portico d’ingresso ed è caratterizzata da una cortina in laterizio e da due paraste in tufo poste in prossimità degli spigoli . Nella preesistenza vi è ubicato il presbiterio, rialzato di due gradini rispetto al piano di calpestio e si conclude con un abside poligonale mentre nel nuovo corpo vi è l’aula liturgica; composta da tre navate, presenta due altari nelle navate laterali, uno dedicato alla Madonna del Divino Amore e nell’altro vi è la Custodia Eucaristica.
Facciata
La facciata dell’edifico ha un profilo a capanna con un oculo centrale, presenta una cortina in laterizio e due paraste e angolari in tufo. Lungo tutto il prospetto principale la Chiesa presenta un portico d’ingresso sorretto da otto colonne e una trabeazione con cortina in laterizio.
Impianto planimetrico
L’ impianto planimetrico è composto composta da tre navate scandite da quattro campate e la navata centrale si conclude con un abside poligonale. A destra dell’area presbiteriale vi è la sacrestia mentre a sinistra si accede ai locali della parrocchia.
Coperture
La copertura della navata centrale e della sacrestia e dell’aula a destra del presbiterio è composta da un tetto a due falde mentre la zona absidale ha una copertura a tre falde, entrambe ricoperte da tegole in laterizio; le navate laterali e il portico hanno una copertura piana.
Campanile
Il Campanile è di recente costruzione ed è esterno alla chiesa, si trova a destra della zona absidale; a base quadrata presenta 4 ordini di bifore e arco campanario. A sinistra della Chiesa è visibile un campanile a veletta, probabilmente si tratta dell’antico campanile della cappella esistente, la cui sede campanaria ora è sostituita da un quadro della vergine del Divino Amore.
Pavimenti e pavimentazioni
La pavimentazione è composta da marmette di graniglia, chiaro nell’aula liturgica, scura nelle guide; il presbiterio presenta un pavimento in marmo.
Interni
Gli interni si presentano sobri e intonacati, caratterizzati da alcuni dipinti di epoca recente; il soffitto della navata centrale è composto da un controsoffitto a cassettoni di colore verde-bianco. Lungo le pareti della navata centrale vi sono otto vetrate che assicurano una discreta illuminazione naturale.
Impianto strutturale
L’ antica preesistenza è in muratura portante intonacata con abside poligonale, calotta dipinta e volta a spicchi , mentre l’aula liturgica è composta da 3 navate e 4 campate in cemento armato.
Adeguamento liturgico
presbiterio – intervento strutturale (1967)
Anticamente la mensa d”altare era posta nel catino absidale, dopo la riforma liturgica è stata spostata tra i due corpi di fabbrica secondo le norme liturgiche post conciliari.
presbiterio – intervento strutturale (1989)
Questo intervento ha previsto l’intera organizzazione del presbiterio, é stata inserita una nuova mensa d’altare, composta da due colonne in pietra al centro presenta un “ultima cena” in rame. A destra della mensa è stato inserito un nuovo ambone in pietra
Fonte-Chiese delle Diocesi italiane-Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto e Servizio Informatico della Conferenza Episcopale Italiana –
Articolo scritto da Cinzia Dal Maso-10 gennaio 2014-
Foto di Franco Leggeri-
AURELIA ANTICA-ARCO TIRADIAVOLI–All’inizio della via Aurelia Antica, a breve distanza da porta San Pancrazio, dove la strada curva leggermente, si innalza un elegante arco il cui nome suscita una certa curiosità: si tratta dell’arco detto di Tiradiavoli, fatto costruire da Paolo V Borghese nel 1612 per sostenere l’acquedotto Paolo che in quel punto attraversa la strada. Il Pontefice, infatti, aveva fatto restaurare l’antico acquedotto di Traiano, per l’approvvigionamento idrico del Trastevere, del Vaticano e di alcune zone basse dall’altra parte del Tevere, come via Giulia, via Arenula e il Ghetto. Fu un’impresa notevole, che costò ben 400 mila scudi, il doppio della somma occorsa per l’acquedotto Felice. La grandiosa opera venne affidata a Giovanni Fontana, fratello maggiore di Domenico. Per reperire i fondi fu necessario applicare una tassa sulla carne e anche una – più dolorosa – sul “vino romanesco”. Tra il 1673 e il 1696, per accrescere la portata dell’acquedotto, si decise di unire alle acque sorgive anche quelle del lago di Bracciano: il risultato fu un’acqua non del tutto potabile, per cui i romani delusi coniarono il detto “valere quanto l’acqua Paola”, per apostrofare qualcosa di scarso valore. Nella parte superiore dell’arco, sotto al fastigio con lo stemma del pontefice, è l’iscrizione che commemora l’impresa di Paolo V. Dalla terza riga, però, si capisce che il pontefice e i suoi architetti erano caduti in un errore: credevano di aver restaurato non l’acquedotto di Traiano, ma quello dell’Aqua Alsietina, costruito da Augusto per alimentare la Naumachia. Il curioso nome dato all’arco ricorda che un tempo questo tratto dell’Aurelia si chiamava via di Tiradiavoli. Come spiega Nica Fiori nel suo libro “I misteri della Roma più segreta” (Edizioni Mediterranee, 2000), uno dei fantasmi più celebri di Roma sarebbe quello di Donna Olimpia Pamphili, cognata di papa Innocenzo X. “Pare che, nelle notti di plenilunio, appaia nei pressi di villa Doria Pamphili sulla sua carrozza trainata da quattro cavalli, che corre per le strade lasciando dietro di sé una scia di fuoco. Dopo aver attraversato di corsa Ponte Sisto, scompare nel Tevere. Si racconta che i diavoli vengano ogni volta a prelevarla per trascinarla all’inferno, tanto che un tratto della via Aurelia antica, nei pressi della villa, si chiamò, fino al 1914, via Tiradiavoli”. Secondo Claudio Rendina, invece, il toponimo di Tiradiavoli deriverebbe dall’abbondanza di memorie di martiri cristiani sull’Aurelia Antica, che faceva sì che i diavoli venissero “tirati via”. Fino alla prima metà del Novecento scorreva all’aperto anche una marrana di Tiradiavoli, che nel medioevo si chiamava marrana di pozzo Pantaleo. Questo corso d’acqua nasce all’interno di villa Pamphili, dalle sorgenti della valle dei Daini e dopo aver attraversato la valle di via di Donna Olimpia e la zona di pozzo Pantaleo sbocca nel Tevere. La marrana oggi continua a scorrere sotto via di Donna Olimpia. La via Tiradiavoli si trova citata nelle cronache dell’assalto francese del 3 giugno del 1849, che prese di sorpresa i difensori della Repubblica romana. Alle due del mattino due colonne francesi arrivavano a villa Pamphili. Una aprì un passaggio nel muro e penetrò nella villa. D’altra parte – come narra Giuseppe Gabussi (1852) – “il generale Levaillant, giungendo con tre reggimenti per la via detta Tiradiavoli, trovato aperto un ingresso dal lato del giardino, entrò dentro: ma incontrata ben presto risoluta resistenza da 200 dei nostri, ne conseguì micidialissima zuffa sostenuta virilmente dai Romani, sino a che, soverchiati dal numero, dovettero riparare al convento di S. Pancrazio”.
Articolo scritto da Cinzia Dal Maso-10 gennaio 2014-
Foto di Franco Leggeri-
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