VICENTE HUIDOBRO – Poesia MONUMENTO AL MARE

Biblioteca DEA SABINA

Poesia cilena : VICENTE HUIDOBRO

VICENTE HUIDOBRO
VICENTE HUIDOBRO

 

MONUMENTO AL MARE

Pace sulla costellazione cantante delle acque
Scontrate come gli ombri della moltitudine
Pace nel mare alle onde di buona volontà
Pace sulla lapide dei naufragi
Pace sui tamburi dell’orgoglio e le pupille tenebrose
E se io sono il traduttore delle onde
Pace anche su di me.

Ecco qui lo stampo pieno di frantumi del destino
Lo stampo della vendetta
Con le sue frasi iraconde che si staccano dalle labbra
Ecco qui lo stampo pieno di grazia
Quando sei dolce e stai lì ipnotizzato dalle stelle

Ecco qui la morte inesauribile dal principio del mondo
Perché un giorno nessuno se ne andrà a spasso per il tempo
Nessuno lungo il tempo lastricato di pianeti defunti

Questo è il mare
Il mare con le sue onde proprie
Con i suoi propri sensi
Il mare che cerca di rompere le sue catene
Che vuole imitare l’eternità
Che vuole essere polmone o nebbiolina di uccelli in pena
O il giardino degli astri che pesano nel cielo
Sulle tenebre che trasciniamo
O che forse ci trascinano
Quando volano di repente tutte le colombe della luna
E si fa più oscuro dei crocevia della morte

Il mare entra nel carro funebre della notte
E si allontana verso il mistero dei suoi paraggi profondi
S’ode appena il rumore delle ruote
E l’ala degli astri che soffrono nel cielo
Questo è il mare
Che saluta laggiù lontano l’eternità
Che saluta gli astri dimenticati
E le stelle conosciute.

Questo è il mare che si desta come il pianto di un bambino
Il mare che apre gli occhi e cerca il sole con le piccole mani tremanti
Il mare che spinge le onde
Le sue onde che mescolano i destini

Alzati e saluta l’amore degli uomini

Ascolta le nostre risa e anche il nostro pianto
Ascolta i passi di milioni di schiavi
Ascolta la protesta interminabile
Di quell’angoscia che si chiama uomo
Ascolta il dolore millenario dei petti di carne
E la speranza che rinasce dalle proprie ceneri ogni giorno.

Anche noi ti ascoltiamo
Rimuginando tanti astri catturati nelle tue reti 
Rimuginando eternamente i secoli naufragati
Anche noi ti ascoltiamo

Quando ti rigiri nel tuo letto di dolore
Quando i tuoi gladiatori si battono tra di loro

Quando la tua collera fa esplodere i meridiani
Oppure quando ti agiti come un gran mercato in festa
Oppure quando maledici gli uomini
O fingi di dormire
Tremante nella tua grande ragnatela in attesa della preda.

Piangi senza sapere perché piangi
E noi piangiamo credendo di sapere perché piangiamo
Soffri soffri come soffrono gli uomini
Che tu possa ascoltare digrignare i tuoi denti nella notte
E rigirarti nel tuo letto
Che l’insonnio non ti lasci placare le tue sofferenze
Che i bambini prendano a sassate le tue finestre
Che ti strappino i capelli
Tosse tosse faccia esplodere in sangue i tuoi polmoni
Che le tue molle si arrugginiscano
E tu venga calpestato come cespuglio di tomba

Però sono vagabondo e ho paura che mi ascolti
Ho paura delle tue vendette
Dimentica le mie maledizioni e cantiamo insieme stanotte
Fatti uomo ti dico come io a volte mi faccio mare
Dimentica i presagi funesti
Dimentica l’esplosione delle mie praterie
Io ti tendo le mani come fiori
Facciamo la pace ti dico
Tu sei il più potente
Che io stringa le tue mani nelle mie
E sia la pace tra di noi

Vicino al mio cuore ti sento
Quando ascolto il gemito dei tuoi violini
Quando stai lì steso come il pianto di un bambino
Quando sei pensieroso di fronte al cielo
Quando sei dolorante tra le tue lenzuola
Quando ti sento piangere dietro la mia finestra
Quando piangiamo senza ragione come piangi tu.

Ecco qui il mare
Il mare dove viene a scontrarsi l’odore delle città
Col suo grembo pieno di barche e pesci e altre cose allegre
Quelle barche che pescano sulla riva del cielo
Quei pesci che ascoltano ogni raggio di luce
Quelle alghe con sonni secolari
E quell’onda che canta meglio delle altre

Ecco qui il mare
Il mare che si distende e si afferra alle sue rive
Il mare che avvolge le stelle nelle sue onde
Il mare con la sua pelle martirizzata
E i sussulti delle sue vene 
Con i suoi giorni di pace e le sue notti di isteria

E all’altro lato che c’è all’altro lato
Che nascondi mare all’altro lato
L’inizio della vita lungo come un serpente
O l’inizio della morte più profonda di te stesso
E più alta di tutti i monti
Che c’è all’altro lato
La millenaria volontà di fare una forma e un ritmo
O il turbine eterno dei petali troncati

Ecco lì il mare
Il mare spalancato
Ecco lì il mare spezzato all’improvviso
Affinché l’occhio veda l’inizio del mondo
Ecco lì il mare
Da un’onda all’altra c’è il tempo della vita
Dalle sue onde al mio occhio c’è la distanza della morte.
 

Traduzione di Gianni Darconza per Raffaelli Editore

 Breve biografia di Vicente García-Huidobro Fernández (Santiago del Cile, 10 gennaio 1893 – Cartagena, 2 gennaio 1948) è stato l’ideatore del “creazionismo poetico” ed è considerato tra i quattro maggiori poeti cileni insieme a Neruda, De Rokha e Mistral.
Il creazionismo vuole fare della poesia uno strumento di creazione assoluta, in modo che i segni linguistici acquistino valore per la loro capacità di esprimere bellezza in sé e non per il loro significato sostanziale. Huidobro stesso descrisse, nella sua raccolta di saggi Manifesti, del 1925, cosa sia una poesia creata: «È una poesia nella quale ogni parte che la costituisce, e tutto l’insieme, mostra un fatto nuovo, indipendente dal mondo esterno, slegato da qualunque altra realtà che non sia la propria, che prende il suo posto nel mondo come fenomeno singolo, a parte, distinto dagli altri. Questa poesia è qualcosa che non può esistere se non nella testa del poeta. E non è bella perché ricorda qualcosa, perché ricorda cose viste, a loro volta belle, né perché descriva cose belle che potremmo anche vedere. È bella in sé e non ammette termini di comparazione. E nemmeno può essere concepita fuori dal libro. Niente le somiglia del mondo esterno; rende reale quel che non esiste, cioè si fa realtà a se stessa. Crea il meraviglioso e gli dà vita propria. Crea situazioni straordinarie che non potranno mai esistere nel mondo oggettivo, per cui dovranno esistere nella poesia perché esistano da qualche parte. Quando scrivo: “L’uccello fa il nido nell’arcobaleno”, si presenta un fatto nuovo, qualcosa che non avevate mai visto, che mai vedrete e che tuttavia vi piacerebbe molto vedere. Il poeta deve dire quelle cose che mai si direbbero senza di lui. Le poesie create acquisiscono proporzioni cosmogoniche; ci danno in ogni momento il vero sublime, quel sublime del quale i testi ci presentano esempi tanto poco convincenti. E non si tratta del sublime eccitante e grandioso, ma di un sublime senza pretese, senza terrore, che non vuole opprimere o schiacciare il lettore: un sublime da taschino. La poesia creazionista si compone di immagine create, di situazioni create, di concetti creati; non stiracchia alcun elemento della poesia tradizionale, salvo che in essa quegli elementi sono integralmente inventati, senza preoccuparsi assolutamente della loro realtà o veridicità precedenti l’atto della realizzazione».

Fonte – “Terza Pagina” Raffaelli Editore