Eliseo l’Armeno romanzo Storia di Vardan e compagni martiri
Eliseo l’Armeno
Descrizione-La Storia di Eliseo è un’opera poliedrica in cui convivono molteplici generi letterari. È la principale fonte storica per ricostruire gli eventi bellici del 451, che videro gli Armeni scendere in campo contro i Persiani per difendere la propria fede cristiana dalle imposizioni zoroastriane. È anche opera agiografica, che immortala il martirio di san Vardan e dei suoi compagni. È opera teologica, ricca di professioni di fede e formule cristologiche. È opera apologetica, che ci restituisce stralci delle controversie cristiane contro i zoroastriani. Ed è anche un’opera segnata da passaggi di intenso afflato lirico. Il volume fa parte dell’Opera Omnia di Eliseo. Accanto al capolavoro principale il volume contiene scritti minori, alcuni dei quali tradotti per la prima volta in una lingua occidentale, che appartengono all’esperienza monastica dell’autore, che rivestono un interesse notevole non solo per la disciplina canonica e la storia del monachesimo, ma anche per alcuni importanti passaggi teologici. Per la prima volta al mondo La Storia di Vardan e le altre opere di Eliseo sono riprodotte nel testo critico armeno con traduzione in una lingua moderna (nel nostro caso l’italiano) a fronte. Introduzione, traduzione e note di Riccardo Pane.
Misakh Metzarents, l’eterno talento della poesia armena
– Pangea-Rivista avventuriera di cultura & idee
Il Poeta armeno Misakh Metzarents -Ogni paese si rispecchia nel bambino d’oro, l’infante che divora tutti i doni nell’arco di una stagione, il poeta perpetuamente giovane, che svanisce, in un lascito di nostalgia, dissipato dalle sue ispirazioni. Che sia Thomas Chatterton o John Keats, Novalis o Antonia Pozzi, Rimbaud – che muore alla poesia poco più che ventenne – o Shelley o Sergej Esenin, poeti dai tratti sempre inediti, vigorosi di una solitudine del sangue, tra il capriccio e l’estasi. Stagliati in teca, questi poeti dalla giovinezza infinita, a monito, moneta di scambio per popoli dalla creatività disseccata, sempre troppo precoci, cioè troppo ingenui. Tanto al di là da trovarteli sotto al letto, coi coltellini in tasca.
Misakh Metzarents-Poeta armeno
Per l’Armenia, il poeta per sempre bambino, rovinato da una tragedia che diventa lirica, si chiama Misakh Metzarents. Nato nel gennaio del 1886, è stato di recente onorato con un francobollo celebrativo, quasi che, addentellato, pronto per l’affrancatura, il poeta sia più potente e prono alla patria, nella zona franca di chi può tutto e nulla. La vita di Metzarents è priva di eventi clamorosi, di ornamenti che diano al profilo onore di leggenda: tutto, in lui, è lotta con il male, la tisi, che comincia ad agguantarlo quattordicenne. Nel 1902, dopo gli studi presso il collegio di Merzifon, il ragazzo si trasferisce a Costantinopoli: si orienta alla poesia, pronto a recintare in verbi i singoli sintagmi dell’anima, con talento da paesaggista.
Misakh Metzarents-Poeta armeno
Il ragazzo, roso dall’infermità, amante della poesia simbolista francese, muore nell’estate del 1908, a 22 anni. L’anno prima, riesce a pubblicare due raccolti di versi, Tziatzan (“Arcobaleno”) e Nor Tagher (“Odi nuove”), accolte con stupore: c’è chi, in questi versi devoti e ‘moderni’, rintraccia una specie di eversione. Con delicata furia, Misakh porta la poesia armena nella modernità; devoto a Gregorio di Narek, il grande monaco-poeta armeno vissuto intorno al Mille, scrive salmi di irrequieta limpidezza. Ecco, ad esempio, alcuni versi da Madre di Dio:
“Ecco mi accingo ad arrampicarmi sul monticello del mio dolore;
dissipa tu le nuvole dalla via di madreperla dei sogni…
Nella notte discende ancora il ruscello di luce,
una goccia di latte della tua santità divenuta un mare;
e vedi, o Madre di Dio, ecco sto diventando bambino!
e vedi, sto diventando bambino in mezzo alla notte,
in cui sentii discendere la divina voce,
che echeggiava per la mia anima permeata da Dio”.
Nel volumeLa mistica cristiana (Mondadori, 2020), Boghos Levon Zekiyan installa Misakh Metzarents tra gli ultimi protagonisti della Mistica armena: “Anima di una sensibilità assai delicata ed elevata, di una religiosità consapevole e profonda, è autore di composizioni che, oltre all’altissimo valore poetico, sono intrise di un vissuto religioso così singolare e originale da rasentare lo spessore di un’esperienza mistica vera e propria”.
Misakh Metzarents-Poeta armeno
In Metzarents le immagini liriche sembrano acqua tra le dita, riflessi che danno l’idea di un falò, chiostri in assedio, il tempo in un elmo: tutto è trasfigurato dalla disciplina della solitudine, da una riservatezza senza riserve, una preparazione all’addio in danza, potremmo dire, avvento di contrari venti. D’altronde è questo il genio dei poeti morti giovani: si giunge all’appuntamento con loro in ritardo di un secolo; la giacca sull’attaccapanni sembra appartenergli, la riconosci dai polsi e dai bottoni, ma è preparata per te, perché non ti turbi il tormento, il freddo di un oggi con le chele.
Veglia domenicale
Della sera che lentamente fugge è gioiosa la luce purpurea.
Fili d’oro avvolti nella nebbia di velluto dell’incenso,
frange azzurre, l’arcobaleno, voci fluttuanti, una mistica rosa,
lacrime di luce dei ceri che nella quiete si consumano.
La mia anima, assetata d’incenso, s’imbeve dell’attimo quieto,
mentre oscillano i turiboli dagli occhi oro fuoco.
Un torpore d’incanto mi lascia là immobile,
sento il bacio del tulle di zaffiro che l’animo mi avvolge.
Tinte di ametista ungono le volute dell’incenso,
m’inginocchio al mistero le braccia incrociate,
e attendo che spunti dalla mia anima la domenica di luce.
Tutto di smeraldo e di rubino è ora il sogno delle fiaccole,
dagli archi, dall’altare spuntano luce e risa,
adagio la mia anima in questo meraviglioso sogno si tuffa.
Della sera che lentamente fugge, è gioiosa la luce purpurea.
Traduzione di Boghos Levon Zekiyan
*
La sera
Come una ragazza che cammina sotto i pini
che va dove soffia la brezza serale
presso un bosco di melograni in fiore
la sera passa, il giorno si allontana.
Cade la sera come un fiore appassito
in varie sfumature di blu, cammina,
muore lentamente, si piega,
fragile stame di speranza, luce che fluttua infima.
Poi è buio: come la mia anima, incassata
nella solitudine, che fermenta nell’oscurità –
la lampa dei sogni si è sbriciolata, tempo fa,
abbandonando lo spirito sotto la pioggia –
cerca una casa.
*
Canto d’amore
Il vento ha sentimento sufficiente
per illuminare i fiori
piccole torce di luce.
Questa notte la festa illumina le strade
dolce è il balsamo, dolce hashish
nel vento – ne divento ebbro.
Come baci i fiori riempiono il tempo
con petali e semi – tutto è in eccesso
tutto è nel delirio
ma a me manca il solo bacio che desidero.
*
Se potessi conservare qualcosa
terrei quest’ora come un pezzo di me;
distillerei questa singola ora
come fosse un’essenza;
se potessi scegliere, vorrei
che questa singola ora
diventasse tutta la mia vita –
confuso e benedetto,
potrei scrivere per sempre
di questa singola ora con te
e lucidare nel suo lavacro
la mia esistenza, purificato
finalmente di tutto.
*
L’acqua scorre
Barba d’argento sul fiume
che sbatte contro le rocce sterili:
sboccia nel golfo dove l’acqua
è calda e il sole è un nascituro.
I montanari si arrampicano oltre
il villaggio dai ponti sospesi.
Nel cortile del monastero anche
gli alberi si chinano in preghiera.
Il silenzio inghiotte le lacrime del mattino:
questo è il momento in cui bagnano gli orti
e i novizi restano in piedi, in piena luce.
Le chiuse vengono aperte, le vanghe
incurvano il corpo serpentino delle acque.
Le pale girano senza fermarsi, come richiami:
una ragazza intona una canzone – un giorno
si scoprirà donna. La terra mette una mano
sulla bocca del fiume, che chiacchiera ancora:
soltanto lo stolto si lamenta in anticipo
del suo futuro.
*
Delirio
Buio costruito ad arte dalla strega: sono
in delirio – è Amore che mi crolla sul corpo –
un frutto fatato innesta nell’anima
ricordi che voglio dimenticare.
Le luci si spengono ma io amo
la tenebra che fa germinare agonia:
il dolore è largo, è un lago, ed espelle
il mio cuore – berrò il nero calice della vita triste.
È troppo buio e non posso più sognare:
smetto di vogare intorno ai miei amori.
Gli occhi hanno unghie, lampi d’alba
ed è lì che le mie pene, selvagge, si consumano.
*
Le api
I miei desideri sono api:
scavano cinture d’oro
fanno piovere
i loro favi, volano, sciamano,
ronzano, riempiono il sentiero,
strappano il velo della nebbia
ricamato e trasparente
ovunque portano il sole.
Misakh Metzarents
Fonte-Pangea-Rivista avventuriera di cultura & idee
Misak Metsarents or Medzarents (Armenian: ; 18 January 1886 – 5 July 1908) was a leading Armenianneo-romantic poet.
Biography
Misak Metsarents was born Misak Metsadourian in the village of Pingian [hy], near Agn in the Vilayet of Kharpert. In 1886, he moved with his family to Sepastia, where he attended the Aramian School. Until 1902, he attended the Anatolia Boarding School in Marzvan, which was run by American missionaries. From 1902 to 1905, he attended the Central School in Constantinople. However, tuberculosis forced him to leave his education, and he later died from the ailment July 5, 1908, at the age of 22.[1]
Poetry
Metsarents began writing in 1901, with his first verses published in 1903. He also collaborated with many Armenian publications such as “Masis”, “Hanragitak”, “Eastern Press”, “Light”, “Courier”, “Manzumei Efkiar”, “Buzandion”.[2] Much of his poetry discussed the despair of his inevitable mortality.
Legacy
The poet enriched Armenian poetry with his lyrical and genuine masterpieces, although Metsarents only managed to publish two volumes of poetry in his lifetime: “Dziadzan” (Rainbow) (1907) and “Nor dagher” (1907). He was commemorated in 2012 by his portrait appearing on an Armenian postal stamp.[3]
La masseria delle allodole-Film sul genocidio armeno
Dai fratelli Taviani un coraggioso recupero della storia. Il loro genocidio armeno parla di tante altre tragedie
Paolo Taviani, Vittorio Taviani
Descrizione del Film sul genocidio armeno -E’ la saga dei due fratelli Avakian, che facendo scelte di vita diverse, preparano due destini tragicamente opposti di vita e di morte, per i loro figli. Il fratello maggiore, Assadour, lascia l’Armenia da ragazzo per andare a studiare medicina a Venezia. Diventa un medico di successo a Padova, si sposa con una nobildonna e ha due figli. Il fratello più tranquillo, Aram, legato alle tradizioni familiari, nella sua farmacia nel villaggio natale in Anatolia, fa conoscere le novità occidentali, ma la sua numerosa famiglia incarna i valori e la cultura del popolo armeno. Dopo molti anni di lontananza, nel 1915 i due fratelli combinano una rimpatriata: Assadour con la famiglia si prepara a tornare in Anatolia con due automobili, carico di doni e di nostalgia. Aram arreda con eleganza la “masseria delle allodole”, la villa in campagna, preparando per tutti loro un’accoglienza memorabile. Ma l’incontro con questi familiari italiani non avverrà mai. Si scoprirà più tardi, infatti, che sono stati coinvolti nell’orrendo genocidio perpetrato sugli armeni dai turchi, alleati dei tedeschi, nel corso della prima guerra mondiale.
Tratto da: liberamente ispirato al romanzo omonimo di Antonia Arslan
Produzione: GRAZIA VOLPI PER AGER 3, RAI CINEMA, EAGLE PICTURES, NIMAR STUDIO (SOFIA), SAGRERA TV, TVE (MADRID), FLACH FILM, FRANCE 2 CINEMA, CANAL+, 27 FILMS PRODUCTION, ARD DEGETO (PARIGI)
Distribuzione: 01 DISTRIBUTION
Data uscita: 2007-03-23
La masseria delle allodole
NOTE
PRESENTATO COME EVENTO SPECIALE AL 57MO FESTIVAL DI BERLINO (2007).- FILM REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DI MIBAC.- CANDIDATO AI NASTRI D’ARGENTO 2007 PER: MIGLIOR SCENOGRAFIA E COSTUMI.
La masseria delle allodole
CRITICA
“‘La masseria delle allodole’ è molto, molto interessante, ricco di meravigliose immagini, recitato da un cast internazionale (i più bravi sono André Dussolier e Mohamed Bakri). E segnato dall’inconfondibile grandioso stile dei Taviani, inasprito dal senso di rivolta verso la persecuzione degli armeni e verso gli assassinii di massa dei giorni nostri.” (Lietta Tornabuoni, ‘La Stampa’, 14 febbraio 2007)
La masseria delle allodole
“Forte, sincero, pietoso: ecco ‘La masseria delle allodole’, l’atteso film dei fratelli Taviani sul genocidio degli armeni. (…) Nessuna pressione esterna e, alla fine, solo il silenzio con cui i giornalisti in sala hanno accompagnato lo sguardo su questo film dall’argomento forte, scenograficamente calligrafico e teatralmente interpretato. Una pellicola dagli alti additivi di fiction e di pathos che, pur articolandosi anche lungo microcosmi familiari allargati e storie d’amore ‘miste’, cerca il rimbalzo per arrivare a rappresentare il capitolo tragico di un intero popolo, senza per questo ideologizzarne la memoria, ma senza nemmeno risparmiare qualche crudezza nella messinscena. (…) E allora niente premeditazioni politiche, solo il tentativo di raccontare una verità documentata storicamente per farla riemergere dalla feritoia-tabù in cui era stata inabissata, abbracciando una prospettiva defilata e sentimentale.” (Lorenzo Buccella, ‘L’Unità’, 14 febbraio 2007)
La masseria delle allodole
“‘La masseria delle allodole’ non ha nulla dei film che hanno reso giustamente illustre, anche se spesso contestato, il nome dei Taviani. Inquadrature sempre ravvicinate uso tv; doppiaggio alla meno peggio degli attori non italiani (Tchéky Karyo, Moritz Bleibtreu, Angela Molina, André Dussollier, Paz Vega, Arsine Khanjan) e recitazione enfatica degli altri; provincialismo dei bambini (si sente un ‘subbito’); sfondi di cartapesta; inverosimiglianze. Questi sarebbero pessimi requisiti in ogni circostanza, ma sono micidiali quando si pretende di ricostruire, con tanta disinvoltura, un ‘genocidio’ che i turchi tuttora negano. Comunque, se i prossimi film che si occupano della controversia, avranno la forza drammatica della ‘Masseria delle allodole’, l’onore di Enver Pascià – considerato il promotore delle stragi di armeni – sarà al sicuro. Coproduzione italo-bulgaro- spagnola, ‘La masseria delle allodole’ ha da una parte l’impronta anonima dei film per tutti fatti per non piacere a nessuno; dall’altra – specie nell’inizio arcadico – evoca il ‘Giardino dei Finzi Contini’, che Vittorio De Sica, ormai vecchio, diresse addormentandosi sulla macchina da presa, dopo notti insonni al casinò. Però vinse l’Oscar. Ai fratelli Taviani si può solo fare lo stesso augurio.” (Maurizio Cabona, ‘Il Giornale’, 14 febbraio 2007)
La masseria delle allodole
“Forse non bisognerebbe cercare di rinchiudere tragedie così grandi, come il massacro degli Armeni, in un film, in una storia: si rischia sempre di dire troppo o troppo poco, di banalizzare o di schematizzare. Succede anche con ‘La masseria delle allodole’, che i fratelli Taviani hanno tratto dall’omonimo romanzo di Antonia Arslan. Forse per una scelta di stile che guarda soprattutto a una destinazione televisiva di tipo generalista. E che finisce per evidenziare quella mancanza di originalità e rigore che in passato aveva contraddistinto le letture storiche fatte dai due registi. Adottando per questo film il punto di vista del romanzo, che fa vivere il dramma del genocidio attraverso le peripezie della famiglia Avakian, i Taviani scelgono di ‘spiegare’ per immagini una tragedia epocale, con diverse sfumature di coinvolgimento nelle file turche e contraddittori atteggiamenti in quelle armene, ma finiscono irrimediabilmente per stemperarne la forza emotiva e spettacolare. Solo in una scena la capacità di sintetizzare in un’immagine tanti discorsi torna a farsi ammirare: è quando una madre, che ha partorito un maschio durante la deportazione verso Aleppo, è costretta a chiedere aiuto a un’amica perché le è stato ordinato di uccidere il neonato. Basta quell’inquadratura senza parole per dire l’atrocità del genocidio armeno. Il resto è solo inerte illustrazione.” (Paolo Mereghetti, ‘Corriere della Sera’, 14 febbraio 2007)
La masseria delle allodole
“Tutti sappiamo o crediamo di sapere molto della Shoah avendo letto al riguardo migliaia di parole e visto montagne di immagini, fisse o in movimento, autentiche o fittizie. Mentre sul massacro degli armeni ma il discorso vale per molte pagine atroci, anche recenti abbiamo quasi sempre nozioni vaghe. Parole, più che immagini. Dati, più che emozioni. In questo senso il film che i fratelli Taviani hanno tratto dal romanzo omonimo di Antonia Arslan, ‘La masseria delle allodole’, dovrebbe fare finalmente da apripista, per così dire, a una maggior conoscenza del genocidio armeno. Impossibile, dopo averlo visto, dire non sapevamo, non immaginavamo. Nella storia (vera) della famiglia Avakian c’è infatti tutto (o quasi) ciò che occorre sapere. (…) Eppure a questo film sontuosamente ambientato e fotografato manca qualcosa di fondamentale al cinema (un po’ meno in tv, che ci sembra la destinazione più naturale dell’opera). E cioè quel sapore di verità che a volte si condensa in un gesto, una voce, uno sguardo, ma che raramente troviamo in questa grande coproduzione europea interpretata da un cast italo-franco-ispano-tedesco cui si aggiunge la armeno-canadese Arsinée Khanjian, moglie e musa di quell’Egoyan che con ‘Ararat’ raccontò, più che la tragedia degli armeni, la difficoltà del raccontarla.” (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 15 febbraio 2007)
La masseria delle allodole
“Purtroppo il film tende a schematizzare la rilettura storico-sentimentale, un po’ sulla scia delle fiction da guardare distrattamente in tv durante la cena domenicale: le tragiche peripezie della famiglia Avakian, corredate dagli svariati atteggiamenti in seno al popolo armeno e dai differenti gradi di coinvolgimento dei turchi «pulitori etnici», riescono solo sporadicamente a centrare l’ambizioso obiettivo artistico. Nonostante l’apprezzabile impegno degli interpreti – tutti dignitosi, con note particolari di merito per Paz Vega, Alessandro Preziosi, Mohammad Bakri, Mariano Rigillo e Christo Jivkov – le sequenze che impongono un segno stilistico forte alla sbrigativa routine (spesso a macchina fissa) degli sfondi e dei dialoghi si contano sulle dita di una mano.” (Valerio Caprara, ‘Il Mattino’, 15 febbraio 2007)
La masseria delle allodole
Articolo di Massimo Monteleone-23 marzo, 2007-Come sempre, nel cinema dei fratelli Taviani, il dramma storico-politico-collettivo viene raccontato attraverso le vicende e i destini di alcuni personaggi, dei componenti di una famiglia, di un nucleo ristretto. Perchè la Storia è fatta dalle persone, su cui però troppo spesso si accanisce la disumanità di strategie politico-ideologiche che annullano ogni rispetto etico e umano. La masseria delle allodole, tratto dal romanzo dell’italo-armena Atonia Arslan, non vuole essere – secondo i due registi – un accurato quadro storico. Anche se la denuncia del genocidio armeno nel 1915 da parte del partito dei “Giovani Turchi” è centrale nella narrazione, risulta evidente che i Taviani guardino al massacro del passato come esempio negativo e radice di analoghe intolleranze e tragedie posteriori: dall’Olocausto degli Ebrei ad opera dei nazisti fino alla “pulizia etnica” nell’ex-Jugoslavia e ai conflitti politico-religiosi del presente. La didascalia alla fine del film ricorda che “Il popolo armeno attende ancora giustizia” per ciò che ha subìto durante la Grande Guerra. Il romanzo e il film fanno riemergere questa verità taciuta e rimossa colpevolmente dalla Turchia. Un film necessario, dunque, con pagine dure di forte tensione e macabra crudezza (la strage dei maschi – bambini e adulti – rifugiatisi nella masseria e ancora ignari dell’ordine di sterminarli). Fra gli interpreti del cast multilinguistico si distinguono per intensità Paz Vega, Tcheky Karyo, Arsinee Khanjian, Andrè Dussolier e Mohammad Bakri. L’impegno e la moralità dell’opera sono fuori discussione. Però, trattandosi di una coproduzione europea che coinvolge enti televisivi, i Taviani hanno preferito un registro espressivo realistico che tende alla “fiction” TV. Hanno tralasciato quasi del tutto (ad eccezione dell’iniziale presagio di sangue e di certe inquadrature oniriche) lo stile che li ha resi maestri fra gli anni ’60 e gli ’80: il realismo trasfigurato in Mito, lo straniamento epico-brechtiano, le visioni metaforiche e meta-storiche, l’insolito connubio fra tentazione mélo e pamphlet politico-letterario. In una parola: la poesia. La masseria delle allodole non è Allonsanfan, Kaos o La notte di San Lorenzo. Certo, la tragedia evocata surclassa per importanza le esigenze dell’Arte. Ma i capolavori dei Taviani testimoniano che si può essere poeti drammatici e non solo narratori.
La masseria delle allodole
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