ILSE WEBER: Da Terezin verso Auschwitz Birkenau-Articolo di Anna Foa
Elsa Weber, di religione ebraica, nata a Witkowitz nel 1903, scrisse poesie e fiabe per bambini fin da giovanissima, entrando a far parte del grande mondo intellettuale ceco. Come tutti gli ebrei cechi, era di lingua tedesca. Sposatasi con Willi Weber, Ilse si dedicò poi alla famiglia, pur senza interrompere la sua attività di scrittrice. Nel 1930 aveva già pubblicato tre fortunati libri di fiabe ed era divenuta una valente musicista. Patriota della sua Cecoslovacchia, diede al suo secondo bambino il nome di Tomáš in onore del presidente Masaryk.
La Cecoslovacchia degli anni Trenta era un’isola di democrazia e una crogiolo di attività intellettuali, che spiccava nel panorama degli altri Stati dell’Europa orientale, sottoposti a regimi dittatoriali e caratterizzati dal prevalere dell’antisemitismo.
Nel 1939, dopo l’occupazione nazista, i Weber decisero di mandare il primo figlio Hanuš in Inghilterra, affidandolo all’amica di Ilse, che lo avrebbe lasciato in Svezia presso sua madre e che sarebbe poi morta nel 1941. Il piccolo Weber partì così insieme ad oltre seicento bambini ebrei, sottratti ai nazisti grazie all’attività di salvataggio di un agente di borsa inglese, Nicolas George Winton, e spediti in treno nell’unico paese europeo che accettò di accoglierli, l’Inghilterra. Ilse non lo avrebbe più rivisto. Nel 1942, Ilse con il marito e il piccolo Tomáš furono deportati a Theresienstadt, “il ghetto modello” da cui partivano i trasporti per Auschwitz. Qui Ilse fece l’infermiera nell’ospedale dei bambini, creando per loro e per gli altri prigionieri poesie e canzoni, suonando per loro il liuto e la chitarra. Una sua poesia, Le pecore di Lidice, suscitò violente reazioni da parte delle SS, senza fortunatamente che Ilse ne fosse individuata come l’autrice. Un’altra, Lettera al mio bambino, indirizzata al figlio Hanuš, fu tradotta e pubblicata nel 1945 in Svezia e Hanuš poté così leggerla. Nel 1944, Willi fu per primo deportato ad Auschwitz. Poco dopo anche Ilse e Tomáš furono inseriti in un “trasporto all’Est”. Sembra che Ilse abbia scelto volontariamente la deportazione per non abbandonare i bambini a lei affidati. E qui, insieme con loro, Ilse e Tomáš furono subito mandati alle camere a gas. Tornato a Praga dopo la guerra, Willi riprese con sé il figlio, che era vissuto in Svezia affidato alla madre di Lilian, Gertrud. Un ricongiungimento difficile, perché il ragazzo, dopo quei sei anni lontano, rifiutava di parlare con il padre su quanto era avvenuto durante la Shoah. Nel 1968, dopo l’invasione da parte dei russi, divenuto giornalista e legato alla primavera praghese, Hanuš fuggì in Svezia dove si stabilì. Lentamente, alla rimozione dei suoi primi anni si sostituì il desiderio di ricostruire la sua storia. Nel 1974, Willi si preparava a raggiungere in Svezia il figlio per collaborare ad un film sui campi di concentramento che questi stava preparando, quando morì improvvisamente d’infarto. Ora questo libro, con la presentazione di Hanuš e un’ampia prefazione di Ulrike Migdal, viene a riproporci la storia di Ilse e della sua famiglia.Se la storia dei Weber è in sé una storia straordinaria, le poesie composte nel campo da Ilse sono di una struggente bellezza, mentre le sue lettere a Lilian, che vanno dal 1933 al 1944, cioè fino alla deportazione a Auschwitz, sono un eccezionale e vivissimo ritratto, oltre che della sua vita, dei suoi affetti e della sua arte, anche del suo paese, la Cecoslovacchia, man mano che l’ombra dell’antisemitismo e di Hitler si faceva più vicina. Dopo la partenza del figlio, nel 1939, la maggior parte delle lettere sono indirizzate al bambino, che Ilse cerca di seguire a distanza, della cui educazione si preoccupa, di cui lamenta la pigrizia nello scrivere, di cui sollecita il mantenimento dell’appartenenza ebraica. Le ultime lettere sono da Theresienstadt, dove Ilse fa ancora in tempo, prima della deportazione, a piangere in una lettera alla madre di Lilian la morte dell’amica. Subito dopo, Auschwitz.
Benjamin Jacobs-Il dentista di Auschwitz: una storia vera
Nel giugno del 1941, centosessanta uomini tra i sedici e i sessant’anni furono prelevati dai nazisti occupanti, dalla piccola città di Dobra, nella Polonia occidentale. Questi sfortunati uomini, strappati alle loro famiglie, saranno destinati a una serie di campi di lavoro e di concentramento. Uno di loro era al primo anno di studi dentistici, Bronek Jaciebowicz (Benjamin Jacobs).
Il giorno del trasporto a ogni uomo furono concessi due pacchi di oggetti. Mentre Benjamin si preparava a partire, sua madre gli consigliò di includere gli strumenti dentistici del primo anno in una scatola rossa. Allora non poteva sapere che questi strumenti gli avrebbero salvato la vita.
Ad Auschwitz il comandante delle SS Otto Moll aveva un mal di denti e così si fece visitare dal dentista emaciato del campo, un detenuto ebreo di Dobra, in Polonia, di nome Berek Jakubowicz. Sistemandosi sulla sedia, estrasse la pistola e la puntò verso il medico. “Non tentare di fare qualcosa di stupido, dentista”, lo avvertì.
«Herr Hauptscharfuhrer», rispose il dentista, sfiorando la pistola “Non ha di che preoccuparsi. La pistola è proprio qui vicino “. Lui sorrise imbarazzato e rimise la pistola nella fondina.
Questo è uno dei tanti momenti orribili e memorabili del libro di memorie di Benjamin Jacobs (l’ex Berek Jakubowicz). I suoi strumenti dentali, che portava in una scatola rossa brillante, furono il suo passaporto per la sopravvivenza.
Il comandante aveva ordinato la costruzione di una unità dentistica nel Blocco 7 e Jacob divenne il dentista del campo con alcuni privilegi e razioni supplementari, in attesa che le sue mani rovinate dal lavoro in miniera, fossero guarite. L’arrivo del famigerato dottor JosefMengele aggiungerà una nota macabra al suo lavoro: cavare i denti d’oro dai detenuti morti.
«Provai disgusto. Non pensavo che qualcuno potesse abbassarsi così tanto. Uccidere la gente era già abbastanza orribile, ma strappare i denti dei morti era una cosa rivoltante. Non pensavo di poterlo fare. Ma era inevitabile. Non avevo altra scelta.»
Sessant’anni dopo essere sopravvissuto alla deportazione, alla schiavitù, ai pestaggi, alla fame e persino all’affondamento di una nave, Jacobs racconta una storia commovente e dolorosa. Per prendere in prestito una metafora dell’odontoiatria, immagina il dolore di un dente estratto e come può consumare tutto il tuo essere; ora immagina quanto possa sembrare banale se inserito nel contesto di Auschwitz.
C’è anche una breve storia d’amore primaverile nel libro. Uscendo di soppiatto di tanto in tanto da un campo di lavoro, Jacobs avrà una relazione amorosa nei boschi con una giovane donna polacca, Zosia, una persona retta che cercava di salvare lui e suo padre. Una ragazza che viveva vicino al campo. Gli amanti sapevano che, secondo i nazisti, “il sesso tra le razze era il peccato ultimo”.
Il libro è in parte un resoconto di privazioni crudeli e in parte racconto di vari “miracoli” a cui ha assistito. Ad esempio, cinque nazisti lo hanno portato davanti a un muro di una caserma per essere fucilato, eppure è stato risparmiato. (“Nonostante la mia paura, tenevo la testa alta come un personaggio in un’opera di Shakespeare”) . Poco dopo il loro arrivo ad Auschwitz, Jacobs fu separato da suo padre, ma un trambusto gli permise di salvarlo temporaneamente da quella che sarebbe stata morte certa.
Jacobs con clandestinità ricevette una lettera nel campo di concentramento da sua sorella che diceva : “Quando riceverai questa lettera, la mamma e io non saremo più vivi.” La lettera continuava dicendo che l’intero ghetto stava per essere abbandonato a Chelmno. Sua madre scrisse: “Forse ci incontreremo tutti in un altro mondo.” Ma attraverso una notevole serie di circostanze, li incontrò di nuovo in questo mondo, un’ultima volta.
Nel 1945 Jacobs fece parte di un trasferimento di prigionieri in Svezia a bordo della nave Cap Arcona che i britannici silurarono; era uno delle poche centinaia, di circa 5.000, che sopravvisse. Arrivò negli Stati Uniti dopo la guerra e si stabilì a Boston. Jacobs fece un tour negli Stati Uniti e in altri luoghi per condividere le sue esperienze e parlare delle persone che aveva cercato di aiutare, ma non scrisse le sue memorie fino all’età di ottant’anni. A quel tempo era già malato di cancro alla gola.
Benjamin Jacobs-Il dentista di Auschwitz
Sebbene il primo ordine di recuperare i denti d’oro fosse stato emesso il 23 settembre 1940, la sua coerente attuazione venne ritardata di due anni fino al periodo che divenne noto come “La soluzione finale”.
La ragione di questa improvvisa, rinnovata attenzione all’ordine in quel momento fu la mancanza di valuta che i nazisti stavano sperimentando per l’acquisto di materie prime per lo sforzo bellico.
Uno studio francese riporta che diciassette tonnellate di oro dentale provenivano dai campi. Venticinque chili di questo oro dentale venne recuperato a Mauthausen durante gli anni della guerra, dai cento a cinquecento chili al mese a Buchenwald nello stesso periodo e sei tonnellate da Auschwitz.
A Treblinka, ogni settimana venivano immagazzinati in valigie da otto a dieci chili d’oro. 80.000 denti sono stati trovati in alcune scatole durante la liberazione del campo di Oranienburg Sachsenhausen in Germania.
Benjamin Jacobs-Il dentista di Auschwitz
Benjamin Jacobs (1919-2004) è stato un dentista polacco che nel 1941 venne deportato dal suo villaggio al campo di Auschwitz. Rimase prigioniero fino alla fine della guerra. Sopravvisse esclusivamente con l’aiuto dei suoi strumenti dentali esercitando la sua professione all’interno del campo di concentramento.
. L’esegesi biblica tedesca e gli ebrei da Herder e Semler a Kittel e Bultmann, Paideia 2020
Transport Train to Auschwitz II Birkenau Concetration Camp. Railway wagon to transport people to the death camp. German Concentration Camp in Oswiecim, Poland.
L’Europa che permise l’aggressione all’universalismo ebraico
Articolo di Paolo Ribet
Anche le scienze bibliche e teologiche avallarono l’antisemitismo
Con una regolarità allarmante riemergono, in varie parti del mondo, casi più o meno violenti di antisemitismo. O forse sarebbe meglio dire: di antiebraismo, perché è contro gli ebrei che si manifesta l’odio o il rancore. É una storia che arriva da lontano, su cui le Chiese cristiane hanno responsabilità non da poco. Tanto più questa risorgenza si rivela un dato preoccupante, anche perché su questo tema ormai da parecchi anni le chiese sono intervenute riconoscendo i guasti causati nel passato. In questa linea, per tentare di comprendere nei giusti termini il rapporto fra il cristianesimo e l’ebraismo, si pone anche il ponderoso libro del professore svedese Anders Gerdmar*.Come indicato dal sottotitolo, il nostro autore ripercorre la teologia biblica protestante tedesca fra il 1750 e il 1950, per verificare se e come gli autori presi in considerazione abbiano condizionato l’atteggiamento della gente nei riguardi degli ebrei. Va ricordato che tra la metà del 700 e per tutto l’800, quando nasceva e si imponeva il sentimento nazionale di “germanità”, la posizione degli ebrei nella società e nella teologia tedesca diventava una problematica scottante. A ciò si aggiunga che è in questo stesso periodo che nascono l’idea di razza e di razzismo “scientifico”, così come lo concepiamo oggi.
Il nostro autore, con un lavoro estremamente puntuale, analizza a fondo l’opera di una quindicina di autori tedeschi che hanno segnato profondamente gli studi sia del Primo sia del Secondo Testamento nel corso di questi due secoli, per verificare come ognuno di essi si ponga nei confronti dell’ebraismo. Si nota che in tutti questi autori, in modo ora più ora meno marcato, affiora un giudizio pesantemente negativo nei confronti dell’ebraismo del tempo di Gesù. Essi affermano che, se al tempo dei profeti era presente una forte carica vitale, al tempo della nascita della chiesa cristiana il giudaismo rabbinico appariva sterile e pesantemente legalistico, tale per cui il messaggio cristiano si poneva in assoluta antitesi con quello ebraico.
Ma, e questo è a mio avviso l’aspetto più preoccupante, questo giudizio che potremmo definire storico o teologico, si riverbera anche nei giudizi espressi nei confronti dell’ebraismo contemporaneo. «Il giudaismo è una potenza mondiale e un corpo estraneo nella società, esclusivista […] gli ebrei stessi sarebbero la causa dell’odio razziale, poiché odiano tutti e sono odiati da tutti»: con simili termini si esprimeva Wilhelm Bousset all’inizio del ‘900 (p. 185). Per cui, anche laddove si invocava tolleranza nei confronti degli ebrei, con difficoltà si accettava una loro piena integrazione nella società tedesca.
L’esempio più eclatante è però dato dall’esegeta Gerhard Kittel (1888-1948), al quale Gerdmar dedica un centinaio di pagine. Figlio di un professore di Antico Testamento, Kittel era un professore quarantenne, già noto e apprezzato come uno dei più profondi conoscitori dell’ebraismo quando nel 1933 Hitler prese il potere. Egli si iscrisse al partito nazionalsocialista e, come molti protestanti del tempo, dimostrò subito di condividerne la filosofia e gli intenti. Scrisse anche un libretto sulla Questione ebraica ** che si attirò la risposta del filosofo ebreo Martin Buber. Ciò che colpisce in questo scritto è il fatto che di biblico non c’è praticamente nulla e il discorso teologico è marginale. Il pensiero centrale sta nell’idea del popolo, della razza e del sangue: «ora in mezzo a noi [tedeschi] è scaturito un nuovo movimento [il nazismo], pieno di vita, per il quale l’ideale non si chiama cosmopolitismo e cultura dell’umanità, bensì cultura legata al popolo e radicata nel popolo […] curandosi di ciò che è radicato e autentico, di ciò che è spuntato dal suolo patrio di terra e sangue».
È chiaro che in questo contesto non c’è spazio per la realtà universale dell’ebraismo e il popolo ebraico (perché si parla di popoli e non di persone singole) deve essere considerato un elemento estraneo e quindi marginalizzato. No dunque a qualsiasi forma di integrazione, no all’accesso ad alcune professioni come il magistrato o l’insegnante perché un tedesco non può essere giudicato o istruito da un estraneo. In pratica, la proposta di Kittel è che si ripristini per gli ebrei la condizione di “popolo forestiero”, con tutte le conseguenze che questo può portare. E se un ebreo si converte e diventa cristiano? Sia accolto come un fratello, dice Kittel, ma laddove possibile si costituiscano comunità apposite, con pastori anch’essi provenienti dall’ebraismo. Questo è il tono del suo pamphlet. Dopo la guerra, Kittel sarà sottoposto a restrizioni nel quadro del processo di denazificazione che vide coinvolti anche altri intellettuali. In una memoria redatta per difendersi, egli affermò che lo scopo del suo scritto era quello di proteggere gli ebrei dagli eccessi violenti delle campagne antisemite in atto nel suo Paese. Cosa che evidentemente non fu creduta.
Il prof. Gerdmar all’inizio della sua fatica afferma di voler verificare come la teologia e l’esegesi in particolare abbiano contribuito a determinare la condizione degli ebrei in Germania. Alla fine della lettura, ciò che colpisce in questi autori è il fatto che, più che condizionare, furono essi stessi condizionati dalle idee circolanti al loro tempo che assunsero, ahimè, con poco spirito critico. Come ebbe a riconoscere l’esegeta statunitense Ch. H. Charlesworth: «Noi studiosi siamo naturalmente esseri umani e non soltanto facciamo degli errori, ma siamo spesso inconsapevoli di quanto possiamo essere influenzati dallo spirito del nostro tempo». É esattamente ciò che è successo sul tema della “questione ebraica”.
* G. Anders, Bibbia e antisemitismo teologico. L’esegesi biblica tedesca e gli ebrei da Herder e Semler a Kittel e Bultmann, Paideia 2020, pp. 643 euro 79,00.
** I testi di questo dibattito sono stati tradotti in italiani a cura di G. Bonola in G. Kittel, M. Buber,
Anders Gerdmar- Bibbia e antisemitismo teologico.
L’esegesi biblica tedesca e gli ebrei da Herder e Semler a Kittel e Bultmann, Paideia 2020
DESCRIZIONE
Lo studio di Anders Gerdmar fa emergere in tutta la loro portata i diversi indirizzi di ricerca delle varie scuole e chiese tedesche, mostrando come in queste tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento l’antisemitismo teologico organizzato poté svilupparsi sulla base di tradizioni plurisecolari fino a costituire l’ambiente fertile in cui attecchirono visioni del mondo radicalmente antiebraiche. Fu in questo terreno ideologico che Adolf Hitler trovò il supporto e il favore delle chiese e della teologia tedesche. A tanto poté condurre l’applicazione di modelli che disgiungendo Gesù e il cristianesimo dall’ebraismo giustificano la dissociazione tra le religioni e la discriminazione etnica fino a propugnare il razzismo esplicito e il genocidio programmatico.
La traduzione dell’opera è stata realizzata grazie a un contributo del SEPS, segretariato europeo per le pubblicazioni scientifiche.
Indice testuale
Premessa
1. Introduzione. Alle radici dell’antisemitismo teologico
Parte prima
L’esegesi illuministica e gli ebrei
2. Introduzione
3. Gli ebrei nell’esegesi illuministica dal deismo a de Wette
4. Johann Salomo Semler: il cristianesimo degiudaizzato
5. Johann Gottfried Herder: la nozione di Volk e gli ebrei
6. Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher: religione illuministica ed ebraismo
7. Wilhelm Martin Leberecht de Wette: il giudaismo come ebraismo degenerato
8. Gli ebrei nell’esegesi illuministica da Baur a Ritschl
9. Ferdinand Christian Baur: l’ebraismo come antipodo storico del cristianesimo
10. David Friedrich Strauss: continuità e discontinuità fra ebraismo e cristianesimo
11. Albrecht Ritschl: il Kulturprotestantismus e gli ebrei
12. La scuola di storia delle religioni e gli ebrei: svolta epocale?
Parte seconda
L’esegesi storico-salvifica e gli ebrei: da Tholuck a Schlatter
13. Introduzione
14. Friedrich August Tholuck: «la salvezza viene dai giudei»
15. Johann Tobias Beck: continuità organica tra giudaismo e cristianesimo
16. Franz Delitzsch, innovatore dell’ebraistica
17. Hermann Leberecht Strack: missione agli ebrei e loro difesa
18. Adolf Schlatter e l’ebraismo: erudizione sconfinata e opposizione irriducibile
Parte terza
La critica delle forme e gli ebrei
19. Introduzione
20. Karl Ludwig Schmidt: popolo eletto e «questione ebraica»
21. Martin Dibelius e gli ebrei: un atteggiamento ambivalente
22. Rudolf Bultmann, tra liberalismo e antiebraismo
Parte quarta
L’esegesi nazista e gli ebrei
23. Introduzione
24. Gerhard Kittel: la fondazione teologica dell’Unheil ebraico
25. Walter Grundmann: verso un Gesù non ebreo
26. Esegesi neotestamentaria, ebrei ed ebraismo
Appendice
Materiali d’archivio
Elenco delle sigle
Bibliografia
Indice analitico
Indice dei passi neotestamentari
Indice dei nomi
Indice del volume
Biografia dell’autoreAnders Gerdmar è presidente della Scandinavian School of Theology di Uppsala (Svezia) e professore associato di Esegesi Neotestamentaria all’Università di Uppsala. Noto per un importante studio sul giudaismo in età ellenistica è autore di numerosi saggi sulla storia dell’esegesi biblica sotto il nazismo e dopo Auschwitz.
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.