Roma-Municipio XI-Lungo la Via di Malagrotta, subito a ridosso della più grande discarica d’Europa, stanno venendo alla luce le antichissime vestigia di una necropoli.Questi nuovi scavi sono poco distanti da quelli di via Castel Malnome-Piana del Sole dove sono venute alla luce oltre 300 sepolture. La prima menzione di “Molarupta” è dell’anno 995, si trova negli annali Camaldolesi che citano una permuta al Monastero di S.Gregorio del fondo Notula da parte di Costanza e negli anni 1014 e 1067 risulta come “casale” come scrive il Nibby.
Mentre il Tomassetti scrive che il nome Molarupta, poi Molarotta e Malagrotta, deriverebbe da una mola sul fiume Galeria sono ancora visibili i resti. Ma il nome di Malagrotta, secondo una leggenda medioevale deriva dalla tana , mala grotta, di un terribile drago che terrorizzava queste terre, il drago fu sconfitto da un Anguillara.. Questa leggenda ha ispirato lo scultore Mauro Martoriati che ha realizzato una scultura, tra il surreale e il metafisico, alta più di tre metri e pesante 10 quintali utilizzando ferro riciclato ; la scultura è stata collocata nei giardini comunali di Anguillara. Ancora una volta ci si trova di fronte al dilemma di chi vuole portare alla luce i tesori nascosti di questa Valle Galeria e chi, invece, vuole seppellire la valle con i rifiuti. Tutta l’area intorno è piena di siti archeologici che testimoniano i periodi che vanno dal Neolitico al Medioevo.
Foto poesia di Alessandra FINITI “Novembre in SABINA”
Alessandra Finiti:”Ho fotografato molte volte questa splendida proprietà in Sabina ma mai a novembre. Abbiamo trovato una giornata bella e luminosa, ci siamo sentite telefonicamente quando ero ancora a Roma e nel giro di un’ora ero in questo paradiso. E’ la casa vacanze di Giulia Landor @In Sabina, un luogo speciale curato in ogni particolare ma nello stesso tempo autentico, una cornice perfetta per fotografare la natura e tanti dettagli .E’ lei ,Giulia, che mi ha accompagnato in ogni angolo proprio nell’ora in cui c’era la luce ideale .I suoi pioppi favolosi, visti da lontano, creano delle isole di colore nelle verdissime vallate sabine e per questo ringrazio Giulia perchè valorizzando la sua proprietà con la cura del verde ha contribuito a rendere ancora più bella questa parte di Sabina”.
Il libro di Ludovico Quaroni, l’architetto che fotografava Roma
By Angela Madesani
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È stato uno dei protagonisti della ricostruzione postbellica, uno dei più noti docenti della facoltà di Architettura della Capitale, Ludovico Quaroni (Roma, 1911-1987), al quale Humboldt Books dedica un volumetto delizioso, Roma 1968. Il libro contiene le immagini che Ludovico e il nipote Livio hanno dedicato a Roma, ma, a differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, non ci troviamo di fronte a un libro di immagini di architettura, piuttosto a una serie di fotografie di documentazione della città, dove accanto agli edifici ci sono le persone, anch’esse protagoniste delle immagini. Quella del grande architetto è una lettura libera, che ha un precedente nel bel volume pubblicato da Laterza nel 1969, Immagine di Roma. LE FOTOGRAFIE ROMANE DI LUDOVICO QUARONI
Il libro è accompagnato da un prezioso testo di un allievo di Quaroni, Francesco Pecoraro, introdotto da una frase dell’architetto che ci fa comprendere il senso di tale lavoro: “Vogliamo che si sviluppi una critica delle città, accanto alla critica letteraria, alla critica delle arti plastiche, del cinematografo e della musica”. Le sue non sono delle semplici immagini, ma un autentico strumento di lavoro: “Per lui fotografare Roma” ‒ spiega Pecoraro ‒ “significava coglierne qui e là, con un solo scatto, la complessità e la manomissione, la contraddizione e la sovrapposizione degli elementi che la compongono (che la componevano negli anni Sessanta), il lascito, le ferite indelebili, le effrazioni, le profanazioni, le distruzioni, su cui, se davvero ce ne importasse qualcosa, piangeremmo”. In quelle foto sono poste accanto tante città diverse, quella dei poveri, della piccola borghesia, degli accattoni. Una città complessa, che potrebbe somigliare, per certi punti di vista, a quella che Pasolini ci ha raccontato in Mamma Roma, uno dei suoi capolavori cinematografici.
ROMA VISTA DA QUARONI
Ci troviamo proprio, secondo il pensiero di Quaroni, di fronte a un continuum, di case, cose, persone, alberi, fiume. Non c’è soluzione di continuità. Uno spazio particolare hanno le automobili spesso presenti, simbolo di conquista negli Anni del boom. La sua è un’indagine di matrice sociale di notevole importanza, che ci aiuta a comprendere la situazione romana di quel periodo, assai diversa da quella milanese. I casermoni popolari sono accanto ai campi e alle baraccopoli nella prima periferia della città, in un insieme in cui è la tristezza a dominare.
Chiude il libro un bel testo di Ludovico Quaroni accompagnato dai provini annotati a mano dall’architetto, che ci fanno comprendere la sua metodologia lavorativa.
‒ Angela Madesani
Ludovico Quaroni – Roma 1968
Humboldt Books, Milano 2021
Pagg. 112, € 20
ISBN 9788899385873 www.humboldtbooks.com
“……..Gli alberi perdono le foglie al primo alitare del vento, si forma uno strato di foglie gialle con dentro mischiati tanti altri colori.C’è una luce diversa nell’autunno. C’è una tregua, un bisogno di avvolgersi nei colori della foresta……”
Bibbiena | Arezzo- Dal 01 Aprile 2023 al 04 Giugno 2023
Il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore, ente nato per volontà della FIAF – Federazione Italiana Associazioni Fotografiche,associazione senza fini di lucro che si prefigge lo scopo di divulgare e sostenere la fotografia su tutto il territorio nazionale, presenta la nuova mostra “Carla Cerati – Le scritture dello sguardo” che inaugurerà sabato 1 aprile 2023 alle ore 16.30 presso il CIFA e il nuovo libro a lei dedicato per la collana “Grandi Autori della fotografia contemporanea”.
L’esposizione fotografica proposta da FIAF e curata da Roberto Rossi, Presidente FIAF, presenta una parte importante, ed in alcuni casi meno conosciuta, del lavoro fotografico di Carla Cerati. Il libro che accompagna la mostra, curato da Lucia Miodini ed Elena Ceratti, è l’occasione per continuare l’esplorazione promossa dall’editoria FIAF del mondo delle Fotografe Italiane iniziato nell’anno 2000 con il volume dedicato a Giuliana Traverso e che annovera nelle sue due principali collane, quella delle Monografie e quella dei Grandi Autori, nomi come Eva Frapiccini, Patrizia Casamirra, Antonella Monzoni, Paola Agosti, Angela Maria Antuono, Chiara Samugheo, Stefania Adami, Lisetta Carmi, Cristina Bartolozzi, Giorgia Fiorio.
Ben più di un’antologica della sua produzione, la mostra ci aiuta ad entrare in contatto con la forte personalità di questa Autrice espressa nell’impegno civile e alimentata dalle passioni per la scrittura e per la fotografia. “L’una e l’altra”, affermava Carla Cerati: sono due attività che coesistono, ma non si fondono. È sempre un’osservazione della realtà: la fotografia le serve per documentare il presente, la parola per recuperare il passato. L’incontro tra fotografia e testo caratterizza il percorso di Cerati.
La Cerati si avvicina alla fotografia agli inizi degli anni ‘60 fotografando il suo ambiente famigliare. È un periodo in cui anche grazie al crescente sviluppo economico del dopoguerra, la fotografia diventa una pratica personale diffusa e alla portata anche dei ceti sociali meno abbienti. Per chi come Cerati desidera andare oltre la cosiddetta foto di famiglia e vuole approfondire contenuti e tecnica fotografica, non esistono in Italia, salvo rarissime eccezioni come il Bauer, prima scuola pubblica di fotografia fondata nel 1954, altri luoghi da frequentare che i circoli fotografici.
Un percorso analogo è stato compiuto da altri fotografi della sua generazione, come ad esempio Gianni Berengo Gardin, Mario De Biasi, Nino Migliori, Fulvio Roiter, che, avvicinatisi alla fotografia frequentando le associazioni fotografiche fin dall’immediato dopo guerra, hanno poi scelto la strada del professionismo sotto varie forme. Cerati per un certo periodo frequenta il Circolo Fotografico Milanese, che in quegli anni è animato da un intenso dibattito tra coloro che privilegiano visioni di tipo estetico-formale e altri interessati alla ripresa del reale. Fa sua questa seconda visione e decide di avvicinarsi al professionismo.
Nata a Bergamo da una famiglia di origine borghese con regole e principi tradizionali molto rigidi, se ne allontana sposandosi a 21 anni. La vita nell’immediato dopo guerra può essere economicamente difficile per dei giovani sposi e per contribuire al bilancio familiare lavora come sarta, prima a Legnano e poi a Milano, dove la coppia si trasferirà nel 1952. Quando alla fine degli anni ’50 decide di acquistare dal padre una Rollei, ha già potuto assistere al tumultuoso e complesso sviluppo del capoluogo milanese e non resta indifferente ai cambiamenti che ne derivano: il suo stile documentario caratterizzato da un rapporto immediato con il reale, sfocia in una capacità narrativa di tipo sociologico. Guarda ai piccoli eventi del quotidiano e rifugge dagli stereotipi e dalla retorica avvicinandosi per affinità di pensiero e di impegno civile alla concerned photography promossa da Cornel Capa.
“Con questa mostra e la monografia a lei dedicata, la FIAF desidera rendere omaggio ad un’Autrice che si è sempre impegnata attivamente sul fronte della tutela della professione” – ha dichiarato Roberto Rossi, Presidente FIAF.
Carla Cerati è stata parte attiva e segretaria della sezione Milanese dell’AIRF (Associazione Italiana Reporters Fotografi), fondata nel 1966, in un momento in cui i fotoreporter lottavano perché il loro lavoro e la loro professionalità venissero riconosciuti. E nel 1976, a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Legge Bonifacio che sanciva i diritti dei fotogiornalisti, è stata tra i firmatari insieme a Uliano Lucas, Carlo Arcadi, Walter Battistessa, Giancarlo De Bellis, Alberto Roveri e Mauro Vallinotto, di un documento che, a partire dall’analisi dei punti di criticità del lavoro del fotogiornalista, propone una visione non individualistica della professione. Non ultimo il suo impegno nell’approfondire e diffondere la conoscenza dei suoi colleghi fotografi, come ad esempio Paolo Monti e Gabriele Basilico, pubblicandola in interviste video conservate nelle Teche RAI.
“Siamo veramente felici di poter ospitare al CIFA i lavori di Carla Cerati e di dare al pubblico la possibilità di immergersi nelle scritture del suo sguardo – ha dichiarato Claudio Pastrone, Direttore del CIFA – Passando dal corridoio principale ed entrando e uscendo dalle 16 celle del Centro il visitatore ha la possibilità di comprendere la sua storia umana e professionale. Cerati fotografa dai primi anni Sessanta, inizialmente rivolge il proprio sguardo all’ambiente che le è prossimo. Poi con occhi disincantati fotografa il mondo che le sta attorno. Convinta, lo dichiarerà più tardi, che la fotografia possa contribuire a cambiare la società. Il suo percorso, complesso e impegnato su vari fronti, mantiene una propria unità e coerenza nell’attenzione per la condizione umana, per la dimensione esistenziale; nella sua capacità di raccontare fuori da ogni retorica con uno sguardo intenso, partecipe e al contempo unico ed efficace, le contraddizioni della contemporaneità”.
Dal 01 Aprile 2023 al 04 Giugno 2023
Bibbiena | Arezzo
Luogo: CIFA – Centro Italiano della Fotografia d’Autore
(F.L.):“……Ecco l’autunno con la sua metamorfosi, le onde verdi in colline serene e i borghi con i rigoletti danzanti dai camini mentre i sentieri sono ricoperti di foglie lasciate libere dagli alberi e i cespugli spinosi ci regalano bacche rosse pronte per il Natale…...”
Una guida essenziale per realizzare scatti perfetti.
Angelo De Sole-Traduttore-Editore -White Star
DESCRIZIONE
Un’esaustiva opera di consultazione che tratta ogni aspetto della fotografia, dallo scatto alla resa finale, scritto da Tracy Hallett, Robert Harrington, Ross Hoddinott, Andy Stanfield, David Talor , Steve Watkins.
Raccontare l’Afghanistan è come fare un viaggio tra conflitti, umanità, violenza e droga. I signori della guerra, padroni del paese, hanno fatto dell’Afghanistan la loro cassaforte personale, oltre che spogliato la popolazione civile di qualunque diritto e futuro. Dal 1979, anno dell’invasione sovietica, non c’è mai stato un solo giorno di pace. Guerre e massacri sono da allora l’aspra quotidianità di chi è costretto a vivere in condizioni provvisorie e inventarsi una possibilità di sopravvivenza. Dopo la cacciata dell’Armata Rossa nel 1989, i Talebani presero il potere a metà degli anni ‘90 e lo mantennero fino al 2001, anno dell’abbattimento delle Torri Gemelle.
Massud “il leone del Panshjir”, artefice della vittoria sui sovietici e successivamente contro i talebani con il suo esercito dei Mujaheddin, venne eliminato dai servizi segreti occidentali per impedirgli di realizzare una rivoluzione in proprio, che sarebbe stata destabilizzante per i molteplici interessi economici in gioco.
Nel 2001 intervennero l’Alleanza del Nord e i contingenti internazionali per cercare di imporre un assetto politico che garantisse loro un’adeguata presenza sul territorio. Un territorio che è stato da sempre appetibile, da Alessandro Magno agli Inglesi, e anche oggi chi controlla l’Afghanistan controlla di fatto i confini di Cina, Pakistan, India e Russia.
Oltre agli interessi strategici militari, geopolitici ed economici, fondamentale è il controllo del traffico di eroina, che attualmente rappresenta circa l’80% del PIL nazionale e che fa dell’Afghanistan un narco-Stato. L’Afghanistan è infatti un paese strozzato da un’economia sempre più povera: agricoltura e pastorizia (un tempo principali risorse) sono state compromesse da un territorio disseminato di mine antiuomo e quindi difficilmente coltivabile.
A Kabul, l’ospedale della Croce Rossa, diretto da Alberto Cairo, ospita centinaia di vittime di queste mine costruite con l’intento di non uccidere ma di mutilare mani, braccia e gambe.
Questo, a grandi linee, è il panorama politico e umano che costringe l’Afghanistan a sopravvivere al “grande gioco” che le potenze straniere decidono non per portare la pace e la democrazia, ma per una cinica visione del mondo.
In tale scenario, le donne afgane rappresentano la parte sana di una società che subisce gli eventi. Lavorano, crescono i figli, si scontrano spesso contro una realtà che le vorrebbe sottomesse ed invisibili. Questa loro forza produce futuro
Ugo Panellaha iniziato la carriera di fotogiornalista documentando i conflitti del Centro America alla fine degli anni ’70, in particolare la guerra civile in Nicaragua e più tardi quella in Salvador.
La sua passione per la fotografia di denuncia e di impegno civile lo ha in seguito portato in vari luoghi del mondo, dove la vita quotidiana è fatta di violenza e dove la dignità umana non ha valore.
In Egitto, al Cairo, ha raccontato la vita in un cimitero abitato da un milione di senzatetto che hanno fatto delle tombe la loro dimora; in Bangladesh, la fatica di migliaia di uomini che nel porto di Chittagong smantellano navi cargo a due dollari al giorno. Sempre in Bangladesh, in collaborazione con Renata Pisu, l’inviata di Repubblica, ha fatto conoscere all’opinione pubblica mondiale la condizione di migliaia di ragazze sfigurate dall’acido solforico perché rifiutano le “avances” di uomini violenti. L’inchiesta, ripresa dalle maggiori testate internazionali, ha costretto il governo di quella nazione ad introdurre pene gravissime per chi si rende responsabile di tali crimini.
Con Soleterre Onlus (soprattutto in Ucraina, ma anche in Marocco, Salvador e Guatemala) ha realizzato un reportage sui tumori infantili derivanti da disastri ambientali, illustrando i progetti sanitari e l’assistenza alle famiglie dei bambini malati; mentre in Italia grande scalpore ha destato la sua foto-inchiesta nell’istituto psichiatrico Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello, in Calabria, dove centinaia di persone vivevano in condizioni di abbandono. Quest’ultimo progetto è stato poi tradotto nel libro fotografico “In direzione ostinata e contraria” e in una mostra itinerante.
Ugo Panella è un profondo conoscitore dell’Afghanistan e delle persone che ci vivono, tra paura e resistenza tenace a un regime che toglie diritti e libertà. Da molti anni documenta i progetti di microcredito della Fondazione Pangea Onlus in quel paese.
Ha lavorato anche in Albania, India, Sri Lanka, Filippine, Oman, Cipro, Palestina, Somalia, Etiopia, Sud Africa, Iraq, Ucraina e Sierra Leone. Il suo ultimo lavoro è dedicato ai flussi migratori in Africa, soprattutto da Mali, Nigeria, Gambia e Senegal.
Nel 2009, a Sarzana, ha ricevuto il premio al fotogiornalismo Eugenio Montale.
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