Un’incredibile storia vera in cui l’amore sopravvive all’orrore della guerra
DESCRIZIONE
Dopo l’arresto e la tortura dei fratelli da parte dei nazisti, Josefine Lobnik decide di unirsi ai partigiani e combattere per la liberazione della Slovenia. Se questo significa aiutare gli inglesi e gli Alleati, è ben felice di dare il suo contributo. Quando assiste all’esecuzione sommaria di venti innocenti nella piazza della città di Maribor, Josefine teme che la stessa sorte possa essere toccata anche a uno dei suoi fratelli, di cui non ha più notizie. E così prende una decisione coraggiosa: avvicinarsi al campo di lavoro per chiedere notizie a un prigioniero. Quando lo portano al campo Stalag XVIII-D, vicino a Maribor, Bruce Murray promette a sé stesso che farà tutto il possibile per sabotare i tedeschi e scappare. Mentre passeggia lungo la recinzione, una domenica mattina, una giovane donna gli consegna un biglietto. È l’inizio di un grande amore, nato nell’ora più buia della storia europea, e destinato a durare per sempre.
«Indimenticabile. Ci ricorda che l’amore può vincere anche nei tempi più bui. Non potrò mai raccomandare abbastanza questa lettura.»
Heather Morris, autrice del bestseller Il tatuatore di Auschwitz
«Un libro sensazionale, risucchia magistralmente il lettore tra le pagine.»
Australian Women’s Weekly
«Una storia appassionante, fonte di grande ispirazione.»
Sunday Star Time «Una commovente storia vera, che Gold ha saputo ricostruire basandosi su articoli dell’epoca, registri militari, testimonianze dirette e lettere originali.»
«Un grande romanzo, che racconta le difficoltà e le sfide superate da due persone innamorate durante la seconda guerra mondiale.»
“Verso il maggio del 1944 cominciò la deportazione degli ebrei ungheresi. Cominciarono allora ad arrivare ogni giorno e ogni notte lunghissimi trasporti contenenti migliaia di persone… vagoni giungevano, e ancora vagoni, e ancora vagoni.
Noi avevamo l’ordine di restare nei Block quando i trasporti arrivavano, ma riuscivamo a guardare lo stesso – vedevamo tante comiche piccole teste affacciarsi inquiete alle feritoie e scrutare quello che li aspettava lì.
Erano sempre i bambini che guardavano fuori – i bambini.
Si sentivano talora i loro pianti nella notte quando scendevano dai trasporti e faceva freddo, era buio, anche se tutt’intorno riflettori sinistri illuminavano il campo. Si sentiva gridare nella notte “mamma”, “mammina” in tutte le lingue”.
Luciana Nissim Momigliano spiegò così la sua scelta di diventare pediatra dopo il suo ritorno da Auschwitz nel 1945 e successivamente diventare psicanalista per cercare di capire almeno in parte alcune delle sofferenze a cui aveva assistito.
“Avevo visto morire tanti bambini, desideravo fare qualcosa che li facesse vivere”.
Liliana sopravvisse alla deportazione ad Auschwitz Birkenau che condivise i suoi compagni torinesi tra cui Primo Levi.
“Primo parlava per tutti noi” soleva dire per giustificare il suo silenzio. Deputava a lui il compito di raccontare l’indicibole.
Sarà solo dopo il 1987, quando Primo Levi muore, che Luciana Nissim Momigliano capisce di non potersi più tirare indietro e di dover prendere la staffetta.
Tornerà per la prima volta ad Auschwitz solo nel 1996.
Muore il 1 dicembre 1998.
Desideriamo ricordarla per la sua capacità di ascolto e per quel senso di rispetto assoluto della sofferenza degli altri dovuto senz’altro a ciò a cui aveva assistito senza poter fare niente.
Da: Donne contro il mostro
Foto | Shoah Foundation
Associazione Figli della Shoah.
LUCIANA NISSIM
Luciana Nissim nasce il 20 ottobre 1919 a Torino in una famiglia colta e agiata. Di origine ebrea riscopre i suoi legami con l’ebraismo a seguito delle leggi razziali del 1938 e prende a frequentare la biblioteca della scuola ebraica dove incontra tra gli altri quelli che saranno gli amici della vita: i fratelli Artom, Franco Momigliano (che diventerà suo marito), Vanda Maestro, Eugenio Gentili Tedeschi, Primo Levi, Giorgio Segre, Giorgio Diena, Alberto Salmoni e Bianca Guidetti Serra. Dopo l’8 settembre 1943, con la famiglia e l’amica Vanda si rifugia in Val d’Aosta, dove, dopo qualche tempo, le due ragazze entrano in contatto con la banda partigiana in formazione di cui fa parte anche Primo Levi e che tra il 12 e 13 dicembre subisce un rastrellamento fascista che porterà i tre amici prima nelle carceri di Aosta e quindi a Fossoli.
A Fossoli a loro tre si unisce Franco Sacerdoti e i quattro diventano inseparabili. Insieme salgono sul convoglio che il 22 febbraio parte per Auschwitz. All’immatricolazione nel Lager di Birkenau Luciana dichiara di essere medico e questo contribuisce alla sua salvezza: viene destinata al Revier, l’infermeria del campo, dove si rende conto dell’inutilità del suo lavoro, ma è risparmiata dal ritmo mortale della vita del campo. Alla fine di agosto si offre volontaria come medico per Hessisch Lichtenau, campo di lavoro dipendente da Buchenwald, e da qui, grazie a un elettricista italiano, riesce a far pervenire una cartolina a Franco Momigliano. Resta nel campo fino a quando l’avanzata degli alleati costringe le SS all’evacuazione dei campi.
LA FUGA DURANTE UN TRASFERIMENTO
Durante un trasferimento decide di scappare e con una ragazza slovacca trova rifugio presso una fattoria fino alla guerra: “io dico che era il 25 aprile […]”.
Presta il suo lavoro di medico in un campo di raccolta di deportati a Grimma fino all’estate. Ritrova la libertà scrivendo ancora a Franco, legando l’esperienza appena patita, che già sta diventando memoria, allo slancio verso una vita libera: “ Sono stata deportata nel campo di concentramento più terribile del mondo, Auschwitz, in Alta Slesia, Polonia – è stato tutto molto duro e pericoloso, ma lo vedi, sono una dei non molti che ne sono usciti. Ed è così bello essere vivi e liberi. Ed è così strano poterti scrivere che non riesco a dirti niente, […] Ciao Franco – è troppo bello pensare che ti rivedrò.”
La relazione con l’altro è colta con immediatezza quale elemento di costruzione della propria identità su cui si misura nel campo la perdita di sé e al ritorno il rinascere della voglia di vivere.
Il 20 luglio 1945 arriva a Biella. Porta immediatamente la sua testimonianza componendo insieme a Pelagia Lewinska il libro a due voci Donne contro il mostro che esce per l’editore Ramella nel 1946: Luciana sceglie per il suo pezzo il significativo titolo Ricordi della casa dei morti. Poi non parlerà più, riconoscendo all’amico Levi il ruolo di testimone per tutti. Nel novembre 1946 si sposa con Franco, con cui condividerà il dolore per una bambina nata morta (Vanda) e poi la gioia di un figlio (Alberto). Dopo aver diretto a Ivrea l’asilo nido della Olivetti, si trasferisce con il marito a Milano, dove studia con Franco Fornari e Cesare Musatti diventando figura importante della psicoanalisi in Italia. Nel suo lavoro trasferisce l’esperienza accumulata e l’ascolto diventa perno di un’attività segnata da un bisogno di parola che è scambio. Muore a Milano nel 1998. I suoi documenti sono ora depositati all’Istituto piemontese della Resistenza, dopo che Alessandra Chiappano li ha raccolti e studiati con la sensibilità della storica impegnata, tra i pochi, allo studio della deportazione femmiile e che qui ricordiamo con affetto e riconoscenza.
Centro Studi Fondazione Fossoli
La sua storia
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