Angelo Maria RIPELLINO-“Lo splendido violino verde”
a cura di Umberto Brunetti-Editore Artemide
DESCRIZIONE-“Lo splendido violino verde” è la raccolta della piena maturità di Ripellino, pubblicata con Einaudi nel 1976, due anni prima della morte prematura. Concepito sotto forma di un diario in cui «si riflette, associandosi ai crucci privati, il malessere, l’inclemenza dell’epoca», il libro orchestra i principali Leitmotive dello scrittore siciliano: la teatralità dell’esistenza, la poesia come talismano per ‘tenere a bada’ la morte, la «buffoneria del dolore». Il commento che accompagna i testi, grazie anche alla consultazione delle agende manoscritte di Ripellino, tenta di districare il fitto tessuto di rimandi e citazioni, che sconfinano nelle arti più disparate, dalla pittura di Chagall all’opera lirica di Donizetti, dal teatro di Čechov e Brecht, filtrato attraverso le regie strehleriane, fino al cinema di Keaton, Chaplin e Fassbinder. Alternando slanci di gioia a note di profondo dolore e giocando sul labile confine tra arte e vita, Ripellino intesse una poesia capace di trasformarsi essa stessa in spettacolo e di rifrangere, come un prisma, i raggi del suo sconfinato orizzonte culturale in un «ribaldo trappolío di colori». Con due scritti di Corrado Bologna e Alessandro Fo.
Angelo Maria RIPELLINO-“Lo splendido violino verde”
Eleonora Duse nasceva il 3 ottobre 1858-Articolo di Daniela Musini
Eleonora Duse nacque per caso in un albergo, il Cannon d’Oro di Vigevano, durante una tournée dei genitori, attori anche loro, e morirà, sempre in un albergo, a Pittsburgh, il 21 Aprile 1924, durante la sua ultima tournée.
Eleonora Duse
Fu la più grande attrice di tutti i tempi, innovativa e geniale nella sua concezione del teatro e dell’interpretazione attoriale, che si distaccava dalla recitazione roboante ottocentesca per privilegiare una tecnica sottrattiva che rifiutava stereotipi e convenzioni a favore della intensità ed autenticità.
La sua grammatica mimica e gestuale era di straordinaria efficacia; dotata di carisma e di una eccezionale presenza scenica, ipnotizzava gli spettatori, e persino gli oggetti di scena, da lei maneggiati o solo sfiorati, diventavano veicolo di emozioni.
Il teatro fu per lei vertigine dell’anima e le creature che interpretò sulla scena (fossero personaggi di Goldoni, Dumas, Sardou, Verga, d’Annunzio o Ibsen) finivano tutte per assomigliarle, forti e complesse, fragili e sublimi.
Ammirata incondizionatamente da Cechov, Chaplin, Strasberg, Paul Klee, von Hoffmansthal, Rilke, George Bernard Shaw (solo per citare alcuni intellettuali che l’ammirarono sulle scene dal vivo) e idolatrata dal pubblico di ogni latitudine, la Duse fu donna indomita e inquieta, dalla vita costellata da successi ed eccessi, passioni rapinose e struggenti malinconie.
Eleonora Duse
Dal suo unico marito, l’attore Tebaldo Checchi, ebbe una figlia, Enrichetta, che amò in modo struggente di un sentimento innervato di sensi di colpa (a causa delle sue lunghe assenze causa tournée), profondo e vibrante, come testimoniano le tante, appassionate lettere che si scambiarono nella loro vita.
Dopo un rapporto burrascoso con lo scrittore e poeta Arrigo Boito (autore anche di alcuni libretti per Verdi), Eleonora si innamora, ricambiata, di Gabriele d’Annunzio, del quale fu la Musa più “Imaginifica” e l’amante più famosa e immortale .
Al Vittoriale, nell’Officina, il suo studio, è ancora presente il suo busto che il Vate, prima di accingersi al lavoro, ricopriva con un velo, quale «testimone velata» della sua opera.
Eleonora visse con d’Annunzio un rapporto sentimentale febbrile che fu anche uno splendido sodalizio artistico, “l’incantesimo solare” come il Poeta stesso lo ribattezzò.
Abitarono per un periodo alla Capponcina, una villa quattrocentesca sita a Settignano, vicino Firenze, dove lui scrisse per lei tragedie, come “La Gioconda”, “Francesca da Rimini”, “La città morta” che la Duse mise in scena con enorme successo e che sovvenzionò generosamente.
“Ghisola” lui la chiamava, giurandole eterno amore, ma la tradì con tutte le sue amiche e le attrici delle sue compagnie.
Eleonora sapeva e taceva, taceva e soffriva. Quando la sera lo vedeva andar via dalla Capponcina: «Figlio, dove vai?», gli chiedeva accorata, e lui: «Non dimandare» e usciva.
Lei, tutta la notte, a torcersi le mani e il cuore per la gelosia, lui a sollazzarsi con «due sorelle sonatrici di virginale ed esperte di giochi perversi».
E quando Eleonora gli urlava tutto il suo tormento di donna innamorata e ferita, egli ribatteva, cinico: «L’infedeltà fugace dà all’amore una novità inebriante (…) Non v’è menzogna sillabica più confusa e diffusa di questa: la fedeltà».
Le diede, è vero, imperitura fama, eternandola nell’eterea Ermione de “La pioggia nel pineto”, ma poi le graffiò il cuore tratteggiandola impietosamente nel personaggio della Foscarina de “Il fuoco”.
Eleonora Duse
E a chi le chiedeva come mai non ne avesse impedito la pubblicazione, lei rispondeva: «Ne ho autorizzata la stampa perché la mia sofferenza, qualunque essa sia, non conta, quando si tratta di dare un altro capolavoro alla letteratura italiana. E poi ho quarant’anni… e amo!».
Dopo nove anni dall’inizio del loro legame, Gabriele perse la testa per Alessandra Starabba di Rudinì, e nel contempo scelse Irma Gramatica per il ruolo di Mila di Codra, protagonista del suo capolavoro teatrale “La figlia di Iorio”, che Eleonora avrebbe voluto così tanto interpretare.
Lei capì che tutto era finito e qualcosa morì in lei da quel momento.
Nel 1909 prese una decisione che lasciò tutti sgomenti: abbandonò le scene.
Era stanca, depressa, ma poi entrò nella sua vita, come una corroborante folata di vento, Lina Poletti, scrittrice e attivista femminista (a quel tempo legata sentimentalmente a Sibilla Aleramo) che la travolse in una passione tumultuosa durata due anni.
Dopo una parentesi cinematografica con il film muto “Cenere” del 1916 tratto da un’opera di Grazia Deledda, Eleonora tornò a calcare le scene.
Saranno ancora trionfi e tournée internazionali fino all’ultima, partita nel settembre 1923 da L’Havana, a Cuba, e che si concluderà a Pittsburgh, il 21 aprile 1924, quando, a 65 anni, una recrudescenza del suo antico male, la tisi, le sarà fatale.
Morì ed entrò nella leggenda, rimpianta da tutti e mai dimenticata.
Articolo di Daniela Musini -Sito web- LE DONNE NELLA STORIA
Questo è solo un breve estratto dall’appassionata e dettagliata biografia nel mio libro “LE MAGNIFICHE 33 donne che hanno fatto la storia d’Italia” il primo dei cinque libri (e audiolibri) che ho pubblicato con Piemme-Mondadori
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